Filosofia della scienza, Marco Buzzoni

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FILOSOFIA DELLA SCIENZA – MANUALE
Marco Buzzoni
1: La filosofia della scienza – Tra scienza e filosofia
1.1
Che cos’è la filosofia della scienza?
Filosofia della scienza come epistemologia: indagare le basi del conoscere scientifico e i presupposti che
portano alla certezza della conoscenza.
1.2
Qual è lo statuto del discorso epistemologico?
Si può parlare di filosofia della scienza e criticare il naturalismo che la limita a pura scienza perché esistono
differenze tra questi due universi completamente significative. In generale le materie umanistiche possono
discorrere e avere ragione d’essere in qualsiasi campo scientifico, ma anche umanistico; ad esempio è
possibile avere una filosofia della scienza, una filosofia della filosofia o una sociologia della scienza o una
sociologia della sociologia, ma non avrebbe senso una fisica della fisica o una fisica della filosofia. La
filosofia pone infatti infinite domande spostando l’attenzione dall’oggetto al soggetto e alle sue possibilità.
Stabilire cosa è empirico e cosa non lo è non può essere indagato da una scienza capace solo di analizzare in
modo empirico; serve quindi una “scienza” (filosofia) che può indagare sulla conoscenza e quindi su sé
stessa. Alla domanda “cos’è la scienza” prova a rispondere la filosofia in svariati modi, ma recentemente le
si sono affiancate altre scienze: come la sociologia della scienza, la storia della scienza ecc; ma esse possono
solo fornire al filosofo materiale utile per ampliare la propria indagine, ma non possono rispondere alla
domanda essenziale, poiché la loro natura di “scienze” non lo permette.
1.3
È necessario essere anche scienziati per praticare la filosofia della scienza?
Indagare sulla epistemologia è possibile sia per chi si è formato principalmente nella filosofia, sia per chi è
fondamentalmente uno scienziato. In realtà è impossibile precludere una della due parti che sono
intrinseche nella scienza stessa. Non possono infatti esistere né un puro filosofo, né un puro scienziato.
2: La nascita della filosofia della scienza e le correnti strumentalistico-convenzionalistiche
2.1
La nascita della filosofia della scienza come disciplina autonoma
La riflessione filosofica sulla natura, i limiti della validità dei principi, del metodo e dei risultati scientifici è
da sempre parte intrinseca della filosofia, già da Platone e Aristotele. Galileo ha inaugurato un nuovo
metodo di fare critica scientifica (dovuto soprattutto dalla necessità di dimostrazione delle sue intuizioni
rivoluzionarie), ma di certo non è lì che nasce realmente la filosofia della scienza. Galileo distingue per
primo la conoscenza oggettiva ed empirica (quella conoscibile attraverso la matematica e la fisica, quindi
quantificabile) da tutte quelle sfere soggettive e quindi inconoscibili se non dal soggetto stesso.
L’errore di Galileo consiste proprio nel “dipendere” da concetti matematici per conoscere, mentre alla fine
dell’800, con la nascita della filosofia della scienza come disciplina autonoma e grazie alla fine del
positivismo si ha un atteggiamento critico e incerto nei confronti della scienza. Il positivismo pone
d’altronde un valore assoluto alla scienza (Comte intendeva sostituire la religione tradizionale su una
religione basata sulla scienza) che ha limitato tantissimo una riflessione epistemologica.
La crisi del positivismo si ha con la crisi della scienza stessa inaugurata soprattutto dalle geometrie non
euclidee, che pongono in dubbio principi considerati sicuri e irrinunciabili; nasce così il concetto di sistema
ipotetico-deduttivo, in cui non sono più necessarie premesse.
Allo stesso tempo anche la fisica newtoniana viene messa in discussione grazie alla teoria della relatività di
Einstein e alla fisica quantistica di Heisenberg, che annientano tutte le convinzioni meccanicistiche e
deterministiche della realtà.
