La strategia di Frankenstein
Sotto la maschera, l'occidente nasconde una ridda di fondamentalismi, alcuni dei quali hanno nel secolo scorso
provocato tragedie immani. Ora si presenta "innocente", e mette alla gogna l'intero mondo musulmano. Un nuovo
capro espiatorio le cui derive terroristiche oscurano tutti i terrorismi "altri". Compreso quello dell'antrace made in
Usa.
di TONI MARAINI - www.ilmanifesto.it
Per anni, spesso su questo giornale, abbiamo denunciato la minaccia che le organizzazioni terroriste rappresentavano
per i musulmani stessi, le loro società, le loro aspirazioni allo sviluppo pacifico, i loro stati. Coloro che analizzavano
la storia moderna del radicalismo islamico sapevano che numerosi elementi conducevano a precise responsabilità.
Da me intervistato per il manifesto nel marzo 1994, lo scrittore Rachid Boudjedra affermava, a proposito dei gruppi
che minacciavano l'Algeria: "si tratta di un fenomeno legato al ritorno di algerini partiti in Afghanistan. Arruolati
dalle ambasciate d'Arabia Saudita del Maghreb, venivano mandati a combattere in Afghanistan attraverso il
Pakistan; lì venivano indottrinati al fanatismo e veniva offerta loro la droga. E' stata una vera e propria strategia di
guerra adottata (...) con il supporto della Cia e dell'Arabia Saudita. Oggi, l'Afghanistan è un paese distrutto dalla
guerra civile". Quei campi di addestramento non erano un segreto. Un recente articolo del giurista americano
militante per i Diritti Umani Tom Turnipseed li definisce un "Frankenstein creato dalla Cia" (Zmag.org). Alain
Dickhoff su Le Monde Diplomatique (2/12/01) scrive "l'emergere dell'estremismo sunnita (wahhabita) deve molto al
patrocinio americano". Uno storico afghano ricorda che "negli anni '80 Brejnev, Reagan e Tatcher hanno trasformato
l'Afghanistan in un campo di battaglia della Guerra Fredda contribuendo a ridurlo in quel paese in rovina che è
diventato" (Mir Hekmatullah Sadat).
Studi e libri recenti documentano il ruolo delle possenti lobbies petrolifere occidentali, interessate alle risorse
dell'Asia Centrale, nell'avvento dei Taleban. Un ventennio di strategie consegnò l'Afghanistan - "considerato oggi
uno dei paesi più poveri del pianeta" (Ph. Chabasse) - a un regime di fanatici pedine di un gioco più grande della
loro barbara dottrina politica. Dalle interviste fatte nel corso degli anni a donne e uomini che in altre aree del mondo
musulmano coraggiosamente resistevano a tali strategie, emergeva che l'integralismo politico/religioso riceveva
mezzi, copertura e appoggio in Occidente - e ruoli di leadership per il proselitismo fanatico - in nome della
geopolitica internazionale. A poco valevano le loro proteste per le drammatiche conseguenze di destabilizzazione
politica e di soffocamento dell'islam secolare che questo provocava nei loro propri paesi. "I media occidentali danno
risalto unicamente ai movimenti fondamentalisti che noi sappiamo finanziati da fonti dubbie" avvertiva Khalida
Messaoudi (l'Unità, 20/3/1991).
In tante e in tanti denunciavano il fatto che pericolosi individui responsabili di azioni terroristiche contro i paesi
musulmani agivano indisturbati (pensiamo a Anwar Addam a Washintong, Rabah Kebir in Germania, altri ancora a
Londra), laddove i comuni mortali musulmani faticavano a trovare ascolto, asilo e rifugio.
Alla luce di questi fatti cosa dire dell'attuale sbandieramento "civilizzatore" che ci dipinge eternamente innocenti e
getta ogni colpa sull'islam? E se ci rallegra che i Taleban non siamo più al potere come non chiedersi: perché tanto
orrore se si poteva evitare sin dall'inizio che essi accedessero al potere e che filiere e mafie terroriste ricevessero
sostegno? La domanda non è faziosa, né si pone all'interno di una sterile contrapposizione. E' perché amiamo il volto
vitale, creativo e umano dell'America che ci sgomenta tale devastante geopolitica internazionale.
Le recenti colpe dell'Occidente
Nel 1996, quando un tacito consenso accompagnò l'arrivo al potere dei Taleban, scrivevo : "I Taleban, veri
devastatori dell'islam" (L'Unità, 30/9). La questione era drammatica. L'intero mondo musulmano, coi suoi
diversissimi paesi e le sue realtà, le sue conquiste moderne e costituzionali, le sue aspirazioni e mutazioni, le sue
arti, cultura e storia, nonché la sua tradizione religiosa secolare in contrasto con il fondamentalismo, veniva
pubblicamente omologato a quella fanatica bandiera. "Tutto lascia pensare - dichiarava Tahar Ben Jelloun - che
l'Occidente abbia da tempo deciso di spingere il mondo musulmano verso posizioni estreme, verso un lungo periodo
di oscurantismo".
Nel 1986, presentendo tragedie e denunciando fermamente la deriva integralista, numerosi intellettuali musulmani
avevano preso la parola col libro L'Islam en question (Grasset). Senza abdicare alle proprie responsabilità critiche
verso i propri regimi e la propria religione, si rivolgevano all'Occidente chiedendo: perché ci ignorate, perché le voci
dell'islam pacifico, secolare, ecumenico e le correnti laico-democratiche sono "messe in sordina", ignorate dai media
e da progetti e politiche di sviluppo? Perché, chiedeva lo scrittore tunisino A. Meddeb, "un montaggio degli
avvenimenti intrattiene sempre e soltanto un'immagine allarmista dell'islam come moltitudine elettrizzata dal
fanatismo"? Nel 1992, da me intervistato per il manifesto, Meddeb ribadiva l'urgenza di un operare interculturale
"molteplice e universale". Poi aggiungeva: "ma questo tipo di operazione, proprio perché serve l'incontro tra culture,
semplicemente non avverrà. Sarà boicottato. Verrebbe infatti a disinnescare le energie del male. Le energie di coloro
che, qui in Europa, pensano che il male sia l'islam e, dall'altra parte, pensano che il male sia l'Occidente. Una
situazione così bloccata è catastrofica per ambedue le civiltà".
La cesura dell'11 settembre
Eccoci, dieci anni dopo, in pieno scenario catastrofico. Il raccapriccio e lo sdegno provocati dagli eventi dell'11
settembre hanno aperto il dossier sul terrorismo. Ad una chiara e ferma azione di giustizia nella ricerca della verità,
alla de-costruzione di Frankenstein, abbiamo tutti aderito. Ma la denuncia del terrorismo si è ben presto trasformata
in Occidente in un linciaggio pubblico indiscriminato. Con una violenza denigratoria, una plateale mistificazione, un
montaggio tendenzioso, una ignoranza storico-culturale che sarebbero considerati inaccettabili a riguardo di
qualsivoglia altro credo, o civiltà, un mondo intero - addirittura l'Oriente tutto - è stato messo alla gogna. A sinistri
personaggi dottrinali e a opinionisti disinformati è stata offerta ampia piattaforma mediatica. Si sono evitate le
articolate analisi che applichiamo quando parliamo dei nostri mali, delle nostre disfunzioni, dei nostri fanatismi. Il
mondo musulmano è stato omologato a una sola chiave di lettura.
L'uso improprio di termini come il jihad (di fatto, "sforzo di resistenza"), e quello di islamici (ormai sinistramente
esteso a tutti i musulmani), ha etichettato ogni cosa. Il burqa è stato usato per legittimare la guerra allorquando già
sin dalle illuminate riforme di Amanullah negli anni '20 l'obbligo a portarlo era stato abolito e le donne avevano poi
avuto accesso a voto, istruzione e lavoro (40% nell'amministrazione, 70% nell'insegnamento, 40% nel corpo medico
etc., secondo i dati del dr. Ahmed Gosh, afghanmagazine.com) ogni qualvolta, tra una fase e l'altra delle devastanti
interferenze, un minimo di vita politica si era riorganizzata prima dell'avvento dei Taleban.
