Studi di Regia.
Regia.
I. 2011
L’alterità negata
ovvero
per una anamorfosi registica
de “Le Serve” di Jean Genet
di Bruno Zucchermaglio
Chi saranno i delegati a porsi (in un modo o
Premessa
Nel proporre una lettura registica de “Le Serve” di
Jean Genet non si vuole, sia ben chiaro, proporre
una spiegazione (esplicazione) del testo, bensì
una sua possibilità di lettura,, consci (soprattutto
convinti) della potenzialità anamorfica di ogni
og testo
drammatico.
Si potrebbe ora credere che con il termine
“anamorfosi” si voglia presupporre l’esistenza di un
“punto di vista” (magari stabilito dall’autore) capace
di farci cogliere il vero (insito o meno) significato
dell’opera, cui, dunque, la suddetta
ddetta possibilità di
lettura anelerebbe.
pochi, in realtà. Vediamo.
La maggior parte delle opere
op
drammatiche che
vengono
rappresentate sono
più
o
meno
conosciute, sono già state messe in scena diverse
volte, hanno una loro genesi, per così dire, una
loro collocazione storico-culturale
storico
riconosciuta
dalla critica ufficiale, dagli storici del teatro, e così
via.
Ogni opera, insomma, appartiene in qualche modo
alla coscienza collettiva per cui si va a teatro con
una certa aspettativa di determinazione, un più o
meno preciso orizzonte d’attesa. In tale accezione
Niente di più sbagliato.
“Potenzialità anamorfica” dell’opera (drammatica)
sta qui a indicare la possibilità (peculiarità) che
essa ha di essere colta da diversi (innumerevoli)
punti di vista, nessuno dei quali può (o deve)
essere immaginato come preesistente al momento
in cui si decide di porsi di fronte a un testo.
Studi di Regia . I. 2011.
nell’altro) di fronte all’opera? Tutti, teoricamente;
possiamo paragonare il pleroma delle opere
oper
drammatiche1 ad un vocabolario, la langue di de
1
“Pleroma: vasto insieme strutturato e completo che
fa la somma totale di realtà di un certo genere: il
pleroma delle filosofie, il pleroma delle opere d’arte.
Termine preso a prestito dagli gnostici: il pleroma degli
eoni”. Dal “Glossario” in Souriau Etienne,
Etie
La
corrispondenza delle arti, tr. R. Milani, Firenze, Alinea,
1988.
Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet
1
Saussure, i cui significati sociali, ampi, vaghi e
Intendiamo dire che qualora il pubblico non avesse
astratti2 aspettano di essere determinati dall’atto
particolari orizzonti d’attesa nei confronti del
linguistico,
significato dell’opera, li avrà nei riguardi dei modi di
dalla
parole
desaussuriana,
dal
contesto.
produzione, di (utilizzando un’espressione poco
Una parola, dunque, acquista un suo significato
appropriata, ma forse efficace) presentazione
preciso, concreto, circoscritto e individuale solo se
dell’opera.
viene determinata, contestualizzata dalla frase,
Insomma, anche se in attesa di essere
dalla catena sintagmatica. Ciò non toglie che “il
determinata,
specificata,
significato di una parola consiste essenzialmente
messinscena
registica,
in una certa aspettativa di determinazione. La
presuppone un vago, indefinibile (ma pur sempre
parola ‘paesaggio’ stabilisce l’aspettativa di un
presente) orizzonte di attesa, frutto di un insieme di
contesto in cui probabilmente il discorso verterà
convenzioni (convinzioni), abitudini, ecc., che la
attorno ad elementi del paesaggio”3.
coscienza collettiva ha fatto proprie in un
Così il testo drammatico (nonostante aspetti di
determinato periodo storico.
essere determinato da una messinscena, da una
Gli
pertinentizzazione registica) viene fruito con un
nell’immaginario collettivo finiscono con il coartare
seppur vago orizzonte d’attesa, il quale, se non
anche i registi che limitano, preordinano i “punti di
riguarda
semantico
vista” spesso anche perché assoggettati dalla
dell’opera e quindi le sue diverse possibilità di
committenza, da esigenze, insomma, strettamente
d’interpretazione, riguarderà i moduli (che ne so?)
