Profilo dell`Illuminismo

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ISIS Pontormo Empoli
Le competenze di scrittura
nell’osservazione antropologica
Una programmazione interdisciplinare nel Liceo delle Scienze Umane
Docenti: Carlo Mariani e Simona Lucchesi
Profilo dell’Illuminismo
Classe Terza - Sezione E - Anno scolastico 2013-14
Carlo
MarianiProfilo dell’Illuminismo
Carlo Mariani,
Profilo dell’Illuminismo
Contributo originale per questa Unità Didattica
ISIS Pontormo - Empoli - Classe Terza Sezione E - Anno scolastico 2013-14 - Docenti: Carlo Mariani e Simona Lucchesi
1. Un nuovo concetto di ragione: l’interpretazione di Kant.
Alla fine del Settecento, quando ormai il concetto storiografico di
Illuminismo era già entrato a far parte della vita intellettuale dell’Europa alle
soglie della Rivoluzione francese, il filosofo tedesco IMMANUEL KANT –
chiamato nel 1784, sulle pagine della «Rivista mensile di Berlino», a
rispondere alla domanda Che cos’è l’Illuminismo? – poneva interamente la
questione sul piano di una rinascita del metodo e di una nuova razionalità.
Con un chiaro riferimento alla funzione critica e analitica che la ragione
aveva assunto nel quadro di una rinnovata azione intellettuale e in una
prospettiva scientifica, Kant scriveva che l’illuminismo «è l’uscita dell’uomo
dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è
l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro».
La risposta di Kant tendeva a mettere in risalto il carattere di rottura
dell’illuminismo rispetto al passato, il fatto cioè che esso ha rappresentato
nella società civile un reale progresso del sapere e una forte emancipazione
del pensiero moderno.
Nel solco aperto dai saperi tecnici cinquecenteschi e dalla rivoluzione
scientifica del Seicento, il patrimonio del razionalismo europeo contribuì nel
XVIII secolo alla radicale trasformazione delle conoscenze: cambiarono le
prospettive del sapere e lo stesso significato della scienza; nacquero
discipline nuove (antropologia, psichiatria, sociologia, economia politica)
che si affermarono indipendentemente dai tradizionali ambiti in cui fino ad
allora erano rimaste circoscritte; si attuò uno stretto legame tra gli
intellettuali e la realtà politica e amministrativa del loro tempo.
L’impegno filosofico dei lumi aprì un ambito di riflessione intorno all’idea
che soltanto una ragione analitica e critica dei fenomeni potesse liberare e
emancipare le enormi potenzialità del pensiero: in questo senso la ragione
dei moderni si sottraeva al dominio dell’auctoritas e alla tradizione e poteva
risolvere a suo favore la querelle degli antichi e dei moderni circa la
superiorità del pensiero e lo sviluppo delle conoscenze.
2. Il concetto di natura.
Il sistema delle scienze agì, durante il Settecento, nel senso di una
completa rifondazione dei presupposti teorici e del metodo di indagine. La
concezione metafisica e teocentrica vennero messe sotto accusa soprattutto
in rapporto alle concezioni materialistiche e meccanicistiche che
rovesciarono i pregiudizi antropocentrici e il bagaglio delle credenze
popolari. I contributi di Pierre Bayle, di cui si ricorda il Dictionnaire
historique et critique, di Fontenelle, di CONDILLAC (fondamentale, oltre al
Saggio sull’origine delle conoscenze umane del 1747, è il Trattato delle
sensazioni, del 1753), di LA METTRIE (L’uomo-macchina è del 1748), di
HOLBACH (la sua opera maggiore, il Sistema della Natura, ebbe grande
importanza per la formazione del materialismo di Leopardi), spostarono
l’attenzione sopra un’analisi scientifica della natura, intesa non più come
effetto divino ma come prodotto della materia e di rapporti di forza.
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3. Il materialismo e la religione.
Nell’ambito del pensiero illuminista, soprattutto francese, le teorie
materialistiche accettate e teorizzate da Helvétius, La Mettrie e Holbach
rappresentarono una radicalizzazione anti-teologica del concetto di natura.