Questa crisi portò un gran numero di scienziati ad interrogarsi sulla natura scientifica, divenendo così
filosofi della scienza. Nasce così una corrente difficilmente trascurabile che tendeva a togliere gran parte
della portata veritativa alla scienza riducendola a un valore soltanto pratico o economico.
2.2
Ernst Mach: strumentalismo, principio d’economia e problema dei termini teorici
Ernst Mach, pur non volendo essere considerato un filoso, è probabilmente il padre della filosofia della
scienza intesa come disciplina autonoma. Mach fu il primo docente a tenere una cattedra che oggi
definiremmo di “filosofia della scienza”. Mach muove dalla tesi positivistica fondamentale, secondo cui ogni
conoscenza autentica trova nell’esperienza la sua base ultima fondante. Da qui nascerà il principio
neopositivistico di verificabilità.
Grande influenza nei pensatori a lui postumi, l’avrà il “principio d’economia”. Mach affermò che l’uomo
percepisce la natura tramite i sensi, ma iniziò subito ad “astrarre” alcuni complessi di elementi. La «cosa»
non è invariabile come la «cosa in sé» Kantiana, ma solo un simbolo mentale che sta al posto di un
complesso soltanto relativamente stabile di sensazioni. Il modo di raggruppare e ordinare le sensazioni è
racchiuso nel principio d’economia (la scienza deve fa risparmiare le esperienze tramite la riproduzione o
anticipazioni dei fatti in pensieri. Queste riproduzioni sono più maneggevoli dell’esperienza stessa).
Secondo Mach il principio d’economia non ha una controparte reale nella natura, ma è relativa solo alla
sfera scientifica. La storia della scienza mostra come progresso scientifico può soltanto consistere
nell’elaborazione di teorie sempre più economiche o semplici.
Con questa concezione di scienza, Mach critica anche la realtà degli enti teorici, in quanto la scienza non
può dimostrare nulla, ma solo ordinare in maniera più economica possibile. La concezione di
elettromagnetismo, di atomi ecc. viene posta in dubbio da Mach, in quanto non può esserci conferma
scientifica di ciò che potrebbe apparire come un semplice modello mentale. Questa filosofia prende il nome
di “antirealismo”, ma a differenza dell’idealismo non nega la realtà degli oggetti di tutti i giorni, bensì nega
la certezza di modelli teorici non dimostrabili, come gli atomi che già nei suoi anni erano più che certi.
2.2
Convenzionalità della geometria e rapporto teoria-osservazione in Henri Poincaré
Henri Poicaré, contemporaneo di Mach, si inserisce nella filosofia “convenzionalista” (molto simile allo
strumentalismo ma influenzata maggiormente da una forma epistemologica) ed è tra i più importanti
esponenti di questa corrente. Tratta soprattutto della geometria non euclidea rifiutando quella concezione
empiristica che vede la geometria come fondata nell’esperienza, poiché in tal caso non potrebbe essere
una scienza esatta. Allo stesso modo rifiuta la concezione razionalistico-aprioristica data soprattutto dal
criticismo kantiano; se la geometria fosse data a propri allora sarebbe di una chiarezza così forte e
lampante che non potremmo vedere una realtà differente e non servirebbe creare nessun edificio teorico
su di essa. Non si può sollevare, dice Poincaré, un problema sulla veridicità della geometria. Ogni geometria
è vera, può esistere soltanto una geometria più comoda di un’altra. (affermerà poi che quella Euclidea, pur
non essendo l’unica e non generata da una coscienza a propri, è e resterà sempre la geometria più
semplice). In questo senso riduzionistico è facile notare la vicinanza di Poincaré al concetto di economia
machiano. La differenza è nella critica che fanno all’idealismo. Per Poincaré infatti la geometria non è
riducibile a priori perché è data dalla creatività dell’intelletto e non da un dato empirico.
Allo stesso modo non è l’esperienza che ci fa stabilire il percorso più breve tra due punti e non è la nostra
conoscenza scientifica a priori, poiché alcune convinzioni sono cambiate nel tempo (i greci non avevano il
principio di inerzia).
Le Roy sviluppò sull’onda di Poincaré una teoria che riduceva tutta la scienza a convenzione. Poincaré non
condividendo questa generalizzazione estrema, rettificò alcuni punti soffermandosi soprattutto sul
concetto di oggettività. Oggettività, come nel modello kantiano, non è sinonimo di verità, ma
semplicemente il modo in cui un essere dotato di ragione percepisce un oggetto allo stesso modo di tutti gli
altri. Specifica inoltre il ruolo della scienza, non come creatrice, non come pura convenzione, ma come
mezzo di comunicazione per chiarire oggettività o concetti.
2.3
Pierre Duhem: teoria ed esperimento fra olismo metodologico e realismo scientifico
Pierre Duhem si inserisce all’interno della filosofia strumentalistico-convenzionalista, ma si discosta dalla
nuova direzione presa da Poincaré. Duhem afferma che un’osservazione scientificamente rilevante non può
mai essere pura, ma è un’osservazione seguita da un’interpretazione.
Il fisico non sceglie solamente il linguaggio per esporre e semplificare la scienza, (come sosteneva Poincaré)
infatti un profano non capirà nulla di un esperimento se non padroneggia un minimo di conoscenze basilari.
L’osservazione scientifica, in quanto seguita sempre da un’interpretazione, può avvicinarsi al vero, ma
questo non potrà mai essere un dato certo, in quanto non esiste un limite (in fisica) alle ipotesi possibili, per
quanto improbabili e queste non saranno mai tutte eliminabili.
Dehum ricava una definizione audace di esperimento, ovvero un esperimento di fisica è un’osservazione
precisa di un gruppo di fenomeni accompagnata dall’interpretazioni di essi. Da qui formula due tesi:
1) È impossibile sottoporre al verdetto dell’esperimento delle ipotesi isolate. Nessun fisico può mai
controllare un’ipotesi isolata, ma solo un complesso di ipotesi.
2) L’esperimento cruciale non è possibile in fisica, in quanto non è possibile escludere tutte le
(infinite) ipotesi false.
La critica più diffusa e “semplice” rivolta all’epistemologia strumentalistico-convenzionalistica è che le
previsioni scientifiche e i suoi successi sono un qualcosa di inspiegabile e di inspiegato se non si ammette
che essa descriva la verità del mondo.
3: Il Neopositivismo
3.1
La distinzione analitico-sintetico, il principio di verificabilità e il problema dello statuto della filosofia
della scienza
Il neopositivismo (o empirismo logico) nasce intorno al 1920 grazie ai circoli di Berlino e di Vienna. I
neopositivisti partono da un punto comune a ogni empirismo radicale: l’esperienza è il fondamento e il
giudice ultimo di ogni enunciato di tipo conoscitivo. Rispetto al positivismo o empirismo classici però, il
neopositivismo rivolge una particolare attenzione al linguaggio (rientrando quindi nella cosiddetta svolta
linguistica), in particolar modo al chiarimento di quello scientifico.
Come precedentemente affermato da Poincaré, anche i neopositivisti vedono chiara l’inesistenza di giudizi
sintetici a priori, muovendosi nuovamente contro la tradizione kantiana.
Fanno propria la teoria di Wittgenstein, che afferma che non esiste connessione tra la logica e la realtà
delle cose, l’unica connessione è quella sintattica. (usa l’esempio logico delle affermazioni “piove o non
piove che è sempre a vera a prescindere dalla realtà del tempo che fa e “piove e non piove” che viceversa è
sempre falsa)
Da questa idea nasce il principio neopositivistico di verificabilità, ovvero un qualsiasi enunciato è dotato di
senso solamente se è empiricamente verificabile. Quello che annuncia deve cioè essere provato
dall’esperienza.
Gli unici enunciati legittimi sono quindi solamente quelli analitici (matematica) e quelli sintetici
(esperienza). È chiara quindi una critica alla metafisica tradizionale. Ciò che dice la metafisica non è falso,
ma è un qualcosa privo di senso e inintelligibile. La filosofia non può avere un campo di oggetti propri né un
metodo speciale che differisce da quello della scienza empirica. La filosofia è un’attività legittima soltanto
nella misura in cui indaga un problema logico-linguistico o indaga il significato di un concetto scientifico.
Carnap afferma che la metafisica è insensata e del tutto inutile ai problemi dell’uomo. Disconosce la
filosofia come campo autonomo teoretico rispetto alla scienza empirica.
Una critica che screditò non poco il neopositivismo e soprattutto il principio di verificabilità, partì proprio
da questa concezione anti filosofica e metafisica. Difatti il manifesto neopositivistico e il principio di
verificabilità non hanno un principio né analitico, né sintetico! Va ammesso quindi che il discorso
epistemologico (e quello filosofico più in generale) ha statuto sintetico a priori.
Con lo screditarsi del principio di verificabilità esso è stato accantonato per il suo fondamento errato per la
corrente che lo aveva proposto, ma è importante riconoscere il suo valore teorico, senza una verificabilità
non sarebbe possibile distinguere una scienza da una non scienza e un enunciato vero da uno falso!
Neurath diede una scossa dall’interno del circolo di Vienna definendo le uniche proposizioni accettabili
quelle in termini di spazio-tempo, quindi fisiche.
In particolare farà discutere il suo andare contro Wittgenstein, intendendo il linguaggio come un evento
fisico e niente di più.
La realtà, per Neurath, è fondata sulla coerenza tra un enunciato e ciò che è osservabile.
In difesa della vecchia posizione del circolo di Vienna interviene Mortiz Schilick. Egli parla di constatazioni
(intese come enunciati protocollari) in termini di verità salde. L’affermazione “il foglio è bianco”, è già
un’affermazione vera, in quanto è determinata da una evidenza riscontrata. È vero tutto ciò che non è
un’ipotesi.
La concezione standard delle teoria scientifiche è un’altra intuizione neopositivistica che vedrà numerose
critiche. Con questo concetto si intende una teoria scientifica come un calcolo sviluppato deduttivamente e
non interpretato che da significato ad un dato empirico. Padre di questa definizione è Hempel che
paragonerà metaforicamente una teoria scientifica a un rete sospesa nello spazio, dove da un piano
esperienziale vengono prodotte osservazioni, da qui delle regole interpretative e la rete in sé è formata da
nodi (che sono i termini specifici per i concetti primitivi, come “massa”) che si uniscono con dei “fili” che
sono le ipotesi delle teoria.
Le critiche più efficaci furono quelle dei paradossi dei corvi e dei smeraldi, che dimostravano l’inefficienza
della deduzione e induzione, ovvero che da casi particolari non si possono fare leggi universali e viceversa.
4: L’Operazionismo e Gaston Bachlard = NO
[Operazionismo: Secondo la logica classica i concetti assumono il loro significato dalle cose o dagli enti a cui
si riferiscono. Secondo Bridgman, invece, i concetti dovrebbero essere il risultato di operazioni o processi
che hanno portato alla loro definizione. Ci si accorgerebbe allora che nel campo scientifico non esistono
concetti dal valore assoluto ma sempre relativi al processo che ha portato alla loro definizione significante.
In questo modo si eliminerebbero dalla scienza ogni riferimento alla metafisica, tutte le definizioni
puramente verbali o così generiche da perdere ogni reale significato dal punto di vista scientifico.
Concetti, ad esempio, come quelli di spazio e tempo definiti con valore assoluto non hanno alcun senso
perché non esiste nessun metodo, messo in opera per definirli, che faccia riferimento all'esperienza. Se ci
riferiamo, ad esempio, al concetto di lunghezza, questo non può essere inteso in senso assoluto. Una cosa è
la lunghezza se si misura la dimensione di una cellula, cosa diversa invece se si misura la lunghezza di un
tavolo o la distanza tra due corpi celesti.
Quindi, il concetto unico di lunghezza non esiste ma esistono, invece, varie definizioni che dipendono dal
lavoro scientifico che si è attuato quando ci si è proposti di misurare la lunghezza di una cellula o la distanza
tra due pianeti]
5: Popper e il falsificazionismo
5.1
Critica dell’induzione e principio di falsificabilità
È possibile dividere il percorso filosofico di Popper in tre parti:
1= caratterizzato principalmente dalla critica al neopositivismo e alla formulazione originaria del principio di
falsificabilità.
2= Sottolinea maggiormente il carattere teorico d’ogni osservazioni volge in una direzione realistica la sua
epistemologia accogliendo la teoria della verità come corrispondenza e la nozione di verità assoluta.
3=svluppa un’ontologia semi-platonica chiamata “teoria dei 3 mondi”.
Popper si distingue immediatamente per essere contro la corrente neopositivistica, criticando
principalmente il principio di verificabilità. Affermare ad esempio “tutti i corvi sono neri”, non può essere
sinonimo di verità assoluta, poiché è impossibile verificare tutti i corvi di tutti i tempi. Non ha importanza
che il tempo e le continue aspettative rispettate aumentino nel tempo dando sempre conferme,
l’universalità non è ammissibile con queste premesse.
[Russel ironizza con l’esempio del pollo induttivista (un pollo viene nutrito tutta la vita da un uomo e si
aspetta del cibo ogni giorno, finché quello gli torce il collo).]
Popper afferma che il metodo di verificabilità non esclude la metafisica dalla scienza, ma anzi ne favorisce il
contatto.
In risposta, Popper suggerisce la teoria della falsificazione, invertendo la rotta dello scienziato. Egli non
dovrà più adoperarsi per dare il più alto numero di conferme della propria teoria, ma al contrario dovrà
cercare in ogni modo di smontarla. Se questo non riesce, la teoria viene corroborata, ma non è mai vera.
Qualsiasi teoria può infatti venir testata di nuovo in futuro per poi essere abbandonata. Il grado
corroborazione è solo un dato e non ha niente a che vedere con la probabilità che la teoria dica il vero.
Altra differenza sostanziale tra empiristi logici e Popper è proprio nella metafisica, che Popper non critica.
La considera solo un diverso modo di arrivare alle soluzioni, ovvero non empirico.
Riprende inoltre Mach e il concetto di semplicità, affermando che tanto più un concetto è semplice tanto
più e falsificabile; e tanto più e falsificabile, tanto più ci dice sul mondo.
5.2
Il problema della base empirica e il concetto do oggettività scientifica
Popper appoggia Neurath nella disputa dei protocolli, confutando la tesi neopositivistica secondo la quale
ogni enunciato è vero in quanto descrive le percezioni personali dello sperimentatore.
Popper afferma anzi che la certezza che una qualsiasi osservazione non sia puramente falsa o una serie di
“coincidenze”, la si ottiene solamente con l’intersoggettività di una determinata osservazione ed
esperimento. Inoltre afferma che non esistono enunciati universali (o base) definitivi, non al punto da
essere sempre e sufficientemente necessari per falsificare qualsiasi teoria li contrasti.
(persino la relatività, un giorno, potrebbe essere smentita da una nuova tesi e qualcosa essa non rispetti
appunti la relatività non è detto che debba essere abbandonata)
Con il termine “decisione” Popper intende quella accettazione universale di determinate leggi
scientifiche.
Un problema affrontato da Popper che verrà poi ripreso nella svolta relativistica degli anni ’60 è quello del
“punto di vista dell’osservatore”. Non esitono dati ultimi e osservazioni pure, poiché per quanto lo
sperimentatore o un osservatore possano ripetere un ambiente per studiare un oggetto, esso non sarà mai
identico, ma solamente simile.
Questa mancanza di ripetibilità identica pone il soggetto in uno stato di “aspettativa”, e quindi il suo punto
di vista è quello di chi si aspetta già una determinata cosa da un luogo o un avvenimento. Se il punto di vista
fosse diverso, il soggetto noterebbe altri dettagli. Popper intende così criticare la validità logica
dell’induzione.
Una teoria può essere considerata falsificante quando produce un evento, ripetibile intersoggettivamente
e corroborato che confuta un’altra teoria.
5.3
Corroborazione e approssimazione alla Verità Assoluta
Popper riprende la nozione tradizionale di verità come corrispondenza fra pensiero (o linguaggio) e la
realtà, sviluppando una forma di realismo scientifico.
L’ammettere una Verità Assoluta aiuta lo scienziato nella sua ricerca, essa è il fine ultimo della ricerca: una
perfetta corrispondenza tra un enunciato e la realtà.
Al concetto di corroborazione, Popper affianca quello di verosimiglianza, ovvero il grado e l’affidabilità coi
quali possiamo rivolgerci a una teoria. Una teoria è tanto più verosimile alla verità assoluta quanto più da
essa si diramano affermazioni vere e non false e secondo il grado di corroborazione.
A questo concetto si muove la critica che la conoscenza di un fatto non può mai avvenire direttamente, in
quanto è sempre mediata da un soggetto conoscente.
Ma Popper controbatte dicendo che non vi è nessuna misura che indica il grado con cui possiamo
giudicare la verosimiglianza, solamente all’interno di una “verità semantica” possiamo parlare senza
contraddizioni. Possiamo semplicemente congetturare un criterio di vicinanza alla realtà assoluta.
5.4
La tesi di Duhem-Quine e la critica popperiana dell’olismo metodologico
La tesi conosciuta come Duhem-Quine consiste in una critica all’empirismo logico nei suoi due dogmi
principali (come li definisce Quine): quello secondo cui è possibile distinguere le verità analitiche da quelle
sintetiche e la tesi del riduzionismo (secondo cui è possibile ridurre il contenuto teorico delle proposizioni
empiriche in termini d’esperienza).
La critica al riduzionismo è in sostanza una critica al concetto di verificabilità, nella misura in cui è possibile
stabilire vero o falso di una proposizione in termini empirici. Quine sostiene che i controlli sono impossibili,
dato il carattere olistico dei controlli, non possiamo mai sapere quale sia esattamente l’ipotesi verificata
dall’esito positivo di un certo controllo sperimentale.
Procedendo, questa tesi colpirà anche il falsificazionismo di Popper: Quine continuerà dicendo che ogni
ipotesi può essere considerata vera se a ogni controllo si è disposti a correggere ciò che l’esperimento fa
risultare erroneo o adducendo spiegazioni sufficientemente logiche.
Inizialmente Popper risponderà in modo poco efficace.
Nella seconda fase della sua epistemologia invece riuscirà a controbattere a questa tesi introducendo un
importante concetto che rivoluzionerà anche tutta la propria epistemologia: quello di conoscenza di
sfondo. Popper intende la conoscenza di sfondo come un insieme di conoscenze empiriche centenarie o
millenarie che hanno superato moltissime corroborazioni e supportate con un gran numero di esperimenti;
possono quindi essere considerate quasi certamente vere e sono sufficienti a dar credito o scredito ad una
teoria.
In questo modo però Popper deve in qualche modo ridare auge ai concetti di verificabilità e induzione.
Al metodo olistico dei controlli Popper obietterà anche che la critica razionale non può mettere in
discussione la nostra intera conoscenza, ma procedere un passo alla volta.
5.5
Il concetto di progresso: la critica allo strumentalismo e il realismo scientifico
Il falsificazionismo vede Popper oggetto di critiche da parte di scienziati che non vedono in questo concetto
uno sbocco positivo per la scienza e il progresso.
Infatti l’unica cosa conoscibile, in questi termini, è solamente l’irrealtà delle cose, procedendo per tentativi
ed errori smontando via via tutte le vecchie teorie; ma non sarà mai accessibile nessuna conoscenza.
In seconda battuta Popper rivede la sua posizione, ammettendo che seppure non esiste alcuna teoria priva
di possibilità di falsificazione e che quindi racchiuda una verità assoluta, essa implicitamente ammette
anche una realtà esistente a prescindere dalle nostre conoscenze.
In seguito affermerà che esistono diversi livelli di realtà, dove gli oggetti sono più reali delle loro proprietà.
[es. del microscopio]
6: La svolta relativistica
Il relativismo è una posizione filosofica che nega l'esistenza di verità assolute, o mette criticamente in
discussione la possibilità di giungere a una loro definizione assoluta e definitiva.
Chi è relativista sostiene che una verità assoluta non esiste, oppure, anche se esiste, non è conoscibile o
esprimibile o, in alternativa, è conoscibile o esprimibile soltanto parzialmente. Un ulteriore punto di vista,
di cui Ludwig Wittgenstein fu il principale sostenitore, è che, poiché tutto viene filtrato dalle percezioni
umane, limitate ed imperfette, per forza di cose ogni conoscenza è relativa alle esperienze sensibili per
l'uomo. Citando appunto Wittgenstein:
« Se un leone potesse parlare, non lo capiremmo comunque. »
Prolificazione di teorie: con molte teoria si ha una storia della scienza ricca e completa.
Kuhn:
Kuhn parla di “scienza normale” intendendola come la soluzione a dei rompicapo (puzzles). Una soluzione
esiste, è data dall’esistenza di un rompicapo, ma sta all’abilità dello scienziato risolverla e accedervi. Per
essere classificato come “rompicapo”, un problema deve essere caratterizzato, oltre che da una soluzione
certa, anche da regole che delimitano sia la natura delle soluzioni accettabili, sia i passaggi attraverso i quali
si ottengono le soluzioni. (esempio del puzzle: una risposta può essere un disegno originale e incompleto,
ma non è certo la soluzione; essa arriva quando non vi è nessuno spazio vuoto e non avanza nessun pezzo)
Paul Feyerabend:
Secondo l’anarchismo epistemologico di Feyerabend è impossibile indicare una sola regola metodologica
che non sa stata violata in qualche modo nel tempo.
Suggerisce il metodo contro induttivo, ovvero il ricercare la contraddizione nelle teorie ed enunciati, in
modo tale da riscoprire il vero qualora una teoria si rilevasse falsa. Un sistema può essere giudicato solo
dall’esterno e non dall’interno.
7: Metodologia e storia della scienza: Imre Lakatos e Larry Laudan
Imre Lakatos:
Lakatos si oppone all’irrazionalismo dato dalla svolta relativistica e dall’uso che fa della storicità, ovvero
quello di smentire e smontare ogni teoria.
Lakatos distingue un falsificazionismo ingenuo da uno sofisticato (che propone): quello ingenuo è tipico
della svolta relativistica, cioè smontare teorie senza un reale progresso scientifico e senza proporre una
nuova teoria sostitutiva, abusando della prolificazione delle teorie.
Un falsificazionismo sofisticato prevede invece una critica più difficile da compiere, ma anche la necessità
di sostituzione di una teoria con una migliore. Una qualsiasi teoria, e non necessariamente una
falsificata.
Lauden=?
8: La sociologia della conoscenza scientifica [NO]
9: Il dibattito sul realismo scientifico
9.1
Introduzione
Lo strumentalismo sostiene che la scienza sia solamente uno strumento affidabile che ci permettere di
salvare i fenomeni e formulare previsioni sempre più precise, ma questo non comporta la conoscenza del
mondo in sé stesso e del vero. Contro la teoria della verità come corrispondenza critica l’attività del
soggetto atto a plasmare un risultato in quanto essere conoscente. I sostenitori del realismo scientifico
partono dalla tesi metafisica che il mondo ha una struttura determinata a prescindere dalla nostra mente
e che le teorie scientifiche sono o vere o false.
9.2
Hilary Putnam
Visto il grande impatto avuto nel mondo della scienza dallo strumentalismo assieme al relativismo, il
realismo scientifico muove le difese della conoscenza con Putnam.
Putnam sostiene che lo scopo della scienza è quello di dirci il vero, partendo a sostegno di questa tesi dal
fatto che c’è una inesorabile continuità fra le vecchie scoperte e le nuove, che non sostituiscono quelle
precedenti, ma le perfezionano. (esempio degli elettroni: anche se sembra una scoperta nuova, le
proprietà degli elettroni erano già note in passato; inoltre anche se la prima volta che si è usato il termine
“elettrone” non era lo stesso concetto moderno, vi è in ogni caso una proprietà continuativa che giustifica
un progresso scientifico)
Questa continuità dei termini e quindi del progresso prende il nome di “teoria del riferimento”, dove i
nomi si riferiscono direttamente agli oggetti, senza mediazioni concettuali.
Ultima tesi in favore del realismo scientifico di Putnam è quella del “no miracle argument” (argomento di
nessun miracolo), ovvero l’impossibilità del “miracolo” della previsione e la ripetibilità di determinati
esperimenti se la scienza non indicasse necessariamente il “vero” o il “verosimile”.
9.3
Modelli e idealizzazioni in Leszek Nowak
Nowak sostiene che le leggi della scienza non sono né descrizioni, né generalizzazioni induttive, ma sono
enunciati che contengono delle “assunzioni ideali”, le quali danno origine ad un universo ideale non
riscontrabile nella vita reale di tutti i giorni.
Il mondo della fisica è ottenuto da quello di tutti i giorni, ma non ne raffigura ogni cosa: trascura o evidenzia
i dettagli che ogni scienziato ritiene più importante.
Per arrivare a conoscere il vero, Nowak propone i processi di idealizzazione (astrarre e idealizzare un
concetto nelle sue funzioni ritenute primarie, ignorando aspetti secondari) seguito da quello di
concretizzazione, ovvero riportare sul piano reale un concetto o una teoria e arricchirlo di ciò che era stato
ignorato, modificando così (aggiungendo) nozioni che lo avvicinano alla realtà.
9.4
L’Epistemologia evoluzionistica
L’idea fondamentale dell’epistemologia evoluzionistica consiste nel considerare il mondo reale e (in buona
parte) conosciuto in base al risultato evolutivo. L’essere vivente evolve in risposta a un evento naturale
concreto e reale e il suo adattarsi testimonia una conoscenza.
È un vantaggio evolutivo anche una conoscenza non biologica, ma culturale.
9.5
L’empirismo costruttivo di Bas C. Van Fraassen
Con lo sviluppo del realismo non può che incentivarsi allo stesso modo il diffondersi dell’antirealismo e Van
Fraassen è uno dei più influenti pensatori in questo senso.
La critica fondamentale che rivolge al realismo scientifico è quella dell’accettazione di una teoria scientifica
come portatrice assoluta di verità. Vero e falso sono termini che abolisce categoricamente per descrivere la
realtà e una teoria scientifica.
Si accosta molto agli empiristi logici nel pensare alla scienza come ad uno strumento per salvare i fenomeni
e prevedere eventi; uno strumento utilizzabile in determinati contesti e momenti e assolutamente non
duraturo. La differenza col positivismo sta nel concetto di linguaggio, che a differenza dello strumentalismo,
Van Fraassen considera “libero” e non definito. L’empirismo costruttivo, a differenza di quello logico, non
distingue il vocabolario scientifico in due insieme disgiunti (quello osservativo e quello teorico), ma pone
una distinzione solo di entità osservabili e non (in quanto sarebbe superfluo descrivere le seconde).
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