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No - I giorni dell'arcobaleno
Inviato da Domenico Astuti
lunedì 13 maggio 2013
Titolo: No - I giorni dell'arcobaleno
Titolo originale: No
Francia, Cile, USA: 2012. Regia di: Pablo Larraín Genere: Drammatico Durata: 110'
Interpreti: Gael Garcia Bernal, Alfredo Castro, Antonia Zegers, Marcial Tagle, Luis Gnecco, Diego Muñoz, Néstor
Cantillana, Alejandro Goic, Jaime Vadell, Manuela Oyarzún
Sito web ufficiale:
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 09/05/2013
Voto: 8
Trailer
Recensione di: Domenico Astuti
L'aggettivo ideale: Necessario
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Il regista Larrain è tra i giovani registi più interessanti in circolazione e non solo in America latina. E’ un uomo con dei
conflitti personali che riesce a indirizzare in film strazianti, duri e potenti. Litiga con i giornalisti quando lo intervistano,
usa modi duri, antipatici, e dicono di lui “ che non si sa come prenderlo “.
Una delle sue ossessioni che si riverberano nei film è il colpo di stato del boia Pinochet. Probabilmente deve avere un
bel conflitto con suo padre ex Presidente del Senato e senatore del partito più a destra del Cile, la Unión Demócrata
Independiente (Udi), ricettacolo dei sentimenti politici più reazionari, fascisti e più legati alla Chiesa cattolica versione
più clericale, integralista e severa.
La madre invece Magdalena Matte è la ministra dell’Abitazione nell’attuale governo di destra. Pablo Larrain invece è uno
che dice che Pinochet è stato un assassino e un ladro, e ha ambientato i suoi due precedenti film ai tempi della dittatura
perché è in quell’epoca, sostiene, che affondano le radici di un certo modo d’essere cileni, radici che si dovrebbero
elaborare per poi liberarsene. Ma allo stesso tempo, suoi spettatori alle prime, sono proprio quei rappresentanti di quel
partito paterno che tanto detesta. Bel groviglio personale.
Nel 1997 dirige il suo secondo film, e il primo che è giunto in Europa, “ Tony Manero “ presentato alla Quinzaine des
Realisateurs e alla ventiseiesima edizione del Torino Film Festival. Sempre a Torino l’attore protagonista Alfredo Castro
ha ricevuto il premio quale miglior attore. Il film è stato candidato all’Oscar quale miglior film straniero. La storia potente,
straziante e cupissima narra di un povero cristo, Raùl Peralta che in pieno regime di Pinochet, passa il tempo a imitare
passi e le movenze del Toni Manero de “ La Febbre del sabato sera “ in uno spettacolo di danza che tiene in un night-club
di periferia.
Lo stato di alienazione nel quale si trova lo porta, pur di poter vivere come il suo mito, a compiere crimini sempre più
efferati che passano inosservati ( Il tema del sosia non è nuovo nel cinema cileno, a metà degli anni Settanta, il regista
Carlos Flores Delpino, ha realizzato “ El Charles Bronson chileno o Identicamente igual ” un film sul sosia cileno dell’attore
americano che è diventato un’opera cult ).
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Nel 2010 dirige “ Post Mortem “ che è stato presentato in gara all’ultimo festival di Venezia. Anche questo film racconta
personaggi tristi, sordidi, brutti, le ambientazioni sono cupe, e la storia è destinata a finir male. Mario ( Alfredo Castro – il
più noto attore cileno di cinema e teatro e attore feticcio di Larrain ) lavora all’obitorio durante i massacri di Pinochet.
Adesso, cambiando registro stilistico a 360 gradi, ma raccontando ancora del Cile ai tempi di Pinochet, sembra voler
crescere - attraverso la campagna allegra del referendum contro Pinochet del 1988 – e modificare anche il suo modo di
vedere e raccontare le cose. C’è un’iniezione di ‘ leggerezza ‘ e di speranza che coinvolge lo spettatore in prima persona
senza tuttavia immettere la retorica dei buoni contro i cattivi e con la consapevolezza che alla fine la quotidianità è più
forte di qualsiasi momento ‘ rivoluzionario ‘.
Larrain ci dà una lezione di regia e mostra in questo film - come nei due precedenti – di come si possa realizzare un piccolo
gioiellino con linearità e abilità. Perfetta è la ricostruzione come i dialoghi secchi, efficaci e senza alcuna retorica o ‘
bisticcio ‘. Ottima la scelta di una fotografia un po’ sgranata e simile ai vhs dell’epoca; come ottimo è il montaggio e
l’inserimento di molto materiale dell’epoca che si cesella alla perfezione. Ed anche il cast è costruito con attenzione e
credibilità, mai glamour, mai che reciti. Se dovessimo trovare una pecca, è la descrizione troppo sottotraccia del
rapoporto del protagonista con sua ( ex ) moglie.
Larrain a soli 36 anni probabilmente conclude la splendida trilogia della dittatura che ci racconta del Cile degli Anni
Settanta e Ottanta, e, con quest’ultimo film, raggiunge una completezza del suo discorso filmico, mostrandoci anche
come la complessità di uno spaccato storico contemporaneo possa essere realizzato con ‘ semplicità ‘ e immediatezza.
Come la vita privata del protagonista possa avere un equilibrio su quello che sta succedendo intorno senza che ‘ la Storia
‘ prenda veramente il sopravvento lasciandola ai margini.
Nel 1973 il generale Augusto Pinochet fece un colpo di stato in cui morì il Presidente Salvador Allende, alcune migliaia di
cileni, provocando l’esilio di duecentomila persone e instaurando una delle peggiori dittature del sudamerica. L’opinione
pubblica mondiale riuscì, solo dopo 15 anni di regime, a costringere i militari ad indire un referendum in cui si doveva
scegliere tra il ritorno alla democrazia o ad altri 8 anni di dittatura militare. Incredibilmente tutti all’inizio pensavano che
Pinochet avrebbe vinto questo referendum.
René Saavedra ( un Gael Garcia Bernal dalla recitazione estraniata e un po' sottotraccia ) è un giovane pubblicitario di
successo, vive da solo in una casa borghese con il figlio di pochi anni ed è separato dalla moglie la quale finisce spesso
in carcere perchè si oppone al regime di Pinochet. Lui invece pur non accettando la dittatura è un integrato, quasi un
cinico e non crede alla lotta, tanto che lavora con chi è a favore del regime. Ma un amico di suo padre, e dirigente
politico di sinistra, gli chiede di aiutarli per la campagna televisiva del referendum: devono realizzare per tre settimane 15
minuti al giorno di pubblicità politica, proponendo agli indecisi l'alternativa democratica al Generale. Saavedra rifiuta
all’inizio ma lentamente si fa coinvolgere nonostante i dirigenti e i militanti - che hanno sofferto troppo per capire i
cambiamenti – non accettino una ‘ pubblicità ‘ allegra e spensierata nei confronti di un Pinochet che li ha fatti arrestare,
torturare e uccidere. Ma con calma e caparbietà Saavedra sviluppa la sua intuizione: bisogna vendere il prodotto “ futuro “
e non ricordare il passato anche doloroso, raccontare ai cileni con allegria che la democrazia è meglio della dittatura… E
come ci racconta la storia il 5 di Ottobre del 1988 – nonostante brogli e minacce – il fronte del No vince il referendum.
Bello e cinico il finale, non termina con la felicità per il ritorno alla democrazia ma con Saavedra che riprende il lavoro di
sempre ed è ancora una volta pronto a vendere un prodotto ai suoi clienti: quasta volta la pubblicità di una telenovelas
assai improbabile.
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