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Teatro Stabile della Sardegna
Doris e Irene parlano da sole
di Alan Bennett
Una donna di lettere
traduzione Davide Tortorella
con Maria Grazia Bodio
regia Guido De Monticelli
Un biscotto sotto il sofà
traduzione Adele D'Arcangelo e Francesca Passerini
con Lia Careddu
scene e video Luca Brinchi, Daniele Spanò
costumi Adriana Geraldo
luci Stefano Damasco, Loïc François Hamelin
regia Veronica Cruciani
Lo spettacolo
Particolarissimo incontro, questo, tra due registi, Guido De Monticelli e Veronica Cruciani, per la
messa in scena di due monologhi del più importante e oggi rappresentato drammaturgo inglese,
Alan Bennett. Due punti di vista, due obbiettivi puntati su due storie ironiche, parossistiche, molto
umane, scritte, in origine, per la televisione, ma poi rappresentate con gran successo a teatro e ora
interpretate da Maria Grazia Bodio e Lia Careddu.
Le due messe in scena, pur con approcci diversi, sanno ritrovare una profonda unità di intenti e di
visione, cogliendo nei due testi di Bennett quella struttura a flash, a piccole sequenze, che si
sviluppano come in un rapido montaggio cinematografico, in cui sono ritratte porzioni di vita
quotidiana, lampi di ossessione. Quadri ritagliati nel nero per “Una donna di lettere”, immagini
proiettate sul bianco per “Un biscotto sotto il sofà”.
Una donna di lettere
Alan Bennett ci parla di un’umanità che della solitudine fa una lente sul mondo, un particolarissimo
e molto acuto punto di vista sulla realtà dalla quale pare esclusa. È il caso di Miss Ruddok che
interpreta a suo modo il mondo spiandolo dalla finestra, e ne trae una furente attività epistolare. Da
qui l’ironia già insita nel titolo, “Una donna di lettere”. Scrive lettere, Miss Ruddok, grondanti
sdegno e protesta per tutto ciò che vede, finché non viene affidata agli assistenti sociali, e infine
reclusa per le sue diffamazioni. E nella reclusione ritrova la sua “famiglia”, persone reali, con altre
storie di solitudine e disadattamento. Ecco, darsi da fare, scrivere lettere per loro, come in fondo fa
lo stesso Bennett con le sue creature. E Miss Ruddok ritrova una sua forma di felicità senza perdere
il suo antico vizio.
Sono sette i quadri in cui si dispiega questo soliloquio: come i giorni della settimana, tutti tagliati
come brevi sequenze cinematografiche (o televisive: sappiamo infatti che questi monologhi nascono
per la televisione). Più situazioni, primi piani, “inquadrature”, ritagliate nella sua vita quotidiana,
che vere e proprie azioni; e ciascuna si chiude con il sospettoso sguardo lanciato, attraverso la
finestra, ai vicini di fronte. Qualcosa di questo procedimento iterativo, quasi ad anello, ci riporta
alle strisce dei fumetti: che sono infatti finestre di taglio diverso aperte sulla fissità di certi
comportamenti ricorrenti, di scorci, di ossessivi riflessi condizionati. E ci ricordano appunto
l’inquadratura cinematografica, o fotografica, con la sua netta selezione del campo visivo. Nonché,
appunto, il taglio di una finestra aperta sul mondo.
Sulla base di questa struttura visiva e ritmica saranno ripercorse le sette giornate di Miss Ruddock,
tutte segnate dai fuochi di una follia che si fa metafora del mondo, di una visione diversa e spesso
illuminante che l’anziana di Bennett sa, nella sua aspra solitudine, gettare sulla realtà.
(Guido De Monticelli)
Un biscotto sotto il sofà
Un’anziana signora spaventata dal fatto di essere portata in un ospizio, decide di lasciarsi morire
dentro la sua casa. Un viaggio dentro la psiche umana di una donna sola, senza figli, vedova, che
ormai non conosce le persone che abitano nelle case intorno a lei.
Il mondo reale, esterno, è diventato un pericolo, qualcosa che si stenta a riconoscere; per questo la
protagonista si muove all’interno di uno spazio scenico che non è un luogo realistico ma un luogo
dell’immaginazione e del ricordo.
Una parete bianca come sfondo, uno schermo su cui scorrono immagini tese a ricreare a volte un
angolo della casa della protagonista, altre ad aprire verso paesaggi onirici suggeriti dai ricordi, dalle
fantasia e dalle paure della donna.
Le parole che la donna si racconta la ingannano, le raccontano qualcosa di sé che non è autentico
ma necessario a sopravvivere alla solitudine, alle piccole e grandi frustrazioni che emergono nelle
pause e nei momenti di silenzio.
Questo conflitto tra la parola e il silenzio, tra la verità di una condizione esistenziale e il suo
mascheramento è una delle chiavi del mio lavoro sull’attore.
Questo lavoro è accentuato e amplificato dall’utilizzo del video che riprenderà l’attrice in primo
piano, rendendo visibili i più piccoli movimenti del viso, accompagnando lo spettatore dentro il
mondo interiore di questa donna.
Le due cose che mi hanno appassionato a questo lavoro sono state il testo, scritto da un autore che
amo, e il forte desiderio di recitarlo, emerso dall’incontro con l’attrice. In un monologo il rapporto
tra l’attore e le parole è fortemente personale e come regista, quasi come un’attenta spettatrice, il
mio compito sarà quello di accompagnare l’attrice in questo percorso di conoscenza delle parole e
illuminarne ogni significato.
(Veronica Cruciani)
L'autore
Alan Bennett, pluripremiato scrittore, sceneggiatore e drammaturgo inglese, nasce a Leeds, nello
Yorkshire, il 9 Maggio del 1934. Oltre alla sua attività per il teatro, la televisione, la radio - ma è
anche sceneggiature e scrittore di numerosi racconti e romanzi - fa molte apparizioni come attore.
La voce lugubre eppure così espressiva di Bennett (caratterizzata da quel leggero accento di Leeds),
l'umore aspro e l'umanità evidente della sua scrittura hanno reso molto popolari le sue letture delle
sue stesse opere (specie quelle che sono di matrice autobiografica). Sono altrettanto famose le sue
letture delle storie di Winnie the Pooh.
Molti dei personaggi di Bennett sono sfortunati e oppressi, oppure miti e trascurati. La vita li ha
portati ad una impasse, oppure è passata loro accanto. Bennett ce ne presenta le fragilità. Come si
può vedere nella serie televisiva Talking Heads: una serie di monologhi trasmessi tra la fine degli
anni 70 e gli anni 80 e successivamente portati al Comedy Theatre di Londra nel 1992. Un secondo
sestetto viene scritto dieci anni dopo.
Tra le sue opere, The History boys, acclamatissimo da pubblico e critica, ha ottenuto ben tre Olivier
Awards. Bennett stesso ha ottenuto un Olivier Award per il suo “eccezionale contributo al Teatro
Britannico”, oltre ad altri numerosi premi e riconoscimenti.
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