DOCUMENTAZIONE PROGETTUALE
Il concetto di Europa
Più volte nella storia filosofi, politici e intellettuali avevano accarezzato l'idea
di un'unica nazione europea. Ma le diversità culturali tra i popoli, le rivalità tra
i sovrani e i nazionalismi impedirono sempre la realizzazione pratica di
questo sogno.
Ancora durante la seconda guerra mondiale, nel 1941, Altiero Spinelli ed
Ernesto Rossi, due antifascisti italiani confinati nell'isola di Ventotene,
scrissero il documento "Per un'Europa libera e unita", noto come manifesto di
Ventotene. Essi furono anche i fondatori del Movimento Federalista Europeo,
il quale sosteneva che in una federazione ogni stato avrebbe avuto leggi e
governi propri, ma sottoposti a un governo centrale soprannazionale.
La prima tappa
Dopo la della seconda guerra mondiale si cominciò a capire che l'Europa non
avrebbe potuto più sopportare altre tragedie simili, per cui occorreva
cominciare
a
lavorare
all'idea
di
unità
europea.
Dato che le ipotesi di unificazione politica sembravano difficili da realizzare, la
via della collaborazione economica sembrava più realistica e immediata.
Si impegnarono per la realizazione di questo obiettivo alcuni uomini politici
democristiani: l'italiano Alcide De Gasperi, il francese Robert Schuman, il
tedesco
Konrad
AdenauerAlcuni.
Nel 1951, a Parigi, fu realizzata la CECA (Comunità Europea del Carbone e
dell'Acciaio) con il compito di produrre e distribuire il carbone e l'acciaio e
fissarne il prezzo. Facevano parte della CECA Belgio, Paesi Bassi,
Lussemburgo, Francia, Italia e Repubblica Federale Tedesca.
Dal MEC all’Unione Europea
Visti i risultati molto positivi della CECA i paesi europei decisero di proseguire
la collaborazione economica abolendo le barriere doganali in modo da
formare un grande mercato. Nacque così nel 1957 il Mercato Comune
Europeo (MEC), fondato con il Trattato di Roma, al quale aderirono sei
Paesi: Francia, Germania Federale, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Italia.
Il Mercato Comune Europeo si rivelò un’iniziativa felice e di grande successo:
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si cominciò a parlare non più di un semplice mercato comune ma di una
Comunità Economica Europea (CEE).
Nel 1973 si aggiunsero Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca; nel 1981 la
Grecia e nel 1986 la Spagna e il Portogallo per un totale di dodici Stati. Gli
scopi che si prefiggeva la Comunità Europea erano la libera circolazione di
tutte le merci europee all’interno dei Paesi membri; la progressiva
diminuzione dei dazi doganali, fino alla loro abolizione; l’attuazione di una
tariffa comune da adottare nei confronti degli Stati non aderenti alla CEE.
La CEE ha aiutato e regolato l'agricoltura europea, in pochi anni è diventata
una potenza economica alla pari di USA e Giappone, ha stretto rapporti
commerciali con quasi tutti i paesi del mondo.
Le diverse forze politiche europee vedono in modi differenti il futuro
dell'Europa, ma ormai tutti sono consapevoli dei vantaggi ottenuti con i
progressi avuti finora. Un notevole passo in avanti verso l'unità politica è stato
fatto nel 1979 con l’elezione del Parlamento europeo. Una tappa decisiva
fu poi la firma dell’Atto Unico europeo (1986) che portò alla creazione del
Mercato unico europeo.
Grazie a questo accordo dal primo gennaio 1993 la circolazione di merci,
persone e capitali è libera all'interno della Comunità. All'interno dei suoi
confini ogni cittadino può scegliere liberamente dove vivere e lavorare o
studiare; i titoli scolastici e professionali sono validi e riconosciuti. Inoltre i
Paesi associati si impegnano a uniformare le condizioni di lavoro e le misure
per la tutela e la sicurezza dei lavoratori.
Nel Parlamento europeo i maggiori risultati raggiunti negli anni sono stati il
rafforzamento della collaborazione nella ricerca scientifica e tecnologica, il
coordinamento in politica estera con vari interventi umanitari in difesa della
pace e dei diritti umani, l’elaborazione di norme comuni sulla tutela
dell’ambiente.
Maastricht
Maastricht, una piccola e sconosciuta cittadina olandese è entrata nella storia
perché il 7 febbraio 1992 è stata sede della firma del trattato che trasforma la
Comunità Economica Europea in Unione Europea (UE) e avvia gli stati
aderenti verso l'integrazione politica. Si tratta del punto di arrivo del lungo
cammino iniziato negli anni precedenti. Attualmente l’Unione Europea
comprende quindici Paesi, perché nel 1995 sono entrate a farne parte
anche l’Austria, la Svezia e la Finlandia.
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Novità introdotte dal trattato di Maastricht:
introduzione di una moneta unica europea, l’euro, che sostituisce
completamente le monete dei singoli Paesi a partire dal 2002;
interventi comuni in campo educativo, culturale, sanitario, industriale e
sociale;
la realizzazione in tappe successive di una vera e propria unione economica
tra i Paesi associati;
la cittadinanza europea a tutti i cittadini, con precisi diritti e uguali libertà;
la cooperazione nel campo della giustizia e della politica interna;
l’ampliamento dei poteri del Parlamento.
Per adottare una moneta unica era però necessario che tra i Paesi interessati
non vi fossero grosse disparità economiche. Per questo motivo il trattato
stabiliva che potevano entrare a far parte dell’Unione monetaria solo i Paesi
che avessero dimostrato di saper risanare il loro bilancio, cioè ripianare i
propri debiti secondo i parametri fissati dai capi di governo e dalle banche
nazionali europee. L’Italia, che all’inizio degli anni Novanta aveva un forte
debito pubblico, ha dovuto affrontare grossi sacrifici per rispettare queste
regole (i “parametri di Maastricht”) e gli italiani pagare tasse elevate per far
affluire denaro nelle casse dello Stato.
L’Italia è riuscita a entrare nell’Unione monetaria sin dall’inizio, il 2 maggio
1998, insieme a Germania, Francia, Irlanda, Olanda, Belgio, Lussemburgo,
Austria, Finlandia, Spagna, Portogallo. La Grecia non è rientrata nei
parametri e Gran Bretagna, Danimarca e Svezia non hanno aderito.
Verso l'Europa dei popoli
L’Unione Europea ha soprattutto l’obiettivo di far diventare l’Europa una
grande potenza economica mondiale, in grado di competere con Stati Uniti e
Giappone. La moneta unica rappresenta già un notevole passo in avanti in
questo senso: sono facilitati gli scambi commerciali, c’è una maggiore
certezza dei prezzi e sono favoriti gli investimenti.
L’euro ha anche un valore simbolico molto forte, perché rende più semplici gli
spostamenti tra uno Stato e l’altro, facilita i rapporti e aiuta a sentirsi cittadini
dell’Europa. Ma non è sufficiente una moneta unica per realizzare
l’integrazione tra i popoli; l’Europa deve ancora affrontare gravi problemi
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sociali: sacche di povertà, disoccupazione, coesistenza tra zone
economicamente
e
socialmente
arretrate
e
zone
progredite.
L’unione monetaria è solo un primo passo per la soluzione dei problemi
economici e sociali, con l’obiettivo di costruire un'Europa dei popoli.
Il Manifesto di Ventotene e l’unità europea
Altiero Spinelli e Ernesto Rossi nel Manifesto di Ventotene esprimono i
principi che saranno poi alla base del Movimento Federalista Europeo,
costituitosi a Milano nel 1941.
Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro
progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione
dell’Europa in Stati nazionali sovrani. La dura esperienza degli ultimi decenni
ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere, e ha fatto maturare molte
circostanze favorevoli al nostro ideale. [...] Con la propaganda e con l’azione,
cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami fra i singoli movimenti che
nei vari Paesi si vanno certamente formando, occorre sin d’ora gettare le
fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far
nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grandiosa e più
innovatrice sorta da secoli in Europa. Se ci sarà nei principali Paesi europei
un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in
breve nelle loro mani, poiché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla
loro opera. Essi avranno di fronte partiti e tendenze già tutti squalificati dalla
disastrosa esperienza dell’ultimo ventennio. Poiché sarà l’ora di opere nuove,
sarà anche l’ora di uomini nuovi.
Le prime istituzioni europee
La Francia promosse la nascita della Comunità Europea del Carbone e
dell’Acciaio (CECA), che rappresentò una svolta significativa nella storia
dell’Europa. Si trattava della prima istituzione sovrannazionale, che cioè
poteva rivolgersi direttamente ai produttori di carbone e di acciaio senza tener
conto dei singoli governi.