commerciali o ad ogni modo contingenti. Ma è pur
recitativi degli attori, la spazializzazione, i tempi di
vero che per quanto un regista cerchi, diciamo
fruizione, la ritmomusicalità dell’esecuzione, la
così, di assecondare il pubblico, non sarà mai
scenotecnica, il (per dirle tutte con un’unica parola
possibile stabilire a priori e con esattezza l’effetto
che suona, però, come un po’ riduttiva)
che un’azione, un gesto, una proposta insomma,
coordinamento registico.
avrà in scena.
propriamente
il
livello
orizzonti
d’attesa
attualizzata
l’opera
così
dalla
drammatica
preesistenti
E poi, senza correre il rischio di vivere e lavorare
2
La concezione del significato di una parola come
ampio, vago, sociale e astratto che, all’interno di una
frase, per mezzo dell’intendimento, diventa
circoscritto, preciso, individuale e concreto, la
troviamo in Weinrich Harald, Metafora e menzogna: la
serenità dell’arte, Bologna , Il Mulino, 1976. “Assieme
all’ulteriore contesto e alla situazione inerente, la
frase limita il significato (ampio, vago, sociale,
astratto) in funzione dell’intendimento (circoscritto,
preciso, individuale, concreto). Quando si sente una
parola isolata, la mente può vagare per l’intera
ampiezza del significato. Se si sente invece la parola
nel testo, ciò non accade” (Ivi, pp. 145-6).
3
Weinrich, cit. p. 89.
Studi di Regia . I. 2011.
completamente avulsi dalla realtà, non dobbiamo
dimenticare che il teatro (anche se vittima della
sua commercializzazione) rimane sempre un luogo
deputato all’arte, ove l’opera, nonostante la
determinazione che la teatrofania comporta,
rimane suscettibile di infinite altre interpretazioni,
ripertinentizzazioni anche personali da parte dei
Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet
2
fruitori, vuole, insomma, essere colta come
preoccuparlo. Invece non è ancora così. L’uomo
polisemica.
non si è ancora accorto di aver saturato quasi
“Il comportamento teatrale (artistico) della ‘regia’
completamente la sua possibilità di neocreazione
passa a fianco di tutte le nostre più normali attese
d’ immagini. Ci troviamo di fronte al più colossale e
(attese dal Mittelmensch, si capisce, da quell’uomo
ubiquitario ‘inquinamento immaginifico’ cui la
medio che sempre sta dentro anche di noi) al
nostra civiltà abbia mai assistito. L’eccesso di
riguardo”4.
stimolazioni visive e auditive dovute ai giornali, ai
Se il testo scritto aspetta di essere specificato,
fumetti, ai film, alla pubblicità ecc., ma anche alla
rifunzionalizzato, dall’intendimento del regista,
normale segnaletica del traffico, alle scritte
l’esecuzione teatrale (in virtù del luogo in cui si
luminose, … hanno fatto sì che non resti quasi più
epifanizza e non essendo uno spot televisivo che
nulla di libero da segni. (…) Carichi di troppi
come tale ha l’obbligo commerciale di essere
elementi che s’accavallano nella nostra mente -
monosemico)
spesso subliminarmente - finiamo per confonderli e
è
un
ritorno
al
vago,
all’indeterminato, cui il singolo fruitore deve
annegarli in un lattiginoso e amorfo amalgama”5.
(dovrebbe)
propria
Quella che da Raffaele Milani è stata definita
determinazione, per mezzo del proprio “punto di
“estasi della nuova modernità”6, nasce proprio
vista”.
dalla ridondanza di elementi segnici, in particolare
Inutile dire che l’esecuzione di un testo in teatro da
dalla ostensione e dall’accumulo di immagini in
parte di un regista comporta l’esautoramento di
movimento accompagnate, commentate (se non
quest’ultimo, al punto che egli, nel fruire il “suo”
addirittura forgiate) da musiche, musichette,
spettacolo, potrà a sua volta coglierlo sotto un
jingles, ecc.
nuovo, imprevedibile “punto di vista”.