Tra le immagini della Kabul degli anni '40/'70 e quelle odierne vi è un abisso. Eppure si tratta dello stesso paese
musulmano. E' sulla dinamica di quell'abisso che bisognava riflettere. Servono nuovi modi di rapportarsi ai paesi del
mondo musulmano con programmi non destabilizzanti, serve sostenenerli sul cammino delle mutazioni storiche
senza affossarli con vecchie tattiche che furono quelle del periodo coloniale. Fomentando un antagonismo foriero di
altre violenze, molti commentantori hanno invece sentenziato dividendo il mondo in Bene e Male. Come se non vi
fosse Bene e Male trasversalmente, alle radici della storia odierna.
Si è parlato di civiltà contro barbarie come se la nostra civiltà fosse la sola, e come se non commettesse barbarie. Per
il solo caso dell'Afghanistan, ricordiamo che le superpotenze lo hanno cosparso di circa 10 milioni di mine antiuomo
(Ph. Chabasse, Le Monde, 17/10/01), e "ogni venti minuti qualcuno muore o è ferito". "L'Afghanistan è diventato il
terreno di prova (testing ground) per nuove tecnologie", scrive Newsweek (10/12/01), e le bombe odierne - gioielli di
alta tecnologia - possiedono testate inquinanti gettate a tappeto su una terra di cui già nel 2000 si considerava il 35%
del suolo irrimediabilmente avvelenato. Civili allo sbaraglio, vittime che non si contano, esecuzioni sommarie,
morte per freddo e fame nei campi di sfollati (vedere il rapporto di F. Fassihi, Zmag.org), intrighi senza fine, ma noi,
ci è detto, non siamo responsabili di nulla.
Se eravamo partiti dall'idea che bisognava combattere il terrorismo islamico (e non solo) solidarizzandoci tra civiltà,
qualcosa non ha funzionato. Si vuole veramente la fine di Frankenstein? O si sta ponendo la sua maschera su ogni
cosa, verosimile e inverosimile?
Dalle crociate alla shoa
Nel suo libro sugli Arabi e l'Europa nel Medio Evo (Il Mulino, 1979) lo studioso inglese Norman Daniel scrive: "in
Europa la concezione apocalittica coinvolse sempre anche i rapporti col mondo arabo (...) Intorno al 1230 si diffuse
d'un tratto la convinzione che (...) era in arrivo una peste polmonare che avrebbe spopolato (...) l'Occidente (...). Tra
la gente comune, tutte le novità paurose vennero poste in qualche modo in rapporto con gli Arabi (...). In questo
quadro (...) confluirono profezie catastrofiche e predicazioni per l'annientamento degli Arabi (...). In un periodo in
cui l'Europa ribollì di spirito (...) espansionistico, la sua energia prorompente determinò un atteggiamento (...) basato
non su quello che gli Arabi erano in realtà, ma su quello che per ragioni teologiche si voleva che fossero".
Le ragioni teologiche alimentarono una formidabile campagna nutrita, come documenta Norman Daniel, da una
propaganda volta ad accusare i musulmani, considerati untori e contaminatori di acque e cibo, di ogni nefandezza.
Le leggi canoniche per la pulizia d'Europa dalla contaminazione musulmana furono accompagnate da provvedimenti
che permisero segregazione, persecuzioni, eccidi, esecuzioni, conversioni forzate. Questo, secoli fa. Se la Chiesa, da
allora, è molto cambiata, non sembra esserlo il laico ritorno del millenarismo. Come distinguere tra ciò che va
combattuto con procedure di giustizia e con politiche avvedute, e la manipolazione dell'irrazionale, se prove, fatti,
dati, verità sprofondano in zone oscure e sfuggono al controllo della trasparenza democratica? Mai come in questo
conflitto si è usato il verbo al condizionale (sembrerebbe, è probabile, si presume...)?
Nell'Occidente cristiano tra il XIX e il XXmo secolo la millenaristica fobia di ripulimento si abbatté sugli Ebrei.
Come ricorda Lord Russel nel suo libro di denuncia del nazismo ("The Scourge of the Swastika", 1954), essi furono
accusati di contaminare col solo contatto fisico (ibid. pp. 227/8), di essere un flagello sociale, d'infiltrarsi nel tessuto
sociale con gli assimilati e, infine, di ordire complotti. Con toni apocalittici si sosteneva che essi rappresentavano
"un pericolo che minaccia il mondo intero" (Civiltà Cattolica, 12/5/1928, da uno studio di A. Silva). Senza
dimenticare i falsi libelli loro attribuiti e forgiati dai nazisti per alimentare odio e fobie. Tali deliranti proiezioni
legittimarono le persecuzioni di cui conosciamo l'orrendo bilancio.
Nel frattempo, molto è cambiato, né la storia consente paragoni. Ma che coloro che hanno detto "mai più!" vigilino
con lucida coscienza. Abbiamo bisogno della parola dei giusti. Il tono torna all'isteria. Certo, il capro espiatorio è
individuato in un'altra religione e in altre genti, ma una lenta deriva della ragione lascia temere, sulla scia di un
ordine nuovo mondiale, mistificanti abusi di vecchia memoria. Tutto questo non aiuta l'azione ragionata contro il
terrorismo e per disinnescarne le cause.
I fondamentalismi americani
In un articolo apparso sul Boston Phoenix (31/10/01), il giornalista americano Al Giordano osservava che la fretta a
gettare sui musulmani la colpa del ricorso all'antrace ha portato a tacere un altro terrorismo. Se prendiamo in mano
"Fundamentalisms Observed" (M. E. Marty, R. S. Appleby, University of Chicago Press, 1994), che documenta i
fondamentalismi induista, buddista, confuciano, ebraico, islamico e cristiano nel XXmo secolo, scopriamo - per la
sola categoria del fondamentalismo americano - una gamma di movimenti, dai Millennialisti e i Reconstructionists
ai Neo-nazi fautori della White Supremacy. Contrari alle unioni interreligiose, interculturali e interazziali;
sostengono la supremazia dei Bianchi, la pena di morte anche a chi pratica l'aborto, la sottomissione della donna al
Vecchio Testamento ("Old Testament Law"), l'estensione del cristianesimo al mondo intero e, perfino, il ripristino
della schiavitù, la deportazione dei Neri, l'eliminazione di Ebrei ed Arabi.
"La democrazia è empia" sosteneva John Rushdoony, noto autore di The Institutes of Biblical Law (Craig Press,
Nutley, New Jersey, 1973). "Secondo John Rushdoony i fondamentalisti cristiani devono prendere dominio sugli
Stati Uniti e abolire la democrazia, che lui chiama eresia" (ibid.). Se ci volgiamo al libro di Philip Lamy Millennium
Rage: Survivalists, White Supremacists and the Doomsday Prophecy (Plenum Publishing, 1996), la cui "agenda di
distruzione" è commentata da Jack Levin (numag.neu.edu/9703/Books397.html), capiamo meglio la patologia e
fenomenologia del millenniarismo come male del nostro tempo. Un delirio di potenza contro la storia, una violenta
usurpazione del testo "sacro", un devastante antagonismo a livello mondiale. Ma se è vero, come alcuni obiettano,
che non tutti i fondamentalisti sono integralisti e non tutti gli integralisti sono terroristi è anche vero che non tutti i
terroristi sono islamici. Il mondo attuale deve fare i conti con molteplici pericoli e fanatismi, molteplici
destabilizzanti strategie del terrore. Solo ragionati processi internazionali di disinnescamento delle cause, la
denuncia della "strategia di Frankenstein", il sostegno al divenire sociale e al pensiero politico secolare, e una presa
di coscienza trasversale possono aiutarci a affrontare tanta violenza.