Respingendo ogni prospettiva finalistica e metafisica della realtà, in cui
non c’era più posto per una soluzione religiosa ai problemi dell’uomo nel
mondo, il materialismo tendeva a dare una spiegazione scientifica del mondo
e dei rapporti che lo governano: la realtà appariva come un insieme di
concatenazioni deterministiche di cause ed effetti, legate tra loro da rapporti
di necessità, all’interno delle quali la centralità dell’uomo veniva ridotta a un
semplice pregiudizio e a un errore volutamente costruito dalla religione.
In questo senso il materialismo di fatto sostituiva la metafisica dell’anima
con un altro pensiero ugualmente totalizzante, quello della materia.
Se il punto di partenza del materialismo settecentesco era costituito dalla
dottrina fisiologica di JULIEN OFFROY DE LA METTRIE (1709-1751), per il quale
la materia sarebbe dotata di estensione, movimento e sensibilità,
determinando cioè anche il pensiero, il passaggio conclusivo verso un
ordinamento morale del materialismo avveniva con le dottrine di PAUL
HENRI DIETRICH BARONE D’HOLBACH (1723-1789), che nella sua opera più
importante (il Sistema della Natura - 1770) individuava un legame
puramente fisico e causale tra uomo e natura, affermando tra l’altro che la
felicità, la libertà, il piacere dipendono soltanto dalla materia.
Lo sforzo che l’uomo compie nell’affermazione di una società giusta
dipendeva quindi da una emancipazione dai pregiudizi religiosi e morali del
passato, ostacoli questi ultimi della vera infelicità dell’uomo. In questo modo
il materialismo veniva a coincidere con un aspetto molto importante del
pensiero illuminista: la condanna cioè di ogni forma di religione dogmatica,
di credenze e false opinioni che ostacolano il corso della ragione.
Gli illuministi non negarono totalmente il ricorso alla religione, ma
contrapposero il concetto di religione naturale, una forma di religione
positiva e tollerante in cui si riconosceva l’esistenza di un principio
ordinatore, a quello di religione positiva, fondata invece sulla tradizione,
sull’affermazione del potere, sul fanatismo.
4. Il sensismo.
Fortemente collegato alla tradizione scientifica e sperimentale seicentesca,
le teorie del sensismo vennero elaborate dapprima in Inghilterra, dove il
rappresentante più significativo fu il filosofo JOHN LOCKE (1632-1704), e
quindi passarono in Francia, in Germania e in Italia. Alle origini del sensismo
vi è anzitutto una teoria della conoscenza, secondo la quale tutti i dati a
disposizione del sapere dipendono dall’esperienza e dalla sensazione: dal
sensismo derivarono sia il metodo induttivo, per cui soltanto dall’analisi dei
dati sensibili e individuali si può risalire alle leggi generali, ma anche la
critica delle idee innate, un nuovo concetto di ragione intesa cone
strumento di controllo e di correzione della conoscenza scientifica e dei
fenomeni sociali.
5. Le teorie politiche.
Per tutto il Settecento, i numerosi livelli della cultura e i diversi campi del
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sapere si intrecciarono all’interno di un progetto comune di riformismo e di
intervento nella realtà politica e sociale degli stati europei: è in questo
contesto che nasce il concetto di interdisciplinarietà delle scienze, delle
tecniche e delle arti (merito soprattutto dell’impresa editoriale e culturale
della Encyclopédie, di cui parleremo più avanti). La concatenazione delle
discipline rispecchiava la complessità e la stessa eterogeneità dell’immenso
orizzonte epistemologico, del vasto dibattito politico-sociale, dei moderni
strumenti di diffusione e circolazione del sapere che vennero creati nel XVIII
secolo. Tra teoria e pratica, tra ideologia e intervento sociale si realizzò un
forte legame di dipendenza: lo stesso fenomeno politico della Rivoluzione
francese, che produsse il crollo definitivo dello stato assoluto segnando
l’ascesa della classe borghese, non si può concepire se non all’interno del
vasto dibattito sulle forme del potere e sull’amministrazione dello stato e
della giustizia che prese il via dopo l’Esprit des lois (Lo spirito delle leggi) di
MONTESQUIEU, pubblicato nel 1748. La forte ispirazione anti-assolutistica e
parlamentare di Montesquieu, che ricalcava il modello politico già in atto in
Inghilterra, proponeva una divisione dei tre poteri (legislativo, esecutivo,
giudiziario) e condannava l’accentramento assolutistico avvenuto in Francia
durante l’età di Luigi XIV, senza tuttavia «una precisa direttiva per la riforma
della monarchia francese»1.