Se la percezione equivale alla facoltà di cogliere le
rispondere
con
la
differenze, di fronte a questo flusso visivo-sonoro
Horror vacui vs. horror pleni
siamo privi di sensibilità, privi (soprattutto) di senso
critico. “Come il cane fiuta meglio la selvaggina
“Se, in tempi remoti, quando l’uomo viveva nella
solitudine di immensi spazi deserti, l’orrore per il
vuoto fu la prima motivazione delle incisioni
rupestri come quelle dei camuni, delle caverne
aurignaziane e magdaleniane, delle grotte di
quando essa si muove, e muovendosi libera la
nuvoletta del suo odore, così la percezione e il
pensiero captano meglio ciò che è variabile di ciò
che è costante. Quelli che abitano vicino ad una
cascata non sentono il rumore, e, invece, se
Lascaux o di - oggi un orrore eguale e di segno
opposto
dovrebbe
finalmente
occuparlo
e
5
4
Nanni Luciano, Regia come paradosso, in Studi di
regia, Quindi - per l’invenzione del tempo, Bologna,
Magazine, aprile 1987.
Studi di Regia . I. 2011.
Dorfles Gillo, L’intervallo perduto, Torino, Einaudi,
1980, pp. 12-3.
6
Milani Raffaele, Tecniche dello sguardo. Filmologia
ed estetica comparata, Modena, Mucchi, 1988, pp. 31
e segg.
Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet
3
questo si interrompe, percepiscono ciò che sembra
sollecitazioni che colmino ogni residuo vuoto di
più incredibile: il silenzio”7.
tempo e di spazio; ogni possibile pausa nel
Principale responsabile di questa cascata di
succedersi degli eventi”10.
immagini e suoni è la televisione, anche se a
Ecco che l’eccesso di immagini in movimento si
partire dalla metà degli anni Novanta del XX secolo
risolve in una “immobilità del movimento”, in una
tale “responsabilità” ricade in modo gradualmente
perdita di senso in assenza di un fattore
sempre più importante anche sui personal
diastematico, che permetterebbe una “presa di
computer, in particolare se collegati al web. Ma la
coscienza”, lo sviluppo di un senso critico nei
televisione, in particolare a partire dalla fine degli
confronti di ciò che ci viene reiteratamente
anni Settanta e in modo decisamente incisivo dalla
“proposto”.
metà degli anni Ottanta, struttura i suoi palinsesti al
All’horror vacui dovrebbe sostituirsi l’horror pleni, il
fine di creare un flusso audiovisivo sempre più
terrore per il “troppo pieno” e dovrebbe prendere
ammiccante e sempre più dinamico, privo di quei
spazio la necessità di una cesura, di un fattore
“neri” (ossia di spazi vuoti, di intervalli) che
intervallare attraverso il quale instaurare una
caratterizzavano la cosiddetta “paleo-tv”8 e che
distanziazione critica da quanto ci attornia. Tale
ora, anche a fronte di un’ampia gamma di canali
sarà la funzione (e in questo modo dovrà essere
disponibili,
a
fruita) dall’opera d’arte che si avrà in un luogo (e in
“distrarsi” e soprattutto a utilizzare il telecomando
un momento) deputato all’arte, alla ricezione
per sintonizzarsi su un altro programma.
critica, speculativa, analitica.
inviterebbero
il
telespettatore
Nel
vissuto quotidiano è infatti sempre più presente
Immersi in un vissuto quotidiano sempre più
quel “terrore del vuoto” per cui è necessario
caotico e “pieno”, cui sembra impossibile sottrarsi,
colmare qualsiasi spazio vuoto, qualsiasi momento
si propone qui un momento intervallare, un
libero, attraverso la fruizione, la consumazione, al
macrodiastema,
fine di scandire, ritualizzare, i vari momenti della
dell’opera d’arte, dalla (nel nostro caso particolare)
giornata e della vita. “Il consumo è un processo
teatrofania.
rituale la cui funzione primaria è di dare un senso
Teatro, quindi, come luogo in cui si va per sot-trarsi
al flusso indistinto degli eventi”9. Il consumo è
dal flusso indistinguibile di immagini e suoni della
anche consumo-fruizione di immagini, suoni, e
quotidianità; teatro come luogo della dis-trazione e,
infatti “l’uomo adulto, il bambino, la donna,
perché no?, della diversione, del divertimento,
l’operaio,
inteso soprattutto nel suo significato etimologico di
l’intellettuale,
sono
a
caccia
di
caratterizzato
dall’epifania
“allontanamento”. Qui intendiamo dunque il teatro
7
Ortega Y Gasset, Meditazioni del Chisciotte, Napoli,
Guida, 1986, p. 431.
8
Cfr. Eco Umberto, Stravideo, in L’Espresso, n. 4,
Roma, 30 gennaio 1983, pp. 52-7.
9
Douglas M. - Isherwood B., Il mondo delle cose,
Bologna, Il Mulino, 1984, p. 73.
Studi di Regia . I. 2011.
quale luogo peculiare in cui si va - e ciò lo si fa per
precisa nonché deliberata scelta - per godere di
10
Dorfles Gillo, cit., p. 11.
Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet
4
una pausa, di un momento di riflessione, di
nel senso che lo spettatore è “colui che,
allontanamento, appunto, dallo stress della vita
liberamente, accetta, per un periodo di tempo
quotidiana.
limitato della sua vita, lo stato di lettore, spettatore,
“Il gioco è l’arte o la tecnica elaborata dall’uomo
osservatore o ascoltatore. Attributi di questo ruolo
per sospendere virtualmente la sua schiavitù
sono la distanza e la libertà, e da queste nasce poi
dentro la realtà, per evadere, fuggire, sot-trarsi al
quella serenità che è del tutto indipendente dal
mondo in cui vive per rifugiarsi in un altro irreale. Il
carattere gaio o triste - in accordo col mondo
che significa dis-trarsi, versarsi in un’altra vita:
esterno o distruttore dei suoi valori - dell’opera
questo rivolgimento è il divertimento. Esso è
d’arte”12.
consustanziale alla vita umana (…). Il gioco ha
Avulsi (ma non per questo narcotizzati) dalla
creato molte forme di divertimento, più o meno
“circostanza”13 quotidiana, in teatro il nostro
perfette. Le più perfette sono le arti, perché
atteggiamento sarà critico, di “presa di coscienza”
riescono a liberarci da questa vita, in modo più
di fronte al manifestarsi dell’opera teatrale. Qui i
efficace di ogni altra cosa. E tra le arti, è stato il
rituali, i gesti quotidiani e gli automatismi della
teatro il massimo vertice del divertimento”11.
realtà vissuta “normalmente” da ciascuno di noi
Teatro, quindi, come momento di sospensione
risalteranno, saranno in un certo qual modo
dell’attività convulsa della quotidianità e teatro
reificati, resi, quindi, oggetto di analisi critica
come luogo di fruizione di un’opera (un testo
nonché, volendo, anche ironica, di derisione.
messo-in-scena) la cui agogica si differenzierà da
Così la rappresentazione delle serve di Genet (di
quel flusso visivo-sonoro in cui troviamo immersi.
cui si tratterà meglio più avanti) non richiederà di
Mentre dalla televisione (e dai mezzi di
certo la pietà, l’identificazione del pubblico, bensì
comunicazione di massa in genere) veniamo agiti
la presa di coscienza (il “prendere atto di
nostro malgrado, in maniera pressoché continua
qualcosa”) di una situazione che l’autore (e il
(tanto che i programmi televisivi vengono
regista) ha voluto porre di fronte a noi (al pubblico)
dilazionati lungo tutto l’arco della giornata e sono
senza particolari pretese, se non quella di “non
strutturati proprio per essere fruiti distrattamente,
lasciarsi ingannare” da ciò che sta accadendo in
per glances), l’atto dell’andare-a-teatro è un atto
scena.
volontario, deliberato, che presuppone l’intenzione
Sarà necessario, quindi, un between, un fra che
di lasciarsi agire, di fruire e godere di una
separi l’opera dallo spettatore. Egli dovrà sì
esecuzione ritmica particolare, dalla quale si
lasciarsi agire, ma sempre nella consapevolezza
prenderanno le dovute distanze. Anche per il
teatro, dunque, si può parlare di “serenità dell’arte”,
11
Ortega Y Gasset, cit. Introduzione di Otello Lottini,
pp. 21-2.
Studi di Regia . I. 2011.
12
Weinrich Harald, cit., p. 260.
Il termine “circostanza” è qui inteso nel suo
significato di realtà, “mondo presente” che ci circonda
e nel quale ci troviamo catapultati, a dover esistere,
“sussistere”, nostro malgrado. Passim in Ortega y
Gasset, cit.
