UN GENE UN ENZIMA Nel 1937 i genetisti studiarono il colore degli occhi in Drosophila, e sembrò risultare che la formazione del pigmento oculare dipendesse da una serie di reazioni a catena, ciascuna controllata da un enzima, la cui produzione dipendeva a sua volta da un gene. Per confermare questa ipotesi, furono utilizzati microrganismi coltivati in vitro. La scelta cadde sulla Neurospora crassa, muffa del pane, facile da coltivare e di veloce riproduzione. G.W.Beadle e E.L.Tatum pubblicarono nel 1941 i risultati dei loro esperimenti (ottenendo nel 1959 il Nobel per la Medicina). Essi studiarono in particolare la serie di reazioni che portano alla sintesi di arginina partendo da ornitina: ornitina citrullina arginina Se la Neurospora ha a disposizione ornitina, la converte prima in citrullina e poi in arginina. Alcune neurospore mutanti, però, non erano in grado di attuare tale trasformazione, altre ancora potevano invece produrre arginina a patto che fosse loro fornita citrullina. Evidentemente la prima tappa è catalizzata dall’enzima E1, prodotto se funziona il gene G1, mentre la seconda tappa è controllata dall’enzima E2, prodotto se funziona il gene G2. Se entrambi i geni funzionano, sono prodotti entrambi gli enzimi e le reazioni avvengono regolarmente. Se è mutato il gene G1, ma il gene G2 è normale, non avviene la prima reazione, quindi la Neurospora non è capace di trasformare l’ornitina in citrullina, ma se le viene fornita citrullina nel mezzo di coltura la reazione può procedere fino all’arginina. Se è mutato solo il gene G2, la Neurospora produce la citrullina ma poi si blocca. Questi esperimenti hanno confermato che esiste una corrispondenza tra enzimi e geni, e hanno portato alla formulazione dell’ipotesi “un gene-un enzima”, che poi è stata modificata in “un gene-un polipeptide”, confermando che i geni controllano la sintesi delle proteine. Oggi sappiamo che, in realtà, un gene può corrispondere a più proteine, a causa del meccanismo noto come splicing alternativo.