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6. L’analisi di Rousseau.
Del tutto diversa era la posizione di JEAN JACQUES ROUSSEAU,
decisamente spostato in una prospettiva di critica severa della società
moderna e dei suoi sistemi politici. Nella ristretta cerchia dei philosophes
riuniti attorno al progetto della Encyclopédie, egli maturò un vivo e profondo
dissenso verso le possibilità di un cauto riformismo illuminato: Rousseau
muoveva da un’analisi negativa e pessimistica della società, corrotta alle
origini e fondata sulla disuguaglianza economica e sulla rigida divisione
classista degli uomini. A partire dal Discorso sull’origine dell’ineguaglianza
(1754), il dissidio personale e teorico di Rousseau con il gruppo degli
enciclopedisti si fece via via più aspro e insistente, nonostante egli avesse
collaborato al progetto di Diderot e d’Alembert con la voce Economia politica
(1755). I motivi di questo distacco vanno ricercati nell’analisi estremamente
più incisiva che Rousseau fece delle teorie giusnaturalistiche: il diritto
naturale è al centro dell’analisi condotta nel Contratto sociale (1762), in cui
Rousseau ribaltava l’interpretazione dello stato di natura che ne avevano dato
gli enciclopedisti. All’origine del patto sociale vi è in sostanza una regola
iniqua tra il ricco e il povero: con il patto sociale veniva legittimata la
proprietà privata, e con essa la disuguaglianza sociale, e da qui i conflitti
sociali, la guerra.
7. Le grandi città della cultura illuministica.
Lo straordinario aumento della produzione libraria (letteraria, filosofica e
scientifica), lo sviluppo della pubblicistica e dei periodici, il nuovo impulso
dato al teatro, furono una caratteristica importante del Settecento,
soprattutto in Francia e in Inghilterra, dove questa crescita del mercato
editoriale venne testimoniata anche dalla consistente diminuzione
dell’analfabetismo: questo processo di trasformazione implicò anche la
nascita di un pubblico di lettori molto più ampio rispetto ai secoli precedenti.
In termini generali possiamo dire che il rapido aumento del mercato librario
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1. Cfr. P. Casini, Scienza, utopia e
progresso. Profilo
dell’Illuminismo, Bari, Laterza,
1994, p. 48.
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non fu ovunque omogeneo, e alcune realtà emersero più di altre per
dinamismo e intraprendenza.
Alcune grandi città europee, come Londra, Parigi, Vienna, Amsterdam,
emersero sulle altre determinando una forte concentrazione degli intellettuali
e delle attività connesse all’editoria.
La distinzione tra centro e periferia determinò fenomeni contrastanti di
accorpamento e di forte aggregazione degli intellettuali, ma in situazioni e
aree diverse provocò invece un pericoloso isolamento provinciale (in Italia,
tranne casi particolari, si osserva questa seconda situazione).
L’analisi e le testimonianze fornite dagli illuministi italiani, tra questi gli
abati SAVERIO BETTINELLI (1718-1808) e FERDINANDO GALIANI (17281787), convergono spesso sull’emarginazione patita dei letterati italiani2. Già
da alcuni decenni la questione della centralità delle istituzioni culturali era
stata affrontata dal Muratori attraverso la formula della «Repubblica delle
lettere», che doveva comprendere una formazione più ampia e omogenea
delle numerose accademie letterarie e scientifiche e riproporre in termini
moderni una cultura di contenuti civili destinati alla pubblica utilità.
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8. I luoghi della cultura.
Accanto alle accademie, che in Italia svolsero una funzione di
specializzazione dei differenti settori della cultura, altre occasioni di
aggregazione per gli intellettuali vennero offerte dai SALOTTI e dalle LOGGE
MASSONICHE. I primi offrivano a borghesi e aristocratici un’inedita
occasione di confronto intellettuale, anche aspro e polemico, sui principali
temi del dibattito, come l’usura, il lusso, la pena di morte e la tortura.