13
Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet
5
che ciò che vede è recitato, “portato” in scena. Di
dell’opera, ci danno la possibilità di dividere il testo
fronte a questa sorta di parabola risalteranno
in cinque macrosequenze:
anche gli effetti gli effetti costruiti, la scenotecnica,
I sequenza: dall’inizio al suono della sveglia che
onde evitare l’immedesimazione (la catarsi) del
interrompe il gioco, la commedia di rito inscenata
pubblico e dell’attore. Quest’ultimo, insomma,
dalle due sorelle.
parrà quasi “citare”, declamare, ponendosi sotto
II sequenza: dal suono della sveglia al suono del
una luce argomentativo-dimostrativa.
telefono (la telefonata annuncia la scarcerazione
Il tipo di regia cui qui si vuole accennare (e si
del Signore).
sottolinea “accennare”, nella convinzione che
III sequenza: dal suono del telefono all’arrivo della
queste poche righe indicative dovranno subire a
Signora.
loro volta, se mai dovessero essere messe in
IV sequenza: dall’arrivo fino all’uscita della Signora
pratica, una pertinentizzazione data dallo spazio,
(sequenza nel corso della quale le due sorelle
dal momento, dalle varie circostanze che via via si
debbono recitano il ruolo di serve, subordinato di
presenteranno) propone la presenza di fattori
fronte alla Signora, in virtù della sua presenza).
intervallari, di più diastemi, all’interno dell’opera
V sequenza: dall’uscita della Signora fino alla fine
stessa. Il testo teatrale verrà messo in scena
(coincidente con la morte di Chiara).
attraverso la proposizione di sequenze, atti (che
Ecco dunque individuati quattro momenti, quattro
non debbono necessariamente coincidere con
“chiusure di sipario” ideali, in cui l’azione resterà
quelli proposti nel testo scritto) tra di loro separati
come sospesa, la tensione sarà ridotta al minimo
da una caduta di tensione, una cesura, che
per
favorirà la distanziazione del pubblico, il quale,
successiva. Queste quattro “pause” permetteranno
rendendosi conto di essere “di fronte” ad un
la distanziazione non solo del pubblico dall’opera,
esempio, avrà modo di speculare intorno a quanto
non solo degli attori dal ruolo che stanno recitando,
è stato appena proposto, rap-presentato.
ma anche delle serve dal gioco (dai ruoli che in
poter
poi
riprendere
nella
sequenza
esso si danno), dalla recita che inscenano. Infatti,
Delle serve o del destino
metaforico dell’uomo
all’aprirsi del sipario la serva Chiara gioca ad
essere la Signora e Solange gioca ad essere la
sorella Chiara. L’azione che ne segue coinvolge le
“Le serve” di Jean Genet è un atto unico, non
due serve al punto che Solange (Chiara), nel
propone, quindi, pause, intervalli.
momento in cui suona la sveglia, sta per uccidere
Eppure possiamo trovare nella dinamica del
la sorella Chiara-Signora. Il suono della sveglia
dialogo, nello svolgimento diegetico, più di un
spezza, interrompe il rito, catapultando le sorelle (e
“momento di sospensione”. Questi “battiti” che
il pubblico) nella realtà dove le serve rimangono
scandiscono il tempo, lo scorrere continuo
Studi di Regia . I. 2011.
Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet
6
serve, dove è impossibile fuggire, evadere,
avvertirei il pubblico con un cartello che resterebbe
affrancarsi dalla propria condizione.
appeso a destra o a sinistra della scena, durante
Nonostante l’unità dell’atto unico, “Le serve” potrà
tutta la rappresentazione”15. Le due serve,
dunque essere trattato come il risultato di un
insomma, non sono realmente “serve”; esse sono
montaggio fra parti tra loro diseguali: “l’unità del
la rappresentanza di tutti coloro che, in modo
racconto nascerà non dalla monotonia della
diverso e a diverso titolo, sono oppressi, rifiutati,
recitazione, ma da un’armonia fra parti molto
reietti, sono (considerati, soprattutto) diversi e
diverse, molto diversamente recitate”14.
vengono pertanto relegati ex margine.
