Sperone (spina) calcaneare

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Chir. Org. Mov Vol. LXVI N° III
TALAGIE E SPERONI CALCANEARI : INQUADRAMENTO NOSOGRAFICO
ED IPOTESI EZIOPATOGENETICHE
G. BACCARANI, L. BATTAGLIA
Descritto per la prima volta nel 1900 da Plettner nella parte inferiore del calcagno,
lo sprone calcaneare è stato più volte oggetto di attente considerazioni e valutazioni
specialmente dal punto di vista eziopatogenetico: a tutt'oggi gli elementi accertati a
cui si è pervenuti sono:
1. non è una forma morbosa congenita;
2. può essere localizzato sia inferiormente che postero-superiormente ;
3. si riscontra quasi esclusivamente oltre una certa età (in genere oltre i 40 anni);
4. spesso è associato a piede piatto o piede piatto traverso;
5. quasi sempre è asintomatico.
Partendo da quest'ultima osservazione Arandes e Viladot (1953) lo hanno studiato
da due punti di vista ben distinti; da un lato come reperto anatomico riscontrato
casualmente nelle radiografie di molti piedi e che molte persone presentano in forma
asintomatica, e dall'altro come eventuale responsabile di alcune forme talalgiche che
si accompagnano alla sua presenza.
Gli Autori citati, in uno studio accurato sulla biomeccanica del catalogo, fanno
riferimento ai 5 sistemi trabecolari che compaiono nel calcagno stesso:
1. il sistema talamico;
2. il sistema dell'apofisi anteriore;
3. il sistema plantare;
4. il sistema achilleo;
5. il sistema del sustentaculum tali.
Il sistema achilleo, sul quale dobbiamo soffermarci, formato dalle trabecole posteroinferiori, più che un sistema rappresenterebbe un elemento di unione fra il tendine di
Achille e la aponeurosi plantare; ha infatti un punto di ossificazione indipendente e la
sua unione con il resto dell'osso avviene solo nell'età adulta. II tendine di Achille, che
si inserisce nella parte superiore del calcagno, le inserzioni dei muscoli plantari e
della aponeurosi che partono dalla porzione inferiore ed il sistema achilleo,
costituirebbero una unità funzionale indipendente: «il sistema achilleo-calcaneoplantare »; il calcagno agirebbe pertanto come un grosso osso sesamoideo con
funzioni simili a quella della rotula fra quadricipite e tendine rotuleo.
La comparsa di formazioni ossee nel contesto di questo sistema, in corrispondenza
dei punti di maggior tensione e trazione (parte inferiore e posteriore del calcagno)
non sarebbe che la accentuazione di un processo fisiologico: sempre secondo gli
Autori citati, la prominenza neoformata passerebbe attraverso le fasi di proliferazione
midollare e vascolare, neoformazione osteofibrosa ed infine metaplasia in sostanza
ossea spongiosa; lo sprone sarebbe pertanto un fenomeno quasi obbligato nella
evoluzione senile de! piede. Concordando con la citata ipotesi eziopatogenetica
riteniamo che le neoformazioni calcaneari siano diretta conseguenza di fenomeni di
trazione e di tensione, come del resto è facile rinvenire in altri distretti in cui agiscono
potenti fasci muscolari, ad esempio il polo superiore della rotula con la sua inserzione
del quadricipite e l’apice olecranico con la inserzione del tricipite (fig. 1)
Il discorso, però si fa più interessante e importante quando si passa a considerare il
ruolo che queste, che potremo denominare genericamente, « iperostosi marginali »,
possono ricoprire nella insorgenza di una forma dolorosa.
Nel ginocchio e nel gomito infatti, non sottoposti all'azione del carico diretto, esse
non creano problemi particolari, nel piede invece saltuariamente danno origine a
talalgie che talora arrivano ad impedire una corretta deambulazione. La maggior parte
degli Autori che si è interessata al problema è concorde nel ritenere che lo sprone non
sia direttamente responsabile della sintomatologia dolorosa ed a conferma di ciò
vengono costantemente riportati due fenomeni di comune riscontro:
1) la frequente comparsa di talalgie in assenza di sproni evidenti;
2) la ancora più frequente presenza di sproni assolutamente indolenti.
Secondo Arandes e Viladot, nella patogenesi del dolore debbono avere importanza
altre lesioni sovrapposte o associate, come la presenza di una borsite irritativa oppure
la sollecitazione meccanica da calzature incongrue o infine la comparsa di fenomeni
di periostite per trazione eccessiva dei muscoli plantari (come ad esempio nel piede
piatto).
Secondo Massera (1948) la genesi del dolore sarebbe da riportare ad una azione
irritativa meccanica sul nervo calcaneare interno con processi di sclerosi perifocale e
borsite.
Secondo Grassi e Murari (19~5) l’effetto meccanico di trazione influenzerebbe in
modo decisivo la comparsa del dolore.
A nostro giudizio per risalire alle cause responsabili della sintomatologia dolorosa è
necessario un breve ricordo anatomico.
Alla tuberosità calcaneare si inserisce, superficialmente, la aponeurosi plantare,
formata da una robusta lamina connettivale che si irradia distalmente in 4-5 fascicoli
divergenti; essa svolge la duplice funzione di aiutare la stabilità della volta
longitudinale e di proteggere le unità anatomiche sottostanti (muscoli, vasi e nervi)
dalle sollecitazioni pressorie dirette. Subito al di sotto della aponeurosi troviamo
numerosi gruppi muscolari che, pur costituendo tre logge ben distinte (mediale,
intermedia, laterale) hanno in comune la inserzione prossimale alla tuberosità
inferiore del calcagno: essi sono l’abduttore dell'alluce (loggia mediale), il flessore
breve delle dita (loggia intermedia) e L’abduttore del 5° dito (loggia laterale). Questo
significa che sulla tuberosità calcaneare possono agire sia forze di trazione passive
che attive, in grado di generare fenomeni reattivi di tipo produttivo a livello delle
inserzioni muscolo-aponeurotiche, che non possiamo esimerci dal giudicare
direttamente responsabili della sintomatologia dolorosa analogamente a quanto
avviene nelle epicondilalgie.
Analizzando più attentamente la sintomatologia dello sprone calcaneare e della
epicondilalgia, notiamo come numerosi e singolari siano i punti di contatto: già dal
punto di vista eziopatogenetico in entrambe le forme si può riconoscere molto spesso
un meccanismo irritativo da microtraumi ripetuti, il classico tennis-elbow degli
sportivi o la epicondilalgia dei muratori che usano ripetutamente la cazzuola da una
parte, la talalgia nei portatori di piede piatto da eccessivo stiramento della aponeurosi
plantare o nei camerieri da sovraffatica mento dei muscoli plantari brevi dall'altra.
Così del resto in entrambe le forme morbose si possono trovare casi senza una causa
ben definita in cui il dolore può rappresentare unicamente una manifestazione locale
di una forma morbosa generalizzata, una localizzazione extra-articolare, cioè, di una
malattia primitiva articolare (artrite reumatoide, collagenosi o lupus ecc.).
Anche dal punto di vista anatomo-patologico le analogie sono piuttosto singolari:
fenomeni di miotendinosi con diffuse infiltrazioni parvicellulari, intersecate da tralci
di tessuto cicatriziale ripartivo, si associano spesso alla presenza di vere e proprie
borsiti.
Secondo Vanni e Nuti la associazione fra sprone e borsite rappresenta un carattere
pressoché costante e le due entità nosografiche sono in rapporto di stretta
interdipendenza.
Ed infine anche nel trattamento terapeutico troviamo evidenti analogie: riposo (con
apparecchi gessati nel gomito e con plantari di scarico nel piede), trattamento medico
locale e Roentgenterapia in entrambe le forme morbose, fino a giungere, nei casi
più resistenti, all'intervento: questo, analogamente a quanto pratichiamo nel gomito
dove vengono staccate le inserzioni degli epicondiloidei, anche nel calcagno si
propone di detendere le formazioni plantari, scollandole completamente, e che per far
questo in maniera razionale il più delle volte si sia costretti ad asportare lo sprone, è
un
mero elemento di tecnica chirurgica.
Il concetto non è del tutto nuovo, se è vero che già nel 1935 Spitzy, in analogia con
l’intervento di Homann per la epicondilalgia, consigliava una « fasciotomia plantare
»
mirante ad interrompere la eccessiva tensione della aponeurosi plantare; questo
intervento, che a detta dell'Autore e di altri che in seguito l’adottarono (Hallerigh e
Lewin, Grassi e Murari) ha dato buoni risultati, agisce, secondo il nostro parere, su
una sola componente (l’aponeurosi), lasciando intatta quella legata ai muscoli
brevi plantari. Al fine di realizzare una rimozione veramente completa e razionale
della componente flogistico-irritativa che dà origine alla talalgia, il nostro indirizzo
chirurgico è stato pertanto quello di eseguire uno scollamento completo di tutte le
entità anatomiche che si inseriscono alla tuberosità calcaneare.
TECNICA CHIRURGICA
Previa breve incisione lineare lungo il bordo mediale del calcagno, cercando di
evitare alcuni piccoli rami sensitivi che passano obliquamente dall'alto in basso, la cui
sezione porta ad una piccola zona di ipoestesia sottocalcaneare, si giunge sul piano
osseo, dove, stando accuratamente aderenti al calcagno (per non ledere il ramo
plantare
mediale dell'arteria tibiale posteriore), si staccano con tenotomo o meglio con
scollaperiostio, tutte le formazioni inserite, mantenendo contemporaneamente in
massima tensione la volta plantare fino ad avvertire una chiara sensazione di
cedimento; come già accennato in precedenza, spesso per ottenere una completa
liberazione e necessario asportare lo sprone o staccarlo con un colpo di scalpello.
Una fasciatura modicamente compressiva verrà mantenuta per alcuni giorni, dopo di
che, una volta controllata la ferita, verrà concesso il carico con appoggio
sull'avampiede, per passare poi al carico diretto con plantare di carico in 15a giornata
circa.
CASISTICA
La nostra casistica riguarda solo i 15 pazienti venuti a controllo, ad una distanza
minima di un anno e massima di 10, per un totale di 20 talalgie: 6 appartengono al
sesso femminile e 9 al maschile; l’età varia da un minimo di 36 anni ad un massimo
di 67 con netta prevalenza del 4° e 5° decennio.
Come elementi patogenetici ritroviamo 5 casi di piede piatto conclamato, 3 casi di
attività lavorative legate a prolungata stazione eretta (due camerieri ed una operaia
di linea), due casi con artrosi polidistrettuale, una vera artrite reumatoide, un obeso ed
un gottoso.
I1 decorso postoperatorio non ha quasi mai creato complicazioni: in un solo caso,
donna di 5~ anni, si è avuto un iniziale e transitorio risentimento di tipo flebitico
risoltosi in breve tempo: in due casi la ferita è guarita per seconda intenzione, in 4
casi, come complicanza tardiva, abbiamo riscontrato una zona di ipoestesia
interessante il versante plantare del calcagno dovuta a lesione dei rami cutanei
mediali calcaneari.
I risultati a distanza sono stati sempre buoni, in alcuni con beneficio immediato,
in altri invece a distanza di qualche mese; un solo paziente, un uomo di 40 anni
obeso, ha tratto scarso vantaggio dall'intervento.
RIASSUNTO
Gli Autori, basandosi su una rapida revisione di una ventina di interventi per talalgia
associata a sproni calcaneari inferiori, prospettano I'ipotesi patogenetica che la
talalgia rappresenti la diretta conseguenza di un abnorme stiramento delle strutture
muscolo-aponeurotiche della pianta del piede, mentre l’iperostosi marginale del
calcagno rappresenta un mero reperto accidentale, che può anche non essere presente
(ovvero, anche se presente, non determinare alcuna sintomatologia).
Questa forma morbosa può pertanto essere assimilata, sul piano eziopatogenetico e
clinico, alla epicondilalgia
da eccessiva trazione muscolare; ciò è confermato dagli esiti soddisfacenti degli
interventi chirurgici che realizzano il distacco muscolo-aponeurotico dalle aree
scheletriche sedi della sintomatologia sia nel gomito che nel calcagno.
BIBLIOGRAFIA
Bibliografia
1. Arandes R., Viladot A.: Biomeccanica del calcaneo, «Med. Clin.», 21, I, 25, 1953.
2. Battaglia L., Busanelli T., Trabucchi L.: Gli sproni calcaneari. Studio patogenetico
ed anatomo-patologico, «Chir. Org. Mov.», 47, 28-44, 1959.
3. Grassi L., Murari P.: La fasciotomia plantare a cielo aperto nel trattamento della
talalgia, «Atti SERTOT», vol. X, 3, 595-609, ~965.
4. Massera L.: Le esostosi sottocalcaneari nella loro eziopatogenesi e nei loro rapporti
con il piede piatto, «Atti Soc. It. Ort. Traum.», 226-233, ~948.
5. Spitzy H.: Operation bei schmerzhaften Kalkaneussporn. (70 Falle), «Munghen
Med. Wehrschr.», 84, 807-808, 1937.
• Vanni E., Nuti F.: Considerazioni comparative fra sproni calcaneari ed olecranici,
«Arch. Ortop.», LXXVI, 233-241, 1963.
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