Studi di Regia. Regia. I. 2011 L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet di Bruno Zucchermaglio Chi saranno i delegati a porsi (in un modo o Premessa Nel proporre una lettura registica de “Le Serve” di Jean Genet non si vuole, sia ben chiaro, proporre una spiegazione (esplicazione) del testo, bensì una sua possibilità di lettura,, consci (soprattutto convinti) della potenzialità anamorfica di ogni og testo drammatico. Si potrebbe ora credere che con il termine “anamorfosi” si voglia presupporre l’esistenza di un “punto di vista” (magari stabilito dall’autore) capace di farci cogliere il vero (insito o meno) significato dell’opera, cui, dunque, la suddetta ddetta possibilità di lettura anelerebbe. pochi, in realtà. Vediamo. La maggior parte delle opere op drammatiche che vengono rappresentate sono più o meno conosciute, sono già state messe in scena diverse volte, hanno una loro genesi, per così dire, una loro collocazione storico-culturale storico riconosciuta dalla critica ufficiale, dagli storici del teatro, e così via. Ogni opera, insomma, appartiene in qualche modo alla coscienza collettiva per cui si va a teatro con una certa aspettativa di determinazione, un più o meno preciso orizzonte d’attesa. In tale accezione Niente di più sbagliato. “Potenzialità anamorfica” dell’opera (drammatica) sta qui a indicare la possibilità (peculiarità) che essa ha di essere colta da diversi (innumerevoli) punti di vista, nessuno dei quali può (o deve) essere immaginato come preesistente al momento in cui si decide di porsi di fronte a un testo. Studi di Regia . I. 2011. nell’altro) di fronte all’opera? Tutti, teoricamente; possiamo paragonare il pleroma delle opere oper drammatiche1 ad un vocabolario, la langue di de 1 “Pleroma: vasto insieme strutturato e completo che fa la somma totale di realtà di un certo genere: il pleroma delle filosofie, il pleroma delle opere d’arte. Termine preso a prestito dagli gnostici: il pleroma degli eoni”. Dal “Glossario” in Souriau Etienne, Etie La corrispondenza delle arti, tr. R. Milani, Firenze, Alinea, 1988. Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet 1 Saussure, i cui significati sociali, ampi, vaghi e Intendiamo dire che qualora il pubblico non avesse astratti2 aspettano di essere determinati dall’atto particolari orizzonti d’attesa nei confronti del linguistico, significato dell’opera, li avrà nei riguardi dei modi di dalla parole desaussuriana, dal contesto. produzione, di (utilizzando un’espressione poco Una parola, dunque, acquista un suo significato appropriata, ma forse efficace) presentazione preciso, concreto, circoscritto e individuale solo se dell’opera. viene determinata, contestualizzata dalla frase, Insomma, anche se in attesa di essere dalla catena sintagmatica. Ciò non toglie che “il determinata, specificata, significato di una parola consiste essenzialmente messinscena registica, in una certa aspettativa di determinazione. La presuppone un vago, indefinibile (ma pur sempre parola ‘paesaggio’ stabilisce l’aspettativa di un presente) orizzonte di attesa, frutto di un insieme di contesto in cui probabilmente il discorso verterà convenzioni (convinzioni), abitudini, ecc., che la attorno ad elementi del paesaggio”3. coscienza collettiva ha fatto proprie in un Così il testo drammatico (nonostante aspetti di determinato periodo storico. essere determinato da una messinscena, da una Gli pertinentizzazione registica) viene fruito con un nell’immaginario collettivo finiscono con il coartare seppur vago orizzonte d’attesa, il quale, se non anche i registi che limitano, preordinano i “punti di riguarda semantico vista” spesso anche perché assoggettati dalla dell’opera e quindi le sue diverse possibilità di committenza, da esigenze, insomma, strettamente d’interpretazione, riguarderà i moduli (che ne so?) commerciali o ad ogni modo contingenti. Ma è pur recitativi degli attori, la spazializzazione, i tempi di vero che per quanto un regista cerchi, diciamo fruizione, la ritmomusicalità dell’esecuzione, la così, di assecondare il pubblico, non sarà mai scenotecnica, il (per dirle tutte con un’unica parola possibile stabilire a priori e con esattezza l’effetto che suona, però, come un po’ riduttiva) che un’azione, un gesto, una proposta insomma, coordinamento registico. avrà in scena. propriamente il livello orizzonti d’attesa attualizzata l’opera così dalla drammatica preesistenti E poi, senza correre il rischio di vivere e lavorare 2 La concezione del significato di una parola come ampio, vago, sociale e astratto che, all’interno di una frase, per mezzo dell’intendimento, diventa circoscritto, preciso, individuale e concreto, la troviamo in Weinrich Harald, Metafora e menzogna: la serenità dell’arte, Bologna , Il Mulino, 1976. “Assieme all’ulteriore contesto e alla situazione inerente, la frase limita il significato (ampio, vago, sociale, astratto) in funzione dell’intendimento (circoscritto, preciso, individuale, concreto). Quando si sente una parola isolata, la mente può vagare per l’intera ampiezza del significato. Se si sente invece la parola nel testo, ciò non accade” (Ivi, pp. 145-6). 3 Weinrich, cit. p. 89. Studi di Regia . I. 2011. completamente avulsi dalla realtà, non dobbiamo dimenticare che il teatro (anche se vittima della sua commercializzazione) rimane sempre un luogo deputato all’arte, ove l’opera, nonostante la determinazione che la teatrofania comporta, rimane suscettibile di infinite altre interpretazioni, ripertinentizzazioni anche personali da parte dei Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet 2 fruitori, vuole, insomma, essere colta come preoccuparlo. Invece non è ancora così. L’uomo polisemica. non si è ancora accorto di aver saturato quasi “Il comportamento teatrale (artistico) della ‘regia’ completamente la sua possibilità di neocreazione passa a fianco di tutte le nostre più normali attese d’ immagini. Ci troviamo di fronte al più colossale e (attese dal Mittelmensch, si capisce, da quell’uomo ubiquitario ‘inquinamento immaginifico’ cui la medio che sempre sta dentro anche di noi) al nostra civiltà abbia mai assistito. L’eccesso di riguardo”4. stimolazioni visive e auditive dovute ai giornali, ai Se il testo scritto aspetta di essere specificato, fumetti, ai film, alla pubblicità ecc., ma anche alla rifunzionalizzato, dall’intendimento del regista, normale segnaletica del traffico, alle scritte l’esecuzione teatrale (in virtù del luogo in cui si luminose, … hanno fatto sì che non resti quasi più epifanizza e non essendo uno spot televisivo che nulla di libero da segni. (…) Carichi di troppi come tale ha l’obbligo commerciale di essere elementi che s’accavallano nella nostra mente - monosemico) spesso subliminarmente - finiamo per confonderli e è un ritorno al vago, all’indeterminato, cui il singolo fruitore deve annegarli in un lattiginoso e amorfo amalgama”5. (dovrebbe) propria Quella che da Raffaele Milani è stata definita determinazione, per mezzo del proprio “punto di “estasi della nuova modernità”6, nasce proprio vista”. dalla ridondanza di elementi segnici, in particolare Inutile dire che l’esecuzione di un testo in teatro da dalla ostensione e dall’accumulo di immagini in parte di un regista comporta l’esautoramento di movimento accompagnate, commentate (se non quest’ultimo, al punto che egli, nel fruire il “suo” addirittura forgiate) da musiche, musichette, spettacolo, potrà a sua volta coglierlo sotto un jingles, ecc. nuovo, imprevedibile “punto di vista”. Se la percezione equivale alla facoltà di cogliere le rispondere con la differenze, di fronte a questo flusso visivo-sonoro Horror vacui vs. horror pleni siamo privi di sensibilità, privi (soprattutto) di senso critico. “Come il cane fiuta meglio la selvaggina “Se, in tempi remoti, quando l’uomo viveva nella solitudine di immensi spazi deserti, l’orrore per il vuoto fu la prima motivazione delle incisioni rupestri come quelle dei camuni, delle caverne aurignaziane e magdaleniane, delle grotte di quando essa si muove, e muovendosi libera la nuvoletta del suo odore, così la percezione e il pensiero captano meglio ciò che è variabile di ciò che è costante. Quelli che abitano vicino ad una cascata non sentono il rumore, e, invece, se Lascaux o di - oggi un orrore eguale e di segno opposto dovrebbe finalmente occuparlo e 5 4 Nanni Luciano, Regia come paradosso, in Studi di regia, Quindi - per l’invenzione del tempo, Bologna, Magazine, aprile 1987. Studi di Regia . I. 2011. Dorfles Gillo, L’intervallo perduto, Torino, Einaudi, 1980, pp. 12-3. 6 Milani Raffaele, Tecniche dello sguardo. Filmologia ed estetica comparata, Modena, Mucchi, 1988, pp. 31 e segg. Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet 3 questo si interrompe, percepiscono ciò che sembra sollecitazioni che colmino ogni residuo vuoto di più incredibile: il silenzio”7. tempo e di spazio; ogni possibile pausa nel Principale responsabile di questa cascata di succedersi degli eventi”10. immagini e suoni è la televisione, anche se a Ecco che l’eccesso di immagini in movimento si partire dalla metà degli anni Novanta del XX secolo risolve in una “immobilità del movimento”, in una tale “responsabilità” ricade in modo gradualmente perdita di senso in assenza di un fattore sempre più importante anche sui personal diastematico, che permetterebbe una “presa di computer, in particolare se collegati al web. Ma la coscienza”, lo sviluppo di un senso critico nei televisione, in particolare a partire dalla fine degli confronti di ciò che ci viene reiteratamente anni Settanta e in modo decisamente incisivo dalla “proposto”. metà degli anni Ottanta, struttura i suoi palinsesti al All’horror vacui dovrebbe sostituirsi l’horror pleni, il fine di creare un flusso audiovisivo sempre più terrore per il “troppo pieno” e dovrebbe prendere ammiccante e sempre più dinamico, privo di quei spazio la necessità di una cesura, di un fattore “neri” (ossia di spazi vuoti, di intervalli) che intervallare attraverso il quale instaurare una caratterizzavano la cosiddetta “paleo-tv”8 e che distanziazione critica da quanto ci attornia. Tale ora, anche a fronte di un’ampia gamma di canali sarà la funzione (e in questo modo dovrà essere disponibili, a fruita) dall’opera d’arte che si avrà in un luogo (e in “distrarsi” e soprattutto a utilizzare il telecomando un momento) deputato all’arte, alla ricezione per sintonizzarsi su un altro programma. critica, speculativa, analitica. inviterebbero il telespettatore Nel vissuto quotidiano è infatti sempre più presente Immersi in un vissuto quotidiano sempre più quel “terrore del vuoto” per cui è necessario caotico e “pieno”, cui sembra impossibile sottrarsi, colmare qualsiasi spazio vuoto, qualsiasi momento si propone qui un momento intervallare, un libero, attraverso la fruizione, la consumazione, al macrodiastema, fine di scandire, ritualizzare, i vari momenti della dell’opera d’arte, dalla (nel nostro caso particolare) giornata e della vita. “Il consumo è un processo teatrofania. rituale la cui funzione primaria è di dare un senso Teatro, quindi, come luogo in cui si va per sot-trarsi al flusso indistinto degli eventi”9. Il consumo è dal flusso indistinguibile di immagini e suoni della anche consumo-fruizione di immagini, suoni, e quotidianità; teatro come luogo della dis-trazione e, infatti “l’uomo adulto, il bambino, la donna, perché no?, della diversione, del divertimento, l’operaio, inteso soprattutto nel suo significato etimologico di l’intellettuale, sono a caccia di caratterizzato dall’epifania “allontanamento”. Qui intendiamo dunque il teatro 7 Ortega Y Gasset, Meditazioni del Chisciotte, Napoli, Guida, 1986, p. 431. 8 Cfr. Eco Umberto, Stravideo, in L’Espresso, n. 4, Roma, 30 gennaio 1983, pp. 52-7. 