Ma anche all’interno delle sequenze or ora
La diversità prende qui le sembianze di un
individuate sarà necessario dare dei segnali
qualcosa, di un personaggio il cui desiderio di
attraverso i quali “rendersi conto” che di teatro, di
alterità, di essere “altro da sé”, di negazione di se
messa-in-scena, si tratta. Sarà necessario, quindi,
stesso di fronte ad un oggetto (persona) verso cui
che la recitazione avvenga con moduli il meno
indiarsi, gli è consustanziale. Non dobbiamo,
realistici possibile e che i gesti degli interpreti siano
quindi, preoccuparci di rappresentare le serve
di tanto in tanto interrotti, lasciati in sospeso, come
secondo un modulo realistico, né preoccuparci del
se in quel momento dubitassero di ciò che stanno
significato primo ed apparente dell’opera. “Le attrici
dicendo o come se dimenticassero per un istante
non devono salire in scena col loro naturale
la parte.
erotismo, imitare le donne che si vedono sullo
Recitazione, insomma, distaccata, straniata nei
schermo. L’erotismo personale, in teatro, degrada
confronti del personaggio, tanto che Genet
la rappresentazione. Le attrici sono perciò pregate,
pensava ad una messinscena de “Le serve”
come dicono i greci, di non scodellar la fica in
interpretata da giovanetti. L’attore sarebbe così un
tavola. (“Le serve”) è una favola... Bisogna a un
presentatore del suo personaggio, lo citerebbe con
tempo crederci e rifiutarsi di crederci, ma poiché ci
tanto di virgolette e nota a piè di pagina; lo
si possa credere occorre che le attrici recitino non
straniamento sarebbe infatti più che doppio: un
secondo un modulo realistico”16.
attore (un giovanetto) recita la parte di un’attrice
Senza rischiare di restare invischiati nella storia,
che recita la parte di una serva che, a sua volta,
nel primo livello semantico dell’opera, delle serve
recita la parte della Signora (nel caso di Chiara) o
si dovranno conservare il timbro araldico,
della sorella (nel caso di Solange).
l’esemplificazione,
“Se dovessi far rappresentare un lavoro teatrale in
rappresentano qui ciò che viene rifiutato, scartato
cui ci fossero parti di donna, esigerei che queste
dagli altri; esse fanno parte del “popolo pallido e
la
simbolicità.
Le
serve
parti fossero interpretate da giovinetti, e ne
7
15
14
Genet Jean, Come recitare Le Serve, in Le Serve, tr.
G. Caproni, Torino, Einaudi, 1979.
Studi di Regia . I. 2011.
Così Genet in Sartre Jean-Paul, Santo Genet,
commediante e martire, Milano, Il Saggiatore, 1972, p.
591.
16
Genet Jean, Come recitare Le Serve, cit.
Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet
multicolore che vegeta nella coscienza della gente
Alterità negata, dunque, in un gioco di specchi in
dabbene. (…) Esse sono altre. Pure emanazioni
cui il riflesso della nostra immagine (che è solo
dei loro padroni, i domestici, come i criminali,
apparenza) si perde anch’esso, frantumandosi in
appartengono all’ordine dell’Altro, all’ordine del
un’infinità di “altri” per cui anche l’identità vi è
Male”17.
negata. Alterità e identità sono entrambe negate; e
Anche nel profondo della Signora (della gente
allora è un continuo tendere, anelare, verso un
“dabbene”) vegetano la criminalità, il lerciume,
qualcosa
l’omosessualità, …; componenti, queste, che
immobile di una dialettica fra essere, non-essere e
vengono costantemente rifiutate, rimosse e che,
voler-essere.
tramite proiezioni esorcizzanti, prendono le
Così vivono (vegetano) i servi, coloro che sono
sembianze (in una sorta di personificazione
altri, senza nemmeno la prospettiva di un
allegorica, di prosopopea) dei domestici, dei froci,
eventuale riscatto, di una rivincita. Fra loro, infatti, i
dei criminali, ecc. Costoro vivono solo in virtù dello
servi non possono neanche coalizzarsi, fra loro
scarto esistenziale dei Signori, incarnandone le
non possono realmente amarsi, giacché “il
rimozioni sociopsicologiche, oggettivandone la
lerciume... non può voler bene al lerciume”18, dato
psicomachia.
che amare significa voler essere19. I servi,
Le serve, qui, tentano a loro volta di esorcizzare
insomma, vivono nel continuo desiderio di voler
l’esistenza loro negata attraverso un macabro
essere altro, desiderio di una alterità loro negata;
gioco simile ad una messa nera o ai riti voodoo. In
ma in fin dei conti anche gli appartenenti all’ordine
questa “recita nella recita” Chiara si fa Signora,
sociale, i Signori, vivono proiettati verso un
imitandone
al
personaggio archetipico, recitano la loro parte di
parossismo che coincide con l’annichilimento, la
integrati, inclusi in un sistema di cui essi stessi
smitizzazione della Signora stessa.