Soprattutto in Francia, i salotti mondani diventarono occasione di incontri e
di scambi intellettuali, in cui scrittori, artisti, philosophes, si impegnarono
attorno alle grandi questioni del secolo: a Parigi era molto conosciuto e
frequentato il salotto del barone d’Holbach, che a partire dal 1750 ospitò gli
enciclopedisti, l’abate Galiani, Marmontel e altri scrittori. A Milano ebbe una
certa importanza il salotto di casa Serbelloni, frequentato tra gli altri da
Giuseppe Parini (che qui svolse per alcuni anni la sua attività di precettore
privato).
Le LOGGE MASSONICHE erano invece il risultato e la trasformazione delle
antiche corporazioni di arti e mestieri (il termine franc-maçon in francese
significa “libero muratore”, da cui l’italiano framassone).
Queste organizzazioni persero via via la loro ispirazione originaria per
diventare nel Settecento veri e propri sodalizi intellettuali, caricandosi di
elementi rituali e simbolici (Dio come grande architetto dell’universo, il
martello come simbolo del gran maestro) e con caratteristiche umanitarie e
filantropiche.
Il centro propulsore della massoneria fu l’Inghilterra, ma la sua diffusione
fu molto rapida anche nel resto dell’Europa continentale (Francia, Germania,
Olanda), spesso con caratteristiche diverse, ispirate all’alchimia e
all’esoterismo, rispetto alla vocazione scientifica e razionalistica iniziale.
Su un piano socialmente diverso si ponevano i CAFFÈ, spazi pubblici per la
degustazione della bevanda recentemente introdotta dalle Americhe, ma poi
divenuti luoghi di incontro della borghesia intellettuale. A Parigi gli
intellettuali frequentavano e si ritrovavano al Procope o La Régence, che
diventarono ben presto simboli di uno stile anticonformista di intendere il
dibattito culturale, decisamente contrapposto all’atteggiamento chiuso, del
tutto privo di un rapporto con la realtà sociale, che era invece tipico delle
accademie.
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2. Nel saggio Dell’entusiasmo delle
belle lettere, pubblicato nel 1769
(ora in Opere di Francesco
Algarotti e Saverio Bettinelli, a
cura di E. Bonora, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1969, p. 849 e sgg.), il
Bettinelli scrive che uno dei limiti
della cultura italiana «è quella di
non aver noi una metropoli di tutta
la nazione, un centro, un governo,
in cui l’Italia da ogni parte vada a
riunirsi, come è in Francia. [...]
Così l’industria e l’ingegno, le
speranze e le pretensioni di
ventiquattro milioni di
Francesicolà si rivolgono, di là
dipendono, ivi fermentansi anche
da lungi e quindi si vede sempre in
moto la nazione; le poste, le
diligenze, i cocchi publici per acua
e per terra vannoe vengono da
Parigi sino all’estremità del regno
senza posa e senza intoppo,
essendo fissate regole e leggi ad
ogni occorrenza. Ed ecco un regno
grandissimo quasi come una città
raccolto insieme, ed ecco ogni
novità, ogni accidente,
ogn’interesse più singolare
comunicarsi, fermentare, porre in
orgasmo milioni di teste. Un libro,
un editto, un processo, non che le
battaglie, anzi una moda, una
manifattura, un epigramma, non
che le tragedie e le comedie, un
predicatore, un avvocato, una bella
e brava attrice bastano a far
parlare di loro tutto Parigi, a cui
tosto fann’eco le provincie. Tutto
concorre a dar celebrità: gazette
d’ogni giorno e d’ogni gusto, caffé,
passeggi, corte, città, accademie,
teatri, forestieri a migliaia».
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9. Una rivista milanese: Il Caffè.
Attorno al Caffè Demetrio di Milano si raccolsero ad esempio i numerosi
collaboratori della rivista «Il Caffè», un foglio periodico che uscì ogni dieci
giorni tra il 1764 e il ‘66 e si occupava di discipline non soltanto letterarie (vi
si trattavano infatti argomenti di economia politica, di filosofia, di diritto),
sotto la guida di Pietro Verri e Cesare Beccaria.