9 Douglas M. - Isherwood B., Il mondo delle cose, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 73. Studi di Regia . I. 2011. quale luogo peculiare in cui si va - e ciò lo si fa per precisa nonché deliberata scelta - per godere di 10 Dorfles Gillo, cit., p. 11. Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet 4 una pausa, di un momento di riflessione, di nel senso che lo spettatore è “colui che, allontanamento, appunto, dallo stress della vita liberamente, accetta, per un periodo di tempo quotidiana. limitato della sua vita, lo stato di lettore, spettatore, “Il gioco è l’arte o la tecnica elaborata dall’uomo osservatore o ascoltatore. Attributi di questo ruolo per sospendere virtualmente la sua schiavitù sono la distanza e la libertà, e da queste nasce poi dentro la realtà, per evadere, fuggire, sot-trarsi al quella serenità che è del tutto indipendente dal mondo in cui vive per rifugiarsi in un altro irreale. Il carattere gaio o triste - in accordo col mondo che significa dis-trarsi, versarsi in un’altra vita: esterno o distruttore dei suoi valori - dell’opera questo rivolgimento è il divertimento. Esso è d’arte”12. consustanziale alla vita umana (…). Il gioco ha Avulsi (ma non per questo narcotizzati) dalla creato molte forme di divertimento, più o meno “circostanza”13 quotidiana, in teatro il nostro perfette. Le più perfette sono le arti, perché atteggiamento sarà critico, di “presa di coscienza” riescono a liberarci da questa vita, in modo più di fronte al manifestarsi dell’opera teatrale. Qui i efficace di ogni altra cosa. E tra le arti, è stato il rituali, i gesti quotidiani e gli automatismi della teatro il massimo vertice del divertimento”11. realtà vissuta “normalmente” da ciascuno di noi Teatro, quindi, come momento di sospensione risalteranno, saranno in un certo qual modo dell’attività convulsa della quotidianità e teatro reificati, resi, quindi, oggetto di analisi critica come luogo di fruizione di un’opera (un testo nonché, volendo, anche ironica, di derisione. messo-in-scena) la cui agogica si differenzierà da Così la rappresentazione delle serve di Genet (di quel flusso visivo-sonoro in cui troviamo immersi. cui si tratterà meglio più avanti) non richiederà di Mentre dalla televisione (e dai mezzi di certo la pietà, l’identificazione del pubblico, bensì comunicazione di massa in genere) veniamo agiti la presa di coscienza (il “prendere atto di nostro malgrado, in maniera pressoché continua qualcosa”) di una situazione che l’autore (e il (tanto che i programmi televisivi vengono regista) ha voluto porre di fronte a noi (al pubblico) dilazionati lungo tutto l’arco della giornata e sono senza particolari pretese, se non quella di “non strutturati proprio per essere fruiti distrattamente, lasciarsi ingannare” da ciò che sta accadendo in per glances), l’atto dell’andare-a-teatro è un atto scena. volontario, deliberato, che presuppone l’intenzione Sarà necessario, quindi, un between, un fra che di lasciarsi agire, di fruire e godere di una separi l’opera dallo spettatore. Egli dovrà sì esecuzione ritmica particolare, dalla quale si lasciarsi agire, ma sempre nella consapevolezza prenderanno le dovute distanze. Anche per il teatro, dunque, si può parlare di “serenità dell’arte”, 11 Ortega Y Gasset, cit. Introduzione di Otello Lottini, pp. 21-2. Studi di Regia . I. 2011. 12 Weinrich Harald, cit., p. 260. Il termine “circostanza” è qui inteso nel suo significato di realtà, “mondo presente” che ci circonda e nel quale ci troviamo catapultati, a dover esistere, “sussistere”, nostro malgrado. Passim in Ortega y Gasset, cit. 13 Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet 5 che ciò che vede è recitato, “portato” in scena. Di dell’opera, ci danno la possibilità di dividere il testo fronte a questa sorta di parabola risalteranno in cinque macrosequenze: anche gli effetti gli effetti costruiti, la scenotecnica, I sequenza: dall’inizio al suono della