Nata per produrre acciaio a costo ridotto e favorire una ripresa dell’industria
europea, la CECA ottenne un notevole aumento della produzione globale di
acciaio dei Paesi associati. Fallì invece, per lo scetticismo di molti e il rifiuto
esplicito della Francia, il progetto di una Comunità Europea di Difesa (CED),
con un ruolo autonomo rispetto alla NATO.
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La collaborazione europea rimase così legata agli ambiti economico e
scientifico: nel I 957, oltre al MEC (prima denominazione della CEE,
Comunità Economica Europea), nasceva l’Euratom (Comunità Europea
dell’Energia Atomica). Gli Stati membri si impegnavano a effettuare ricerche
tecniche e scientifiche sull’uso pacifico dell’energia atomica e a scambiarsi le
informazioni. Altri passi avanti verso l’unità si ebbero nel 1968 con l’unione
doganale e il mercato agricolo comune, e nel 1979 con l’entrata in vigore
del Sistema Monetario Europeo (SME), per garantire la stabilità e
l’equilibrio dei rapporti di cambio tra le monete europee. Furono tutte tappe di
avvicinamento all’Atto Unico del 1986 e al Trattato sull’Unione Europea di
Maastricht.
Gli organismi dell’Unione Europea
Gli organi di govemo più importanti dell’Unione Europea sono il Parlamento,
il Consiglio dei Ministri, il Consiglio Europeo, la Commissione europea
e la Corte di Giustizia.
Il Parlamento ha sede a Strasburgo, in Francia, ed è costituito da 626
deputati eletti direttamente dai cittadini europei ogni cinque anni; svolge una
funzione di controllo sulla politica europea ed esprime pareri sulle proposte di
legge, la cui approvazione però compete al Consiglio. I deputati sono
raggruppati per affinità politiche e non per nazionalità. Il Parlamento ha
sempre avuto poteri abbastanza limitati, ma il Trattato di Maastricht li ha
aumentati, per cui ha assunto un potere decisionale in alcune materie
(trasporti, istruzione, sanità ecc.).
Il Consiglio dei Ministri, con sede a Bruxelles, in Belgio, è composto da
quindici ministri, uno per ogni Stato dell’Unione; coordina le politiche
economiche generali degli Stati dell’Unione e può prendere decisioni
esecutive. I rappresentanti dei singoli Paesi cambiano in base agli argomenti
trattati (agricoltura, ecologia, commercio ecc.). La presidenza è a rotazione
tra i vari Stati e dura sei mesi.
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Gli stati europei nel settecento
L' equilibrio delle grandi potenze europee
All'inizio del Settecento l'Europa era dominata da alcune grandi potenze che
cercarono di mantenere un equilibrio politico e militare per impedire che una
di loro diventasse così potente da sopraffare le altre.
Innanzitutto c'era la Francia che durante il lungo regno di Luigi XIV era
diventata la maggiore potenza politica e militare dell'Europa e il principale
modello di assolutismo monarchico. La Francia dettava legge all'aristocrazia
europea nel campo della moda e del costume e con l'avvento dell'Illuminismo
sarebbe diventata il centro della cultura europea.
Se la Francia rappresentava l'esempio più riuscito dell'assolutismo
monarchico, l'Inghilterra era diventata il modello di monarchia costituzionale.
La vita politica inglese era dominata dalla presenza di due partiti, i tories
(conservatori), sostenitori della corona e della Chiesa anglicana, e i whigs
(liberali), favorevoli a mantenere un certo equilibrio tra il potere del sovrano e
quello del Parlamento e difensori delle libertà politiche. Sia i tories che i whigs
erano l'espressione delle classi più ricche (aristocratici terrieri, mercanti e
industriali) che controllavano l'elezione dei membri del Parlamento. Le altre
grandi potenze europee del Settecento erano l'Austria degli Asburgo, che
aveva assunto un ruolo di predominio all'interno dell'Impero germanico, e la
Spagna, che controllava un vasto impero, anche se la sua influenza politica
ed economica era in netto declino; nella parte orientale del continente
stavano poi emergendo la Prussia e la Russia.
Lo stato caserma di Federico II
Sin dal Medioevo la parte nord-orientale dell'Impero germanico era costituita
dal Marchesato di Brandeburgo e dal Ducato di Prussia, appartenenti
all'ordine dei Cavalieri teutonici.
All'inizio del Settecento l'elettore dell'Impero Federico di Brandeburgo aveva
proclamato il Regno di Prussia e aveva avviato un'opera di modernizzazione
del regno. Questa fu poi proseguita dai successori Federico Guglielmo I e
Federico II, che trasformarono la Prussia in uno stato potente, fondato su due
pilastri fondamentali: un'efficiente amministrazione, composta da fedeli
burocrati capaci di raccogliere tasse da tutte le attività, e un esercito
moderno.
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Federico II formò un esercito ammirato in tutta l'Europa attraverso la riforma
del sistema di reclutamento e la formazione di una casta di ufficiali.
Tutto il regno era stato diviso in Cantoni, per ognuno dei quali era stabilito il
numero dei soldati che dovevano essere arruolati tra le masse dei contadini.
Ma l'elemento di forza e coesione era costituito soprattutto dagli ufficiali,
provenienti dalla nobiltà agraria. Gli ufficiali prussiani erano educati in modo
da sviluppare un forte spirito di casta, di lealtà e di onore verso la corona e lo
stato, e un senso di superiorità nei confronti di tutte le autorità civili. L'esercito
era tenuto costantemente in esercitazione: "Le esercitazioni trasformarono gli
uomini in macchine servendosi a questo scopo anche del passo di parata; il
fuoco rigidamente uniforme di tre linee successive conferì alla fanteria
prussiana un'aura di insuperabilità determinata dal fatto che, a parità di
tempo, essa poteva sparare quasi tre volte più della fanteria nemica" (V.
Valentin).
Grazie alla sua potenza militare la Prussia nel corso del secolo allargò i
confini alla Slesia, alla Prussia occidentale, alla Posnania e a parte della
Polonia.
La Santa Russia di Pietro il Grande
Nel corso del XVII secolo gli zar di Russia avevano avviato la colonizzazione
delle vastissime regioni siberiane, per opera soprattutto dei cosacchi,
contadini sfuggiti alla servitù della gleba che avevano fondato nella Siberia
libere comunità militari.
Agli inizi del Settecento gli zar controllavano un impero che si estendeva
dall'Europa allo stretto di Bering.
In questo periodo la Russia si affacciò sulla scena politica europea durante il
regno di Pietro I il Grande (1689-1725) il quale, dopo un viaggio nell'Europa
occidentale, promosse una decisa opera di modernizzazione della vita
pubblica e privata.
L'esercito fu riorganizzato secondo i modelli occidentali e fu intensificata la
produzione di armi da fuoco. Il sistema fiscale, fino ad allora affidato alla
nobiltà, fu riorganizzato con l'imposizione di un'imposta personale basata sul
censimento generale della popolazione russa. Per stimolare le attività
produttive lo zar fece costruire una flotta e diede vita a industrie protette dallo
stato, mentre in campo politico ridusse il potere della nobiltà e della Chiesa
accentrando i poteri in modo assolutistico.
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L' apertura della Russia all'Occidente
Pietro il Grande realizzò anche una modernizzazione delle tradizioni culturali
e religiose del popolo russo: garantì una certa libertà religiosa a protestanti e
cattolici, finanziò scuole laiche di tipo tecnico e fece tradurre libri occidentali;
inoltre introdusse in Russia l'arte e l'architettura occidentali e impose ai nobili
abiti di foggia europea e il taglio della barba. Ma tutte queste riforme, spesso
imposte al popolo in modo autoritario, suscitarono l'opposizione della nobiltà
e del clero ortodosso, che non esitò a bollare lo zar come l'"anticristo".
Il malcontento era diffuso anche tra i contadini russi, molto legati alle
tradizioni, per i quali le riforme dello zar avevano comportato un inasprimento
fiscale.
Le nuove conquiste di Pietro il Grande
In politica estera il risultato più importante di Pietro I fu la conquista, dopo una
lunga guerra contro la Svezia, di alcuni territori affacciati sul Mar Baltico, che
permisero alla Russia di aprire una "finestra" sull'Europa. Le conquiste
baltiche furono coronate dalla fondazione di una nuova capitale, San
Pietroburgo, alla foce del fiume Neva.
Le guerre mondiali del 700
Durante il XVIII secolo si susseguirono in Europa alcuni conflitti militari che
tuttavia non alterarono l'equilibrio delle grandi potenze creatosi nei primi
decenni del secolo. Questi conflitti sono stati considerati dagli storici le prime
"guerre mondiali" perché coinvolsero molti stati europei ed ebbero come
teatro delle vicende militari anche le colonie extra europee, dove erano molto
forti gli attriti e le rivalità commerciali tra le maggiori potenze.
Nella prima metà del Settecento si ebbero tre guerre di successione
provocate dalle pretese avanzate da diversi sovrani europei su alcuni
troni vacanti: la guerra di successione spagnola (1701-1713), che
terminò con un indebolimento della Spagna a favore dell'Austria; la
guerra di successione polacca (1733-1738) e la guerra di successione
austriaca (1740-1748) che confermò la corona imperiale agli Asburgo, i
quali però persero la Slesia occupata dalla Prussia.
Il carattere mondiale dei conflitti divenne più evidente con la guerra dei
Sette anni (1756-1763), che fu combattuta anche nelle colonie
d'America, Asia e Africa tra Inghilterra e Francia.
In Europa la guerra fu provocata soprattutto dalle rivalità territoriali tra
l'Austria, alleata della Francia, e la Prussia, alleata dell'Inghilterra.
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La fine della guerra non produsse cambiamenti territoriali in Europa, mentre
in America i Francesi perdettero i loro territori del Canada, della Louisiana e
della Florida a vantaggio dell'Inghilterra e della Spagna.
L'assolutismo illuminato
Nella seconda metà del Settecento la diffusione delle idee politiche ed
economiche degli illuministi influenzò anche alcuni sovrani europei, come
Federico Il di Prussia, Caterina Il, zarina di Russia, Maria Teresa d'Austria,
l'imperatore Giuseppe Il.
Infatti questi sovrani illuminati durante i loro regni attuarono alcune riforme,
cioè promulgarono delle leggi che avevano lo scopo di sviluppare l'economia
dei loro regni e di migliorare le condizioni di vita dei sudditi.
In campo economico questi sovrani utilizzarono le finanze dello stato per
realizzare opere di pubblica utilità e di modernizzazione (costruzione di
strade, bonifiche e dissodamenti di terre); inoltre cercarono di liberalizzare gli
scambi commerciali e di ridurre, laddove permanevano, i vincoli feudali delle
campagne.
In campo politico approvarono delle leggi che concedevano una moderata
libertà di stampa e di religione e che rendevano più umane le carceri.
AUSTRIA FELIX
Le più ampie realizzazioni dell'assolutismo illuminato si ebbero nell'Impero,
durante i regni di Maria Teresa (17401780) e di suo figlio Giuseppe Il (17801790).
Agli inizi del Settecento gli Asburgo controllavano un impero molto vasto, che
si estendeva nell'Europa centroorientale, dal Tirolo alla Transilvania; nel
corso del Settecento poi si aggiunsero nuove acquisizioni come il Ducato di
Milano, la Galizia e la Serbia.
Il potere della casa Asburgo era accresciuto dal fatto che sia Maria Teresa
sia Giuseppe lI furono nominati imperatori del Sacro Romano Impero.
Tuttavia l'Impero asburgico nel XVIII secolo si presentava indebolito dalla
grande diversità dei popoli sottomessi alla corona d'Austria e dal potere che
l'aristocrazia nobiliare conservava nelle campagne; a questa crisi politica si
accompagnavano una situazione finanziaria molto grave e una debolezza
militare della quale cercava di approfittare il potente Regno di Prussia.
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Per fare uscire l'Impero dalla sua condizione di crisi e per trasformare
l'Austria in una vera potenza europea, la regina Maria Teresa e suo figlio
Giuseppe attuarono innanzitutto un deciso accentramento dei poteri politici e
finanziari in alcuni organismi controllati dalla corona; quindi crearono un
esercito efficiente e ben equipaggiato, sul modello di quello prussiano.
Per risollevare le finanze pubbliche furono redatti catasti delle proprietà
terriere e sulla base di questi documenti fu imposta ai nobili una tassa
fondiaria proporzionale ai redditi.
Con le loro riforme i sovrani asburgici vollero anche migliorare le condizioni di
vita della popolazione; infatti nelle campagne furono abolite numerose
corvees che ancora gravavano sui contadini.
Inoltre all'interno dell'Impero fu riconosciuta un' ampia libertà religiosa e fu
abolita la censura; furono approvati dei codici penali molto avanzati per
l'epoca e fu potenziata l'istruzione pubblica con l'istituzione di scuole
elementari gratuite e obbligatorie.
Il rafforzamento del potere reale
Tutte queste riforme non intaccarono, anzi per certi aspetti rafforzarono, il
potere dei sovrani; da ciò il nome di assolutismo illuminato dato ai loro
governi. Infatti, per disporre delle finanze necessarie alle riforme, resero più
efficiente il fisco nei confronti di tutte le classi sociali e attuarono un
accentramento amministrativo e giudiziario, sottraendo privilegi alla nobiltà.
I sovrani illuminati non esitarono a limitare il potere della Chiesa, con la
confisca di una parte dei beni ecclesiastici, la riduzione dei membri del clero,
la creazione di scuole e ospedali laici. La decisione più clamorosa di questa
politica tesa a limitare il potere della Chiesa fu lo scioglimento dell'ordine dei
gesuiti o il loro allontanamento da alcuni stati.
Cambiamenti dinastici e territoriali in Italia
Le guerre che nel Settecento si succedettero in Europa produssero importanti
cambiamenti territoriali e dinastici in Italia, tornata a essere una terra contesa
dalle grandi potenze europee; in particolare con il Settecento ebbe termine
l'influenza spagnola sulla penisola e iniziò il predominio dell' Austria
asburgica.
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Infatti l'Impero austriaco allargò i suoi domini al Ducato di Milano e, per un
certo periodo, al Regno di Napoli e Sicilia, che dopo la guerra di successione
austriaca passò ai Borboni.
Altre importanti modifiche territoriali furono l'allargamento del dominio dei
Savoia fino al Ticino e alla Sardegna, mentre il Granducato di Toscana, con
la fine dei Medici, passò alla nuova dinastia dei Lorena.
Le riforme in Italia
Anche in Italia le idee degli illuministi influenzarono la politica di alcuni
principi, spingendoli a realizzare riforme economiche e sociali e a limitare il
potere della Chiesa e della nobiltà.
Nel Piemonte sabaudo il re Vittorio Arnedeo II fece approvare alcune leggi
che riducevano il numero dei titoli feudali e dei privilegi fiscali della nobiltà.
In Lombardia durante il regno di Maria Teresa d'Austria fu realizzato il
cosiddetto "catasto teresiano", un vero e proprio modello per i catasti
moderni: "La tassazione venne ancorata al valore delle terre, le proprietà
furono misurate con criteri oggettivi, le discrirninazioni fiscali furono annullate.
Il catasto teresiano divenne l'ossatura principale della politica asburgica e
favorì lo sviluppo economico della regione" (D. Carpanetto).
In Toscana i più fecondi risultati della politica riformatrice dei Lorena furono
l'inizio della bonifica della Maremma e l'introduzione di nuove colture e nuove
tecniche agricole. Anche nello Stato pontificio e nel Regno di Napoli, le due
regioni più arretrate d'Italia, furono attuate alcune riforme economiche, come
il catasto delle proprietà bolognesi.
La popolazione e la cultura
La rivoluziono demografica del settecento
Nel Settecento, in particolare nella seconda metà del secolo, si verificò in
Europa una forte crescita demografica; infatti in cento anni la popolazione
europea crebbe di circa 70 milioni di individui, un aumento superiore a quello
verificatosi nei tre secoli precedenti.
Con la rivoluzione demografica del Settecento, che può essere paragonata a
quella prodotta dalla scoperta dell'agricoltura nell'età neolitica, ebbe inizio un
processo irreversibile di crescita della popolazione, tipico dell' età
contemporanea.
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Innanzi tutto si registro un progressivo declino della mortalità. Per secoli la
popolazione europea era cresciuta lentamente, perché a un alto tasso di
natalità corrispondeva un quasi altrettanto elevato tasso di mortalità. Invece
nel corso del XVIII secolo si verificò un calo progressivo della mortalità,
soprattutto quella infantile, per diversi motivi favorevoli.
Innanzitutto i progressi dell'agricoltura (di cui parleremo tra poco)
produssero un miglioramento dell'alimentazione.
Un altro fattore che favorì la diminuzione della mortalità europea fu la
scomparsa della peste dal nostro continente, per motivi ancora poco
conosciuti. L'ultima terribile epidemia si abbattè sulla Francia meridionale, in
particolare a Marsiglia, nel 1720-1 721. Altre malattie, come il vaiolo,
diventarono meno pericolose grazie all'introduzione di rimedi più efficaci .