sono vittime. Anch’essi, dunque, negano se stessi
La fuga da se stessi (verso il personaggio cui si
perché impegnati nell’adempimento del loro ruolo
tende) si risolve in un’inevitabile prostrazione di
sociale nel quale, a volte, paiono soffrire, se non
fronte allo stesso personaggio che si vuole
addirittura invidiare la condizione parassitaria dei
incarnare, perché è proprio questo che ci rifiuta;
domestici. Il loro è come un impegno a vivere nel
esso esiste (così in alto, così “personaggio”, così
“voler essere come” il modello loro prefigurato.
blasonato) proprio perché esclude il nostro essere;
Ecco perché il destino dell’uomo (“servo” o
i
gesti,
esasperandoli
fino
di
impalpabile,
indefinito,
motore
e noi, nel voler essere quel personaggio, finiamo
con il rifiutare noi stessi, con il trovarci di fronte ad
uno specchio di cui ripudiamo l’immagine.
17
Sartre Jean-Paul, cit., p. 596.
Studi di Regia . I. 2011.
18
Genet Jean, Le Serve, cit., p. 16, la battuta è di
Solange.
19
Le serve “amano Madame: ciò significa, nel
linguaggio di Genet, che vorrebbero, l’una e l’altra,
diventare Madame; in altri termini integrarsi
nell’ordine sociale di cui sono gli scarti”. Sartre JeanPaul, cit., p. 596.
Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet
8
“padrone” che sia) è un destino metaforico, vissuto
lasci trascinare nel giuoco, come quei bambini che
nella tensione costante nei confronti di un qualcosa
al cinema gridano: ‘Non bere, è un veleno!’, o
che gli è costantemente negato. “L’unica maniera
come quel pubblico ingenuo che aspettava, si dice,
in cui per una cosa è possibile esserne un’altra è la
Frédéric Lemaitre all’uscita degli artisti per
metafora - l’ “essere come” o quasi-essere. Il che
spaccargli il muso”24 o come il Chisciotte che si
ci rivela inaspettatamente che l’uomo ha un
scaglia furioso a colpi di spada contro il teatrino di
destino metaforico, che l’uomo è metafora
Mastro Pedro.
esistenziale”20.
Tant’è, a tutt’oggi, quanto riteniamo si possa dire
Risulta chiaro ora come sarebbe riduttivo fare delle
intorno a “Le serve” di Jean Genet e intorno ad una
serve delle semplici domestiche frustrate, darne,
possibile “lettura” registica del testo. A ciascuno il
insomma, un’impronta realistica. I personaggi
compito (la delega) di rifare, discutere, distruggere
“serve” saranno il risultato di un’operazione di
quanto sin qui proposto.
astrazione in cui elimineremo i referenti realistici,
convinti che esse recitano anche quando sono
serve, anche di fronte alla Signora. “Le due sorelle
recitano sempre, sia nella parte della padrona, sia
in quella dell’altra sorella, sia quando sono se
stesse; sono anzitutto attrici e in questa veste la
passione la passione che le domina è quella di
immaginare, di mettere in scena situazioni”21.
Esse mettono in scena pure il loro personaggio
diventando così mere figure simboliche, retoriche.
“Speravo di ottenere l’abolizione dei personaggi.
(…) Ottenere che questi personaggi fossero
nient’altro che la metafora di ciò che devono
rappresentare”22.
Il tono delle attrici, come suggerisce Genet stesso
nella
“Lettera
a
Pauvert”,
sarà
un
tono
“declamatorio”,23 onde evitare che “lo spettatore si
20
Ortega y Gasset, cit., p. 192.
Angelini Franca, Il teatro, in Jean Genet. Tutto il
teatro, Milano, Oscar Mondadori, 1971.
22
Così Jean Genet nella Lettera a Pauvert, cfr. Genet
Jean , Lettre à Jean-Jacques Pauvert, in Les Nègres au
port de la lune, Bordeaux, La Différence, 1988.
23
Ibidem.
21
Studi di Regia . I. 2011.
9
24
Sartre Jean-Paul, cit., p. 592.
Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet