RIASSUNTI CASI CLASSICI DELLA PSICOLOGIA (G. ROLLS) 1 SOLOMON SHERESHEVSKY Nasce in Lettonia da padre libraio ricorda tutti i libri a memoria. Madre ebrea, ricorda lunghi passi della Torah. Lavora presso un giornale locale e il redattore scopre la sua capacità di memoria straordinaria. Presso l'Università locale conosce Alexander Romanovich Lurija che lo studia per i successivi 30 anni. Sperimentano il test del serial probe (memoria seriale): questa tecnica prevede che l’esaminatore legga una lista di parole, ad esempio “cane, gatto, casa, barca, sole”, successivamente produrrà un item bersaglio della lista, ad esempio “casa”, il partecipante dovrebbe ripetere “barca” che è l’item seguente all’item bersaglio presentato precedentemente dall’esaminatore. Jacobs nel 1887 mette a punto la tecnica detta del digit span. Questa implica l’aumento graduale degli item da ricordare fino a quando il partecipante non inizia a confondersi e non è più in grado di ricordare gli item più lunghi nell’ordine corretto. Lo span tipico è di 7 item, più o meno 2. Quando viene data una lista di numeri o parole da memorizzare, le persone comuni spesso ricordano i primi e gli ultimi item della lista. Il ricordo dei primi item è il cosiddetto effetto “primacy”, mentre quello degli ultimi è detto effetto “recency”. Questo modello di richiamo è noto come “effetto seriale di posizione” Solomon aveva una memoria prodigiosa. Nel tempo per migliorare la sua memoria, avendo cominciato a fare spettacoli (ci costruì una carriera!!!!) imparò a usare delle tenciche, come il metodo dei Loci, una mnemotecnica che Solomon utilizzava allo scopo di ricordare gli item in una sequenza particolare. Questo metodo agisce immaginando gli “oggetti da ricordare in un posto familiare” e risale all’antica Grecia, dove gli oratori già l’usavano per ricordare lunghi discorsi. Lurjia concluse che Solomon aveva una forma pronunciata di sinestesia. La sinestesia deriva dal termine greco syn “insieme” e asthesis “percezione”. È una forma di percezione combinata dove due o più sensi si intrecciano ciò comporta che quando un senso è stimolato scatta automaticamente l'altro senso che agisce involontariamente (alcuni sinestetici quando ascoltano una nota vedono un colore, non è detto però che vedendo quel colore la mente evochi quella nota) Per Solomon era proprio così: quando sentiva una parola al di là del suo significato questa in lui evocava simultaneamente un immagine (rosso evocava un uomo con una camicia rossa). Il grande problema di Solomon era proprio la sua abilità perché spesso non riusciva a seguire un pensiero logico perché le immagini lo portavano alla deriva, infatti non riusciva a dimenticare. Per questo tentò varie strategie per dimenticare, perché a forza di fare spettacoli gli si incrociavano le informazioni in testa! Alla fine pare ci sia riuscito soltanto cercando deliberatamente di dimenticare. 2 HENRY MOLAISON Nasce nel Connecticut nel 1926. All'età di nove anni incidente con la bicicletta. All'età di 16 anni prima crisi epilettica. Grandi problemi scolastici e sociali perché cattiva gestione della malattia da parte dei genitori. Nell'800 alcuni sostenevano i benefici effetti delle sedie rotanti, altri scuotevano i pazienti per ore, mentre altri ancora li immergevano nell’acqua ghiacciata: la speranza era che tali trattamenti avrebbero restituito la sanità alla mente disturbata del paziente mediante un effetto shock. Tra l’altro a volte i malati (poveri disgraziati) diventavano mansueti per la paura dei trattamenti. Una crisi epilettica è causata da un cambiamento temporaneo nel modo di lavorare delle cellule cerebrali: nell’enorme rete di neuroni che costituisce il cervello, miliardi di messaggi elettrici vengono inviati avanti e indietro. Pensieri, sensazioni e comportamenti costituiscono il risultato dell’ampio intreccio di tali connessioni. Raramente, senza nessuna avvisaglia, uno scompiglio nella chimica cerebrale può far sì che questi messaggi divengano confusi, i neuroni “scaricano” più velocemente del normale e si bruciano. Una crisi epilettica di solito dura solo pochi secondi o minuti e in seguito le cellule cerebrali tornano a funzionare normalmente. Benché l’epilessia si presenti spesso con un tratto di familiarità, può altrettanto spesso non essere associata ad alcuna causa nota in grado di spiegarne la comparsa. Moniz negli anni ’30 decanta i suoi esperimenti sulla lobotomia sulle scimmie (rimozione dei lobi frontali). Il Professor Walter Freeman, neurologo americano, accolse con entusiasmo queste nuove tecniche “invasive” e iniziò a decantare le loro virtù dall’altro lato dell’Atlantico. Moniz e Freeman pubblicarono un libro influente che promosse l’uso delle lobotomie per curare i malati di mente: il numero delle lobotomie ese- guite negli USA aumentò da 100 nel 1946 a 5000 nel 1949. Freeman, descritto come un personaggio ribelle e controverso, sviluppò una tecnica che richiedeva di sollevare la palpebra del paziente e di inserirvi un leucotoma (uno strumento simile ad un rompighiaccio) attraverso il dotto lacrimale. Egli spingeva il leucotoma fino a 3 centimetri e mezzo nel lobo frontale muovendo la punta sottile avanti e indietro, ripetendo poi la stessa procedura anche nell’altra orbita. Bill Scoville, anch’egli entusiasta della tecnica, operò Henry rimuovendo gran parte dell'ippocampo, dell 'amigdala e delle corteccia perinale ed entorinale. Grazie a questo errore oggi sappiamo che l'ippocampo svolge un ruolo fondamentale nell'apprendimento e l'amigdala svolge un ruolo nell'organizzazione delle informazioni sensoriali. Dal momento del risveglio di Henry fu subito chiaro che aveva perso la memoria. Era affetta da amnesia anterograda. Non ricordava nulla antecedente al trauma. All’inizio H.M. sembrava essere affetto anche da amnesia retrograda (perdita di memoria prima del trauma), ma gradualmente iniziò a recuperare le memorie precedenti l’intervento. Lavoro lungo per recuperare il ricordo di una parte della sua vita. Non poteva ricordare più niente di appreso da quel momento in poi, non ricordava le persone, quello che aveva letto o fatto, se era morto qualcuno….niente! L’apporto di H.M. alla scienza è il riconoscimento di forme di memoria localizzate nelle differenti aree del cervello. Ruolo dell'ippocampo: archivia nuove memoria e le associa ad altri significati. Henry poteva apprendere nuove cose ma non ne manteneva memoria. Memoria né episodica (non ricordava il suo compleanno) né semantica (non sapeva chi era il presidente degli stati uniti). Morì all'età di 82 anni autorizzando l'espianto del cervello. I ricercatori hanno scoperto che la memoria a breve termine non è localizzata nell’ippocampo; che esistono diverse forme di memoria a lungo termine; che l’ippocampo non è implicato nella codifica o nella ritenzione di memorie procedurali; che l’ippocampo è implicato nella formazione di nuove memorie a lungo termine (episodiche e semantiche) e che la personalità non è largamente colpita dalla perdita dell’ippocampo. 3 SIDNEY BRADFORD (l'uomo deluso da quel che vide) Nasce a Birmingham nel 1906 A 10 mesi infezione che gli provocò perdita della vista. Ebbe una vita ricca nonostante la sua cecità, calzolaio con una serie di attrezzi fatti apposta per lui. Grazzie ai miglioramenti della medicina nel 1958 subisce un trapianto corneale e riacquista la vista. Fu seguito dal Dott. Gregory e dal suo assistente Wallace. Gli stessi lo esaminarono prima e dopo l'intervento e notarono che nonostante cecità Sidney era sicuro di sé e contento della sua vita. Dopo l'intervento teneva lo sguardo fisso e non esplorava la stanza a meno che non gli fosse richiesto. S.B era in grado di riconoscere gli oggetti, ma sua capacità era legata a come li ricordava con la mente e l’esperienza. Forma di apprendimento legata al tatto e non riusciva a trasformare la stessa in un apprendimento legato alla vista. I dottori che lo tennero in cura gli sottoposero una serie di test percettivi dai quali emerse la sua difficoltà nel riconoscere la profondità degli oggetti. Sydney era molto limitato nella percezione della profondità non riusciva riconoscere i colori e aveva tutta una sorta di incapacità legate al fatto che durante l'infanzia non ha avuto un apprendimento lento e costante del linguaggio visivo. Fornisce tuttavia buoni indizi sull'attività crossmodale perché di fatto riusciva ad applicare in modo abbastanza rapido al linguaggio visivo ciò che aveva imparato con quello tattile. Dopo l'entusiasmo dei primi tempi cominciò ad essere deluso, lo annoiava tutto e aveva un carattere tendenzialmente depresso e se prima era ammirato per essere un cieco così attivo e abile, ora era semplicemente uno strano. Cercò comunque sempre di non apparire ingrato. Forse la cosa più interessante che emerge dallo studio su Sydney è che molti indizi percettivi non sono abbinati Bensì appresi. Piano piano divenne sempre più depresso fino a morire. Il contributo di Sydney alla scienza furono gli studi sulla percezione su come sia difficile apprendere nuove abilità, senza che queste seguano il normale percorso di sviluppo della vista nella prima infanzia. La sua esperienza percettiva si costruì sopratutto attraverso il tatto, pertanto fu deludente e difficile convertire la stessa in una percezione visiva. La sua organizzazione spaziale non era normale, suggerendo che alcuni indizi percettivi non sono innati ma appresi. 4 KIM PEEK (RAIN MAN) KIm Peek nasce l’11 novembre del 1951. Aveva la testa più grande del normale di un 30% rispetto agli altri. Ebbe un'infanzia molto particolare perché il collo non riusciva a sostenere la testa, gli occhi si muovevano come quelli di un camaleonte ed ebbe un tipo di crescita assolutamente straordinario, tra cui un’anomala escrescenza dietro la testa. A nove mesi durante una visita fu dichiarato ritardato mentale. L’escrescenza sulla testa rientrò verso i tre anni circa e si pensa che tale rientranza provocò un danneggiamento a metà del suo cervelletto (motivo per cui aveva difficoltà motorie). Si muoveva con difficoltà ma i suoi genitori rifiutarono di metterlo in istituto e gli dedicarono tutta l'attenzione possibile. Un giorno il padre si accorse che era in grado di memorizzare qualsiasi cosa leggesse e cominciò a divorare libri. Aveva una capacità di lettura e una memoria straordinaria poteva arrivare a leggere otto libri in un giorno ricordando il 98% di quello che aveva letto, addirittura leggendo con un occhio una pagina e con l'altro l'altra (che schifo!). Però era totalmente incapace neicompiti creativi e nel comprendere metafore e proverbi prendeva tutto alla lettera esattamente come un computer. Aveva molte altre abilità però una scarsissima coordinazione motoria ed era imbranato in tutte le cose normali della vita. Dal punto di vista clinico e la cosa più evidente che saltò agli occhi alle lastre era che il corpo calloso mancava, i due emisferi erano uniti insieme e probabilmente la sua difficoltà motoria era dovuta ai danni al cervelletto. Kim Peek era un “savant”. Il termine salvante fu coniato da Down nel 1887 lo stesso della sindrome di Down. Generalmente sembra che queste persone abbiano le doti dell'emisfero sinistro del cervello lese e quelle di quello destro sovrasviluppate. Qualcuno ha ipotizzato che la causa per i savant potrebbe essere la presenza di troppo testosterone nel feto: essendo tossico per le cellule cerebrali dello stadio fetale questo lederebbe l'emisfero sinistro che rimane in più esposto all’ormone perché si forma più lentamente. Kim eccelleva in musica arte calcolo matematico, meccanica. Lettura smisurata nella sua vita lesse circa 12.000 testi ricordava tutto. Una radiografia effettuata quando aveva 32 anni mise in evidenza che il suo cervello aveva un massiccio emisfero cerebrale e che i tessuti e le varie aree sembravano fuse insieme. Grandi abilità in molte competenze musicali, nella memoria, capacità di leggere un libro capovolto, ma aveva grosse difficoltà nell’espletare semplici capacità quotidiane, Kim aveva bisogno di essere aiutato addirittura per vestirsi e lavarsi. Fu contattato da un produttore di Hollywood che seppe delle sue capacità e ne volle fare un film Dustin Hoffman visse con lui per imparare a muoversi e a ripetere i suoi stessi atteggiamenti. Il suo contributo alla scienza fu quello di aver messo in luce le capacità dei savant. I cosiddetti savant presentano una condizione rara dove una o più abilità cognitive risultano assolutamente brillanti in netto contrasto con il funzionamento generale e le limitazioni globali. Sebbene questo disturbo sia la maggior parte delle volte legato all'autismo non sempre è così Kim non era un semplice savant aveva ben 15 abilità straordinarie poteva essere considerato un mega savant. Molte teorie sono state fatte rispetto ai savant, come sul fatto che focalizzano la loro attenzione sullo sviluppo di alcune abilità sui dettagli e che ciò favorirebbe la loro memoria eccezionale, che possiedono una percezione accresciuta e che possano quindi accedere ad informazioni che normalmente una mente non è in grado di fare. Per quanto riguarda Kim una lesione all'emisfero sinistro ha dato luogo a una iper compensazione da parte dell'emisfero destro. Ma si è anche verificato che adulti in seguito a un danno aell'emisfero sinistro abbiano sviluppato abilità di tipo savant acquisite. Questo ci fa pensare che forse tutti noi utilizziamo solo una parte delle nostre capacità. Ricerche future aprono l'interessante prospettiva di usare una stimolazione magnetica trans cranica per inibire funzioni di aree specifiche e vedere se le stesse siano compensate dall'utilizzo di altre aree cerebrali. Probabili capacità di tipo savant in ogni individuo. 5 HOLLY RAMONA (la natura della memoria) La famiglia Ramona era la famiglia perfetta americana. Tuttavia una delle figlie, Holly, cominciò ad ingrassare e nell'89 andò da Marche Isabella una terapista esperta in bulimia. Attraverso l'utilizzo di un farmaco amytal sodium (farmaco della verità) vennero alla luce 12 anni di ricordi rimossi e di abusi subiti dal padre gary RAMONA. Holly fu immediatamente visitata ed emerse che aveva un po' l'imene lacerata. Ma durante le sedute di terapia emersero sogni di serpenti, l'incapacita di Holly di mangiare una banana Intera, la sua avversione per la maionese o il formaggio fuso. Iniziò un processo che fu abbastanza controverso perché si basava sopratutto sull'importanza dei ricordi rimossi. Questi erano già venuti alla luce attraverso Freud, alcune dimenticanze fanno parte di un processo inconscio ma motivato, ritenendo che noi dimentichiamo perché alcuni ricordi sono troppo dolorosi perché restino al livello di consapevolezza. Pertanto rimangono soggiacenti nell'inconscio e poi essere invocati da un stimolo particolare, un odore, un gusto, o anche un evento simile. Dalla terapia cominciarono ad uscire fuori ricordi di stupro avvenuti da parte del padre visto che la Marche affermava che la maggior parte delle bulimie sono dovute ad abusi in età infantile. Il padre, Gary, negava la cosa però oramai la famiglia era compromessa moglie e sorelle si schierarono con Holly e Gary rimase solo contro tutti e fu anche licenziato. Il caso fece molto scalpore tuttavia al processo dissero che non c'erano prove sufficienti per incolpare il padre. Venne incolpata in parte la terapista in parte persone coinvolte nell'accusa così tutta la famiglia restò divisa. La rimozione può essere elaborata o con dissociazioni o senza. Nel secondo caso è possibile che con u’analisi riescano a venir fuori i famosi ricordi rimossi. Levincer e Clarke nel 61 fecero studi sull'associazione di parole emotivamente significative o neutrali con le isposte galvaniche cutanee e dimostrarono che essendo più ansiogene le parole emotivamente significative creavano più problemi nelle associazioni e nella loro gestione. Ma questo non è universalmente accettato, anzi c'è chi dice che è sempre semplice difficoltà di associazione perché sono concetti astratti. Anche Bressel van der Kolk sostiene la teoria dei ricordi rimossi. Ha fatto diversi studi sui pazienti posto traumatici ed è emerso che la memoria a breve termine è momentaneamente compromessa con tratti dissociativi. Poi nel tempo il nella memoria a lungo termine avviene come una forma di ricostruzione della memoria traumatica. C'è l'esempio di Piaget che testimonia come esistano anche i falsi ricordi di cui il paziente ha memoria vivida e accurata perché suggestionato. Il grande dubbio è questa polivalenza del ricordo e quindi se accettare la rimozione dissociativa o meno. Molti ricordi possono essere costruiti attraverso suggestione o ipnosi quindi il problema rimane. Ricordare vizio di memoria della distorsione. In tal caso possiamo pensare che i ricordi posso essere impiantati perché raccontati in maniera verosimile. Altri accademici, in questo caso Elizabeth Loftus, studiarono proprio tali possibilità, e cioè che i ricordi di Holly erano il risultato di suggestione e di ricordi inaccurati. Così come affermava la Loftus possono emergere dei ricordi perché vengono poste delle domande che rendono l'evento probabile. In tal caso vennero proposti degli esperimenti ai quali a degli studenti venivano descritti degli incidenti a loro realmente accaduti durante l'infanzia, e un incidente che invece non era accaduto loro. Una buona percentuale dei ragazzi intervistati credevano nel falso ricordo. Per tanto è corretto usare le memorie rimosse in caso di drammi come quello di Holly Ramona che mise in crisi un intera famiglia? Nonostante si riconosca l'importanza dei ricordi rimossi essi possono contenere comunque un certo grado di distorsione nel riportarli alla memoria. Per tanto ricordi rimossi o ricordi impiantati? Non abbiamo la certezza né dell'uno né dell'altro. 6 CATHERINE KITTY GENOVESE (poraccia!) Il 13 marzo 1964 mentre Catherine torna a casa viene aggredita accoltellata e violentata. La cosa che fece inorridire la giuria fu che il fatto durò circa 32 minuti nonostante assistettero a tale evento violento e traumatico circa 38 persone. Nessuna accolse le grida di aiuto di Catherine e nessuno chiamò la polizia. Molti esperti successivamente cercarono di spiegare questa apatia dei testimoni, la loro riluttanza nell'intervenire, come una sorta di de-individuazione dovuta alla mancanza del senso di comunità'.In particola modo due ricercatori si occuparono della storia Latané e Darley avanzando due ipotesi: 1 “ignoranza pluralistica” suggerendo che le persone trovandosi in una situazione ambigua tendono a riprodurre l'atteggiamento delle persone che hanno intorno. Le persone intervengono solo se qualcuno del gruppo prende iniziativa altrimenti stanno ferme. Probabilmente guardarono tutti l'atteggiamento degli altri individui e tutti evitarono di intervenire. 2 “diffusione di responsabilità” per cui ogni persona si sente meno responsabile pensando che gli altri interverranno, probabilmente videro molte luci accese e persone che osservavano l'atto criminoso, per tanto conseguirono che altri avrebbero fatto intervenire la polizia. Vennero anche fatti degli esperimenti su gruppi di studenti che evidenziarono lo stesso atteggiamento relativo all'omicidio di Catherine. Furono fatte anche altre supposizioni rispetto al non intervento dei passanti o vicini: per esempio che Catherine viveva con un altra donna che poi dichiarò di essere anche la sua amante, forse un atteggiamento contro i gay? Sta di fatto che la storia di Catherine ci ha fornito grandi informazioni sul ruolo sociale degli individui. 7 LA STORIA DI GENIE (la ragazza selvaggia) Genie è lo pseudonimo di Susan Wiley. È la seconda figlia di Irene e Clark, Irene cieca a un occhio non completamente autonoma, Clark 20 anni più grande della moglie non desiderava avere figli ed aveva più volte picchiato la moglie dimostrandosi estremamente iperprotettivo. Il primo figlio vivo mostrava un certo ritardo mentale, veniva affidato per lunghi periodi alla nonna madre di Clark forse nella consapevolezza della inadeguatezza di entrambi i genitori. La seconda figlia nacque dopo che la madre di Clark morì in un incidente. Nel tentativo di proteggere figli e moglie da una società cattiva li tenne segregati in casa per circa 13 anni. Genie quando vene casualmente scoperta era una bambina denutrita sia fisicamente che mentalmente. Il padre la teneva isolata in condizioni disumane. Il suo contributo alla scienza è relativo a come si possa recuperare l'apprendimento perduto. Da un punto di vista fisico progressivamente la bambina riacquistò peso e riuscì a compiere delle facili attività di tipo pratico.Tutte le capacità a carico dell'emisfero sinistro si rivelarono essere gravemente compromesse, la più evidente era il linguaggio. Questo in qualche modo sottolineò l'assenza di un linguaggio innato (Chomsky). Gli innatisti ritenevano che i bambini apprendessero la lingua attraverso una capacità innata di organizzare le regole linguistiche, e che ciò si verificava solo in presenza di altri esseri umani. Gli adulti non “insegnavano” formalmente il linguaggio ai bambini, ma le abilità innate non possono essere utilizzate senza l’interazione verbale con gli altri. L’apprendimento indubbiamente gioca un ruolo fondamentale nell’acquisizione di una lingua specifica, cosicché i bambini di una famiglia di lingua inglese apprendono l’inglese e così via. Gli innatisti sostengono l’innatezza di un meccanismo specifico denominato Language Aquisition Devise (LAD; dispositivo innato di acquisizione del linguaggio). Tale meccanismo incorpora i maggiori principi del linguaggio, mentre altri parametri verrebbero successivamente innescati in base alla lingua specifica a cui il bambino viene esposto. Non avendo avuto la possibilità di apprendere dall’esterno (oltre a tutta una serie di costrizioni e impedimenti imposti, malnutrizione, solitudine, eccetera) a Genie si sarebbe completamente “atrofizzata” questa capacità. E questo è avvalorato anche dall’ipotesi del periodo critico per l’apprendimento delle lingue, individuata da Lenneberg fino ai 12 anni. Genie fu trovata a 13 anni: la sua possibilità di accedere ad un apprendimento era in qualche modo sfumata. Progressivamente riuscì a recuperare le attività tipiche di un bambino di circa nove anni ma la sua masticazione per esempio era come quella di un bambino di un anno. Non interagiva con gli altri bambini, ma successivamente imparò a condividere gli spazi e i giochi. Il suo caso ci fa capire come l'isolamento fisico ed emozionale oltre ad essere una violenza inflitta all'essere umano, incide profondamente sul suo sviluppo, quindi se ne deve dedurre che durante l’infanzia le capacità motorie e verbali si apprendono lentamente e consequenzialmente. 8 BRUCE REIMER: IL RAGAZZO CHE NON FU MAI UNA RAGAZZA Bruce Reimer nacque il 22 agosto 1965, primo di una coppia di gemelli. A otto mesi, sottoposto a un normale intervento di circoncisione, il suo pene fu accidentalmente cauterizzato. A seguito della consulenza di un sessuologo di fama mondiale, il Dott. John Money della John Hopkins University convinto che la scelta del genere fosse solo un condizionamento culturale, i genitori si convinsero che la cosa migliore per Bruce fosse crescere come se fosse una ragazza, e lo chiamarono Brenda. Tale decisione prevedeva un programma di riadattamento psicosociale, da farsi attorno ai 12 anni, e a un successivo intervento di cambio di identità sessuale. Il caso fu riportato nelle riviste scientifiche come un caso di assoluto successo e, all’insaputa dello stesso Bruce, divenne uno dei più famosi casi-studio della letteratura scientifica medica e psicologica. Il caso noto con il titolo “Gemelli” ha permesso un’importante indagine sul tema dell’identità di genere e sul dibattito relativo alla classica controversia natura/cultura, perché il fratellino era cresciuto da maschio e lui da femmina. Tuttavia Brenda preferiva giochi da maschio, ma il terapista minimizzava la cosa dicendo che emulava il fratello. Tra l’altro durante i test effettuati da Money i fratelli cominciarono ad attuare il Demand characteristic, quel fenomeno che in psicologia si riferisce al verificarsi di un artefatto sperimentale nel quale i partecipanti indovinano gli obiettivi dello studio cui sono sottoposti e conformano i loro comportamenti ad essi. Questo è esattamente ciò che i gemelli iniziarono a fare, quindi i risultati di Money possono essere stati invalidati da questo bias. Il giovane ricercatore Milton Diamond non era molto convinto della teoria della neutralità di genere, al contrario riteneva che il comportamento di genere fosse pre-programmato già nell’utero. Sosteneva che il caso dei gemelli accendeva una luce sulla meravigliosa adattabilità del comportamento umano ma che la biologia continuava a giocare un ruolo centrale nell’identità sessuale. Diamond non poteva credere che la biologia non giocasse un ruolo chiave e davvero c’erano stati casi di bambini maschi nati con micropene, a cui era stato chirurgicamente riassegnato un sesso femminile, ma che alla fine erano ritornati ad essere maschi durante l’adolescenza. Il caso noto con il titolo “Gemelli” ha permesso un’importante indagine sul tema dell’identità di genere e sul dibattito relativo alla classica controversia natura/cultura. Il cambio di sesso nei bambini, in presenza della condizione di genitali ambigui, ancora oggi si basa almeno in parte sull’evidenza di questo caso (del caso di Bruce). In realtà l’esperimento fu un totale fallimento. Venuta a conoscenza della verità, “Brenda” successivamente scelse di riassumere la propria identità di uomo, ricominciando una vita nuova con una moglie e dei figli nella città di Winnipeg in Canada. Comunque una serie di vicissitudini portò alla morte prematura di entrambi i fratelli (questo a testimonianza del profondo stress psicologico a cui furono sottoposti tutta la vita). Oggi si sostiene il modello più conservativo (quello della componente biologica legata all’identità), e sicuramente, se l’incidente fosse avvenuto oggi, Bruce sarebbe stato allevato come un maschio. 9 IL RAGAZZO SELVAGGIO DELL’AVEYRIN: la storia di Victor Nel 1800 bambino tra gli 11 e i 12 anni comparve dalla foresta, camminava zoppicando ma non parlava ne emetteva alcun suono. Fu catturato e divenne il ragazzo selvaggio Joseph di cui ancora oggi si racconta. Si capì presto che il ragazzo non era abituato alla vita civile, si accovacciava per urinare e defecava in piedi ovunque si trovasse, mangiava solo patate ed era completamente privo di qualsiasi convenzione sociale. Fu trasferito nell’orfanotrofio locale e poi nell’istituto per sordomuti di Parigi dove però fu lasciato a se stesso per molto tempo con la convinzione che fosse nato “idiota” e quindi nulla si potesse fare. Finalmente arrivò all’istituto un nuovo medico Dr. Itard che iniziò subito un programma di valutazione e di riabilitazione con il ragazzo. Era convinto che le persone fossero il prodotto del loro ambiente e quindi che era possibile rieducare Joseph fornendogli un ambiente appropriato. Se ciò fosse stato provato si sarebbe potuto sostenere la TEORIA DELLA TABULA RASA dello sviluppo umano, che suggerisce che i bambini nascono con poche capacità innate e che lo sviluppo avviene come risultato i influenze ambientali. Non potendo dedicare tutto il tempo a Joseph, il medico gli accostò Madame Guerin, una giovane signora gentile e disponibile che si prese cura del ragazzo per tutto il resto della sua vita. Itard realizzò un programma con l’intento di migliorare le sue abilità cognitive, sociali e in particolar modo le interazioni con gli altri. Utilizzò diversi metodi tra cui il gioco, ma Joseph non migliorava soprattutto dal punto di vista della comunicazione, benché fosse in grado di sentire non emetteva alcun suono se non risate e mugugni. Era recettivo al suono “o” e infatti fu ribattezzato con il nome di Victor.Vi sono pochi resoconti sulla vita del ragazzo selvaggio, sappiamo solo che mori a 40 anni ma non si sa per quale causa. Lo studio di casi di bambini selvaggi come Joseph porta un’importante contributo al dibattito natura-cultura, permane comunque il dubbio se i deficit osservati siano presenti dalla nascita o il risultato di isolamento, nel caso di Victor vi sono opinioni contrastanti, ma l’idea che fosse nato idiota può essere scartata in quanto aveva comunque fatto numerosi progressi con il dottor Itard. Victor può essere stato affetto da deficit psicologici per aver subito abusi prima del suo abbandono e le sue capacità fisiche e psicologiche possono essere il risultato di anni di isolamento, resta incerta quale delle due spiegazioni sia quella reale. I bambini nascono con grandi potenziali, ma è necessario un ambiente per apprendere a essere umani e sviluppare a pieno tutte quelle capacità che ci distinguono dagli animali, coloro che vengono isolati e subiscono abusi trovano difficile se non impossibile superarne gli effetti e la storia di Victor ne è una chiara evidenza. 10 IL PICCOLO ALBERT E IL PICCOLO PETER La storia della psicologia è disseminata di accademici che disputano sui meriti delle rispettive teorie con le quali cercano di spiegare tutte le diverse componenti del comportamento umano. Uno di questi accademici, J.B. Watson, propose un modello di psicologia oggettiva e scientifica del comportamento che prese il nome di “comportamentismo”. Watson sosteneva che era possibile studiare l’apprendimento senza far riferimento ad alcun processo mentale interno, rifiutando energicamente l’idea dell’introspezione e spostando l’attenzione sul comportamento osservabile e su come un organismo, umano e/o animale, apprenda adattandosi al proprio ambiente. L’enfasi fu messa sul concetto di “cultura”, nella classica contrapposizione filosofica natura/cultura. Ivan Pavlov, in Russia, aveva già mostrato l’effetto del condizionamento su comportamenti semplici, come la risposta di salivazione nei cani, e Watson suggerì che anche comportamenti umani più complessi potessero essere facilmente condizionati. Allo scopo di verificare tale ipotesi, decise di sperimentare la teoria su un bambino di 11 mesi, provando a condizionare la risposta di paura del bambino, in associazione ad uno stimolo neutro. Sulla base di questa idea ebbe inizio uno dei casi più citati nella storia della psicologia: la sperimentazione sul piccolo Albert insieme all’amante Rayner. Associarono la vista di un topolino bianco ad un forte rumore che terrorizzava il bambino associando così uno stimolo neutro a uno condizionato. Dopo non molto il bambino si terrorizzava alla vista del topolino. Poi la sua paura si attivava anche per animali o oggetti simili (bianchi), avvalorando così anche l’ipotesi della generalizzazione, e però comunque più ci si allontanava dal topo come figura meno lo stimolo era forte (discriminazione). Essi notarono anche che il bambino con l’andare del tempo andava incontro a un affievolimento della reazione (estinzione) per cui riassociarono lo stimolo spiacevole al topo (rinforzo). Comunque ci sono troppe contraddizioni tra gli studiosi sul caso, la principale delle quali accusa l’esperimento di essere troppo “da laboratorio”, inoltre sembra che Albert a più riprese tentò un avvicinamento cosa che un fobico non farebbe mai. Insomma c’è chi dice che “è tutta na strunzata!” .Da un punto di vista etico la cosa oggi sarebbe impensabile. Mary Cover Jones, sotto la supervisione di Watson, condusse degli studi dulla rimozione delle paure nei bambini. Scopo della ricerca della studiosa era quello di studiare sistematicamente il miglior metodo per eliminare appunto queste fobie nei bambini. Bambini provenienti da case di cura, dai 3 mesi ai 7 anni di vita, che già presentavano alcune paure di determinate situazioni, come il buio, la vista improvvisa di un topo, un coniglio, una rana e così via, presero parte allo studio. La Jones provò molti metodi diretti per l’eliminazione delle emozioni negative, incluso il condizionamento diretto. Il bambino che venne sottoposto a un “condizionamento diretto” si chiamava Peter. Il caso del piccolo Peter è ampiamente conosciuto come il seguito del caso del piccolo Albert e diede a Watson e Jones l’opportunità di sperimentare i principi del “ricondizionamento” che non erano stati messi in pratica con il piccolo Albert. Peter aveva 2 anni e 10 mesi e un’intensa paura di diverse cose tra cui topi, conigli, pellicce e ovatta. Inizialmente, provarono a ridurre le sue paure usando delle tecniche di “modellamento”, nelle quali a Peter veniva permesso di osservare e interagire con bambini che giocavano felicemente con un coniglietto bianco – uno dei suoi oggetti fobici. Il coniglietto veniva avvicinato a Peter ogni giorno un po’ di più e questa tecnica graduale sembrava produrre un effetto positivo, al punto che avrebbe potuto accarezzare il coniglietto sul dorso. Sfortunatamente, Peter contrasse la scarlattina e in quel periodo venne spaventato da un cane di grossa taglia. Secondo Watson e Jones questo evento provocò una riacutizzazione delle paure del bambino verso gli animali, anche verso il coniglio. A quel punto idearono una nuova tecnica che implicava la presentazione di cibo (uno stimolo piacevole incondizionato) simultaneamente alla presentazione del coniglietto (lo stimolo condizionato). Il coniglietto veniva gradualmente avvicinato a Peter insieme al suo cibo preferito. Peter divenne di giorno in giorno sempre più tollerante nei confronti del coniglietto (presumibilmente grazie all’associazione con il suo cibo preferito) fino a che fu in grado di toccarlo senza più paura. Quando le sue paure spontaneamente si ripresentarono, Watson e Jones usarono un metodo simile di contro-condizionamento: Peter veniva lasciato giocare mentre il coniglietto veniva gradualmente avvicinato a lui sempre di più ad ogni sessione, alla fine Peter fu in grado di giocare con il coniglietto divertendosi. Il piccolo Peter è considerato il primo caso di terapia comportamentale e costituisce la base della successiva tecnica di desensibilizzazione sistematica proposta da Joseph Wolpe. Sebbene Wolpe venga generalmente considerato il promotore della tecnica, egli ha un debito di riconoscenza nei confronti di Mary Cover Jones. In seguito allo studio del caso del piccolo Peter e di altri studi successivi, Mary Cover Jones guadagnò il titolo informale di “madre della terapia comportamentale”. 11 IL BAMBINO CHE AVEVA BISOGNO DI GIOCARE (Dibs) Dibs sedeva solo al centro della sala giochi, aveva cinque anni e lo sguardo fisso dinanzi a sé, sembrava inconsapevole del fatto che gli altri bambini stessero giocando intorno a lui. Le sue mani pendevano senza vita lungo il corpo completamente immobili. Gli unici movimenti avvenivano quando qualcuno si avvicinava a lui: in tal caso lo picchiava selvaggiamente o provava a morderlo o a graffiarlo. Infine, andava a nascondersi sotto il tavolo a testa china, dove rimaneva per il resto del tempo. Era ovvio a chiunque incontrasse Dibs che il bambino presentava gravi problemi comportamentali, e sebbene le insegnanti nutrissero dell’affetto per lui, trovavano impossibile lavorare con Dibs. La madre fu informata alla nascita che il bambino aveva un ritardo mentale e anomalie cognitive. Riecheggiando il caso di Genie, gli psicologi furono invitati a studiarlo e a proporre interventi terapeutici: Virginia Axline, una psicologa clinica, decise di usare con Dibs una tecnica nota come “ludoterapia”. Vi sono due ampie categorie di ludoterapia. La terapia non direttiva, che consiste nel lasciare il bambino a briglia sciolta nella sala giochi, lasciandolo così giocare con qualsiasi cosa gli interessi. Il terapista ascolta o registra tutto il comportamento attraverso una telecamera posta dietro uno specchio unidirezionale. Il terapista fornisce consigli pratici da mettere in atto, come ad esempio: “Così oggi giocherai a fare il padre della bambola” per consentire lo sviluppo del gioco. Questo è il metodo che Axline usò con Dibs. Per ovvie ragioni, ci si riferisce comunemente ad esso come terapia centrata sul paziente. Nella terapia direttiva, invece, il terapista assume un ruolo più attivo durante il gioco. Spesso suggerisce i giochi appropriati e usa la seduta per specifici scopi diagnostici. I ludoterapisti spesso creano degli scenari di gioco di ruolo che simboleggiano le esperienze di vita del bambino per lavorare successivamente su delle possibili soluzioni. Ad esempio, dei burattini a forma di animale possono essere usati per rappresentare una lotta che può simboleggiare delle discussioni tra i genitori ai quali il bambino può avere assistito. La Axline con molta costanza e intelligenza permise a Dibs di esplorare tutte le sue emozioni fino a quelle “critiche” attraverso il gioco e la sua interpretazione. Piano piano il bambino si sbloccò e divenne espansivo e affettuoso. Il suo problema derivava sostanzialmente dalla grave anaffettività dei genitori, i quali impararono paradossalmente dal figlio a dimostrare i sentimenti. La mancanza di rigore sperimentale è una delle critiche che viene mossa alla terapia del gioco. Tuttavia in questo caso la terapia fu perfetta e Dibs si scoprì essere dotato di facoltà superiori alla media e divenne un ragazzo pienamente realizzato. 12 L'UOMO CHE SI ECCITAVA ALLA VISTA DI BORSE E CARROZZINE Questo caso riguarda un uomo sposato che aveva sviluppato una perversione sessuale particolarmente insolita: si eccitava sessualmente alla vista di borse e carrozzine. Questa perversione era diventata così marcata che fu arrestato in numerose occasioni con l’accusa di aver causato danni a questi oggetti. Come trattamento venne suggerita una leucotomia pre-frontale, ma prima di ricorrere a una così drastica e irreversibile procedura il paziente fu sottoposto a una forma rigorosa di terapia aversiva. La terapia aversiva è caratterizzata da una sorta di lavaggio del cervello e richiama quella descritta nel libro di Anthony Burgess Arancia Meccanica e nel successivo film di Kubrik. La base di tale intervento è costituita dall’associare un comportamento indesiderabile a uno stimolo aversivo o indesiderabile. Comunemente si associa con la nausea indotta farmacologicamente o a dolore causato da scarica elettrica. Attraverso questo condizionamento, gli stimoli aversivi vengono associati al comportamento indesiderabile causando la soppressione di quel comportamento. In un passato non così remoto, questa terapia venne usata per una serie di comportamenti considerati indesiderabili, inclusa l’omosessualità! I principi della terapia aversiva si basano sul condizionamento classico. Il paziente fu ricoverato per un periodo. Il trattamento di condizionamento proposto in questo caso consisteva nell’iniettare un farmaco, l’apomorfina, che produceva malessere o nausea. Le carrozzine o le borse venivano mostrate immediatamente dopo che il farmaco era stato iniettato, quando si manifestava la nausea. La cosa funzionò, ma a patto che facesse costanti richiami. Contro il principio dell’estinzione si sono pure inventati che il condizionamento aversivo dovrebbe avvenire ben oltre il punto dove aveva iniziato a produrre un effetto. Ciò viene talvolta definito sovracondizionamento e certamente è avvenuto nel caso del paziente con il feticismo per borse e carrozzine. Il paziente stesso disse di essere guarito già qualche giorno prima che gli fosse effettivamente permesso di lasciare l’ospedale. In pratica però, il sovracondizionamento non si verifica a lungo e non si mantiene nel tempo. Inoltre richiede molto tempo, è costoso, ed è sgradevole per terapista e paziente. Ci sono ovviamente molti problemi etici collegati alla terapia aversiva. Tra l’altro stato documentato che alcuni omosessuali sottoposti alla terapia aversiva abbiano successivamente sofferto di gravi effetti psicologici a lungo termine, inclusi depressione, disperazione e tentato suicidio. Potrebbe sembrare che il condizionamento nel campo delle modificazioni sessuali (parafilie e simili) abbia notevoli effetti, anche se ad una più attenta riflessione il successo non sia così considerevole. 13 IL PICCOLO HANS (metodo dello “studio el caso singolo” di Freud) Il piccolo Hans aveva sviluppato una fobia per i cavalli. Freud usò il metodo dello studio dei casi singoli e seguì Hans, principalmente usando delle informazioni di seconda mano prese da Max Graf (padre del bambino e amico di Freud), dall’età di 3 anni a quella di 5 anni (1906-1908). I dati raccolti includevano elementi biografici e note stenografiche esclusivamente riportate dai genitori di Hans. Le paure del piccolo Hans furono ricondotte da freud alla fase “genitale” dello sviluppo sessuale, ovvero dai 3 ai 5 anni. In quel periodo i bimbi iniziano a scoprire i loro genitali e i genitori sono sempre pronti a colpevolizzare i gesti dei bambini con frasi tipo: “smetti di toccarti o ti taglio il pipino!” cosa che fece anche la madre di Hans. La paura di questa evirazione provocò nel piccolo Hans paura, ansia di castrazione, fobia. Inoltre vi erano due aspetti della fobia di Hans per i cavalli. Il primo riguardava l’avvertimento che Hans aveva udito per strada dato da un padre al suo bambino mentre scendevano dal calesse “Non mettere le dita vicino alla bocca del cavallo bianco, altrimenti ti morderà” associando il dito al suo genitale il che equivaleva in lui alla castrazione. Il secondo riguarda un episodio dove Hans vide un cavallo di un omnibus cadere in strada e scalciare con gli zoccoli, ne rimase terrorizzato e pensò che il cavallo fosse morto. Inoltre vedeva la madre diversa da lui e pensava che le fossero stati tagliati i genitali così come alla sorellina. Inoltre, dopo un periodo di assenza del padre e di sperimentazione del piacere di avere la madre tutta per sé, in lui c’era il desiderio morboso che il padre sparisse per sempre (aanché perché inconsicamente lo accusava anche della castrazione della madre). Freud siegava questo attraverso il complesso di Edipo: i bambini si identificano con il genitore dello stesso sesso e pensano che sia un rivale (per le femmine complesso di Elettra). Dovuta alla caduta del cavallo in strada, si sviluppò in lui anche la fobia sviluppata nell’uscire di casa, ebbe infatti attacchi d’ansia. Hans aveva quindi spostato le sue paure relative al padre sui cavalli, che glielo ricordavano. Sembra che la consapevolezza di questa spiegazione sia stata per Hans un punto di svolta che lo portò alla liberazione dalle paure e migliorò la relazione con il padre. Freud è considerato il padre della psicanalisi, e benché molte delle sue teorie siano ormai in parte superate è stato un grande pioniere ed è sicuramente il più famoso psicologo di tutti i tempi, per quanto figura controversa e piena di detrattori. 14 CHRIS COSTNER SIZEMORE: I TRE VOLTI DI EVA Il Disturbo da Personalità Multipla (DPM), attualmente denominato Disturbo Dissociativo dell’Identità, era quasi sconosciuto fino a quando due psichiatri americani (Corbett Thigpen e Hervey Cleckley) non pubblicarono negli anni cinquanta il loro studio su un caso. Gli studiosi descrissero il caso di una paziente che stavano trattando e che presentava tre distinte personalità, che chiamarono Eve White, Eve Black e Jane. Ogni personalità era separata dall’altra e si comportava in modo completamente diverso. I tre volti di Eva, e il successivo film “Three faces of Eve”, che valse il premio Oscar all’attrice protagonista, si basava su questo caso e portò tale disturbo all’attenzione del grande pubblico. Altri casi simili hanno catturato l’immaginazione del pubblico, tra cui il più famoso è quello descritto in un libro degli anni settanta da cui è stato tratto il film Sybil. Il caso di Eve portò il DPM dall’essere un disturbo sconosciuto e una condizione rara all’essere ampiamente riconosciuto e comunemente diagnosticato. In anni recenti gli accademici hanno iniziato a domandarsi se il DPM esista “realmente” o se si tratti di un disturbo iatrogeno, una creazione dei terapisti “impiantata” nelle menti dei loro suggestionabili e vulnerabili pazienti. Viene pressoché universalmente riconosciuto comunque che questo tipo di dissociazione è legato a forti traumi e principalmente ad abusi subiti nell’infanzia, per cui il soggetto, incapace di mantenere l’integrità del sé a causa dell’evento traumatizzante che non sarebbe in grado di sopportare, si dissocia. Nei passaggi di personalità i pazienti hanno come una forma di black out, emicranie, o cose simili. Spesso le diverse personalità non sono a conoscenza le une delle altre, anche se il più delle volte ce n’è una preponderante e che spesso può anche essere a conoscenza delle altre. La terapia è incrociata, psichiatrica e psicoterapeutica. Tra le personalità c’è una gerarchia e tendenzialmente i terapeuti cercano di reintegrare le varie personalità, sovente utilizzando la personalità più alta nella gerarchia perché sembra più dotata e più capace di aiutare il terapeuta nel compito. Sybil a quanto pare aveva 16 diverse personalità, ma ci sono forti dubbi sulla veridicità del caso. Infatti il DPM divenne una moda e pazienti e terapeuti facevano a gara contro altri pazienti e terapeuti a chi aveva più personalità! Ancora oggi, la diagnosi di DPM resta inaffidabile. Alcuni dei sintomi, quali le allucinazioni acustiche, la creazione di mondi immaginari e le auto-mutilazioni sono presenti anche nella schizofrenia, per questa ragione esiste una possibile confusione tra i due disturbi. Il DPM non è una forma di schizofrenia. Diversamente dal DPM, la schizofrenia è un tipo di psicosi dove il contatto con la realtà e la dimensione cognitiva sono compromessi. In sintesi, la schizofrenia implica la “scissione della mente”, mentre nel DPM si presenta la costruzione di intere personalità. I pazienti schizofrenici di solito riportano le loro allucinazioni ai terapisti, mentre un paziente con DPM non è in grado di farlo, proprio a causa della profonda amnesia. Inoltre, mentre una causa biologica o chimica della schizofrenia è stata trovata, nessuna spiegazione biologica è stata ancora avanzata per il DPM. Tra l’altro molti dei pazienti apparentemente affetti da DPm si sono rivelati pazienti altamente suggestionabili e quindi manipolati dai terapisti (più o meno premeditatamente). Il DPM resta principalmente una specificità dell’Occidente ed è raramente riportato in altre culture. Qundi ci si chiede se è un disturbo vero che la scienza occidentale è riuscita ad isolare o se invece non lo abbia indotto con le sue aspettative attraverso terapie manipolatorie. Esiste un’ampia divergenza di opinioni tra gli psichiatri sull’autenticità e la diagnosi del DPM, tuttavia a prescindere dal fatto che il DPM sia un disturbo reale o iatrogeno, i pazienti affetti da questo disturbo meritano senz’altro sostegno e di non essere colpevolizzati. 15 IL RAGAZZO CHE NON POTEVA SMETTERE DI LAVARSI Il disturbo ossessivo compulsivo, è caratterizzato da pensieri ricorrenti ossessivi, pensieri alla cui base c’è il terrore che possiamo farci del male, ammalarci o che possano farsi del male persone a noi vicine. Si evidenzia con il ripetersi di alcuni gesti come per esempio il lavarsi continuamente, o il contare, o l'accumulare. Charles fu un caso famoso studiato afflitto da DOC, riportato dalla terapista Judith Rapoport. Si lavava in maniera ossessiva seguendo un preciso schema. Tale malattia diventa talmente compulsiva da invalidare una vita normale. Era capace di metterci sei ore per lavarsi e vestirsi prima di uscire di casa! (ahahahahah!). I doc gravi distruggono la propria vita e quella dei familiari. Come molti altri individui affetti da DOC, Charles era consapevole della propria condizione, riconosceva le sue ossessioni e trovava ridicole le sue compulsioni, ma non era in grado di smettere. Sentiva la compulsione a lavarsi e non poteva smettere di farlo. Le cause si concentrano su fattori biologici: una quantità minore di sostanza bianca nel cervello o una corteccia cerebrale più spessa. Traggono beneficio dalla terapia farmacologica ma spesso l'assuefazione al farmaco non rende la cura definitiva. A tale cura fu affiancata la terapia comportamentale aiutando il paziente a esperire le situazioni che fanno scattare l'ossessione. Inoltre recentemente si è' aggiunto l'intervento di tipo cognitivo che aiuta le persone a riformulare i propri pensieri e credenze che possono far scattare i sintomi ossessivi. Lo studio di Charles portò alla luce in maniera determinante tale disturbo e conseguentemente l'approccio psicologico. Molto probabilmente il disturbo ha anche delle basi neurobiologiche, anche se le influenze ambientali possono intervenire nel predisporre una persona a svilupparlo, e pertanto le ricerche si concentrano sull’interazione tra fattori neurobiologici e influenze ambientali, così come sui processi cognitivi. Le immagini cerebrali di questi pazienti suggeriscono che i loro pattern di attivazione cerebrale siano diversi da quelli di soggetti sani senza disturbi mentali. Ad esempio, è stato verificato che gli individui che soffrono di DOC hanno una quantità significativamente minore di sostanza bianca, e in generale una corteccia cerebrale più spessa rispetto ai partecipanti di controllo, cosiddetti “normali”. Questa scoperta suggerisce ancor di più l’esistenza di una causa neurobiologica alla base del DOC. I farmaci svolgono un effetto sulla serotonina, un neurotrasmettitore, e risultano efficaci nella riduzione dei sintomi del DOC. L’Anafranil fu uno dei primi tra questi e fu quello usato con Charles. Questo gruppo di farmaci lavora inibendo il riassorbimento della serotonina durante la trasmissione sinaptica. La terapia comportamentale è ritenuta il trattamento più efficace per la maggior parte dei sintomi del DOC. Implica il far esperire all’individuo le situazioni spaventose che fanno scattare l’ossessione (esposizione) e mettere in atto delle azioni per impedirne i comportamenti compulsivi o ritualistici (risposta preventiva). Gli studi hanno mostrato che i tre quarti dei pazienti con DOC che completano circa 15 sedute di trattamento mostrano una significativa e duratura riduzione dei loro sintomi ossessivo-compulsivi. La terapia comportamentale sembra produrre miglioramenti più consistenti e frequenti. Tuttavia, si registra che più di un terzo delle persone con DOC rifiuta o abbandona la terapia comportamentale. Vi è spesso riluttanza ad indurre il disagio legato all’esposizione alle situazioni paurose. Più recentemente, gli psicologi hanno aggiunto degli interventi cognitivi al trattamento comportamentale. La Terapia Cognitivo-Comportamentale (o TCC) è un approccio che aiuta le persone a riformulare i propri pensieri e le proprie credenze che possono rinforzare i sintomi ossessivo-compulsivi. Insieme alla terapia comportamentale tradizionale tale approccio si è dimostrato efficace nel dare speranza alle per- sone affette da DOC. 16 GLI UOMINI CHE NON DORMIVANO (TRIPP e GARDNER) Da sempre la psicologia si è domandata se abbiamo bisogno di dormire e se si di quante ore e perché. Per capire la funzione del sonno l'unico modo è privare un individuo del sonno e vederne le reazioni. Il sonno si compone di quattro stadi a onde lente e un quinto stadio noto come REM dove ci sono dei rapidi movimenti oculari. Gli esperimenti di deprivazione dl sonno sono stati fatti crudelmente su cavie animali provocando la morte degli stessi in massimo 35 giorni. Il primo uomo Peter Tripp, un disc jockey di grande fama, decise nel 59 di non dormire per beneficenza continuando a trasmettere il suo programma con conseguenze disastrose già dal terzo giorno tra cui allucinazioni, aggressività e divenne offensivo verso i colleghi. Negli ultimi giorni della sua impresa, l’eloquio di Tripp divenne indistinto e sviluppò persino una psicosi paranoide acuta esperendo allucinazioni visive e acustiche. Nel caso di Tripp la mancanza di sonno sfociò in un disturbo mentale. I dottori descrissero il suo stato mentale come “psicosi notturna”. Questo caso sembrava mostrare che il sonno è essenziale per il normale funzionamento dell’individuo. Infatti, sebbene durante la sua impresa Tripp si mantenne sveglio, le sue attivazioni cerebrali spesso erano simili a quelle di un individuo che dorme. Tripp vinse il record mondiale restando sveglio per 201 ore e la “maratona” del sonno di Tripp divenne un caso di studio scientifico. Le persone deprivate di sonno passano le notti successive a sognare più a lungo o trascorrono più tempo nella fase REM, e questo prende il nome di “REM rebound” Comunque fece un uso spropositato di stimolanti e avvenne tutto davanti al pubblico, per cui le sue reazioni sono da considerare anche e sopratutto per la situazione in cui venne condotto l’esperimento. Poi dormì per 13 ore e 13 minuti, rimanendo per tutto il tempo in fase REM. Studiarono il caso molti psicologi tra cui Dement il quale aveva affermato che la soppressione del sonno REM crea instabilità mentale. In un secondo tempo mise egli stesso in discussione tale affermazione credendo che le psicosi fossero legate all'uso degli stimolanti assunti da TRIPP durante questa maratona senza sonno. Gardner, uno studente, a distanza di 6 anni decise di battere questo record rimanendo sveglio per 11 giorni senza impazzire ed evitando l'uso di stimolanti. Da un giornale locale Dement venne a conoscenza dell'impresa che segui insieme ad un suo collega. Gardner mostrò chiari sintomi di cedimento, spesso si infuriava con chi gli stava vicino, e furono usate delle tecniche per tenerlo sveglio, l'ultima sera fu portato in un salone di videogiochi e si mantenne costantemente vigile giocando tutta la notte e vincendo sempre contro il terapeuta. Tenne anche una conferenza il giorno che definiva il suo record. Dormì per 14 ore e 40 minuti. Anche lui con picchi di sonno REM. Questo definisce come la fase REM sia quella la cui deprivazione è maggiormente sentita dall'uomo. Tuttavia Gardner sopportò molto meglio la mancanza di sonno. La reazione di Gardner portò gli psicologi a riconsiderare l'importanza del sonno e che la deprivazione non porta sempre alla psicosi. Ma è importante considerare che Gardner era giovane, in salute e sotto controllo. 17 L'UOMO CON UN BUCO IN TESTA (PHINEAS GAGE) Il 13 settembre 1848 in un cantiere per la costruzione della ferrovia, per una serie di sfortunate coincidenze parti una carica di esplosivo inavvertitamente e on essa una barra di metallo che trapassò l'occhio di Phineas bucando il cranio. Nonostante questo Phineas sopravvisse a tale evento, ma la sua personalità ne uscì profondamente modificata. Dobbiamo anche considerare tale evento nel periodo in cui avvenne le possibilità di intervento erano sicuramente inferiori se paragonate alla chirurgia attuale. Phineas divenne incostante, violento, incapace di controllare il suo comportamento. Il suo grande contributo fu quello di portare all'attenzione degli studiosi i danni cerebrali, e se questi potessero essere compensati dalle altre zone intatte dell' individuo. Si studiarono i danni subiti ai lobi frontali, cosa impossibile senza trapanare la scatola cranica. Le aree distrutte sicuramente facevano capo alle aree riguardanti la capacità di pianificazione e di ragionamento. Considerando il modello frenologico di Gull in tale perdita era inclusa la regione riguardante la benevolenza, la gentilezza e la piacevolezza. Attualmente è ormai certo che il cervello è un organo sorprendentemente complesso, un organismo interconnesso che comprende 10 miliardi di neuroni e che non funziona come un pezzo unico. È forse più accurato pensare al suo funzionamento come al funzionamento di circuiti individuali che lavorano insieme e che hanno specifiche funzioni. Persino attività come riconoscere un volto o richiamare alla mente un nome, che sembrano essere chiaramente localizzate in specifiche aree del cervello, funzionano in interconnessione ad altre aree. In sintesi, il cervello può essere visto sia come localizzato che come interconnesso. Il suo contributo contribuì alla comprensione delle localizzazioni delle funzioni cerebrali, in particolar modo della corteccia frontale, contribuendo in maniera determinante alla chirurgia cerebrale. Data l’importanza del caso viene ancora citato nel 60% dei Manuali psicologici. 18 L’UOMO SENZA CERVELLO? Lorber era un chirurgo specializzato nel trattamento dell’idrocefalo. Idrocefalo è una parola di origine greca (ydroképha- lon) composta da ydro che significa “acqua” e kefalè “testa”. Tale patologia è caratterizzata da un anomalo ed eccessivo accumulo di liquido cerebrospinale (LCS) nelle cavità cerebrali(ventricoli e cisterne) e nello spazio subaracnoide. Se il LCS non viene riassorbito abbastanza rapidamente crea una pressione nei ventricoli e causa lo schiacciamento verso il cranio della corteccia cerebrale. Lorber praticava un intervento chirurgico inserendo delle valvole, dette “shunt”, allo scopo di ridurre la pressione causata dall’accumulo di LCS. Il medico era particolarmente sorpreso dal fatto che i pazienti sembravano avere nessuno o pochi deficit mentali. Tra i suoi pazienti, il caso più famoso era quello di uno studente universitario con un QI di 126. Apparentemente questo paziente aveva il 95% di LCS e il 5 % di cervello. Poi riconsiderò la cosa alla luce di più moderne tecniche di controllo, infatti tecniche di neuroimmagine più avanzate avrebbero mostrato che la corteccia cerebrale non è “persa” ma compattata nell’unico spazio disponibile, dimostrando anche la notevole capacità del cervello di adattarsi alle circostanze, dato ulteriormente confermato dagli studi condotti su danni cerebrali insorti nell’infanzia. È infatti ben documentato che la capacità di recupero da un trauma cranico nei bambini è molto più rapida rispetto a quella degli adulti, proprio grazie alla plasticità e alle capacità di adattamento del cervello umano. Vi sono casi di bambini a cui è stato rimosso chirurgicamente un emisfero cerebrale che mostrano che dopo un periodo iniziale di riaggiustamento i piccoli pazienti recuperano le abilità precedentemente acquisite, incluso il linguaggio. Tali evidenze suggeriscono che le aree rimanenti del cervello hanno vicariato le funzioni dell’emisfero rimosso. Questa procedura di “affollamento” potrebbe essere avvenuta anche nel caso del laureato in matematica riportato da Lorber. Nonostante i casi studiati da Lorber, sembra che la corteccia cerebrale sia essenziale. Vi sono casi ben descritti di persone affette da deficit cognitivi particolarmente gravi in seguito a danni neurologici relativamente piccoli. Se molta della nostra sostanza grigia fosse ridondante, allora ci si può aspettare che le persone che hanno subito un danno cerebrale possano recuperarlo piuttosto in fretta. Inoltre, sembra improbabile che la selezione naturale abbia fatto sì che un organo che richiede un consumo energetico così elevato sia poco utile, oltre al fatto un cervello così grande pesa e rende pure il momento del parto più difficile. Un cervello più piccolo in grado di svolgere efficientemente tutte le funzioni cognitive sarebbe stato sicuramente vantaggioso e pertanto selezionato naturalmente nel processo di sopravvivenza della specie. Quindi il fatto che il nostro cervello sia così grande ha senz’altro un vantaggio a livello di selezione della specie e ci serve. Sulla base dei risultati sperimentali, è certo che la corteccia cerebrale sia necessaria e che l’affermazione che venga usato solo il 10% del nostro cervello costituisca un mito o una “leggenda metropolitana”. Siamo ormai abbastanza certi che usiamo tutto il tempo tutto il nostro cervello. 19 WASHOE E ROGER FOUTS (PARLARE AGLI ANIMALI) Parlare con gli animali è sempre stato uno dei desideri dell’uomo. Una speranza rimasta vana per anni fino al momento in cui un gruppo di ricercatori è riuscito a insegnare la Lingua dei Segni Americani (ASL) a una scimpanzé di nome Washoe. Dopo oltre 30 anni, Washoe sembrava comprendere e produrre l’ASL, fornendo delle forti prove a favore del fatto che gli animali potessero apprendere e usare il linguaggio. Questo studio ha aiutato a comprendere il comportamento degli scimpanzé, sviluppando il dibattito sull’etica dell’utilizzo di questi animali nella ricerca biomedica. Roger Fouts ha lavorato con Washoe per oltre 30 anni sia come insegnante che come ricercatore, la sua storia è un racconto sorprendente della relazione tra un essere umano e uno scimpanzé che hanno condiviso uno stesso linguaggio e che hanno contribuito a fornire notevoli intuizioni sul nostro posto nel regno animale. Fouts allevò Washoe nella casa di due ricercatori, i Gardner. Essi volevano che Washoe non venisse esposta alla lingua parlata. L’idea della coppia era che Washoe non dovesse realizzare che gli esseri umani utilizzavano un’altra modalità, quella parlata, per comunicare, essendo noto ormai da tempo che gli scimpanzè non possono parlare a causa di limitazioni nella fisiologia del loro tratto orale. Washoe venne allevata come un cucciolo umano, ad esempio le fu fatto indossare inizialmente il pannolino, dove fare i propri bisogni, e successivamente fu Fouts ad insegnarle l’uso del vasino. L’idea dei Gardner era che, essendo gli scimpanzè i parenti più vicini all’uomo, potessero avere la stessa capacità innata per il linguaggio. Washoe iniziò immediatamente a “segnare”, percorrendo le stesse tappe di sviluppo dei bambini umani che apprendono a parlare. Fouts notò che il modo più semplice per insegnare a Washoe la lingua era attraverso il gioco. Washoe mostrò di possedere molte altre abilità ad esempio ogni giorno dimostrava di avere ottime capacità di problem-solving. Manipolava anche Fouts come i bambini coi genitori, per ottenere cibo, giochi ecc. Molti psicologi del tempo pensavano che tutto questo dipendesse dal condizionamento operante che Skinner associava anche al linguaggio. Ma Washoe apprendeva molte cose semplicemente per imitazione e senza ricompensa diretta e dimostrava una particolare flessibilità nell’apprendimento. Inoltre i ricatti e gli scherzi che Washoe realizzava dimostravano senza ombra di dubbio a Fouts e ai Gardner che gli scimpanzè erano gli animali più vicini all’uomo biologicamente, da un punto di vista comportamentale e cognitivamente. Fouts iniziò anche a lavorare con altri bambini autistici e ottenne dei successi. Fouts stesso e altri ricercatori hanno dimostrato che insegnare la lingua dei segni avvia la comunicazione, processo che può facilitare una successiva espressione vocale della lingua. Ulteriori sviluppi della ricerca hanno portato Fouts ad osservare come l’area del cervello responsabile dei movimenti della mano sia la stessa implicata nel controllo del linguaggio, suggerendo quindi un’interazione positiva tra lingua segnata e lingua vocale. Fouts ipotizzò che i primi uomini abbiano iniziato proprio dalla comunicazione non verbale, che si sviluppò in grugniti e suoni, fino ad arrivare, attraverso la pressione evolutiva all’anatomia adatta (il tratto vocale) che ha consentito il linguaggio parlato. Alla fine degli anni Ottanta, Fouts decise di volgere la sua attenzione alle linee guida etiche della sperimentazione con le grandi scimmie. Fouts aveva visitato molti laboratori in cui si lavorava con gli animali e sapeva il tipo di procedure a cui questi animali erano sottoposti. Fouts sostenenva che lo stress esperito dagli animali li esponeva maggiormente al rischio di ammalarsi e di essere colpiti da problemi psicologici. L’esperienza vissuta portò Fouts a divenire un sostenitore dell’interruzione e dell’abolizione di tutte le ricerche condotte sugli animali, incluse le proprie. Washoe fu il primo animale ad acquisire il linguaggio umano e suo figlio adottivo Loulis fu il primo ad acquisire il linguaggio umano da un altro scimpanzè. Washoe morì dopo una breve malattia, a 42 anni, il 30 ottobre del 2007. Nel corso degli anni, Washoe, la nonna nel mondo degli scimpanzè, ci ha fornito degli insight affascinanti sulla mente degli scimpanzè e ha messo in discussione le nostre cosiddette abilità “uniche”. Certamente, gli esseri umani sono unici, ma forse Washoe ha dimostrato che non siamo così diversi come pensavamo di essere.