Antropologia del turista da carneficina

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articolo di sabato 30 luglio 2005
Antropologia del turista da carneficina
di Luca Doninelli
Hanno isolato l’uomo, l’hanno trasformato così bene in un’entità totalmente
quantificabile, che alla fine si sono stancati di lui. Sembra che l’uomo non
sappia più offrire sorprese.
Gli uffici stampa fanno il loro dovere e in occasione delle recenti stragi non
mancano di segnalare i loro pezzi pregiati. Una e-mail di Bollati Boringhieri ci
segnala che c’è in giro - già da un anno e passa - un libro dedicato alle vacanze
nell’epoca delle stragi di villeggianti: Non sparate sul turista di Duccio
Canestrini. L’occasione è buona per leggerlo, visto che c’è appena stata una
strage. Anche qui, tutto previsto. L’industria del capire, la catena di montaggio
della Seria Riflessione. Anche l’orrore ha le sue ricadute economiche (vedi
Huntington), bisogna dar da mangiare ai figli e anche a se stessi. Nessun Hitler,
oggi, edificherebbe la sua Auschwitz senza includervi un multisala, un teatro,
una tv con tanto di reality show (il lager stesso). Forse i nostri pronipoti
studieranno, su manuali più imparziali, il nome dell’intellettuale più influente
tra XX e XXI secolo: Joseph Goebbels, colui che indicò le linee portanti della
società futura. E la fine del tunnel appare lontana.
Duccio Canestrini è un antropologo dotato di un’arma senza la quale è ben
difficile fare antropologia: la penna. Un antropologo deve per forza essere uno
scrittore, perché una lingua di fuoco deve penetrare la materia sempre inerte
dei dati e quella ancor più inerte delle teorie da applicare. Il genio, come la
virtù, sta in mezzo, e in mezzo c’è la lingua.
Il libro di Canestrini è dunque prima di tutto un piacere per chi legge, e questo è
già antropologia. L’orrore di Sharm el Sheikh ci dice che viaggiare al tempo del
conflitto delle civiltà è pericoloso. In realtà, il turismo è sempre stato
pericoloso, viaggio è sinonimo di pericolo. Sarà forse un’osservazione cinica, ma
appare quasi ovvio che, a una sorta di industrializzazione (e spersonalizzazione)
del turismo corrisponda un’industrializzazione del crimine contro i turisti. Non
più polli da spennare, ma interi governi da condannare. Osserva l’autore che,
fin dalle origini, l’«altro» era considerato qualcosa meno che un uomo. Uomo
nel senso pieno della parola era soltanto il cristiano occidentale. Questo vale
per tutte le civiltà, non soltanto per la nostra. Probabilmente il senso
dell’«altro» come pericolo appartiene alla struttura stessa del pensiero umano
(lo dice anche Hegel). Anche i liguri di Santa Margherita detestano i milanesi
che invadono, arricchendola, la loro città... Insomma, l’«altro» è in noi, è una
paura intima.
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Questa tendenza però è sempre stata mitigata, in Occidente, da un’altra, di
segno contrario, che per lunghi secoli si è rivelata prevalente: la tendenza alla
conoscenza. Non tutti quelli che viaggiano lo fanno per conoscere. La
conoscenza è stata per molto tempo uno scopo primario (squisitamente
occidentale e cristiano), e anche quando non lo era si è rivelata uno strumento
decisivo. Pensiamo solo ai progressi delle conoscenze etno e geografiche sotto
l’impulso di interessi economici o, ancor più, strategico-militari. E, qui,
rimando al meraviglioso libro Il grande gioco di Peter Hopkirk dedicato al
conflitto strategico tra Russia e Inghilterra, durante il XIX secolo, per il
predominio in Asia Centrale.
Le carneficine, però, di cui sono state vittime i poveri turisti di Sharm el Sheikh
ci indicano altro - e Canestrini lo dice bene. Diciamo «poveri turisti» a
prescindere dal censo perché qui «poveri» vuol dire «ignari». Ignari non
soltanto dei problemi interni dei Paesi nei quali sorgono i villaggi turistici e gli
hotel che li ospitano, ma ignari anche delle ragioni per cui, oggi, una vacanza a
Sharm el Sheikh è più conveniente di una vacanza a Positano, viaggio incluso.
La conoscenza, in altre parole, è stata esclusa dai giochi. E con essa la forza
personale, individuale, dell’esperienza del viaggio. Qui sta la gravità del tempo
presente. Turista ordinario o turista estremo, il viaggiatore per diporto non
appare più - né per chi sta di qua né per chi sta di là - come un individuo. È
diventato una merce, e come tale viene trattato da tutti, dai tour operator come
dai terroristi. Lo sprovveduto che viene scippato a Napoli o a Caracas, e che
rischia talvolta anche la vita, viene comunque trattato da persona, sia pure una
persona-pollo, una persona da spennare. Ma uccidere venti, duecento uomini
per un terrorista è come boicottare una macchina. Qui sta il problema. Persona
e conoscenza sono sinonimi. È fin troppo evidente che - nel nostro mondo, non
presso quelli là - la persona umana non ha quasi più nessuna dignità, a dispetto
di tutte le carte dei diritti, e che nessuno ha il diritto di conoscere, studiare,
dialogare se non per delega. Lo ha detto anche il ministro Maroni a proposito
del dialogo con l’islam moderato: spetta al premier, non al ministro Pisanu.
Il libro di Canestrini, senza fare troppe prediche, ci racconta tutte queste cose,
un po’ dentro le righe e un po’ tra le righe. Eppure io so che dal tunnel si esce
uno per uno: non per un atto di programmazione, ma per un atto di
insurrezione.
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