CREDO IN DIO PADRE ONNIPOTENTE Anche nella Mesopotamia e in Canaan si parlava del dio (Marduk, El) come di un padre, intendendo così esprimere la cura e la misericordia con cui una persona o un popolo si sentiva custodito dalla divinità; nell'AT Dio viene chiamato raramente con questo nome (Sal 103,13; Prov 3,12) ma specialmente in Osea l'immagine viene definita e approfondita (11,1s) sotto l'aspetto della custodia premurosa da parte del Signore verso il suo popolo (anche in Ger 31,9), mentre in Is 1,2 Dio si lamenta di aver cresciuto dei figli ribelli (v. Ger 3,19); in Is 64, 7 e 45,9 Dio è rassomigliato a un padre (= creatore) che plasma con le sue mani il popolo come un vasaio fa con il suo vaso. L'immagine paterna di Dio non è quindi nuova nel suo nucleo quando l'angelo Gabriele annuncia a Maria la nascita del Figlio di Dio; quello che è inaudito è il rapporto unico e personale che Gesù ha con il Padre: non è più solamente il “padre” di Israele, ora è il “Padre mio e Padre vostro” (Gv 20,17), “solo il Figlio ha visto il Padre” (Gv 6,46), “ha dato al Figlio di avere la vita in sé stesso” (Gv 3,35); “per questo il Padre mi ama, perché offro la mia vita” (Gv 10,17) e “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Mentre la gente si domanda “da dove” viene lui e la sua autorità, Gesù afferma di “venire dal” Padre; nel prologo del vangelo di Giovanni si dice che il Verbo “è nel seno” del Padre. Padre = principio Nella vita del Dio-Amore, il Padre esce da sé stesso (e in un certo senso rinuncia a sé stesso) generando il Figlio, uguale a sé nella natura divina anche se distinto nella persona, il quale a sua volta esce da sé stesso donandosi completamente al Padre; questa generazione non è come quella umana che ha una causa (il rapporto sessuale dei genitori) e una nascita nel tempo (apparizione nel mondo), perché il Figlio è eterno, come il Padre e lo Spirito Santo; la paternità-figliolanza è una relazione che dice identità e differenza, perché il Padre genera e non è generato mentre il Figlio non genera ma è generato. Per noi uomini la rivelazione del Padre è quella di un Creatore, che dà origine a tutte le cose; da Lui viene, dopo il peccato, l'iniziativa della storia della salvezza intesa come nuovo principio che si rinnova continuamente nei modi e nei tempi, fino a giungere alla persona di Gesù, nato dal Padre prima di tutti i secoli ma nato nel tempo per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine. Gli scienziati hanno annunciato trionfalmente la scoperta della “particella di Dio”, ossia di una particella che spiega alcune proprietà della materia e avvicina la conoscenza dell'uomo all'inizio dell'universo; ma si capisce che qualsiasi “elemento” materiale (che abbia massa oppure no) richiede una sua causa e origine senza la quale rimane inspiegabile e perciò questa causa “prima” o origine deve essere “non materiale”. Che idea abbiamo noi della vita spirituale? Ci rendiamo conto che è essa a dare principio e senso alla vita materiale e non viceversa, come pensiamo normalmente? Che cosa comporta il fatto che la nostra origine e la nostra meta è l'Amore? Padre o padrone? Il nome di Ba'al, antica divinità cananea, aveva il significato di “padrone” di tutte le cose e persone (così era anche il marito nei confronti della moglie); i profeti fanno fatica a far capire a Israele, di fronte ai fatti luttuosi e tragici che si verificano nella storia, che il loro Dio non è un padrone dispotico e incomprensibile ma un “marito/padre” affettuoso e sincero (Os 2,18; 11,1); così già nell'Esodo Israele cerca di scrollarsi di dosso il forte legame con Dio stabilito con l'alleanza del Sinai, rifiutandosi di obbedirgli e dubitando continuamente delle sue intenzioni; più volte nella storia successiva la ribellione prende il posto della fiducia e apre la strada all'idolatria, riconoscendo non tanto la potenza degli altri dei quanto piuttosto la loro ininfluenza sulla vita concreta. Che posto ha l'obbedienza nella mia vita? “Sia fatta la tua volontà” suona per me come una condanna o come un abbandono fiducioso? Credo veramente che Dio provveda a me ogni istante? La mia preghiera esprime il fatto che Egli conosce benissimo quello che provo e ciò di cui ho bisogno? Padre e/o Madre? Nel libro dei Numeri (11,12) Mosè, lamentandosi con Dio del comportamento del popolo e della responsabilità che gli è stata affidata, domanda “L'ho forse messo al mondo io?” accennando al fatto che Dio è madre oltre che padre; d'altronde anche in Geremia (31,20) troviamo che le “viscere” di Dio (è usata una parola che definisce l'utero materno) si commuovono per la compassione verso Israele e Isaia utilizza il paragone con una madre che consola il proprio figlio (66,13). Nella società israelitica la figura paterna diceva autorità, protezione, educazione, insieme a severità e giustizia; la madre offriva invece amore, tenerezza, consolazione. La fede di Israele applica a Dio tutte le gamme dell'amore parentale, riconoscendo in Lui non un entità “maschile” (come lo era Baal) bensì come il principio che riunisce in sé le caratteristiche dell'uno e dell'altro sesso, genitore in senso pieno senza i limiti della natura umana. Dal fatto che Dio, attraverso Gesù e nello Spirito Santo, ha fatto di noi dei figli adottivi (Rm 8; Gal 4,6) che si rivolgono a Lui chiamandolo “Abbà”, discende una “fratellanza” molto impegnativa, specialmente nei confronti dei poveri e dei deboli, al punto che il bene fatto ad essi verrà considerato fatto allo stesso Gesù. La Chiesa è la comunità dei “fratelli” e in essa non sono ammessi favoritismi (Gc 2,1-13): anzi per il fratello più debole anche i forti hanno il dovere di rispetto e di attenzione (Rm 14). La mia esperienza di Dio è più paterna o materna? Il mondo di oggi ha più bisogno di un Padre o di una Madre? In che modo Dio Padre e Madre può essere riferimento per i padri e le madri di oggi? Ha ancora significato chiamarsi fratelli nella comunità cristiana? Onnipotente o onnifacente? L'onnipotenza di Dio è un postulato indispensabile della sua divinità: non sarebbe Dio se avesse dei limiti alla sua potenza, in qualsiasi campo (deve anche essere onnisciente, onnipresente); secondo la logica umana applicata all'unicità di Dio non è ammissibile che Egli ignori qualcosa o che abbia dei difetti: essendo l'unico autore di tutte le cose Egli riassume in sé la Sapienza, la Bellezza, la Bontà, la perfezione di ogni caratteristica che possa essere contemplata nelle creature. Dovendo difendere l'unicità di Dio e non potendo ammettere la presenza di una entità maligna alla pari di Lui, Israele gli aveva attribuito più che l'onnipotenza, la onni-facienza cioè la facoltà di operare nel mondo sia attraverso il bene che attraverso il male (Is 45,7); più tardi, nel libro della Sapienza, si riconosce a Dio solamente il bene (almeno per Israele) mentre il male è entrato nel mondo per invidia del diavolo (2,24). Gesù ha portato nel mondo (e ne ha dato dimostrazione con i miracoli) la fede nel vero Dio, grazie alla quale “tutto è possibile”, persino spostare le montagne; la rivelazione dell'onnipotenza di Dio si manifesta nella croce, dove l'impotenza si congiunge al potere dell'amore. Che cosa significa per l'uomo di oggi l'onnipotenza di Dio? E' plausibile e compatibile con le storture e le disgrazie che avvengono quotidianamente (“se Dio c'è perché non fa qualcosa?” “Se Dio esiste perché avvengono questi fatti?”)? Dio è invidioso delle conquiste dell'uomo oppure l'uomo è invidioso della grandezza di Dio? Che origine ha il male che sperimentiamo? Onnipotenza e libertà Essere onnipotenti non vuol dire poter fare ogni cosa ma poter fare tutto il bene: fare il male non è potenza ma caduta, non nasce dalla pienezza ma dal vuoto, produce effetti ma in realtà si tratta di difetti. Il Dio libero ha dato all'uomo la libertà (insieme alla intelligenza, che ne è il presupposto) quale segno distintivo della somiglianza con sé stesso; per rispettare la libertà umana Dio ha scelto di limitare la propria onnipotenza al punto di permettere persino i mali peggiori, senza tuttavia smettere di costruire a dispetto di ogni ostacolo un futuro di bene; la venuta di Gesù nella carne, la sua vita e la sua morterisurrezione è il culmine di questo progetto positivo, dal quale discende poi ogni bene: la sua croce è il simbolo dell'onnipotenza divina che trasforma il male in bene, prendendo su di sé il peso del peccato commesso dall'uomo per ignoranza. A noi piacerebbe molto un Dio onnipotente, che limitasse la libertà dei malvagi e degli sciocchi: potrebbe ancora essere padre in questo caso? E' meglio la libertà rischiosa o la bontà costretta? Come posso manifestare la libertà dei figli di Dio in questo mondo che attende proprio questo? Che rapporto c'è tra onnipotenza e giustizia? Onnipotente nell'amore Se Dio è Amore, l'amore è la pienezza, l'origine e il fine di ogni creatura: l'onnipotenza di Dio perciò si manifesta nella grandezza dell'amore che vince ogni paura e debolezza del mondo, persino la morte. Nessuna opera è più grande di questa: senza stravolgere la creatura umana, Dio per mezzo di Gesù ha compiuto ciò che ha rinnovato la sua natura corrotta dal peccato, e ha mandato per questo lo Spirito Santo, che è l'Amore del Padre e del Figlio. Sono disposto/a a credere nella potenza dell'amore? Voglio essere amore per sconfiggere il male che sta intorno a me e dentro di me? Chiedo a Dio il dono dello Spirito Santo?