L’esperienza dell’Accademia dei Trasformati, un’altra istituzione
letteraria milanese riunita sotto la protezione e gli auspici della famiglia
Serbelloni, poteva dunque considerarsi esaurita nei modi e nei contenuti
quando Pietro Verri, tra il 1761 e il ‘62, dette vita alla Società dei Pugni,
proponendo un nuovo modello di dibattito filosofico e letterario
(svecchiamento linguistico e rifiuto del classicismo, attenzione rivolta alle
vicende dell’Encyclopédie, al materialismo francese di Helvétius e Holbach,
al sensismo di Condillac e alle opere politiche di Rousseau).
Ispirandosi al giornale inglese The Spectator (fondato da Joseph
Addison), il programma culturale del «Caffè» si rifaceva a un’esigenza di
collegamento della cultura con la realtà quotidiana e con i dibattiti che
animavano il vasto panorama europeo, non ultimo quello del rifuto delle
teorie linguistiche esposte dagli accademici della Crusca, ritenute troppo
antiquate, legate alla tradizione classica e quindi non più utilizzabili in un
moderno contesto culturale.
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10. La narrativa inglese.
In Inghilterra, l’abolizione della censura (1695) e la formazione di una
moderna classe borghese contribuirono allo sviluppo del romanzo (si
ricordino Tom Jones di Fielding, Pamela di Richardson, Moll Flanders e
Robinson Crusoe di Defoe, i Gulliver’s Travel di Swift, il Tristram Shandy e
A Sentimental Journey di Sterne) e alla piena autonomia degli scrittori
rispetto ai tradizionali strumenti della collocazione professionale (corte,
accademia, funzione pubblica).
Si allargarono in questo modo anche le possibilità di intervento e di lavoro
per gli intellettuali: in Inghilterra si diffuse una moderna letteratura di
consumo e divenne un fatto costante la divaricazione del pubblico dei lettori
in due settori, uno cosiddetto «alto» a cui erano destinate le opere di cultura,
e un altro invece ritenuto «basso» e popolare.
A fianco di una cultura di tipo popolare, in Inghilterra maturò, da parte di
VOLTAIRE (1694-1778), qui esule dal 1726 al ‘29, l’interesse per la fisica di
Newton e la filosofia di John Locke: sulla figura di quest’ultimo, uno dei
massimi teorici dell’empirismo e del sensismo, Voltaire tratteggiò un profilo
positivo nelle Lettere filosofiche, pubblicate nel 1733, al suo ritorno in
Francia.
11. La produzione letteraria in Francia.
Di tipo filosofico e teorico era invece la maggior parte della produzione
francese intorno alla metà del Settecento, anche se non mancarono figure
polivalenti, come gli stessi Voltaire e Rousseau il cui impegno avvenne su
molti fronti, sperimentando generi letterari diversi: il conte philosophique, la
tragedia, i contributi storici, la prosa di analisi filosofica per Voltaire, il
romanzo pedagogico, il trattato politico, i contributi per l’Encyclopédie, la
prosa autobiografica per Rousseau.
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Un genere specifico fu il pamphlet, una forma di saggio breve e dai toni
caustici e satirici, destinato da alcuni autori a un uso spregiudicato e
polemico delle proprie idee: esso trovava applicazione all’interno delle
numerose e violente dispute che animarono l’opinione pubblica intorno ad
alcune questioni di grande rilievo (l’usura, la pena di morte, la polemica sul
lusso, la vaccinazione antivaiolosa, la querelle des anciens et des modernes).
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12. Un’impresa culturale: la Encyclopédie.
Un caso specifico della cultura francese, che ebbe un risvolto molto
importante anche nel resto dell’Europa, fu la pubblicazione della
Encyclopédie, un ambizioso progetto editoriale realizzato sotto la direzione di
Denis Diderot e Jean Baptiste Le Rond d’Alembert con la partecipazione di
numerosi collaboratori.
L’opera nacque all’inizio come una traduzione e adattamento della
Cyclopedia or an Universal Dictionary of Arts and Sciences dell’inglese
Ephraim Chambers, ma subito essa si distaccò dal progetto originario, dando
luogo a un lavoro molto complesso e composito, che vide l’intervento (spesso
accompagnato da contrasti e polemiche) di molti redattori, tra cui Holbach,
Montesquieu (con la sola voce Gusto), Rousseau (con la voce Economia
politica).
