EUROPA E MEDITERRANEO:
IL MARE E’ UNA FRONTIERA?
Piernicola Spadaccini
Partiamo per un viaggio che dal mare viene ed al mare va.
“…..Afrodite
Il culmine banco dell’onda fratta
Lambisce e prende,
Sgorga piacere,
Cascate
E prolungate estasi.
Uno ad uno e tutti lega
Quelli rifratti nel suono mediterraneo
E il variopinto esistere comune.
Illumina le rotte della speranza:
Gli approdi della vita
Per disperati del mondo.
Agli inventori di frontiere neppure offre lo sguardo.
Dice lo sconfinato mare
E le sue storie….”
E’ il tramonto:
Come molle tempera, da un quadro i raggi cadono sull’acqua, sugl scogli e giocano lungo le spiagge
disegnandone profili.
Onde di smeraldo toccano la riva e, in cielo, volano i gabbiani.
Poi, dietro una montagna, oltre l’orizzonte, si spegne l’ultimo incendio del sole.
Ma il mare vede già la sciarpa abbagliata di luce lunare.
E’ molto difficile navigare il mare sconfinato, assoggettati alle correnti e al vento.
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Ci sono posti dove le acque si ritirano per poi tornare, all’attacco, due volte al giorno.
Il mare sempre insidia la riva.
Talvolta si copre di alghe e poi innalza onde enormi, grondanti di bianca spuma.
L’aria diventa un alito salmastro. Chi naviga respira questo alito e, per fatto naturale, sente la
comune umanità degli uomini.
Di fronte alla visione del mare cangiante si indovinano un insondabile mistero e una potenza
irrefrenabile: il passaggio, sempre aperto, verso l’aldilà.
E’ una lunga, profonda, vasta respirazione che muove il lento, inesorabile gonfiarsi delle onde.
Chi conosce le leggi del mare sa che sono leggi inesorabili.
Sa che vanno rispettate: basta distaccarsi un poco e un vortice ingoia marinai e navi verso rive
sconosciute di un altro mondo.
Quando Omero scrive “il mare calmo è rosso come il vino” conosce anche il blu, il grigio, il piombo
delle navi, allegorie dell’animo umano che solcano le immense distese salmastre.
Prima di noi hanno navigato i Greci, gli Egizi, i Fenici, i Tirreni, i Romani e tutti quanti coloro dei
quali siamo gli epigoni.
Quello che si è chiamato e, tuttora, viene detto “mare nostrum”, non è nostro. E’ suo!.
Dunque, più semplicemente, diciamo una regola che accoglie quello che la natura ha stabilito: tutti
possono vivere di fronte al mare e anche pescare, commerciare e navigare, in libertà.
C’è un fatto curioso: in tutte le lingue che si parlano e si scrivono nel mondo la parola “Terra”
definisce il nostro pianeta nella sua interezza e, allo stesso tempo, la medesima parola definisce la
terraferma e il suolo.
Eppure, si tratta di un errore assoluto, perché la stragrande maggioranza della superficie del globo
è occupata dall’acqua del mare e i Continenti e le isole abitate dagli esseri umani, dagli animali e
dalle piante che respirano aria, sono solo terre che il mare ha lasciato emergere.
Il mare è il luogo nel quale la vita ha avuto origine e, pur essendo segnato anch’esso, come il suolo
e l’aria, dall’impronta degli usi e dei costumi umani, conserva molte delle sue caratteristiche
ancestrali.
Negli ultimi duecento anni, la popolazione del pianeta si è popolata per cinque e l’antropizzazione
ha preso il sopravvento sulla maggior parte dei territori selvaggi.
Foreste, deserti, pianure e, perfino la tundra hanno ceduto il passo a città e metropoli, a fattorie e
fabbriche.
Navi più grandi di certi borghi marinari rimbalzano tra i Continenti percorrendo ogni rotta.
Eppure, l’immensa distesa del mare rimane la più incredibile delle regioni selvagge. In buona
parte, ancora indomita e intatta.
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Da quando ebbe inizio la sua avventura, su questo pianeta, il rapporto dell’essere umano con il
mare è sempre stato un rapporto complesso: groviglio di immaginazione, di sentimenti, di
esperienze e significati.
Il mare è  (la vita) e  (la morte): lo è per noi che viviamo la società industriale, che
tende a dargli un prezzo in rapporto alle sue risorse. Lo è per le popolazioni tradizionalmente
arcaiche, che lo considerano una divinità creatrice.
Lo è per il filosofo e il poeta che tentano di svelare il segreto del legame intimo, spirituale e
culturale fra l’umanità e il mondo liquido che la circonda.
Quelli che hanno inventato strumenti che consentono di respirare sott’acqua, hanno permesso
l’esplorazione delle profondità marine, oltre il confine misterico della superficie.
E’ un’epopea che si svolge dentro lo spazio interiore del pianeta: un’epopea che ha lo stesso
fascino dell’esplorazione del Cosmo che, come il mare, non è una frontiera.
Il mare vuole essere conosciuto!
Nel terzo giorno della creazione, il pensiero che pensava se stesso disse la sua potenza e,così,
svelò la sua consistenza: il vale a dire la parola.
E la parola disse: “tutte le acque che sono sotto il cielo si radunino in un solo luogo e appaia
l’asciutto”.
E così fu.
La parola chiamò l’asciutto “Terra” e la raccolta delle acque chiamò “Mari”.
E la parola scrisse la prima visione reale del nostro Pianeta: le terre emerse da una parte e i mari
dall’altra.
Sette decimi del pianeta sono coperti dalla acque e, per ogni metro quadrato di suolo che
camminiamo, ce ne sono tre sui quali possiamo nuotare, immergerci e navigare.
L’elemento liquido domina la nostra vita e quella di tutte le forme animali. Per quanto si voglia,
questo elemento non è spaccato dalle cosiddette ed escludenti “acque territoriali”.
Le immagini che i satelliti e le missioni spaziali hanno inviato ed inviano ci colmano di stupore:
sotto le nuvole vediamo immensi specchi. Ora azzurri, ora blu intensi, ora dorati e, dovunque,
invadono il globo, collegano le persone e i Continenti e circondano le isole.
I colori cangianti per le diverse profondità e il diverso grado di rifrazione delle acque esaltano
l’incantevole policromia dei mari: più chiaro il Mediterraneo, più scuro l’Oceano Atlantico, più
verde il Pacifico, continuamente insinuato fra isole ed atolli.
Sono nere le forre abissali a oriente dell’Asia che si precipitano in voragini indicibili fra i Giappone
e le Filippine.
Poi le luci: fredde quelle riflesse dai Poli, calde quelle riverberate dai mari più chiusi.
E le nuvole, addensate sulle latitudini in cui le masse d’aria si scontrano, danno vita a una rutilante
parata sulla superficie del mare fino a creare cicloni minacciosi, concentrati nella fascia tropicale.
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Sono i segni più evidenti del respiro, vita del pianeta: un grande caleidoscopio, in perenne
trasformazione, dove tutto scorre.
E il mare crea, il mare distrugge, il mare trasforma, il mare divora, con inesausta, potente pazienza.
Nei millenni, infaticabile scultore delle terre emerse, le modella secondo il suo capriccio: martella,
scava, sgretola, sbriciola, sminuzza fino a intagliare i fiordi, a creare promontori e penisole, fino a
ridurre in sabbia sfuggente la roccia, a dentellare scogliere, a stendere manti di ghiaia e di rena
sulle coste che preferisce.
Poi, stravagante decoratore, arreda i litorali. Invia collezioni di oggetti fatti dall’uomo e affidati alle
correnti, al vento, alle maree: gli avanzi affondati tornano sulle terre emerse come un eterno
monito a non dimenticare l’immane forza del mare.
Quando, un tempo, gli uomini rispettavano i segreti ed i misteri del mare, lui mandava a riva le più
strane creature: le sirene a rapire i marinai più belli, la balena a diventare la casa di Giona, il
mostro ad allucinare Andromeda.
A volte, divinità vivente, si infuriava contro la città degli uomini e la loro superbia quando si
avvicinavano troppo ad onde di tregenda.
E allora spazzava via le città senza lasciarne traccia sulla sua costa che voleva incontaminata e pura
come le acque salmastre.
Così, anno dopo anno, secolo dopo secolo, il mare consuma e restituisce la terra, memore del suo
primordiale e attuale, assoluto dominio sul mondo.
Ma capita che il mare offra, tante volte, sé stesso a chi lo guarda: a chi si lascia rapire dalla sua
estrema bellezza.
Il verde, l’azzurro, l’oro, l’arancione scintillano sulle sue acque che brillano di fuochi ultramondani.
Il silenzio incornicia visioni magiche e dà agli uomini l’idea di essere sordi, i sensi rapiti da scenari
meravigliosi.
Questi uomini, nell’infinita distesa d’acqua, riconoscono l’utero materno del mondo e accolgono
mirabilie e miraggi accanto alla deludente banalità del reale deprivato di estro divino.
Questi uomini agognano le isole propizie alla fantasia, che consentono di sentire il Cosmo
palpitante e proteggono dal disincanto.
Sono le Isole Fortunate, stillanti la felicità eterna, l’immutabile giovinezza, i profumi, la musica, lo
splendore assoluto. E il mito che le ancora a immensi pilastri di bronzo fissati sul fondo più fondo
del mare.
Isole dentro la linea del tramonto del sole che, però, oltrepassano insieme a coloro che ospitano, il
limite dell’orizzonte.
Ci sono stati e ci sono uomini che aspettano l’approdo di velieri e aspettano anche la visita di
Poseidone greco e della Fenicia Astarte. Oppure, li vanno a cercare quando vengono afferrati dal
desiderio di navigare. Hanno in mente Odisseo, i Vichinghi, i Pirati. Sfuggono la prosa dei vacanzieri
che scendono da charter insipienti della loro insipienza che ha generato assurdi aeroporti. Li
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sfollano dentro orrende discoteche, istupidite di rumori, vuote di musica, di senso, di piacere e di
poesia.
Gli uomini che battono le rotte del Mediterraneo, via dalla pazza folla, quando incrociano Capri
stanno nel sole che inonda le nuvole e trascolora il mare di nuovi riflessi. Incupisce il viola, arriva il
blu profondo e alla luna rossa si congiunge Afrodite.
Chi, a vela, accosta Santorini, vede le prime luci del nuovo giorno.
Una striscia d’oro si stende sul mare, inonda di riflessi i muri delle case. Il vento sibila, tra le viuzze
strette, con refoli di sale e appiccica sulla pelle una tiepida umidità.
Le ante di usci e di finestre sbattono e sembrano seguire il ritmo delle onde che schiumano tra la
battigia e il bagnasciuga. Qualche barca è rovesciata in spiaggia.
Un tempo, le barche erano dipinte di rosso, di blu e di bianco.
Adesso aspettano di essere calafatate e, poi, ritinteggiate, ma spesso nessuno lo fa.
Piccoli battelli e gozzi panciuti si riconoscono in lontananza, mentre trascinano ansimanti le reti
tormentate dal nugoli di gabbiani affamati.
Qui siamo nel Mediterraneo, ma potremmo essere in qualsiasi borgo scandinavo, chiuso in un
fiordo profondo, o in un porto da dove salpano decine di barche a rincorrere i banchi di tonni e i
merluzzi.
Il mare accomuna e non divide le innumerevoli vicende degli esseri umani che, pure quando
vivono sulla terraferma, non riescono a distogliere lo sguardo dalle onde.
Questo capita sotto ogni latitudine.
Sferzati dall’aria impetuosa, gelida e carica di pioggia degli Oceani o accarezzati dal tepore di dolci
flutti, questi uomini e queste donne sembrano avere fatto un giuramento a sé stessi e al mare:
ricostruire, giorno dopo giorno, il nesso che gli eventi della vita sfilacciano.
Perciò, estirpano le erbacce dai sottotetti, intonacano le pareti delle case, grattano dalle finestre il
sale che la notte ha incrostato e suturano le ferite che il mare lascia sul fasciame delle barche.
Questa è la vita di ogni borgo sull’acqua: impregnata di essenze, le case tinte di pastello mentre
l’acqua salata si insinua nelle vene della gente.
Questa gente ha il cuore grande e quando può affronta i nuovi barbari che abbandonano chi
imbarcano, depredati di ogni avere, in balia di un destino costruito dalla parte peggiore
dell’umanità.
La gente del mare, invece, accoglie tutti.
Perciò, tante volte, il mondo è davvero una cosa sola.
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Autori e testi di riferimento:
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La Bibbia
Il Mare, Autori Vari, White Star, Vercelli
Empedocle, Della Natura
Pindaro, Epinici
J. Lennon, Imagine
Piero Spadaccini, Dialoghi sull’Europa, Ediesse Roma
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