sveglia che onde evitare l’immedesimazione (la catarsi) del interrompe il gioco, la commedia di rito inscenata pubblico e dell’attore. Quest’ultimo, insomma, dalle due sorelle. parrà quasi “citare”, declamare, ponendosi sotto II sequenza: dal suono della sveglia al suono del una luce argomentativo-dimostrativa. telefono (la telefonata annuncia la scarcerazione Il tipo di regia cui qui si vuole accennare (e si del Signore). sottolinea “accennare”, nella convinzione che III sequenza: dal suono del telefono all’arrivo della queste poche righe indicative dovranno subire a Signora. loro volta, se mai dovessero essere messe in IV sequenza: dall’arrivo fino all’uscita della Signora pratica, una pertinentizzazione data dallo spazio, (sequenza nel corso della quale le due sorelle dal momento, dalle varie circostanze che via via si debbono recitano il ruolo di serve, subordinato di presenteranno) propone la presenza di fattori fronte alla Signora, in virtù della sua presenza). intervallari, di più diastemi, all’interno dell’opera V sequenza: dall’uscita della Signora fino alla fine stessa. Il testo teatrale verrà messo in scena (coincidente con la morte di Chiara). attraverso la proposizione di sequenze, atti (che Ecco dunque individuati quattro momenti, quattro non debbono necessariamente coincidere con “chiusure di sipario” ideali, in cui l’azione resterà quelli proposti nel testo scritto) tra di loro separati come sospesa, la tensione sarà ridotta al minimo da una caduta di tensione, una cesura, che per favorirà la distanziazione del pubblico, il quale, successiva. Queste quattro “pause” permetteranno rendendosi conto di essere “di fronte” ad un la distanziazione non solo del pubblico dall’opera, esempio, avrà modo di speculare intorno a quanto non solo degli attori dal ruolo che stanno recitando, è stato appena proposto, rap-presentato. ma anche delle serve dal gioco (dai ruoli che in poter poi riprendere nella sequenza esso si danno), dalla recita che inscenano. Infatti, Delle serve o del destino metaforico dell’uomo all’aprirsi del sipario la serva Chiara gioca ad essere la Signora e Solange gioca ad essere la sorella Chiara. L’azione che ne segue coinvolge le “Le serve” di Jean Genet è un atto unico, non due serve al punto che Solange (Chiara), nel propone, quindi, pause, intervalli. momento in cui suona la sveglia, sta per uccidere Eppure possiamo trovare nella dinamica del la sorella Chiara-Signora. Il suono della sveglia dialogo, nello svolgimento diegetico, più di un spezza, interrompe il rito, catapultando le sorelle (e “momento di sospensione”. Questi “battiti” che il pubblico) nella realtà dove le serve rimangono scandiscono il tempo, lo scorrere continuo Studi di Regia . I. 2011. Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet 6 serve, dove è impossibile fuggire, evadere, avvertirei il pubblico con un cartello che resterebbe affrancarsi dalla propria condizione. appeso a destra o a sinistra della scena, durante Nonostante l’unità dell’atto unico, “Le serve” potrà tutta la rappresentazione”15. Le due serve, dunque essere trattato come il risultato di un insomma, non sono realmente “serve”; esse sono montaggio fra parti tra loro diseguali: “l’unità del la rappresentanza di tutti coloro che, in modo racconto nascerà non dalla monotonia della diverso e a diverso titolo, sono oppressi, rifiutati, recitazione, ma da un’armonia fra parti molto reietti, sono (considerati, soprattutto) diversi e diverse, molto diversamente recitate”14. vengono pertanto relegati ex margine. Ma anche all’interno delle sequenze or ora La diversità prende qui le sembianze di un individuate sarà necessario dare dei segnali qualcosa, di un personaggio il cui desiderio di attraverso i quali “rendersi conto” che di teatro, di alterità, di essere “altro da sé”, di negazione di se messa-in-scena, si tratta. Sarà necessario, quindi, stesso di fronte ad un oggetto (persona) verso cui che la recitazione avvenga con moduli il meno indiarsi, gli è consustanziale. Non dobbiamo, realistici possibile e che i gesti degli interpreti siano quindi, preoccuparci di rappresentare le serve di tanto in tanto interrotti, lasciati in sospeso, come secondo un modulo realistico, né preoccuparci del se in quel momento dubitassero di ciò che stanno significato primo ed apparente dell’opera. “Le attrici dicendo o come se dimenticassero per un istante non devono salire in scena col loro naturale la parte. erotismo, imitare le donne che si vedono sullo Recitazione, insomma, distaccata, straniata nei schermo. L’erotismo personale, in teatro, degrada confronti del personaggio, tanto che Genet la rappresentazione. Le attrici sono perciò pregate, pensava ad una messinscena de “Le serve” come dicono i greci, di non scodellar la fica in interpretata da giovanetti. L’attore sarebbe così un tavola. (“Le serve”) è una favola... Bisogna a un presentatore del suo personaggio, lo citerebbe con tempo crederci e rifiutarsi di crederci, ma poiché ci tanto di virgolette e nota a piè di pagina; lo si possa credere occorre che le attrici recitino non straniamento sarebbe infatti più che doppio: un secondo un modulo realistico”16. attore (un giovanetto) recita la parte di un’attrice Senza rischiare di restare invischiati nella storia, che recita la parte di una serva che, a sua volta, nel primo livello semantico dell’opera, delle serve recita la parte della Signora (nel caso di Chiara) o si dovranno conservare il timbro araldico, della sorella (nel caso di Solange). l’esemplificazione, “Se dovessi far rappresentare un lavoro teatrale in rappresentano qui ciò che viene rifiutato, scartato cui ci fossero parti di donna, esigerei che queste dagli altri; esse fanno parte del “popolo pallido e la simbolicità. Le serve parti fossero interpretate da giovinetti, e ne 7 15 14 Genet Jean, Come recitare Le Serve, in Le Serve, tr. G. Caproni, Torino, Einaudi, 1979. Studi di Regia . I. 2011. Così Genet in Sartre Jean-Paul, Santo Genet, commediante e martire, Milano, Il Saggiatore, 1972, p. 591. 16 Genet Jean, Come recitare Le Serve, cit. Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet multicolore che vegeta nella coscienza della gente Alterità negata, dunque, in un gioco di specchi in dabbene. (…) Esse sono altre. Pure emanazioni cui il riflesso della nostra immagine (che è solo dei loro padroni, i domestici, come i criminali, apparenza) si perde anch’esso, frantumandosi in appartengono all’ordine dell’Altro, all’ordine del un’infinità di “altri” per cui anche l’identità vi è Male”17. negata. Alterità e identità sono entrambe negate; e Anche nel profondo della Signora (della gente allora è un continuo tendere, anelare, verso un “dabbene”) vegetano la criminalità, il lerciume, qualcosa l’omosessualità, …; componenti, queste, che immobile di una dialettica fra essere, non-essere e vengono costantemente rifiutate, rimosse e che, voler-essere. tramite proiezioni esorcizzanti, prendono le Così vivono (vegetano) i servi, coloro che sono sembianze (in una sorta di personificazione altri, senza nemmeno la prospettiva di un allegorica, di prosopopea) dei domestici, dei froci, eventuale riscatto, di una rivincita. Fra loro, infatti, i dei criminali, ecc. Costoro vivono solo in virtù dello servi non possono neanche coalizzarsi, fra loro scarto esistenziale dei Signori, incarnandone le non possono realmente amarsi, giacché “il rimozioni sociopsicologiche, oggettivandone la lerciume... non può voler bene al lerciume”18, dato psicomachia. che amare significa voler essere19. I servi, Le serve, qui, tentano a loro volta di esorcizzare insomma, vivono nel continuo desiderio di voler l’esistenza loro negata attraverso un macabro essere altro, desiderio di una alterità loro negata; gioco simile ad una messa nera o ai riti voodoo. In ma in fin dei conti anche gli appartenenti all’ordine questa “recita nella recita” Chiara si fa Signora, sociale, i Signori, vivono proiettati verso un imitandone al personaggio archetipico, recitano la loro parte di parossismo che coincide con l’annichilimento, la integrati, inclusi in un sistema di cui essi stessi smitizzazione della Signora stessa. sono vittime. Anch’essi, dunque, negano se stessi La fuga da se stessi (verso il personaggio cui si perché impegnati nell’adempimento del loro ruolo tende) si risolve in un’inevitabile prostrazione di sociale nel quale, a volte, paiono soffrire, se non fronte allo stesso personaggio che si vuole addirittura invidiare la condizione parassitaria dei incarnare, perché è proprio questo che ci rifiuta; domestici. Il loro è come un impegno a vivere nel esso esiste (così in alto, così “personaggio”, così “voler essere come” il modello loro prefigurato. blasonato) proprio perché esclude il nostro essere; Ecco perché il destino dell’uomo (“servo” o i gesti, esasperandoli fino di impalpabile, indefinito, motore e noi, nel voler essere quel personaggio, finiamo con il rifiutare noi stessi, con il trovarci di fronte ad uno specchio di cui ripudiamo l’immagine. 17 Sartre Jean-Paul, cit., p. 596. Studi di Regia . I. 2011. 18 Genet Jean, Le Serve, cit., p. 16, la battuta è di Solange. 19 Le serve “amano Madame: ciò significa, nel linguaggio di Genet, che vorrebbero, l’una e l’altra, diventare Madame; in altri termini integrarsi nell’ordine sociale di cui sono gli scarti”. Sartre JeanPaul, cit., p. 596. Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet 8 “padrone” che sia) è un destino metaforico, vissuto lasci trascinare nel giuoco, come quei bambini che nella tensione costante nei confronti di un qualcosa al cinema gridano: ‘Non bere, è un veleno!’, o che gli è costantemente negato. “L’unica maniera come quel pubblico ingenuo che aspettava, si dice, in cui per una cosa è possibile esserne un’altra è la Frédéric Lemaitre all’uscita degli artisti per metafora - l’ “essere come” o quasi-essere. Il che spaccargli il muso”24 o come il Chisciotte che si ci rivela inaspettatamente che l’uomo ha un scaglia furioso a colpi di spada contro il teatrino di destino metaforico, che l’uomo è metafora Mastro Pedro. esistenziale”20. Tant’è, a tutt’oggi, quanto riteniamo si possa dire Risulta chiaro ora come sarebbe riduttivo fare delle intorno a “Le serve” di Jean Genet e intorno ad una serve delle semplici domestiche frustrate, darne, possibile “lettura” registica del testo. A ciascuno il insomma, un’impronta realistica. I personaggi compito (la delega) di rifare, discutere, distruggere “serve” saranno il risultato di un’operazione di quanto sin qui proposto. astrazione in cui elimineremo i referenti realistici, convinti che esse recitano anche quando sono serve, anche di fronte alla Signora. “Le due sorelle recitano sempre, sia nella parte della padrona, sia in quella dell’altra sorella, sia quando sono se stesse; sono anzitutto attrici e in questa veste la passione la passione che le domina è quella di immaginare, di mettere in scena situazioni”21. Esse mettono in scena pure il loro personaggio diventando così mere figure simboliche, retoriche. “Speravo di ottenere l’abolizione dei personaggi. (…) Ottenere che questi personaggi fossero nient’altro che la metafora di ciò che devono rappresentare”22. Il tono delle attrici, come suggerisce Genet stesso nella “Lettera a Pauvert”, sarà un tono “declamatorio”,23 onde evitare che “lo spettatore si 20 Ortega y Gasset, cit., p. 192. Angelini Franca, Il teatro, in Jean Genet. Tutto il teatro, Milano, Oscar Mondadori, 1971. 22 Così Jean Genet nella Lettera a Pauvert, cfr. Genet Jean , Lettre à Jean-Jacques Pauvert, in Les Nègres au port de la lune, Bordeaux, La Différence, 1988. 23 Ibidem. 21 Studi di Regia . I. 2011. 9 24 Sartre Jean-Paul, cit., p. 592. Bruno Zucchermaglio. L’alterità negata ovvero per una anamorfosi registica de “Le Serve” di Jean Genet