Il primo volume dell’opera, il cui sottotitolo era Dictionnaire raisonné des
sciences, des arts et des métieres, uscì nel 1751 a cui seguirono, con alterne
vicende, gli altri sedici tomi: soltanto nel 1772, con l’uscita del volume XVII,
l’opera poté dirsi compiuta (comprendeva inoltre undici tomi di tavole, un
Supplément in quattro volumi di testo e uno ulteriore di tavole, per un totale
di trentatre volumi: nel 1780 si aggiunse poi la Table analytique et raisonnée
des matierès).
La storia editoriale dell’opera è segnata dai ritardi dovuti alla censura
ecclesiastica e alla forte ostilità dimostrata dai Gesuiti in occasione dell’uscita
del primo volume. Interrotta nel 1752, la stampa riprese nel 1754: gli attacchi
si intensificarono e nel ‘59 portarono alle dimissioni di d’Alembert (cui forse
contribuirono anche ragioni economiche), mentre nello stesso periodo si aprì
un’altro fronte della polemica a causa della denuncia del libro di Helvétius De
l’Esprit.
Oltre alla controversia ideologica che si accompagnò all’Encyclopédie fino
dal suo apparire, quest’opera segnò anche un sensibile passo in avanti nella
concezione del lavoro editoriale e della produzione libraria. Nonostante i
divieti l’opera ebbe in Francia più di 4255 sottoscrittori, che prenotarono
l’acquisto direttamente presso l’editore Le Breton.
In Italia la diffusione avvenne tramite due edizioni condotte a Lucca sotto
la direzione di Ottaviano Diodati (1758-71, in 28 volumi) e a Livorno (1770, in
33 volumi) sotto l’alto patronato del Granduca di Toscana. Ma stando alle
parole che Diderot adoperò nella sua Lettre sur le commerce de la
librairie (1764), nemmeno con l’Encyclopédie (che pure fruttò ai
collaboratori introiti non disprezzabili), poté dirsi compiuto il processo di
emancipazione degli intellettuali dal mecenatismo gentilizio e statale3.
Il progetto dell’opera, delineato da d’Alembert nell’ampio Discorso
preliminare, era riconducibile a un’idea del sapere inteso come fatto
totalizzante e generale, e allo stesso tempo problematico e analitico.
Attraverso una disposizione alfabetica della materia venivano affrontati in
maniera agile e breve le più diverse discipline, con una netta preponderanza
delle scienze e delle tecniche (utile e di grande efficacia esplicativa risultarono
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3. La Lettera sul commercio della
libreria di Diderot esprime per la
prima volta e in maniera decisa la
forte contrapposizione tra autori,
tipografie mercato librario,
nell’ottica di una considerazione
del testo letterario come merce e
oggetto di possibili ricavi
economici da parte degli autori.
Diderot sosteneva cioè che lo
scrittore, il giornalista, l’uomo di
cultura in genere, avessero ormai
raggiunto quella fase di
indipendenza e autonomia
intellettuale che permettesse loro
di vivere della propria attività. La
sua critica del vecchio
mecenatismo è spesso violenta e
ineccepibile: «Quali che siano la
bontà e la munificenza di un
principe amico delle lettere, esse
non possono estendersi molto al di
là dei talenti conosciuti. [...] Quale
bene può appartenere a un uomo,
se non gli appartiene un’opera
dello spirito, il frutto unico della
sua educazione, delle sue veglie,
del suo tempo, delle sue ricerche,
le ore più belle, i momenti più belli
della sua vita, i suoi pensieri, i
sentimenti del suo cuore, la parte
più preziosa di se stesso, quella che
non muore, quella che lo rende
immortale?». Come si vede, la
situazione descritta da Diderot
lasciava trasparire un conflitto di
interessi, non soltanto economici,
ma che investivano anche il diritto
dello scrittore a pretendere
un’adeguata considerazione del
proprio lavoro (erano molti i casi,
per esempio, in cui i testi venivano
tagliati o manomessi
arbitrariamente dagli editori).
