BYE, OLIVER di Cristina Meini Ognuno di noi (almeno me lo auguro) ha i suoi miti buoni, persone che lo hanno aiutato a crescere indicandogli qualcosa. Talvolta sono miti del passato, ma quando sono a noi contemporanei sembra quasi che quel pezzo di strada la si faccia insieme. Un mio mito personale da qualche settimana non c’è più, e per questo lo voglio raccontare. Nel 1986 apparve in Italia, dal geniale editore Adephi, l’Uomo che scambiò sua moglie per un cappello; un titolo troppo bello per non essere già una promessa. Fu in quell’occasione che conobbi Oliver Sacks. L’uomo in questione era il signor P., un paziente del dottor Sacks colpito da una grave forma di agnosia visiva e prosopagnosia che gli impedivano di riconoscere persino gli oggetti e le persone più prossime, come accadde anche quella volta che, accingendosi a uscire dallo studio del suo medico, invece di prendere il cappello afferrò la testa di sua moglie. Sacks divenne assai più noto con altre pubblicazioni, spesso trasformate in celebri film. Quanto a me, cominciai a frequentare la neuropsicologia – perché così si chiama la sua disciplina – e conobbi casi persino più strani. Ma Oliver restò un modello, non solo di scienza ma anche e soprattutto di scrittura. La malattia si trasformava con lui in persone e vite, drammi individuali e familiari, tentativi di ritrovare comunque un equilibrio. Ognuno poteva leggere in quelle pagine ciò che voleva, riconoscendo la fortuna di non essere malato, o cogliendo un suggerimento per dare un senso a un disturbo che non se ne va, ma resta lì e cambia per sempre noi e chi ci sta intorno. Comprensione, compassione e tanta ironia. Oliver Sacks adorava la musica, ma quanto la adorasse ce l’ha detto solo di recente. Era un suo piacere estetico puro – credo il più significativo – accompagnato dalla convinzione fortissima che la musica possa curare. Musicophilia (ancora e sempre Adelphi) racconta diversi casi clinici, persone che, per un incidente cerebrale o una malattia neurologica congenita, hanno cambiato il loro modo di vivere, sentire e fare musica. Amusici che non sentono il suono come musica e sono davvero stonati come una campana, che d’altronde alle loro orecchie non è diversa da una melodia; persone che hanno perso il senso del ritmo, ma anche savants; sindrome di Tourette (se ne discute a proposito di Mozart), autismo (Glenn Gould?). Il suo omaggio più toccante alla musica, e alla persona malata, è però la sua lunga apparizione nel documentario Alive Inside, che racconta storie di persone amnesiche risvegliate dai suoni. Come il vecchio in stato di totale assenza che sentendo musica in cuffia spalanca gli occhi, guarda l’infermiera e parla lucidamente di quando, giovane, ascoltava Cab Calloway, il suo cantante preferito. Da non perdere. CANTABILE.IT—ANNO VI, N. 33, OTTOBRE 2015 © TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI