Malattie rare. Oppure orfane? - Istituto di Ricerche Farmacologiche

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I COSTI ECCESSIVI DELLE CURE
Malattie rare. Oppure orfane?
di Lucio Luzzatto
uando a Robin S, un bambino australiano di 3 anni, fu fatta diagnosi di sindrome emolitico-uremica
(SEU), il giovane medico
dell'Ospedale di Brisbane disse ai genitori
che si trattava di una "malattia rara". Questi, superando l'immediato sgomento, risposero: «Per noi non è rara per nulla, abbiamo già perso una bambina con la stessa
malattia». Questo aneddoto vero illustra
un dramma che non di rado si associa a
quelle che sono da anni riconosciute ufficialmente come malattie rare (definite dal
limite arbitrario di meno di un caso su 2mila persone). In primo luogo, la rarità è statistica: in quella famiglia per sfortuna la SEU
aveva colpito entrambi i figli (100%). In secondo luogo, la maggioranza delle malattie
rare hanno una base genetica, sono in tutto
il mondo ed alcune sono potenzialmente
mortali. In terzo luogo, non è raro che sulla
propria malattia rara i pazienti e i familiari
ne sappiano più di molti medici. Su queste
malattie si è tenuto il 25 marzo nella settecentesca Villa Camozzi (Istituto Mario Negri) a Ranica (Bergamo) una riunione internazionale presieduta da Silvio Garattini, Richard Horton e Giuseppe Remuzzi.
Q
Da tempo i malati di malattie rare si sono sentiti trascurati: in molti casi non si conosce un trattamento efficace, ed anche la
diagnosi è spesso tardiva; tanto che è stato
coniato il sinonimo di malattie orfane. Negli Stati Uniti sin dal 1983, anche grazie
all'attivismo di alcune organizzazioni di
pazienti, fu promulgata una legge chiamata Orphan DrugsAct (ODA), intesa a scuotere l'inerzia dell'industria farmaceutica,
che non vedeva convenienza ad investire
in un farmaco che servisse solo a pazienti
rari. Uno degli incentivi più attraenti introdotti dall'ODA è stata la concessione
dell'esclusività per 10 anni, adottata poi anche in Europa. L'ODA è stato un successo:
nel solo periodo 2010-2013 sono stati approvati 85 farmaci orfani. In effetti, almeno per alcune (poche) malattie alcuni farmaci finalmente esistono: ma mentre
all'inizio le industrie temevano che investimenti in questo settore fossero votati alla
perdita, oggi i farmaci orfani sono, paradossalmente, tra i più dispendiosi del mondo. Un caso limite è ì'eculizumab: un anticorpo monoclonale che blocca il complemento, un prodotto raccomandato per il
trattamento di due malattie rare : Pemoglobinuria parossistica notturna (EPN), e da
poco anche la SEU, quella di cui soffriva il
bambino di Brisbane, che ha chiesto di ve-
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nire a curarsi a Bergamo perché in Australia non riesce ad ottenere il farmaco. Un
motivo c'è: il trattamento con eculizumab,
che deve essere continuativo con una infusione ogni due settimane, costa circa €
330.000 l'anno.
Secondo i dati del sito Orphanet le malattie rare sono 6.858; anche se 80% dei malati rientra nelle 400 meno rare tra le rare.
Una questione che non sempre risulta nelle comunicazioni al pubblico è che queste
malattie hanno sì affinità negli aspetti epidemiologici, legislativi e di salute pubblica, ma dal punto di vista scientifico e clinico sono quanto mai disparate. In altre parole, non esiste uno specialista in malattie rare ma sono il neurologo, il nefrologo, l'ematologo, e via dicendo, che devono conoscere, oltre alle malattie più comuni dei rispettivi settori, anche le più rare. Perciò la riunione di Bergamo non pretendeva di affrontare le malattie rare in genere, bensì il
problema specifico (e difficile) di come evitare che terapie nuove siano economicamente proibitive; e di come rendere accessibili a tutti le terapie già oggi disponibili.
Da questo punto di vista è stato notevole
essere riusciti a riunire esperti di settore
(malattie metaboliche, renali, del sangue)
con economisti, farmaco-economisti, funzionari europei, e il presidente di Orphanet, Ségolène Aymé.
La discussione è stata accesa, perché ad
alcuni sembra che le cose vadano abbastanza bene. Ad altri sembra invece che stiamo
testimoniando una contrapposizione tra
industria farmaceutica privata che continuamente deve convincere i suoi azionisti
ed investitori che sta realizzando il massimo del profitto, ed un sistema sanitario
pubblico che deve pagare il conto. Per la
prima i malati di malattie rare sono un mercato; per il secondo sono cittadini che hanno avuto un po' di sfortuna in più, ed ai quali a maggior ragione dobbiamo un servizio
efficace. La discussione è stata ben gestita
dai moderatori, particolarmente da Richard Horton, direttore della prestigiosa rivista The Lancet. È emerso quanto sia necessario conciliare quella contrapposizione, o
disinnescare i rischi dello scontro frontale
muovendosi con immaginazione. Ad esempio, la gestione delle sperimentazioni cliniche dovrebbe spostarsi sul settore accademico-sanitario; inventare o produrre nuove molecole non solo migliorerebbe il destino dei pazienti ma potrebbe, attraverso la
concorrenza, far diminuire i prezzi dei farmaci. Infine, molte della malattie rare su
base genetica sono in linea di principio passibili di terapia genica (di cui si è parlato
altre volte nel Domenicale): e quando questa ha successo il Paziente è finalmente
progredito dalla somministrazione a vita
di un farmaco ad una soluzione una tantum definitiva.
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