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a questo proposito le tavole, sintetiche e estremamente raffinate nella loro
funzione didascalica, che formavano una vera e propria enciclopedia
nell’enciclopedia).
Al di là del vecchio enciclopedismo medievale, il cui intento era stato
quello di conservare un sapere già dato e conosciuto, il disegno di Diderot e
d’Alembert rispondeva a esigenze moderne di sistemazione e articolazione
delle scienze non più come esperienze isolate e prive di una collocazione acritica. Al contrario il principio ispiratore dell’Encyclopédie era quello di una
ragione moderna, volta all’indagine interdisciplinare delle materie,
all’eclettismo intellettuale (eclettico è anche il termine usato da Diderot per
identificare l’intellettuale), al criticismo, all’opposizione sistematica contro i
pregiudizi religiosi.
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13. Il dibattito illuministico in Italia: Napoli, Milano, Venezia.
In Italia la diffusione delle teorie illuministiche avvenne su piani e livelli
diversi: coinvolse aree specifiche e certamente più preparate a ricevere il
dibattito dei lumi (tra queste Milano, Venezia e Napoli), produsse un rapido
cambiamento negli interessi degli scrittori e nei generi letterari, si attestò
intorno ad alcuni problemi principali come la rinascita del teatro, lo sviluppo
della letteratura giornalistica, la rinascita di un interesse per le materie
economiche e storico-giuridiche, una ripresa della poesia dai toni civili e
riformisti.
Napoli, grazie anche all’attività dell’Accademia degli Investiganti, fu il
primo centro in Italia a introdurre le teorie filosofiche di Descartes e
l’atomismo materialistico di Gassendi: a fianco dell’importante università
crebbero e si svilupparono le discipline giuridiche e economiche, il cui più
illustre rappresentante fu l’abate ANTONIO GENOVESI (1713-1769), che tenne
dal ‘54 la prima cattedra in Europa di economia politica, dando luogo a
un’intensa scuola di pensiero, più tardi raccolta da Gaetano Filangieri e
dall’allievo Ferdinando Galiani.
Milano funzionò invece come centro propulsore delle riviste e dell’editoria,
delle riforme civili e della critica, anche se molto moderata, della nobiltà:
umanitarismo, filantropismo, politica culturale volta alla modernità,
acquisizione del sensismo francese, rinnovamento poetico furono i passaggi
più interessanti del ventennio milanese 1755-1775.
Un orientamento più marcatamente letterario e mondano spettò invece a
Venezia, che fu la città di Vivaldi, di Goldoni, di Casanova, dei pittori Pietro
Longhi e del Canaletto, dei fratelli Carlo e Gasparo Gozzi (il primo autore di
teatro in perenne polemica con Goldoni, il secondo direttore della «Gazzetta
veneta» e dell’ «Osservatore veneto»), di viaggiatori e poligrafi come
Francesco Algarotti e Saverio Bettinelli.
Nell’ambiente veneziano maturarono la riforma teatrale goldoniana, che
ambiva alla costruzione di un teatro moderno, socialmente riconoscibile nella
realtà economica e psicologica della Venezia mercantile, ma che dovette
subire la contrastata opposizione del tradizionalismo linguistico delle Fiabe
teatrali di Carlo Gozzi (1720-1806) e di Pietro Chiari.
14. Il rinnovamento del teatro: dalla commedia al melodramma.
Un veicolo popolare di trasmissione delle idee e dei prodotti letterari
continuò ad essere rappresentato dal teatro, nelle diverse articolazioni e nei
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generi che vennero proposti negli spazi appositamente creati per ospitare
commedie, tragedie, drammi musicali. Il melodramma di Metastasio, che
compose numerose tragedie perché venissero accompagnate dal testo
musicale, rappresentò al livello culturalmente più alto il gusto lirico
classicheggiante iniziato dall’Arcadia (di cui Metastasio fece parte). La musica
era tuttavia ritenuta soltanto un accompagnamento secondario, e il testo
letterario mantenne la sua supremazia: questo ritorno al testo, la ricerca
dell’effetto scenico, il virtuosismo dei cantanti, contribuirono a scardinare
l’impianto della commedia dell’arte, che dopo due secoli di ininterrotti
successi venne sottoposta alle dure critiche di coloro che intesero riformarne i
contenuti evitando la desueta ripetizione di schemi ormai logori.