Armi più efficaci contro le epidemie
Nel Settecento la lotta contro le epidemie divenne più efficace attraverso I'
applicazione di più rigorosi provvedimenti per isolare le zone colpite. Inoltre
durante il Settecento si giunse alla scoperta di un mezzo molto efficace per
prevenire le malattie infettive, la vaccinazione.
Ciò a partire dal 1720 in Inghilterra alcuni medici, per combattere le epidemie
di vaiolo, avevano sperimentato un sistema giunto da Costantinopoli, dove lo
si praticava da tempo: pungersi con un ago infettato nel pus del vaiolo. In
questo modo la persona contraeva la malattia, ma in forma benigna, e dopo
un breve periodo acquisiva un'immunità definitiva nei confronti del vaiolo.
Il sistema fu perfezionato dal medica inglese Edward Jenner, il quale aveva
notato che alcune donne di campagna, che avevano contratto il vaiolo bovino
(0 "vaccino"), risultavano immuni dal vaiolo umano.
Nel 1796 Jenner iniettò per la prima volta il vaccino, cioè il vaiolo ricavato da
una mucca infetta, a un bambino: era nata la vaccinazione, uno strumento di
difesa fondamentale nei confronti delle malattie infettive.
La nuova agricoltura europea
La crescita demografica del XVIII secolo fu non solo l'effetto ma anche la
causa della rivoluzione agricola, verificatasi soprattutto in Inghilterra, nei
Paesi Bassi e in Francia.
Infatti la crescente richiesta di cibo da parte della popolazione faceva salire i
prezzi dei prodotti alimentari e spingeva i contadini ad aumentare la
produzione agricola attraverso l'espansione dei terreni coltivati e
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l'introduzione di nuove tecniche. L'ampliamento delle zone coltivate fu
realizzato bonificando pianure paludose e abbattendo boschi di collina e di
montagna per far posto alle coltivazioni e ai pascoli artificiali.
Ancora più importante per la crescita della produzione agricola fu il passaggio
dalla rotazione triennale alIa rotazione permanente, cioè l'eliminazione del
maggese improduttivo e la sua sostituzione con piante foraggere (trifoglio,
erba medica), adatte all'alimentazione degli animali allevati. Queste piante,
oltre ad arricchire il terreno di sostanze utili alIa coltivazione dei cereali,
permisero di sviluppare l'allevamento e di dare vita a una moderna
agricoltura, nella quale le coltivazioni e l'allevamento erano tra loro
strettamente integrati. All'interno di queste moderne aziende furono introdotte
nuove piante alimentari, come il mais, la patata, la rapa e la barbabietola da
zucchero.
La produzione agricola aumentò anche per l'impiego di nuovi e più
perfezionati attrezzi da lavoro, quali l'aratro di ferro adatto per arature
profonde, la falce lunga più efficace del falcetto, i nuovi tipi di seminatrici ed
erpici.
La formazione di grandi aziende agricole
L'incremento della produzione agricola nelIe regioni atlantiche del continente
fu realizzato anche grazie alIa formazione di aziende di grandi dimensioni e
all'eliminazione delle terre comuni (boschi, pascoli).
In Inghilterra alcuni proprietari più ricchi attraverso le cosiddette recinzioni
(enclosures) raggrupparono diversi campi e parti delle terre comuni in modo
da formare aziende agricole abbastanza vaste e produttive. Ma in questo
modo molti contadini rimasti senza terra furono costretti a emigrare nelle città,
dove spesso diventarono operai delle nascenti fabbriche.
Lo sviluppo del commercio internazionale
Nel Settecento si verificò un forte sviluppo dei commerci tra gli stati europei,
ma soprattutto si intensificarono gli scambi commerciali tra i diversi continenti
del mondo, in particolare con quelle regioni dell'America, dell'Africa e
dell'Asia colonizzate dalle potenze europee. Nel 1780 le potenze europee
controllavano circa i tre quarti di tutto il commercio internazionale. Il centro di
questa rete di scambi mondiali era costituito dall'Inghilterra, che allora
disponeva della flotta più potente del mondo, seguita dalla Francia.
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La ripresa economica dell'ltalia
Durante il Settecento anche in Italia si verifico una ripresa economica,
favorita dalla crisi dell'egemonia spagnola sulla penisola e dall'influenza
positiva dell'Austria, che controllava l'Italia settentrionale. Dopo più di un
secolo di crisi dei commerci mediterranei, l'Italia era diventata un paese
prevalentemente agricolo.
Nel Settecento si ebbe un aumento della produzione agricola in seguito alla
crescita della popolazione, ma anche per !'incremento delle esportazioni
verso i paesi più ricchi d'Europa, di alcuni prodotti italiani, come vino, olio e
soprattutto seta greggia lavorata in Piemonte, Lombardia e Calabria.
L'aumento della produzione agricola fu favorito dalla bonifica di territori
paludosi in alcune regioni italiane, come la Toscana, ma anche dalla
distruzione di boschi collinari e montani e dalla riduzione di terre comuni e
pascoli collettivi, che aggravarono l'instabilità idrogeologica del nostro
territorio e le condizioni di vita delle masse contadine.
Porti franchi e nuove strade
L'intensificazione degli scambi commerciali tra l'Italia e l'Europa fu favorita
dalla costituzione nel corso del Settecento di numerosi porti franchi, cioè
luoghi nei quali le merci non erano soggette al pagamento di tasse doganali,
a Livorno, Trieste, Ancona, Civitavecchia, Messina.
Altrettanto importante per i commerci fu la costruzione, nel1771 da parte delle
autorità austriache, di una carrozzabile che attraverso il passo del Brennero
collegava l'Austria alla pianura padana e attraverso il valico dell'Abetone
giungeva a Firenze.
La scienza si collega alla tecnica
Nel XVIII secolo la nuova scienza sperimentale, nata nel Seicento con la
cosiddetta "rivoluzione scientifica" compì importanti progressi e divenne
sempre più collegata alla tecnica.
Infatti le scoperte scientifiche non rimanevano nel chiuso dei laboratori e degli
studi, ma diventavano il punto di partenza di nuove invenzioni, nuove
applicazioni pratiche nei campi dell'economia (agricoltura e industria), dei
trasporti, della produzione energetica.
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Un ruolo fondamentale nello sviluppo della scienza e della tecnica nel
Settecento fu svolto dalle numerose accademie e società scientifiche, fondate
soprattutto in quei paesi come l'Inghilterra dove era più forte la richiesta di
nuove tecniche da applicare nella produzione.
Ricordiamo, per esempio, che nel corso del Settecento furono effettuate
importanti ricerche e sperimentazioni sull'elettricità a opera di scienziati
come l'americano Benjamin Franklin, inventore del parafulmine, e l'italiano
Alessandro Volta, che nel 1800 costruì la prima pila.
Inoltre nel XVIII secolo furono inventate le prime macchine a vapore che
svolgeranno un ruolo decisivo nella nascita delle industrie moderne e della
ferrovia. Il vapore venne a sostituire le fonti energetiche usate fino ad allora
dagli uomini, cioè la forza umana e animale e la forza motrice dell'acqua e del
vento.
I progressi della chimica
Il settecento fu anche il secolo di nascita della chimica moderna, grazie agli
studi degli scienziati, prima fra tutti il francese Lavoisier. Costui, utilizzando
le scoperte di scienziati inglesi su alcuni gas come l'anidride carbonica,
giunse alla scoperta che nell'aria era presente un gas che egli chiamò
ossigeno.
Dimostrò poi che l'acqua era composta da ossigeno e idrogeno e giunse alla
comprensione di alcuni fenomeni chimici come la combustione.
Le ricerche chimiche sulla composizione dell'aria spinsero due francesi, i
fratelli Montgolfier a costruire un pallone aerostatico, la mongolfiera, il
primo oggetto volante costruito dall'uomo che si sollevò in aria nel 1783.
La rivoluzione industriale: un nuovo modo di produrre
Negli ultimi decenni del Settecento si verificò in Inghilterra la prima
rivoluzione industriale, cioè un radicale cambiamento nel modo di
produrre, che si differenziava totalmente dal modo di produzione delle
botteghe artigiane e delle manifatture", e che diventerà tipico dell'età
contemporanea.
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L'aspetto distintivo della rivoluzione industriale e costituito dal notevole
aumento della produzione di merci, inizialmente soprattutto prodotti tessili,
grazie all'impiego di nuove macchine e di una nuova forza motrice, il
vapore, che sostituì le fonti energetiche usate fino ad allora dagli uomini, cioè
la forza umana e animale e la forza motrice dell'acqua e del vento.
Questo nuovo sistema di produzione è stato chiamato rivoluzione
industriale, perché ha modificato profondamente il lavoro e la vita degli
uomini e più in generale il volto della Terra.
Le conseguenze prodotte dalla rivoluzione industriale possono essere così
sintetizzate:
un aumento considerevole della produzione di beni e di conseguenza
l'allargamento dei consumi ai ceti me no abbienti della popolazione;
la crisi del lavoro artigianale e la nascita di un nuovo modo di produrre
basato sulla divisione del lavoro;
la formazione di nuove classi sociali, gli operai di fabbrica e la borghesia
industriale;
la formazione delle nuove città e la trasformazione degli agricoltori in operai;
la diffusione dei prodotti industriali in mercati sempre pili vasti, anche grazie
allo sviluppo di nuovi mezzi di trasporto come la ferrovia.
Perché la rivoluzione industriale inizia in Inghilterra?
L'Inghilterra nel XVIII secolo era diventata padrona di un vasto impero
commerciale e ciò aveva favorito, da parte della borghesia mercantile,
l'accumulo di capitali, cioè di grosse somme di denaro, che potevano
essere impiegati nelIe nuove attività industriali. Inoltre le colonie
permettevano all'Inghilterra di importare alcune materie prime, come il
cotone, necessarie alIa nascente industria tessile e di esportare i suoi
manufatti industriali.
Anche i grandi progressi dell'agricoltura favorirono l'accumulo di capitali da
parte della borghesia inglese, e stimolarono lo sviluppo di fabbriche che
lavoravano le materie prime agricole (lanifici, distillerie, mulini e di quelle che
producevano nuovi attrezzi da lavoro (cioè le industrie meccaniche). Inoltre,
in seguito alIa recinzione delle terre comuni e alIa formazione di grandi
aziende agricole, si era formata una massa di disoccupati pronti a migrare
nelle città e a lavorare nelle nuove fabbriche.
L'Inghilterra inoltre, nel corso del Settecento, aveva registrato un forte
aumento demografico; ma piu popolazione significava non solo maggiore
disponibilità di manodopera, ma anche maggiore richiesta di beni di
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consumo alle nuove industrie, che basavano il loro sviluppo proprio
sull'aumento delle vendite.
Infine va ricordato che l'Inghilterra era uno dei paesi europei più ricchi di
carbon fossile, cioè della materia prima utilizzata per far funzionare le
macchine a vapore nell'industria tessile e metallurgica
Fabbriche e cittit nell'lnghilterra dell'OUocento
Ecco come 10 scrittore inglese Charles Dickens, autore di molti romanzi tra i
quali ricordiamo David Copperfield e Oliver Twist, descrive una tipica citta
industriale inglese del suo tempo.
"Era una citta fatta di mattoni rossi, 0 meglio di mattoni che sarebbero stati
rossi se il fumo e la cenere 10 avessera permesso... Era una citta di
macchinari e lunghe ciminiere dalle quali strisciavano perennemente
interminabili serpenti di fumo che non si srotolavano mai. Cera un can ale
nero e un fiume che scorreva, arrossato do tinture maleodoranti e c'erano
enormi blocchi di costruzioni piene di finestre in cui si sentiva tutto il giorno un
tintinnio tremolante e in cui il pistone della macchina a vapore andava su e
giù con monotonia.
Dalla produzione secondo il sistema domestico...
In Inghilterra, sin dal XVI secolo, la produzione dei tessuti avveniva in
maniera sempre più diffusa secondo il sistema domestico: nelle campagne
e nei villaggi rurali, molti contadini erano anche artigiani che filavano e
tessevano la lana nei mesi morti dell'anno agricolo, cioè soprattutto nel
periodo invernale: il contadino tesseva con il telaio domestico, mentre sua
moglie filava e i figli cardavano la lana. I prodotti finiti erano poi acquistati da
mercanti, che si recavano regolarmente nei villaggi rurali, e che li
rivendevano nelle città.
Con l'aumento della produzione e con l'ampliamento dei mercati di vendita si
verificò una prima importante trasformazione del sistema domestico: alcuni
mercanti che avevano capitali adeguati compravano una grande quantità di
materia prima (lana o cotone) che poi affidavano per la filatura e la tessitura
a molti artigiani-contadini. Costoro poi riconsegnavano il prodotto finito al
proprietario che li pagava per il.lavoro svolto. In questo sistema l'artigiano
lavorava ancora a domicilio con i suoi attrezzi, ma non era più un artigiano
indipendente perché lavorava alle dipendenze di un mercante manifatturiero.
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... alla produzione in fabbrica
La definitiva trasformazione del sistema domestico si verificò con
l'introduzione delle prime macchine per filare e tessere azionate dal vapore.
Infatti queste erano molto più costose dei tradizionali arcolai e telai, perciò
potevano essere acquistate solo da ricchi mercanti.
Costoro iniziarono a costruire degli edifici appositi, le fabbriche, nelle quali
venivano installate alcune macchine per filare e tessere la lana e il cotone e
nelle quali lavoravano a tempo pieno operai salariati.
Dall'artigiano all'operaio
Nelle nuove fabbriche inglesi lavoravano ex contadini costretti a migrare in
citta a causa delle recinzioni che li avevano privati della terra, oppure ex
artigiani mandati in rovina dalle nuove mac chine che riuscivano a produrre
tessuti di lana in gran quantita e a prezzi ridotti.
Questi operai delle fabbriche si distinguevano dagli artigiani dei secoli passati
per diversi aspetti. In primo luogo gli operai si differenziavano dagli artigiani
perche erano privi dei mezzi di produzione, cioe degli strumenti di lavoro
(telai, filatoi). L'unica "ricchezza" che era loro rimasta era la capacita
produttiva, illavoro, che essi vendevano agli industriali in cambio di un
salario.
In secondo luogo, l'artigiano era un lavoratore indipendente, anche perche
poteva decidere come organizzare il suo lavoro, quanta produrre e quante
ore lavorare, quando interrompere e riposarsi. Invece, nelle fabbriche il lavoro
era ritmato dalle macchine e dagli orari, ed era sottoposto a severi
regolamenti che prevedevano multe in caso di interruzioni ingiustificate: non
era piu l'uomo a usare l'attrezzo secondo le sue esigenze, ma era la
macchina a imporre i suoi ritmi agli operai.
L'artigiano inoltre, possedeva un'abilita, una qualificazione professionale che
spesso gli permetteva di produrre un oggetto finito, partendo dalla materia
prima. Invece l'operaio all'interno della fabbrica doveva solo controllare la
macchina e compiva dei lavori motto semplici e ripetitivi, che non
richiedevano una particolare abilità.
Per questo motivo nelle fabbriche inglesi durante la prima rivoluzione
industriale spesso erano assunti bambini e donne, che erano in grado di
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compiere questi lavori e che permettevano all'industriale di risparmiare sui
costi perché donne e bambini erano pagati me no degli uomini.
La nascita delle città industriali
Con la rivoluzione industriale ebbe inizio in Inghilterra lo sviluppo di nuove
città caratterizzate, rispetto ai vecchi centri urbani dell'Europa, innanzitutto da
una rapidissima crescita della popolazione. Spesso si trattava di piccoli
villaggi rurali o cittadine di poche centinaia o poche migliaia di abitanti che nel
giro di alcuni decenni crebbero fino a 100 mila abitanti: infatti le città sedi di
fabbriche richiamavano dalle campagne circostanti moltissimi contadini e
artigiani privati del lavoro dalla meccanizzazione sia agricola sia industriale.
Con la crescita della popolazione e delle fabbriche, nelle città industriali
nacquero quartieri operai formati da abitazioni anguste e malsane, prive di
luce e di servizi elementari, dove spesso le condizioni di vita erano peggiori di
quelle delle pur misere abitazioni di campagna. Ma ciò che caratterizzava
maggiormente le nuove città industriali era la fitta selva di ciminiere che
emanavano giorno e notte grandi quantità di fumo che rendevano l'aria
malsana, cui si aggiungevano i fiumi e i canali diventati fogne di scarico delle
industrie.
Il secolo dei lumi
Il Settecento non fu solo il secolo della rivoluzione agricola e industriale; esso
viene ricordato anche come il secolo dell'Illuminismo: questo fu un
importante movimento culturale nato in Francia e poi diffusosi in Europa, che
produsse un profondo rinnovamento nella vita culturale, politica e sociale
dell'epoca.
La parola "illuminismo" deriva dal francese lumiere (luce) e indica la
caratteristica fondamentale di questo movimento: la volontà di rischiarare
con la luce della ragione le tenebre dell'ignoranza, dei dogmi e delle
superstizioni; questo significa anche che bisogna sottoporre ogni aspetto
della vita umana all'esame critico della ragione e dell'esperienza
sensibile, cioè l'esperienza diretta, che si acquisisce attraverso i sensi.
Per gli illuministi ogni conoscenza doveva essere utile, cioè doveva
contribuire a quelle che essi ritenevano le finalità fondamentali della vita
umana, cioè il benessere e la felicita degli individui ma anche il progresso
della società umana.
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La diffusione della cultura
Ma per far trionfare la ragione sulle tenebre dell'ignoranza e per contribuire al
progresso umano era necessaria la diffusione della cultura tra tutte le
persone; all'intellettuale illuminista spettava quindi il compito di educatore nei
confronti di tutta l'umanità.
Non a caso la più famosa opera degli illuministi francesi fu l'Encyclopedie, un
grande dizionario enciclopedico in 28 volumi, destinato a diffondere la cultura
e i progressi raggiunti fino ad allora, soprattutto nel campo delle scienze e
delle tecniche. Alla stesura delle 60 mila voci dell'Encyclopedie, pubblicata a
Parigi tra il1751 e il1772 sotto la direzione di Diderot e D'Alembert,
contribuirono i principali esponenti dell'llluminismo francese, quali
Montesquieu, Voltaire, Rousseau, Buffon.
Le idee religiose e politiche degli illuministi
L'illuminismo fu un movimento culturale vario e complesso, caratterizzato da
alcune idee comuni, ma anche da differenze sostanziali tra i suoi esponenti.
In campo religioso gli illuministi erano uniti nella strenua difesa della
tolleranza e nella critica di ogni fanatismo religioso. "Preso di mira fu
soprattutto il cristianesimo, in particolare ne//a sua variante cattolica: la
Rivelazione, la morale ascetica, la Sacra Scrittura, i dogmi gli ecc/esiastici
furono maltrattati senza riguardi. E un violentissimo attacco fu sferrato contro
la pretesa di ogni religione di essere /'unica vera: pretesa il cui frutto
avvelenato era l’intolleranza con il suo sanguinoso corteo di guerre e
persecuzioni" (L. Guerci).
AlI'intolleranza delle religioni storiche alcuni illuministi contrapponevano il
deismo, una concezione religiosa nella quale Dio è I'essere supremo che
garantisce I'ordine e le leggi della natura, un "orologiaio" artefice della
meravigliosa macchina della natura.
Altri illuministi invece giungevano all'ateismo e al materialismo, cioè alla
spiegazione fisica di tutti gli aspetti della vita, anche quelli spirituali.
Il secolo dei lumi
Gli illuministi erano impegnati nella costruzione di un governo che sapesse
armonizzare il benessere e la felicità degli individui. In generale gli illuministi
erano favorevoli a una monarchia costituzionale, simile a quella inglese, nella
quale il potere era affidato al sovrano e ai rappresentanti della classe
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aristocratica; tale governo doveva garantire a tutti i cittadini anche alcuni
diritti fondamentali, come la libertà religiosa e di pensiero, e il diritto alla
proprietà privata. Inoltre, per evitare i soprusi propri dei regimi dispotici, era
necessaria secondo alcuni illuministi come Montesquieu, la divisione dei
poteri (Iegislativo, esecutivo e giudiziario).
Invece il ginevrino Rousseau nella sua opera il Contratto sociale proponeva
una democrazia nella quale tutto il popolo governasse tramite i propri
rappresentanti, revocabili in qualsiasi momento. Rousseau si differenziava
dagli altri illuministi anche per la critica della società del tempo, basata
sull'egoismo, sul lusso sfrenato, sulle diseguaglianze sociali. Solo nel
primitivo "stato di natura" secondo Rousseau gli uomini erano stati veramente
liberi e uguali.
Che cos'è l'illuminismo
Nel 1784 una rivista culturale tedesca pose questa domanda a molti
intellettuali: riportiamo la risposta del filosofo Immanuel Kant (1724-1804).
Nelle sue opere egli si dedico all'indagine interne al potere e ai limiti della
ragione umana.
"L'illuminismo è I'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve
imputare a se stesso. Minorità è I'incapacità di servirsi del proprio intelletto
senza la guida di un altro. Questa minorità è imputabile a se stesso, se la
causa non dipende dalla mancanza di intelligenza ma da mancanza di
decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati
da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria
intelligenza. E' questo il motto dell'illuminismo."
L'llIuminismo italiano
Uno dei principali centri dell'Illuminismo italiano fu Milano; qui alcuni giovani
esponenti della nobiltà lombarda, in rottura con le idee e la societa dei loro
padri, diedero vita a un'accademia, la "Società dei Pugni" e a un giornale, "Il
Caffe", che divennero vivaci mezzi di diffusione delle idee illuministiche
provenienti dalla vicina Francia.
I maggiori contributi al gruppo milanese furono dati dai fratelli Pietro e
Alessandro Verri e da Cesare Beccaria, autore dellibro Dei delitti e delle
pene, che ebbe una notevole diffusione in tutta l'Europa. In questo scritto
Beccaria sosteneva che le pene dovevano avere una funzione di
prevenzione dei delitti e non di repressione. Sulla base di questo principio
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egli giungeva alIa condanna della tortura allora usata nei processi, perchè
"un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice" e quindi
non può essere sottoposto a una punizione come la tortura. Cesare Beccaria
inoltre argomentava il ripudio della pena di morte.
Napoli fu il secondo importante centra di diffusione delle idee illuministiche in
Italia.
Nella città campana si forma un gruppo di giovani illuministi, soprattutto
attorno alIa figura dell'economista Antonio Genovesi, deciso sostenitore di
una società libera da ogni vincolo feudale e corporativo, aperta allo
sviluppo dei commerci e dell'agricoltura, suI modello di quella inglese.
EUROPA DELL’800
Come abbiamo visto dopo il Congresso di Vienna i numerosi Stati e staterelli
tedeschi avevano costituito la Confederazione germanica, presieduta
dall'imperatore d'Austria. Essa avrebbe dovuto assicurare all'impero austriaco
il controllo sugli Stati della Germania.
Questa prospettiva non poteva soddisfare il regno di Prussia, il più potente e
organizzato fra gli Stati tedeschi. Dotata, come sappiamo, del migliore
esercito europeo, dal punto di vista economico e sociale la Prussia era un
paese agricolo dominato da un' aristocrazia di grandi proprietari terrieri (gli
junker).
Bismarck condusse la Prussia a imporsi come Stato guida dell'unificazione
tedesca ..
A Parigi una rivoluzione popolare dette vita alla Comune, poi sconfitta dalla
reazione dei moderati
L'Inghilterra vittoriana fu, per tutto l'Ottocento, la maggiore potenza mondiale
Declinava rapidamente, intanto, l'impero austro-ungarico
Lo sviluppo della Germania
Lo sviluppo della rete ferroviaria fu uno dei più importanti fattori
dell'industrializzazione tedesca e contribuì moltissimo alla crescita
complessiva dell' economia.
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Basterà qui solo ricordare alcuni dati: già nel 1846 ben 178.000 operai erano
utilizzati in Germania nella costruzione delle ferrovie. Nel 1875 gli addetti
erano saliti alla cifra record di 541.000, per scendere poi a 320.000 nel 1879.
Così la Germania, in soli trent' anni, fu in grado di costruire una rete
ferroviaria di grande estensione: dai 4.822 km di ferrovie del 1850 si passò ai
33.866 km del 1880.
La regione della Ruhr, che nel 1870 già produceva II,6 milioni di tonnellate di
carbone, arrivò a produrne oltre 60 milioni nel 1900. Vi sorsero grandiose
fabbriche, come le celebri acciaierie Krupp, tanto che la regione arrivò a
produrre più di 8 milioni di tonnella te di ghisa.
LA CRESCITA DELL'ECONOMIA TEDESCA
L'economia tedesca poté inoltre avvantaggiarsi di un articolato sistema di
trasporti: alla rete ferroviaria si aggiungeva infatti la navigazione sui grandi
fiumi Reno ed Elba. Messi in collegamento da una fitta rete di canali, essi
consentivano di effettuare trasporti a basso costo fino ai grandi porti del Nord.
Nel 1862 divenne cancelliere (cioè primo ministro) prussiano Otto von
Bismarck, un uomo politico di notevoli capacità.
Bismarck non credeva nello Stato liberale: sosteneva invece la necessità di
un governo forte e autoritario. Solo così si sarebbe potuta realizzare una
politica di potenza che avrebbe permesso alla Prussia di eliminare l'influenza
dell' Austria sul territorio tedesco. A tal fine il cancelliere favorì l'ulteriore
rafforzamento e ammodernamento dell' esercito prussiano.
Un passo importante verso l'unificazione tedesca, che la Prussia intendeva
realizzare, fu la costituzione dell'unione doganale (Zo[[verein), con la quale
vennero eliminati i dazi doganali fra gli stati e resi più facili i commerci e gli
scambi all'interno della Confederazione.
LA GUERRA FRA PRUSSIA E AUSTRIA
Potenziato l'esercito, Bismarck giudicò che ormai i tempi fossero maturi per il
definitivo scontro con l'Austria. Se fosse riuscito a estrometterla dalla
Germania, nessuno più avrebbe impedito alla Prussia di diventare lo Stato
guida della nazione tedesca.
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Assicuratosi che Napoleone III sarebbe rimasto neutrale, Bismarck concluse
un'alleanza con l'Italia, in modo da impegnare le truppe austriache su due
fronti diversi.
Nel 1866 la Prussia dichiarò guerra all' Austria e la sconfisse duramente a
Sadowa. A nulla servirono le vittorie austriache contro gli Italiani a Custoza e
Lissa: l'Austria fu costretta a chiedere la pace e venne esclusa dalla
Confederazione tedesca.
LA GUERRA CON LA FRANCIA
La rapida espansione della Prussia aveva però turbato l'equilibrio fra le
potenze europee; anche Napoleone III cominciò a temere un vicino rivelatosi
troppo ambizioso e potente.
Ora infatti le mire tedesche si indirizzavano proprio verso la vicina Francia, e
in particolare verso le ricche regioni di confine, come l'Alsazia e la Lorena,
dove fra l'altro esistevano delle minoranze di lingua tedesca.
Napoleone III, anch'egli sostenitore di una politica di potenza, accettò lo
scontro, ma in breve tempo fu sconfitto. Dopo appena due mesi di guerra, il 2
settembre1870 il fortissimo esercito prussiano sconfisse clamorosamente i
Francesi a Sedan, catturando lo stesso imperatore.
Due giorni dopo Parigi insorse, proclamando la repubblica. Il nuovo governo
repubblicano, dopo aver tentato un' estrema resistenza contro i Tedeschi,
dovette chiedere l'armistizio.
Nessun altro paese aiutò la Francia; solo il generoso Giuseppe Garibaldi
accorse con i suoi veterani a difendere Digione, dove si scontrò più volte con
i Prussiani.
Nel frattempo nel palazzo di Versailles, residenza dei re di Francia, i principi e
sovrani degli Stati tedeschi proclamarono Guglielmo I imperatore di Germania
(1871).
La volontà di potenza del nuovo imperatore e di Bismarck venne confermata
dalle durissime condizioni di pace imposte al nuovo governo francese: esso
fu obbligato a cedere l'Alsazia e gran parte della Lorena.
La Comune di Parigi
A Parigi, non appena le truppe prussiane abbandonarono la città, scoppiò
un'insurrezione popolare. Il governo allora lasciò la città e si trasferì a
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Bordeaux. Gli insorti diedero vita al movimento detto della Comune e presero
il governo della città.
Vennero adottati radicali provvedimenti in campo amministrativo ed
economico, come la soppressione dell' esercito permanente e della polizia, la
confisca dei beni della Chiesa, la gestione popolare di alcune fabbriche. Così,
per la prima volta nella storia d'Europa, venne realizzato un governo
socialista e proletario.
Parigi era già allora una città industrializzata con una numerosa classe
operaia. Tuttavia era circondata da importanti regioni agricole, assai più
tradizionaliste e conservatrici, che non si sentirono coinvolte dalla
sollevazione. La Comune rimase perciò circoscritta alla sola città di Parigi. I
gruppi moderati e la borghesia furono molto preoccupati da questo
esperimento di socialismo radicale, che rievocava ai loro occhi i fantasmi
della Rivoluzione. Di conseguenza il governo di Bordeaux inviò contro Parigi
l'esercito, che assediò la città.
Alla fine, la Comune dovette arrendersi: la capitale venne conquistata dopo
durissimi scontri che costarono la vita a oltre 20.000 parigini.
Il nuovo impero germanico
Il nuovo impero germanico fu organizzato come Stato federale formato da 25
stati, ognuno con un proprio sovrano. Il governo imperiale era presieduto dal
cancelliere, che non era responsabile di fronte al Parlamento, come avveniva
in Inghilterra o in Francia, ma solo di fronte all'imperatore: ciò favorì il
mantenimento di una politica conservatrice. La struttura federale consentì
tuttavia notevoli differenziazioni fra la politica dell'impero e quella dei singoli
Stati. Ad esempio, nel 1875 venne fondata in Germania la SPD (il Partito
socialdemocratico tedesco). Pur molto combattuti dal governo imperiale, i
socialdemocratici riuscirono ugualmente a vincere le elezioni in alcuni Stati
(ad esempio in Baviera) e in diverse città.
Nell'impero tedesco tuttavia furono gli junker prussiani a formare la classe
dirigente. La società tedesca fu quindi modellata sulla base dei principi che
caratterizzavano quell' aristocrazia di grandi proprietari, militaristi e
conservatori: ordine, disciplina, gerarchia.
Tuttavia Bismarck cercò anche di frenare il crescente successo del
movimento socialista con una politica di riforme sociali: introdusse
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l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, le pensioni per i lavoratori
anziani, le scuole per i lavoratori.
Contemporaneamente, però, limitò la libertà di associazione e quella di
stampa per ostacolare le organizzazioni dei lavoratori e i loro giornali.
La corsa agli armamenti
Allo scopo di impedire una possibile rivincita della Francia, Bismarck ricercò
l'alleanza di altre nazioni europee. A tal fine egli concluse un trattato difensivo
con l'Austria, e poi con l'Italia, che fu chiamato Triplice Alleanza (1882). Le tre
nazioni si impegnarono a entrare in guerra nel caso che una delle tre venisse
attaccata da un altro paese. Pochi anni dopo egli sottoscrisse un altro patto
(trattato di controassicurazione) con la Russia, in base al quale i due paesi si
impegnavano a restare neutrali fra loro nel caso che uno dei due si fosse
trovato coinvolto in una guerra con altri (1887). Nel 1890 divenne imperatore
Guglielmo Il, uomo vanitoso, impulsivo e ambizioso. Egli si affrettò a
congedare Bismarck, che considerava troppo anziano e prudente, e annunciò
una nuova politica di espansione mondiale dell'impero tedesco. Tale
programma destò l'allarme delle altre nazioni: Inghilterra, Francia, Stati Uniti,
Giappone. Tutte risposero al rafforzamento della Germania col
potenziamento, a loro volta, dell' esercito e della marina da guerra. Iniziò
così quella corsa agli armamenti che si sarebbe conclusa nel 1914 con
lo scoppio della prima guerra mondiale.
Quella che seguì la caduta di Napoleone III e la sconfitta della Comune di
Parigi, fu chiamata Terza Repubblica francese (la Prima era stata quella
proclamata dalla Rivoluzione e la Seconda quella sorta dopo il 1848). Tale
periodo fu segnato da forti contrasti fra la borghesia moderata e i partiti
radicale e socialista.
In poco più di 40 anni si costituirono ben 50 governi, ognuno dei quali
sosteneva una politica diversa. Vi furono anche dei tentativi di colpo di Stato
da parte dell' esercito per imporre un governo conservatore e autoritario.
Nel 1894 le forti tensioni fra conservatori e democratici sfociarono nel
cosiddetto affare Dreyfus.
Alfred Dreyfus era un ufficiale francese, di origine ebrea, che venne
processato per spionaggio a favore dei Tedeschi.
Le prove della sua colpevolezza, in realtà ben poco consistenti, erano state
"fabbricate" dalle autorità militari per evitare che un'inchiesta coinvolgesse i
più alti gradi dell' esercito.
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Sul processo e sulla successiva condanna influì pesantemente il clima di
antisemitismo che stava prendendo piede negli ambienti più reazionari delI'
esercito e della politica.
Condannato alla deportazione, Dreyfus venne difeso dall' opinione pubblica
democratica. Il grande romanziere Emile Zola scrisse un appassionato atto
d'accusa contro le autorità. La polemica che ne seguì si chiuse, dopo anni,
con la riabilitazione di Dreyfuss.
Ferro, vetro e acciaio: una nuova architettura
I continui progressi della tecnologia favorirono Io sviluppo di nuove e sempre
più sofisticate forme di architettura: già a partire dagli inizi del XIX secolo
vennero edificate costruzioni in ferro e vetro (tecnica utilizzata dapprima per
la copertura di giardini botanici e successivamente per i padiglioni delle
grandi esposizioni universali). Uno dei più significativi esempi è
rappresentato, in Italia, dalla struttura che ricopre la galleria Vittorio
Emanuele nel centro di Milano, opera dell'architetto Giuseppe Mengoni
(1829-77).
Interamente costruita in acciaio è invece la Torre Eiffel, divenuta il simbolo
stesso della città di Parigi. Progettata dall'architetto Gustave Eiffel (da cui
prese il nome), questa monumentale opera venne inaugurata in occasione
dell'Esposizione Universale del 1889). Costituita da 15.000 pezzi d'acciaio,
essa raggiunge un peso di circa 7.400 tonnellate e un'altezza di 320 metri,
mentre i Iati della sua base misurano circa 125 metri.
Il ponte di Manhattan, a New York, la cui costruzione venne completata agli
inizi del XX secolo, è sostenuto da quattro cavi che poggiano su due grosse
torri in acciaio, il ponte raggiunge la lunghezza complessiva di 887 metri.
L'antisemitismo
Per tutta l'età medioevale e moderna quella dei nuclei di ebrei residenti nei
vari paesi d'Europa fu spesso una situazione estremamente difficile. Vivendo
come minoranze all'interno di società e di ambienti poco tolleranti,soprattutto
sul piano religioso, essi furono spesso discriminati, considerati cittadini con
diritti limitati, costretti a risiedere solo in appositi quartieri (i ghetti).
L'uguagiianza dei dirìtti civili e politici degli ebrei venne riconosciuta per la
prima voita nella Dichiarazione dei diritti americana del 1776 e poi in quella
francese del 1789. Successivamente gli ebrei ottennero la piena parità dei
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diritti net corso dell'Ottocento in quasi tutta l'Europa occidentate: nel 1831 in
Belgio, nel 1858 in Inghilterra, nel 1870 in Italia e nel 1871 in Germania.
Nell'impero russo e nell'Europa orientale, dove pure contavano fiorentissime
comunìtà, gli ebrei contìnuarono a essere discriminati. Per ragioni di
fanatismo religioso e di intolleranza verso ogni motivo di diversità, spesso
furono anche perseguitati dalla popolazione contadina, talvolta con veri e
propri massacri, i cosiddetti pogrom.. Soltanto dopo la rivoluziohe russa del
1917 gli ebrei russi avrebbero ottenuto la parità dei diritti, peraltro non sempre
rispettata nei fatti.
D'altra parte, man mano che gli ebrei ottenevano in tutta Europa il
riconoscimento dei loro diritti, si diffondevano convinzioni ispirate
all'antisemitismo. Era questa una dottrina che predicava l'avversione o
addirittura l'odio verso gli ebrei (i "semiti"), sostenuta da una falsa e
vergognosa propaganda razzista che affermava la superiorità di una pretesa
razza bianca "ariana", destinata a dominare il mondo."
L'antisemitismo si diffuse soprattutto in Germania e in alcuni paesi
dell'Europa orientale, ma ebbe anche sostenitori in Francia, come abbiamo
visto nell'affare Dreyfus. Privo di qualsiasi fondamento scientifico, storico o
logico, l'antisemitismo si basava solo sull'ignoranza e sul fanatismo religioso,
nascondendo spesso solo il profondo senso di inferiorità o di invidia di chi Io
professava.
La migliore risposta alle odiose assurdità sostenute dall'antisemitismo è dello
storico francese Marc Bloch, che combatte nella prima e nella seconda
guerra mondiale nell'esercito francese e venne fucilato nel 1944 come
esponente della Resistenza sorta nel paese contro l'occupazione tedesca.
Egli scrisse: "Affermo dunque, se necessario in faccia alla morte, che sono
nato ebreo; non ho mai pensato a difendermene, né ho mai avuto alcun
motivo per avere la tentazione di farlo. In un mondo invaso dalla più atroce
barbarie, la generosa tradizione dei profeti ebraici. che il cristianesimo. in
quanto ebbe di più puro, riprese per ampliarla, non costituisce forse una delle
nostre migliori ragioni di vivere, di credere, di lottare? Attaccato alla mia patria
da una tradizione familiare ormai lunga, incapace in verità di onorarne
un'altra dove io possa respirare a mio agio, io l'ho molto amata e l'ho servita
con tutte le mie forze. Non mi sono mai accorto che la mia qualità di ebreo
mettesse il minimo ostacolo a tali sentimenti..." .
In risposta alle discriminazioni dell'antisemitismo e al pogrom nacque fra gli
ebrei il sionismo (da Sion, nome della parte più antica di Gerusalemme). Il
sionismo fu un movimento politico-religioso sorto al fine di. costituire in
Palestina, occupata dall'impero turco, una sede nazionale ebraica. Essa
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doveva consentire agli ebrei sparsi in tutto il mondo di ricongiungersi nella
loro antica patria come popolo indipendente.
Ne fu accanito sostenitore Theodor Herzl, che riuscì a organizzare un
Congresso internazionale a Basilea nel 1897. Nel 1915 avevano già
raggiunto la Palestina ben 110.000 ebrei e l'Inghilterra affermò nel 1917
l'impegno del governo inglese di costituire in Palestina la sede nazionale del
popolo ebraico: tuttavia ciò avvenne molto più tardi, nel 1948, e solo dopo le
terribili persecuzioni subite dagli ebrei ad opera della Germania nazista.
Inghilterra vittoriana
In Inghilterra l'Ottocento fu caratterizzato dal lungo regno della regina Vittoria
(1837-1901).
Nell'età vittoriana (così fu chiamato quel periodo) la Gran Bretagna divenne la
prima potenza mondiale. Il suo vastissimo impero coloniale si estendeva al
Canada, all' Africa, all'India, mentre la produzione industriale la collocava al
primo posto in molti importanti settori economici.
Londra era la più popolosa città europea (con 3.600.000 abitanti nel 1878),
un importante porto e la sede delle maggiori banche e compagnie di
assicurazione mondiali.
In tali anni i due maggiori partiti, il Partito conservatore (Tory) e il Partito
liberale (Whig), si alternarono al potere.
Nel frattempo si allargava il numero degli elettori, finché nel 1884 il diritto di
voto fu esteso a tutti i cittadini maschi.
Irlanda
Un problema assai grave fu rappresentato dalla questione irlandese.
L'Irlanda era entrata a far parte del Regno Unito nel 1801; ma l'isola era in
gran parte cattolica, mentre il governo era in mano ai protestanti di origine
inglese. Gran parte delle terre migliori, inoltre, erano di proprietà dell'
aristocrazia inglese, che vi risiedeva di rado e viveva di rendita in Inghilterra.
Nel 1845-46 vi era stata una terribile carestia che aveva provocato la morte di
centinaia di migliaia di Irlandesi e l'emigrazione di molti altri negli Stati Uniti.
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Tutto ciò provocò la nascita di un movimento indipendentista che si opponeva
al governo inglese, ai ricchi proprietari e ai loro amministratori. Dopo decenni
di agitazioni e di lotte sanguinose, nel 1921 l'Irlanda divenne una repubblica
indipendente, con l'esclusione della regione del nord (Ulster) che rimase
all'Inghilterra.
IL DECLINO DELL'IMPERO AUSTRO-UNGARICO
Appariva intanto in rapido declino l'impero austriaco. Sempre maggiori, infatti,
erano le difficoltà che Vienna incontrava per far convivere regioni, paesi e
popoli diversi per lingua, religione, economia, tradizioni. Anche dopo la
perdita delle regioni italiane e di ogni influenza sulla Germania, all'interno
dell'impero continuarono le tensioni. Così, nel 1867, l'imperatore Francesco
Giuseppe I accettò di riconoscere all'Ungheria forti autonomie. Simili richieste
da parte della Boemia, e dei diversi popoli slavi, invece, non vennero accolte
suscitando forte malcontento. Inoltre restava fortissima l'aspirazione di Trento
e Trieste di riunirsi all'Italia.
Il rinnovamento culturale
Agli impetuosi cambiamenti economici e culturali che si verificarono alla fine
del 19° secolo si affiancarono profonde trasformazioni nel mondo culturale e
artistico.
I risultati molto avanzati cui la scienza era giunta avevano messo in
discussione le certezze su cui essa si fondava: la realtà risultava sempre più
complessa e la scienza doveva rinunciare alla speranza di fornire una
spiegazione a ogni problema.
Di fronte alle tensioni sociali prodotte dall'industrializzazione e allo sviluppo
della società di massa dove l'unico valore sembrava essere il denaro, gli
intellettuali assunsero atteggiamenti contrastanti.
Ostili all'esaltazione del benessere e del progresso tecnologico, alcuni poeti e
scrittori (detti decadenti) fissarono la loro attenzione sulle incertezze
dell'uomo e sulla sua solitudine nella grande città industriale.
Altri movimenti culturali e letterari importanti furono il positivismo, il
realismo.,il verismo. Il più importante rappresentante del verismo italiano fu
Giovanni Verga, autore dei romanzi "I Malavoglia" e "Mastro don Gesualdo",
e le novelle rusticane, tra cui ricordiamo "Rosso Malpelo", "Cavalleria
Rusticana", "La roba", "La Lupa", "La libertà" ecc.
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