L’attività del Metastasio si concentrò alla corte di Vienna, destinando i
suoi testi a un pubblico selezionato e colto: le tematiche arcadiche (lirismo,
gusto patetico e sentimentale) vennero ricostruite utilizzando episodi
letterari, storici e mitologici (Didone abbandonata, Demetrio, Olimpiade,
Attilio Regolo) con un ampio ricorso a effetti scenografici e a macchine
sceniche.
15. La poesia in Italia nel Settecento.
Il genere lirico subì in Italia, nel corso del XVIII secolo, una rapida e
sostanziale trasformazione sia per quanto riguarda i contenuti e le tematiche,
sia per le forme metriche che vennero adoperate.
Il ritorno al classicismo, operato dall’Arcadia nel primo trentennio del
Settecento con il conseguente recupero di alcune forme metriche arcaiche ora
rivalutate (l’ode, la canzonetta) e destinate a permanere fino al primo
Ottocento (Foscolo, Manzoni, Leopardi).
Lo sviluppo, in area lombarda, di una poesia con un chiaro intento civile,
ben riconoscibile nell’esperienza di Giuseppe Parini, che si segnalò per la
sintesi ideale in cui classicità e impegno morale convivevano con esiti
interessanti. Soltanto nella fase finale della composizione delle Odi e del
Giorno, si intensificarono i connotati classicisti del linguaggio poetico.
Su un piano decisamente autobiografico, attraversato da profonde frizioni
interiori, si colloca la poesia di Vittorio Alfieri, al centro di un interessante
scontro e contrasto tra idealità e realtà, tra aspirazione alla libertà, eroismo,
protesta, delusione.
Grande importanza, nell’elaborazione di un costume definito come
preromantico ebbero le traduzioni del Cesarotti (i Canti di Ossian dello
scozzeze Macpherson, la Elegia scritta in un cimitero di campagna di
Thomas Gray) e di altri autori inglesi e tedeschi (Young, Gessner), che
diffusero la moda della poesia sepolcrale, particolarmente in area veneta.
16. La prosa: il romanzo e l’autobiografia.
Più diffiicile appare una decifrazione della narrativa italiana del
Settecento, all’interno di una realtà culturale tradizionalmente influenzata
dalla poesia: mancò in Italia una precoce vocazione al romanzo, in parte
sostituita dal rapido e consistente incremento delle traduzioni dei migliori
prodotti stranieri. Ma anche quando alcuni scrittori (Antonio Piazza, Zaccaria
Seriman, Alessandro Verri) tentarono le prime esperienze con il genere del
romanzo, gli esiti e i risultati furono assai scadenti, tranne alcune rare
eccezioni (come Le avventure di Saffo e Le notti romane del Verri).
Interessante fu invece la produzione del genere autobiografico,
Le competenze di scrittura nell’osservazione antropologica. Una programmazione interdisciplinare nel Liceo delle Scienze umane
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Carlo Mariani, Profilo dell’Illuminismo
ISIS Pontormo - Empoli - Classe Terza Sezione E - Anno scolastico 2013-14 - Docenti: Carlo Mariani e Simona Lucchesi
particolarmente frequentato dagli scrittori illuministici (si rammentino, su
tutti, le Confessions di Rousseau, che funzionarono come modello): la
narrazione della vita diviene specchio della lettaratura, confronto ideale,
denuncia, sfogo psicologico, ma anche affresco culturale della civiltà
illuministica e dell’esperienza eccezionale del grand tour, il viaggio di
formazione del giovane intellettuale del Settecento. In Italia, le autobiografie
composte da Giambattista Vico, da Pietro Giannone, da Antonio Genovesi,
fanno da premessa alla grande autorappresentazione avventurosa e
leggendaria della Histoire de ma vie di Giacomo Casanova e delle Memorie di
Lorenzo Da Ponte (autore dei libretti di Mozart), della Vita di Vittorio Alfieri
e dei Mémoires di Carlo Goldoni.
Le competenze di scrittura nell’osservazione antropologica. Una programmazione interdisciplinare nel Liceo delle Scienze umane
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