Anatomia Patologica
2015/2016
Le basi:
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Parte generale riassunto…………………………………………………………………………………………pag. 2-22
Tecniche……………………………………………………………………………………………………………..…pag. 23-35
Sbobbinature ADE………………………………………………………………………………………………….pag. 36-85
La sistematica:
-
Patologia dei tessuti linfatici…………………………………………………………………………………pag. 86-123
Patologia cardiovascolare….…………………………………………………………………………………pag.124-145
Patologia del polmone………………………………………………………………………………………..pag. 146-175
Patologia del tratto gastroenterico……………………………………………………………………..pag. 176-219
Patologia del fegato e delle vie biliari………………………………………………………………….pag. 220-251
Patologia del rene……………………………………………………………………………………………….pag. 252-271
Patologia dell’apparato genitale maschile…………………………………………………………..pag. 272-297
Patologia dell’apparato genitale femminile…………………………………………………………pag. 298-338
Lezione riassuntiva con focus su patologia tiroidea…………………………………………….pag.339-347
Patologia del SNC………………………………………………………………………………………………..pag.348-366
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Parte Generale
1) Utilizzo e ruolo dell’autopsia nella pratica medica.
L'AUTOPSIA (cap. 2)
Detta anche riscontro diagnostico necroscopico, è un esame dettagliato condotto sul cadavere e gli organi
interni per formulare una diagnosi sulla causa di morte (principalmente); può essere utilizzata anche per
determinare gli effetti di terapie farmacologiche effettuate in vita, caratterizzare gli aspetti morfologici di
nuove malattie, indagare su malattie infettive al fine di evitare il contagio, analizzare feti malformati o
usata come sostegno didattico per gli studenti delle facoltà scientifiche.
Regolamentazione giuridica della disciplina necroscopica
– I medici curanti sono obbligati a comunicare al comune la causa di morte dei propri assistiti. Se il
deceduto non usufruiva di assistenza medica, sarà il medico necroscopo nominato dall'ASL a
denunciare la causa di morte. Se l'esame esterno del cadavere non è sufficiente a formulare una
diagnosi → autopsia.
– L'autopsia è effettuata dall'anatomo patologo. Al termine dell'analisi il cadavere viene ricomposto e
si redige una relazione dei risultati diagnostici da inviare al direttore sanitario o della casa di cura e
in seguito al comune per la compilazione della scheda di morte che viene poi inviata all' ASL.
N.B. L'autopsia è obbligatoria per i pazienti privi di assistenza medica morti e poi trasportati in
ospedale; è facoltativa in tutti gli altri casi; non richiede il consenso dei familiari. Eccezione fa la
morte inaspettata del feto e la sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS) in cui è
necessario il consenso dei genitori.
– Se per la morte di una persone sorge il sospetto di reato, il medico mette a disposizione il cadavere
alle autorità giudiziarie (autopsia giudiziaria, è effettuata dal medico legale). L'autopsia deve essere
praticata non prima di 24 ore dal decesso.
Prelievo di fluidi biologici per analisi microbiologiche e tossicologiche
– analisi microbiologica: campioni ematici vengono prelevati dalle cavità cardiache, urina dalla
vescica, liquor dal SNC con una siringa; i campioni vengono posti immediatamente a 4°C e inviati al
laboratorio di analisi
– analisi tossicologica: campioni ematici vengono prelevati dalle vene periferiche perché il sangue
nelle cavità cardiache può essere contaminato post mortem da sostanze farmacologicamente attive
presenti nel tubo digerente. L'esame delle ruine è utile per l'analisi della maggior parte delle
sostanze tossiche, il prelievo è uguale a quello microbiologico; nella bile si ricercano in particolare
clorpromazina, morfina e metalli pesanti, il prelievo è effettuato con una siringa senza ago dopo
incisione della colecisti. Viene analizzato anche tutto il contenuto gastrico.
Prelievo di tessuti per le indagini microscopiche e biomolecolari
– microscopiche: vd. Capitolo 3
– biomolecolari: tessuti prelevati sono congelati rapidamente con isopentano, raffreddati in azoto
liquido e conservati in congelamento a -80°C. La milza essendo ricca di linfociti è il campione ideale
per l'estrazione del DNA.
Autopsia fetale e perinatale
Dovrebbe essere effettuata in questi casi:
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affinamento delle tecniche di diagnostica in utero: l'accuratezza dei dati ecografici o di risonanza
magnetica è correlato con i risulati dell'autopsia, soprattutto in un soggetto con sindrome
malformativa ereditaria
– rapida evoluzione della neonatologia e della medicina fetale.
Fasi dell'autopsia
1. esame esterno
2. apertura ed eviscerazione
3. descrizione a cui segue la diagnosi anatomopatologica
4. epicrisi: interpretazione complessiva dell'autopsia, si propone di individuare la causa terminale
dell'exitus (diagnosi di morte), la malattia iniziale (causa primaria dell'exitus) ed eventuali altre
patologie associate.
2) I principi della biopsia chirurgica e la diagnosi bioptica; tipi di campioni; modalità di richiesta di un esame cito
istologico.
LA DIAGNOSI ISTOLOGICA (cap. 3)
La biopsia tissutale
Biopsia tissutale: prelievo di tessuto finalizzato all'allestimento di un preparato istologico (o vetrino) su cui
porre una diagnosi istologica. Ne esistono diversi tipi:
Agobiopsia
Effettuata con aghi a scatto (calibro 21 Gauge) per prelevare un cilindro di 2 cm. Può essere:
– Eco o TAC-guidata (lesioni focali): con l'ausilio di ecografia o TAC per analizzare masse profonde in
mammella, polmone, prostata. Un tipo particolare di Tac-guidate sono le agobiopsie stereotassiche,
prelievi mirati di elevata precisione, si usano per prelevare masse cerebrali o piccole lesioni
mammellari;
– A cielo coperto: senza ausilio di strumenti guida, si effettuano su fegato, rene e midollo osseo per
analizzare patologie diffuse (es. cirrosi, glomerulonefriti)
N.B. Differenza con agoaspirato: in questo la siringa più piccola e il campione prelevato è già pronto per
essere posto su vetrino, il prelievo con agobiopsia deve invece essere prima incluso in paraffina e poi
tagliato.
Biopsia endoscopica
I frammenti di tessuto (di pochi millimetri) si prelevano con una pinza bioptica montata su un endoscopio a
fibre ottiche. E' molto usata per le malattie dell'apparato digerente, respiratorio, vie urinarie, apparato
genitale femminile.
Biopsie chirurgiche
E' necessario un intervento chirurgico per prelevare il frammento di tessuto.
• Biopsia incisionale: prelievo chirurgico di un frammento di tessuto da una lesione non resecabile, è
fatta per diagnosticare la natura della lesione e così impostare una terapia;
• Biopsia escissionale: prevede l’escissione dell’intera lesione. E' fatta per diagnosticare la natura
della lesione e confermare la completezza della resezione. Le lesione pigmentate, così come i
linfonodi, non vanno mai incisi, ma escissi, perché la diagnosi va fatto osservando l’intera struttura
della lesione.
Pezzi operatori
Prevede l'asportazione di un organo in toto o di parti di esso; si esegue durante interventi chirurgici che
hanno fini curativi, e specialmente su organi con neoplasie maligne diagnosticate precedentemente con
biopsia endoscopica o agobiopsia. Lo scopo è per confermare la natura e l'estensione della lesione.
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Gestione del prelievo bioptico
1. Il medico che effettua il prelievo:
– effettua la biopsia sul paziente
– pone una biopsia in un contenitore con formalina 10%: in alcuni casi può essere saltato questo
passaggio ed inviare “a fresco” il campione in laboratorio quando ad esempio si deve congelare il
campione per successive caratterizzazioni biomolecolari,
– etichetta il contenitore con le generalità del paziente
– compila un modulo di richiesta di esame istologico (contiene anche la descrizione del campione)
2. Il tecnico di anatomia patologica che accetta il prelievo:
– verifica che il materiale inviato sia in formalina e corrisponda alla descrizione nella richiesta
d'esame
– verifica che il modulo di richiesta sia completo
– assegna al caso un numero di protocollo – assegna il caso ad un anatomopatologo 3.
L'anatomopatologo
– descrive il materiale ricevuto in esame
–
effettua prelievi di tessuti non più grandi di 1cm2 da cui allestire preparati istologici (riduzione del
pezzo); per tessuti come l'osso bisogna effettuare prima processi di decalcificazione, poi vengono
tagliati;
– pone i rilievi in biocassette di plastica che consenga al tecnico di laboratorio
4. Il tecnico di anatomia patologica che allestisce i preparati
–
pone le biocassette nei processatori di tessuti
–
include il tessuto processato in paraffina
–
taglia, colora e monta le sezioni su vetrino
–
consegna i vetrini all'anatomopatologo 5. L'anatomopatologo
–
esamina i preparati al microscopio
–
formula una diagnosi
–
scrive un referto
–
invia il referto al medico che ha effettuato il prelievo.
Allestimento di preparati istologici
Preparato istologico (o vetrino): lama di vetro su cui è posta una sezione istologica.
Fasi di allestimento:
1. Fissazione: ha la funzione di preservare la morfologia tissutale e cellulare; infatti si bloccano i
processi autolitici post-mortem. Può avvenire con metodi fisici: a caldo (molto raro), a freddo (si
effettua per l’esame estemporaneo o per conservare il campione per un tempo indefinito, inoltre si
evitano molti dei traumi che si hanno con la fissazione chimica) si usa solo nel 1-2% dei campioni.
Nella maggior parte dei casi il metodo di fissazione è chimico: il preparato è fissato in formalina
10% (detta anche formaldeide 4%). Questa crea dei ponti tra le strutture secondarie delle proteine,
fissandole e bloccandone l'attività enzimatica → blocco della degradazione tissutale. Fissa in questo
modo anche i batteri → blocco putrefazione. La formalina è una soluzione acquosa quindi penetra
bene nei tessuti contenenti acqua, la fissazione dura moltissimi anni. Il tempo di fissazione varia a
seconda dei tessuti. Può avvenire mediante processi fisici o chimici.
2. Processazione: il frammento bioptico deve essere incluso in paraffina per essere tagliato. La
paraffina non è miscibile nell'acqua (che si trova in tutti i tessuti); per consentire la permeazione del
tessuto con la paraffina è necessaria prima una:
- disidratazione: immersione in etanolo a concentrazioni crescenti→H2O sostituita da alcol
- diafanizzazione: l'etanolo viene sostituito da xilolo che è un solvente della paraffina
- permeazione: il tessuto viene fatto stazionare in paraffina liquida per impregnarlo
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3. Inclusione in paraffina: il tessuto viene posto in una vaschetta metallica contenente paraffina; tutto
è posto su una piastra fredda. La paraffina si raffredda → si solidifica; il blocchetto contenente il
tessuto è così pronto per il taglio
4. Taglio delle sezioni istologiche: lo strumento usato è il microtomo che può essere: - rotativo: la
lama è fissa e il blocco va su e giù (più frequentemente usato)
- a slitta: la lama è mobile e il blocco è fisso. I preparati tagliati vengono separati
inserendoli in acqua calda. Da un'inclusione si tagliano più sezioni che vanno su un unico vetrino
per avere un quadro completo.
5. Colorazione: i coloranti sono soluzioni acquose o alcoliche, perciò si deve eliminare la paraffina che
è idrofoba → sparaffinatura.
Box – Colorazioni
• Ematossilina – Eosina: la più usata, ematossilina è basica e colora i nucei di blu, eosina è debolmente acida e
colora il citoplasma di rosa
• PAS (colorazione con acido periodico di Schiff): si colora in rosso magenta il glicogeno, le mucosostanze
neutre, le membrane basali, molti funghi e parassiti
• Ziehl-Neelsen: colora batteri alcol-acido resistenti in rosso brillante. E' molto utile nella diagnosi di
tubercolosi
• Rosso Congo: colora i depositi di sostanza amiloide e ne accentua la colorazione bifrangente verde mela
quando osservati a luce polarizzata
• Gomori (colorazione retilcolinica): colora le fibre reticolari (soprattutto collagene tipo III) e le membrane
basali. E'usata per evidenziare le fasi iniziali di alattie fibrosanti quali la cirrosi epatica e la fibrosi del midollo
osseo
• Blu di Prussia (colorazione di Perls): colora di blu intenso i pigmenti contenenti ferro (es.
emosiderina). E' utile per evidenziare accumuli di ferro come nell'emosiderosi
• Giemsa: usata nella patologia linfatica evidenzia bene H.Pylori e Leishmania • Gram: usata per i batteri
Diagnosi istologica intraoperatoria
L'esame intraoperatorio (detto anche estemporaneo) consente di effettuare una diagnosi su un campione
prelevato dal chirurgo nel corso di un intervento in 20 minuti. La risposta si ha quando l'intervento è
ancora in corso. Indicazioni
– identificare una neoplasia maligna in modo da esportare anche il tessuto circostante la lesione che
potrebbe essere infiltrato, se la neoplasia è benigna non si esporta il tessuto circostante
– operabilità: se la neoplasia è a uno stadio molto avanzato si valuta quanto radicale debba essere
l'intervento (paziente comunque terminale)
Modalità di esame
L'indurimento del pezzo non si ottiene con paraffina ma con congelamento del tessuto e taglio con
criostato (microtomo che funziona a -25°).
Osservazione delle sezioni al microscopio
I vetrini si osservano al microscopio ottico o elettronico, in seguito si fa la diagnosi e si scrive il referto. Il
campione viene archiviato per 20 anni.
Microscopio ottico
È costituito da quattro parti essenziali: sistema di illuminazione
- piastra per posizionare il vetrino
- due oculari a ingrandimento fisso fino 10x
- obiettivi intercambiabili per aumentare l’ingrandimento l’osservazione può essere:
- a piccolo ingrandimento: altrimenti detta panoramica, consente una visione d’insieme da cui non si
può prescindere perché consente l’individuazione di una eventuale lesine che viene indagata agli
ingrandimenti successivi
- a medio ingrandimento: consente una osservazione più dettagliata
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a forte ingrandimento: restringe ulteriormente il campo visivo, si perdono però alcuni dettagli
importanti per la definizione in toto della lesione.
Le fasi di osservazione più importanti sono sicuramente la prima e la seconda.
Microscopia elettronica
L’ideale per l’osservazione al ME è l’utilizzo di frammenti di 1mm3 fissati con fissativi velocissimi; infatti al
ME osserviamo le strutture subcellulari che sono le prime a degradarsi se non vengono fissate.
Sono presenti due tipi di ME:
a trasmissione: bidimensionale
a scansione: tridimensionale Le applicazioni sono molto estese:
identificazione di tessuti biocompatibili
identificazione di malattie virali
evidenziazione di strutture collagene, amiloide, granuli neuro secretivi.
8) Citologia generale e citopatologia clinica: programmi citologici di screening: cervice, endometrio, stomaco,
esofago, vescica, polmone; generalità sui controlli di qualità in citologia;tipi e valutazione dei campioni cellulari;
nozioni basiche sulla struttura e funzioni cellulari; aspetti citologici dei processi patologici dall’infiammazione al
cancro. Generalità sulle metodiche di laboratorio e loro applicazioni in citologia. Criteri morfologici di malignità.
Citopatologia clinica. Indicazioni, limiti, vantaggi.
LA CITOLOGIA DIAGNOSTICA (cap. 4)
Citologia: studio delle caratteristiche morfologiche della cellula.
I diversi tipi di esame citologico
Citologia esfoliativa: studio delle cellule che esfoliano, cioè che si staccano dagli epiteli e si ritrovano nel
lume dell'organo (es. apparato urinario).
– diretta: si raccolgono le cellule esfoliate (da espettorato, urine, liquido pleurico, liquido peritoneale,
liquor)
– indiretta: il distacco delle cellule è favorito da uno strumento. Le tecniche sono varie: abrasione
(scroping) (con una spatola si raschia la superficie del tessuto, es: pap test); spazzolamento
(brushing) (uno spazzolino spazza via le cellule dalle cavità, es: bronchi); lavaggio (washing) (getto
di soluzione salina nell'organo e raccolta meccanica del liquido); apposizione (imprinting) (si
appoggia un frammento di tessuto sul vetrino e si preme, alcune cellule rimangono attaccate al
vetrino, es: imprinting del linfonodo sentinella). Citologia agoaspirativa: studia le cellule prelevate
da una lesione tramite un ago sottile collegato ad un sistema di vuoto (in genere una siringa) che
permette l'aspirazione del materiale. Una goccia di materiale viene apposta sul vetrino
portaoggetto e viene strisciata con un altro vetrino.
Si può fare:
– a mano libera: neoformazioni superficiali e palpabili
– TAC o Eco guidata: neoformazioni molto piccole di organi profondi
– Ecoendoguidata: in corso di endoscopia; neoformazioni in sede sottomucosa dell'apparato
gastroenterico
Allestimento dei preparati citologici
Allestimento del materiale
1. Striscio
– da citologia agoaspirativa: una goccia viene messa su vetrino portaoggetto, un altro vetrino è posto
sopra, si fissa tutto in etanolo 95% per le colorazioni di base, o si lascia essiccare all'aria per le altre
colorazioni
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–
da citologia esfoliativa di urine e versamenti: si centrifuga il materiale, il sedimento viene prelevato
e strisciato. Il tutto viene fissato in etanolo e colorato con metodica di Papanicolaou, quando il
sedimento lo permette si può allestire un cell-block (vd. Dopo)
– Da scraping o spazzolati: il materiale è strisciato con una spatola o rotolando lo spazzolino sul
vetrino, si fissa in etanolo e in seguito si colora con Papanicolaou.
2. Strato sottile
Usata come alternativa allo striscio per Pap-Test. Il materiale viene raccolto in contenitori con etanolo; un
computer preleva la quantità di materiale da porre su vetrino e la trasferisce su questo. Vantaggi: la lettura
su vetrino è semplificata perché le cellule sono isolate, ben visibili, senza tracce di muco, il risultato è più
attrendibile.
3. Cell-block
E' l'inclusione del materiale in paraffina, non è una procedura di routine. Si esegue una centrifugazione del
liquido, ciò che si ottiene è sospeso in etanolo + eosina. La celloidina (sostanza che unita al cloroformio
forma una pellicola trasparente elastica) può aiutare la raccolta del residuo della centrifuga (pellet). Il tutto
è incluso in paraffina.
4. Filtrazione attraverso membrane porose
E' applicabile a tutti i campioni cellulari fluidi a bassa densità cellulare (es. citologia urinaria). La
sospensione cellulare è versata in un cilindro metallico, la base di questo è comunicante con una
membrana porosa sulla quale sedimentano le cellule. Il materiale è trasferito su vetrino, sistemato su un
supporto freddo che fa aderire le cellule al vetrino. E' più rapido dello stricio, ma più costoso.
5. Centrifugazione o citospin
Usato quando il liquido da analizzare è povero di cellule (es. liquor).
Fissazione
I vetrini possono essere fissati immediatamente o lasciati essiccare (solo per colorazioni di tipo ematologico
(colorazioni di Romanowsky).
– fissativi liquidi: etanolo, formalina, etanolo + EDTA (provoca lisi delle emazie che possono oscurare
il prelievo); sono più versatili nelle colorazioni però la procedura deve essere molto rapida
– fissativi a pellicola: più usati. Possono essere spray o liquidi da applicare per gocciolamento,
formano una pellicola invisibile sui vetrini che viene rimossa prima della colorazione immergendo il
preparato in etanolo. Molto usati per il Pap-test.
Colorazione
Procedura manuale o automatizzata (più frequentemente).
– colorazione secondo Papanicolaou (Pap-test): eosina colora in rosa il citoplasma delle cellule
pavimentose mature (contenenti cheratina) e a volte i nucleoli, il verde luce colora in verde (o blu) il
citoplasma delle cellule metabolicamente più attive e meno mature come le parabasali, le
intermedie e le cilindriche.
– Ematossilina-eosina: ha tempi di allestimento più brevi
– colorazioni di romanowsky: raccomandate per i preparati fissati per essiccamento, usa un gruppo di
coloranti policromici come May-Grunwald-Giemsa, Giemsa, Diff-Quick contenenti eosina e blu di
metilene. Sono metacromatici: proprietà di alcuni coloranti basici di variare colore a contatto con
alcune sostanze (detta metacromatiche).
– Istochimica: processo usato per identificare, localizzare, quantificare sostanza specifiche e gruppi
reattivi tissutali o cellulari; per alcuni distretti o per alcune diagnosi è essenziale. - amiloide: Rosso
Congo
- Proteoglicani acidi: Alcian blu
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- Nucleoproteine: Feulgen
- Glucidi: PAS reazione
- Lipidi: Olio Rosso O
Attraverso l’istochimica riusciamo a capire con certezza cosa vediamo su vetrino, superando il
limite interpretativo dell’ematossilin-eosina.
Osservazione al microscopio e l'interpretazione diagnostica dei preparati citologici La diagnosi è
fatta al microscopio ottico.
1. Si riconosce prima il preparato e si valuta l'idoneità.
2. In seguito si prosegue all'analisi del fondo che può essere, pulito, necrotico, ematico, infiammatorio
(molti neutrofili), mucoide, colloideo (iperplasia tiroidea nodulare), può presentare calcificazioni,
agenti infettivi.
3. Si valuta il fenotipo cellulare: cellule epiteliali (pavimentose, cilindriche, di transizione, mesotelio),
mesenchimali (muscolari, connettivi, adipe, cellule schiumose), ematolinfopoietiche.
4. Si valutano i criteri di benignità/malignità: benigno è un quadro pulito, con cellule ben riconoscibili,
nucleo fine ipocromatico e regolare, rapporto nucleo/citoplasma a favore del citoplasma; al
contrario un quadro con fondo infiammatorio, nuclei ipercromatici e irregolari è segno di malignità.
Il referto citologico: categorie diagnostiche
– Inadeguato/insufficiente: non ci sono notizie cliniche, eccesso di sangue o materiale necrotico,
acellularità, rottura vetrini. Dipendono da errori durante il processo di allestimento e preparazione
del vetrino
– Benigno
– Atipia: quadro benigno con alcune cellule irregolari che allarmano ma non indicano malignità
– Sospetto per malignità: quadro prevalentemente benigno con poche cellule spiccatamente atipiche
– Maligno
– Falso negativo: prelievo fuori bersaglio, acellularità, errori di interpretazione possono dare questo
risultato
– Falso positivo: soprattutto determinato da tempi di colorazione eccessivamente lunghi che rendono
i nuclei ipercromatici facendo sospettare una malignità
Modalità di prelievo del materiale nei diversi organi e cenni diagnostici
– cervice: vd. slides Cervice + File cervice
– endometrio: scraping con spatola della mucosa endometriale; eseguito in condizioni di sterilità. È
un esame meno efficace del Pap-Test, viene eseguito in donne con sanguinamenti postmenopausale, o con cellule endometriali trovate nel Pat-test;
– stomaco e esofago: sotto guida endoscopica si fanno prelievi con ago sottile; molte lesioni sono a
base infettiva, altre carcinomi,
– vescica: si analizza l'urina; in seguito a processi infiammatori il numero di cellule nel campione
aumenta; si possono riconoscere agenti infettivi microbici. Particolarmente importante è per la
diagnosi di carcinoma uroteliale (cellule riscontrate sono atipiche). Inoltre si può fare lavaggio
vescicale in corso di citoscopia e spazzolamento dell'uretere dopo cateterismo in condizioni
particolari.
– Polmone: molto utile nella diagnosi di tumori, si può compiere l'analisi su espettorato
spontaneamente emesso (espettorato raccolto per 3 mattine successive, si analizza per confermare
la diagnosi di tumore). A questo esame segue quello citologico su broncoaspirato (fornisce
informazioni sullo stato dei bronchi); un altro tipo di analisi è lo spazzolato bronchiale in corso di
broncoscopia. Il Lavaggio bronchiolo-alveolare (BAL) è usato per confermare infezioni dell'apparato
respiratorio; si usano anche agoaspirato transbronchiale e transparietale.
– Tiroide: agoaspirato di noduli utile per l'analisi di iperplasia follicolare, tumori benigni e maligni
3) Tecniche istopatologiche routinarie, immunoistochimica e biologia molecolare applicata alla diagnosi patologica.
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TECNICHE DI PATOLOGIA MOLECOLARE E ULTRASTRUTTURALE (cap. 5)
Le metodiche di morfologia molecolare comprendono:
– istochimica: sonda e sistema di rilevazione coincidono, sfrutta le caratteristiche dei diversi tessuti di
legare particolari coloranti;
– istochimica enzimatica: ha come obiettivo dimostrare la presenza di attività enzimatica di un
enzima, la sonda è un substrato dell'enzima e il sistema di rivelazione è una sostanza cromogena
che a seguito all'interazione con il substrato modificato dall'enzima, rende visibile la reazione. Sono
usate per perossidasi, fosfatasi, esterasi, deidrogenasi.
– immunoistochimica
– ibridazione in situ
Immunoistochimica
Tecnica che utilizza una sonda (l'anticorpo) per rilevare la presenza dell'antigene specifico da esso
riconosciuto (in genere una proteina). Consente, in campo oncologico, di identificare l’origine di un tumore
soprattutto quando la sola indagine morfologica non ci dà informazioni certe.
– anticorpi policlonali: da animali di laboratorio immunizzati. Si inserisce la proteina, l'animale
sviluppa anticorpi contro i vari epitopi presenti su di essa → prelevando il siero dell'animale
otteniamo una miscela di vari anticorpi provenienti da plasmacellule differenti e specifici per un
epitopo. Per ottenere anticorpi diretti contro l'epitopo che ci interessa il siero viene purificato.
– Anticorpi monoclonali: Ig specifiche dirette contro un singolo epitopo. Hanno elevata specificità e si
possono produrre in quantità illimitata. Vengono prodotti con la tecnica degli ibridomi murini (la
tecnica nello specifico è spiegata a pag. 104).
Sistemi di rivelazione della reazione
Gli anticorpi sonda devono essere marcati per evidenziarli; essi possono essere marcati con sostanze
fluorescenti o con enzimi. Le metodiche di base per la rivelazione vengono definite:
– dirette: utilizzate solo in Immunofluorescenza, l'anticorpo è marcato con una sostanza fluorescente
direttamente legata a esso mediante legame chimico e il sistema di rivelazione è il microscopio a
fluorescenza. E' usato per evidenziare depositi di Ig umane su tessuto
– indirette: più usate, l'anticorpo che riconosce l'antigene presente nella cellula, detto anticorpo
primario viene visualizzato grazie a una seconda sonda, l'anticorpo secondario, coniugato a un
enzima. La sezione dell'anticorpo legata all'enzima viene visualizzata con metodi
immunoenzimatici.
Tecniche di amplificazione del segnale
– metodo biotina (vit H) – avidina
– metodo CARD (Catalyzer Reporter Deposition)
– metodi che usano complessi PAP (perossidasi-antiperossidasi) e APAAP (fosfatasi alcalina,
antifosfatasi alcalina)
– polimeri
Le applicazioni diagnostiche dell'immunoistochimica enzimatica
– diagnostica differenziale
– determinazione dello stato funzionale della cellula neoplastica
– identificazioni di micrometastasi
– identificazione di anomalie di espressione proteica
Profili immunofenotipici
Costituisce l'insieme dei marcatori espressi, ogni tipo di neoplasia ha un profilo immunofenotipico diverso. I
marcatori usati nella caratterizzazione immunofenotipica delle neoplasie possono essere divisi in diversi
gruppi:
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filamenti intermedi: citocheratine, vimentina, desmina, neurofilamenti, GFAP. La positività di un
tumore alla citocheratina consente di stabilire che il tumore è di origine epiteliale e
di ipotizzare dall'epitelio di quale organo origina il tumore (molto importante nelle metastasi). La
vimentina è espressa soprattutto nei sarcomi. La desmina caratterizza il rabdomiosarcoma. I
neurofilamenti sono espressi nel neuroblastoma. La GFAP è espressa nei gliomi del SNC
antigeni di differenziazione leucocitaria: usata per analisi immunofenotipiche, immunoistochimiche
e citometria a flusso; utili per analisi di leucemie
marcatori funzionali in specifiche popolazioni cellulari (ormoni, enzimi, isoenzimi): calcitonina è un
marcatore del carcinoma midollare della tiroide. PALP (isoenzima placentare della fosfatasi alcalina)
è un ottimo marcatore delle cellule germinali neoplastiche. PAS (antigene specifico della prostata) è
usato per confermare l'origine prostatica di metastasi.
Fattori di trascrizione: TTF-1 è un regolatore della differenziazione tiroidea e polmonare →
marcatore di neoplasie di questi organi. CDX2 regola la differenziazione intestinale ed è marcatore
dei carcinomi del colon.Bob-1, Oct-2 e PAX-5 regolano la differenziazione dei linfociti B e sono
marcatori di linfomi.
MIB1: è espresso dai tumori in proliferazione
PCR
La tecnica si basa su una reazione ciclica di polimerizzazione del DNA che utilizza come stampo le molecole
prodotte dal ciclo precedente è come iniziatori dei primer. Identifichiamo la sequenza di nostro interesse e
la amplifichiamo all’infinito, utile soprattutto quando sono presenti poche cellule con una data mutazione o
nell’ambito della medicina legale. http://www.youtube.com/watch?v=QaWLJVGEFi8 il video è semplice e
immediato; vedilo!
Microarrays di tessuto
Il vantaggio principale di questa tecnica consiste nel poter analizzare contemporaneamente più campioni
con minor dispendio i materiali ed in un tempo molto ridotto.
Si allestisce un vetrino su cui è possibile includere anche un centinaio di cilindretti provenienti da biopsie di
uno stesso tipo di tumore di diversi pazienti, su questo vetrino incubiamo gli anticorpi.
In questo modo si screenano un gran numero di biopsie in breve tempo.
Un’altra possibile applicazione è utile per valutare il profilo di espressione molecolare di un tumore di un
singolo paziente: si prelevano più cilindretti di tessuto ed ognuno viene incubato con un dato anticorpo, in
tal modo si rilevano i diversi antigeni espressi dal tumore.
http://www.youtube.com/watch?v=3jX_08zdYCE
FISH
La ibridazione fluorescente in situ è una tecnica citogenetica che può essere utilizzata per rilevare e localizzare
la presenza o l'assenza di specifiche sequenze di DNA nei cromosomi. Essa utilizza delle sonde a fluorescenza
che si legano in modo estremamente selettivo ad alcune specifiche regioni del cromosoma. Per individuare
il sito di legame tra sonda e cromosoma si utilizzano tecniche di microscopia a fluorescenza. Ci offre
informazioni su eventuali alterazioni del DNA, è utile ad esempio per rilevare la presenza di genomi
di virus integrati nel DNA dell’ospite ed identificare il sottogruppo cui appartiene il virus stesso.
1.
2.
3.
4.
5.
riscaldare il vetrino per denaturare i legami DNA-DNA
aggiungere sonde marcate complementari al DNA che vogliamo rilevare
far raffreddare il vetrino per consentire la rinaturazione del DNA
sciacquiamo il vetrino per allontanare la sonda in eccesso
verifichiamo l’eventuale presenza di fluorescenza o attività enzimatica a seconda di come era stata
marcata la sonda.
http://www.youtube.com/watch?v=zvl3uCfwsrw (processo nello specifico, non essenziale conoscerlo).
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Citofluorimetria
E’ una tecnica che permette la misurazione e la caratterizzazione di cellule sospese in un mezzo fluido.
Permette di analizzare un elevato numero di cellule in breve tempo (50.000 cellule in pochi secondi),
quantificando numerosi parametri per ogni singola cellula.
Permette ad es. di determinare il contenuto di DNA, di RNA, i diversi sottotipi cellulari, gli organelli
intracellulari, l’attività di alcuni enzimi, l'attività apoptotica, il ciclo cellulare.
1. Una sospensione cellulare viene iniettata in un sistema fluidico che trasporta le cellule in maniera
separata e ordinata fino al punto di misura, dove incontra il fascio di luce focalizzata proveniente
dal laser.
2. L’incontro tra il raggio di luce e ogni singola cellula presente nel flusso cellulare genera dei segnali
che sono raccolti da un sistema di lenti, specchi e filtri ottici, e inviati ai rispettivi sensori
3. I segnali elettrici provenienti da ogni sensore, opportunamente amplificati e digitalizzati, sono
inviati ad un analizzatore di dati che provvede alla loro visualizzazione su monitor, rappresentazione
grafica, e definizione statistica.
La microscopia elettronica
Il microscopio elettronico è un tipo di microscopio che non sfrutta la luce come sorgente di radiazioni ma
un fascio di elettroni.
– campioni: frammenti di tessuto post-operatori, frammenti da prelievi bioptici, cellule da
spazzolamento, cellule isolate da sangue, versamenti, etc
– allestimento: i campioni sono fissati in tampone fosfato, post-fissati in tetrossido d’osmio,
disidratati ed inclusi in resina. Le sezioni tagliate con il microtomo devono essere molto fini (si
tagliano due volte fino a raggiungere 0, 05 micron; il secondo taglio serve ad inquadrare meglio
l'area). Più un elemento è elettrondenso più sarà visibile, se si vuole aumentare il contrasto le
sezioni possono essere trattate con metalli pesanti → il legame di questi alle strutture ne aumenta
l'elettrondensità.
Il microscopio elettronico a trasmissione fa attraversare un campione molto sottile
(da 5 a 500 nm) da un fascio di elettroni, quindi con un insieme di magneti (che funzionano come le lenti
del microscopio ottico) ingrandisce l'immagine ottenuta che viene infine proiettata su uno schermo
fluorescente rendendola visibile.
Applicazioni:
– tumori: identificare caratteristiche che possono dare informazioni sulla loro derivazione tissutale
– patologie renali del glomerulo
– malattie da accumulo
– patologia cutanea: identificare neoplasie
– malattie da errata motilità ciliare
– malattie infettive
4) Il danno e l’adattamento cellulare con particolare riguardo a: aspetti morfologici della cellula lesa; accumuli
intracellulari; adattamenti della crescita e della differenziazione cellulare.
DANNO E ADATTAMENTO CELLULARE (cap. 1 Robbins)
Le cause di danno non verranno analizzate, qui di seguito solo le modificazioni morfologiche della cellula
lesa.
Danno reversibile
– rigonfiamento cellulare: maggiormente evidente a livello macroscopico che microscopico;
determina pallore, aumento del turgore e peso dell'organo. Microscopicamente si notano vacuoli
chiari nel citoplasma: sono segmenti di RE.
– Marcata colorazione eosinofila
– alterazione della membrana citoplasmatica: formazione di estroflessioni e accorciamento e perdita
dei microvilli
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–
alterazioni mitocondriali: rigonfiamento e comparsa di piccoli corpi densi amorfi dilatazione del RE
con distacco dei polisomi; possono essere presenti figure mieliniche intracitoplasmatiche
alterazioni nucleari: disaggregazione di elementi fibrillari e granulari.
Necrosi cellulare
– ancora più accentuata eosinofilia, forse per perdita di RNA citoplasmatico (che lega ematossilina) e
aumento di proteine citoplasmatiche denaturate (che legano eosina)
– può avere un aspetto trasparente per la perdita di particelle di glicogeno
– citoplasma vacuolato: per enzimi che hanno digerito organelli citoplasmatici
– le cellule morte possono essere rimpiazzate da masse di fosfolipidi (figure mieliniche)derivanti dalle
membrane danneggiate → i precipitati sono fagocitati o degradati ad acidi grassi → si calcificano
formando saponi di calcio
– in microscopia elettronica abbiamo discontinuità di membrana citoplasmatica, mitocondri dilatati,
figure mieliniche, aggregati proteici intracellulari
– nucleo: può esserci cariolisi (DNA degradato → perdita basofilia), picnosi (contrazione del nucleo e
aumento basofilia), carioressi (nucleo picnotico si frammenta e il nucleo scompare) Necrosi
tissutale
– necrosi coagulativa: il tessuto conserva la struttura per alcuni giorni; infatti il danno distrugge le
proteine strutturali ma anche gli enzimi digestivi. Alla fine le cellule necrotiche vengono fagocitate.
Es. infarto; se la necrosi è degli arti è detta necrosi gangrenosa
– necrosi colliquativa: digestione delle cellule morte → trasformazione del tessuto in una massa
liquida viscosa (pus). Es. infarto SNC, infezioni microbiche
– necrosi caseosa: tipica della TBC, l'area è un complesso di cellule lisate con un fronte infiammatorio
delimitato (granuloma)
– necrosi fibrinoide: necrosi che si osserva in reazioni immunitarie che coinvolgono vasi →
immunocomplessi si depositano nelle pareti insieme alla fibrina uscita dai vasi.
Apoptosi
– riduzione del volume cellulare
– condensazione della cromatina: aspetto più caratteristico
– formazione di estroflessioni citoplasmatiche e in seguito formazione di corpi apoptotici
(costituiti da organelli e citoplasma rivestiti da membrana)
– fagocitosi delle cellule apoptotiche o dei corpi cellulari per azione dei macrofagi
Accumuli intracellulari
– steatosi: spesso nel fegato è nel cuore, si presenta con vacuoli chiari intracellulari.
– Proteine: si presentano come goccioline eosinofile, vaculio o aggregati citoplasmatici (nelle
amiloidosi anche nello spazio extracellulare)
– glicogeno: depositi evidenziati con PAS; vacuoli chiari
– carbone: pigmento esogeno, si accumula soprattutto nei macrofagi alveolari → rendono scuro il
tessuto polmonare (antracosi)
– lipofuscina: pigmento endogeno, composta da polimeri di lipidi e fosfolipidi complessati con
proteine, è segno di danno da ROS; appare come pigmento giallo-bruno, si osserva nelle cellule
degli anziami (detto pigmento dell'invecchiamento)
– melanina: pigmento endogeno burno-nerastro
– emosiderina: Blu di Prussia è la colorazione specifica per evidenziare i depositi di ferro
– calcificazione: anomala deposizione di sali di calcio, si formano corpi lamellari detti corpi
psammomatosi.
5) Infiammazione e processi riparativi: aspetti morfologici della infiammazione acuta e cronica; infiammazione
granulomatosa.
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INFIAMMAZIONE ACUTA E CRONICA (cap.2 -3 Robbins)
Infiammazione acuta
E' una risposta immediata a uno stimolo lesivo, vi è produzione di essudato che può essere:
– sieroso: fuoriesce contenuto proteico, l'infiltrato cellulare è modesto
– fibrinoso: essudato a contenuto proteico più elevato in cui è abbondante il fibrinogeno che a causa
della maggiore permeabilità dei vasi li attraversa e si deposita nel tessuto infiammato
– catarrale: essudato povero di cellule infiammatorie, costituito da secrezione sieromucosa
– purulento: causata da batteri; è un essudato ricco di neutrofili → rilasciano enizmi proteolitici →
necrosi colliquativa. Può evolvere in ascesso: raccolta di pus in un tessuto o di una cavità; alla
periferia di questo vi sono granulociti, vasi congesti e fibroblasti. Risoluzione dell'infiammazione
acuta:
– guarigione completa: apoptosi neutrofili, attivazione macrofagi con rimozione dei dendriti,
attivazione angiogenesi e firbogenesi, rigenerazione epitelio e stroma
– cicatrizzazione: se si perde una sostanza che non può essere più rigenerata si ha una sostituzione di
tessuto danneggiato con tessuto fibroso. Neutrofili e macrofagi eliminano i detriti, nella zona di
riparazione compare un tessuto molto vascolarizzato di aspetto granulare (tessuto di granulazione).
Cellule chiave sono: macrofagi, endotelio e epitelio (prolifera per rigenerazione tissutale) fibroblasti
(depongono matrice). Si forma una cicatrice connettivale con collagene priva di infiltrati
infiammatori.
– trasformazione in cronica: vd infiammazione cronica
Infiammazione cronica
Presenza di infiltrato infiammatorio costituito da linfociti, macrofagi, plasmacellule associate a un numero
variabile di cellule dendritiche, eosinofili e mastociti. Il danno è riparato da una cicatrice.
– infiammazione cronica di tipo diffuso: infiltrazione leucocitaria diffusa; in malattie autoimmuni
come la sindrome di Sjorgen le cellule possono organizzarsi anche in strutture che riproducono i
principali compartimenti dei linfonodi (follicoli B, noduli T)
– infiammazione cronica granulomatosa: presenza di aggregati di cellule monocito/macrofagiche che
vanno incontro a modificazioni citologiche (cellule epiteliodi per ampio citoplasma eosinofilo;
cellule giganti multinucleate se si aggregano più cellule). I granulomi possono essere
immunomediati (determinati da microbi) e non immunomediati (granulomi da corpo estraneo: il
corpo estraneo è troppo grande per essere fagocitato)
6) Aspetti morfologici delle alterazioni idriche ed emodinamiche; edema, iperemia, congestione, trombosi, embolia
ed infarto
PATOLOGIA DI ORIGINE VASCOLARE (cap. 10 Ruco-Scarpa)
Edema
– aspetti macroscopici: organo edematoso aumentato di peso e volume, se si associa a congestione il
colore tende al rosso vinoso, per accumulo di sangue nei vasi, consistenza pastosa;
– aspetti istologici: aumento del liquido interstiziale che si insinua tra le cellule distanziandole. Se
l'edema è dovuto a un aumento della pressione idrostatica si osserva una congestione dei vasi che
appariranno dilatati e ripieni di globuli rossi; l'edema infiammatorio presenta cellule infiammatorie,
il trasudato no. – Può essere sottocutaneo, polmonare, cerebrale Iperemia e congestione Iperemia
è divisa in:
– attiva: associata ad esercizio fisico
– passiva: detta anche congestione passiva o stasi è dovuta a cause locali (es. ostruzione di un vaso),
poiché è presente un aumento della p idrostatica, si associa ad edema spesso.
Morfologicamente la congestione presenta:
aspetti macroscopici: aumento di volume omogeneo; la superficie esterna e quella di taglio
appaiono cianotiche per l'accumulo di emoglobina ridotta,
aspetti istologici: dilatazione dei vasi capillari e delle venule che appaiono distesi per la
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–
massiva presenza di globuli rossi; se la congestione diventa cronica possiamo avere ipossia, necrosi,
emorragie.
Peculiarità morfologiche:
polmone da stasi: acuto (ricco di vasi, emorragie interstiziali, si evolve in edema) o cronico
(fibrotico, macrofagi nell'interstizio carichi di emosiderina detti macrofagi da vizio cardiaco)
fegato da stasi: dovuto a scompenso cardiaco; acuto (vasi dilatati, epatociti centrolobulari
ischemici, epatociti periportali meglio ossigenati per la vicinanza alle arteriole epatiche presentano
solo degenerazione grassa) o cronico (fegato a noce moscata: regioni centrolobulari muoiono e
diventano marroni e depresse, risaltano le zone periferiche marrone chiaro)
Trombosi
Squilibrio del processo emostatico.
La morfologia è molto variabile e dipende da sede (intracardiaca, arteriosa, venosa, capillare), rapidità e
modalità di insorgenza. Spesso presentano striature chiamate strie di Zahn dovute all'alternanza di stati
chiari di piastrine e fibrina alternati a strati scuri con globuli rossi; la loro presenza consente di distinguere
la trombosi dai coaguli post-mortem.
– trombi murali: si formano nella cavità aortiche, spesso per la presenza di placche aterosclerotiche
ulcerate
– trombi arteriosi: spesso occlusivi, sono costituiti da una rete di piastrine, fibrina, globuli rossi e
leucociti degenerati; es. vasculiti
– trombosi venosa (flebotrombosi): occlusiva, il trombo assume la forma del vaso. I trombi hanno un
maggior numero di globuli rossi sovrapposti e sono perciò definiti trombi rossi o da stasi. Interessa i
vasi degli arti inferiori
– vegetazioni: trombi sulle valvole cardiache
Embolia
Embolo: qualsiasi corpo estraneo portato a distanza dal flusso sanguigno. Può essere sistemica o
polmonare; forme meno frequenti sono quella adiposa, gassosa, di liquido amniotico, da neoplasia
cardiaca.
– embolia polmone: l'occlusione di un ramo polmonare di medio calibro non provoca una necrosi
ischemica del parenchima, ma un'occlusione con congestione (emorragia polmonare). Se però
coesiste uno scompenso cardiaco i circoli collaterali sono deficienti → ischemia perdurante →
infarto (ha le caratteristiche di un infarto emorragico). L'infarto ha forma triangolare con base alla
pleura e vertice verso l'ilo (dove c'è il vaso occluso); i limiti sono netti, il colore rosso cianotico,
consistenza aumentata; c'è pleurite. In pochi giorni l'infarto diventa più chiaro e viene convertito
progressivamente in cicatrice.
– Tromboembolia sistemica: presenza di emboli nella circolazione arteriosa. Provoca un infarto del
tessuto a valle del vaso ostruito
– embolia grassosa: in presenza di fratture di ossa lunghe, traumi, ustioni possono staccarsi dei lobuli
di tessuto adiposo che entrano in circolo, se si arrestano nel circolo polmonare si ha insufficienza
polmonare, dispnea, tachicardia
– embolia gassosa: bolle di gas in circolo possono unirsi e formare masse schiumose che ostruiscono
il flusso
Infarto
Infarto: area di necrosi ischemica causata dal blocco dell'apporto ematico arterioso o del drenaggio venoso.
Ha caratteristiche morfologiche simili in tutti gli organi: area ben demarcata dal parenchima circostante, di
forma triangolare, con base alla superficie dell'organo e apice verso l'ilo; se l'organo è rivestito da una
sierosa, l'infarto interessa il parenchima a tutto spessore, è usuale il riscontro di una sierosite fibrinosa in
corrispondenza dell'area infartuata. La forma più comune è quella ischemica (termine non relativo alla
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patogenesi ma al fatto che l'area è esangue, infarto bianco); in alcuni organi e in alcune condizioni l'infarto
è emorragico (infarto rosso)
– ischemico: colorito bianco-grigio quando è dovuto a occlusione arteriosa in organi con circolazione
di tipo terminale (miocardio, reni, milza); il drenaggio venoso asporta sangue dalla lesione → il
tessuto necrotico è privo di sangue; in tessuti come la corteccia cerebrale con microcircolo
abbondante (o in infarti di piccole dimensioni) la dilatazione dei piccoli vasi alla periferia può
conferire alla lesione un aspetto emorragico
– emorragico: rosso-cianotico, umido e rigonfio. Cause: occlusione del drenaggio venoso, presenza di
una doppia circolazione (es polmone), congestione venosa, riperfusione spontanea o terapeutica
(danno da riperfusione).
Ricorda: la necrosi da infarto è coagulativa, solo nel SNC è colliquativa.
7) Le neoplasie. Definizione, nomenclatura. Caratteristiche delle neoplasie benigne e maligne. Grado di
differenziazione(grading) e stadio di evoluzione (staging): fattori prognostici: Biologia della crescita
tumorale:trasformazione cellulare, progressione tumorale, meccanismi di invasività e metastasi.
Concetto di displasia epiteliale, neoplasia intraepiteliale e carcinoma microinvasivo.
Correlazioni clinico patologiche:Predisposizione al cancro: Lesione e condizione precancerosa. Cenni di cancerogenesi.
Cenni sul ruolo degli oncogeni e degli antioncogeni e la patogenesi del cancro.
Interazione ospitetumore. La prevenzione dei tumori: La diagnosi di cancro.
IPERPLASIA, METAPLASIA E NEOPLASIA (cap.8)
Iperplasia
Aumento delle dimensioni di un organo o di un tessuto in seguito all'aumento del numero di cellule che lo
costituiscono.
– fisiologica: ormonale (aumento della massa di un tesstuo o di un organo in seguito ad aumentati
livelli di un determinato ormone trofico), compensatoria (aumento della massa di un tessuto o di un
organo in seguito a danno o resezione parziale)
– patologica: aumento della massa di un tessuto o di un organo in seguito all'ipersecrezione
patologica di ormoni e di fattori di crescita; processo reversibile che tende a regredire dopo la
cessazione dello stimolo; fattore predisponente all'incremento di rischio per lo sviluppo di tumori.
La persistenza dello stimolo a proliferare può facilitare l'insorgenza di anomalie genetiche
(mutazioni putiformi o alterazione cromosomiche). L'ulteriore progressione di una lesioni
iperplastiche con anomalie genetiche comporta modificazioni morfologiche delle cellule che
diventano atipiche con nuclei più grandi e più scuri.
Significato clinico
– aumento di rischio di sviluppo neoplasie maligne (più elevato nelle forme atipiche)
– la diagnosi e l'asportazione precoce delle lesioni iperplastiche rappresenza un importante fattore di
prevenzione
Ipertrofia
Aumento di volume delle cellule che costituiscono un organo. Interessa soprattutto i tessuti permanenti
che non possono sviluppare iperplasia perché le cellule di questi tessuti permangono in fase Go per tutto la
vita.
Metaplasia
Trasformazione di un tessuto in un tessuto diverso nell'ambito di una stessa linea germinale. E' una risposta
adattativa a situazioni di stress. All'esame istologico un tessuto metaplastico le cellule assumono un
aspetto morfologico diverso; esempi di metaplasia sono:
– da epitelio pavimentoso stratificato non corneificato a epitelio pavimentoso stratificato
corneificato: es. sulla mucosa orale a seguito di stimolo irritativo cronico; le aree metaplastiche
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–
–
–
appaiono biancastre (l'inspessimento ne riduce la trasparenza e fa perdere l'aspetto roseo della
vascolarizzazione), sono dette leucoplachie.
Da epitelio cilindrico a epitelio pavimentoso stratificato: mucosa bronchiale e mucosa distale della
cervice soprattutto
da epitelio pavimentoso stratificato a cilindrico: soprattutto nel tratto distale
dell'esofago (esofago di Barrett) come conseguenza al reflusso gastro-esofageo
da epitelio ghiandolare gastrico a ghiandolare intestinale: conseguenza di gastrite cronica Può
essere tipica e atipica:
tipica: le singole cellule non hanno alterazioni nucleari e il differenziamento è conservato
atipica: sono presenti atipie simili alle neoplastiche, negli strati più alti le cellule sono però
differenziate e non proliferanti.
Neoplasia: aspetti morfologici e caratteristiche
Le cellule neoplastiche perdono i caratteri di regolarità morfologica; sono polimeriche (dimensioni variabili)
e polimorfe (forma variabile).
– nuclei: le alterazioni morfologiche del nucleo vengono dette atipie. Le dimensioni sono aumentate a
causa dell'aumento del DNA secondario all'aneuploidia risultato dell'instabilità genomica; la forma
è irregolare: le alterazioni genetiche del DNA interferiscono anche sulla sintesi delle proteine del
citoscheletro nucleare. Inoltre il nucleo appare ipercromatico perché tanto DNA è più affine alle
colorazioni; i nucleoli più numerosi ed evidenti
– citoplasma: rapporto nucleo/citoplasma alterato a favore del nucleo; il citoplasma infatti diminuisce
di estensione; è più basofilo e affine a ematossilina perché vi è moltissimo RNA ribosomiale perché
aumenta la sintesi proteica. Sono presenti figure mitotiche.
Per sovvertimento tissutale intendiamo l'aumentata capacità proliferativa e la diminuita capacità
differenziativa del tessuto.
Fasi della progressione neoplastica
1. Iperplasia 2. Metaplasia
3. Carcinoma in situ: le cellule tumorali non sono in grado di superare la membrana basale.
4. Carcinoma microinfiltrante: piccoli gruppi di cellule superano la membrana basale, intende un
carcinoma che nasce da un epitelio squamoso con infiltrazione minima dello stroma (< 3mm).
Quando un carcinoma è microinvasivo la guarigione avviene nel 95% dei casi o più. Significa che
meno del 5% di questi tumori è capace di dare metastasi. È facile da diagnosticare quando abbiamo
a che fare con un epitelio pavimentoso che poggia su uno stroma e che possiede una chiara
membrana basale. Negli epiteli ghiandolari infatti è più difficile, e non si applica il criterio dei 3mm.
Un adenocarcinoma infiltrativo stacca dei “gettoni” ghiandolari, non distinguibili dalla struttura
ghiandolare originaria. Quindi invece di carcinoma microinvasivo, si usa il termine di Early Gastric
Cancer (nel caso dell’apparato digerente) e come limite di riferimento per l’infiltrazione non si usa
la membrana basale, ma la muscolaris mucosae; si tratta di tumori iniziali.
5. Condizione precancerosa: situazione anatomo-clinica che, in un numero percentualmente basso di
casi, precede l’insorgenza di cancro; la lesione precancerosa invece prevede la presenza di displasia.
Esempi di condizioni precancerose: gastrite cronica atrofica, cheratosi attinica, leucoplachia,
cheratosi della vulva, cheratosi del laringe; quando su queste lesioni interviene la displasia, si parla
di lesione precancerosa.
La classificazione morfologica delle lesioni neoplastiche nella fase preinvasiva
– displasia: può essere lieve, moderato e grave. Il grado lieve non rappresenta necessariamente
l'inizio di un processo neoplastico e non progredisce per forza verso stadi successivi. Non richiede
trattamento, solo rimozione della causa che ha generato la displasia. Il grado moderato presenta le
stesse caratteristiche del lieve, ma più diffuso. Il grado grave è sinomino di carcinoma in situ.
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–
Neoplasia intraepiteliale: si definisce con un acronimo in cui la prima lettera indica l'organo in cui è
stata identificata (es. CIN= neoplasia intraepiteliale cervicale). Vengono classificate in alto
(carcinoma in situ) e basso grado (displasia lieve). Recentemente è stato sostituito questo termine
con lesione intraepiteliale ad alto e basso rischio.
Invasività intraepiteliale
Caratteristica delle cellule di carcinoma in situ di staccarsi dal tumore primitivo e migrare all'interno dello
strato epiteliale, prima di acquisire la capacità invasiva nei confronti del connettivo. Così non può esserci
metastasi, ma è importante analizzare il grado di invasività intraepiteliale per evitare che vi sia una recidiva
post-chirurgica.
Invasività tumorale
Invasività: capacità che hanno le cellule tumorali maligne di invadere i tessuti circostanti (attraversando
quindi la membrana basale). L'invasività nei vasi è fondamentale per la metastatizzazione. Le caratteristiche
che la cellula deve assumere per avere un fenotipo invasivo sono:
– riduzione adesività cellulla-cellula
– aumento della capacità di aderire alla matrice extracellulare
– produzione di enzimi idrolitici che digeriscono la matrice e aprono un varco – aumento motilità
cellulare
Esistono vari tipi di migrazione: a nidi solidi; a filiere; a singole cellule mesenchimale; a singole cellule
ameboide. A nidi solidi
Le cellule possono migrare sia singolarmente che come aggregati cellulari migrazione collettiva).
La migrazione collettiva ha due fasi:
1. le cellule che superano la membrana basale rimangono inizialmente collegate alla componente
intraepiteliale del tumore (carcinomi minimamente invasivi). I carcinomi che rimangono in questa
fase metastatizzano di rado
2. gruppi di cellule organizza ti in nidi solidi si staccano dal tumore raggiungendo i tessuti circostanti.
L'aggregato è più sensibile a fattori di crescita ed è costituito da subcloni con caratteristiche diverse
che lo rendono più aggressivo; le cellule più interne sono protette dagli attacchi immuni. A filiere
Tipica dei melanomi. Le cellule sono disposte in fila perché i contatti cellula-cellula sono solo alle estremità.
A singole cellule di tipo mesenchimale
– emissione di pseudopodi che fanno aderire la cellula alla matrice
– formazione di strutture specializzate (contatti focali) nei punti in cui gli pseudopodi aderiscono alla
matrice
– attivazione di enzimi proteolitici per creare un varco
– contrazione e movimento del corpo cellulare – distacco dai contatti focali e invasione
A singolare cellule di tipo ameboide
Tipico di leucemie e linfomi. Il movimento è dato da filamenti di actina non richiede creazione di varchi da
enzimi idrolitici né formazione di contatti focali.
Metastatizzazone per via ematica e la scelta dell'organo epatico
Nella maggior parte dei casi le cellule neoplastiche entrano nel torrente circolatorio a livello dei vasi
capillari o delle venule post-capillari. L'arresto nell'organo bersaglio è molto spesso determinato da cause
meccaniche, quali l'impossibilità di attraversare un nuovo filtro capillare per le dimensioni eccessive e la
scarsa deformabilità della cellula neoplastica. Secondo la teoria della metastatizzazione di Ewing, la scelta
degli organi bersaglio avviene seguendo le regole della dinamica dei flussi; è più probabile che si fermino
nei due sistemi di filtraggio principale: epatico e polmonare. Secondo la teoria di Paget (teoria del seme e
del terreno fertile), le cellule neoplastiche darebbero metastasi nei tessuti dove è favorito il loro sviluppo
(es. espressione di ligandi per citochine espresse dal tumore, etc).
– aggregati con diametro < 200 micron: cellule isolate aggregati con d > 200 micron:
micrometastasi
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– aggregati con d > 2mm: macrometastasi
Metastatizzazione per via linfatica: tipica dei carcinomi (tumori di origine epiteliale). E' associata a
maggiore probabilità di metastasi ematogene.
Classificazione dei tumori
La classificazione più semplice distingue i tumori epiteliali da quelli mesenchimali.
– Epiteliali (carcinomi): hanno una frequenza maggiore e sono conosciuti meglio perché i tessuti
epiteliali hanno un accelerato ricambio cellulare. I tumori epiteliali sono più frequenti perché le
infiammazioni, chiara condizione favorente la tumorogenesi, coinvolgono più frequentemente gli
epiteli.
– Mesenchimali (sarcomi): con l’eccezione del midollo osseo, hanno un ritmo più lento, quindi i
meccanismi che inducono le malattie neoplastiche si sviluppano più lentamente.
Classificazione per tipo di tessuti:
– tumori semplici (un solo tessuto),
– misti (rari, più di un tessuto): derivano da cellule che hanno due capacità. I tumori misti delle
ghiandole salivari ad esempio, presentano elementi epiteliali, che rivestono i dotti della ghiandola,
ed elementi mio epiteliali, con capacità contrattile. Sono cellule quindi capaci di differenziare in
senso sia in senso mesenchimale che epiteliale.
– teratogeni (rari, soprattutto della componente germinale di ovaio e testicolo; tumori dei tessuti
embrionali; si possono avere in qualunque parte del corpo ).
Classificazione per malignità:
– benigni: crescita lenta ed espansiva, sintomi minimi, ad esempio compressione. I sintomi possono
diventare importanti se si ha secrezione di sostanze vasattive, emorragie
intralesionali, compressione di organi vitali. Suffisso -oma (es. fibr-oma)
– Maligni: crescita rapida, capacità di invasione locale, capacità di metastatizzare. Suffisso -sarcoma
(es. fibro-sarcoma)
– Borderline: sono a malignità non determinata; hanno caratteristiche morfologiche intermedie tra
un’assoluta benignità e un’assoluta malignità.
– Lesioni precancerose: es. carcinoma in situ della cervice uterina, che però non darà mai metastasi.
– Pseudo tumori (o lesioni pseudo-maligne): es. cheloidi; tutte le volte che c’è una superficie ossea a
stretto contatto con la cute, i processi di cicatrizzazioni possono portare alla formazione dei cheloidi
per il poco spazio tra osso e cute. Gli pseudo tumori sono caratterizzati proprio da un anomale
fenomeno cicatriziale.
Le due classi di tumori (maligni, benigni) contengono entrambi delle eccezioni. Es. il leiomioma è una
lesione neoplastica benigna, ma sono stati descritti casi di leiomiomi metastatizzanti, quindi con
comportamento maligno. Di converso ci sono dei tumori maligni che sono assolutamente aggressivi che
però si comportano in maniera favorevole, ad esempio il melanoma maligno.
Modalità di crescita del tumore
Varia a seconda dell’organo interessato dal processo: Organi solidi
• crescita espansiva in tumori benigni
• crescita espansivo-infiltrativa in tumori maligni
Organi cavi o piatti
• crescita esofitica caratterizza tumori benigni e maligni a prognosi migliore (papillomi o polipi
possono interessare vescica, cute, intestino, laringe), il maligno si caratterizza anche per processo
infiltrativi.
• Crescita infiltrativa a placca: tumori maligni
• Crescita ulcerativa: tumori maligni.
Criteri microscopici per distinguere lesione benigna e maligna
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benigni
crescita
lenta
Mitosi
poche
Cromatina nucleare normale
Differenziazione
buona
Crescita locale
espansiva
Capsula
presente
Distruzione
minima
Invasione vascolare No
Metastasi
No
Effetti sull’ospite
Non significativi
maligni
Rapida
Molte
Aumentata
Scarsa
Infiltrativa
Assente
Presente tissutale
Frequente
Frequenti
Importanti
L’approccio moderno tende ad una classificazione molecolare, che consente, sulla base dell’espressione
fenotipica o immunofenotipica, di determinare il comportamento biologico del tumore, dando possibilità di
prognosi e terapia più importanti.
Classificazione su base molecolare:
• marcatori predittivi di risposta a chemio e radioterapia convenzionali (esempio:
espressione di Her/neu in carcinomi alla mammella)
• marcatori bersaglio per terapie mirate con farmaci molecola specifici
• marcatori di follow-up
L'ANATOMIA PATOLOGICA DELLE NEOPLASIE MALIGNE (cap. 9)
Grado di malignità (grading)
Grado di malignità: indica la differenziazione della neoplasia, utile per la diagnosi. Si basa sulla valutazione
dell'entità delle anomalie morfologiche delle cellule e dell'architettura tissutale rilevate al microscopio.
Viene espresso con “G” associato a un valore numerico crescente (G1: neoplasia ben differenziata, G2:
moderatamente differenziata, G3: scarsamente differenziata, G4: completamente indifferenziata =
anaplasia).
I parametri generali usati per indicare il G, sono:
– dimensioni cellulari
– aumento DNA
– irregolarità nucleare
– aumento mitosi
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– aumento nucleoli
Però questi possono essere associati ad altri caratteri o si può non considerarne alcuni:
– gradazione del carcinoma della mammella secondo Bloom-Richardson: si considerano le percentuali
di cellule aggregate a formare strutture duttali, il pleiomorfismo nucleare e il numero di mitosi
(quindi criteri istologici e citologici)
– gradazione neoplasie renali secondo Fuhrman: basato su soli criteri citologici, come dimensioni,
numero di nucleoli, etc
– gradazione neoplasie prostatiche secondo Gleason: basato solo su modalità di aggregazione della
cellula neoplastica, non sulle caratteristiche della cellula
Il grado di malignità correla con l'andamento clinico ed è un fattore prognostico indipendente nella maggior
parte delle neoplasie (mammella, prostata, SNC), però in quello del polmone o intestinale non c'è una
grande correlazione tra prognosi e grado istologico. Il grado di malignità deve essere associato sempre
all'analisi della stadiazione.
Stadiazione
Descrive l'estensione della malattia nella sede in cui origina e la sua diffusione nell'organismo; è
fondamentale per stimare la prognosi e formulare un piano terapeutico individuale. Il sistema di
stadiazione è basato su:
– T: estensione del tumore
– N: diffusione ai linfonodi locoregionali
– M: metastasi nei vari organi o linfonodi distanti
Linfonodo sentinella
E' il primo linfonodo che incontrano le cellule neoplastiche che hanno invaso i vasi linfatici; è la sede più
probabile di metastasi linfonodali prima che queste raggiungano i linfonodi più distanti. La biopsia del
linfonodo sentinella può essere utilizzata per determinare lo stadio N del cancro; comporta un intervento
chirurgico poco invasivo. Si localizza con un tracciante (es. patent blu), il primo linfonodo colorato è il
sentinella. Il linfonodo prelevato viene incluso interamente in paraffina dopo esser stato fissato in
formalina. Dalle inclusioni vengono tagliati sezioni da colorare con ematossilina-eosina.
La terapia neoadiuvante
Trattamento (chemio, radio o endocrinoterapia) che precede l'intervento chirurgico in pazienti con cancro.
Ha come obiettivo ridurre la massa tumorale.
Focus on: Cancro alla cervice
Il cancro invasivo del collo dell’utero rappresenta, per diffusione, il secondo tipo di cancro tra le donne
giovani (15-44 anni), dopo il tumore al seno. Grazie alle campagne di screening con il paptest, incidenza e
mortalità sono diminuite. Ma in Europa muoiono ancora 40 donne al giorno per carcinoma della cervice. E'
stato il primo tumore maligno in assoluto riconosciuto dall’OMS come totalmente riconducibile ad un
infezione virale, anche se l’integrazione del virus, anche se è un ceppo ad alto rischio, non è sufficiente per
lo sviluppo della neoplasia.
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HPV:ne esistono circa 200 sottotipi, di cui solamente 40 causano infezioni del tratto genitale e di questi, 15
sono direttamente implicati nello sviluppo del carcinoma della cervice uterina. E' un virus a DNA che si
replica all’interno dell’epitelio squamoso stratificato, mucosale o dell’epidermide. Entra attraverso delle
microabrasioni ed i bersagli sono le cellule basali dello strato replicativo. La sede di attacco (esclusiva) nella
cervice è sempre la stessa: la giunzione squamo-colonnare, cioè l’unione tra esocervice ed endocervice,
perché è il punto dove la flogosi è più intensa e la replicazione cellulare è maggiore che in altri punti
dell’utero, anche perché è la zona con il più alto numero di recettori per ormoni sessuali. Una volta
penetrato nello strato basale di un epitelio pluristratificato, il virus esprime gli unici due tipi di proteine che
possiede, le – precoci (E): modificano la produzione proteica della cellula
– tardive (L): vengono anche dette strutturali perché formano il capside.
Morfologicamente la presenza dell’HPV in un epitelio, e dei suoi danni, è testimoniata dalla
– coilocitosi: le cellule normalmente ben differenziate, a fazzoletto, con un citoplasma rosa, perdono
il loro usuale aspetto e diventano delle cellule vacuolizzate, con profondi vacuoli perinucleari ed il
citoplasma non è più identificabile.
– nucleo con caratteri atipici (aumenta di dimensione).
– Condiloma (verruca): è la manifestazione meno grave, più comune e più curabile. Trasformazioni
neoplastiche maligne di queste lesioni sono rare, quindi non c’è un nesso tra condilomi e
carcinoma, anche se il condiloma contiene molti coilociti.
Il virus in realtà può dare tre forme di infezione genitale:
1. clinica (verruca genitale o condiloma);
2. subclinica, che può essere messa in evidenza solo con tecniche particolari;
3. latente, evidenziate con biologia molecolare.
Perché si abbia la carcinogenesi, il virus necessita di molto tempo, quindi è necessario che ci sia una
infezione persistente da HPV. Per questo l’età media di insorgenza è intorno ai 48 anni. Inoltre avere la CIN,
non implica necessariamente che si svilupperà un carcinoma infiltrante; la CIN1 si associa sempre ad
infezione da HPV, ma nel 60% dei casi la CIN1 scompare spontaneamente, quindi non richiede nessun
intervento, ma solo il follow-up.
Gli HPV ad alto rischio bloccano specificamente p53 e RB con alterazioni del ciclo cellulare con spinta verso
la proliferazione. È favorito l’accumulo progressivo di mutazioni che danno alla cellula caratteristiche
cancerogene. E6 blocca p53 ed E7 blocca RB.
Utilizzando un marcatore di proliferazione cellulare (proteine espresse solo in corrispondenza di divisione
cellulare come p16 e Ki67/MIB1) si nota che, in presenza di HPV, si ha espressione di queste proteine anche
negli strati superficiali dell’epitelio. In queste condizioni si tratta o di lesioni pre-neoplastiche (displasia) che
carcinomi in situ. Trovare questi marcatori ci dice semplicemente che è in corso una de-regolazione del
ciclo cellulare, senza fornirci informazioni sulle cause. Si può studiare la p16, che è un inibitore delle cicline,
e si vede che non è bloccata da RB ed è iperespressa. Associazione p16 e lesione displastica della cervice
uterine, nel 99% dei casi è indice della presenza di HPV ad alto rischio.
La tipizzazione virale consiste nell’immunoistochimica, nell’ibridazione in situ e nella PCR. I ceppi a rischio
più alto sono 16 e 18, ma anche 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 55, 56, 58, 59, 66. HPV può essere fattore di
rischio per carcinoma in altri distretti, come la vagina, la vulva, l’ano, la faringe, la cavità orale, il pene.
Focus on: Pap-Test
Il test di Papanicolaou o Pap test è un esame citologico che indaga le alterazioni delle cellule del collo e
della cervice dell'utero.
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Il Pap test è un test di screening, la cui funzione principale è quella di individuare nella popolazione
femminile donne a rischio di sviluppare un cancro del collo uterino. Inoltre il Pap test può dare utili
indicazioni sull'equilibrio ormonale della donna e permettere il riconoscimento diinfezioni batteriche, virali
o micotiche.
Per l'esecuzione del Pap test viene prelevata una piccola quantità di cellule del collo dell'utero con laspatola
di Ayre e un tampone cervicale. La spatola ha una forma complementare all'anatomia della cervice e una
volta inserita è in grado di prelevare cellule dall'esocervice grazie a una rotazione di 360°; il tampone
invece, del tutto simile a quelli usati per la faringe, preleva esattamente le cellule dall'endocervice
penetrando nell'orifizio uterino esterno. Nel pap test convenzionale le cellule vengono quindi strisciate su
un vetrino per l'esame di laboratorio. Nel pap test in fase liquida una macchina provvede ad allestire un
preparato a "strato sottile".
Indipendentemente dal tipo di allestimento, le cellule vengono quindi colorate secondo il metodo di
Papanicolau ed esaminate al microscopio da uncitologo o patologo che provvederà a stilare un referto.
Il referto, sino a ieri numerico, viene oggi comunicato con una sintetica descrizione dello stato delle cellule.
In Italia la classificazione consigliata e più frequentemente utilizzata è il Sistema Bethesda 2001 (TBS 2001)
che suddivide i risultati del test in:
non evidenza di lesione intraepiteliale o
Negativo
neoplastica
LSIL
HSIL
AIS
Carcinoma
ASC-US
ASC-H
AGC
Adenocarcinoma
CTM
lesione squamosa intraepiteliale di basso grado,
comprendente
HPV/displasia lieve, CIN1
lesione squamosa intraepiteliale di alto grado,
comprendente displasia
moderata e grave, carcinoma in situ / CIN2,
CIN3
cellule ghiandolari sospette per
adenocarcinoma in-situ del collo dell'utero
cellule di carcinoma squamoso
cellule squamose atipiche, non ulteriormente
classificabili
cellule squamose atipiche, non si
esclude una HSIL
cellule ghiandolari atipiche, specificando se
endometriali, endocervicali,
ghiandolari o non altrimenti specificate
endocervicale, endometriale, extrauterino o
non altrimenti
specificato
Cellule tumorali maligne non
altrimenti specificabili
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Tecniche
IMMUNOISTOCHIMICA
Il principio dell’IIC prevede il riconoscimento di un antigene mediante l’utilizzo di un anticorpo specifico,
che quindi funge da sonda.
L’antigene è una molecola proteica capace di evocare una risposta immune da parte del sistema
immunitario. Ogni antigene è costituito da uno o più siti antigenici. Disponendo dell’ anticorpo specifico
qualunque antigene può essere evidenziato mediante reazioni di IIC . Ogni singolo Ag è costituito da una o
più porzioni chiamate epitopi o determinanti antigenici differenti tra loro.
Gli ac sono molecole proteiche (Ig) prodotte dalle plasmacellule in grado di legarsi ad un determinante
antigenico.
E’ costituito da:
Frammento Fc porzione costante specie-specifica
Frammento Fab porzione dell’ Ig in grado di legare
l’Ag, è costituito da domini ipervariabili che
consentono grande versatilità nel riconoscimento
e nel legame con l’Ag (specificità e affinità)
Possono essere:
POLICLONALI: L'anticorpo policlonale è una miscela di anticorpi ottenuti dall'immunizzazione di un
animale (attraverso iniezione sottocutanea, intramuscolare o endovenosa) con un antigene. Gli anticorpi
che risultano da questa immunizzazione saranno geneticamente diversi (perché prodotti da plasmacellule
diverse) e ognuno di essi riconoscerà un epitopo diverso dello stesso antigene. Per aumentare
l’immunogenicità si inoculano anche sostanze adiuvanti capaci di stimolare la risposta immunitaria.Quindi
al termine per ottenere anticorpi diretti contro l'epitopo che ci interessa il siero viene purificato.
MONOCLONALi: immunoglobuline specifiche dirette nei confronti di un singolo epitopo
costituiti da ac identici fra loro e diretti contro lo stesso determinante antigenico .Hanno elevata specificità
e si possono produrre in quantità illimitata. Vengono prodotti con la tecnica degli ibridomi murini.
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Le cellule tumorali sono cellule mielomatose, utili per le loro caratteristiche di maggior crescita e
sopravvivenza. Molte delle risultanti cellule ibride (o ibridomi), che vengono coltivate in vitro, manterranno
la capacità di vivere per un tempo più lungo, oltre a produrre grandi quantità dell'anticorpo monospecifico.
I linfociti B producenti l’anticorpo specifico sono direttamente presi dalla milza dell’animale.
Il terreno su cui sono allevati gli ibridi è di tipo selettivo conosciuto con il nome di HAT (HypoxantineAminopterin-Thymidine), che proprio per la sua composizione, inibisce la crescita sia dei mielomi che delle
cellule della milza non fuse, ma non dell'ibridoma che completa le due linee parentali.
SISTEMI DI RIVELAZIONE DELLA REAZIONE
Gli anticorpi sonda devono essere marcati per evidenziarli; essi possono essere marcati con sostanze
fluorescenti o con enzimi.
Tecniche di Immunofluorescenza utilizzano fluorocromi come marcatori della reazione antigene
Tecniche Immunoistochimiche utilizzano enzimi per evidenziare la reazione antigene-anticorpo
Le metodiche di base per la rivelazione vengono definite:
–DIRETTE: utilizzate solo in Immunofluorescenza, l'anticorpo è marcato con una sostanza fluorescente
direttamente legata a esso mediante legame chimico e il sistema di rivelazione è il microscopio a
fluorescenza. E' usato per evidenziare depositi di Ig umane su tessuto
–INDIRETTE: più usate, l'anticorpo che riconosce l'antigene presente nella cellula, detto anticorpo
primario viene visualizzato grazie a una seconda sonda, l'anticorpo secondario, che lega la porzione Fc del
primario ed coniugato o a un enzima ( in questo caso l’avvenuta reazione anticorpo primario-antigene è
testimoniata dalla precipitazione di un cromogeno modificato dall’enzima nel sito di reazione.) oppure ad
un fluorocromo.
IMMUNOFLUORESCENZA
La fluorescenza è una caratteristica di particolari molecole che assorbono luce di una determinata
lunghezza d’onda (luce eccitante) ed emettono luce di un’altra lunghezza d’onda (luce di emissione )
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maggiore. Alcune di queste molecole emettono luce nello spettro visibile quando vengono colpite da raggi
ultravioletti. E’ necessaria l’osservazione in campo scuro mediante microscopio a fluorescenza (che eccita i
fluorocromi con la giusta energia) I fluorocromi sono molecole di modeste dimensioni e il loro legame
all’anticorpo è di semplice esecuzione. Quello più usato è l’isotiocianato di fluorescina(FITC).
METODO DIRETTO: fluorocromo direttamente legato all’anticorpo
METODO INDIRETTO: fuorocromo coniugato ad un ab secondario che riconosce e lega la regione fc
dell’anticorpo primario
Limiti dell’immunofluorescenza
-Scarsa possibilità di diluizione degli Ac
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-Mancanza di informazioni topografiche
-Naturale estinzione della fluorescenza
-Necessità di osservazione in microscopia particolare
-Non conservabilità dei preparati
APPLICAZIONI PIÙ IMPORTANTI:
1. individuazione caratterizzazione di depositi di immunocomplessi o autoanticorpi per le patologie
autoimmuni cutanee o glomerulari su biopsie congelate
2. citometria a flusso
IMMUNOENZIMATICA
La tecnica Immunoenzimatica è solo indiretta: (il metodo diretto è scarsamente sensibile e non utilizzato.)
L’anticorpo che riconosce l’antigene(anticorpo primario) viene visualizzato grazie ad una seconda sonda
(anticorpo secondario) che lega la porzione Fc del primario ed è coniugato con un enzima. L’avvenuta
reazione tra anticorpo primario e antigene sarà testimoniata dalla precipitazione di un cromogeno (che ho
aggiunto) modificato dall’enzima nel sito di reazione.
Ha il vantaggio che un solo anticorpo II marcato può essere utilizzato per riconoscere diversi anticorpi I
appartenenti alla stessa specie.
Quali sono gli enzimi coniugati alla sonda (anticorpo secondario)?
1.PEROSSIDASI
Si lega all’anticorpo , ha attività perossidasica, cioè in presenza di perossido di idrogeno produce O2, ( (2
H2O2 2H2O+O2) la quale va ad ossidare il cromogeno aggiunto. Il cromogeno più usato è la
diamonibenzidina ( DAB) che da un prodotto di ossidazione insolubile e colorato in bruno.
Oppure l’AEC che da un prodotto rossastro.
2. FOSFATASI ALCALINA
Ha attività idrolasica , i substrati sono gli esteri fosforici , il cromogeno è un sale di tetrazolio , conferisce
una colorazione rossa.
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TECNICHE DI AMPLIFICAZIONE DEL SEGNALE
La soglia di visibilità di una colorazione iic dipende dal numero e dalla concentrazione di antigene. Quando
non è sufficiente vengono usati i sistemi di amplificazione.
1.METODO BIOTINA (VIT H) – AVIDINA ABC
Il sistema Avidina Biotina (ABC) si basa sulla straordinaria affinità fra
l’avidina e la biotina, piccola molecola vitaminica. L’avidina è tetravalente, perché ha 4 siti di legame per la biotina.
La biotina è coniugata con un enzima (es. perossidasi) ed è legato
all’anticorpo sonda. Quella biotina si legherà all’avidina che avrà
quindi altri 3 siti di legame per altrettante molecole di biotine
coniugate ad enzimi. La reazione enzimatica è amplificata.
2-METODO CARD (CATALYZER REPORTER DEPOSITION)
E’ l’evoluzione dell’ABC, si basa sull’utilizzo di biotil –tiramina, che si legano ad amminoacidi presenti nel
sito di legame antigene-anticorpo fornendo nuovi siti di legame per avidina-biotina-perossidasi.
3.METODI CHE USANO COMPLESSI PAP (perossidasi-antiperossidasi) e
APAAP (fosfatasi alcalina, antifosfatasi alcalina)
oggi poco usati, si formano ponti tra l’enzima e l’antienzima amplificando
il processo
4.POLIMERI
Molto sensibili, rapidi e pratici.Si aggiungono questi polimeri a cui sono direttamente legati gli anticorpi e
molte molecole di enzima perossidasi
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Una delle maggiori difficoltà dell’immunoistochimica sta nell’interpretazione dei risultati. La presenza di
deposizione di substrato cromogeno in corrispondenza di cellula o di un tessuto, spesso, dovrebbe
significare che in quella sede è avvenuta una reazione tra l’anticorpo e l’antigene tissutale. Questo è vero
nella maggior parte dei casi, tuttavia altri eventi definiti artefatti, possono essere responsabili della
colorazione
Le cause più comuni di colorazioni dovute ad artefatti sono
•Presenza già di perossidasi o fosfatasi nel tessuto non adeguatamente inibite.
•Cross-reattività dell’anticorpo I reattività dell’anticorpo I° con un antigene con un antigene diverso da
quello in studio.
•Inadeguata fissazione del tessuto. Inadeguata fissazione del tessuto. Scarsa fissazione provoca un eccesso
di “fondo “;provoca una ridotta sensibilità
COME FACCIO A TOGLIERE OGNI DUBBIO?
1. verifico la localizzazione della reattività: E’ dove mi aspettavo ? (nucleare, citoplasmatica , di
membrana, extracellulare). Se trovo un antigene nucleare nello spazio extracellulare è un artefatto!
2. valuto l’intensità della colorazione-> es. intensità di HER2 nel k mammella
3. scelgo il giusto sistema di rilevazione a seconda del tessuto
LE APPLICAZIONI DIAGNOSTICHE DELL'IMMUNOISTOCHIMICA ENZIMATICA
–
diagnostica differenziale
–
determinazione dello stato funzionale della cellula neoplastica ( è in proliferazione o in G0?)
–
identificazioni di micrometastasi
–
identificazione di anomalie di espressione proteica
-
identificazione di infezioni virali
PROFILI IMMUNOFENOTIPICI
Costituisce l'insieme dei marcatori espressi, ogni tipo di neoplasia ha un profilo immunofenotipico
diverso. I marcatori usati nella caratterizzazione immunofenotipica delle neoplasie possono essere divisi in
diversi gruppi:
1. marcatori istogenetici e di differenziazione:
filamenti intermedi: citocheratine, vimentina, desmina, neurofilamenti, GFAP. La positività di un
tumore alla citocheratina consente di stabilire che il tumore è di origine epiteliale e di ipotizzare
dall'epitelio di quale organo origina il tumore (molto importante nelle metastasi).ES. ck7/ck20 k colon o
polmone, ck5 cellule strato basale degli epiteli stratificati. La vimentina è espressa soprattutto nei
sarcomi. La desmina caratterizza il rabdomiosarcoma. I neurofilamenti sono espressi nel
neuroblastoma. La GFAP è espressa nei gliomi del SNC.
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antigeni di differenziazione leucocitaria: usata per analisi immunofenotipiche, immunoistochimiche e
citometria a flusso;sono definiti CD: cluster di differenziazione, e variano sia in base alla linea di
appartenenza (T/B/macrofagi) sia in base al momento differenziativo della cellula.
marcatori funzionali in specifiche popolazioni cellulari (ormoni, enzimi, isoenzimi): calcitonina è un
marcatore del carcinoma midollare della tiroide. PALP (isoenzima placentare della fosfatasi alcalina) è
un ottimo marcatore delle cellule germinali neoplastiche. PSA (antigene specifico della prostata) è
usato per confermare l'origine prostatica di metastasi.
Fattori di trascrizione:sono proteine che regolano la differenziazione cellulare legandosi al DNA
inducendo l’espressione genica. Sono usati nella caratterizzazione di un tumore metastatico per risalire
all’organo origine della neoplasia. Es. la TTF-1 è un regolatore della differenziazione tiroidea e
polmonare, CDX2 regola la differenziazione intestinale ed è marcatore dei carcinomi del colon.Bob-1,
Oct-2 e PAX-5 regolano la differenziazione dei linfociti B e sono marcatori di linfomi.
2. marcatori delle cellule proliferanti
MIB1: è espresso dai tumori in proliferazione
3.interpretazione dei contesti microambientali
sonde specifiche identificano il background nel quale la popolazione cellulare di interesse si trova,
facilitando la diagnosi. Es. S100 identifica background di neoplasie neuroendocrine
4.anomalie di espressione proteica da alterazione genica
Distinte traslocazioni cromosomiche sono associare alla patogenesi di neoplasie. Si può rilevare
l’espressione anomala di proteine, es. ciclina D1 (da traslocazione t (11, 14) ) nel linfoma a cell del
mantello.
5. marcatori prognostici e predittivi di risposta
es. Her2 nel k mammella
6. identificazione antigeni virali
i virus non sono visibili al m.o., ma usando ab monoclonali diretti verso proteine virali si possono
riconoscere le cellule infettate. Usato per diagnosi HBV.
IBRIDAZIONE IN SITU A FLUORESCENZA
Definizione Tecnica che sonde di DNA marcate con fluorocromi per evidenziare anomalie numeriche o
strutturali dei cromosomi nei nuclei di cellule isolate o all'interno dei tessuti. (i campioni possono, quindi,
essere sia sezioni di tessuto fissati in formalina, sia preparati citologici).
La sonda è rappresentata dal DNA. A secodna delle dimensioni possono essere usate metodiche diverse:
Frammenti di grandi dimensioni: sono inseriti in plasmidi batterici capaci di contenere molto DNA
esogeno= CROMOSOMI ARTIFICIALI BATTERICI BAC.
Sonde minori di 2 kB vengono preparate usando la pcr
Le ANOMALIE CROMOSOMICHE NUMERICHE vengono evidenziate usando sonde che riconoscono
sequenze di DNA satellite, cromosoma specifiche, in copie multiple in sede centromerica.
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Le ANOMALIE STRUTTURALI e le AMIPLIFICAZIONI GENICHE( traslocazioni, delezioni),
vengono evidenziate usando sonde locus specifiche (chiamate LSI), in singola copia.
Ma come vengono marcate queste sonde affinchè possano essere visualizzate?
Nick translation e Random printing---> le sonde sono inserite in vettori
Nick translation: generazione di un taglio (nick) e rimozione di un nucleotide mediante
pol1--> riempimento del "buco" con oun nucleotide marcato. (La pol 1, ovviamente
continua ad agire generando altri tagli e sostituzioni)
Random printing: denaturazione e aggiunta di inneschi esanucleotidici che fungono da
iniziatori per la sintesi di DNA ad opera della pol1 in presenza di nucleotidi marcati.
Incorporazione diretta--> mediante PCR
Procedura.
Ora che le sonde sono state marcate, bisogna fare in modo che leghino il DNA. Si DENATURA, quindi il DNA,
si aggiunge la sonda, il campione viene incubato a T° idonea e si ha la rinaturazione del DNA con le sonde.
Con un microscopio a fluorescenza, dotato di opportuni filtri per selezionare le diverse lunghezze d'onda dei
fluorocromi, si visualizza l'immagine.
VANTAGGI
❖ Elevata sensibilità,
❖ rapidità di esecuzione,
❖ possibilità di effettuare valutazioni contemporanee di due o più marcatori
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LIMITI
❖ Perdita dei dettagli morfologici
❖ Rapido decadimento dei florocromi
*********
Vediamo come vengono riconosciute le alterazioni:
1. ANOMALIE CROMOSOMICHE: si utilizza un unica sonda centromerica. La sua applicazione è in campo
ematologico. (per esempio trisomia 8 nelle malattie mieloproliferative, aneuploidia del 3, 7, 16 nel K della
vescica)
2. ANOMALIE STRUTTURALI:
traslocazioni: nelle traslocazioni si ha giustapposizione di due diversi cromosomi; disponendo di
sonde che riconoscono i due cromosomi, sarà possibile verificare se i
punti fluorescenti sono vicini o lontani (come dovrebbe essere!) Si
possono usare due possibili tipi di sonde;
▪ Sonde di fusione: si legano a sequenze ADIACENTI a ciascuno
dei due punti di rottura (per esempio uno rosso e uno verde).
In presenza della traslocazione le due sonde sono
giustapposte => giallo!
▪ Sonde di separazione: una sonda si lega a monte e una a valle del sito di rottura=> se i
cromosomi non sono traslocati, avranno un segnale ibrido, se sono traslocati i due segnali
sono separati!
Delezioni: l'unica applicazione è l'analisi della delezione dei bracci cromosomici 1p e 19q
nell'oligodendroglioma
3. AMPLIFICAZIONI GENICHE
Si usano DUE SONDE:
una per il locus cromosomico su cui risiede il gene
una centromerica per il cromosoma su cui il gene si trova
CITOFLUORIMETRIA
Definizione: tecnica che consente l'analisi di cellule attraverso la quantificazione contemporanea di
paramentri fisici e molecolari.
I campioni devono essere vitali e trovarsi in sospensione=> si possono usare: cellule presenti in liquidi
biologici, oppure cellule di biopsie ma trasformate in sospensioni cellulari.
Lo strumento usato è il citofluorimetro che è composto da 4 parti:
sistema fluidico: in cui le cellule contenute nel campione vengono introdotte
sorgenti luminose
sistema ottico elettronico: per la raccolta e l'elaborazione del segnale
computer: che permette il controllo da parte dell'operatore.
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Misurazione delle caratteristiche fisiche della cellula:
Mediante il rilevamento della quantità di luce dispersa frontalmente o lateralmente:
Forward scattering-->dispersione frontale: legata alla diffrazione della luce da parte della cellula
(diffrazione=deviazione e interferenza delle onde luminose quando superano un ostacolo). E'
direttamente proporzionale alle sue dimensioni.
Side scattering-->dispersione ortogonale: legata alla rifrazione della luce da parte della cellula
(rifrazione=cambiamento di direzione di un raggio luminoso che passa attraverso un mezzo
trasparente con diversa densità ottica). E' direttamente proporzionale alla complessità interna della
cellula
Misurazione delle caratterisitiche molecolari della cellula
Per rilevare e quantificare le molecole si usano COLORANTI FLUORESCENTI che legano in maniera
STECHIOMETRICA le molecole di interesse.
Il legame tra il fluorocromo e la molecola di interesse può essere:
DIRETTO
INDIRETTO: mediante anticorpi marcati con fluorocromi.
*************
Come si rilevano i risultati?
▪
Con il CITOGRAMMA, ovvero un diagramma di dispersione che combina il side e il forward scattering.
L'utilizzo di fluorocromi per particolari componeti cellulari consente di differenziare ancora di più le
cellule.
▪ Con l'ISTOGRAMMA: rappresenta la distribuzione dei segnali per un singolo parametro.
Applicazioni della citofluorimetria.
1. Diagnosi di malattie ematologiche: x l'immunofenotipizzazione
2. valutazione della malattia minima residua in malattie ematologiche: ovvero la persistenza nel M.O. o in
altri tessuti di cellule neoplastiche
3. analisi della ploidia e del ciclo cellulare: la colorazione del DNA con fluorocromi ne permette la
quantificazione
VANTAGGI
▪
▪
▪
▪
Utilizzo di piccoli campioni
multiparametricità
sensibilità
rapidità di esecuzione
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LIMITI
▪
▪
Necessità di avere le cellule in forma vitale
perdita della morfologia del campione
PCR= REAZIONE DI POLIMERIZZAZIONE A CATENA
Definizione: tecnica che si basa sulla reazione ciclica di polimerizzazione del DNA, che usa come stampo le
molecole prodotte dal ciclo precedente, e come iniziatori di polimerizzazione gli oligonucleotidi sintetici
(primer).
Fasi:
1. DENATURAZIONE: in cui i due filamenti sono separati;
2. APPAIAMENTO DEGLI OLIGONUCLEOTIDI INIZIATORI;
3. POLIMERIZZAZIONE da parte della DNA polimerasi termoresistente
Tecnicamente ci si immagina che la crescita sia 2n, ma in realtà c'è un fattore K da tenere in considerazione.
Questo è un paramentro indicativo dell'efficienza della reazione che non è costante, ma aumenta e
diminuisce e ai suoi cambiamenti contribuiscono soprattutto la parziale deaturazione della polimerasi e il
riappaiamento dei frammenti di PCR che competono con gli oligonucleotidi iniziatori.
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Come si ANALIZZANO I PRODOTTI DI PCR???
Mediante ELETTROFORESI
1. elettroforesi su gel: il gel di agarosio viene messo su un vassoio e immerso in una soluzione tampone con
cui è riempita la cella elettroforetica. (il gel è il supporto solido per la separazione degli acidi nucleici in base
alle dimensioni). Il generatore fornisce una corrente elettrica che farà migrare il DNA e l'RNA in base alle
cariche elettriche.
2. elettroforesi capillare: una piccola quantità di soluzione vine eintrodotta all'estremità anodica in un
capillare contenente un tampone. L'applicazione di una differenza di potenziale tra le due estremità del
capillare provoca il movimento delle molecole verso l'elettrodo di carica opposta.
Quali
sono
le
applicazioni?
ricerca di microrganismi,
traslocazioni,
studio della clonalità delle popolazioni linfocitarie,
monitoraggio della malattia neoplastica residua,
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rilevazione delle perdite alleliche mediante analisi dei microsatelliti: i microsatelliti sono sequenze
ripetute che possono essere mononucleotidici in genere poliA, dinucleotidici, trinucleotidici,
tetranucleotidici. I microsatelliti sono raramente omozigoti (CTCTCTCTCTCT/CTCTCTCTCTCT), più
spesso eterozigoti (CTCTCTCTCTCT/CTCTCTCTCTCTCTCTCTCTCTCTCTCT). La perdita di uno dei due
alleli viene definita PERDITA DI ETEROZIGOSI (LOH), tipico è l'esempio degli oligodendrogliomi in cui
vi è la perdita di eterozigosi di 1p e 19q
La PCR real-time, denominata anche PCR quantitativa o PCR quantitativa in tempo reale, è un metodo che
simultaneamente amplifica (reazione a catena della polimerasi o PCR) e quantifica il
DNA.
Il DNA è amplificato da reazioni a catena della DNA-polimerasi. Dopo ogni turno di amplificazione, il DNA è
quantificato.
I metodi comuni di quantificazione includono l'uso delle colorazioni fluorescenti che intercalano con il DNA
doppio-filamento (ds) gli oligonucleotidi modificati del DNA (denominati sonde) che sono fluorescenti una
volta ibridati con un DNA.
Spesso la PCR real-time è combinata con la PCR Retro Trascrizionale (RT-PCR) per quantificare
i livelli di espressione di specifici RNA: la retro-trascrizione (o trascrizione inversa) produce del DNA
complementare a singolo filamento detto cDNA (complementary DNA) mantenendo inalterati i rapporti
relativi di concentrazione delle diverse specie degli RNA. In questo modo è possibile, ad esempio, misurare
espressione relativa di un gene ad un tempo particolare, o in una cellula o in un tipo particolare di tessuto.
La combinazione di queste due tecniche è spesso denominata RT-PCR quantitativa.
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ADE ANATOMIA PATOLOGICA
ADE ANATOMIA PATOLOGICA PARTE I
Il Professore Franco fa una presentazione dell’ade che ho ritenuto opportuno omettere.
Tecniche autoptiche
La medicina moderna è nata con l’autopsia quando si è creato un correlato tra il reperto autoptico e la
clinica, per cui si è individuato un correlato anatomopatologico. Un paziente con tosse e dolore toracico
puntorio è correlato alla anatomia patologica della pleurite.
Per secoli la medicina non si è interessata della morte , il medico era il medico del vivo e doveva evitare la
morte, sposando la teoria epicurea.
Il medico moderno non può fare a meno di rapportarsi con la morte e conoscere leggi che gli permettono di
affrontare l ‘evento morte. Interfacciarsi con la morte fa parte di quotidianità professionale.
Il medico moderno interviene subito prima della morte nel definire la prognosi del paziente, nello stato di
morte imminente per ritardarla oppure per fare diagnosi di morte e determina a posteriore il momento in
cui il paziente è morto e la causa di morte. La diagnosi di morte certa e la determinazione a posteriori del
momenti in cui si è avuta la morte spettano alla tanatologia mentre la determinazione delle cause di morte
alla autopsia.
La tanatologia studia il fenomeno morte( ciò che percepisco attraverso i sensi) e le modificazioni del corpo
divenuto cadavere. La tanatologia si distingue in tanato diagnosi e tanato cronologia.
La tanatologia studia i fenomeni che accadono al cadavere e che sono abiotici o passivi cioè legati alla
cessazione della vita e quindi di attività interne e che possono essere immediati( prima o al momento
esatto della morte) o consecutivi (ore o giorni dopo la morte).
I fenomeni immediati sono dovuti al venir meno del tripode della vita cioè della funzione cardiocircolatoria(
morte cardiocircolatoria), cerebrale( morte cerebrale), respiratoria( morte respiratoria). Sono rappresentati
da: perdita di coscienza, sensibilità e motilità, del tono muscolare, cessazione del circolo e del respiro.
I fenomeni consecutivi sono: raffreddamento, ipostasi, rigidità, acidificazione e perdita dell’eccitabilità
neuromuscolare.
I fenomeni trasformativi sono attivi cioè dovuti ad azione di agenti esterni .Sono distinti in
distruttivi(autolisi cioè lisi cellulari, auto digestione per liberazione di enzimi digestivi, putrefazione per
azione della flora batterica) e speciali cioè avvengono in particolari condizioni ambientali come il feto
ritenuto in utero per cui il feto si imbibisce di acqua.
L’ipostasi comporta una tipica colorazione che assume il cadavere 6-8 h dopo la morte per precipitazione
del sangue secondo gravità per cui c’è iperemia delle parti declivi che variano a seconda della posizione del
cadavere(nell’impiccato le parti declivi sono gli arti inferiori ).Le parti a contatto con il suolo o sottoposte a
pressione sono pallide perché i vasi sono collabiti. Nelle prime ore il sangue si può muovere nei vasi
successivamente si forma coagulo post mortem.
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Il rigor è uno spasmo muscolare legato all’assenza dell’atp che serve anche per la decontrazione muscolare.
Quando le cellule muscolare vanno incontro a autolisi il rigor passa e subentra la flaccidità.
La tanatocronologia ipotizza l’ora della morte( finestra temporale ) e si basa su fenomeni cadaverici, sulla
tanato oftalmologia che valuta le alterazioni del vitreo e del cristallino dopo la morte, sull’analisi del
contenuto gastrico conoscendo quando si è consumato l’ultimo pasto, sulla tanatoetmologia quando il
periodo di tempo trascorso dalla morte è lungo per cui le larve colonizzano il corpo e sono diverse specie
che si susseguono con preciso ordine cronologico .
Diagnosi di morte
È stato descritto il risveglio in tomba che fa riferimento a morte apparente a causa di diagnosi sbagliata.
La diagnosi di morte Si fa osservando i segni abiotici che si devono susseguire con un determinato ordine
cronologico per cui si necessita i periodo di osservazione di 12-24. La diagnosi di morte in ospedale richiede
un ecg isoelettrico per almeno 20 min anche dopo stimolazione elettrica e farmacologica . In caso di morte
cerebrale eeg con assenza di attività cerebrale per almeno 2 h, in questo caso è possibile richiedere l ‘
espianto degli organi.
AUTOPSIA
- Dissezione anatomica a scopo didattico
- Riscontro diagnostico
- Autopsia giudiziaria
RISCONTRO DIAGNOSTICO= si esegue su cadaveri di persone decedute senza assistenza medica cioè non
esiste una storia clinica significativa. Ha lo scopo di individuare la causa di morte e consente il controllo di
qualità della diagnosi oggi sempre meno richiesto perché si ha paura di aver sbagliato la diagnosi (medicina
difensiva). Viene chiesto dal medico e eseguito dal patologo. La causa per cui più frequentemente si
effettua un riscontro diagnostico è la morte improvvisa.
AUTOPSIA GIUDIZIARIA= è regolata dal codice di procedura penale. Quando sorge il sospetto di reato, il
Procuratore della Repubblica accerta la causa di morte attraverso l’autopsia giudiziaria. Quindi tra le due vi
è una differenza di finalità. Viene chiesta dal Procuratore della Repubblica ed eseguita da un medico legale
che può compierla da solo oppure unirsi ad un collegio peritale. Ad es. in un caso particolarmente
complesso che può riguardare un paziente chirurgico si può associare ad un chirurgo.
TECNICHE
Nel RISCONTRO DIAGNOSTICO sono vietate le mutilazioni e le dissezioni non necessarie alla diagnosi finale,
mentre per l’AUTOPSIA GIUDIZIARIA è obbligatorio dissezionare tutti gli organi. Se durante un Riscontro
Diagnostico insorge il dubbio di un reato, il patologo è obbligato a interrompere il riscontro diagnostico e
avvisare il Procuratore della Repubblica ed il Riscontro Diagnostico si trasforma in autopsia giudiziaria. I
parenti sono solitamente contrari all’Autopsia Giudiziaria (la vedono come uno sfregio del cadavere) ma
non possono opporsi né viene loro richiesta l’autorizzazione. Non hanno nessun diritto sul cadavere del
caro, nonostante il rapporto di parentela. Un parente che ha un sospetto sul trattamento di un deceduto
può chiedere il Riscontro Diagnostico? No. Può convincere il clinico del suo sospetto che quindi potrà
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richiederla al patologo oppure dovrà fare la denuncia ed appellarsi alla Procura per chiedere autopsia
giudiziaria.
SALA AUTOPTICA:
- PIANO su cui viene riposto il cadavere;
- CAPPA ASPIRANTE
- SEGA ELETTRICA
- ENCEFALOTOMO
FASI DELL’AUTOPSIA:
- ESAME ESTERNO
- ESAME INTERNO
- EPICRISI
ESAME ESTERNO: osservare un cadavere (corpo deceduto nudo) ed registrarne le caratteristiche somatiche
identificative generali e speciali, i fenomeni cadaverici e quelle eventuali alterazioni esterne che possano
essere indicative di qualcosa sia patologico sia traumatico. Dopodiché si passa al grosso dell’autopsia che è
APERTURA o EVISCERAZIONE: Sono descritte diverse tecniche (Letulle, Rokitanski). Nell’adulto si associa
l’asportazione di organi singoli con l’asportazione in blocchi.
Parte dalla testa: si inizia con l’incisione bimastoidea passante per la volta cranica che è quella preferibile
perché il paziente non deve essere guardato (non è visibile alla visione frontale del viso); si scoprono due
lembi cutanei per permettere l’accesso alla calotta cranica, tagliando successivamente l’incisione dei
muscoli temporali sulle ossa. Si sega il cranio con una sega elettrica e si rimuove l’encefalo che ha come
mezzi di fissità i nervi cranici che passano attraverso la base ed il midollo allungato che passa per il forame
occipitale. Ponendo la testa in modo da facilitarvi il compito, si agisce sulla base cranica, tagliando in senso
latero-posteriore tutti i mezzi di fissità. Si arriva alla fossa cranica posteriore e si incide il tentorio liberando
il cervelletto. A quel punto bisognerà sezionare il midollo allungato il più vicino possibile al forame
occipitale e l’encefalo è liberato. Soltanto in particolari casi si provvederà anche ad isolare il midollo spinale
con uno speco vertebrale che presupporrà un taglio longitudinale lungo tutto l’asse della schiena, poi
bisognerà aprire vertebra per vertebra con una sega tagliando arco post per arco post e liberando il canale
spinale e quindi l’accesso al midollo. Questo si fa soltanto se c’è un sospetto specifico.
Reperti che si possono trovare in questa fase
1)
FRATTURA BASE CRANICA
FRATTURA DELLA VOLTA FIGURATA (per mezzo traumatogeno a base quadrata)
EMATOMI
Subdurale: non è subito evidente all’apertura della volta cranica ma all’incisione della dura madre
ed è dovuta ad un vaso che sta più in profondità al di sotto della meninge. Spesso non è dovuto ad
eventi traumatici gravi (come la rottura dell’aorta) ma ad un preesistente danno vascolare. Il più
classico è l’Aneurisma del circolo di Willis, congenito, che è una causa di omicidio
preterintenzionale, perché si rompe in seguito a piccoli traumi insignificanti e determina la morte
del paziente per un’emorragia passiva subaracnoidea. Il vaso si può sia rompere che trombizzare.
2) Epidurale: esterno alla dura madre. Asportando la volta cranica si ha subito accesso all’ematoma. E’
dovuto a frattura della volta cranica con rottura di un vaso, di solito un’arteria che passa al di sotto
della volta tra l’osso e la meninge;
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3) Intracerebrale: è dovuto alla rottura di vasi all’interno del parenchima cerebrale o possiamo avere
casi di CID.
- MENINGI: di solito sono biancastre ma pulite, possono essere rivestite da un intenso infiltrato
bianco-grigiatro screziato di sangue, con il corrispettivo istologico di un infiltrato linfocitario e
granulocitario sulla meninge.
- ALTERAZIONI DEI VENTRICOLI: possono essere
1) Simmetrica: nel caso di idrocefalo dovuto ad ostruzioni distali del sistema ventricolare
2) Asimmetrica: nel caso di ostruzioni alte con possibile erniazione di strutture cerebrali dal forame
cerebrale.
Fatto il cranio, si procede con incisura ad Y che unisce un acromion con l’altro passando per lo sterno e poi
si prosegue lungo la linea mediana passando alla sinistra dell’ombelico fino al pube. Si aprono i due lembi
muscolo-cutanei.
Gabbia toracica: bisogna prima sezionare l’inserzione del diaframma sulle costole e aggredirlo da sotto
liberando le aderenze del mediastino alla faccia interna dello sterno. Poi si tagliano le costole preferendo la
parte cartilaginea. Si asporta il piastrone sterno-costale, si apre l’accesso al torace, si espone il cuore ed i
margini ant dei polmoni. Di solito la prima cosa che si fa è aggredire il cuore perché è immediatamente
aggredibile ed è un organo di grande interesse. Si incidono i mezzi di fissità ed i grandi vasi il più lontano
possibile dall’origine. Si passa ai primi organi dell’addome superiore: milza, fegato e stomaco. Prima di
asportare fegato, stomaco e colecisti si fa la spremitura della colecisti: si apre il duodeno si preme la
colecisti e si vede se la bile entra nel duodeno per dimostrare la pervietà dell’albero biliare (si scansa
l’apertura di tutto l’albero biliare esterno). Dopodiché si rimuovono gli organi dell’addome sup. A questo
punto si aggredisce il colon e si procede con eviscerazione di massa.
Poi si aggredisce con il COLLO e si liberano i piani posteriori: carotide, trachea con la laringe. Gli organi del
collo sono molto adesi alla colonna cervicale per cui si inciderà posteriormente cercando di liberarli e si
procederà con l’incisione del pavimento orale iniziando dalla parte post della placca mandibolare per avere
accesso alla mandibola che viene asportata in blocco con tutti gli altri organi. A quel punto facendo presa
sulla laringe che è l’organo più duro, basterà tirare con una trazione su tutto il blocco rimasto per vincere
l’aderenza.
Si libera anche la PELVI e si libera il retto post e la vescica ant e si arriva al testicolo e lo si riporta in cavità
addominale attraverso il canale inguinale e si completa con l’eviscerazione di massa. Quindi avremo un
unico blocco viscerale dalla lingua alla vescica e al retto. Dopodiché si procede a separare gli organi
eviscerati. Per ogni organo c’è una tecnica particolare di isolamento.
Un’autopsia dura solitamente 3 ore.
ISOLAMENTO DEL CUORE
Si aprono le coronarie e si seziona per cercare le anomalie: ipertrofia (eccentrica e concentrica), infarto,
trombosi delle coronarie.
Esempi
RISCONTRO DIAGNOSTICO: paziente di 43 anni con obesità severa, che subisce un intervento chirurgico di
bypass duodeno-digiunale e colecisto-duodenale (intervento maggiore). L’intervento va bene, il pz è
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portato in terapia intensiva per prassi, ma il pz muore. Il responsabile di terapia intensiva chiede il riscontro
diagnostico.
Si vede l’ipostasi e delle ecchimosi a livello del torace alto che di solito si associano a morte agonica (ultimi
tentativi di respirazione forzata). A livello cerebrale non si riscontrano lesioni. Il by-pass è in sede, con punti
consolidati e senza perdite, quindi possiamo escludere il problema chirurgico (cedimento dei punti). Il cuore
è enorme con ipertrofia concentrica evidente al ventricolo sx, ma le coronarie erano libere. C’è un trombo
post-mortem all’auricola. Aprendo l’atrio dx si trova un embolo enorme. Bisogna fare DD tra trombo postmortem e trombo formato in vita. La valvola aortica è aterosclerotica. Il fegato è esageratamente grande. A
livello dei polmoni petecchie e una forte congestione. Aorta gialla, rigida, con aterosclerosi diffusa. Altri
organi normali. Con l’epicrisi si metteranno insieme questi elementi e si darà una logica. Si procede con
l’esame istologico che confermerà le informazioni macroscopiche e ci darà un nuovo tassello: infiltrazione
del miocardio da tessuto adiposo che normalmente è epicardico. Tutto ciò ci fa pensare ad una displasia
aritmogena.
Che cos’è l’epicrisi? L’epicrisi si fa dopo che il cadavere è stato richiuso, ricucito e restituito all’affetto dei
cari. Si deve scrivere la diagnosi mettendo insieme tutti i tasselli diagnostici trovati durante il riscontro
diagnostico, compreso lo studio della cartella clinica.
In questo caso abbiamo:
-
obesità di III grado
-
intervento di chirurgia maggiore
-
aterosclerosi diffusa dell’aorta
-
ipertrofia concentrica del cuore
-
atrio destro occupato dal trombo
-
congestione dei vasi polmonari
-
ipertrofia e steatosi epatica
-
adipositas cordis
È facile supporre che sia stata l’adipositas cordis il momento fondamentale a determinare la morte del
soggetto, tutto quello che c’è intorno ha agito da concausa: l’obesità ha determinato l’ipertrofia
concentrica, l’aterosclerosi, l’ipertrofia epatica e la steatosi epatica, dunque tutte cause di sofferenza
cardiaca. Il cuore, già provato, è stato poi sottoposto da un lato allo stress dell’anestesia e della chirurgia,
dall’altro all’adipositas cordis di base, non nota. Di qui l’arresto cardiaco che ci spiega sia la congestione
polmonare, sia il trombo trovato in atrio.
Questo era un riscontro diagnostico, i sanitari non sono mai stati oggetto di discussione, ma ci si potrebbe
chiedere se era il caso di operare il soggetto in queste condizioni.
Se fosse venuta meno questa concausa (l’intervento di chirurgia bariatrica) cosa sarebbe successo?
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Verosimilmente sarebbe successo lo stesso prima o poi. Il sanitario non aveva modo di sapere
dell’adipositas cordis, perché, data la rarità della patologia, non è prevista l’esecuzione di una risonanza o di
tecniche molto specifiche in fase preoperatoria.
In definitiva la causa dell’arresto cardiaco è l’adipositas cordis.
Esempio di autopsia giudiziaria.
Il riscontro diagnostico è un evento di diagnosi a 360° su tutto il corpo, l’autopsia giudiziaria è un momento
inserito in un contesto più ampio e molto diverso che è il tribunale in cui, tutto sommato, la diagnosi è
molto meno centrale.
Il caso si apre quando la signora C denuncia ai carabinieri la morte del marito D, questo avviene il primo
febbraio.
Oggetto della denuncia è la morte. La denuncia è contro ignoti. Ipotesi di reato è l’omicidio.
La denuncia è trasferita d’ufficio alla Procura della Repubblica, che da un lato condurrà le indagini, dall’altro
chiederà l’autopsia giudiziaria al medico legale.
Vediamo un riassunto delle indagini per capire cosa è successo:
14 gennaio: il pz alle 18:00 è ricoverato in pronto soccorso. Orientamento diagnostico di ingresso:
riferita precordialgia, non presente al momento dell’osservazione. PA 120/80. Viene fatta una terapia
iniziale e le indagini diagnostiche effettuate sono: ECG, prelievi di sangue. Si richiede una consulenza
specialistica cardiologica. Si consiglia: RX rachide lombo-sacrale per attuale lombalgia. Alle 19:30 arriva la
consulenza cardiologica: riferito dolore toracico, attualmente lombalgia. EO: attività cardiaca ritmica, toni
puri, pause libere. ECG: ritmo sinusale a 90/m, anomalie aspecifiche del recupero. Criteri Ecgrafici di
ipertrofia ventricolare sinistra. EcoCardio: contrattilità globale e segmentaria del ventricolo sinistro nei
limiti. Enzimogramma: enzimi nei limiti. Alle 21 il pz viene dimesso.
15 gennaio: il pz alle 10 è ricoverato in pronto soccorso. Orientamento diagnostico di ingresso: algia
addominale e lombosciatalgia. Viene fatta terapia con antidolorifici e miorilassanti e viene richiesta RX
rachide in toto. Il pz alle 11 viene dimesso.
16 gennaio: il pz alle 3:50 è ricoverato in pronto soccorso. Orientamento diagnostico: colite
spastica, nevralgia intercostale II costa sinistra, meteorismo intestinale. Viene fatta terapia con
antidolorifici e miorilassanti. Il pz alle 4:30 è dimesso dal PS. la mattina il pz porta il referto del RX rachide in
toto: “discrete manifestazioni di spondilo – artrosi diffusa, con iniziale osteofitosi. Reperto accessorio:
iniziale calcificazione dell’aorta addominale”. Alle 14:00 il pz muore. Il 118 arriva sul posto, non lo trova
cosciente, non risponde agli stimoli, le vie respiratorie sono pervie, non c’è polso carotideo. Si tenta
rianimazione cardiopolmonare e alle 14:35 viene fatta diagnosi di morte con causa presunta di arresto
cardiocircolatorio.
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Il procuratore si rivolge al medico legale per accertare l’eventuale sussistenza di profili di colpa
professionale a carico dei dottori e il rapporto di causalità fra i comportamenti assunti dai dottori e la morte
del paziente.
Il fine dell’autopsia giudiziaria è stabilire la colpa professionale, dimostrando il rapporto di causalità.
La denuncia è avvenuta dopo due settimane dalla morte quindi bisogna riesumare il cadavere. Il cadavere
presenta qualche segno di putrefazione e muffa. L’apertura del cranio non mostra lesioni evidenti. Si apre il
torace, si rimuove il piastrone sterno-costale per accedere al cuore e ai polmoni. Si incide il pericardio che
risulta pieno di sangue, si tratta dunque di emopericardio.
(Le più frequenti cause di emopericardio sono: dissezione aortica, rottura del cuore, metastasi…)
L’aorta presenta una rottura della parete, quindi la diagnosi è di dissezione aortica con rottura del tratto
intrapericardico e successivo tamponamento cardiaco da emoperitorneo. La diagnosi ci spiega anche la
storia clinica: il pz nasce con dolore toracico e poi questo dolore si sposta in addome e alla schiena, tipico di
dissezione aortica.
L’autopsia giudiziaria è un momento di un discorso lungo e il discorso è soprattutto in tribunale. Potevano i
sanitari fare diagnosi di dissecazione aortica? Se l’avessero fatta avrebbero potuto salvarlo?
Il medico legale è chiamato a spiegare il nesso di causalità mantenendosi sul fisiopatologico, non è lui a
dover dire se i sanitari sono colpevoli o meno.
È il tribunale a decidere se c’è o non c’è colpa dei sanitari.
Il “povero medico” si trova tra il procuratore che conduce l’accusa, i difensori con periti di parte e testimoni
che cercano di difenderlo e il giudice chiamato a decidere se condannarlo o meno.
In questo che è un processo penale per omicidio colposo la signora (moglie del defunto) non ha nessun
ruolo, ma può decidere di costituirsi parte civile per avere il risarcimento del danno in termini economici.
Può intervenire anche l’assicurazione che potrebbe sostenere di non voler pagare se è colpa del medico. In
questo caso specifico i medici sono stati assolti in penale.
In una parte dei riscontri diagnostici la causa di morte non viene individuata. Spesso si parla anche di morti
elettriche quando non si riscontrano dati anatomici, macroscopici e microscopici di morte. Il buon senso è
che si fa il riscontro e si valutano eventuali cause macroscopiche che sono abbastanza evidenti come
l’infarto del miocardio, l’embolia polmonare. Se non ci sono cause macroscopiche di morte allora si fanno
prelievi di tutti gli organi vitali. Si possono conservare parti di encefalo, di cuore o di tutto. Generalmente
quando non ci sono cause macroscopiche evidenti di morte si conservano almeno cuore e cervello.
Il riscontro diagnostico può essere successivamente oggetto di un dibattito penale dopo denuncia quindi è
bene avere tutti i dati ben archiviati.
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Quello che avviene nei laboratori di istologia semplice e in quelli di anatomia patologica fino a una certa
fase è pressoché uguale. L’istologia normale dà un inquadramento morfologico del tessuto e non va oltre,
mentre l’anatomia patologica si, dà una diagnosi.
L’anatomo-patologo è un medico i cui compiti specifici sono:
la diagnosi e la caratterizzazione eziopatogenetica e pronostica delle malattie.
L’anatomia patologica studia la malattia a livello molecolare, sub-cellulare, cellulare e tissutale dell’intero
organismo.
Oggetti dello studio anatomo-patologico:
L’intero organismo -> autopsia (esame macro/microscopico)
Organi o parti di organi -> campioni chirurgici (esame macro/microscopico)
Campioni di organi -> biopsia
Cellule di organi -> citologia
Strutture sub-cellulari -> Isto, Cito (MO ME) e patologia molecolare
In laboratorio arrivano agobiopsie eco/tac guidate provenienti da masse profonde (da mammella, da
prostata); biopsie a cielo aperto (midollo osso, fegato e rene); biopsie endoscopiche dell’apparato
gastrointestinale , respiratorio, urinario, genitale; biopsie chirurgiche incisionale (prelievi di frammento di
tessuto patologico da lesione non resecabile); biopsia escissionale che è un’asportazione completa di una
lesioneper diagnosticare la natura della lesione.
Ma dietro a una diagnosi c’è il lavoro di un tecnico che insieme all’anatomopatologo fa un lavoro di
parecchie ore, il tempo minimo è tre o quattro giorni, se poi vengono fatte richieste particolari ad esempio
immunofissazione, FISH o quant’altro, il tempo verrà ad essere allungato. Il lavoro del tecnico va fatto con
coscienza e diligenza perché il tecnico si associa all’ anatomo patologo ma chi prepara il materiale, chi
completa il lavoro è il tecnico e se non è ben attento l’ anatomo patologo può fare il primo errore e spesse
volte non si può tornare indietro, non si può ripetere il prelievo.Mentre ad esempio per un prelievo
ematico si può fare un’altra campionatura, per i campioni istologici non si può tornare indietro, questo
rende possibili i falsi positivi o falsi negativi causati o dall’ anatomo patologo o dal tecnico. Se l’anatomo
patologo ha uno spessore abbastanza alto di preparazione capisce che c’è un errore tecnico. Qualunque
materiale biologico va in degenerazione e qualsiasi esame diventa non più valido.Molto importante è che il
campione pervenga in laboratorio nelle condizioni ottimali di conservazione.Ci sono due strade da seguire,
la prima è se noi ci riferiamo a campione fresco (in questo caso l’esame è detto appunto estemporaneo )
dove il materiale va portato in pochissimi minuti in laboratorio, trasportato in un contenitore e in una
garza, imbevuto di soluzione fisiologica o il campione citologico che deve pervenire anche questo presto ma
qualora il tempo non è sufficientemente breve può rimanere a temperature di 4 gradi o subito fissato e poi
vedremo come. Il materiale istologico va fissato. La fissazione è un processo molto importante che serve a
bloccare la proteolisi e rendere più possibile il tessuto permeabile alla colorazione. Il lavoro dell' anatomo
patologo è accogliere il campione in laboratorio, lavorarlo in un certo senso e arrivare alla diagnosi e tra
questi passaggi c’è un lavoro piuttosto intenso. Il primo passo è chiamato processazione, questo passaggio
rende il campione visibile all’analisi microscopica e lo rende anche idoneo per ulteriori indagini che
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potrebbero essere sia l’analisi molecolare che altre. Quindi trattare i campioni umani in modo che siano
adeguati alle finalità dell’esame anatomo patologico porta alla identificazione delle condizioni patologiche
o documentando le procedure chirurgiche e si ottengono tessuti validi per eventuali ricerche. La finalità
dell’ esame atomopatologico è identificare e classificare le condizioni patologiche, documentare le
procedure chirurgiche ed ottenere materiale per la ricerca. Per il materiale a fresco l’iter è completamente
diverso, i materiali sono soppiantati dal freddo ( quindi congelatore) mentre il fissato normale ha un iter
piuttosto specifico che è piuttosto particolare. Un ritardo può compromettere in modo irreversibile l’esito
del campione anche perché un altro campione non lo possiamo avere. Una nota importante che
accompagna il campione è ogni campione è accompagnato da una richiesta accurata che identifica il
paziente, identifica i campioni portati , identifica chi è che richiede l’esame istologico (che da noi proviene
sia da strutture del policlinico che da strutture esterne come ambulatori, poliambulatori e altri ospedali
ecc).Importante è la data di procedura dell’ esame, alcune informazioni cliniche, l' orientamento dei
campioni. Una volta accolto il campione gli viene assegnato un codice identificativo, con i tanti campioni
che arrivano ogni campione ha un suo numero seguito dall’anno in corso es “ 1884/05 “ significa che è stato
effettuato nell’ anno 2005 ; un caso è definito da tutti i campioni ottenuti durante la stessa procedura,
esempio in una gastroscopia di un paziente possono essere effettuati 4 prelievi perché ci sono zone dubbie
per il gastroenterologo che non fa più 2 o 3 campioni secondo protocollo ma di più e in quel caso, il caso è
ascritto a un unico numero. Che informazioni servono: lo scopo dell’asportazione del campione, il tipo di
campione, l’ aspetto clinico e la sede della lesione, se ci sono precedenti diagnosi e quindi recidive, se sono
state fatte precedenti procedure, precedenti trattamenti e se ci sono specifiche richieste.Un' altra
caratteristica del campione è l’orientamento, si devono usare opportuni accorgimenti prima e dopo la
riduzione del campione, in alcune patologie si richiede proprio l’orientamento chirurgico e se questo non
c’è allora è l’ anatomo patologo che, quando inizia a lavorare, ne fa una sua procedura. Ogni campione va
esaminato avendo chiaro di che tipo di campione si tratta, che procedura è stata effettuata e quali obiettivi
ci sono all' esame micro e macroscopico e, se ci sono dubbi, contattare il chirurgo. L’ esame macroscopico è
un campionamento condizionante in modo irreversibile l’esito della diagnosi istologica. Inizia con
identificazione delle strutture anatomiche che compongono il campione chirurgico e si verificano le
concordanze con quanto è indicato in genere la richiesta di accompagnamento. Ci sono fasi che si ripetono,
il controllo non è fatto solo all’accettazione, anche il medico è responsabile di un controllo sia del campione
che dei dati presenti con l’accompagnamento. l’ anatomo patologo è ben vestito per evitare l' eventuale
contaminazione dal campione o al campione , c’è anche una cappa detta piano di lavoro aspirante per il
avoro dei campi attivi??? dove il campione è immerso. Questa è la fine del lavoro fatto dall’ anatomo
patologo è un campione chirurgico e qui l’opera dell 'anatomo patologo che ha completato il suo
sezionamento. Con la dissezione si completa l’esame macroscopico, ogni campione deve essere esaminato
accuratamente, non si può evirare la dissezione di parti del campione per mantenere integra la fisionomia
del pezzo anatomico. la descrizione macroscopica è un' informazione permanente che può essere usata
anche a posteriori, se ci sono problemi diagnostici si ritorna indietro e ci rifacciamo alla descrizione
macroscopica. Principi generali per una buon esame macroscopico: dare una diagnosi macroscopica e
questa diagnosi definire la grandezza del tumore, la distanza dai margini, se ci riferiamo a un esame
estemporaneo dare diagnosi subito dopo l’esame a congelatore, la correlazione con l’istologia si possono
identificare artefatti, errori di etichettatura ecc e in più informazioni a scopo medico legale. Il
campionamento deve documentare tutte le lesioni che si osservano, deve documentare il tessuto sano tra
due lesioni che si osservano, deve documentare le strutture macroscopicamente sane, deve includere
linfonodi e margini di resezione, deve includere materiale residuo e esame a congelatore. Per quanto
riguarda i margini di resezione questi sono molto importanti per l invasività del tumore, per quelli che
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restano al congelatore è sempre meglio avere anche diagnosi istologica normale dopo la diagnosi fatta al
congelatore. Il campionamento è eseguito secondo precisi protocolli che servono a garantire tutte le
informazioni necessarie diagnostiche e prognostiche in particolare ci si riferisce a quelle del sistema tnm. La
processazione è un insieme di procedimenti che servono a conservare nel tempo il campione di tessuto,
bisogna mantenere relazioni spaziali tra le cellule dello stroma e tra i costituenti cellulari, importanti a
mantere la composizione chimica ed antigenica a cui pensa la fissazione che è un arresto delle attività vitali
di un tessuto. l autolisi è il primo fenomeno che si osserva dopo l' intervento chirurgico per liberazione degli
enzimi proteolitici alla rottura delle membrane lisosomiali. Principi generali della fissazione: indurire e
preservare i tessuti prevenire quindi le perdite di specifiche molecole, deve bloccare i meccanismi di… e
ogni fissativo ha vantaggi e svantaggi cioè perdita di molecole, rigonfiamento ecc che poi vedremo quando
andremo a effettuare varie colorazioni, procedimenti di istochimica o immunoistochimica, la fissazione
mira alla fissazione di proteine glucidi e lipidi cioè dei costituenti cellulari. Per quanto riguarda le proteine
possiamo avere un rimodernamento del mantello quindi una flocculazione o una alterazione fisico chimica
quindi una denaturazione o una reticolazione con coagulazione della stessa. i glucidi sono impossibili da
fissare si fissano perché si intrappolano nelle proteine quindi fissando le proteine eventualmente fissiamo i
glucidi. I lipidi non si possono fissare con i metodi normali, l ‘ unico fissativo che possiamo usare per i lipidi è
il ferro. La fissione può avvenire in vari modi in anatomia patologica usiamo in genere l immersione quindi
si immerge il tessuto nel liquido fissativo. Si mette prima il liquido , poi il campione. ci sono varianti che
influenzano la fissazione e ci sono accorgimenti tecnici: il fissativo, la qualità della fissazione è funzione
anche della rapidità quindi del tempo, il fissativo deve penetrare dall' esterno all’interno, il potere fissante
diminuisce man mano che la fissazione procede , importante è lo spessore e, in genere, i campioni più
idonei sono quelli di dimensioni piccoli esempio due cm, i campioni più grandi vengono sezionati e si fa
quando in laboratorio arriva un campione più grande delle misure standard è importante la velocità di
penetrazione che è specifica per fissativo, la temperatura, il ph, la pressione osmotica e anche il rapporto
volumetrico cioè dire il fissativo deve essere maggiore del volume del campione.
Un'altra caratteristica che influenza la fissazione è la qualità del tessuto: il tessuto adiposo richiede più
tempo (proprio per la penetrazione del fissativo nel tessuto) ma anche i campioni ricchi di sangue e la
colloide richiedono più tempo.
E' quindi buona regola ottenere sezioni sottili del tessuto, porre i campioni in contenitori adeguatamente
capienti, e utilizzare accorgimenti che garantiscano il contatto con le parti più interne o che evitino il
rimaneggiamento fuori dalla formalina dei pezzi.
Quindi è molto importante il tipo di fissativo, la qualità del tessuto, lo spessore, il ph, la temperatura,
l'osmolarità e la quantità del fissativo.
Classificazione dei fissativi: in anatomia patologica si usano in genere dei fissativi chimici:
–
fissativi semplici
–
miscele fissatrici.
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Dal punto di vista del meccanismo d'azione, si classificano in base all'azione che hanno sulle proteine in:
fissativi coagulanti
fissativi non coagulanti
a loro volta divisi in: fissativi additivi
fissativi non additivi
se contraggono o meno rapporti chimici con i costituenti del tessuto (in questo caso la proteina).
Coagulanti non additivi: acol etilico, alcol metilico e acetone.
Coagulanti additivi: acido picrico, cloruro di mercurio o sublimato corrosivo.
Non coagulanti additivi: formaldeide, gluteraldeide, tetrossido di osmio, bicromato di potassio
Non coagulanti non additivi: acido acetico.
Alcune di queste sostanze non vengono usate se non per soluzioni fissatrici. A voi basta ricordare che i
fissativi più importanti in anatomia patologica sono la formalina in primis (preferibilmente a un ph
tamponato, 7.2/7.4 ) e a volte si può usare anche l' alcol per delle piccole biopsie, ma non si preferisce
molto per una resa di qualità a livello istologico e immunoistochimico.
C'è un'altra classificazione dei fissativi in base alle classi chimiche, ma a voi non interessa.
Per quanto riguarda le miscele fissatrici è importante ricordare che la citologia viene fissata con la
formalina, ma a volte in genere per praticità si preferisce fissarla con i liquidi a base di alcol: in commercio
ci sono dei reattivi già pronti, come il Citofix, oppure alcol direttamente etilico. Le miscele fissatrici sono
specifiche per alcuni organi: lo Zenker veniva usato tanto tempo fa esclusivamente per il polmone, il Bouin
è un fissativo esclusivo per le biopsie renali perchè va a fissare capillarmente il glomerulo renale.
Liquido di Bouin : miscela più utilizzata
molto penetrante
usato anche per pezzi voluminosi
acido picrico 15, formalina 5, acido acetico 1
Liquido di Carnoy: usato per fissare cellule isolate
Liquido di Zenker : buona penetrabilità.
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Ricapitolando:
–
per la citologia si preferisce fissare con l'alcol 95 o miscele fissatrici a base di alcol (e in commercio
ce ne sono parecchie).
–
per l'istologia si preferisce la formalina neutra tamponata (anche se le piccole biopsie spesso
arrivano al laboratorio direttamente fissate in alcol) .
La formaldeide è un gas incolore, irritante, di odore sui generis, penetrante e solubile in acqua.
In genere quando è completamente dissolta in acqua forma una soluzione contenente il 37-40 % di
formaldeide nota anche come formalina, quindi in commercio la troviamo al 40% mentre in laboratorio è
dosata al 10% . Questo è un fissativo che fissa molto bene le proteine ma ha un difetto: agisce da fissativo
additivo e pertanto determina una distorsione della proteina che da una struttura originaria passa ad una
struttura secondaria ( ad esempio da una struttura terziaria ad una struttura quaternaria) .
Questo è stato per molto tempo un grosso problema per l'anatomia patologica perchè la formalina
induceva una occlusione dei siti antigenici per cui l'immunoistochimica non aveva una resa ottimale.
Quando si è capito che l'artefatto veniva creato da questo fissativo si è agito in modo da spezzare questi
legami metilici che produce la formalina con alcuni composti di alcune proteine così da liberare i siti
antigenici in modo tale che la reazione che andiamo a ricercare con l'immunoistochimica sia facilmente
riconosciuta ed evidenziata .
Il meccanismo d'azione della formalina sui lipidi non ha alcun effetto ma in genere il lipide è quasi sempre
legato o si associa ad una proteina per cui fissando la proteina automaticamente viene rilevato anche il
lipide.
Se poi vogliamo fare un'azione mirata direttamente sul lipide è necessario trovare un fissativo idoneo,
come ad esempio il freddo, poi una colorazione anche in questo caso idonea, ad esempio il Sudan.
Anche sui glucidi non c'è alcun effetto .
La formaldeide è molto importante anche come conservante (nel nostro museo molti reperti sono
conservati in formalina) .
Vi trascuro quali sono i fissativi coagulanti: il sostantivo coagulante è riferito all'azione che ha direttamente
sulle proteine. Possono essere acidi come l'acido acetico o l'acido picrico oppure metalli pesanti come
mercurio, zinco che sono delle sostanze che fanno parte esclusivamente delle miscele fissatrici.
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L' alcol etilico invece che viene usato in anatomia patologica è un liquido limpido, incolore, volatile e si
adopera in genere per fissare a 70 gradi, mentre qui in anatomia patologica ha una vasta gamma di
concentrazioni per cui viene usato da 70 fino ad essere puro (100%) .
–
Effetto sulle proteine: è coagulante .(faccio un esempio: se avete un contenitore in cui è presente
un campione di urine, basta aggiungere alcol per fissarla e si vede subito la flocculazione perchè si forma un
deposito piuttosto biancastro che si deposita a fondo del contenitore) .
–
Effetto sui lipidi: è un solvente dei grassi, i quali vengono estratti più o meno completamente,
quindi non conviene usarlo.
–
Effetto sui glucidi: non si fissa e rimangono, come prima, inclusi nelle proteine.
Ha un buon potere di penetrazione ma si adopera in genere per piccoli frammenti .
La decalcificazione
E' una fase che può interessare l'anatomia patologica nel momento in cui il campione è un campione osseo.
Procedimento:
1)
si lascia fissare il campione in una soluzione fissatrice. Poi segue una strada a sé.
2)
Si devono far precipitare i sali di calcio o direttamente con delle soluzioni a base di acido nitrico o di
acido formico oppure una resa migliore, immediata è ottenuta miscelando il campione con delle soluzioni a
base di EDTA .
3)
Una volta che il tessuto ha una consistenza molle, quindi tutti i sali di calcio sono precipitati, il
campione segue la strada di un tessuto normale.
Si passa poi all'inclusione: dobbiamo conferire al tessuto una consistenza adatta a fornirci delle sezioni
sottili .
Si inibisce con paraffina il campione, facendo penetrare questo materiale in tutto il campione stesso,
dopodichè si fa la colata.
Prima dell'inclusione c'è un passaggio molto importante: bisogna eliminare l'acqua presente all'interno del
tessuto. Vengono effettuati una serie di passaggi, la disidratazione, conseguentemente una diafanizzazione
e quindi la colata.
Questo perchè la paraffina è un idrocarburo. Il 90% della cellula è costituita da acqua, quindi la paraffina
non potrebbe penetrarvi all'interno. Tolta tutta l'acqua, al suo posto si fa penetrare questa sostanza che
consente di indurire il tessuto.
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In passato la disidratazione veniva effettuata facendo passare dei campioni in contenitori, preferibilmente
di vetro, seguendo una scala crescente di alcol partendo da una concentrazione di alcol a 65 gradi fino ad
arrivare ad alcol assoluto (100 gradi), per poi fare dei passaggi in acetone, xilolo e paraffina.
Oggi questi processi che prima richiedevano un tempo lungo avvengono molto più velocemente grazie
all'aiuto di macchine dette “istochinetti” che hanno il compito di essere caricati dal tecnico, per tutta la
nottata la macchina lavora e la mattina successiva il tecnico stesso trova i campioni direttamente nella
prima paraffina.
Gli apparecchi più moderni lavorano solo sottovuoto: questo facilita la penetrazione dei vari reattivi nei
tessuti, per cui il tempo di processazione viene a diminuire perchè l'uso del vuoto riduce il tempo di
fusione.
Come funziona l'apparecchio: in un computer si scelgono i tempi e i programmi per i vari tessuti, poi la
macchina effettua la disidratazione in vari passaggi :
–
utilizza acqua per lavare il campione che è in formalina
–
procede con la scala crescente degli alcoli (60-65-70 e così via fino ad arrivare a 100)
–
subito dopo c'è un bagno o due bagni di cloroformio o acetone (si preferisce l'acetone)
–
due passaggi in xilolo
–
primo passaggio in paraffina.
La paraffina è introdotta in un contenitore a parte rispetto a tutti gli altri componenti e cioè in un ripiano
termostatato (perchè la paraffina ha un punto di fusione doppio, c'è una paraffina solida e una paraffina
molle: a temperatura ambiente solidifica mentre a temperatura superiore a quella ambiente si liquefà.)
Quindi i campioni restano per tutta la nottata a temperatura di 45-46 gradi e l'indomani il tecnico che arriva
al laboratorio trova tutto il materiale pronto per la seconda paraffina.
La durata dipende anche dallo spessore del campione. Si passa alla diafanizzazione che completa
l'eliminazione totale dell'alcol e si vede ad occhio nudo perchè il campione diventa quasi traslucido: quando
infatti diventa traslucido possiamo dire che effettivamente il campione è senza acqua.
La paraffina è un idrocarburo a catena lunga derivato dal petrolio, è simile alla cera (ma la cera è naturale)
infatti come quest'ultima è bianca e palpabile. É insolubile in acqua è solubile in cloroformio, toluolo e
xilolo e ha una consistenza liquida per le paraffini molli tra 45 e 50 gradi, per le paraffini dure tra 58 – 60
gradi (doppio punto di fusione )
Questa sostanza ci permette di conservare i nostri campioni istologici anche per molti anni. Oggi la legge ci
dice che possiamo conservare i campioni per 15 anni, per una rivalutazione o per un dubbio diagnostico: il
paziente può venire in istituto a richiedere il proprio blocchetto di paraffina entro 15 anni.
Il campione è immerso in paraffina dalle 8 alle 12 ore.
Una volta arrivati alla seconda paraffina, inizia la colata. La colata è il “raccoglimento” del campione in un
pacchetto e viene fatto da un apparecchio, l'inclusore di paraffina .
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È uno strumento particolare: la parte superiore viene riscaldata perchè racchiude la paraffina (molle o
dura), possiede poi un ripiano riscaldato per mantenere la paraffina liquida un altro ripiano refrigerante che
fa raffreddare la paraffina e fa compattare meglio il campione con la paraffina stessa. Il tecnico prende una
vaschetta in cui fa colare un po' di paraffina, include il nostro campione, include un pezzettino bianco che
poi fungerà da ponte per il taglio del campione e fa ricadere ancora la paraffina tipo sandwich a completare
l'operazione e sposta il tutto sull'altro ripiano per farlo raffreddare.
Ecco un altro esempio: la paraffina è incolore, perché è calda. Deponiamo la cassettina sul campione,
portiamo il tutto nel reparto raffreddato e si forma l’inclusione. Poi bisogna tagliare il materiale a fette, per
guardarlo al microscopio. Dobbiamo tagliare una o più fette. Questa parte viene esplicata con degli
apparecchi detti microtomi. Ce ne sono di diverso tipo. Prima veniva usato quello a slitta, che ha una lama
che va avanti e indietro con il pezzo fisso, che viene e tagliato a fettine. Per problemi tecnici, es. vibrazione,
oggi si usa il microtomo rotativo che ci permette di evitare gli sbalzi fatti nella metodologia della slitta e ci
permette anche di tagliare il nostra campione in fasi successive, una dopo l’ altra in modo tale da poterlo
analizzare nei vari spessori. Poi c’è un altro apparecchio che è il bagnomaria, dove si portano le fettine
tagliate che devono essere distese ( perché tagliando ad uno spessore di 3-4- micron la paraffina tende ad
arrotolarsi e tende ad arrotolare anche il tessuto). L’apparecchio contiene acqua distillata ad una
temperatura di 37°C. La paraffina tenderà a distendersi e con essa il tessuto. L’ operatore pone la fetta sul
vetrino, dopo che questa è stata distesa. Una volta avvenuta la deposizione della fetta, il vetrino deve
essere asciugato. La fetta è circondata ancora dalla paraffina e quindi si mette in una stufa a 37°C. Queste
temperatura vanno rispettate anche per i processi immunoistochimici, perché temperature più alte
possono inficiare gli stati delle proteine.
Poi si procede con la colorazione. Prima della colorazione è necessario fare un procedimento inverso alla
disidratazione ( idratazione), perché i coloranti sono acquosi e non penetrano all interno di fette
paraffinate. Dobbiamo sparaffinare le fette con xilolo caldo e dare idratazione alla fetta fino ad aggiungere
acqua. In definitiva dopo la fissazioone dobbiamo disidratare con la scala crescente di alcool, passare agli
intermedi con xilolo, acetone, poi c’è il taglio e dopo il taglio dobbiamo togliere la paraffina con la
sparaffinatura, reidratare e colorare.
Per quanto riguarda l’ estemporanea, tutto questo il procedimento non lo facciamo, perché in questo caso
si usa una fissazione non chimica, ma fisica, il freddo. Viene usato un microtomo simile a quello usato per la
paraffina e poi andiamo a colorare.
Tutte queste procedure vanno conosciute.. relativamente, non nel senso che dovete conoscere tutti i
passaggi, ma dovete sapere che quando si fa una richiesta di esame istologico esistono delle tecniche ….l
anatomia patologica d’ urgenza non esiste se non quando c’è l’ estemporanea. Durante l ‘ intervento
chirurgico si chiede una diagnosi immediata perchè bisogna dare una risposta immediata, che influenzerà la
condotta del chirurgo.
Domanda che non si capisce…
Risposta: “Dipende, se è una biopsia piccola si deve fissare, si può fissare in pochissime ore. Deve essere
processato e la processazione, secondo le apparecchiature che comunemente si usano in anatomia
patologica, dura 12 ore, dopo deve essere incluso, tagliato..quindi non prima delle 36 h possiamo avere un’
ematossilina-eosina per vederlo al microscopio. Se è una biopsia urgente possiamo farlo in 24 h. Possiamo
vedere con ematossilina eosina , ma se necessitiamo di fare colorazione speciali per immunoistochimica
abbiamo bisogno di più tempo. Se è un campione chirurgico, la cosa si complica, perché il tempo di
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fissazione di grossi campioni aumenta e quindi spesso sono necessarie 24 h, dopodichè il patologo deve
vedere la massa tumorale e poi inizia la processazione, quindi sono necesssari 3-4- giorni. Quindi l’ urgenza
è un concetto relativo in anatomia patologica....ma non prima di 24 h possiamo realizzare un campione in
ematossilina eosina. Cosa diversa è l’estemporanea perché entro 20 minuti la risposta va data.
Gli archivi di anatomia patologica sono degli archivi ricchissimi, perché abbiamo campioni chirurgici in
teoria da quando esistono gli studi di anatomia patologica. I campioni chirurgici, come i blocchetti inclusi in
paraffina, vanno conservati per legge 30 anni e i vetrini almeno per 10 anni. Immaginate che questo
materiale incluso in una cera a cui sono associate le informazioni cliniche del paziente rappresenta un
materiale ottimo per qualsiasi tipo di studio si voglia fare, soprattutto di tipo retrospettivo e l’ anatomia
patologica è ricchissima di materiale conservato, su cui si possono associare gli altri clinici . La maggior
parte di ricerca storica della anatomia patologica è proprio sul materiale di archivio.
Ora il dr. Montella parlerà dell’estemporanea, che è un esame che viene chiesto al patologo durante l
intervento chirurgico ed è importante che la risposta sia data in tempi ristretti, perché il paziente è sul
tavolo operatorio e il chirurgo ha bisogno di risposte, perché deve pianificare l intervento durante l
intervento stesso. E chiaro che l esame estemporaneo è una consulenza chiesta al patologo. Il patologo è
un medico è deve condividere la scelta dell’ esame estemporaneo. Se il patologo sa che il suo intervento
non è utile ai fini dell’ intervento, può anche negare il suo supporto. Se ad esempio viene chiesta una
diagnosi su una massa tiroidea, perché il chirurgo vuole sapere se è un carcinoma follicolare o un adenoma
follicolare sappiamo che non è opportuno, perché dobbiamo valutare la capsula e richiederebbe più tempo,
quindi è inutile fare l estemporaneo e il patologo nega il suo supporto. Quindi il patologo risponde della
necessità o della non necessità di effettuare quell’ esame, perché sa se può essere utile o inutile. Le
problematiche dell’ estemporanea si risolvono in pochissimi casi. Il quesito è benigno/maligno, per la
pianificazione dell’ intervento, che può essere diversa da organo ad organo. In alcuni casi l intervento
porterà alla radicalizzazione di un organo se c ‘è neoplasia maligna, in altri casi porterà all’ escissione dei
linfonodi metastatizzati. Un altro quesito può essere se il materiale è idoneo o no alla diagnosi. Il chirurgo
non vuole sapere che cos’è, ma se il patologo può fare la diagnosi sul quel materiale con le normali
procedure utilizzate in istologia. Durante l’ estemporanea non possono essere fatte procedure particolari,
se non in casi particolari, né di biologia molecolare, né di immunoistochimica. Le possibili risposte del
patologo sono: benigno/ maligno/ non lo so. La possibilità del non lo so indica che non abbiamo gli
strumenti per dire se è benigno o maligno e quindi rimandiamo all’ esame definitivo. Quindi il chirurgo si
ritira, chiude, aspetta l esame definitivo e in caso di malignità dovrà reintervenire.
Dr. MONTELLA_ ESAME ESTEMPORANEO
È importante sottolineare che si tratta di una consulenza, non è un esame di laboratorio, e si divide in
alcune parti:
- esame macroscopico del campione, in cui il patologo vede cosa gli è stato inviato, ovviamente
- ricerca la lesione e
- distingue al vetrino tra lesione benigna e maligna.
La storia dell’ esame estemporaneo inizia nel 1889 al John Hopkins. William H. Welch è stato il primo ad
inserire un esame intraoperatorio nel 1891 su sezioni criostatate per il chirurgo William Halsted, che (oltre
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ad aver messo a punto la mastectomia radicale secondo halsted) è stato anche il primo ad utilizzare i guanti
in sala operatoria. Prima si operava a mani nude, ma lui si fece fare dei guanti su misura pur di operare per
aiutare una sua collaboratrice, che aveva sviluppato una dermatite esfoliativa da contatto. Aveva già
completato l intervento, prima che venisse dato il risultato dell’ estemporaneo, quindi già fu fatto un
errore, perché sappiamo che l estemporanea serve per modificare un iter chirurgico o terapeutico. Se
intervento è già stato fatto, non ha senso.
Il dottor Cullen fu il primo a fare una pubblicazione nel 1895, ma solo nei primi del ‘900 Wilson, il patologo
più famoso della Mayo Clinic fa una vero e proprio utilizzo dell’ estemporanea.. Il campione veniva
congelato a -29°C all’ aperto di inverno e poi tagliato con un rasoio e montato con glucosata. Qual è il ruolo
del patologo in senso assoluto? Quello del mediano, cioè due attività..la prima routinaria, cioè un’accurata
diagnosi con un’analisi del vetrino all’ ematossilina eosina, immunoistochimica, biologia molecolare etc.
perché la diagnosi deve essere quanto più accurata e precisa possibile. L’esame intraoperatorio invece non
va letto come una scorciatoia per avere una diagnosi precoce, ma serve per aiutare il chirurgo per
proseguire l intervento nella maniera più appropriata, e per indicare che ci sia ancora del materiale residuo
per fare un esame definitivo. Il ruolo del patologo è quindi sinergico a quello del chirurgo: il patologo per
fare al meglio il suo lavoro deve sapere cosa vuole il chirurgo. Domande poste al patologo:
-la domanda precisa,
- che campione è e da dove viene
- come possiamo comunicare ( risposta scritta, fax o quant’ altro)
- e una breve storia clinica del paziente e del campione.
ESEMPIO:
Paziente con carcinoma della colecisti, fa una resezione con agotomia per una sospetta metastasi da
adenocarcinoma mucinoso. Quindi ci sono stati dati tutti i dati per sapere di cosa si sta parlando.
Non esiste un protocollo unico e qualificato per cui è importante il rapporto tra il chirurgo e il patologo, per
far sì che ci arrivi tutto quelle che ci serve per fare la diagnosi. Ovviamente ci sono dei quesiti legittimi:
-benigno/maligno
- tipizzare la lesione
- escissione completa?
- stadiazione.
Quesiti illeggitimi:
- curiosità chirurgica
- informare il paziente appena si sveglia dall’ intervento
- sottotipizzazioni dettagliate
- sostituire una diagnosi preoperatoria ma nota.
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Cosa serve al patologo per fare questa diagnosi? Una stazione di lavoro, un criostato, un criotomo:
campioniamo, sezioniamo, congeliamo, coloriamo e vediamo di che si tratta.
Campioniamo, congeliamo, sezioniamo, allestiamo la colorazione e vediamo di cosa si tratta. Facciamo
l’esempio di un campione mammario, che viene sezionato in senso parallelo da laterale a mediale per
cercare di identificare la lesione. La parte colorata corrisponde ai margini chinati perché cosi dopo
possiamo orientarci e vedere quanto si estende la lesione. Si passa al criostato viene messo nell’OCT
congelato, tagliato all’interno del criotomo, allestito il vetrino, colorato. Facciamo l’estemporanea per
avere la conferma diagnostica di un carcinoma invasivo, il chirurgo non sa se si tratta di questo per
continuare l’iter terapeutico. Raccomandiamo all’estemporanea una lesione della mammella di almeno 1
cm, perché alcuni dei fattori prognostici più importanti sono i recettori ormonali, quindi se non rimane
tessuto per fare le analisi immunoistochimiche la diagnosi non è più accurata. ESEMPIO 1: carcinoma
duttale grandi cellule infiltranti pleomorfe che riempiono i dotti. In questo caso il chirurgo vuole solo sapere
se è un tumore infiltrante, le sottotipizzazioni (duttale, lobulare…) verranno dopo. ESEMPIO 2: carcinoma
lobulare. Il quesito è sempre se infiltrante o meno. Nel momento in cui arriva la risposta e il chirurgo sa che
si tratta di un carcinoma infiltrante prosegue con l’escissione e bioptizza il linfonodo sentinella. ESEMPIO 3:
Miss Scarlett, 43 anni, ha una neoformazione alla mammella sn di 18 mm; invece Mrs. Peacock, 56 anni ha
una neoformazione alla mammella dx di 15 mm. Facciamo l’estemporanea e vediamo questi due tipi di
lesioni, che tutto sommato un po’ si assomigliano. Mrs. Peacock ha un carcinoma lobulare, Miss Scarlett ha
una radial scar, che è benigna. Quindi Mrs. Peacock taglia. Come si faceva questa diagnosi differenziale: la
dimensione non ci aiutava perché in genere la radial scar è più grande, il carcinoma è più piccolo. La
cellularità era dubbia perché l’immagine che vi ho mostrato prima era ingannevole, la radial scar dovrebbe
avere meno cellularità. Lo stroma da un lato molto ricco, molto denso, dall’altro invece desmoplastico. Il
radial scar ha due strati di cellule, il carcinoma lobulare uno solo perché essendo invasivo perde lo strato
epiteliale periferico e la membrana basale infatti non c’è.
Passiamo all’ovaio. Abbiamo una richiesta di indicazione di lesione maligna o benigna. E’ raccomandato un
esame macroscopico della lesione del campione, che ci aiuta già a farci un’idea dell’istotipo che dopo
avremo davanti. Il campione può essere cistico, uniloculare o multiloculare; ne valutiamo il contenuto:
sangue, muco o siero; le pareti interne: lisce o papillari. Se invece il campione dovesse essere solido, una
lesione bruno-rosacea carnosa con aree di necrosi ci fa pensare ad un tumore delle cellule germinali,
mentre giallo compatto ad un tumore stromale, come un tecoma. ESEMPIO 1: donna, 34 anni, imaging con
una proliferazione papillari il ginecologo non sa se si tratta di un tumore maligno o benigno.
All’estemporanea le proiezioni papillari ci sono, all’istologico vediamo un tumore prevalentemente cistico,
le cellule hanno atipie moderate, sono abbastanza stratificate, con nuclei irregolari, rare mitosi. È un
tumore borderline o un carcinoma sieroso-papillare? La diagnosi differenziale tra queste due lesioni è
basata sulle infiltrazioni. E se sulla nostra fetta di estemporanea le infiltrazioni non si vedono? Per fare la
diagnosi servono le microinfiltrazioni, quindi in questo caso la diagnosi viene rimandata a definitivo. Se in
quel vetrino non è presente non possiamo lanciarci in una diagnosi, nel caso la diagnosi sia di carcinoma, si
riopera. ESEMPIO 2: donna, lesione voluminosa di 15 cm, pluricistica dell’ovaio destro, il chirurgo vuole
sapere se benino o maligno. Epitelio mucinoso, atipie di grado moderato-severo, pleomorfismo nucleare
evidente, la diagnosi è facile, anche macroscopicamente si capiva che era maligno, ma possiamo supporre
una primitività di tumore dell’ovaio quindi cistoadenocarcinoma mucinoso o possiamo supporre anche un
secondarismo, per esempio colico? Serve l’immunoistochimica. L’estemporanea non serve perché il chirugo
sa che è maligno e tanto gli basta. Il chirurgo fa annessiectomia totale con salpingectomia totale svuota
tutti i linfonodi del compartimento e fa washing peritoneale.
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Il discorso sul testicolo è un po’ particolare perché normalmente è un organo che è raro sia presente
all’estemporanea, infatti anche secondo numerosi testi la diagnosi la si riesce a fare già dal punto di vista
clinico, dell’imaging, l’estemporanea non ha molta utilità anche perché, tutto sommato, l’istotipo non ha
una grande influenza a livello del trattamento chirurgico, si fa sempre l’orchiectomia. Per questo motivo, ed
anche perché violare la capsula del tumore non è una procedura chirurgica corretta, in genere si tende a
non fare le estemporanee su quest’organo. Guardando la casistica di tutte le estemporanee del tratto
genito-urinario di questo ospedale, vediamo che sono il 10% di tutte le estemporanee, di cui il 44% sono
prostata, il 32% vescica, 20% rene e 4% tutti gli altri distretti, tra cui il testicolo. Perché la prostata
rappresenta l’organo del tratto urogenitale sul quale si fanno più estemporanee? Non è la nostra
esperienza, perché noi di estemporanee sulla prostata non ne facciamo, però in alcune strutture si fa. Il
chirurgo vuole essere sicuro che il tumore della prostata che è stato escisso non infiltri i margini. Il paziente
con margine positivo deve fare radioterapia, per evitare questo si fa estemporanea e, se i margini sono
infiltrati, si allargano i margini di resezione al fine di evitare al paziente la radioterapia. ESEMPIO 1: ragazzo,
24 anni, anamnesi con senso di peso, dolenzia, all’ecografia si vede una massa ipoecogena con parenchima
residuo marginalizzato da questa massa testicolare. Un’orchite granulomatosa e un seminoma sono
indistinguibili all’estemporanea. Una è una lesione benigna, l’altra maligna. Nel caso in cui, una volta fatta
l’estemporanea, non riuscendo a distinguerle, rimandiamo a definitivo, il paziente dovrà fare la
chemioterapia per bonificare il tratto del canale inguinale perché, per fare l’estemporanea, il chirurgo ha
inciso la capsula, ha disseminato cellule un po’ ovunque.
Per quel che riguarda il mediastino, il chirurgo dall’estemporanea vuole sapere se il campione che ha
prelevato è adeguato per fare diagnosi. Nel caso in cui non lo sia, tramite l’estemporanea ce ne
accorgiamo, ed il chirurgo procederà con un nuovo campionamento, evitando la necessità di un secondo
intervento. ESEMPIO 1: massa mediastinica di natura da determinarsi, le cellule linfoidi atipiche si vedono,
sono pleomorfe, verosimilmente è un linfoma non hodgkin, l’importante non è sapere precisamente quale,
ma saper dire sì, questo campione è adeguato per poter fare diagnosi. ESEMPIO 2: massa mediastinica di
natura da determinarsi, ci sono cellule linfoidi di piccola taglia, pattern più o meno nodulare, cellule
epitelioidi abbastanza voluminose, potrebbe essere un timoma, la diagnosi non è importante farla adesso,
ma dire se su questo campione è possibile farne una. ESEMPIO 3: ragazza 28 anni fa biopsia esterna con
timo atrofico, non si riesce a fare la diagnosi da campione e si rimanda al definitivo. Vediamo cellule grosse
atipiche, all’immunoistochimica sono positive al CD15, linfoma di hodgkin. Questo ci serve a dire che non
sempre è possibile fare subito diagnosi, ma a volte c’è bisogno di un secondo intervento.
Quindi: L’estemporanea va fatta solo se fondamentale per il prosieguo dell’intervento. Bisogna evitare
informazioni inutili per l’intervento, come la sottotipizzazione. Bisogna richiedere tutte le informazioni
necessarie, quindi l’organo e cosa vuole sapere il clinico e richiedere eventualmente più tessuto perché è
possibile che a volte la diagnosi richieda un campione più ampio.
PROF: Per quanto riguarda la mammella, se la paziente giunge sul tavolo operatorio già sappiamo che è un
cancro, però i chirurghi abituati un po’ male chiedono estemporanee di mammella. Nella mammella però
c’è la problematica del linfonodo sentinella, per il quale è invece richiesta l’estemporanea.
Il problema dell’ovaio la massa ovarica è asportata tutta quindi qual è la utilità dell’estemporanea? Non è la
radicalità dell’organo ma la radicalità dell’intervento, che richiede in una paziente che ha sicuramente un
cancro ovarico, un intervento molto più importante. Nel tumore ovarico abbiamo tutto uno spettro di
lesioni: benigna, borderline, maligna. Per fare diagnosi vi è la necessità di un campionamento adeguato, ma
è impossibile all’estemporanea, quindi nel caso di masse ovariche ci affidiamo al buonsenso, nel senso che,
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se abbiamo una massa ovarica cistica, senza papille, possiamo fare un prelievo che è presuntivo di tutta la
lesione; se invece abbiamo delle aree solide e cistiche papillari facciamo più prelievi. Se la diagnosi sarà
borderline, chiudiamo dicendo l’immagine che io vedo è di un tumore borderline però rimandiamo al
definitivo per la diagnosi conclusiva perché le masse ovariche arrivano anche a 40-50 cm e poter fare
diagnosi di certezza di massa ovarica all’estemporanea è impossibile.
Effettivamente anche il testicolo dovrebbe arrivare sul tavolo operatorio con diagnosi presuntiva ecografica
di lesione. La diagnosi differenziale tra orchite granulomatosa e seminoma è un problema reale? No, perché
in effetti quel paziente ha un testicolo non funzionante e quindi che si tolga anche per orchite
granulomatosa non è un grosso problema. Il paziente, però, deve essere informato del fatto che, anche nel
caso in cui non abbia un tumore, sarà asportato il testicolo, anche per evitare problemi di diagnosi
estemporanee erronee.
Mediastino: è l’unica situazione in cui è richiesta l’idoneità del prelievo. Si vuole sapere se il materiale è
sufficiente per fare diagnosi. Questo perché nel mediastino, per evitare interventi di toracotomia, si fanno
prelievi tramite mediastinoscopie, con un campo visivo piuttosto ristretto. La diagnosi è molto importante
perché, a seconda dell’istotipo, il paziente verrà indirizzato a terapie diverse. I linfomi del mediastino sono
tutti aggressivi, rarissimi quelli di basso grado, i più frequenti sono quelli di hodgkin e non hodgkin di alto
grado. La diagnosi si farà con l’immunoistochimica con i tempi dovuti.
L’immagine istologica di un estemporaneo è un’immagine alterata perché il campione è congelato, le
cellule subiscono un danno per cui non tutti gli esami che noi possiamo fare in definitiva vengono bene
pure sul campione congelato. L’immunoistochimica in quel caso non verrà perfetta, l’ematossilina è un po’
striata perché la fissazione non è avvenuta con i tempi dovuti, il congelamento ha creato degli artefatti per
cui non si ha omogeneità nel taglio. Per cui, anche in questi casi noi cerchiamo di conservare del materiale
per poter poi fare delle indagini più adeguate.
ADE ANATOMIA PATOLOGICA PARTE II
Oggi parleremo di FISH e della diagnositica molecolare predittiva, inoltre della diagnostica predittiva dei
linfomi e dei sarcomi, domani parleremo dei sarcomi.Parlerà una specializzanda di biochimica. Parlerà di
aspetti di tipo tecnico ed applicazioni della FISH e parlerà delle applicazioni della diagnostica della
mammella e del polmone. La terapia biologia di prima linea nel carcinoma del colon, ad esempio, è il
Cetuximab che, però, non si può fare sempre, dipende dalla presenza di mutazioni a valle di EGFR.
HER2 nella mammella e nello stomaco può presentersi amplificato, contro di esso può essere usato il
Trastuzumab che termina in –ab perchè agisce come anticorpo monoclonale.
(Inizia a parlare la specializzanda)
Parleremo di patologia della mammella e del polmone. Oggi i trattamenti in ambito oncologico(del
polmone) sono cambiati, nel 2007 andavamo semplicemente a fare una diagnosi istologica, distinguendo
CPPC(carcinoma polmonare a piccole cellule) da CPNPC.
Nel giro di pochi anni, prima con inibitori del EGFR poi dell’ALK le cose sono cambiate.
Al patologo oggi viene richiesta anche la caratterizzazione molecolare.
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Per target therapy si intende terapia molecolare, si andrà a colpire delle cellule con caratteristiche ben
precise. Porta il vantaggio di colpire in modo selettivo.
Anche nel melanoma ed altro vi sono questo tipo di terapie. Oggi la FISH è fondamentale da questo punto
di vista. Quale categoria di pazienti può beneficiare di questa terapia? Si parla anche di tailored therapy,
cioè terapia personalizzata sul paziente. È importante seguire un algoritmo per scegliere la metodica gold
standard da applicare su quel paziente.
Non tutte le metodiche sono valide per un certo paziente.
Per il carcinoma del polmone è necessario ricordare che ogni paziente è singolo, con caratteristiche
peculiari di poter rispondere ad un certo trattamento.
Pazienti con carcinoma polmonare possono presentare mutato K RAS, ALK e … EGFR è mutato soprattutto
in donne non fumatrici, alk pazienti giovani di sesso maschile non fumatori.
Marker predittivo predice la risposta del paziente ad un trattamento. La fish aiuta sia nell’ambito predittivo
che diagnostico.
FISH fluorescence in situ hybridization, permette di identificare una sequenza di DNA. Usa sonde marcate
con fluororocromi. Si può lavorare sia su tessuti che su campioni biologici diversi, si deve attraversare una
fase di …. Quindi una fase di denaturazione del dna in modo che la sonda si possa legare al dna, si usa la
temperatura ecc.
Osservo quindi in campo scuro delle sequenze specifiche.
La differenza tra FISH ed immunoistochimica è che che nella prima osservo l’espressione del dna nella
seconda della proteina. Non è detto che ad un’amplificazione genica corrisponda un’adeguata espressione
proteica.
Posso valutare varie anomalie genetiche (delezioni, traslocazioni…) selezioniamo così una certa sonda. Vi
sono sonde cromosoma specifiche, scelte per individuare alterazioni sul cromosoma. Sonde centromero
specifiche, si legano alle sequenze …. Della parte centromerica. Sequenze “locus specifiche che hanno
sequenze ben specifiche.
Sonde break apart e … in una c’è un solo gene , in un’altra due(così dice) le sonde si possono legare a
monte ed a valle del punto di rottura del gene, consente di vedere riarrangiamento in un unico gene. Se
non vi è rottura segnale giallo che indica la fusione ed integrità del gene, se vi è split vi è rottura del gene.
L’utilizzo di sonde “… fusion” uso una sonda che si lega al gene A ed una che si lega al gene B, la utilizzo solo
nel caso in cui già conosco il gene con il quale avviene un meccanismo di riarrangiamento.
In questo caso qua so che non solo il mio gene si è rotto ma so anche con chi è andato a legarsi e questo è il
vantaggio. (Riferendosi alla slide)Questo ne è un esempio: ecco quelli che sono i meccanismi di
allontanamento dei due segnali, qua invece avrò esattamente il contrario come interpretazione.
Un altro aspetto importante:
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Quali sono i campioni che noi possiamo andare ad analizzare nei nostri laboratori tramite FISH?
Sicuramente l’utilizzo di quello che è un materiale istologico partendo da paraffinati e ottimare rispetto a
quello che è un citologico che vedremo ha delle problematiche che riguardano la cellularità (tutta una serie
di problematiche). Effettivamente la FISH è una metodica che può essere applicata a diversi tipi di
campioni.
Fasi critiche nell’ambito della metodica vanno dalla fissazione dei campioni, della quale credo ne abbiate
già sentito parlare, fino ad arrivare alla (?digestione) della mia sonda. Come ho detto prima è importante
tutta la fase e di pretrattamento e di lavaggi di stringenza successivi perché se la mia sonda non entra bene,
non penetra nel nucleo, avrò dei problemi nell’identificare quel determinato tipo di sequenza
Quindi ci sono problemi di AUTOFLUORESCENZA, che possono essere un fondo, se non ho fatto bene i
lavaggi successivi per togliere bene la sonda in più che non si era legata a delle sequenze ben precise.
Un altro punto critico potrebbe essere il TAGLIO di inclusioni in paraffina che potrebbe portare alla perdita
su più piani di alcuni segnali e a quelli che sono dei risultati falsi.
Cosa succede nell’ambito del carcinoma polmonare? Vi avevo detto precedentemente la distinzione a
livello istologico:
-Ca. non a piccole cellule;
-Ca a piccole cellule.
Diciamo che i marcatori che adesso vi presenterò riguardano esclusivamente il carcinoma polmonare non a
piccole cellule, quello che allo stato attuale viene trattato con inibitori specifici. Io mi sono soffermata su
questi che sono marcatori predittivi di risposta al trattamento con inibitori specifici.
Il carcinoma polmonare è molto instabile dal punto di vista genetico, nell’ambito di questi cromosomi ci
stanno delle alterazioni che probabilmente noi potremo negli anni targettare e questo è il nostro auspicio
nel trattare il paziente oncologico.
Inizio giusto rapidamente con quello che è il primo, il marker predittivo pioniero nell’ambito di questo
carcinoma che è l’EGFR. Esso subisce una serie di alterazioni però quelle che risultano essere responsive al
trattamento sono in particolare a livello di due esoni:
-una mutazione puntiforme che ricade qui (?esone 21): c’è una sostituzione di una base con un’alterazione
del prodotto;
-una delezione dell’esone 19.
Noi sappiamo che fisiologicamente questo recettore svolge tutta una serie di attivazioni nell’ambito della
cellula, però sono delle attivazioni di vie di segnale REGOLATE. Quando invece io ho un’alterazione avviene
una deregolazione di questa via di attivazione e la cellula è come impazzita, si attiva in maniera deregolata.
Quando ci sono queste due alterazioni i pazienti rispondono al trattamento con inibitori ben precisi
(Erlotinib e Gefitinib).
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Una cosa importante è capire il saggio da utilizzare: questa cosa è fondamentale, ragazzi, perché non è che
io mi sveglio e dico ‘’Vabbè oggi lo faccio con l’IIC poi lo faccio con l’Anticorpo…’’ No! Noi abbiamo delle
linee guida, siamo regolati, dobbiamo rispondere ad un determinato tipo di trattamento, di identificazione
di un determinato tipo di test che ci viene posto per l’eleggibilità di un paziente al trattamento.
Ci possono essere 2 metodiche quindi: una metodica regolare, che è quella che viene attualmente utilizzata
per la selezione del paziente al trattamento e poi per una questione di curiosità (perché ce ne occupiamo
nel campo della ricerca) vi ho segnalato l’utilizzo dell’IIC…
(il professore dice che a differenza di altri tumori –es. il GIST- in questo caso le mutazioni ‘’sono note,
conosciute, sempre quelle: attivazione costitutiva del recettore, per cui una Real Time che va a identificare
mutazioni specifiche è sufficiente’’….è una metodica abbastanza semplice).
…E’ sensibile come metodica, quindi la riconosce esattamente, è inequivocabile il risultato, ci sarà quella
mutazione puntiforme dell’esone 21 N258L oppure sempre attraverso RT-PCR si va ad identificare anche la
delezione perché spesso in quell’esone 19 il numero delle basi che viene tagliato può essere di diversa
lunghezza e noi lo possiamo distinguere. Quindi è una metodica sensibile, pratica, mediamente costosa
(perché non è costosissima rispetto ad altre metodiche) ed è ormai standardizzata.
Qui vi ho riportato per una questione di curiosità l’utilizzo dell’IIC;
Possiamo utilizzare anticorpi detti ‘’mutazione-specifica’’: non soltanto anticorpi che vedono l’espressione
della proteina ma anche la proteina con la mutazione a carico, anche se questa non è la metodica utilizzata
nella prassi.
Ora passiamo all’ALK. E’stato identificato tanto tempo fa nel neuroblastoma, io sto parlando di quando è
iniziato a diventare un problema nel Ca. polmonare. E’ un marker che incuriosisce e ha dato dei risultati
molto soddisfacenti. Come ho detto prima, e questa è una cosa che dovete ricordare, dalla identificazione
di un marcatore al suo utilizzo nell’ambito clinico e nel trattamento intercorre del tempo (per la metodica, il
cut-off, gli studi clinici) ed in questo l’ALK è stato un marcatore precoce perché nel giro di pochissimo è
stato identificato nel Ca.polmonare, sono stati fatti degli studi e successivamente è stato approvato.
Purtroppo noi In Italia non abbiamo un trattamento in prima linea, viene applicato in seconda linea, ci sono
stati dei risultati importanti nella riduzione della neoplasia. Sebbene si tratti di una percentuale ridotta ne
possono comunque beneficiare tanti pazienti.
Effettivamente che cos’è l’ALK?
L’Alk è un gene localizzato sul Cr.2 che codifica per un recettore TK che è interessato in meccanismi di
riarrangiamento con diversi partner di fusione.
Quando dico partner di fusione intendo il gene con il quale successivamente si va ad unire; quindi ci sta una
rottura e poi l’unione con un altro gene. Questo è il meccanismo di traslocazione o quando riguarda lo
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stesso cromosoma è definito ‘’riarrangiamento’’. In questo caso il gene di fusione maggiormente coinvolto
è l’EML4 e lo fa con diverse varianti ( in relazione con quelli che sono i diversi punti di rottura).
Quali sono i pazienti che sono maggiormente coinvolti in questa mutazione? Anche se non è sempre così,
nella maggior parte dei casi:
Istologia Adenocarcinoma, non fumatori, giovani, maschi e EGFR e kRAS wild-type.
Questo è un filtro clinico relativo perché ci sono stati segnalati pazienti con ambo espressione delle tue
mutazioni (ALK + EGFR e/o kRAS mutati).
Ritornando alla FISH, secondo voi che sonda posso utilizzare?
Risposta: Una break-apart.
Ok, Quindi posso anche vedere il partner di fusione con la break apart?
No! Con la break-apart NON LO VEDO MAI il partner di fusione. Vado a vedere SOLO L’INTEGRITA’ GENICA..
Sono stati segnalati dei cut-off perché io devo capire la percentuale: Se per esempio io ho il 5%, il mio
paziente può essere eletto a trattamento con il Crizotinib? NO.(I cut-off sono ben precisi, l’interpretazione
della metodica è uno step fondamentale). Quindi il 15% deve avere un’alterazione. Poi a questo si unisce, a
complicare l’interpretazione, i partner alternativi.
Quindi alla Break apart, con ALK riarrangiato che segnali ho? Ho un giallo e gli altri due separati (Rosso e
Verde).Qui posso dire che la mia cellula ha l’alterazione.
Non è sempre così, ci può essere un caso in cui ho il giallo che indica il gene che conserva l’integrità
(trattandosi di una cellula disomica) e un singolo segnale rosso. Che cos’è successo (al segnale verde)? Si è
perso. Lo split non si ha. Quel segnalino verde che ci aspetteremmo di trovare (non c’è); verosimilmente più
che una sola rottura del gene c’è stata proprio la perdita. Quel pezzettino che avevo prima qua è
scomparso. Tuttavia è stato visto che questo tipo di struttura è comunque responsiva al trattamento,
quindi anche questi casi vengono inclusi come potenziali pazienti che possono essere trattati.
Questo invece cos’è? EML4, il partner con cui più frequentemente ALK trasloca.
Questa sonda secondo voi come funziona?
Risposta: ‘’Riconosce entrambi i partner di fusione’’
No! Poteva essere fatto anche quello, ma in questo caso non si sono sprecati: hanno preferito conservare lo
split del segnale, questa break apart dell’ALK, e hanno aggiunto semplicemente dentro un’altra sonda che
che fa? (Marca EML4) con un fluoro cromo differente.
Quindi che cosa avrò? Il segnalino giallo se ho il gene integro oppure i due split (come nell’altro caso) e in
più un fluoro cromo in ‘’aquas’’, azzurrino diciamo, e mi indica non solo che il gene si è rotto ma che è
andato a traslocare con l’EML4.
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Ritorniamo ad una problematica:
l’indagine FISH che cosa mi permette di vedere? Di che cosa sto parlando? Di DNA;
L’IIC? La proteina.
L’ALK sebbene sia un gene che tutti noi abbiamo nel nostro organismo non è espresso. Viene espresso solo
nelle fasi iniziali dello sviluppo o nel Ca.polmonare. Quindi io posso vedere quest’alterazione non solo,
trattandosi di un riarrangiamento, tramite FISH ma anche con la IIC perché quest’aberrazione mi porta ad
una produzione anomala della proteina. C’è l’alterazione e si produce la proteina.
E’ stato difficile trovare un Anticorpo che potesse assolvere bene a questa funzione. L’ALK1 è già utilizzato
ad esempio nel linfoma anaplastico, effettivamente è da lì che è stato identificato.
A fine giugno dell’anno scorso c’è stata l’approvazione dell’ uso dell’ IIC dall’FDA, quindi con un paziente
allo stato attuale è possibile utilizzare sia la FISH sia l’IIC;
Una domanda interessante sarebbe: ci sta sempre corrispondenza fra queste due metodiche?
In realtà dovrebbe essere così però ci sono delle cose ancora poco chiare a livello scientifico, in alcuni casi
può capitare che si abbia l’espressione della proteina ma non il riarrangiamento in FISH, però questi sono
casi limite.
Domanda: ‘’Anche in questo caso si valuta un cut-off?’’
Risposta: In questo caso il cut-off utilizzato è positivo o negativo. (Prof: tutto o nulla, quindi è abbastanza
semplice)
Abbastanza semplice, a parte delle minime alterazioni, ad esempio i macrofagi a volte sono colorati con
questo Anticorpo.
Nel 70-80% dei casi il Ca. polmonare noi lo diagnostichiamo sul citologico, (?il set-off) può essere una
validissima alternativa, con la FISH è difficile dare un’interpretazione perché si valuta in campo oscuro, si
lavora con il fluorocromo, l’interpretazione dell’istologia è diversa dai vetrini che noi vediamo in immuno o
in ematossilina.(…)
Dal 2007 riguardo al Ca.polmonare sono cambiati anche i referti, i referti che vedrete nella vostra
esperienza non saranno più gli stessi, adesso anche la refertazione ha una regolamentazione che non è
dettata da noi dell’Anatomia patologica, anche noi rispondiamo a delle linee guida partecipando a controlli
di qualità, ci viene richiesto… Quindi la refertazione è una fase delicatissima in cui noi dobbiamo riportare
tutta una serie di dettagli che devono essere leggibili ai nostri colleghi medici che lavorano nelle nostre , a
colleghi esterni e al paziente stesso.
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Questo è un caso curioso, un pz. che era stato analizzato nel 2003, aveva avuto una diagnosi di
adenocarcinoma, aveva ricevuto un trattamento esclusivamente chemioterapico (come si faceva prima
della target terapy).
Successivamente ha avuto una recidiva e nel 2012 siamo andati a fare un’ indagine molecolare che
riguardava appunto Lac. Questa indagine è stata fatta sul campione operatorio del 2000, quindi non
avevamo materiale successivo della recidiva del 2012, ed effettivamente, al di là di tutta la problematica
della diagnosi differenziale tra una recidiva tardiva o un nuovo tumore secondario, l’ aspetto curioso è che
questo paziente ha risposto al trattamento con il crizotinib. Questo sta a sottolineare l’importanza di questi
marcatori in risposta al trattamento; è fondamentale e non si può prescindere ad oggi e questo è uno degli
obiettivi primari. Nell’ ambito di questo discorso non entro nel merito; sono in corso ulteriori studi sugli
altri marcatori, ma a me interessa che a voi rimanga il processo mentale: io identifico un marcatore, voglio
cercare di capire in quale subset di quel determinato tipo di carcinoma lo posso riscontrare. Non è detto
che poi quelle sono necessariamente le caratteristiche con le quali vado a selezionare se decidere di fare o
no un’ indagine. Ma questo è importante perché se io ho dei fumatori o non fumatori , la frequenza di
trovare quella alterazione può diminuire o può aumentare, l’istotipo può portare ad un aumento o meno di
quella mutazione e anche la concomitanza con altri tipi di mutazioni geniche. Anche nel caso di Ros si è
andato avanti e, se vedete il ruolo, è un po’ lo stesso, sono similari: si tratta di una proteina coinvolta in
meccanismi di riarrangiameneto, un po’ come Lac. Anche in questo caso si è andato avanti con l’
immunoistochimica che sta correndo in parallelo con la Fish. La cosa carina è che crizotinib è un dual, anzi
triple target e si può trattare anche un paziente in Ros one riarrangiato. E lo stesso processo è in corso per
altri marcatori, come per esempio il caso di Ret, ancora una proteina coinvolta nel riarrangiamento. Questo
quindi riguarda il carcinoma polmonare.Per quanto riguarda invece Erb 2: utilizziamo un anticorpo, e quelli
che sono i casi clinici li mandiamo in Fish. Nel corso del tempo sono cambiate tante cose, e con le linee
guida de … andiamo a vedere una serie di cose: in che percentuale, se tutta la membrana. Ci sono casi che
prima venivano considerati di più, ora sono cambiati. Questa cosa fa capire che le nostre ricerche sono
sempre in divenire. Sono 15 anni che nei congressi si parla di Erb 2; ma è importante capire quelli che sono i
cut-off, per una sola finalità che è il trattamento. Questa problematica può invece essere traslata nell’
ambito dell’ erb-2 del colon- retto e nel gastrico . Che differenze ci sono?... una cosa importante è lo
standing laterale nel caso del gastrico, ma soprattutto un aspetto importante è quello che riguarda
l’istotipo. L’ istotipo nel caso del … non vi è una correlazione tra quelli che sono gli erb2 amplificati e quelli
che non hanno l’amplificazione, nel caso del gastrico c’è una correlazione con quello che è l’istotipo
intestinale nel 33, 8% dei casi. Per la selezione della metodica utilizzata: nel caso del carcinoma della
mammella sono sovrapponibili le due metodiche, nel caso del gastrico vi è una maggiore produttività data
dalla immunoistochimica rispetto alla Fish, che comunque viene utilizzata per elezione al trattamento dei
pazienti nel caso… Dobbiamo fare attenzione al materiale che abbiamo davanti, nel senso che dobbiamo
capire se si tratta di un citologico, di una biopsia, di una resezione. Questo è importante questa tabella lo
dimostra anche proprio per l’interpretazione perché C’è una differenza se sto parlando di campioni
chirurgici o biopsie. La differenza è logica (vedete le percentuali) perchè la quantità di cellule che io ho qua
è nettamente maggiore rispetto a quella che io ho nel campione bioptico. Quindi a questo punto, quella
che è la colorazione mi può portare a selezionare il paziente. Quindi andando a fare un riassunto: è
enfatizzata sicuramente una maggiore eterogeneità del erb2, dell’ amplificazione del erb2 del gastrico
piuttosto che nel carcinoma della mammella; per la colorazione è incompleta e baso-laterale nel caso del
gastrico. Rimane un quesito ancora aperto: quale sia la corrispondenza tra il primitivo e la metastasi nell’
ambito del gastrico. Pare non esserci una corrispondenza dell’ espressione dell’ amplificazione e questo
porta a tutta una alternanza del lavoro avverso del paziente. Io vi saluto ricordandovi che i pazienti
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oncologici non sono uguali, bisogna caratterizzare il paziente in modo da poterlo gestire nel migliore dei
modi. volevo sottolineare alcune cose: la fish è il test utilizzato per l’epitelio; per la mammella possiamo
partire invece dall’ immunoistochimica, storicamente l’errore di espressione dell’ erb2 che poi ha portato
ad un approfondimento e analisi a livello genico, siamo arrivati dopo alla fish. … … in Italia il crizotinib è
arrivato in un secondo momento, quattro anni dopo, rispetto agli Stati Uniti nel tumore del polmone
perché i tempi di marketing sono più lunghi ma garantiscono una maggiore sicurezza. I pazienti non sono
tantissimi ma se si considera che sono un milione e mezzo circa che si ammalano di cancro del polmone,
almeno 70 mila, 100mila possono beneficiare di questo trattamento. Quindi l’identificazione è importante.
Come avete visto l’ anatomia patologica spazia dalle sale settorie alla fish, un campo ampissimo, ma la
finalità è sempre quella: fare una diagnosi, che è fatta su fatti anatomici o citologici, e che sia certa.
Ora facciamo un breve excursus delle applicazioni della patologia molecolare nello studio dei linfomi e dei
sarcomi. Cominciamo con i linfomi. Iniziamo con questa diapositiva che ricorda un po’ il testo che noi
utilizziamo, quello del who. Esistono testi di questo tipo per ogni tipo di patologia e rispetto al passato in
cui la classificazione who era di tipo morfologico esclusivamente, who considera aspetti genetici, istochimici
e clinici. quindi diciamo che i linfomi rappresentano una patologia che non veniva classificata più per il suo
aspetto, che poteva essere a cellule chiare o eosinofile, ma veniva classificata perché a quella morfologia
corrispondeva una alterazione molecolare, un assetto molecolare particolare e anche una clinica
particolare. Per cui tutte le classificazioni di anatomia patologica sono clinico-patologiche perché non
identificano solo delle morfologie ma identificano assetti clinici. Nei linfomi questo è successo per la prima
volta nel 1994 in cui alcuni emato- patologi con competenze chimiche hanno rivoluzionate le classificazioni
passate, identificando delle identità nosologiche che oltre ad una determinato profilo morfologico, avevano
anche un profilo clinico da qui si sono sviluppate terapie che andavano bene per alcuni linfomi e non per
altri. Quindi in passato la diagnosi di linfoma era facile: quando si vedevano brutte cellule nella ghiandola di
un linfonodo, si faceva diagnosi. Ma è importante integrare queste informazioni che sono macroscopiche
anche con informazioni cliniche: sono grandi, fissi, il paziente ha febbre. Importante per i linfomi è l’
integrazione molecolare perché in alcuni casi è proprio l’assetto molecolare che consente di fare diagnosi
giusta e fare il trattamento che merita. Quindi quei quattro cinque righi che trovate nel referto è il frutto di
un lavoro che comprende lo studio morfologico, immunofenotico e molecolare, in base alle informazioni
cliniche che il clinico deve sempre dare. L’ immmunofenotipo che è l’aspetto con cui lavoriamo tutti i giorni
è abbastanza definito, ma esistono linfomi che richiedono un approfondimento molecolare. Un tempo i
linfomi a piccole cellule venivano considerati … ma col passare del tempo l’ immunofenotipo ha identificato
delle origini e cliniche diverse. Il linfoma follicolare è il più frequente e deriva dal centro germinativo. È un
linfoma b perché esprime CD20 e CD 69 e negativo per i markers… e esprime bcl6 e CD 10 che sono i
markers del centro follicolare ma esprime in modo paradosso bcl2 per mutazione frequente(85%). Esistono
alcuni linfomi follicolari che non hanno questa mutazione, sono per esempio i linfomi follicolari cutanei.
Rispetto ai linfomi nodali hanno la clinica molto più indolente e crescono nella punta del… e difficilmente
diffondono al resto dell’ organismo. Esistono al contrario linfomi che infiltrano la cute ma già nascono come
linfomi sistemici.Se un paziente ha una lesione cutanea è importante sapere se bcl2 è over-espresso o no ,
se c’è la… perché se non c’è la … è verosimile che sia un linfoma follicolare primitivo della cute. …
Il linfoma linfocitico è un linfoma che deriva dalle cellule germinali, cellule naive o da cellule attivate e le
loro caratteristiche sono sempre le stesse, eccetto per un … (1.07.10)
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Il linfoma della zona marginale rappresenta invece un basket e non esistono caratteristiche
immunoistochimiche che consentono la diagnosi, se non per esclusione di tutti gli altri e alcuni aspetti
morfologici come l’infiltrazione dei centri germinativi .sono prevalentemente linfomi extra-nodali.
(qui manca un pezzo di pochi secondi che non siamo riusciti a recuperare)
(inizio a 1 ora e 09) ...perché è una traslocazione che impatta sulla crescita e non sulla apoptosi a differenza
del linfoma follicolare, del linfoma marginale in cui le alterazioni molecolari sono legate ad una
deregolazione dell’apoptosi (vi ricordate del linfoma marginale quali sono i pathway deregolati ? “nds:
risposta degli studenti, non si capisce cosa dicono” ) e poi il linfoma immunocitico che è un linfoma che da
un punto di vista morfologico l’aspetto è quello di una proliferazione di cellule linfoblastocitoidi che sono
tutte caratterizzate da un aumento (1:09:29). Quindi a cosa ci serve la diagnostica molecolare dei linfomi? Il
quesito più importante a cui spesso andiamo incontro è di identificare lesioni ormai reattive, una
linfoadenopatia reattiva con cosa può andare in diagnosi differenziale? (...1.09.56) quindi abbiamo delle
espansioni aberranti però frequentemente abbiamo delle difficolta nel dire se la lesione è maligna o
benigna: in questi casi la diagnostica molecolare serve a sciogliere il quesito e qualche volta ci riesce. La
diagnostica molecolare dei linfomi serve anche a identificare delle alterazioni molecolari che possano
definire la prognosi, un esempio: le leucemie linfatiche croniche, ricordate le ipermutazioni di cd4 correlata
a k70 che identifica pazienti con maggiore o minore aggressività oppure delle aberrazioni come quelle nei
linfomi marginali che identificano profili clinici di maggiore aggressività. Possiamo utilizzare la diagnostica
molecolare per identificare agenti infettivi: l’ epstein barr virus è utile perché ad esempio ci identifica
linfomi che sono necessariamente correlati a queste infezioni, per esempio il linfoma di Burkitt che è un
esempio tipico di linfoma che è sempre al 100 x 100 associato a infezione di EBV. Oppure, esistono altri
linfomi associati a infezioni? ( “nds: risposta di studenti, non si capisce. minuto 1:11:23” ). Quindi la diagnosi
differenziale tra linfoma e iperplasia reattiva si fa con una pcr che va a identificare i riarrangiamenti
cromosomici a cui vanno incontro le cellule linfoidi B e T. Quali sono questi riarrangiamenti? Quali geni
riguardano? Riguardano i geni dei recettori delle cellule B e T. Quindi l’indagine della clonalità ci consente di
sciogliere il dubbio e ci consente anche di fare una diagnosi differenziale che spesso è difficile ad esempio i
linfomi ...blastici che sono caratterizzati da proliferazione T associata a cellule atipiche b e la clonalita ci può
dire se quello è un linfoma t o un linfoma b. La fish o anche la pcr è utile per identificare le traslocazioni .
Ricordate che le traslocazioni nei linfomi sono di tipo diagnostico (la tralocazione di bcl2 nel linfoma
follicolare) però esistono poi delle traslocazioni che sono prognostiche cioè delle traslocazioni che quando
presenti identificano linfomi che hanno una maggiore aggressività . Poi abbiamo infine (min 1:13:36)
ricordate che ci sono tre grosse classificazioni che derivano da ... , sono stati elaborati dei sistemi che vi
consentono di utilizzare queste linee e negli ultimi anni identifichiamo (... a seconda del.. 1:14:02) pazienti a
alto, medio basso rischio e a queste categorie si applicano interventi terapeutici che sono in parte diversi.
Ricordiamo la fisiologia degli arrangiamenti cromosomici dei linfociti B e T: sia le immunoglobuline che TCR
fanno parte di una grossa super famiglia con struttura più o meno simile. Le immunoglobuline (quindi i
recettori delle cellule b ) sono costituite da porzioni variabili. Sapete che la variabilità genetica è quello che
determina l’affinità del recettore per l’antigene e tutti i linfomi hanno un antigene ipotetico che determina
la proliferazione, questo non lo dimenticate. Il legame del recettore con l’antigene determina la
proliferazione. Questa proliferazione genererà una popolazione clonale da cui origina il linfoma (la maggior
parte di questi antigeni sono ancora sconosciuti). Dal punto di vista genico ricordate che il gene delle
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catene pesanti si trova sul braccio lungo del cromosoma 14 e questo è importante perché è un gene
particolarmente coinvolto nei fenomeni traslocativi che riguardano proteine sovraespresse come bcl2 e
bcld1. I geni delle catene leggere invece si trovano su altri due cromosomi: il braccio corto del cromosoma 2
per le catene kappa e lambda sul braccio lungo del cromosoma 22. Quello che succede nella maturazione
dei linfociti è il riarrangiamento a livello midollare dei segmenti VDJ che sono delle porzioni che
normalmente nelle cellule staminali sono lontanissime le une dalle altre però nel linfocita B, quando inizia il
processomaturativo, si avvicinano attraverso la perdita sequenziale di segmenti genici che si trovano tra v,
d e j. Per cui noi alla fine abbiamo una cellula maturata a livello midollare che ha un riarrangiamento v-d-j e
questo riarrangiamento è diverso da cellula a cellula perché le porzioni che si riarrangiano non sono tutte
della stessa lunghezza , si aggiungono nelle porzioni ... (1:17:30) per cui avremo una differente lunghezza
dei segmenti v d j in tutte le cellule. Quindi queste cellule sono diverse le une dalle altre. Noi sfruttiamo
questa caratteristica per le nostre indagini. I linfomi sono proliferazioni monoclonali nel senso che tutta la
popolazione neoplastica deriva da una singola cellula e quindi tutte quelle cellule devono avere lo stesso
tipo di riarrangiamento e quindi la lunghezza v d j deve essere uguale in tutte le cellule neoplastiche.
Questo ci da la conferma che ci troviamo di fronte ad una proliferazione clonale (non parliamo della
variabilità delle zone variabili che rendono il recettore piu o meno affine all’antigene, questi aspetti li
conoscete, quello che dovete ricordare è che il v d j lo trovate in tutte le cellule linfoidi, ma dove ? quelle
che sono maturate a livello midollare, e i segmenti VDJ sono diversi da cellula a cellula ma nella cellula
neoplastica questo non avviene, sono sempre della stessa lunghezza). La stessa cosa succede anche per le
catene leggere, vedete che il riarrangiamento avviene in epoca molto precoce, nella cellula b progenitrice, e
il riarrangiamento lo troviamo in tutte le fasi maturative fino alla plasmacellula. Quindi cosa facciamo?
Prendiamo dei primer che vanno a monte e a valle di queste regioni di collegamento tra v, d e j e quindi
andiamo a identificare la clonalita in questo modo: cioè valutiamo la lunghezza v d j di quella popolazione
che noi crediamo essere neoplastica. La stessa cosa succede per il tcr dove pero per la sua complessità è un
po più difficile la diagnostica molecolare. Ricordate l’elettroforesi su gel, nel gel si fanno migrare molecole
sottoposte ad un campo elettrico e quindi queste molecole migrano a seconda della loro pesantezza e
quindi questo significa che migrano a seconda della loro lunghezza. Quando ci troviamo di fronte ad una
popolazione policlonale, come nell‘iperplasia reattiva, le bande sono molteplici, questo significa che ad
ognuna di queste bande corrisponde ipoteticamente un linfocita che ha un riarrangiamento diverso dal suo
vicino. Quando invece ci troviamo di fronte ad una popolazione neoplastica monoclonale avremo una
banda ben evidente che nell’ambito di quella popolazione linfonodale identifica cellule che hanno tutte lo
stesso tipo di riarrangiamento quindi la stessa lunghezza, la stessa pesantezza. La presenza di bande cosi
concentrate indica una clonalita. Poi esistono quadri più complessi in cui in una stessa popolazione
linfonodale troviamo più bande clonali: in questo caso si parla di policlonalita (nds:non sono sicura di questo
termine) e va inquadrata sul piano clinico e anatomo patologico complessivo. Nei pazienti con
linfoadenopatia policlonale ogni linfocita ha un riarrangiamento (una lunghezza v d j ) diverso . Nel paziente
monoclonale abbiamo un’unica banda ben evidente. ( il prof inizia a commentare una serie di immagini
ribadendo i concetti gia detti). Come ho detto prima esistono situazioni in cui è difficile anche identificare
l’origine del linfoma, se b o t: allora in questi casi andiamo a valutare certi riarrangiamenti ... nello staging
dei linfomi l’anatomo patologo va anche a definire la ... (1:24:32) midollare ... ( nds: da 1:24:40 a 1:25:10
non capisco cosa dice. il prof si è allontanato dal microfono e faccio molta difficolta a capire tutto il discorso
che sta facendo). Pero esistono situazioni in cui l’analisi della clonalita non può essere fatta: ricordate che il
processo di fissazione e processazione istologica che cosa determina? Un danno delle proteine ma anche un
danno del dna. Il dna di queste cellule viene frammentato e la frammentazione del dna non consente di
identificare questi riarrangiamenti. Quindi se ho un campione che è fissato e processato male questa
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diagnostica risulta negativa pur essendo positiva e cosi avremo un falso negativo. Oppure per effetto dell
ipermutazioni somatiche, sapete che le ipermutazioni somatiche sono uno dei meccanismi che rendono
maggiormente variabile le porzioni variabili delle catene leggere e aumentano l’affinità per l’antigene pero
cosi cambia anche l’assetto del gene quindi i primer che utilizziamo non vanno più bene. Oppure ci possono
essere delle
traslocazioni (come ad es. la traslocazione di bcl2) che in qualche modo possono alterare queste sequenze
che andiamo a studiare con i nostri primer. Oppure altri tipi di riarrangiamenti. I falsi positivi: bisogna stare
molto attenti quando raccogliamo campioni su cui facciamo indagini sulla clonalita, in particolare bisogna
fare attenzione ( non tanto alla contaminazione ad es. batterica) al fatto che dobbiamo essere sicuri di stare
analizzando il dna del campione che ci interessa e non il dna di altri campioni. Quindi quando il tecnico
taglia il campione per fare l’indagine molecolare deve essere sicuro che la lama sia pulita e non deve essere
sporca di altro materiale che ha tagliato precedentemente cosi come quando il patologo fa sezioni di un
campione per indagini molecolari deve sapere che il bisturi che deve utilizzare deve essere un bisturi pulito.
(nds: il professore mostra le slides per fare vedere quello che ha appena spiegato. L’audio è di nuovo molto
disturbato perché il prof si allontana dal registratore o non sta parlando al microfono). Nell’elettroforesi
capillare la clonalita si dimostra con questi picchi molto evidenti invece nelle popolazioni policlonali avremo
più picchi. Quindi ricordate che per quanto riguarda la clonalita il 5-15 % dei sospetti di processi
linfoproliferativi non sono rilevabili alla.. quindi per quanto noi la utilizziamo abbiamo sempre un range di
falsi negativi. Ricordate che esistono anche dei processi linfoproliferativi che possono dare delle bande di
monoclonalita. In questo caso il dato va integrato con le informazioni clinico - mortologiche. Caso di una
ragazza di 27 anni con linfadenopatia inguinale con proliferazione linfoide eterogenea, con cellule piccole,
cellule medie, cellule più grandi, cellule blastiche, cellule con nucleoli molto grandi (fine a 1 ora e 32)
CASO CLINICO:Qui c'Ë il caso di una ragazza di 17 anni con una linfoadenopatia inguinale, dove si puÚ
vedere proliferazione di ..., si possono vedere i grossi vasi, la popolazione di cellule Ë eterogenea( ci sono
cellule piccole, cellule piccolissime, cellule medie, cellule pi˘ grandi, cellule blastiche, cellule con nucleoli),
tutte queste cellule sono associate a vasi.
Le grandi cellule sono ....positive, la popolazione perÚ Ë prevalente T, manca la cellula polineuronica, ma
mancano anche le cellule follicolari dendritiche. Questo dimostra che era un follicolo, con il centro
germinativo che Ë stato distrutto, perchË la popolazione neoplastica lo sta mangiando. Alcune di queste
cellule B grandi sono positive per CD30. E' un linfoma a cellule T . Le cellule sono brutte, le grandi sono B, vi
sono le cellule T, la normale struttura del follicolo Ë distrutta, le cellule grandi sono CD30, che Ë un marker
di attivazione.
La stessa paziene riviene con una massa ascellare, quindi al di sopra del diaframma, le cellule di questa
massa sono molto grandi, e sono tutte CD30. E' un linfoma non hodgkin?
E' positivo in tutti i ".....", Ë positivo nel 30- 40 % dei "", ma Ë positivo in tutti i linfomi , anche anaplastici.
E' comunque un fattore che ci indica che stiamo parlando di una serie di linfomi, allora le cellule sono
grandi, indipendentemente da Epstein Barr....
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Allora prima ci trovavamo di fronte a ..., vasi, cellule T e cellule B grandi, che cosa Ë? E' un linfoma Tlinfoblastico, che Ë un linfoma T, in cui le cellule B sono in accompagnamento alle stesse, perÚ possono
essere anche clonali.
La paziente ha sviluppato un altro gruppo su quelle cellule del linfoma, e la diagnosi Ë che aveva un tipo di
linfoma sia a cellule B che T, che Ë una cosa tipica di una vasta fascia di linfomi T-linfoblastici.
Ecco perchË Epstein Barr, un linfoma a cellula... Ë positivo, perchË deriva da un linfoma a cellule....
Il linfoma di Burkitt deriva dalla cellula B.
Esistono traslocazione prognostiche e traslocazioni diagnostiche, le diagnostiche sono quelle che
consentono di fare diagnosi follicolare, quindi la 14-18, la......, quindi tutte le traslocazione che coinvolgono
mit con il gene delle IGG delle catene leggere, di queste tre, la pi˘ frequente Ë la 8-14, la mantellare con la
ciclina D1, sono tutte traslocazioni marginali, ma tutte concorrono ad alterare NF-kB.
Nelle leucemie linfatiche croniche e nei linfomi a piccoli linfociti abbiamo delle alterazioni e traslocazioni
varie, ma abbiamo anche aberazioni numeriche cromosomiche, alcune delle quali sono correlate a prognosi
pi˘ infelici.
Quindi le aberrazioni sono un altro target di diagnostica differenziale perchË tramite la Fish, che
sicuramente ha una specificit‡ e sensibilit‡ maggiore, ma anche tramite la PCR, Ë possibile aiutare il
processo diagnostico nei casi in cui Ë richiesta l' identificazione del processo di traslocazione.
Come vi Ë stato detto, esistono due strategie per studiare un gene, o andiamo a studiare lo split di due
porzioni dello stesso gene, oppure andiamo con la dual color dual fusion, andiamo a valutare la fusione di
due parti. Quindi nel primo caso, andiamo a valutare solo lo split di uno dei geni che poi entra nella
traslocazione, invece con la dual color dual fusion, andiamo a valutare tutte e due i patner. Abbiamo la
strategia della dual color dual fusion, per cui abbiamo un gene A e un gene B, che si fondono, e quindi nel
caso in cui il ..... rosso Ë verde il colore che si apprezza al microscopio al fluorescenza Ë un colore giallo, che
Ë indice della fusione. L'alternativa Ë lo split dove andiamo a vedere se il gene Ë integro o meno e
l'alterazione Ë data dallo split dei segnali, mentre la normalit‡ Ë data dai segnali gialli.
Quando facciamo la FISH dobbiamo sapere che sonda stiamo usando, altrimenti rischiamo di fare una
diagnosi sbagliata.
CASO CLINICO: 76 anni, maschio, tumore del mediastino. Quali sono i linfomi del mediastino? Sono linfoma
Hodgkin, Linfoma non Hodgkin variante Diffusa a Grandi Cellule B e .....
Sono tutti e tre linfomi aggresivi, danno delle masse importanti, delle sindromi mediastiniche, e ricordatevi
che la diagnosi deve essere pronta e immediata, per evitare la morte del paziente.Questo Ë uno dei casi
dove Ë chiesta l'urgenza della diagnosi, perchË in questi casi bisogna iniziare subito il trattamento.
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Il materiale che noi abbiamo sono frammenti linfonodali, va programmato gi‡ il prelievo, e tutte le sezioni
che vanno fatte, per un linfoma almeno 10 sezioni per l'immunoistochimica e alcune sezioni in pi˘ per la
FISH.
In questo frammento, abbiamo una popolazione di cellule linfoidi, sono cellule grandi( vedo che sono
cellule grandi perchË hanno un grande nucleo ma anche un grande citoplasma), sono cellule B, con un
grado di differenziazione non altissimo, ciclina D1. Questo Ë un linfoma mantellare anaplastico, che Ë una
forma aggressiva, di certo pi˘ aggressiva del linfoma mantellare. Il marker ciclina D Ë espresso, e dalle
cellule naive in particolare.
Abbiamo necessit‡ di una diagnostica molecolare, e in questo caso utilizziamo una FISH, che Ë una dual
color dual fusion, e vedete che in quasi tutte le cellule abbiamo la fusione con l'avvicinamento del segnale
rosso e del segnale verde.
Il segnale verde Ë relativo all'IGH sempre e il segnale rosso in questo caso Ë relativo alla ciclina d.
E' Confermata la nostra diagnosi di linfoma mantellare anaplastico, anche se la ciclina d1 per quanto
positiva non Ë molto convincente.
CASO CLINICO: piccolo linfonodo ascellare, con partner nodulare, Ë un linfoma. Ci sono dei centri
germinativi, sono tutti pi˘ o meno uguali, sono molto voluminosi. Per il linfoma follicolare, in genere i centri
germinativi sono tutti uguali, sono monometrici. Qui c'Ë un centro germinativo che sfuma nella zona
mantellare, la cellula esprime bcl6, bcl2, CD10.
Togliendo bcl2, per cui Ë facile la diagnosi, solo con KI67, secondo voi puÚ essere sospettato un linfoma?
No, perchË nei centri germinativi nodulari abbiamo un altissimo indice di proliferazione dei centri
germinativi e in pi˘ c'Ë anche la polarizzazione di questa positivit‡ nelle aree scure, che sono molto pi˘
positive delle aree chiare.In questo caso la positivit‡ non Ë molto alta.Se io non avessi Bcl2, la sola
possibilit‡ che KI67 mi faccia sospettare un linfoma follicolare, perchË Ë bassa rispetto al centro
germinativo normale. Qui abbiamo fatto la dual color dual fusione, che mi fa vedere la traslocazione di bcl2,
c'Ë il blu e rosso, e la IGH Ë marcada con una sonda con fluorocromo verde. Non Ë sempre il giallo che si
vede, ma soltanto la stretta vicinanza delle due sonde. Questo Ë un caso particolare di un linfoma follicolare
in situ, che Ë una variante rarissima di linfoma follicolare
I linfomi diffusi grandi cellule B rappresenta il tipo di linfoma pi˘ frequente, perÚ in questo calderone ve ne
sono tipi con prognosi diverse e in questi anni sono stati fatti dei passi avanti, riguardo la sottotipizzazione.
Una riguarda la tipizzazione ..... che Ë sempre attivata, che parte da un studio di ....., che Ë relativa allo
studio di forme aggressive, in cui subentra una ulteriore alterazione cromosomica, che rende questi linfomi
molto aggressivi, e devono essere trattati.
Quindi quando parliamo di linfoma B molto aggressivo, ci riferiamo al linfoma di Burkitt, ai linfomi
linfoblastici, e a quelle varianti a grandi cellule B, che hanno una morfologia intermedia tra il Burkitt e quelli
a grandi cellule T, o hanno cellule grandissime, ma con un profilo simile a quello delle cellule di Burkitt, in
particolare esprimono Mic e hanno la traslocazione, oppure hanno dimensioni di cellule un pÚ pi˘ grandi
rispetto a quelle del Burkitt, ma non particolarmente voluminose. PerÚ tutte quante sono caratterizzate dal
fatto che l'indice di proliferazione Ë elevatissimo. Non Ë 100% come il Burkitt, perÚ Ë superiore sicuramente
al 90%. Quindi quando ci troviamo di fronte a un profilo immunoistochimico di base, e quando abbiamo un
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indice di proliferazione altissimo, siamo di fronte ad un linfoma a grandi cellule B, perchË quel paziente avr‡
una clinica rapidamente progressiva, e necessita quindi di un trattamento diverso. Se si tratta di un linfoma
a grandi cellule B, la prima cosa che dobbiamo andare a vedere Ë ki67 e se rientra o no nelle forme
particolarmente aggressive. Se inferiore al 90% la cosa che interessa Ë se ha un profilo genico al .... rispetto
ad una forma attivata, questo Ë importante perchË esistono protocolli terapeutici a seconda se ci troviamo
davanti all'uno o all'altro. E questo Ë il linfoma di Burkitt.
La cellula del linfoma di Burkit Ë una cellula media, le cellule sono tutte uguali , derivano dal centro
germinativo, per cui esprimono CD10, Bcl-6.Bcl-2?No!!Bcl-2 non lo esprimono perché non c'è la
traslocazione 14;18 .Se lo esprimessero?(brusio incomprensibile)..sicuramente non è un Burkitt.Dinanzi a
un linfoma che ha un espressione di CD20, CD10 Bcl-6, Bcl-2, Ki.67 altissimo, ci troviamo difronte a?Un
Grandi Cellule molto aggressivo, comunque non a un Burkitt.Bcl-6 quindi è iperespresso, Bcl-2 abbiamo
detto a livello, Ki.67 100%.Epstein-Barr 100%.Quindi, questo è un linfoma legato a Epstein Barr, in più ha
sempre la traslocazione di un ? .8;14, ma anche di altri che coinvolgono i geni delle catene leggere.Quindi il
linfoma di Burkitt è chiaro come concetto.La diagnosi è abbastanza agevole, sapete tutta la problematica
che riguarda le forme sporadiche e quelle invece Africane.
Allora, linfonodo perigastrico, maschio di 57 aa. Come vi sembra? c'è un po di necrosi, è un fundus morto, ci
sono detriti.Le cellule come vi sembrano?Grandi o piccole?Grandicelle, ma non grandissime.Sono tutte
uguali le une alle altre, esprimono Bcl-6, esprimono CD10, Ki.67 è alto, ma non altissimo, ci sono cellule
negative(positività >90%).Andiamo a fare il MYC, la lettura del MYC è un po' difficile rispetto alle altre,
anche in questo caso abbiamo 3 sonde, una che marca il centromero di 8, una che marca MYC e una che
marca IgH.Comunque questo è traslocato, si vedono i segnali GIALLI che sono indici della traslocazione di
MYC e anche questo ha la traslocazione di Bcl-2.Questo è un classico linfoma molto aggressivo che ha 2
alterazioni, prima quella del Bcl-2 perché è un linfoma che potenzialmente deriva da un linfoma follicolare,
su cui si instaura un'ulteriore alterazione che lo rende particolarmente aggressivo.C'è una doppia
alterazione che poi non riguarda tutte le cellule.Di solito nella FISH si usa una sonda di separazione, cioè noi
andiamo a vedere soltanto se il MYC è integro, poi con chi trasloca non ci importa granché.
Quindi, nella nuova classificazione, abbiamo questa categoria di "molto aggressivo" che riguarda i linfomi
che hanno diverse alterazioni citogenetiche (doppie o addirittura triple..) che riguardano sempre MYC e o
Bcl2 o Bcl6..
Queste che sono? Alterazioni citogenetiche dei linfomi della zona marginale, che però non troviamo in
TUTTI i linfomi della zona marginale ma solo in alcuni di essi.Tutti quanti i geni alterati concorrono ad
attivare l'Nfkb perché sia MALT che bcl-10 concorrono a inibire Ikb e quindi facilitano l'attivazione di NfkB
che è un fattore anti-apoptotico. Quindi queste alterazioni citogenetiche non sono diagnostiche, ma
PROGNOSTICHE perché questi MALTomi, che ricordate sono linfomi particolarmente INDOLENTI, vanno
molto lentamente e addirittura nello stomaco, ricordate, esistono le forme precoci che si possono curare
anche con l'antibioticoterapia; però non devono avere queste traslocazioni che rendono i linfomi un po' più
aggressivi e non rispondono più all'antibioticoterapia, (anche se eradichiamo il batterio) e vanno incontro a
lenta progressione. Quindi questa è una traslocazione tipica dei linfomi MALT gastrici, questa invece è tipica
dei linfomi extra gastrici, soprattutto i tessuti dell'orbita (ricordate che la seconda sede più frequente dei
MALT sono i tessuti dell'orbita, spesso associati a infezione da Chlamydia psittacii).Quindi, che significa
MALT?mucose-associated lymphoid tissue.Non è detto che ci sia sempre una mucosa, perché nei tessuti
dell'orbita questo tessuto è impropriamente detto MALT, perché è un tessuto (linfoma?) che cresce nei
tessuti molli dell'organo.
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Allora, quindi la FISH ci serve in alcuni casi per risolvere i dubbi diagnostici che l'immunoistochimica non è
riuscita a sciogliere, per identificare dei profili di maggior aggressività, come nel caso di MYC nei linfomi
diffusi a grandi cellule B, oppure nei linfomi MALT in cui le traslocazioni sono correlate a una maggiore
aggressività.
Il (?), questo ve lo ricordate, è il sistema che ha consentito di identificare …..(?) a grandi cellule B, tre forme
(in realtà qua ce ne sono due, ma in realtà sono 3, c'è una terza minima categoria che non è né l'una né
l'altra, però da qui siamo partiti con l'utilizzo di una banale immunoistochimica che fa uso di Bcl-6, CD10,
MUM-1, che è il sistema più comune che serve a identificare forme attivate e forme Germinal Center
Like.Ricordate i germinal center like sono sicuramente CD10 positivi oppure possono essere CD10- ma Bcl-6
+ e MUM-1 negative.Mentre le forme attivate sono sempre CD10-, Bcl-6 può essere + o -, MUM-1 è più
elevato.Questo è importante perché le forme Germinal Center Like sono quelle che vanno meglio rispetto
alle non GCL.Esistono altri algoritmi però quello che utilizziamo è sempre quello di Hans.
Le infezioni e i linfomi, abbiamo detto che i linfomi crescono perché hanno contatto con un antigene che
nella maggior parte dei casi noi non conosciamo, la causa più comune è Epstein Barr che induce alterazioni
citogenetiche con crescita clonale tipica del linfoma Burkitt ma anche nel LH, angioimmunoblastico
ecc.Però l'azione sulle cellule linfatiche può essere non DIRETTA , cioè il batterio non va a modificare
l'assetto genetico della cellula, ma lo induce alla proliferazione, e questo succede per esempio con H.Pylori,
Chlamydia, che inducono il MALT a proliferare e che poi nella progressione neoplastica assume delle
alterazioni che lo rendono indipendente dalla stimolazione antigenica.
Questo è un MALT, questi sono centrociti o cellule linfoplasmocitoidi che infiltrano le strutture ghiandolari
presenti, quando sono presenti.
Oltre alle infezioni quali sono le altre cause di linfoma MALT? Le malattie autoimmuni.Anche in quel caso
c'è un antigene che stimola la proliferazione in modo incontrollato.
SARCOMI
Brevemente i sarcomi.
Che avete fatto dei sarcomi?Tutto quello che c'è scritto sul libro?Allora, i sarcomi sono, come i linfomi e i
melanomi, la tomba dei patologi! A un occhio poco esperto, la maggior parte dei sarcomi sembrano tutti
uguali.Cellule morfologicamente FUSATE.I sarcomi sono nell'ambito dell'anatomia patologica un settore
ultraspecialistico, quindi non tutti i patologi possono affrontare queste diagnosi senza un minimo di
competenza.
Allora, iniziamo con questa bella diapositiva che mette a confronto due articoli usciti tutti e due nel 2001 in
cui, sapete che all'inizio degli anni 2000 la patologia molecolare sembrava che avesse risolto tutti i problemi
della diagnostica, e questo non è stato, infatti c'è questo articolo che dice "la fine della surgical pathology”.
La sugical pathology è quella che facciamo noi, la diagnostica sul tessuto, in cui lui sostiene che appunto
con tutta le informazioni della ricerca di base che si sono evolute negli anni, sarebbe inutile fare un esame
istologico pechè le diagnosi viene dalle molecole.Avete visto che questo non è vero, nei linfomi per
esempio non sono sempre indicative di una determinata patologia.E’ uscito poi nello stesso anno un lavoro
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di un grande patologo, (non capisco il nome) che è il più grande patologo vivente, è un argentino che ha
deciso a un certo punto di venire a lavorare in Italia, che dice che in realtà la morfologia, quindi l’aspetto
morfologico è FONDAMENTALE per poter pianificare anche un adeguato approccio molecolare.Ovviamente
questa diatriba degli inizi degli anni 2000 si è superata e quindi è chiaro che la selezione e quindi
l’inquadramento clinico-patologico è fondamentale per qualsiasi diagnostica molecolare.Ed è vero però che
molto è cambiato in anatomia patologica, siamo passati dalla sala settoria, in cui il patologo lavorava
soltanto sul pezzo chirurgico, siamo passati poi alla valutazione microscopica.Quindi mentre prima la
morfologia era tutto, ora ovviamente tutte le informazioni acquisite si sono integrate e hanno arricchito
sempre di più il pannello di diagnosi che vengono effettuate.Per cui, siamo passati dalla diagnostica
macroscopica del 600 a quella cito-istologica degli anni 80-90 fino a quella molecolare (FISH, CISH, PCR..).
Quindi, le informazioni molecolari sono rientrate nella diagnostica ordinaria, alcune delle quali servono a
identificare alterazioni diagnostiche, altre servono a identificare le alterazioni che rendono i pazienti più
sensibili a determinate terapie.
Quindi, andiamo subito ai tessuti molli.Allora, come in tutte le patologie, esiste questo bel volume di
pathology and genetics in cui le patologie neoplastiche dei tessuti molli e delle ossa vengono affrontati uno
ad uno, sia dal punto di vista morfologico, che immunofenotipico, che molecolare.
Quindi, vedete che, però, l’ applicazione per i tessuti molli è molto complessa, esistono almeno 50 tipi di
tumori, sono tantissimi, e la diagnosi si basa fondamentalmente sull’istologia e sull’immunoistochimica.Per
alcuni di questi, però, esistono importanti informazioni citogenetiche, che aiutano nella diagnosi di questi
tumori.La diagnosi molecolare dei sarcomi è però, allo stato attuale, possibile soltanto per una metà di essi
e non tutte le strutture sono in grado di identificare traslocazioni e mutazioni, non tutte hanno a
disposizioni i mezzi per fare queste valutazioni.
Quindi, i sarcomi come li classificate?Secondo una classificazione istogenetica, cioè si basa sul principio
della presunta origine della cellula neoplastica rispetto al tessuto di partenza.Quindi abbiamo tumori di
origine adiposa, tumori che originano dalla muscolatura liscia, striata, nervi, vasi e poi esiste un subset di
sarcomi a istogenesi cosiddetta INCERTA, che sono?Il sarcoma di ….e poi lo Ewing e PNET che pure ha
un’istogenesi ancora non del tutto conosciuta.Perchè è importante fare diagnosi di sarcoma e del tipo di
sarcoma? Perché ora è importante capire l’istogenesi (in passato bastava dire che era sarcoma, quindi
maligno) perché, in base al tipo di tumore, i trattamenti su malattia neoplastica avanzata cambiano, in
particolare questo è vero per quanto riguarda l’……sarcoma (non si capisce), così come anche per il
liposarcoma.
Dunque ripetiamo, la classificazione che dovete ricordare è una classificazione istogenetica.Il 50% di questi
sarcomi ha alterazioni note, e le alterazioni note coinvolgono spesso fattori di trascrizione.
Tumori adipocitici: sono prevalentemente benigni. Il principale tumore adipocitico è il lipoma che è un
tumore benigno, ma esiste anche il liposarcoma (più raro) che ha una prognosi tutto sommato benigna,
anche se ha il difetto di essere difficilmente eradicabile e quindi è gravato da un alto tasso di recidiva locale.
Tumori fibroblastici e ???, sono tumori che derivano da fibroblasti e ???, anche questi presentano
traslocazioni note che possono aiutare nella diagnosi.
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Tumori vascolari
Tumori di origine incerta
In linea generale le traslocazioni vanno ad attivare fattori di trascrizione i quali regolano il ciclo cellulare. Le
metodiche per individuare le traslocazioni sono FISH e la RT-PCR.
Il target della RT-PCR è l’RNA, cioè l’RNA messaggero del gene che si forma per effetto della traslocazione.
Noi abbiamo detto che il dna nei campioni istologici è frammentato, questo discorso vale ancora di più per
l’RNA che è ancora più fragile e frammentanto, quindi quando lavoriamo con tessuti fissati in paraffina
dobbiamo avere l’accortezza di lavorare con primer di piccole dimensioni per identificare sequenze molto
ristrette. L’opzione migliore sarebbe il tessuto fresco congelato in azoto liquido.
Il prof fa vedere una elettroforesi in gel d’agarosio e mostra la posizione sulla piastra dei frammenti di dna.
Il sarcoma sinoviale è caratterizzato da una traslocazione sul cromosoma 18 che coinvolge il gene SYT, di cui
non si conosce la funzione precisa, ma che sembra avere un ruolo nella regolazione del ciclo cellulare. Syt si
identifica con uno SPLIT-SIGNAL, quindi con un break-apart, cioè il gene syt viene marcato con fluorocromi
diversi e lo split del segnale è indicativo della traslocazione.
Il Sarcoma di Ewing in cui il gene coinvolto il gene EWS che può avere diversi partner, il più frequente è
FLI1. Anche qui non ci interessa il partner, dunque usiamo il break-apart e lo split è indicativo della
traslocazione. Però EWS trasloca anche in altri sarcomi: quando ha come partner WT1 da’ il sarcoma
desmoplastico a cellule rotonde, sarcoma tipico dell’addome e dei giovani uomini; quando ha come partner
CHN(TEC) da’ il condrosarcoma mixoide extrascheletrico; quando trasloca con ATF1 da’ il sarcoma a cellule
chiare o melanoma delle parti molli e quando trasloca con DDIT3 detto anche CHOP da’ il liposarcoma
mixoide(?????) . Dunque quando abbiamo una traslocazione di EWS non è detto che ci troviamo di fronte
ad un sarcoma di EWING. Da un punto di vista morfologico questi sarcomi sono molto dissimili tra loro.
Esistono alcuni farmaci biologici che agiscono su sarcomi di Ewing se è presente la traslocazione EWS/FLI1.
Il prof chiude con dei casi clinici.
Paziente maschio, massa addominale, da cui otteniamo ?????. Dal punto di vista istologico questa massa è
costituita da cellule medie ???? CD99 positive. E’ un sarcoma di Ewing? Andiamo a fare la traslocazione, ma
c’è la traslocazione del tumore addominale desmoplastico a piccole cellule rotonde, esprime ???? WT1???
Partire sempre dal dato clinico, morfologico e immunofenotipico e poi chiedere la FISH per EWS con il
quesito giusto. Questo pz è destinato rapidamente a morire, data l’aggressività elevata della neoplasia.
Maschio, 26 anni, caucasico(??), massa laterocervicale cresciuta negli ultimi sei mesi, storia recente di
mononucleosi infettiva, fa una biopsia. Background fibrotico costituito da cellule di grandi dimensioni,
nuclei molto atipici, neoplasia pleomorfa con cellule con grande citoplasma, epitelioidi, (qual è la differenza
tra epiteliale e epitelioide??????). Quindi è un tumore epitelioide, facciamo immunoistochimica: marker
epiteliali negativi, CD30 NEG, CD15 NEG, CD20 NEG, ???… citocheratine ad ampio spettro negative… EMA
neg, ???? S100 poco positiva, l’unico marker positivo è la VIMENTINA, marker muscolari negativi, marker
vascolari e neuroendocrini negativi. Diagnosi di neoplasia mesenchimale.??? La massa è stata asportata. Le
cellule sono epiteliodi, eosinofili, vimentina positiva anche se non diffusamente. Anche S100 risulta
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negativo dopo l’asportazione. La diagnosi fu di NEOPLASIA MALIGNA INDIFFERENZIATA. Fu eseguita la FISH
con sospetto di melanoma dei tessuti molli. (il prof racconta delle peripezie per raggiungere la diagnosi, ma
si capisce poco) -Il paziente in passato aveva eseguito una biopsia cutanea della quale non aveva mai
ritirato la diagnosi. Il prof va a recuperare il referto e scopre che il paziente aveva rimosso anni prima un
melanoma nodulare con cellule epitelioidi, di spessore 2mm, livello III-IV, con ulcerazioni. CONCLUSIONE:
recidiva locale di melanoma, che aveva perso il proprio iniziale assetto immunofenotipico. La diagnosi in
questo caso è stata fatta grazie ad un’anamnesi approfondita.
Ragazza 22 anni, massa polmonare, biopsia endoscopica, cellule piccole, all’immunoistochimica positività
ambigua del TTF1, si era pensato a un microcitoma. (questa diagnosi fu fatta in altra sede, il prof sottolinea
che questa diagnosi è strana perché la ragazza è troppo giovane, essendo il microcitoma legato al fumo di
sigaretta, la ragazza avrebbe dovuto iniziare a fumare a 2 anni!!!!!) La ragazza viene operata. La massa è di
4 cm, con aree di necrosi, il patologo conclude per un microcitoma.
La pz dopo qualche mese sviluppa un nodulo osseo (non si capisce dove??????) che viene asportato e il
quadro è quello di una lesione a piccole cellule, CD56pos, CD99pos (marker specifico del sarcoma di ewing),
viene fatta la FISH ed effettivamente la diagnosi è di sarcoma di Ewing. La massa polmonare era una
metastasi polmonare di sarcoma di Ewing, trattata erroneamente per un microcitoma. Le due neoplasie si
pongono spesso in diagnosi differenziale (sono due neoplasie a piccole cellule blu). Questo per dire che
purtroppo la diagnosi anatomopatologica non sempre è una diagnosi di certezza.
ADE ANATOMIA PATOLOGICA PARTE III
Anatomia Patologica 26/05/2016
Oggi parleremo delle colorazioni. Eravamo arrivati all’idratazione per affrontare il problema della
colorazione e quindi osservazione al microscopio. Il passo successivo è quello di fornire al patologo
una sezione del nostro campione più sottile possibile per 2 motivi:1)perché il colorato possa
penetrare bene e 2) perché la lettura che viene fatta al microscopio non possa avere degli
artefatti, per cui dato che la nostra fetta deve essere vista al microscopio, la luce che passa dal di
sotto quindi dal condensatore del microscopio, deve attraversarla tutta. Quindi più è sottile la
fetta, più non ci sono immagini sovrapponibili. Cosa intendiamo per colorante? Un colorante non è
altro che una molecola solubile fornita di un proprio colore. Questo colore è così importante
perché è in grado di legarsi a ciò che noi vogliamo che la molecola si leghi, quindi a substrati
cellulari, tessuti, cellule. In base al tessuto noi scegliamo un colorante. Lo scopo della colorazione
non solo è quello di osservare bene ciò che vogliamo osservare ma anche vedere quello che si
trova all’interno della cellula e a sua volta di stabilire la quantità di ciò che vogliamo ricercare.
La morfologia è stata ripresa. I vecchi anatomo patologi erano esclusivamente per la morfologia.
Non accettavano nessuna risposta di immunoistochimica poiché pensavano che la diagnosi
dovesse essere esclusivamente morfologica.
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La colorazione serve anche per qualificare i contenuti delle cellule ad esempio lipidi, proteine e
quant’altro, per valutare le entità biologiche quindi batteri, tessuto muscolare, il tipo di cellula e
quindi un antigene oppure può essere utile per studiare la fisiologia delle cellule come ad esempio
la fagocitosi. A questo ci appelliamo con delle colorazioni istomorfologiche. Il tecnico quindi mette
i vetrini nel cestello e nelle varie vaschette dove ci sono i coloranti e le varie soluzioni per la
colorazione e li fa passare negli intervalli di tempo ben stabiliti fino ad arrivare alla colorazione
totale. Questo è quello che succedeva una decina di anni fa. Da un po’ di tempo a questa parte il
tecnico utilizza un apparecchio automatico dove sono presenti le vaschette contenenti appunto le
soluzioni, il tecnico prepara il cestello e con dei programmi specifici vengono effettuate tutte le
colorazioni e le varie metodiche di cui il patologo ha bisogno, poi alla fine un altro apparecchio
completa l’operazione della colorazione.
Vediamo ora cosa stiamo osservando. Abbiamo detto gli aspetti morfologici cioè la forma, la
distribuzione delle cellule in un vetrino.(la professoressa fa vedere la morfologia di alcune
cellule)Con la semplice colorazione di una sezione morfologica inoltre possiamo osservare l’entità
chimica della cellula stessa. In più possiamo avere informazioni anche sulle entità biologiche
quindi dire se si tratta di batteri, tessuto muscolare, tipo di cellule oppure antigene.(altro esempio
con colorazione di H. pylori) Oppure, come abbiamo detto prima, possiamo avere informazioni sui
processi fisiologici di una cellula(la professoressa fa vedere delle goccioline di lipidi che vengono
inglobate da una cellula, quindi il fenomeno della fagocitosi)
In Anatomia patologica abbiamo colorazioni che vengono classificate in colorazioni
istomorfologiche, istochimiche e immunoistochimiche. Le colorazioni istomorfologiche mettono in
evidenza il nucleo, il citoplasma, il tessuto epiteliale. Le colorazioni istochimiche permettono di
mettere in evidenza le sostanze contenute nei vari distretti del vari organi. Quindi non si ricercano
più le cellule ma varie sostanze. Le colorazioni immunoistochimiche riescono a mettere insieme sia
i contenuti morfologici che istochimici in più si collegano al campo immunologico.
Il colorante si compone di alcuni gruppi chiamati cromofori e altri detti auxofori. Questi gruppi, a
seconda della carica, possono legarsi a componenti acidi e basici. I componenti acidi sono anioni a
carica negativa che formano sali quindi vanno a colorare il citoplasma mentre quelli basici vanno a
colorare il nucleo. I neutri invece sono quelli dati sia da coloranti basici che acidi. Ancora possiamo
avere colorazioni in base alla metodica quindi possiamo avere una colorazione semplice oppure
colorazioni ortocromatiche quando il colorante reagisce solo con un tipo di struttura senza
cambiare il proprio colore o ancora metacromatiche quando il colorante cambia colore nel
momento in cui si lega al substrato che deve colorare
Ci sono fattori che possono influenzare le colorazioni anche perché queste colorazioni si legano al
tessuto tramite legami idrogeno, legami covalenti, influenze di coulomb, forze di van der waals
quindi legami chimici. Se si alterano questi legami la colorazione subisce delle variazioni.
Il risultato della colorazione non dipende solo dalla procedura del colorante ma anche da quello
che succede prima e dopo in quanto la fissazione è lo step più importante di tutto il lavoro anche
perché se durante la fissazione si perdono o non si fissano determinate molecole, nel momento in
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cui andiamo a colorare, quelle molecole non le ritroviamo. Se durante la fissazione non fissiamo
bene alcuni antigeni, automaticamente anche la colorazione non ha alcun risultato.
I coloranti in genere si dividono in 2 gruppi: coloranti naturali e coloranti artificiali. Per quanto
riguarda i naturali, ne abbiamo diversi come il carminio, l’ematossilina e l’orceina. Gli artificiali
sono tutti quelli che derivano dal composto dell’anilina che oltretutto è anche carcerogeno.
Abbiamo anche una classificazione dei coloranti dove, in base alla composizione chimica, li
definiamo coloranti acidi se colorano il citoplasma, coloranti basici se colorano il nucleo, per i
coloranti neutri abbiamo acidi-basi. Per vedere un campione il primo step da compiere è
effettuare una colorazione con ematossilina/eosina. L’ematossilina colora il nucleo in quanto è un
colorante basico e lo colora di blu-violetto mentre l’eosina colora il citoplasma. Nella citologia
invece per il citoplasma, nonostante possa sempre essere colorato con ematossilina/eosina,
poiché presenta cellule diverse, più cheratinizzate, viene utilizzato il papanicolaou dove l’eosina è
costituita da due soluzioni, le A50 e le og6 e sono due coloranti che vanno a colorare il citoplasma
delle cellule che sono più o meno cheratinizzate. Quindi le colorazioni possono avvenire secondo
fenomeni chimici, fenomeni fisici e fenomeni fisico-chimici. Con le colorazioni chimiche abbiamo
una reazione chimica tra colorante e substrato e avviene secondo le leggi della chimica mentre
una parte dell’immunoistochimica si occupa prevalentemente di alcune condizioni durante le quali
è possibile identificare e localizzare delle sostanze chimiche sempre attraverso una reazione. Le
reazioni fisiche, invece, sono quelle reazioni che avvengono secondo fenomeni fisici. Classico
esempio per l’anatomia patologica è quello della colorazione dei lipidi. In quel caso non avviene
una reazione chimica ma una perfusione del colorante all’interno del tessuto.
Un’altra importante colorazione fisica è quella dell’impregnazione detta anche argentica se usiamo
l’argento o con l’utilizzo dell’oro; dove si ottiene una precipitazione dei metalli sulle strutture che
vogliamo andare a colorare.
•
•
•
•
COLORAZIONI IMMUNOISTOCHIMICHE
Le colorazioni istochimiche mettono in evidenza soltanto alcune sostanze chimiche.
Le sostanze chimiche che si possono trovare in una cellula sono, ad esempio, i composti dati dai
chetoni, dalle aldeidi (che vengono colorate dal reattivo di Schiff nel contesto della reazione Pas),
gli acidi nucleici.
Gli acidi nucleici si possono colorare in immunoistochimica con una colorazione detta reazione di
FEULGEN, con colorazione verde metile oppure con fluorescenza che nei nostri laboratori non
sempre è scontata. Il dna si colora in rosso magenta, mentre il citoplasma si colora in verde. Il
VERDE METILE è una colorazione sfruttata più per quantificare il contenuto di dna.
Il PAS è la colorazione elettiva per i mucopolisaccardi in genere e anche per il glucosio. Per i
mucopolisaccaridi acidi viene effettuata un’altra colorazione che sfrutta il concetto delle aldeidi
con il reattivo di schiff: le blocca formando un colore rosso magenta piuttosto acceso e i nuclei
vengono colorati direttamente blu o viola.
l’ALCIAN BLUE colora i mucopolisaccaridi acidi in blu turchese e i nuclei in rosso.
Il ROSSO CONGO mette in evidenza l’amiloide, una sostanza che si può riscontrare in alcuni tumori
e in alcune patologie. Con questa colorazione viene sfruttata la capacità di alcune sostanze, che
sono coloranti basici, di virare dal colore originale quando vengono a contatto direttamente con
delle sostanze polianioniche??: questa trasformazione viene detta metacromasia.
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• Il metodo del PICRO SIRIUS RED è utilizzato per mettere in evidenza le fibre collagene e le placche
di aterosclerosi.
• Il BLU DI TOLUIDINA è un colorante molto usato per mettere in evidenza alcune strutture del
sistema nervoso come la cromatina e i corpi di nissel che vengono colorati con un colore azzurro,
oppure la cartilagine con un colore violetto.
• I LIPIDI hanno il problema della fissazione perché non esiste un fissativo che possa fissare i lipidi e
spesso durante la processazione si sciolgono lasciando la cellula con degli spazi vuoti. Se bisogna
fare delle indagini più specifiche mirate sui lipidi, è necessario fissare con il freddo, quindi
congelare il campione con l’azoto o con il criostato. Per la colorazione esistono una gamma di
coloranti definiti del SUDAN (Sudan3, 4, nero ... secondo la natura del lipide), il metodo dell’OIL
RED 0: i lipidi vengono colorati con la tecnica della diffusione, quindi non più secondo una reazione
chimica, bensì secondo una fisica. Il reattivo penetra direttamente all’interno della cellula e si
possono identificare i lipidi neutri e gli esteri del colesterolo con un colore rosso; mentre i
fosfolipidi assumono un colore rosa pallido e i nuclei blu (in genere i nuclei non si colorano e per
dare un contrasto ed essere messi in evidenza a livello microscopico si effettua una colorazione
blu).
• Il metodo del BLU DI PRUSSIA colora il ferro.
• Per il calcio ci sono due metodiche: il metodo di DAHL all'ALIZARIN RED che colora il calcio in
arancio rosso(la prof non l’ha mai vista fare); il VAN KOSSA in cui i deposi di calcio sono colorati in
nero e i nuclei in rosso.
• Il metodo di FONTANA-MASSON in passato veniva utilizzato per ricercare la presenza di melanina,
soprattutto nelle metastasi, in caso di melanoma: colorava la melanina in nero e i nuclei in rosso.
L’ematossilina-eosina colora i nuclei in blu e i citoplasmi in rosso e colora qualunque tessuto, ad
eccezione di casi in cui viene effettuata una ematossilina di ehrlich che è una colorazione per
mettere in evidenza i nuclei in metodiche speciali ed indagini specifiche.
• Il VERHOEFF VAN GIESON (vvg) è una metodica semplice ma viene unita al WEIGERT(WvG) dove le
fibre elastiche si colorano dal blu scuro al nero, i nuclei in nero, il collagene in rosso e gli altri
elementi connettivali in giallo. In genere il VAN GIESON viene fatto come colorazione di contrasto
con l’ematossilina-eosina per mettere in evidenza il collagene e gli altri costituenti cellulari e il
WEIGERT sfrutta l’affinità delle fibre elastiche dandovi una colorazione piuttosto evidente rispetto
alle altre fibre del connettivo.
La citologia ha i suoi coloranti perché la cellula non ha una morfologia ma ha solo un nucleo e un
citoplasma: quindi in teoria la prima colorazione da fare in qualsiasi citologico è l’ematossilinaeosina, ma x la citologia escoriativa dell’apparato genitale è stata introdotta dallo stesso autore
papanicolau che ha studio le fasi fisiologiche delle cellule nel tratto genitale e ha perfezionato la
colorazione citoplasmatica.
•
PAPANICOLAU: Abbiamo una colorazione costituita da tre coloranti: uno colora il nucleo, e
gli altri due colorano selettivamente i citoplasmi con grado di maturazione diverso a seconda dello
stadio maturativo della donna e del periodo in cui viene effettuato il prelievo. I nuclei si colorano
in blu, il citoplasma delle cellule basofile in blu-verdastro, mentre quello delle cellule eosinofile in
rosa-arancione.
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Esistono anche delle colorazione istochimiche rivolte a dei tessuti.
Per il tessuto nervoso: i corpi di nissel possono essere ricercati con il CRESYL-VIOLETTO, dove viene
messo in evidenza l’rna con il color nero, mentre le altre strutture si colorano in viola. Il metodo di
GOLGI-CAJAL è un’impregnazione argentica esclusiva per il cervello, in cui si sfrutta la
precipitazione diretta del cromato d’argento sulle cellule nervose. Il metodo BIELSCHOWSKY va a
colorare specificamente le neurofibrille con lo stesso metodo dell’impregnazione argentica. La
colorazione del LUXOL FAST BLU da una colorazione della mielina in blu-azzurro.
Per il tessuto connettivo abbiamo un’ampia serie di colorazioni: la colorazione classica è quella del
AZAN MALLORY dove il collagene, le fibre reticolari e i granuli basofili si colorano in azzurro; le
neurofibrille si colorano in rosso e il muscolo in arancio; anche i nuclei, gli eritrociti, e i granulociti
assumono una colorazione rossa, mentre i granuli citoplasmatici(come nello specifico quelli delle
cellule dell’ipofisi) si colorano in azzurro.
Per quanto riguarda lo striscio di sangue esiste una colorazione specifica: la MAY GRUNWALD
GIEMSA, una colorazione costituita esclusivamente da due coloranti. Il primo colorante, il may,
fissa: ecco perché lo striscio di sangue non viene mai fissato e si lascia solamente asciugare all’aria
e dà una prima colorazione nucleare; il secondo colorante, il giemsa, colora tutte le altre strutture
e tutti gli organuli ematici: abbiamo gli eritrociti in rosa-arancio, i nuclei dei leucociti in bluporpora, gli eosinofili in rosso brillante ed i basofili in blu.
•
La tricromica di GOLDNER colora le strutture basofile in rosso-nero, le strutture acidofile in
rosso-arancio, le strutture fortemente acidofile in azzurro-verde.
•
La tricromia di MASSON colora i nuclei in nero, il citoplasma, le fibre muscolari ed i granuli
acidofili in rosso, collagene, muco e granuli basofili in blu-verde, gli eritrociti in giallo.
IMMUNOFLUORESCENZA
Prima di arrivare all’immunoistochimica pura bisogna fare un passo indietro per ricollegarsi a
quella che è l’immunofluorescenza. In effetti è nata prima l’immunofluorescenza e poi
l’immunoistochimica, o per lo meno l’immunofluorescenza era già in uso anche per altre tecniche
in vari laboratori, mentre in anatomia patologica non sempre veniva estesa a tutti i campi di
indagine. Ma poiché l’immunofluorescenza non aveva molto campo in anatomia patologica per
costi(l’utilizzo del microscopio a fluorescenza ha elevati costi), per validità dei risultati(la
decadenza/variazione avveniva in un periodo piuttosto limitato per cui il giorno dopo
l’anatomopatologo non trovava niente), per inconvenienti tecnici. È stata perciò sostituita
dall’immunoistochimica anche se il concetto è lo stesso: nell’immunofluorescenza si faceva
avvenire una reazione tra antigene ed anticorpo e quindi una ricerca specifica dell’antigene; lo
stesso principio veniva esplicato anche nell’immunoistochimica. Dove sta la differenza? Mentre
nella prima si usavano degli agenti che erano esclusivamente nel campo della fluorescenza,
nell’immunoistochimica si è trovato del materiale che poteva avere una resa migliore e
sicuramente una resa che non rientrava nell’ambito della fluorescenza, quindi visibile al
microscopio ottico, che durava nel tempo e che aveva una resa non solo di produttività, ma anche
di effettività piuttosto accettabile.
Allora mentre nell’immunofluorescenza si usavano i fluorocromi, nell’immunoistochimica noi
avevamo una serie di enzimi e un substrato cromogeno che dava avvio alla reazione. Quindi che
cos’è l’IMMUNOISTOCHIMICA? Non sono altro che delle metodiche utilizzate per identificare
costituenti cellulari, tissutali, antigeni, usando determinati anticorpi. Queste tecniche possono
essere utilizzate sia per l’istologia che per la citologia e alcuni tumori possono essere addirittura
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diagnosticati proprio con l’aiuto di questa tecnica, mentre per altri tipi di tumori a volte è
necessaria anche la biologia molecolare.
Il principio dell’immunoistochimica è quello di saper identificare l’antigene mediante un anticorpo
specifico. L’ANTIGENE chiaramente è una molecola proteica, una glicoproteina, una lipoproteina,
capace di evocare una risposta immune da parte del sistema immunitario. Ricordate l’antigene è
costituito da uno o più siti antigenici. Per cui disponendo dell’anticorpo specifico qualunque
antigene può essere messo in evidenza attraverso questa metodica.
[Questa è un’immagine dove c’è il disegno dell’anticorpo con l’antigene: vedete gli epitopi sono
diversi, però ogni ogni epitopo è riconosciuto dal sito antigenico dell’anticorpo]
Gli ANTICORPI, invece, sono delle molecole proteiche, possono essere delle IgG, prodotte da
plasmacellule, che sono in grado di legarsi appunto nei siti specifici dei propri determinanti
antigenici. E questo è importante perché possiamo avere anticorpi MONOCLONALI, costituiti da
antigeni identici fra di loro e diretti contro un determinate antigenico, POLICLONALI se i siti
antigenici sono diversi, IBRIDI invece sono immunoglobuline modificate in modo che ciascun
frammento abbia una specificità per un differente determinante antigenico.
Quindi un anticorpo policlonale può essere polivalente , può riconoscere più siti antigenici, mentre
il monoclonale è diretto esclusivamente per un singolo sito antigenico.
La struttura è costituita da una porzione costante, mentre la porzione variabile che lega l’antigene
è costituita, invece, da domini ipervariabili che consentono una grande versatilità nel
riconoscimento e quindi nel legame degli antigeni. Quindi questo ci riporta alla specificità e
all’affinità con l’antigene che vogliamo ricercare. Quindi se non c’è specificità e affinità la reazione
non avviene.
Ora questo complesso tra antigene e anticorpo che si forma nella reazione non si può vedere a
occhio nudo. Noi andiamo a incubare l’anticorpo, però non sappiamo se la reazione è avvenuta. E’
necessario, quindi, visualizzare l’avvenuta reazione con dei metodi che ci consentono di andare a
visualizzare, appunto, al microscopio. Ci possono essere due metodi: sia con la fluorescenza, come
abbiamo visto prima, sia con il metodo enzimatico. Mentre la fluorescenza usa dei fluorocromi,
l’immunoistochimica usa esclusivamente degli enzimi. I fluorocromi sono delle sostanze
fluorescenti, che sono l’isotiocianato di fluoresceina, la ficoeritrina, ecc
[Questi sono i risultati: questo ad esempio è un carcinoma della mammella, è una citocheratina,
mentre quella affianco che è rossa (perché il fluorocromo è diverso) è sempre una citocheratina
però colorata in rosso]
Anche la fluorescenza ha i suoi metodi diretti e indiretti. Vedete questa è la nostra cellula, questo
è il nostro antigene, questo è l’anticorpo primario dove si fa legare l’anticorpo secondario che lega
il complesso per la fluorescenza.
Si possono avere anche delle doppie colorazioni, basta cambiare il colorante.
Come vi dicevo c’è la scarsa possibilità di riduzione dell’anticorpo, una scarsa informazione anche
della topografia del composto, aveva un’emivita piuttosto bassa e in più c’era la necessità di
essere in possesso di un microscopio a fluorescenza, per cui non ha avuto grande sviluppo in
anatomia patologica, ma solo in alcuni settori come la nefropatologia, la dermatologia e nelle
indagini di citoflussometria.
[Vedete questa è l’immagine fluorescente dell’ IgG in una glomerulonefrite granulare.
Oppure in una patologia cutanea la deposizione di anti-CD3 oppure anti-IgG]
Per quanto riguarda l’immunoistochimica abbiamo detto che anche qui ci sono metodi diretti e
indiretti. Mentre nel metodo DIRETTO l’enzima viene legato direttamente al primo anticorpo, nel
metodo INDIRETTO l’ enzima viene legato all’ anticorpo secondario. Succede che l’enzima catalizza
la formazione di un precipitato colorato e solubile visibile al microscopio, nel sito specifico in cui è
avvenuta la reazione antigene-anticorpo.
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A seconda del tracciato enzimatico abbiamo le immunoperossidasi, immunofosfatasi o
immunoglucosidasi e così via, però in genere quello che si usa più spesso è l’immunoperossidasi.
Il CROMOGENO può essere di due tipi: 1) la DAB, che è un prodotto di ossidazione e ha una
colorazione bruna, è molto forte, si può anche conservare nel tempo; 2) un altro sistema di
colorazione è l’ AEC che fornisce una colorazione piuttosto rossa, è liposolubile, anche questa si
può conservare a lungo.
Mentre il cromogeno DAB non si consiglia molto perché cancerogeno, però basta neutralizzarlo
una volta fatta avvenire la reazione, l’ AEC invece non è cancerogena.
Riepilogando: l’enzima viene a contatto con il substrato, che con il cromogeno dà il prodotto
colorato che può essere messo in evidenza al microscopio.
L’immunoistochimica inizia già nel 1941 quando si cominciarono a fare già i primi lavori con
anticorpi marcati con la fluorescenza per poi avere nel 1966 gli anticorpi marcati con enzimi e
abbandonare la tecnica della fluorescenza.
[Questo è un esempio di quello che avviene con il metodo dell’AEC dove vedete questi quadratini
sono i complessi delll’ AEC, il concetto è sempre lo stesso: antigene, primo anticorpo, secondo
anticorpo che lega tutto il complesso e quindi con l’enzima e il cromogeno fa avvenire la reazione
e precipita il colorante]
PRINCIPALI MARCATORI IMMUNOISTOCHIMICI:
-oncofetali e tumore associati (CEA, AFP, B72)
-istocitospecifici (cheratina, vimentina, GFAP)
-linfocitari (CD4, CD8, ecc)
-di funzione (estrogeno, progesterone, cromogranina nei tumori neuroendocrini)
-trofoblastici (nei tumori dell’ovaio)
-virali
-enzimi correlati all’invasività (urochinasi)
-marcatori cinetici (ki67, PCNA, ciclina)
-prodotti oncogenici (c-erbB2, RAS, myc)
-fattori di crescita (EGF, FGF)
-prodotti genici oncosoppressori (p53, RB)
-indicatori di chemio resistenza (p170)
-fattori di trascrizione
Nell’immunoistochimica possiamo combinare le due colorazioni, usando sia la DAB che l’ AEC
[Questo è un esempio: vedete c’è il colore marroncino della DAB, il colore rosso dell’ AEC]
I pattern di colorazione possono essere: nucleari, citoplasmatici, di membrana ed extracellulari.
Un pattern nucleare potrebbe essere quello degli estrogeni, il ki67. ErbB2 è di membrana.
Possiamo avere anche marcatori per quanto riguarda i virus come per l’HPV, oppure per l’ H.Pylori.
[Vedete qui il virus è proprio all’interno della cellula e qui invece l’ Helicobacter è in superficie.
Ancora le citocheratine: abbiamo una vasta gamma di citocheratine, ad alto e a basso peso
molecolare: S100, actina, GFAP in un tumore cerebrale (l’astrocitoma);
La presenza di citomegalovirus in un paziente con una colite virale;
La cromogranina in un carcinoma neuroendocrino dello stomaco;
E questa invece è l’espressione del PSA in un carcinoma della prostata;
Ki67 in un linfonodo;]
Gli anticorpi monoclonali possono essere usati in alcune applicazioni diagnostiche e terapeutiche,
ma sicuramente ne saprete più di me, per cui andiamo avanti.
Una volta che abbiamo ottenuto la nostra colorazione, il vetrino in ogni caso deve essere
conservato, cioè non esposto all’aria, perché potremo avere che la fetta si secca, il colore si perde.
Ricordate che i nostri campioni devono rimanere in istituto per almeno 15 anni, quindi dobbiamo
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conservare il vetrino con un altro vetrino che copre la fetta (tipo sandwich) per cui abbiamo
colorato, dobbiamo toglierlo nuovamente dalla fetta e incamerare il tutto con un balsamo, quindi
nuovamente vengono effettuati dei passaggi di estrazione dell’acqua dalla fetta e poi si fa anche
un bagno in xilolo e poi con una goccia di balsamo, che serve a legare i due vetrini, si lascia
scivolare sul vetrino più grande (“porta”) un vetrino chiamato “copri”, il balsamo fa aderire i due
vetrini e si lascia asciugare. Il vetrino così fatto viene conservato. Se noi dobbiamo rivedere il
vetrino dopo un certo periodo di tempo le colorazioni continuano a mantenersi e anche
l’immunoistochimica può conservarsi per un certo periodo di tempo. Chiaramente l’osservazione
va al microscopio con i vari obiettivi 4x, 10x, 40x e 100x a seconda della ricerca.
Applicazioni dell’immunoistochimica
METASTASI NDD
È uno dei problemi più rilevanti; si tratta metastasi di natura indeterminata, di cui non é nota l'origine,
localizzate soprattutto a livello di linfonodi, fegato, midollo osseo e di cui il clinico non sa la provenienza,
ma sa che sono metastasi perché spesso è evidente un coinvolgimento sistemico importante. Il chirurgo
effettua un prelievo di queste lesioni e le invia al patologo per capirne l'origine, in quanto la terapia va
effettuata in base al tipo di tessuto.
CUPS: cancer of unknow primary site
Massa neoplastica evidenziata in una regione anatomica, di cui l'analisi istopatologica non conferma che sia
un tumore primitivo di quella regione anatomica. È quindi una metastasi di origine non nota.
Rappresentano il 2-3% di tutte le neoplasie che osserviamo ed interessano soprattutto gli anziani, con età
superiore ai 60aa.
Si sta osservando una riduzione dell'incidenza grazie al miglioramento della capacità diagnostica che
permette di effettuare più velocemente la diagnosi del tumore primitivo.
Sono di riscontro in corso di autopsia o come massa chirurgica rimossa con caratteristiche di malignità e il
cui esame istologico non corrisponde a quello di un tumore primitivo del sito di biopsia. Ovviamente
l'esame clinico-obiettivo, le indagini di routine e le altre indagini diagnostiche falliscono nell'individuare la
neoplasia primitiva.
Il 55 % delle volte si identifica il sito primitivo all’autopsia, nel 25 % dei casi nel corso della malattia, il 20 %
delle volte è oscuro anche all’autopsia.
L'approccio al paziente con CUPS deve essere multidisciplinare: sono necessarie tutte le informazioni
anamnestiche e strumentali per arrivare alla diagnosi, con il presupposto fondamentale che ci sia il
riscontro di una neoplasia metastatica confermata dall'istologia. Comprende:
- storia clinica ed esame obiettivo;
- esami biochimici, esami delle urine ed esami del gruppo oncofetale;
- diagnostica per immagini (RX del torace, TC total body con mdc, mammografia, scintigrafia ossea, ...);
- intervento del patologo
RUOLO DEL PATOLOGO: orientamento topografico, identificazione macroscopica, identificazione
microscopica-istologica, colorazione istochimica, tecniche immunoenzimatiche ed identificazione
molecolare.
Per quanto riguarda il criterio topografico: una metastasi puó localizzarsi a livello linfonodale per
via linfatica o a livello viscerale per via ematica. Quindi a seconda delle stazioni linfonodali lese ed
in base ad alcune caratteristiche del paziente, come età e sesso, ci sono delle neoplasie tipiche che
più frequentemente danno metastasi ad un determinato sito linfonodale.
Esempi:
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• Coinvolgimento dei linfonodi ascellari per melanoma, tumori del polmone e tumori della
mammella nella donna
• In un bambino con localizzazione a livello inguinale, possiamo pensare ad una patologia genitale,
ad un tumore di Wilms o un neuroblastoma. A livello inguinale in una donna possiamo pensare ad
una patologia specifica ginecologica o del tratto urogenitale.
• Coinvolgimento testa-collo per tumori del tratto aero-digestivo superiore, tumori della tiroide,
melanomi e linfomi di Burkitt nel bambino.
Le metastasi ematogene danno coinvolgimento viscerale:
• Cervello
• Ossa: tumore della prostata nell'uomo e della mammella nella donna
Altre metastasi linfatiche:
• Stazioni cervicali per carcinomi squamosi delle vie areo-digestive superiori (cavo orale, laringe),
carcinoma midollare della tiroide, tumori delle ghiandole salivari.
• Una condizione caratteristica è la Sindrome da tumore a cellule germinali extragonadiche: è una
neoplasia scarsamente differenziata con linfoadenopatia della linea mediana che si localizza a
livello del mediastino o polmonare. Solitamente interezza pazienti di età inferiore ai 50 anni e
viene sospettata per la rapida crescita e per la presenza di alfa-fetoproteina e beta-hcg.
• Il linfonodi di Troisier a livello sovraclaveare sinistro è sede di metastasi del carcinoma gastrico.
CARATTERIZZAZIONE ISTOLOGICA
La massa neoplastica va rimossa perchè vi possono essere delle caratteristiche d'aiuto come, ad
esempio:
1) COLORE
- Se io vedo una massa di colore giallo dorato, avete mai sentito di un tumore maligno giallo
dorato? Carcinoma a cellule chiare renale! RCC e anche carcinoma cistico a livello delle ghiandole
salivari oppure un tumore a cellule germinali.
- invece una metastasi di un colore scuro vi fa pensare a un melanoma
-colore rossastro: angiosarcoma (un tumore vascolare maligno)
2) Per quanto riguarda invece il TESSUTO, possiamo avere
-variegato, cioè nell'ambito della stessa superficie di taglio possiamo avere vari aspetti: tessuto
solido, cistico, necrotico, emorragico (i tumori a cellule germinali classicamente danno questo
aspetto) [qui il prof fa una domanda, ma non si capisce]
-carnoso=sarcoma
-mucoide=tumori gastrointestinali, dei tessuti molli con aspetto mixoide
3) CONSISTENZA
-dura=sarcomi
-oppure potremo avere calcificazioni (es. Carcinomi della tiroide) [il prof fa un'altra domanda, ma
non si capisce]
[IMMAGINI
questo è il rene e questo qui è un papilloma;
Questo qui invece è un melanoma = colore marrone scuro;
La lesione è questa, che vi sembra? Questo è un lobo, questo è un altro lobo, quindi? Tiroide!
Carcinoma papillare della tiroide e queste sono le calcificazioni;
Questo qui è un aspetto carnoso... Non si capisce;
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Questo aspetto qui è di tipo mucoide, è una massa neoplastica mucinosa: quando c'è scritto massa
neoplastica mucinosa è sempre un problema perché o è un primitivo o è una metastasi.]
Ed è un problema perché certe volte anche l’immunoistochimica può essere sovrapposta ed è difficile
arrivare alla diagnosi. Identificazione microscopica: una volta che abbiamo fatto la biopsia, dobbiamo
valutare le caratteristiche architetturali e citologiche, anche per indirizzare l’immunoistochimica (non si
possono fare tutti i marcatori) ed individuare il sito primitivo. Ad esempio, dal punto di vista architetturale,
potrebbe essere un organo ghiandolare, per esempio il polmone la mammella lo stomaco… È importante
anche il tipo di crescita ghiandolare, ghiandole piccole acinari in un uomo di una certa età possono far
sospettare la prostata. Dal punto di vista citologico, vediamo citoplasma… Interviene il prof: metastasi
addominale da carcinoma squamoso. Può essere da intestino? Sì, solo se il carcinoma sta nell’ano, perché lì
c’è epitelio squamoso.
Immunoistochimica. Dobbiamo distinguere una serie di istogenesi possibili:
• Neoplasie mesenchimali: esempio sarcomi vimentina + (positiva) CK (citocheratina)
prevalentemente – (negativa)
• Linfomi LCA + CD 20 + CD 3 + ecc.
• Melanoma S-100 + Melan A + HMB-45 +
• Neoplasie epiteliali CK +:
✓ CK più specifiche per gli epiteli ghiandolari (CK 20 + CK 19 + CK 8/18 +)
✓ CK più specifiche per gli epiteli pavimentosi squamosi stratificati (CK 4/5 + CK 10 +). Una
eccezione è rappresentata dal duodeno che comunque è un epitelio pavimentoso
stratificato che è positivo a CK 7 e 20
Proprio questi due marcatori (CK 7 e 20) sono estremamente utili nell’approccio iniziale ad una lesione di
origine sconosciuta, perché a seconda della loro espressione (+ -) possiamo fare un discernimento delle
possibili neoplasie.
Per esempio:
• CK 7 -/ CK 20+: colon retto e cellule di merkel
• CK 7-/ CK 20-: squamoso, prostata, rene, fegato
• CK 7+/CK 20-: polmone, ovaio, mammella, tiroide
• CK7+/CK 20+: tumori a cellule transizionali, ovaio
Polmone. 3 step successivi:
• Morfologia
• Immunoistochimica
• Biologia molecolare
TTF1 + p63 -/+ EGFR mut +
NSCLC (tumore non a piccole cellule del polmone) / adenocarcinoma
????
p63 + TTF1 - associati a EGFR mut NSCLC/ NOS ?????
Quindi i dati clinici e morfologici devono orientare l'immunoistochimica che a sua volta puó orientare la
biologia molecolare.
Due casi specifici:
1) donna di 60 aa con metastasi multiple epatiche evidenziate alla TC con mdc. La TC è negativa per tutto il
resto e ció ci dice che non c'è nessuna alterazione di rilievo.
La biopsia epatica rivela la presenza di cellule neoplastiche di tipo ghiandolare: un carcinoma ghiandolare
lobulare, cribriforme un po' solido con cellule atipiche cilindriche che infiltrano i lobuli epatici.
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Le ipotesi diagnostiche sono rappresentate da: epatocarcinoma (anche se solitamente si presenta solido o
pseudoghiandolare); k del colon, in quanto il fegato è la prima sede di metastasi; carcinoma della
mammella, in quanto donna; carcinoma del polmone e adenocarcinoma renale.
L'immunoistochimica rivela una positività a CK7 e CK19, CK20 è più negativo che positivo, CEA+ e tutto il
resto negativo.
Si tratta di ??????? Adenocarcinoma del colon???? DD colangiocarcinoma
Alla fine anche la TAC confermava che non era una metastasi ma una lesione primitiva.
2) maschio di 76 anni giunge al pronto soccorso con un quadro ?? rx diretta addome: occlusione
intestinale. Fa anche una TC total body che evidenzia un’intussuscezione del digiuno con diverse
masse polipodi stenosanti. Viene sottoposto a intervento chirurgico di resezione segmentale del
digiuno. A noi arriva questo, un campione di circa un metro. All’apertura presentava 23 masse
polipodi di varie dimensioni a larga base di impianto rivestite da mucosa. Allora il concetto qual è:
si può escludere la primitività …?
All’istologia vediamo aree solide cellule grandi con ampio citoplasma nuclei grossi atipici..
Secondo voi è primitivo? Sembra l’aspetto di un carcinoma intestinale? Quindi abbiamo escluso la
primitività già con la morfologia.
L’aspetto di queste cellule è? Epitelioide. Tumori con aspetto epitelioide: a parte gli epiteliali, GIST,
sarcomi epitelioidi, melanoma (tumore che possiamo trovare ovunque alla tiroide alla
lingua…inizialmente è buonissimo ma poi diventa cattivissimo…il melanoma)
Immunoistochimica: PanCK (pancitocheratina) + CD 10 + vimentina + wt 1 +  tumore epiteliale
carcinoma a cellule renali, probabilmente cellule chiare (infatti vi ho tenuto nascosto che alla tac
total body c’era una massa renale)
Tutto ‘sto casino per:
• La ricerca del sito primitivo occulto di una metastasi deve essere effettuata con la
collaborazione clinico-patologica
• La ricerca del sito primitivo potrebbe avere implicazioni prognostico-terapeutiche (pensate
al polmone)
• Una maggiore quantità di materiale biologico può aumentare la confidenza diagnostica per
il sito primitivo
• La ricerca IHC (immunoistochimica) deve essere guidata dai dati clinico-morfologici
• La biologia molecolare complementare quando gli altri approcci non risultano conclusivi
con tecniche di “molecular profiling” (gene profiling. PCR, microRNA, ecc.)
Linfonodo sentinella
È una tecnica applicata dai patologi insieme ai clinici e soprattutto ai chirurghi perché è molto
difficile da applicare. Parliamo in particolare del carcinoma mammario. Lo stato linfonodale
ascellare nel carcinoma mammario in fase precoce è uno dei fattori prognostici più importanti. La
dissezione linfonodale è un problema. Complicanze della dissezione: acute (necrosi ecc), croniche
(linfedema). Il linfonodo sentinella è il primo linfonodo che riceve la linfa dal tumore, è il più
probabile da riscontrare in caso di metastasi.
Indicazioni principali alla tecnica del linfonodo sentinella:
•
•
•
•
Diagnosi preoperatoria di carcinoma infiltrante
Cavo ascellare clinicamente negativo (non palpabile)
Carcinoma duttale in situ esteso per più di 3 cm e/o di alto grado
C4 (forse? non si sente bene)
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Controindicazioni:
• Multicentricità
• T4d/ infiammatorio (controindicato nel carcinoma infiammatorio)
• Tumori di diametro superiore a 3 cm (possibilità di metastasi linfonodale superiore al 60%)
• Gravidanza o allattamento
È positivo quando ci sono:
• Macrometastasi superiori a 2 mm (pN1)
• Micrometastasi comprese tra 0, 2 e 2 mm (pN1mi) (si vedono solo se l’esame istologico del
linfonodo è particolarmente accurato)
• Cellule tumorali isolate (ITC) bisogna considerarle N 0
La percentuale di recidive ascellari dopo il linfonodo sentinella è lo 0, 6 %
Nel 10-15 % dei casi si trovano i linfonodi positivi
Questo articolo ci dice che cambia poco tra chi ha fatto il linfonodo sentinella ed ha avuto la
dissezione e chi ha fatto solo il linfonodo sentinella. La rimozione chirurgica dei linfonodi ascellari
non migliora la prognosi
Altre indicazioni generali:
• Pazienti con coinvolgimento micrometastatico limitato pT1 e da 1 a 3 linfonodi coinvolti
possono fare anche soltanto la radioterapia che è equiparata alla DA (dissezione ascellare)
• Pazienti con più di 3 linfonodi metastatici devono essere sottoposti alla DA
Questo (?) noto patologo (?) nel ‘71 già ci diceva che le micrometastasi non danno molte
informazioni in più.
Il 75-85% dei pazienti presi in considerazione è tumor free e l'ulteriore 25% avrà un falso negativo
per limitazioni del campionamento e per la difficoltà di rilevazione.
La radioterapia, come si evince da questo articolo del 2011, fa scendere le recidive ad un tasso
dell'1-3%, con linfonodi negativi. La radioterapia ha un controllo migliore sui tumori T1 della
mammella con minori sequele per la paziente. Alcuni trial del 2011 e 2013 hanno confermato che
la rimozione chirurgica dei linfonodi ascellari non migliora la prognosi.
Il linfonodo escisso viene incluso in toto, anche quelli di piccole dimensioni, se possibile con
sezioni di 2mm l'una, sezionate lungo l'asse minore. Si usa esclusivamente paraffina ed è
sufficiente una singola sezione. Secondo quando detto dalle linee guida, l'immunoistochimica è
opzionale; se dall'esame delle sezioni non c'è tumore è consigliabile procedere ad un
approfondimento con EGCK (?) ad ampio spettro almeno su 3 sezioni a diversi livelli di taglio.
L'esame è esclusivamente ghestatico.Per il linfonodo sentinella con diametro inferiore a 3mm è
sconsigliabile l'esame intraoperatorio. Se si effettua l'esame intraoperatorio il linfonodo va
sezionato con le tecniche che abbiamo visto prima ed ha un basso rischio di falsi positivi, ma più
frequentemente di falsi negativi, perché non ha un'altissima sensibilità.
Qui al policlinico facciamo l'esame ibrido: arriva il linfonodo non fissato direttamente dalla sala
operatoria e al termine dell'esame intraoperatorio viene fissato in formalina, seguirà poi la
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diagnosi definitiva. Con l'analisi molecolare OSNA si fa una specie di pappetta del linfonodo
sentinella, quindi non si può più fare l'indagine istologica. Si possono fare fino a 4 linfonodi con la
risposta disponibile in tempi brevissimi (30minuti circa), si cerca la CK19 e i microRNA che vanno
da 250 a 5000 copie nell'mRNA delle micrometastasi, più di 5000 copie nelle macrometastasi.
Se io in una domanda d'esame, riguardo il linfonodo sentinella della mammella, vi chiedessi se è
utile un'estemporanea sul linfonodo di una paziente che ha un tumore di 5cm, cosa
rispondereste?
No. Bene.
Qual è il cut off? 13 mm in una paziente che non sia chiaramente metastatica.
L'approccio in seguito alla positività del linfonodo varia a seconda che siano cellule isolate o meno,
quindi micro o macro metastasi. Veronesi sta facendo uno studio sull'efficacia della dissezione
ascellare anche nelle pazienti che hanno un unico linfonodo macrometastatico e secondo lui non è
utile in questi casi.
Nel melanoma è diverso perché si deve effettuare dissezione linfonodale anche in caso di
positività per sole cellule singole. Anche la tecnica del linfonodo sentinella è diversa da quella della
mammella, in cui è possibile quale sarà il linfonodo (sempre nel tronco), invece nel melanoma la
sede è molto variabile. Anche in questo caso si fa l'immunoistochimica.
Vediamo ora la second opinion: paziente che non si fisa di uno specialista chiede una seconda
opinione, succede anche nell'anatomia patologica. Di solito non la chiede il paziente, ma il clinico
se è convinto che ci sia un errore diagnostico, nel caso ad esempio di tumori rari o perchè in
quell'ospedale le possibilità tecniche sono ridotte.
Cos'è un tumore raro? Un tumore con un numero di casi inferiore a 6x100.000 l'anno (testicolo,
sarcomi, linfomi).
700.000 pazienti su due rari hanno una sopravvivenza molto ridotta, a meno di 5 anni. Che cosa
sono i tumori rari? Tumori urogenitali, il tumore renale, testicolare, neuroendocrini, i tumori
endocrini in generale, i tumori del sistema nervoso centrale, i tumori squamosi del cavo orale,
quelli ematologici. È una categoria molto ampia che rappresenta il 22% di tutti i tumori
diagnosticati ogni anno. I tumori rari sono quelli che più frequentemente vanno incontro ad errore
diagnostico proprio perché l’esperienza è importante. E quindi quand’è che viene chiesta la
second opinion? Quando il tumore è raro ma non sempre, ma esistono anche tumori rarissimi.
Pensate al tumore della trachea, qual è secondo voi il più comune tumore della trachea? Un
carcinoma squamoso, tipico del fumatore, ma è rarissimo nella tachea. Però fare diagnosi di
carcinoma squamoso è abbastanza agevole. Quindi ci sono casi di tumori rari in cui la diagnosi è
agevole. Mentre in alcuni casi la diagnosi non è semplice. La second opinion però viene chiesta
non solo per i tumori rari, viene chiesta anche per i carcinomi della mammella e dell’intestino.
Qual è secondo voi una condizione in cui viene chiesta una second opinion per il carcinoma della
mammella? Prima di tutto una cosa che incide sulla terapia, quindi perché è necessaria la
valutazione dell’espressione dei recettori per gli estrogeni, progesterone, di HER2 e su questo ci
sono forti discussioni tra patologi perché esistono centri di riferimento che spesso sconfessano
diagnosi fatte in strutture periferiche. Poi esiste una problematica un po’ più rara, la valutazione
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dell’infiltrazione. Esistono carcinomi duttali che si presentano in situ che però presentano delle
micro infiltrazioni e queste micro infiltrazioni sono dibattute e chiaramente un paziente con micro
infiltrazione andrà trattato con chemio se quella micro infiltrazione non presenta recettori
estrogenici ma her2(?). Quindi, la micro infiltrazione è dibattuta e quindi oggetto di seconda
revisione perché chiaramente implica un trattamento diverso. La stessa cosa per i tumori
gastrointestinali, ad esempio secondo voi un polipo adenomatoso anche lì l’infiltrazione è oggetto
di seconda revisione perché il trattamento cambierà se c’è interessamento dell’asse vascolare o
della base che può essere sfuggito. Quindi, le second opinion possono essere chieste per tumori
rari ma anche per tumori comuni perché possono modificare l’approccio terapeutico. Però voi
pensate che i patologi lavorano in gruppo, il patologo è il primo a porsi il problema della diagnosi e
quindi a chiedere una seconda opinione. Quindi vedete che lo 0’5% dei casi che noi analizziamo, va
incontro a revisione e questo è molto più frequente laddove i patologi di una struttura sono pochi.
Ci stiamo avvicinando ad un’anatomia patologica settoriale in cui ognuno è esperto di alcune
patologia, così dovrebbe essere. Ma vedete che noi patologi siamo pochi. Allora un altro problema
è sicuramente la prostata. Abbiamo visto che valutare bene il grading della prostata significa
anche fare approcci terapeutici diversi. Ricordate per esempio la sorveglianza attiva senza nessuna
terapia? a quali pazienti si applica? Vi sono 3 criteri, uno legato al psa, il numero di biopsie positive
(ora si è arrivato a tre) e il gleason che deve essere inferiore o uguale a 6; inferiore a sei significa
che il grado è basso, se è sette già sforiamo. Anche in questo caso il controllo viene richiesto
perché magari uno di questi parametri è al limite e quindi il pz dovrebbe essere trattato
diversamente. Allora quali sono le cause di errore per il patologo? Le cosiddette cause maggiori
che rappresentano il 58%: una diagnosi di benignità che è maligna o viceversa, oppure una
diagnosi di istotipo errato. Le discordanze minor sono diagnosi che cambiano l’istotipo ma questo
non incide sul trattamento oppure sul cambio di grado. Per esempio fare diagnosi di carcinoma
duttale infiltrante della mammella con profilo di espressione dei recettori estrogenici e
progestinici con assenza di her2 e un ki67 bassa ( quand’è che è basso ? quado è inferiore al 14%)
viene rivisto da un secondo patologo e fa una diagnosi di carcinoma lobulare con espressione di
recettore di estroprogestinici, ki67 basso, secondo voi cambia l’approccio terapeutico per la pz?
Assolutamente no. Quindi, nonostante sia stato sbagliato l’istotipo, la pz verrà trattata allo stesso
modo. Questa è una casistica della mayo clinic e un articolo che dice che il 25% di pz che arriva al
jon hopkins riceve una diagnosi errata. E da uno studio è risultato che l’errore diagnostico era
legato soprattutto ai sarcomi. Su questa tabella vedete che in relazione ai sarcomi, diagnosi
originale di liposarcoma indifferenziato, emangioepitelioma vengono scambiati per tumori
benigni, oppure diagnosi inizialmente dati di carcinomi benigni vengono cambiati in maligni. E
comunque i sarcomi necessitano di accertamenti molecolari che richiedono strutture attrezzate,
come la fish, pcr , ecc. è chiaro che in mancanza, la diagnosi può essere sbagliata. L’ultima cosa,
questa è una revisione della concordanza delle varie strutture. Una è il Veneto. La discordanza
benigno/maligno, la maggior parte delle discordanze maior sono maligno vs benigno, ed è
altissima: 50%, addirittura tumori mesenchimali che in realtà non erano mesenchimali. Un altro
problema riguarda i gist perché la diagnosi di gist cambia radicalmente la prognosi del paziente, e
se la prognosi è esatta quel paziente può sopravvivere. Nelle due regioni francesi la concordanza
maggiore è del 48% e del 52%; in Veneto abbiamo un 70%, quindi la concordanza tra primo e
secondo patologo è del 70%. Questo perché in Veneto abbiamo uno dei più grandi esperti
mondiali di sarcomi che può essere un referente dei patologi locali. Però se andiamo a vedere il
numero di patologi in Veneto, verifichiamo che ci sono 25 patologi nelle strutture pubbliche ma
nessuno in quelle private. In Francia il numero dei patologi è maggiore e conseguentemente c’è
una maggiore concordanza.
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La patologia dei tessuti linfatici
Lezione 1.03.2016
Parliamo dell’esame. Bisogna sapere il significato di referto anatomo patologico. Bisogna capire e
saper correlare l’anatomia patologica alla clinica e bisogna capire quali esami prescrivere. Bisogna
conoscere il significato delle stadiazioni dal punto di vista clinico, diagnostico e terapeutico. Il
patologo rientra nella gestione clinica del paziente. In base alle indicazioni del patologo il paziente
seguirà un ben determinato percorso. Anche gli aspetti molecolari sono importanti. Per conoscere
significato e le caratteristiche della malattia ma soprattutto come deve essere trattata. Se c’è una
mutazione di b-raf nel melanoma il pz verrà indirizzato ad una terapia biologica mirata. Se un linfoma
presenta una traslocazione di myk sappiamo che è un linfoma particolarmente aggressivo. Quindi
sarà necessario subito fare diagnosi e sarà necessario indirizzare il pz verso la terapia il più presto
possibile.
Libri  Robbins/Gallo-D’Amati.
Esame  Scritto per selezionare + orale. Il prof vorrebbe fare una prova pratica ma quest’anno
tralascerà la cosa. Organizzerà però dei gruppi per delle ore di laboratorio.
Programma  Sarà girato su SunHope.
L’esame di anatomia patologica nasce dalle immagini. Fare un esame senza immagini diventa
difficile (es. cielo stellato di un linfoma di Burkitt). Il prof ha fatto fare anche disegni all’esame.
Domanda di una collega: “Per quanto riguarda lo scritto come sarà?” Prof:” A riposta multipla più
due domande a risposta aperta. Tra le 40 e le 50 in un ora.” Altra collega: “Ci saranno immagini?”
Prof: ”No! L’immagini ve le farò vedere all’orale.”
Iniziamo questa lezione con lo studio e la patologia dei linfonodi. Voi sapete dall’anatomia e
dall’istologia che gli organi linfoidi si suddividono in primari e secondari. Si chiamano primari gli
organi in cui avviene la maturazione iniziale dei linfociti. Sono il timo per quanto riguarda i linfociti
T e il midollo osseo per quanto riguarda i linfociti B. Gli organi linfoidi secondari sono quelli dove
vanno a risiedere i linfociti parzialmente maturi e dove avviene la risposta immunitaria che voi avete
studiato e che sapete sicuramente meglio di me. Sono i linfonodi, la milza, l’anello di Waldeyer che
si trova nella faringe, i noduli linfoidi dell’intestino e il tessuto linfoide che si trova a livello
dell’apparato genitale e respiratorio.
Quand’è che un linfonodo è patologico? Un linfonodo quanto misura normalmente? Un linfonodo
normale ha solitamente un diametro massimo di 1-2mm. Incomincia a diventare patologico quando
supera questo limite che è di 1-2mm si parla di linfoadenopatie sub-centimetriche quindi inferiori al
centimetro.
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Il linfonodo diventa assolutamente patologico quando supera l’1 cm di diametro. Particolarmente
patologico è quando supera i 2cm. Ricordate però che i linfonodi che normalmente si palpano
(cervicale, inguinale e ascellari) sono normalmente più grandi del normale e possono arrivare anche
a 8mm e a 1 cm (questo avviene particolarmente nel bambino). Mentre esistono linfonodi che sono
piccolissimi infatti non si apprezzano mai se non in condizioni patologiche. Questi sono i
retroauricolari, gli epitrocleari, i sovraclaveari, i poplitei, gli addominali e i mediastinici. I linfonodi
sono raccolti in stazioni che sono distinte in superficiali e sono palpabili sempre in condizioni
patologiche e poi abbiamo quelli profondi. Quelli superficiali sono i clavicolari, sopranucali,
sottomandibolari, laterocervicali, inguinali, ascellari; mentre quelli profondi sono quelli del
mediastino e dell’addome e quelli dello scavo pelvico.
Come è fatto un linfonodo? Ricordiamo la struttura a fagiolo in cui si distingue un ilo rivestito da una
capsula fibrosa. Questi linfonodi abbiamo detto che sono organizzati in gruppi che sono le stazioni
linfonodali. Le stazioni sono molto importanti perché la localizzazione di una patologia in uno di
questi linfonodi implica la rapida diffusione negli altri linfonodi. All’interno il linfonodo contiene
cellule immunologicamente attive che sono fondamentalmente i macrofagi e i linfociti nonché
cellule stromali che hanno una funzione di supporto molto importante. Sapete che al linfonodo
arrivano i vasi afferenti alla capsula e portano la linfa nel cui contesto si trovano le cellule
dell’infiammazione ma anche antigeni e che dall’ilo del linfonodo vasi efferenti, vene e arterie che
sono fondamentali per l’irrorazione. Questa è la struttura istologica di un linfonodo che ricordate
bene. Cosa distinguiamo? Questa zona che sta subito sotto la capsula e presenta questi nodi prende
il nome di zona corticale. La zona corticale è costituita da follicoli che possono essere primari e
secondari. Poi li vedremo. Tra i follicoli c’è la zona paracorticale che è una zona T dipendente perché
contiene prevalentemente linfociti T in vari strati di maturazione. Mentre la corticale è costituita da
linfociti B. E poi abbiamo tutto il sistema dei seni che va dal seno sotto capsulare, seno parenchimale
e arriva fino al seno midollare. La corticale è una zona B dipendente costituita da linfociti B in vari
stati di maturazione in relazione al contatto con gli antigeni e nella zona corticale si distinguono i
follicoli primari che sono quelli non attivi quelli che mancano del centro germinativo e i follicoli
secondari che invece presentano il centro germinativo. Il centro germinativo vi ricordo è questa area
al centro più chiara nell’ambito nel nucleo linfoide. La presenza del centro germinativo indica che
nel linfonodo è avvenuto il contatto con l’antigene che sta evocando una risposta immunitaria e
quindi sta selezionando i linfociti adatti per rispondere a quell’antigene. Quindi nel follicolo nella
regione corticale distinguiamo le cellule cosiddette vergini (naive) che vanno a collocarsi nei follicoli
primari e nella corona dei centri germinativi dei follicoli secondari e sono quelli che non hanno mai
avuto il contatto con l’antigene. Il contatto con l’antigene adeguato determina tutta una risposta
proliferativa della cellula immatura per cui il linfocita entra nel centro germinativo matura in
centrociti/centroblasti e arriva alla maturazione completa che è la plasmacellula che è la cellula
effettrice della risposta immunitaria umorale perché produce anticorpi adatti contro l’antigene.
Però questo lo vedremo anche successivamente. Ovviamente la presentazione dell’antigene
avviene grazie a molecole di supporto che sono fondamentalmente macrofagi. In queste immagini
abbiamo la rappresentazione della zona corticale in cui distinguiamo dei follicoli primari senza
centro germinativo quindi sono nuclei di cellule di piccole dimensioni che non sono venute a
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contatto con l’antigene e follicoli secondari che sono un po’ più grandi hanno un centro germinativo
cioè un nodulo all’interno più chiaro nel contesto del follicolo. Quindi abbiamo un centro
germinativo all’interno di un follicolo secondario e un centro germinativo un po’ più piccolo
all’interno di questo follicolo un po’ più piccolo. Poi abbiamo la paracorticale. La paracorticale
abbiamo detto che è la zona T dipendente dove si trovano linfociti T in vari stadi di maturazione
prevalentemente T helper che esprimono CD4. E poi abbiamo altri elementi importanti questi vasi
a endotelio alto. Questi elementi sono molto importanti perché in caso di linfoma o processo
linfoproliferativoi linfomi T che insorgono nella para corticale sono sempre accompagnati da vasi ad
endotelio alto. Quindi diciamo che l’iperplasia di questi vasi può essere patognomonica e di aiuto
nella diagnosi di linfoma T. La diagnosi di linfoma è una diagnosi molto complessa. Voi immaginate
che l’anatomo patologo sia una persona che sa tutto in realtà esistono due scuole di pensiero sul
ruolo dell’anatomia patologica. Esiste la scuola inglese anglosassone americana che dice che il
patologo deve essere specializzato in un settore e quindi esistono patologi che sanno tutto di linfomi
ma niente di mammella. E poi esiste la scuola tedesca che dice che il patologo deve saper vedere la
maggior parte delle patologie più comuni però comunque si deve sotto-specializzare. Un poco come
la medicina interna anche in anatomia patologica abbiamo le sotto specializzazioni. Per quanto
riguarda i linfomi, i tumori dei tessuti molli e delle ossa e il SNC la specializzazione è obbligatoria
perché più se ne vedono più se ne ha competenza. Il patologo che non ha mai visto un linfoma avrà
molte difficoltà a fare la diagnosi corretta di linfoma quindi molto spesso si ci avvale di patologi con
molta esperienza e di centri specializzati. Al Pascale ho vissuto nella prima fase la fase
dell’onniscienza e nella seconda fase la fase della sotto specializzazione. Tutto questo ha dei pro e
dei contro. Chiaramente un patologo esperto di un campo saprà dare la risposta migliore sarà
aggiornatissimo su quel settore però probabilmente avrà problemi a fare diagnosi di patologie
magari anche comuni e banali. Comunque la diagnosi di linfoma è una diagnosi complessa e non la
si può affidare al primo patologo che si conosce perché è una diagnosi che richiede una certa
esperienza. Questi sono delle immagini istologiche che riguardano la zona paracorticale dove vedete
degli elementi di dimensione diversa (grandi/piccoli). La dimensione è molto importante nelle
lesioni linfoproliferative. Ve l’ho detto anche nel primo semestre. Il nostro parametro di riferimento
è sempre il piccolo linfocita che ha una dimensione di 7 micron. Quindi una cellula piccola è una
cellula che ha queste dimensioni, 7 micron. Una cellula grande è una cellula che ha dimensioni
almeno del doppio 14/20/30 micron. Nella caratterizzazione di un linfoma è molto importante dare
un riferimento delle dimensioni delle cellule perché molto spesso la dimensione della cellula si
correla all’aggressività del linfoma. Più la cellula è grande più il linfoma è aggressivo. Qui abbiamo
ancora immagini della paracorticale dove prevalgono le cellule piccole però ci sono anche delle
cellule un po’ più grandi e ci sono soprattutto questi vasi ad endotelio alto. Questa cos’è? È un
immagine di immunoistochimica. Ricordate l’immunoistochimica? L’immunoistochimica è una
metodica molto usata in anatomia patologica che consente di identificare degli antigeni particolari
di una determinata struttura cellulare a livello cellulare o subcellulare pure sulla membrane o nel
citoplasma. Questo è un marker CD31 che è un marker specifico delle cellule endoteliali. E vedete
che questo ci mette in evidenza un piccolo vaso che ha però un endotelio particolarmente alto.
Questo è indicativo del fatto che siamo nella zona paracorticale che è rappresentata oltre che da
linfociti di diversa dimensione anche da questi vasi ad endotelio alto. E poi abbiamo il sistema dei
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seni in cui si trovano plasmacellule, macrofagi, linfociti, detriti cellulari, antigeni e la cosiddetta linfa.
La linfa viene drenata da vasi afferenti che vanno a costituire i seni sottocorticali che si trovano sotto
la capsula fibrosa che poi passano nei seni corticali, poi nei seni midollari e poi escono dal linfonodo
attraverso il vaso efferente. Questo è il contenuto di un seno dove si distinguono delle cellule che si
chiamano plasmacellule. Sono delle cellule un po’ più grandi dei linfociti normali. Hanno l’aspetto
molto particolare hanno un citoplasma eosinofilo , rosa, e un nucleo un po’ eccentrico spostato su
di un lato della cellula. Ci sono anche piccoli nucleoli. La cromatina è dispersa. Questo fatto della
cromatina dispersa o addensata ha un importanza fondamentale nella valutazione delle neoplasie.
Perché quando è dispersa cosa significa? Significa che la cellula è metabolicamente attiva quindi ha
tutto il genoma aperto in modo che le trascrittasi possano agire. Molto spesso la cromatina dispersa
è tipica di tumore perché le cellule sono metabolicamente attive. La dispersione della cromatina
rende visibili i nucleoli. Ricordate essere i nucleoli zone di assemblamento del RNA ribosomiale.
Anche i nucleoli sono indici di particolare attività metabolica delle cellule. Quindi abbiamo poi la
zona midollare che abbiamo detto raccoglie la linfa dei seni corticali e qui arrivano anche i vasi
arteriosi e da qui partono i vasi venosi. L’ontogenesi dei linfociti B. Parliamo un po’ di quello che
succede nella maturazione dei linfociti B in relazione alla morfologia dei linfonodi. Vi ricordate che
la maturazione dei linfociti B avviene nel midollo. Nel midollo avviene la maturazione dove troviamo
dei precursori che migrano attraverso i sistemi vascolari nei linfonodi. Quindi la cellula che entra nel
linfonodo è una cellula cosiddetta naive che non ha avuto nessun contatto con antigeni e quindi è
una cellula matura dal punto di vista della stimolazione antigenica. Questa cellula va a colonizzare
nel linfonodo quelli che sono i follicoli primari che sono costituiti da piccole cellule che sono appunto
queste cellule naive, oppure vanno a colonizzare la corona direttamente esterna al centro
germinativo. Questa zona è detta zona mantellare. La cellula naive è una cellula che non ha avuto
contatto con l’antigene. L’antigene sapete che arriva al linfonodo in modo libero o legato a molecole
presentanti l’antigene e va a legarsi alla cellula naive con maggiore affinità. Se quella cellula naive
ha un affinità particolare per l’antigene inizia a proliferare. Proliferando muta. Abbiamo
l’ipermutazione somatica che è tipica di queste cellule che garantisce una maggiore variabilità delle
catene pesanti e leggere delle immunoglobuline e quindi una maggiore possibilità di legare
l’antigene. Quindi la cellula che viene in qualche modo attivata prolifera ed ipermuta.
L’ipermutazione somatica è uno dei criteri che garantisce la variabilità delle zone variabili delle
immunoglobuline e quindi adegua l’anticorpo all’antigene. Questa cellula prolifera nel centro
germinativo dove la maggior parte delle cellule morirà perché per alcune questo legame con
l’antigene è molto efficace mentre per altre è poco efficace. Quelle che hanno un legame poco
efficace moriranno in quanto andranno in contro ad apoptosi naturale. Mentre alcune di queste
matureranno ancora di più diventeranno cellule della memoria o plasmacellule e produrranno
anticorpi efficaci contro l’antigene. Questo giusto per ricordare un po’ quello che succede. Ricordate
che le dark zone dei linfonodi sono le zone mantellari e i follicoli primari perché sono costituite da
cellule naive vergini che quindi non hanno mai avuto nessun contatto con l’antigene. Il centro
germinativo è invece costituito da cellule che ipermutano e che vanno in apoptosi nella maggior
parte dei casi. Mentre le cellule che producono gli anticorpi più efficaci si trovano nella paracorticale
e nei seni. La cellula una volta matura esce dai centri germinativi e inizia a migrare verso i seni dove
produce immunoglobuline efficaci che entrano nel circolo e vanno ad agire nella zona dove è
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presente l’antigene. Anche per i linfociti T si può parlare di linfociti T vergini che non hanno mai
avuto alcun contatto con l’antigene e si trovano nella zona T. Il contatto efficace con l’antigene
rende mediante l’ipermutazione il TCR più adeguato al legame con l’antigene. Quindi l’antigene
ricordate arriva al linfonodo legato o non legato a APC attraverso vasi afferenti e nel linfonodo nelle
corticali e nelle paracorticali avviene la maturazione. Cosa succede a livello dei recettori. Quando
parliamo di recettori ci riferiamo al TCR e al BCR che sono i recettori di superficie rispettivamente di
linfociti T e B. Il BCR è anche il precursore delle immunoglobuline. Cos’è il BCR? (il TCR è simile) E’
costituito da due catene pesanti e due catene leggere (k e λ). Il riarrangiamento è un meccanismo
anche questo che porta alla grossa variabilità genica dei linfociti.Determina durante la maturazione
dei linfociti l’accostamento regioni del genoma normalmente lontane. Questo perché nella
maturazione questi si avvicinano e producono una catena pesante e leggera che va poi ad
assemblarsi nel BCR. Lo stesso accade per il TCR. Ricordate che il riarrangiamento delle catene H
avviene già nelle cellule immature a livello midollare mentre quello delle catene leggere avviene un
po’ più tardivamente. Questo è molto importante sempre per identificare i linfomi e nello specifico
per vedere se le cellule sono monoclonali o policlonali. Ricapitoliamo come sono fatti i BCR ovvero
le immunoglobuline. Abbiamo 2 catene pesanti e 2 catene leggere che sono codificate da geni
diversi. Ovviamente la maturità e l’espressione di queste catene avvengono solo quando sono
avvenuti i cosiddetti riarrangiamenti di quelle regioni lontane variabili e costanti delle
immunoglobuline che con la giustapposizione consentono la codificazione dell’intera catena
pesante o leggera. Quindi un es. l’IgH che si trova sul cromosoma 14 (ricordatevelo bene!!!). Il gene
è costituito da regioni costanti che codificano per diversi isotipi. Poi abbiamo zone di collegamento
che sono D e J e poi abbiamo le zone variabili. Nel riarrangiamento genico cosa succede a livello del
midollo? Si ha un riarrangiamento delle regioni J con le regioni D. Si perdono delle porzioni di
cromosoma in modo da avvicinare D a J. Ricordate che sono 15 famiglie per D e 6 famiglie per J
quindi la variabilità (possibili combinazioni) è molto ampia. Poi abbiamo un ulteriore
riarrangiamento che avviene tra il segmento DJ ad uno dei segmenti V che sono almeno 8 famiglie.
Abbiamo il segmento VDJ (importante per la clonalità). La neoplasia è una neoplasia perché è
clonale. Le cellule tumorali derivano da una singola cellula. Nei linfociti normali c’è grossa variabilità
già in questo segmento VDJ. Un linfocita che produce il BCR avrà una grossa variabilità in questo
riarrangiamento in quanto le combinazioni VDJ sono tantissime perché le famiglie sono tante 8-156. Poi abbiamo che il riarrangiamento non avviene in modo omogeneo in tutte le cellule. Tra V, D e
J esistono dei segmenti di basi nucleosidiche variabili. Questi segmenti interposti tra VDJ sono di
ampiezza variabile. Da ciò si desume che una popolazione linfocitaria policlonale dove tutti i linfociti
sono diversi uno dagli altri a causa del riarrangiamento e a causa delle interposizioni di nucleotidi
presentano un segmento VDJ di lunghezza variabile. La variabilità delle famiglie VDJ è una variabilità
anche in termini di lunghezza. Questi segmenti sono diversi da cellula a cellula. La popolazione
policlonale è fatta da cellule diverse con lunghezze diverse di VDJ. Quando ci troviamo di fronte ad
un linfoma quindi questo è un problema che si pone per differenziare una iperplasia reattiva
linfonodale e un linfoma di basso grado come un linfoma follicolare in cui in tutte le cellule
neoplastiche il segmento VDJ è uguale in tutte le cellule e noi possiamo identificare quella
popolazione come popolazione monoclonale soltanto perché la lunghezza VDJ è uguale in tutte le
cellule di quel linfonodo. Poi vi ricordate, oltre a questa maturazione del VDJ che avviene già nel
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midollo, che abbiamo una maturazione successiva a livello linfonodale: la cosiddetta variabilità
somatica dovuta all’ipermutazione somatica. Abbiamo detto che quando una cellula viene a
contatto con l’antigene andava incontro ad una mutazione del segmento variabile che adeguerà
maggiormente il recettore all’antigene.
Ora ritorniamo un attimo alla clinica: abbiamo detto che i linfonodi patologici sono linfonodi che
hanno dimensioni superiori a 1 cm (patologico non significa neoplastico, ma può essere espressione
di un’infiammazione, una infezione del cavo orale). Da un punto di vista epidemiologico, quando c’è
una linfadenopatia nelle persone adulte con più di 40 anni, il rischio di tumore è del 4%, mentre
nelle persone più giovani il rischio è più basso e le infezioni sono molto più frequenti e quindi la
linfadenopatia è spesso espressione di un processo infiammatorio esuberante.
Quando è che parliamo di linfadenopatia localizzata? Quando c’è una sola stazione interessata;
mentre è detta generalizzata quando ci sono 2 o più stazioni coinvolte. Da un punto di vista
neoplastico è più complicata la situazione in cui è presente la generalizzata (ricordate che nel 90%
dei casi di linfadenopatia localizzata lo starter è un processo infiammatorio).
Quali sono i meccanismi patogenetici delle linfoadenomegalie? Allora esistono condizioni
intrinseche al linfonodo (e sono le più frequenti) e possiamo avere una espansione delle componenti
che normalmente costituiscono i linfonodi, quindi un aumento dei linfociti o degli istiociti che può
essere neoplastico o fisiologico. La proliferazione delle componenti può essere di natura infettiva o
autoimmunitaria con espansione delle aree B e della corticale o paracorticale. Ancora un ingorgo
linfatico quindi una compressione dei linfatici, infatti la compressione di un linfatico efferente
determina una linfoadenomegalia con aumento del volume dei seni. Esistono poi le condizioni
estrinseche pertanto il linfonodo viene colonizzato da cellule che normalmente non fanno parte del
linfonodo. La colonizzazione può essere da polimorfonucleati come nelle linfadeniti ascessualizzate
(normalmente i PMN non si trovano e quando ci sono degli ascessi linfonodali questi sono dovuti a
fatti batterici e si hanno linfadeniti batteriche con un numero aumentato di granulociti) oppure,
nella condizione neoplastica, il linfonodo viene colonizzato da cellule leucemiche che vengono dal
midollo oppure, nel caso di metastasi, le cellule vengono da tumori solidi.
Oltre che in base al meccanismo patogenetico, le linfoadenomegalie vengono anche classificate, in
base alla natura del processo, in reattive (90% dei casi) e sono quelle parafisiologiche dovute a
infezioni e infiammazioni (per lo più l’infiammazione è di natura infettiva, poi può essere metabolica,
tossi-medicamentosa o aspecifica) e neoplastiche che sono sia tumori primitivi come i linfomi sia
metastasi e leucemizzazioni. Delle infettive distinguiamo quelle che possono essere virali,
batteriche, micotiche o protozoarie, ma quelle che creano problemi di diagnosi e che spesso
richiedono l’asportazione del linfonodo per sospetto neoplasia anche se non lo è, sono le
mononucleosi infettive da EBV che determinano uno dei quadri clinici più importanti in termini di
linfoadenomegalia laterocervicale anche con angina e problemi di deglutizione, così come anche le
infezioni da CMV in pazienti immunodepressi. Le linfadeniti batteriche sono spesso ascessualizzate
come abbiamo detto prima. Tra i protozoi ricordiamo il Toxoplasma Gondii che da
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linfoadenomegalie particolari anche dal punto di vista istologico con problemi di diagnosi
differenziale coi linfomi.
Quindi quando ci troviamo di fronte ad un paziente con linfoadenomegalia non sospettiamo subito
un linfoma, ma dobbiamo valutare tutta una serie di patologie infettive che danno
linfoadenomegalie importanti come, ripetiamo, la toxoplasmosi, la mononucleosi, la TBC (anche se
soprattutto in passato, oggi soprattutto nei paesi africani). Quindi effettuiamo subito un esame
clinico con palpazione per valutare la consistenza dei linfonodi, se sono soffici o solidi, dolenti o non
dolenti (quelli dolenti sono i meno preoccupanti) al fine di verificare quindi la presenza di una
patologia infettiva, effettuiamo una RX torace per la TBC e in ultima analisi si passa all’esame del
linfonodo. L’ago aspirato nel linfonodo ha un ruolo molto relativo poiché, quando parliamo di
processi proliferativi neoplastici come i linfomi, abbiamo anche bisogno di sapere l’architettura del
linfonodo e voi sapete che la citologia mediante ago aspirato non ci da diagnosi certa. Pertanto, in
caso di sospetto di linfoma, dopo aver escluso tutte le cause, va fatta la biopsia o l’asportazione per
valutare l’architettura. L’ago aspirato può avere un ruolo in caso di sospetta metastasi quando
abbiamo un paziente con una neoplasia solida poiché nell’aspirato troveremo cellule epiteliali di
mammella o polmone (a seconda del tumore primitivo).
Sapete che le stazioni superficiali sono quelle più facilmente identificabili, anche il paziente può
autopalparle, mentre quelle più problematiche sono quelle profonde, quelle mediastiniche e
addominali. Nel caso delle mediastiniche vi possono essere sintomi da compressione (sindrome
mediastinica) che possono portare a morte il paziente indipendentemente dal tipo di linfoma, quindi
in questi casi la diagnosi deve essere fatta rapidamente e bisogna intervenire d’urgenza.
Gli organi secondari sono milza e timo. La milza è costituita da una polpa rossa e una bianca. La
polpa bianca simula la struttura di un linfonodo, troviamo follicoli con o senza centri germinativi.
Il prof fa vedere l’immagine di un linfonodo, di grosse dimensioni, con aspetto nodulare, che può
essere un linfonodo iperplastico o un linfoma.
LINFOADENOMEGALIE REATTIVE: i compartimenti espansi sono diversi. Nel caso delle infezioni in
generale si può avere un’espansione sia della corticale (i puntini neri sono i follicoli espansi) sia della
paracorticale. Però esistono situazioni in cui può prevalere l’espansione dell’una o dell’altra.
Nell’infezione da AIDS prevale l’espansione della corticale, mentre in alcune linfadeniti virali prevale
l’espansione della paracorticale. Quindi bisogna valutare se l’architettura del linfonodo è sovvertita
(cioè se sono alterati i rapporti tra la corticale e la paracorticale) oppure, se l’architettura è
conservata, valutare se c’è un’espansione della corticale o della paracorticale. Quindi queste prime
informazioni ci aiutano a identificare l’agente eziologico.
Il centro germinativo del linfonodo è un’area più chiara all’interno del follicolo in cui ci possono
essere cellule di piccole dimensioni e cellule molto voluminose (volume doppio-triplo rispetto al
volume dei linfociti). Altro aspetto del centro germinativo è la presenza dei macrofagi, chiamati
pingiball bodes (???), si presentano come macchie con all’interno dei detriti. Ciò significa che
all’interno del linfonodo è molto attiva l’apoptosi, le cellule muoiono e i macrofagi le fagocitano. Si
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formano queste macchie con all’interno detriti cellulari (???) (aspetto a cielo stellato nel linfoma di
burkitt).
Nel follicolo secondario c’è il centro germinativo. La corona che sta subito a ridosso del centro
germinativo si chiama zona mantellare che è costituita da cellule in parte naive in parte cellmemoria. In periferia c’è la zona marginale prevalentemente costituita da cellule della memoria.
Quindi ricapitolando il centro germinativo contiene cellule attivate, mantello esterno contiene
cellule naive/cell-memoria e zona marginale che contiene solo cell-memoria. Quindi le cellule naive
le troviamo solo nel follicolo secondario.
All’interno del centro germinativo troviamo diversi tipi di cellule:
1. CELLULE B ATTIVATE:
• Cellule incise (di piccole o grandi dimensioni) che si chiamano centrociti.
• Cellule non incise di grandi dimensioni che si chiamano centroblasti.
2. Macrofagi (pingiball bodes)
Spesso nel centroblasto sono presenti grossi nucleoli. Per cellula incisa si intende una cellula con
nucleo irregolare (caratterizzato da incisioni), mentre nel centroblasto (cell non incisa) il nucleo è
rotondeggiante.
IMMUNOISTOCHIMICA
Il marker più utilizzato come markerB è il CD20, che veniva chiamato marker panB perché va a
marcare tutte le cellule B, in tutti gli stadi maturativi, tranne che nelle plasmacellule.
CD10, utilizzato per evidenziare la presenza dei centri germinativi.
BCL6, anch’esso specifico del centro germinativo.
BCL2, marca tutte le piccole cellule, naive o non-naive, la zona mantellare e la zona marginale, ma
non marca il centro germinativo. (Bcl è una proteina antiapoptotica, che blocca la cascata delle
caspasi. Nel centro germinativo l’apoptosi è molto marcata, perché le cellule devono morire, quindi
la bcl2 non è espressa. La bcl2 è espressa solo nelle cellule naive e nelle cellule della memoria che
invece devono resistere alla morte.
CD68 è invece il marker dei macrofagi e quindi marca tutti i pingiball bodies.
Nel centro germinativo esiste una zona più scura. Quando vedete una zona scura in un preparato
istologico vuol dire che lì ci sono molte cellule e quindi molti nuclei che di colorano con ematossilina.
Questo, dal punto di vista istochimico si rileva anche con l’indice della proliferazione(nomina un
marker della mammella, dovrebbe essere ki67). È un marker molto importante in anatomia
patologica perché indica la proliferazione cellulare. Marca le cellule che si stanno preparando per la
mitosi, quelle in fase S, quelle in fase mitotica e quelle in fase G2. Quindi marca tutte tranne quelle
in G0. Il centro germinativo è pieno di cellule che proliferano. La zona chiara e la zona scura
corrispondono rispettivamente a zona in cui non c’è proliferazione e zona in cui c’è. All’ esterno del
centro germinativo ci sono le cellule del mantello che sono costituite da cellule naïve e della
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memoria poi esternamente abbiamo la zona marginale che contiene solo da cellule della memorie.
Nella zona marginale e mantellare abbiamo cellule di piccola taglia(7-10 micron) e nella zona
mantellare si possono osservare cellule CD5 positive(che normalmente è un marker T cellulare ma
è espresso anche dalle cellule del mantello) e questo sarà utile per la diagnosi di alcuni tipi di
linfoma, come il linfoma mantellare. Il mantello è una corona a filiera attorno al centro germinativo
e sarà positivo per il CD20, il CD5 e BCL2. Sempre nella zona marginale le cellule possono assumere
un aspetto morfologico caratteristico: sono molto grandi, i nuclei sono piccoli ma i citoplasmi sono
molto grandi. Questo è l’aspetto monocitoide che è tipico della zona marginale e si trova in alcune
linfoadenopatie reattive come la toxoplasmosi. Gli immunoblasti precorrono le cellule plasmocitoidi
e le plasmacellule e si trovano anch’essi nella zona paracorticale e come tutti i blasti sono anch’esse
cellule molto voluminose, hanno le dimensioni che sono almeno il doppio o il triplo di un linfocita
normale (colorazione GIEMSA in cui la cromatina è dispersa e c’è un grosso nucleolo-che talvolta
raggiunge le dimensioni di un linfocita-, indice di attività metabolica dell’immunoblasto che produce
immunoglobuline- nel preparato istologico ci serve sempre un punto di riferimento per valutare la
grandezza di ciò che vediamo, per questo andiamo a ricercare un linfocita o un globulo rosso di cui
sappiamo le dimensioni)
Le espansioni della paracorticale sono spesso dovute a infezioni virali. Il marker tipico del linfocita T
è il CD30, proteina di membrana associata al TCR. Marca le cellule T in qualsiasi stato proliferativo,
per questo veniva chiamato pan T. Il CD4 è specifico della T helper, presente nella paracorticale. Il
CD8 è meno numeroso. In qualsiasi tessuto il rapporto CD4:CD8 deve essere 3/4:1. Le venule ad
endotelio alto hanno il marker CD34 endoteliale. LA midollare può essere espansa per vari motivi.
Le plasmacellule sono CD138 positive.
La biopsia linfonodale è una indicazione in quelle situazioni in cui la linfoadenomegalia non è
giustificata da situazioni infiammatorie o infettive note ed è sospetta di linfoma. Viene fatta anche
per la stadiazione del linfonodo sentinella e anche per il monitoraggio di linfomi. Però importante
per il patologo è avere notizie cliniche accurate (per i linfomi è importante la descrizione clinica delle
stazioni linfonodali). La sede della biopsia deve essere idonea: esistono linfonodi che non sono
molto utilizzabili per la diagnosi di linfoma, ovvero gli ascellari e gli inguinali, in particolare gli
inguinali che sono molto fibrotici( se sono gli unici disponibili si effettua la biopsia, ma è sempre
meglio evitare). Si può anche evitare di fare l’escissione completa del linfonodo ed effettuare solo
una biopsia, ma la quantità di materiale deve essere tale da poter valutare la distribuzione delle
zone corticali e paracorticali, quindi asportare in toto è sempre meglio.
Noi, per lo studio di linfoadenomegalie e linfomi, ci avvaliamo di diverse tecniche: Studio della
morfologia tradizionale(istologia classica, istochimica, immunoistochimica sfruttando i marker
espressi dalle cellule normali e patologiche), tecniche particolari (come la FISH che ci consente di
identificare eventuali traslocazioni particolarmente presenti in leucemie e linfomi) oppure possiamo
fare analisi di DNA. La citologia non è idonea per fare diagnosi di linfoma perché normalmente il
linfonodo è costituito da cellule che possono sembrare atipiche ma vanno contestualizzate
all’interno dell’architettura linfonodale. Le linfoadenopatie possono essere di varia natura:infettive,
non specifiche (cioè con espansione della corticale e della paracorticale ma senza elementi che ci
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indicano l’agente infettivo che le ha determinate). In alcuni casi è possibile risalire all’agente
infettivo e questo succede in particolare nelle linfoadeniti granulomatose(se si ha necrosi la prima
cosa che si sospetta è tubercolosi, ma la certezza si ha solo se si fa colorazione ziehlneelsen). Le
granulomatose possono essere anche da corpo estraneo. Altri granulomi necrotizzanti sono dovuti
a bartonella ( cat scratch disease), che ha aspetto serpiginoso , e linfogranuloma venereo dovuto
alla clamidyatrachomatis che determina delle micro ulcerazioni a livello delle mucose peniena,
vaginale ecc. e può essere drenata ai linfonodi determinando linfoadenopatie importanti che
possono anche ulcerare la cute e l’aspetto che si vede all’istologia è questa grande area di necrosi
centrale che può sforare al di fuori della capsula e arrivare appunto alla cute. Un’ altra linfoadenite
non necrotizzante molto tipica è la sarcoidosi(probabilmente di origine immunologica, ma non si
conosce la causa) che dà granulomi ben delimitati all’interno del tessuto linfoide (granulomi
incassati). Corpi asteroidi e corpi di schaumann che si trovano negli istiociti della sarcoidosi e sono
delle lamelle calcaree. Anche la toxoplasmosi dà una malattia granulomatosa a livello dei linfonodi,
però in questo caso si hanno piccolo granulomi in sede paracorticale ma anche nel centro germinale
e in questo caso si ha anche una iperplasia bimonocitoide, quindi della zona marginale.
Lezione 2/03/2016
Prof. Franco
Continuazione LINFOADENOMEGALIE E LINFOMI
L’80-90% delle linfoadenomegalie sono benigne, nell’ambito di queste non sempre è possibile capire
l’eziologia. Le linfoadenopatie non-neoplastiche si suddividono in: linfadeniti acute, croniche e rare a
eziopatogenesi incerta. Solo in alcuni casi è possibile capire la causa, come nel caso di quelle croniche
specifiche granulomatose necrotizzanti, quali la tubercolosi, i granulomi da corpi estranei e il
linfogranuloma venereo tipico delle zone genitali che dà una necrosi centrale stellata e le linfoadeniti acute
da causa virale. I linfonodi ingranditi possono anche in alcuni casi ulcerare. Ci sono anche casi di
linfogranulomi non necrotizzanti come la sarcoidosi che è una patologia tipica del distretto polmonare o dei
linfonodi mediastinici. L’aspetto tipico è di granulomi incassati nel tessuto linfoide, all’interno dei quali non
è mai presente necrosi. Ricordate che dobbiamo sempre distinguere i granulomi in necrotizzanti o non
necrotizzanti, il principale granuloma necrotizzante è quello della tubercolosi, il principale non necrotizzante
è quello della sarcoidosi. Nell’ambito degli istiociti, le cellule giganti della sarcoidosi si possono trovare
degli accumuli di materiale mucoide che sono raramente visibili. In alcuni casi si presentano come
concrezioni di lamelle calcaree, in altri casi come “corpi di Schaumann”(inclusioni tondeggianti, composte
da calcio e proteine disposti in lamelle concentriche).
Ci sono poi le linfadeniti croniche specifiche non granulomatose che comprendono la toxoplasmosi in cui
ci sono dei “granulomi” molto più piccoli non necrotizzanti nella paracorticale ed a livello dei follicoli.
Inoltre nella toxoplasmosi possiamo trovare una iperplasia delle cellule B monocitoidi della zona marginale.
(immagine a fiore) Abbiamo poi l’AIDS, in cui il centro germinativo (che ha un aspetto più chiaro rispetto al
contorno) ha un aspetto irregolare e frastagliato: questo fenomeno si chiama “follicololisi”, dove lingue di
paracorticale vanno ad infiltrare il tessuto linfoide del centro germinativo fino a distruggerlo. La follicololisi
è ben visibile con la colorazione Giemsa, che colora con un bluetto intenso i nuclei e si vedono bene le
piccole cellule della paracorticale che hanno infiltrato il centro germinativo.
Uno dei problemi di diagnosi differenziale fra linfoadeniti benigne e linfomi è rappresentato dalla
mononucleosi che è indotta dal virus Epstein Barr e che si manifesta con linfoadeniti laterocervicali.
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L’infezione induce la comparsa di numerose grandi cellule atipiche che sembrano le cellule di Hodgkin.
Queste cellule sono molto più grandi di un linfocita tipico, anche 7-8 volte e sono cellule positive all’EBER,
un marker dell’RNA virale dell’Epstein Barr, che può essere identificato mediante ibridazione in situ, una
tecnica che con delle sonde specifiche va a marcare il DNA o l’RNA virale, evidenziando le cellule che sono
positive per il virus. Le cellule sono CD20 positive perché sono cellule B, CD3 positive ovvero T e inoltre
esprimono un classico marker di attivazione che è il CD30 e indica una cellula B che sta maturando.
Abbiamo parlato di linfoadeniti croniche specifiche ora parliamo di quelle non specifiche, nelle quali non è
chiaro l’agente eziologico, come può essere la malattia di Castleman, una patologia di causa ignota,
probabilmente legata a infezioni virali HVV8, che è il virus tipico anche del Sarcoma di Kaposi. Questa
patologia che dà linfoadenopatie localizzate, è caratterizzata da follicoli che si esauriscono con un centro
germinativo quasi consumato perché compresso da linfociti che si dispongono a formare delle ruote. Un altro
aspetto caratteristico della Castleman è l’aspetto a lollipop o a lecca-lecca, con il vaso che entra nel centro
germinativo che sembra appunto la stecca di un lecca-lecca.
LINFOMI
I linfomi sono delle patologie neoplastiche che partono dai linfonodi o dagli organi linfoidi secondari,
placche di Peyer, milza, timo.
Linfoadenomegalie neoplastiche:
-M. di Hodgkin
-Linfoma non Hodgkin (i più frequenti)
-Leucemie acute (le cellule neoplastiche si trovano nel midollo e in seguito nel sangue, anche i linfomi di
baso grado possono leucemizzare)
-Metastasi da tumori solidi
I linfomi sono delle patologie molto aggressive, e l’aggressività e l’indolenza sono concetti che attengono
alla storia naturale dei linfomi. Un tumore non trattato se ha una storia breve è aggressivo, lunga se è un
tumore indolente.
Distribuzione dei linfomi: quello più diffuso è quello a grandi cellule B e il linfoma Follicolare che da solo
comprende più del 50% dei linfomi. L’Hodgkin invece rappresenta il 14%. Dal punto di vista
epidemiologico i linfomi non sono delle malattie frequentissime, rappresentano il 4-5 % di tutte le neoplasie.
L’incidenza è di 15 nuovi casi l’anno.
I linfomi sono malattie neoplastiche che insorgono negli organi linfoidi secondari a partire dalle cellule che
compongono questi organi, le cellule T, B o NK. Quelli che originano dalle cellule B sono i più frequenti,
nell’ambito dei B e dei T si devono distinguere quelli che originano dai precursori da quelli che originano
dalle cellule mature B e T. I linfomi non Hodgkin che originano dalle cellule B mature rappresentato il 70%,
quelli Hodgkin il 30%. Non c’è differenza nell’incidenza fra uomo e donna. Insorgono in tutte le sedi dove ci
sono linfociti, cellule linfoidi oppure immature, oppure nel MALT, cioè il tessuto linfoide associato alle
mucose, e può essere sia congenito associato alle placche di Peyer sia acquisito come nelle gastriti.
Classificazioni istologiche storiche
La classificazione di Rappaport è la prima classificazione del 1966 nella quale si distinguevano i linfomi in
base al pattern di crescita, che può essere diffuso o nodulare, (rispettivamente ad alto e basso grado di
aggressività), inoltre Rappaport distingueva nell’ambito della classificazione in diffusi e nodulari anche a
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grandi e a piccole cellule. Con l’avvento dell’immunoistochimica furono classificati secondo l’origine,
quindi i linfomi T esprimono dei marker pan-T e i linfomi B dei marker B. Negli anni ’80 gli europei
formularono una nuova classificazione (WF), che definiva i linfomi in base all’aggressività legata alla
dimensione delle cellule, i linfomi costituiti da piccoli elementi cellulari erano di basso grado, quelli a grandi
cellule erano ad alto grado. Attualmente si segue la classificazione REAL-WHO (1991), sulla quale si basa
la WHO Classification del 2001, che li classifica dal punto di vista clinico patologico, cercando di
identificare dei profili morfologici molecolari che avessero poi un corrispettivo nell’andamento clinico. Li
classifica in base all’origine: B, T o NK. I linfomi a cellule T sono quasi sempre aggressivi. Nell’ambito del
linfoma T abbiamo forme aggressive, forme non aggressive e forme molto aggressive. La REAL-WHO
andava anche a paragonare la cellula neoplastica a quella che poteva essere la corrispettiva cellula normale,
attraverso le caratteristiche immunologiche, di immunoistochimica e gli aspetti molecolari.
Le neoplasie B cellulari vengono classificate in linfomi che derivano dai precursori, cellule immature, che
sono specialmente linfomi della linea linfoblastica e poi i linfomi che derivano dalle cellule B periferiche.
Nell’ambito dei linfomi T abbiamo la stessa classificazione, i linfomi dei precursori e i linfomi dalle cellule
periferiche e poi abbiamo i linfomi di Hodgkin. Nel linfonodo esistono le cellule naive, vergini, che possono
dare due tipi di linfomi che sono i linfomi linfocitici, parenti delle leucemie linfatiche croniche, che possono
rimanere non diagnosticate per anni, come anche una porzione di linfomi mantellari. Le cellule invece che
sono maturate danno origine ad esempio ai linfomi follicolari. I precursori sono i linfomi linfoblastici B.
La STADIAZIONE dei linfomi si effettua utilizzando i criteri di ANN ARBOR sulla base del numero delle
stazioni linfonodali coinvolte:
I stadio una stazione, II stadio due stazioni sovradiaframmatiche, III stadio stazioni sovra e
sottodiaframmatiche, IV stadio quando c’è coinvolgimento del midollo, del fegato. Questa classificazione è
più valida per gli Hodgkin meno per i non Hodgkin perché gli Hodgkin hanno una progressione contigua,
interessando stazioni laterocervicali, ascellari, mediastiniche, mentre i linfomi non Hodgkin hanno la
caratteristica di interessare le stazioni a salti.
Indice prognostico
E’ effettuato sulla base dei parametri clinici, della performance del paziente, dell’età se è maggiore di 60
anni, dello stadio (III o IV), elevati valori di LDH e coinvolgimento di più sedi linfonodali.
LINFOMI A CELLULE B
La maggior parte dei linfomi B originano dalle cellule mature e una parte invece da cellule immature e
questo è tipico dei bambini. Tra le cause eziologiche dei linfomi in primo luogo si annoverano problemi
legati all’immunodeficienza congenita o acquisita, poi esiste un subset di neoplasie associate ad infezioni
batteriche o virali e infine pazienti che hanno condotto terapie per altri motivi possono sviluppare neoplasie
secondarie. Riconosciamo quattro tipi di meccanismi eziopatogenetici: da infezioni HVV8 ed Epstein Barr
Virus che possono essere dei virus che si integrano nel DNA umano; infezioni da HCV o Helicobacter
pilory che evocano una stimolazione continua dei linfociti determinando una stimolazione clonale;
l’immunodeficienza da HIV; e poi esistono delle alterazioni genetiche che sono abbastanza tipiche di
alcuni linfomi, le più importanti sono le traslocazioni dove è quasi sempre coinvolto il gene delle catene
pesanti delle immunoglobuline e quando un gene o un oncogene va sotto il controllo di questo promotore
può essere responsabile della proliferazione: tra questi dobbiamo ricordare Bcl-2 e Myc.
Aspetti clinici
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Il linfoma si presenta con delle masse, senza dolore, con compressione delle strutture vicine e i classici tre
sintomi sono febbre, sudorazione profusa notturna e prurito. Si può presentare un quadro leucemico se c’è
infiltrazione del midollo osseo, che da qui passa nel sangue.
Classificazione
Vengono classificati in diverso modo, ma preferisco partire dalla classificazione clinica: linfomi indolenti,
cioè a basso grado di malignità e i linfomi aggressivi con prognosi molto più sfavorevole. I linfomi indolenti
hanno una storia naturale lunga (con storia naturale intendiamo l’evoluzione della neoplasia
indipendentemente dal trattamento): se il paziente non venisse trattato avrebbe sicuramente una
sopravvivenza superiore ai 5 anni. Questo è vero per i linfomi follicolari, marginali. Tutti i linfomi indolenti
sono linfomi che non proliferano moltissimo, ma hanno difettivi tutti i meccanismi che riguardano
l’apoptosi, quindi crescono molto lentamente, danno un segnale clinico con un’evoluzione molto subdola e
vengono diagnosticati quando il tumore è molto avanzato, con adenopatie generalizzate e compressione degli
organi circostanti. Quindi la diagnosi è tardiva e per questo sono difficilmente curabili. Esistono possibilità
di guarigione nei rarissimi casi di malattia localizzata.
I linfomi aggressivi hanno un comportamento clinico esplosivo, una storia naturale breve, cioè questi
pazienti senza trattamento sopravviverebbero non più di 2 anni, sono spesso localizzati proprio perché il loro
comportamento aggressivo li rende subito manifesti, e raramente la diagnosi di questi tumori è in fase
avanzata. Più spesso sono extranodali e paradossalmente la guarigione di questi linfomi è molto più alta,
infatti il 30-40% dei pazienti guariscono e inoltre i linfomi linfoblastici del bambino possono raggiungere
una guarigione del 50-80%. Questo perché sono caratterizzati da una proliferazione elevata, e la maggior
parte dei chemioterapici agisce sulle cellule in attiva proliferazione.
Il coinvolgimento del midollo è più frequente negli indolenti, più raro negli aggressivi, il coinvolgimento
delle sedi extranodali è tipico degli aggressivi, perché essi subito infiltrano gli organi vicini e danno
sintomatologia sistemica. Le stazioni sono molto piccole nei linfomi indolenti, sono multiple, invece negli
aggressivi e molto spesso danno fenomeni di compressione, ad esempio a livello mediastinico o a livello
gastroenterico.
Poi ci sono anche i linfomi molto aggressivi, in cui i pazienti non sopravvivono più di qualche settimana o
mese, in cui il paziente deve iniziare subito la terapia.
Il linfoma indolente più frequente è quello follicolare di grado I-II e il linfoma aggressivo più frequente è il
linfoma a grandi cellule B e il follicolare di grado III.
Indagini: è necessaria l’istologia, il campione deve essere istologico e non citologico, dobbiamo valutare
l’architettura del linfonodo, la sua morfologia con l’aiuto dell’immunoistochimica e della biologia
molecolare. La diagnosi di linfoma in un paziente con un sospetto clinico la faremo con la definizione
istologica e un altro passo fondamentale nella stadiazione del linfoma è la valutazione del coinvolgimento
midollare con la biopsia midollare.
Il decorso del linfoma dipende dall’istologia, dallo stadio clinico e dalla cinetica cellulare (nel linfoma
andiamo a valutare sempre l’indice di proliferazione).
LINFOMA FOLLICOLARE
E’ uno dei più importanti linfomi indolenti. Si chiama follicolare perché il linfoma forma follicoli con centri
germinativi. Ha una morfologia del centro germinativo, con centrociti-like e centroblasti-like. Simula quello
che fa normalmente un centro germinativo e cioè forma un centro germinativo neoplastico, a forma di
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follicolo. E’ un linfoma B per cui esprime i marker B come CD20, CD19 ed esprime i marker fisiologici del
centro germinativo che sono CD10, bcl-6 e nell’85% dei casi esprime la traslocazione 14-18. Nel cromosoma
14 c’è il gene delle catene pesanti delle immunoglobuline mentre sul braccio lungo del cromosoma 18 c’è
bcl-2 che è un gene che ha un grosso potere antiapoptotico. Nel centro germinativo normalmente non c’è
espressione del gene blc-2. Per effetto di questa traslocazione vi è un’espressione paradossa anche
diagnostica di linfoma follicolare e, infatti, uno dei problemi è la diagnosi differenziale tra iperplasia dei
centri germinativi e il linfoma follicolare. Questi linfomi sono indolenti con una sopravvivenza media di 810 anni. Sono poco sensibili alla chemioterapia perché non hanno una grossa componente proliferativa. Vi è
una possibile progressione o trasformazione in forme più aggressive come il Linfoma a grandi cellule B
diffuso (25-40% dei casi). Nell’ambito dei linfomi rappresenta uno dei più frequenti. Costituisce circa il 2025% dei linfomi. Ha un picco d’incidenza nell’età adulto-anziana e l’incidenza è aumentata negli ultimi anni.
La maggior parte di questi linfomi, circa l’85% si trova nel 3-4 stadio. Come tutti i linfomi indolenti si
presenta con linfoadenomegalie multiple, di piccole dimensioni, asintomatiche; con sintomi sistemici
infrequenti; si hanno spesso segni di scompenso midollare come anemia per sostituzione neoplastica del
midollo.
Patogenesi: il gene bcl2, costituito da tre esoni, di cui uno molto grande, va a giustapporsi al gene IgH che si
trova sul cromosoma 14 e si pone sotto il controllo del promotore dell’IgH producendo l’elevata espressione
della proteina bcl-2. Bcl-2 inibisce l’apoptosi impedendo l’azione del citocromo c, fuoriuscito dal
mitocondrio sotto uno stimolo apototico, su apaf1, in modo non possa legarsi a questo e attivare la cascata
delle caspasi. Le cellule attivate nel centro germinativo nella maggior parte dei casi non sono competenti e
devono necessariamente morire per apoptosi mentre altre diventeranno cellule della memoria e altre
matureranno a plasmacellule producendo anticorpi. Nel linfoma follicolare la cellula mantiene la sua
capacità di formare il centro germinativo però avendo bcl2 espresso non vanno in apoptosi e cominciano a
sostituire completamente i centri germinativi. I linfomi indolenti, infatti, possiedono una capacità
morfologica aberrante con architettura del linfonodo sovvertita per una proliferazione midollare atipica e
dimensioni aumentate.
Differenze tra un linfonodo iperplastico e un linfoma follicolare: nel linfonodo iperplastico riconosciamo
zone più chiare che sono i seni midollari mentre nel linfoma follicolare questi centri germinativi hanno
aspetto diverso, sono più serpiginosi’, i seni midollari non si vedono più come anche i seni sottocapsulari.
Nel linfonodo iperplastico i centri germinativi sono di diverse dimensioni e forma mentre nel linfoma i
follicoli sono addossati gli uni agli altri e sono circa delle stesse dimensioni. Inoltre nel linfonodo
iperplastico si riconosce il centro germinativo, però è mantenuta la corona periferica della zona mantellare
mentre nel centro germinativo neoplastico il mantello si perde totalmente o parzialmente. Il marker
fisiologico del centro germinativo è espresso normalmente (BCL10) mentre avremo un’espressione aberrante
di Blc-2 positivo nel centro germinativo neoplastico e negativo nel linfonodo iperplastico. L’indagine
molecolare in questo caso potrebbe già essere diagnostica. I linfomi non hanno una grande capacità
proliferativa piuttosto hanno una difettosa apoptosi e ciò lo andiamo a evidenziare con l’espressione di Ki67
che è un marker di proliferazione (evidenzia le cellule in proliferazione nel ciclo cellulare) che è spiccata nei
centri germinativi normali, ma nel linfoma paradossalmente è molto bassa.
La gradazione del tumore va fatta in base al numero dei centroblasti presenti:
grado 1: 0-5 centroblasti per HPF(campo ad alto ingrandimento cioè con l’obiettivo 40 del microscopio)
grado2: 6-15/HPF
Grado 3: >15 Centroblasti/HPF che è aggressivo (e non indolente nonostante mantenga tutte le caratteristiche
morfologiche e molecolari del linfoma follicolare) e va trattato come un linfoma a grandi cellule B. Come
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tutti i linfomi indolenti si può verificare il passaggio delle cellule neoplastiche dal midollo nel sangue
determinando quadri caratteristici leucemici. Le immuno-colorazioni per le catene lambda e kappa
dimostrano la monoclonalità della neoplasia con rapporto k:l di 10 a 1 (rispetto al normale rapporto 4:1).
Nella maggior parte dei casi colonizza il midollo nel quale il tessuto midollare è sostituito dal linfoma che
forma un centro germinativo.
TERAPIA
Varia in base al grado e alla stadiazione. Sono curabili solo i linfomi follicolari di grado 1-2 in stadio 1-2.
LINFOMA LINFOPLASMACITOIDE/LINFOPLASMACITICO che spesso si associa alla M. di
Waldenstrom
E’ un linfoma indolente, tipico dell’età avanzata caratterizzato da una iperpermutazione somatica e quindi
interessa cellule post-centro germinativo. Come tutti i linfomi indolenti sono asintomatici e i sintomi sono
legati più che alle masse alla iperviscosità e alla coaugulopatia. Ha una proliferazione di cellule
linfoplasmacitoidi con produzione di immunoglobuline IgM che si accumulano nel sangue periferico e
insieme alle piastrine e ad altre cellule del sangue determinano fenomeni di iperviscosità. Dal punto di vista
morfologico sono caratterizzate da cellule linfoplasmacitiche e non linfoidi, quindi da cellule che si stano
avvicinando a diventare plasmacellule. Questi linfomi sono associati sempre a un picco monoclonale nel
sangue con le IgM che superano i 3g% nella MW.
CLINICA
Anemia, trombocitopenia, (sintomi midollari) leucopenia, neuropatia, iperviscosità e crioglobulinemia legati
alla presenza delle IgM.
Patogenesi: Recentemente sono state dimostrate mutazioni di due importanti recettori che sono MYD88 e
CXCR4 (recettore di membrana per fattori chemiotattici, correlato alla capacità metastatica al polmone,
mammella) responsabili del quadro clinico della MW.
Morfologia: L’aspetto della plasmacellula è quello di una cellula con un po’ di citoplasma eosinofilo, con
nucleo spostato verso la periferia, molto attiva dal punto di vista metabolico. Spesso presentano i corpi di
Dutcher che sono agglomerati di immunoglobuline che si invaginano nel nucleo, visibili come gocce rosa,
all’interno di un archetto eosinofilo.
Come in tutti i linfomi indolenti la diagnosi è casuale a meno che non abbiano una manifestazione clinica
conclamata; non hanno bisogno di trattamento: l’atteggiamento da adottare in questi pazienti è quello del
wait and watch.
LINFOMA A PICCOLI LINFOCITI/LLC
Strettamente imparentato con la Leucemia linfatica cronica. E’ difficile trovare questo linfoma non associato
a un quadro leucemico. La distinzione in questi casi è lieve. E’ un tumore dell’età avanzata, indolente e può
non necessitare di terapia. Frequentemente c’ è un coinvolgimento massivo del midollo e le manifestazioni
sono legate alla sostituzione dei tessuti primari. Colonizza spesso fegato e milza dando epatosplenomegalia,
massivamente il midollo dando quindi anemia e infezioni ricorrenti. E’ un tumore che deriva dalla zona delle
cellule naive del mantello ma anche dalle cellule mature del mantello, da cellule permutate o da cellule non
permutate. La maggior parte deriva da cellule non vergini e ha una prognosi migliore ma quelle che derivano
dalle cellule vergini e quindi non permutate hanno una prognosi peggiore. Non abbiamo grosse possibilità di
identificare la mutazione somatica ma abbiamo dei surrogati immunoistochimici validi che sono:
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-ZAP70: proteina tipica delle cellule T ma che in qualche modo viene espressa in modo anomalo dalle
cellule non permutate CD38+
-Linfoma linfocitico con zona variabile delle immunoglobuline mutata, bassa espressione di ZAP70 e CD38
-> orgina da cellule T della memoria e prognosi migliore
-Ipermutazione zona variabile, ZAP70>305 e CD38 espresso -> origine da cellule naive e prognosi peggiore
Sono linfomi B, hanno un pattern diffuso, esprimono CD20 (cellule B) però hanno espressioni paradosse di
CD5 ( marker di cellule T mantellari) e CD23 che è un marker di cellule istiocitiche del centro in generale.
Può diventare aggressivo se si trasforma in linfoma a grandi cellule B e in questo caso si ha la sindrome di
Richter. E’ possibile anche una trasformazione in tipo Hodgkin. L’aspetto morfologico è quello di elementi
di piccola taglia sovrapponibili a linfociti normali associati a cellule grandi. Alcune cellule tentano di
abbozzare un centro germinativo che viene chiamato centro di proliferazione identificato dall’espressione di
Ki67 nel background di un tappeto cellulare che prolifera veramente poco.
Patogenesi: Questi linfomi sono caratterizzati da delezioni del braccio lungo del cromosoma 13 e del
cromosoma 11 e del braccio corto del cromosoma 17. Linfomi con delezione 11 e 17 vanno peggio rispetto
agli altri probabilmente perché viene coinvolto il gene P53 (braccio corto del cromosoma 17) che viene
deleto e viene meno il controllo sulla proliferazione cellulare. Nel braccio lungo del cromosoma 13 vengono
codificati dei miRNA che vanno a inibire espressione di Bcl2 e con la delezione del crm13 questo controllo
viene meno con conseguente aumentata espressione di bcl2 il quale induce produzione di altri miRNA
(codificati nel crom 11) che riducono l’espressione di ZAP70 rendendo conto del comportamento indolente
di questo linfoma, mentre con la delezione del cromosoma 11 vengono meno la produzione dei miRNA che
inibiscono l’espressione di ZAP70 per cui linfoma sarà più aggressivo.
Sbobinatura 08-03-2016
LINFOMI NON HODGKIN
La scorsa lezione abbiamo visto come una delle classificazioni più in uso per i linfomi non hodgkin è quella
della WHO, che utilizza criteri clinico-patologici; nel senso che a ogni quadro morfologico,
immunofenotipico e biomolecolare ne fa corrispondere un determinato andamento clinico. La
classificazione clinica, preferita dal professore, suddivide i linfomi non Hodgkin in aggressivi (hanno una
storia naturale più breve, di pochi mesi, dove per storia naturale si intende la progressione del tumore senza
intervenire terapeuticamente. Esempio: linfoma diffuso a grandi cellule B, in cui è di sregolata la
proliferazione, questo li rende più aggressivi ma anche meglio responsivi alla terapia) - non aggressivi
(diagnosticati tardivamente in quanto non esplosivi, e paradossalmente meno curabili. Esempio: linfoma
follicolare, dove si ha un iperespressione di bcl-2 , in cui la patogenesi prevede una disregolazione
dell’apoptosi, quindi le cellule non proliferano tanto ma muoiono poco)- linfomi molto aggressivi ( linfomi
molto esplosivi, che compromettono le funzioni generali del paziente molto rapidamente; il paziente se non
trattatati tempestivamente possono morire nel giro di settimane. Esempio: linfoma di Burkitt).
La classificazione classica divide i linfomi in hodgkin e non hodgkin. Da un punto di vista epidemiologico i più
diffusi sono certamente il linfoma follicolare (non aggressivo) , il linfoma diffuso a grandi cellule B
(aggressivo), il linfoma di hodgkin ( al terzo posto come incidenza).
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Tra i linfomi indolenti abbiamo incontrato: Linfoma follicolare; Linfoma linfoplasmacitico ( associato a volte a
macroglobulinemia di Waldestrorm; con conseguenze legate all’iperviscosità del sangue tra cui infarti,
ictus); Leucemia linfatica cronica ( si può convivere anche senza una vera e propria terapia. Anche qui le
mutazioni riguardano soprattutto geni che codificano per miRNA che regolano l’apoptosi). La leucemia
linfatica cronica risulta essere strettamente imparentata al Linfoma a piccoli linfociti sia dal punto di vista
immunofenotipico che biomolecolare, dal momento che quest’ultimi leucemizzano sempre ( il linfoma,
infiltrando il midollo, fa si che le cellule neoplastiche passino nel sangue). Tutti i linfomi indolenti possono
leucemizzare, ma tra tutti quello che ha la rate più alta è il linfoma a piccoli linfociti.
Nell’ambito dei linfomi indolenti riconosciamo anche il LINFOMA DELLA ZONA MARGINALE, non molto
frequente (circa il 10% di tutti i linfomi). Insorgono nelle cellule della zona marginale, che sono
essenzialmente cellule della memoria, con V (porzione variabile delle catene leggere e pesanti) ipermutato
in quanto sono venute a contatto con l’antigene. Di questo linfoma si distinguono 3 categorie:
1) il linfoma della zona marginale che insorge nel tessuto MALT (tessuto linfoide associato alle mucose, che
può essere congenito come nel caso delle placche di Peyer , o acquisito come nel caso delle malattie
infiammatorie). Questi linfomi vengono chiamati anche per questo motivo MALTOMI.
2) Linfomi della zona marginale del linfonodo ( rari); in cui la regione marginale risulta poco visibile nella
norma.
3) Linfomi marginali della milza.
Anche questi linfomi si dividono in linfomi indolenti, responsabili di un’aggressività locale, crescono
lentamente ma possono leucemizzare (soprattutto MALTOMI e LINFOMI SPLENICI, con localizzazione
extranodale e coinvolgimento del midollo osseo) si tratta di linfomi spesso diagnosticati in stadio 4.
Eziologia:
1) Nei Linfomi MALT: spesso indotti da infezioni batteriche: H. pylori nello stomaco, Campilobacter jejuni
nell’intestino, Clamidya psittaci nei distretti orbitari e la Borrelia burgdoferi per i maltomi della cute. La
presenza di questi batteri induce una risposta infiammatoria con stimolazione linfocitaria, qui può
comparire una selezione clonale di cloni neoplastici che possono dare il via al maltoma.
2) Nei Linfomi della zona marginale dei linfonodi: Causa sconosciuta.
3) Nei Linfomi Splenici: Causa sconosciuta. Spesso associati a infezione da HCV.
Le alterazioni biomolecolari portano tutti a deregolazione dell’apoptosi.
LINFOMA DELLA ZONA MARGINALE
Tipico linfoma extranodale ( più del 90% dei casi). Insorgono nel tessuto MALT. La zona marginale è la zona
più esterna del linfonodo: esterna al follicolo, esterna alla zona mantellare. Vi si trovano prevalentemente
cellule della memoria. [Ora descrive un vetrino della milza. Presenta follicoli secondari con un centro
germinativo più chiaro; intorno vi sono linee cellulari più scure che sono la zona mantellare; esternamente
una zona più chiara che è la zona marginale, poco visibile in un normale linfonodo, più visibile a livello delle
placche del Peyer o della polpa bianca splenica].
Il tessuto linfoide associato alle mucose lo troviamo: Se congenito, nelle placche di Peyer intestinali, tra
lamina propria e sottomucosa. Se acquisito, più frequente; non si associa sempre ad un epitelio, questo è
vero a livello cutaneo o a livello tiroideo come nell’Hashimoto, ma lo possiamo trovare anche in strutture
che non hanno un epitelio, come i tessuti molli dell’orbita.
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Nei linfomi che insorgono nel MALT: 50% sono a livello gastrointestinale, di cui più dell’80% a livello gastrico;
14% a localizzazione polmonare (spesso secondario a polmoniti interstiziali); 14% testa-collo; 14% linfoma
legato agli annessi cutanei (soprattutto a livello orbitario: tessuti molli associati all’orbita, palpebra e
ghiandole lacrimali). Mammella e tiroide sono molto più rare.
La diagnosi di linfoma della zona marginale è molto complessa in quanto la morfologia è aspecifica e non
esiste un profilo biomolecolare e immunoistochimico unico; per cui nella quasi totalità dei casi è una
diagnosi fatta per esclusione (escludendo tutti gli altri linfomi indolenti). In alcuni casi la morfologia
presenta aspetti peculiari: per esempio possiamo trovare strutture cellulari piccole, con nuclei piccolini
(poco più grandi di un globulo rosso) con citoplasma ampio e chiaro, in tal caso si parla di ASPETTO A
CELLULA MONOCITOIDE ( o a occhio di bue), visto anche nell’iperplasia monocitoide della toxoplasmosi.
Questo aspetto monocitoide è l’aspetto più tipico delle cellule del linfoma della zona marginale.
Meno frequenti invece: LINFOMA CENTROCITICO con cellule con aspetto irregolare e nucleo che pare
“inciso” ( simile a quello dei linfomi follicolari, con i quali si pone in diagnosi differenziale);
LINFOMA PLASMOCITICO con cellule con pseudoinclusi, i corpi di Dutcher ( tipiche del linfoma
linfoplasmacitico, con il quale entra in diagnosi differenziale), queste cellule sono tipiche componenti
plasmacellulari in intensa attività metabolica, con nucleo eccentrico e citoplasma eosinofilo, la quale darà
vita a tali pseudo inclusi ( invaginazioni del citoplasma nel nucleo, CORPI DI DUTCHER), sono cellule che
stanno producendo gammaglobuline.
Nota: Da Wikipedia, i corpi di Russell e i corpi di Dutcher sono inclusioni PAS+ contenenti immunoglobuline
in sede rispettivamente citoplasmatica e nucleare.
[Ora fa vedere una serie di vetrini; ci troviamo a livello dello stomaco perché non vi sono cellule caliciformi
mucipare, e presenta un linfoma con centro germinativo, tipico aspetto di gastrite da infezioni da H.Pylori;
su questo tessuto linfoide si può avere una selezione clonale e quindi una trasformazione neoplastica.
Qua ci troviamo in un linfoma, il tessuto linfoide non forma più follicoli, ha una differenziazione
plasmocitica, infiltra fascetti di muscolo della muscolaris mucosa; l’aggressività di questo linfoma sta nel
fatto che disseca i fasci della muscolaris mucosae.
Altro aspetto tipico dei linfomi della zona marginale in questo distretto è l’infiltrazione anche del tessuto
ghiandolare, e si formano accumuli delle cellule blastiche nello spessore dell’epitelio, questa è definita
ATTIVITA’ LINFOEPITELIALE che è tipica di questi linfomi.
Bisogna sempre preoccuparsi quando si vedono linfociti nelle strutture epiteliali, mentre i granulociti sono
espressione delle patologie ulcerative ed erosive.
Poi vediamo a confronto due situazioni, in una ci sono cellule che infiltrano il tessuto ghiandolare, uno però
non è un linfoma della zona marginale, bisogna sempre vedere le dimensioni delle cellule; le cellule sono
pari a quelle epiteliali infatti si tratta di un linfoma diffuso a grandi cellule B dello stomaco.
I linfomi della zona marginale essendo a cellule B esprimono i markers delle cellule B: CD20+, CD19+,
esprimono le IgM, bcl-2(nella maggior parte dei casi). Non sono del centro germinativo quindi sono negativi
per: CD10, bcl-6. Non sono cellule naive quindi sono negativi per CD5; sono negativi per CD23 che è un
marker delle cellule dendritiche. Qualche volta esprimono un marker tipico della cellula linfoide matura il
MUM 2.
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Nell’infezione da H.Pylori, si evoca la formazione del tessuto linfoide che si organizza a formare dei follicoli,
il linfoma insorge nella zona marginale, cioè alla periferia del centro germinativo, e inizia ad infiltrare e
sostituire il centro germinativo; per questo vedremo nel linfoma sviluppato una proliferazione di piccoli
linfociti in cui non si riconosce più il centro germinativo e i linfociti iniziano ad infiltrare la struttura
epiteliale. Quindi la selezione clonale che ha evocato l’infezione da H.Pylori ha determinato la
trasformazione di una popolazione linfoide reattiva infiammatoria in una popolazione neoplastica.
Questi linfomi sono così indolenti che le prime fasi dello sviluppo della malattia possono essere
completamente curati con l’eradicazione di H.Pylori; perché la loro insorgenza è strettamente correlata
all’infezione. E’ molto importante perché nel prime fasi il linfoma può essere curato con l’antibiotico. In una
parte di questi linfomi si ha l’alterazione di alcuni geni coinvolti nell’apoptosi.
Uno di questi è il gene MALT1, che è presente nel 24% dei linfomi gastrici, che trasloca con la proteina API,
si ha over espressione di MALT1; traslazione 11-18.
Altra traslocazione che è presente in una minima quota di casi è la traslocazione 1-14, sul cromosoma 14 si
trova il gene della catena pesante dell’immunoglobulina, che controllerà anche l’espressione di bcl-10
(marker importante correlato all’apoptosi).
Traslocazione 14-18 è quella che coinvolge il bcl-2; si trova nell’85% dei linfomi follicolari, e si ha over
espressione di blc-2 per effetto della traslocazione del gene di blc-2 sul promotore di IgH. Nei linfomi MALT
si osserva la stessa traslocazione che riguarda anche le stesse regioni della traslacazione di blc-2 ma
riguarda un gene diverso che è MALT1, che si trova sul cromosoma 18, e va sotto il controllo di IgH; questa è
presente nel 10, 8% dei casi.
La maggior parte dei linfomi MALT non mostra traslocazioni riconducibili a quelle note. Ricapitolando le più
importanti sono:
1) traslocazione 11-18, che coinvolge MALT1 che va sotto il controllo del promotore forte di API, si trova
molto frequentemente nello stomaco, soprattutto nei pazienti H.Pylori negativi
2) traslocazione 14-18 che invece coinvolge MALT1 che va sotto il controllo di IgH, presente nel 20% dei casi
e interessa principalmente gli annessi oculari e il polmone
3) traslocazione 1-14 che coinvolge bcl-10 che va sotto il controllo di IgH, molto rara
MALT e bcl-10 fanno parte del complesso proteico che per qualche motivo, non ancora noto, va a regolare
delle chinasi che svolgono un ruolo di fosforilazione di IKB, fattore che si lega ad NFKB, la proteina
antiapoptotica più importante che conosciamo. La fosforilazione di IKB determina la rottura del legame con
NFKB, che migra nel nucleo e svolge il suo ruolo di fattore di trascrizione nei confronti di una serie di geni
che sono correlati con meccanismi antiapoptotici. Quindi il meccanismo di MALT1 e bcl-10 è strettamente
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connesso ad NFKB. Poi bcl-10 ha anche un ruolo diretto di fattore di trascrizione quando è slegato da questo
complesso proteico.
Come tutti i linfomi indolenti, nell’ambito di questo linfoma a piccole cellule, si può avere una progressione
verso linfomi più aggressivi a grandi cellule.
LINFOMI AGGRESSIVI
Linfoma che ha un’aggressività clinica legata ad una deregolazione di tutti i meccanismi di controllo della
proliferazione. Un esempio è dato dal:
LINFOMA DELLA ZONA MANTELLARE che origina dal mantello costituito da cellule Naive e non Naive, in
particolare il linfoma della zona mantellare è costituito da cellule Naive(cellule vergini che non hanno avuto
contatto con l’antigene e quindi non hanno ipermutazione somatica). Il linfoma della zona mantellare è a
piccole cellule ma aggressivo. (Ricordiamo che le prime classificazioni proposte dicevo che nodulare è
buono, diffuso è cattivo, piccolo è buono, grande è cattivo. Questa verità non può essere applicata a questo
linfoma. La classificazione dei linfomi proposta negli anni ’80, basavano la terapia sulle dimensioni delle
cellule, e questi linfomi a piccole cellule ma aggressivi non venivano trattati in maniera adeguata, con
risultati devastanti).
E’ un linfoma dell’età media, a differenza degli altri linfomi aggressivi viene diagnosticato tardivamente,
risponde in modo scarso alla terapia, la sopravvivenza a 5 anni è del 27%. La controparte benigna di questi
linfomi è la zona mantellare, che è costituita da cellule piccole e possono avere un pattern di crescita o
nodulare, che assomiglia al linfoma follicolare, o diffuso, che è quello più comune; la forma classica è
costituita da piccoli elementi cellulari un po' più grandi dei globuli rossi. E’ un linfoma B positivo a: CD20+,
CD5+(perchè sono cellule naive), bcl-2+, ciclina D1+(proteina nucleare), il Ki67 è elevato; è negativo a CD10
e CD3(marker delle cellule T).
Nel linfoma mantellare vi è una deregolazione della proliferazione cellulare perché si ha una traslocazione
del gene della ciclina D1, detto anche bcl-1, che si trova sul braccio lungo cromosoma 11, sul promotore di
IgH; traslocazione 11-14; over espressione della ciclina D1.
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DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA LINFOMI A PICCOLE CELLULE:
- il linfoma follicolare (è il più frequente con pattern di crescita nodulare con centri che sembrano centri
germinativi anche se sono neoplastici e con espressione di bcl2),
-linfoma mantellare (linfoma nodulare in cui non si riconosce un vero e proprio centro germinativo ma le
cellule sono piccole e overesprime la ciclina d1)
-il linfoma marginale (la diagnosi spesso si fa per esclusione; ha dei parametri morfologici carattezzati da
cellule monocitoidi, plasmocitoidi che infiltrano i centri germinativi residui)
-il linfoma linfoplasmacitico.
La diagnosi differenziale dà al paziente profili prognostici e clinici diversi. Il linfoma follicolare over esprime
bcl-2 mentre quello mantellare la ciclina D1 e questo permette di fare diagnosi differenziale.
LINFOMI DEI PRECURSORI B E T
Sono molto aggressivi, tipici dei bambini, non è presente una netta distinzione tra quadri linfomatosi e
leucemici perchè questi leucemizzano tutti, infiltrano diffusamente e massivamente il midollo, proprio per
questo linfoma dei precursori è sinonimo di linfoma linfoblastico che è strettamente imparentato con le
leucemie linfoblastiche. Derivano nel 70% dei casi dai precursori delle cellule T mentre 20-30% da precursori
delle cellule B.
Aspetto morfologico: sono cellule medio grandi, con cromatina dispersa (sono metabolicamente attive).
Markers espressi: tutti overesprimono Tdt (marker importante per la maturazione delle cellule t e b); CD3
(se deriva dai t); CD20 (se dai precursori b); Pax5 (marker tipico b); Ki67 altissimo arriva all'80%
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Come si valuta l'indice di proliferazione? in un campo si vanno a contare le cellule neoplastiche che
esprimono il ki67 rispetto al totale delle cellule neoplastiche e si fa una percentuale.
Tassi di curabilità nei bambini arrivano al 50-80%
LINFOMA DI BURKITT
Rappresenta il 5% di tutti i linfomi, molto aggressivo (non trattato muore nel giro di qualche mese) con
indice di proliferazione altissimo pari addirittura al 100%. Si distinguono varie forme:
-endemico: tipico africano con interessamento del distretto maxillo-facciale che determina caratteristiche
deformità
-sporadico: presente anche nei paesi europei
-AIDS associato
Tutti sono associati ad infezione da EBV, il comportamento è molto aggressivo ma si registrano tassi di
guaribilità anche dell'80% soprattutto nei più giovani. Sono linfomi b dunque con un immunofenotipo:
CD20+; CD19; CD22; CD10 (sono cellule del centro germinativo); bcl6+; bcl2- perchè non c'è la t( 14-18) e le
cellule del centro germinativo non hanno normalmente bcl2. Ki67 100%. Sono cellule di media taglia con
un'alterazione citogenetica caratteristica del gene myc.
Il gene myc si trova sul cromosoma 8 e migra su promotori forti che sono i geni IgH t(8-14), mentre più
raramente trasloca sui geni delle catene lambda e k. La traslocazione viene dagnosticata mediante FISH.
Aspetto morfologico: a cielo stellato dato dalla presenza dei tingible bodies(macrofagi che divorano cellule
morte). Le cellule sono il doppio di un linfocita normale.
DIAGNOSI: aspetto tipico cielo stellato, con un profilo da centro germinativo, positivo per ebv, con ki67 del
100%, con t(8-14). E' complessa perchè richiede varie metodiche per poterla fare, è molto importante per la
terapia perchè hanno un timing diverso con tempi di sospensione della terapia molto più brevi rispetto ad
altri linfomi aggressivi.
LINFOMA DIFFUSO A GRANDI CELLULE B
Insieme a quello follicolare sono i due più frequenti. Dà linfoadenomegalie singole, alla diagnosi è
raramente diffuso, sono sintomatici e frequentemente si hanno sintomi sistemici(febbre, sudorazioni
notturne, prurito);diffonde poco perchè diagnosticato precocemente. Dal punto di vista biomolecolare si
associa spesso a traslocazioni di bcl6 nel 35-40% dei casi e non si sa perchè e poi la t(14-18) di bcl2 questo
perchè spesso i linfomi follicolari possono evolvere in un linfoma a grandi cellule b. Dal punto di vista
immunofenotipico: CD20+;Oct2+; CD3-; marker del centro germinativo (CD10, bcl2, bcl6) variabili; le
dimensioni sono notevoli, almeno 2-3 volte maggiori di un linfocita normale, con grossi nucleoli e cromatina
dispersa. In base alla morfologia si distinguono
1) centroblastico
2) immunoblastico
3) anaplastico
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Quello centroblastico è caratterizzato da cellule che ricordano i centroblasti, le grandi cellule del centro
germinativo; quello immunoblastico con cellule che sono gli immunoblasti che sono grosse cellule attivate
che si trovano di norma fuori dal centro germinativo. E' presente poi una variante che interessa più il
patologo che pone problemi di diagnosi differenziale ed è caratterizzato da un aspetto "T cell rich b cell
linfom" ed è un linfoma B ma ricco di linfociti T ben visibili all'immunoistochimica. Sono presenti poche
cellule grandi neoplastiche B immerse in un tappeto di linfociti T normali. Infine la variante anaplastica con
cellule grandi e mostruose.
Nell'ambito di questi linfomi si distinguono due varianti riconoscibili all'immunoistochimica:
- GERMINAL CENTER B LIKE (GC LIKE) che all'immunoistochimica sono CD10+
-NON GERMINAL CENTER B LINKE CD10- e bcl6-, (cosiddette forme attivate)
Se abbiamo un CD10 NEGATIVO con bcl6+ dobbiamo considerare un altro marker per dire se è germinal o
non germinal che è MUM1 che indica un linfoma particolarmente aggressivo e che se risulta positivo si
tratta di un non germinal center like, mentre se è negativo un germinal center like. E' importante
differenziarli per la prognosi e la terapia in quanto secondo alcuni autori i germinal center like rispondono
meglio.
Valutare sempre il ki67 perchè un valore uguale o maggiore al 90% deve far sospettare una traslocazione di
myc, la cui presenza modifica la prognosi di questi pazienti e il loro trattamento. Associata a questa puo'
essere presente anche la traslocazione di bcl2 e in questo caso si conclude con diagnosi di linfoma double
hit (doppia traslocazione) che prevede timing diversi nel trattamento.
Diagnosi differenziale con il Burkitt nei casi di positività alla traslocazione di myc; non avremo il tipico
aspetto morfologico delle cell di Burkitt e soprattutto le dimensioni cellulari che nel linfoma a grandi cell B
sono notevoli mentre nel Burkitt sono medie.
LINFOMI T
Linfomi T sono molto rari, nella maggior parte dei casi sono tutti aggressivi e non esistono grandi possibilità
di successo terapeutico. Quelli più comuni sono i linfomi a linfociti T periferici, non altrimenti specificato. Di
un linfoma T abbiamo già parlato che è quello aggressivo linfoblastico a precursori, ora parliamo di quelli
che originano dalle cellule periferiche. I linfomi T non sono pochissimi, il primo per incidenza è quello a
linfociti T periferici a seguire quello angioimmunoblastico poi il linfoma anaplastico di cui il più frequente
ALK+ e infine quello a cellule T/NK fondamentalmente asiatico. In particolare per i linfomi T esiste una
distinzione tra le forme sistemiche di cui abbiamo parlato e le forme esclusivamente cutanee o che nascono
dalla cute e poi progrediscono, di questi sicuramente la più importante è la micosi fungoide che si chiama
così perché sembra una micosi cutanea. In passato i pazienti non trattati sviluppavano in viso soprattutto
dei funghi. La maggior parte dei sistemici sono aggressivi, una minima quota dei linfomi t cutanei è
aggressiva ma la maggior parte dei linfomi cutanei t sono indolenti e tra questi la micosi fungoide che
sapete almeno nelle prime fasi può essere trattata con la fototerapia. I linfomi t sono il 10% dei linfomi
spesso extranodale e non ci sono alterazioni specifiche dal punto di vista molecolare; il più frequente a
cellule T periferiche è spesso associato a patologie a carattere autoimmune. I marker T più frequenti sono
CD2 e CD3 possono esprimere a seconda degli istotipi CD4 o CD8 e qualcuno può esprimere in maniera
aberrante e anomalo il CD20. Noi sospettiamo un linfoma t quando le cellule neoplastiche hanno tutti
dimensione e morfologia variabile quindi troviamo cellule piccole, grandi, intermedie ovvero un profilo
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variegato , altra cosa importante è il riscontro di molti vasi . Il linfoma angioimmunoblastico è il secondo
per diffusione colpisce prevalentemente l'anziano e interessa maggiormente i linfonodi della cute, ha una
prognosi variabile, si chiama così perché c'è una spiccata proliferazione di vasi sotto forma di venule ad
endotelio alto, ha anch'esso un profilo variegato ma si vedono soprattutto i vasi e gli immunoblasti ovvero si
riscontano cellule grandi che non sono cellule T ma B quindi sono cellule B non neoplasticihe attivati e
molto grandi. Gli immunoblasti sono cellule grandi attivate che normalmente si trovano fuori dal centro
germinativo e hanno questo nucleolo centrale grosso. Va in diagnosi differenziale con il linfoma a grandi
cellule b che è ricco di T la diagnosi differenziale non è facile, vasi marcati con CD34 tipiche di questa
neoplasia e gli immunoblasti positivi per EBERs sono elementi che ci fanno fare diagnosi differenziale.
Anche questo linfoma è correlato all'infezione da Epstein-barr.
Il linfoma anaplastico che di tutti i sistemici è quello più curabile. Esprime marker come CD3 e CD2, esprime
anche un marker presente nei linfomi di Hodgikin CD30 ma soprattutto per effetto di una traslocazione 2, 5
esprime l'ALK presente anche nel tumore del polmone ed è importante per la terapia biologica. Per effetto
di questa traslocazione questa chinasi viene iper espressa nel tumore del polmone può essere bloccata dal
crizotinib nel linfoma non è ancora stato validato. È anaplastico perché le cellule sono tutte grandi con
nucleoli enormi talvolta i nucleoli sono sovrapponibili come dimensioni a piccoli linfociti, spesso c'è necrosi.
Queste grandi cellule CD30 positive si dispongono in genere nei seni a volte la restante parte del linfonodo
ha architettura normale , sono ALK positive ed EMA positive quest'ultimo è tipico delle cellule epiteliali.
La fish è una colorazione detta break part, il gene sano viene marcato al 5’ e al 3’ da sonde NORMALMENTE
lo vediamo FUSO perchè le estremità 5'e 3' sono colorate con fluorocromi diversi che si giustappongono in
un gene normale, quando c'è la troslacazione una delle due parti si dissocia , abbiamo la dislocazione
ovvero lo split dei due segnali; la fish può essere utile per la diagnosi.
La micosi fungoide è il più frequente dei tumori cutanei è di tipo epidermotropo T in le cellule sono di
piccole dimensioni e nuclei irregolari che viene detto cerebriforme simile alle circonvoluzioni del cervello. Il
decorso della malattia è indolente e nelle prime fasi della malattia la fototerapia può essere utile.
Inizialmente si presenta con chiazze cutanee che evolvono in placche nodulari, quest'ultima è uno stato
avanzato della malattia in cui le cellule possono leucemizzare e andare incontro a metastasi, questa è un'
evenienza molto rara. Poichè la diagnosi si fa nella fase chiazza risulta abbastanza controllabile.
La parapsoriasi a grandi chiazze appare come placche nodulari ulcerate, quindi è un linfoma epidermotropo
anche qui troveremo i complessi linfoepiteliali che troveremo nei linfomi MALT, cellule piccole di taglia
cerbriformi così dette perchè hanno nuclei irregolari. All'interno dell' epidermide si possono formare
raccolte microascessuali. è un linfoma degli helper CD4+.
Un'immagine tipica di questa lesione è che i linfociti si allineano alla base per effetto dell'
epidermotrofismo.
La sezary può essere una progressione di una micosi o una lesione ex novo. Poi esistono altri forme di
linfomi cutanei poco aggressivi come quello anaplastico ALK- , esse presentano cellule mostruose. La
negatività al ALK ci aiuta a capire che il linfoma è cutaneo e non ha altre localizzazioni.
Linfomi T/NK vengono distinti in nasali ed extranasali sono estremamente aggressivi e correlati ad infezioni
da EBV . Le cellule coninvolte sono le Natural Killer che sono cd56 positive e le T che esprimono marker
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citotossici come granzyma e perforina. Per fare diagnosi ci deve essere l'infezione da ebv e le cellule nk
CD56+. Sono linfomi devastanti più diffuse nei paesi orientali e colpiscono più frequentemente le zone del
naso. Morfologicamente le cellule sono di dimensioni variabili.
Le terapie: per alcuni linfomi indolenti monomorfi si attua il watch and wait . Per qualsiasi linfoma la
diagnosi è istologica la escissione del linfonodo è fondamentale.
LEZIONE9MARZO
LINFOMI DI HODGKIN
I linfomi non Hodgkin sono sicuramente i pi frequenti, linfomafollicolare e linfoma diffuso
agrandi cellule B. Il terzo per frequenza il linfomadi Hodgkin che si chiama cos perch fu
identificato daun medico dell' 800Thomas Hodgkin ed un linfoma comunque dellalineaB.
Chi l'haidentificarto hascoperto delle cellule molto particolari che si chiamano di Sternberg e che
poi vedremo, e delle varianti. Dal punto di vistaclassificativo esistono due grossi gruppi di linfomi
di Hodgkin che sono il linfomadi Hodgkin classico, sotto cui vanno queste categorie, che sono, il
nodulare, il misto, il classico ricco in linfociti e quello adeplezione linfocitariae poi il nodulare ricco
in linfociti. Questa differenziazione molto importante per queste due entit , non tanto i
sottogruppi che pure sono importanti, masoprattutto trail classico e quello nodulare. Perch il
nodulare haun andamento molto pi simile ad un linfomanon Hodgkin indolente e
quindi faun trattamento del linfomanon Hodgkin, adifferenzadell'Hodgkin che fail classico
trattamento abvd e poi falachemioterapia. Questo perch spesso ci sono oncologi ede ematologi
poco esperti ed successo anche recentemente che si fermano ai primi righi e trattano il
linfomacome un Hodgkin classico, il che haportato agravi conseguenze, perch il linfomanon
risponde e vain progressione, nonostante siaun linfomaindolente che si pu tenere sotto controllo
e addiritturaquando viene diagnosticato molto precocemente, nello stadio 1o 2e pu essere
curato.
I classici sono molto pi aggressivi rispetto al linfomanodulare, hanno una sopravvivenza,
unastorianaturale di due o tre anni, e se il linfomadi Hodgkin non viene trattato, portaamorte il
paziente in quei tre anni, anche se comunque i meccanismi patogenetici che portano al
linfomasono diversi, maquello fondamentale quello dell'apoptosi; ci nonostante dal punto di
vistaclinico un linfomaaggressivo. Vi ricordo di non confondere
l'aggressivit legataallastorianaturale del linfomacon la curabilit , e nonostante siaaggressivo
curabile, con tassi di sopravvivenzaa5anni anche del 70-80% .
Per il linfomadi Hodgkin, un p di epidemiologia, dall'ematologiasapete che un tumore
essenzialmente giovanile, in realt hadue picchi, uno pi alto nellasecondaterzadecade di vita, e il
secondo nel paziente pi anziano, quintasestadecade.
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E' pi frequente nei maschi in et pediatrica, laprevalenzain maschi e femmine uguale negli
adulti, lacellularit mista poi unavariante del classico ed laforma pi frequente dei giovani,
mentre le deplezioni linfocitarie che poi vedremo sono pi tipiche degli anziani, e in assoluto
lavariante pi frequente lasclerosi nodulare.
Haunastoriadi linfomaaggressivo, e quindi l'esordio spesso localizzato, e diagnosticato allo stadio
1o 2, vi ricordo, lo stadio 1unastazione linfonodale, stadio 2 due stazioni, e il paziente e
laguaribilit di circal'80% dopo chemioterapia. Considerando per nel complesso, le sclerosi
nodulari e cellularit mistasono quelli che vanno meglio, rispetto alladeplezione linfocitariache
invece un linfomadi Hodgkin tipico dell'anziano che vadecisamente un p peggio. Mediamente
comunque laguarigione previstanellamaggior parte dei pazienti dopo chemioterapia. La
stadiazione dei linfomi classici quelladi Ann Arbor che vaaconsiderare le stazioni coinvolte ed
molto pi validaper l'Hodgkin che d un'ideadel linfoma, che progredisce per continuit e non
asalti come fail non Hodgkin. Un'altracaratteristica istologicamolto tipica che il linfomadi Hodgkin
caratterizzato dapoche cellule neoplastiche che sono appunto le cellule di Reed Sternberg e le
varianti, immerse in un tappeto di cellule normali reattive, quindi unacellulatipicadi Reed
Sternberg che poi descriveremo nel dettaglio, immersain un tappeto di cellule reattive che sono
linfociti ed eosinofili che sono spesso molto abbondanti. Rappresentail 30% di tutti i linfomi e
ladistinzione importante che vafattae ricercatanel referto sempre, trala formaclassicae
laformanodulare aprevalenzalinfocitaria.
Come si presentano? In genere con delle linfoadenomegalie dure, ingrossamenti linfonodali duri e
generalmente molto pi frequente il coinvolgimento dellaregione del collo o sovraclaveari,
mamolto frequenti anche il coinvogliemnto mediastinico, e l c' il problemadellacompressione e
dellasindrome mediastinica, che uno dei sintomi che pu dare appunto il linfomadi Hodgkin.
Essendo un linfomaaggressivo ha unasintomatologia, un corollario sintomatologico tipico,
febbricola, sudorazioni notturne e perditadi peso e poi altri sintomi e segni sono, l'astenia, il prurito,
la sindrome mediastinica. Come si faladiagnosi di linfoma? Sullabiopsia, unavoltache c' il sospetto
di linfoma, si inviail paziente dal chirurgo per l'escissione dei linfonodi e biopsiaincisionale
dellamassalinfonodale su cui chiaramente vavalutato il profilo immunoistochimico, e
lapresenzasoprattutto di queste cellule. Il linfomavapoi stadiato, e questo vale pure per i non
Hodgkin, lastadiazione prevede sempre un esame ematochimico complessivo, sempre unaPET,
perch i linfomi sono positivi alla PET quando c' un coinvolgimento linfonodale, oltre chiaramente
allaTAC e allaRM, tuttavialaPET un momento importantissimo nellastadiazione dei linfomi acui si
aggiunge poi anche labiopsiaosteomidollare che l'ultimo passaggio che ci dice se il linfoma allo
stadio 4o no. Quindi poi laterapiavamodulatain base aquello che lo stadio complessivo del
linfoma.
Abbiamo detto che lacelluladi Reed Sternberg unacellulaaberrante, unacellulaB che haperso il
suo programmadi differenziazione terminale, unacellulache hain realt espressioni aberranti di
proteine, di immunoglobuline, e non in grado di fare le immunoglobuline che dovrebbe fare.
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Originadal centro germinativo ed quindi un linfomadel centro germinativo, ipermutato
come tutti i linfomi germinali e post germinali, per unacellulache normalmente dovrebbe
andare incontro ad apoptosi, unacellulainefficace e quindi come tutte le cellule inefficaci
dovrebbe andare in apoptosi, maper qulche motivo questi meccanismi apoptotici sono bloccati
per cui la cellulasi differenziain modo anomalo assumendo delle forme aberranti, bizzarre. La
classicacelluladi Reed Sternberg costituitadaun grosso nucleo plurilobato che simulapi nuclei
main realt un unico nucleo con delle lobazioni particolari, per cui al taglio lacellulasembraavere
pi nuclei, con dei nucleoli che sono grandissimi. L'aspetto tipico quindi quello che sembraavere
due nuclei con due nucleoli, ad occhi di civettacome viene classicamente chiamato. Poi esistono
delle varianti di celluladi Reed Sternberg , che possono assumere unaformaad embrione, definite
'embryo-like', oppure con un citoplasmachiaro nelle cellule lacunari, possono avere aspetto di
nuclei che si specchiano gli uni negli altri e si chiamano 'mirror'. Quindi gli aspetti sono diversi
malacosaimportante che bisognaricordare, che queste cellule hanno tutte dei nuclei voluminosi
plurilobati per cui sembrano anche plurinucleate, con nucleoli molto molto voluminosi, che
spesso hanno le dimensioni di un linfocita normale. Questa
cellula almeno 2030volte unacellulanormale, quindi molto voluminosa, che per difficile dadiagnosticare perch
quando qualcuno poco esperto vede un tappeto di cellule normali che sono linfociti,
eosinofili, e disperse pochissime di queste cellule che bisognaandareacercare. Ricordiamo quindi
trale caratteristiche istologiche grossi nucleoli e plurilobazione dei nuclei, e le dimensioni
chiaramente.
Perch dal punto di vistapatogenetico questa unacellulaanomalae neoplastica? Perch per
effetto di diversi fattori, tracui anche virus come Epstein Barr che hauna serie di proteine che
vanno abloccare i meccanismi apoptotici dellacellula, in modo particolare sembravadano ad agire
proprio con il pathwaydi Nf-kb, bloccandone l'interazione nel citoplasmacon IK che inibisce il
passaggio di Nf-kb nel nucleo, oppure esistono anche delle mutazioni di inibitori di Nfkb che sono
state segnalate, masono molto rare, per comunque in queste cellule iperattivato il pathwaydi
Nf-kb. Quindi Nfkb un fattore di trascrizione nucleare che vaafavorire lasintesi di tuttaunaserie
di proteine che hanno ache fare con i meccanismi anti-apoptotici, per cui una cellula che
normalmente dovrebbe morire, perch unacellulaimproduttivache al nostro organismo non
faniente, cominciaad aumentare di dimensioni ed anche aproliferare, dando appunto delle
immagini mostruose che vi ho mostrato. Perch nellaneoplasiavi unacomponente
neoplasticamolto scarsarispetto al background? Perch queste cellule poi hanno anche
lacapacit di produrre tuttaunaserie di interleuchine che richiamano linfociti B, T, plasmacellule,
macrofagi e cellule dendritiche e anche una serie di fattori e citochine che producono, almeno
nellasclerosi nodulare, un'importante fibrosi tipicadi questapatologia.
( Nelle immagini in sezione TAC si notache il linfomadi Hodgkin si sviluppa abbondantemente nel
mediastino anteriore). Come vengono trattati? Con chemioterapiaassociatao no allaradioterapia
lo standard almeno nei pazienti che si trovano nello stadio 2dellapatologia. Lachemioterapia un
protocollo adeguato abvd che fauso appunto dellaadriamicinaed completamente diverso dal
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protocollo Cioffi che si usanei linfomi non Hodgkin, e questo molto importante nelladistinzione
tra formaclassicae nodulare perch poi il paziente subir un trattamento diverso. Nelle situazioni
in cui lapatologia aumentatao ci sono recidive si pu ricorrere atrapianto di midollo.
Lasopravvivenzadei pazienti allo stadio 1e 2 molto altaadieci anni, arrivaaddiritturaal 90% in
alcune casistiche, mentre pi bassanei pazienti che hanno unadiffusione al di soprao al di sotto
del diaframmao comunque un coinvolgimento di altre strutture extranodali come milza, fegato e
soprattutto midollo osseo. I linfomi di Hodgkin possono presentarsi anche come linfomi non
Hodgkin, possono convivere e costituire i cosiddetti linfomi compositi, che hanno profili di
prognosi e trattamento completamente diversi, e poi esistono dei linfomi detti linfomi
dellazonagrigia, in cui non facile distinguere n dal punto di vistamorfologico, n fenotipico, se si
trattadi un linfomadi Hodgkin o di un non Hodgkin. Questi linfomi che rappresentano un piccolo
maimportante capitolo dell'ematopatologia, sono i linfomi dellazonagrigia, ed in questo caso
seguiranno necessariamente un trattamento pi simile aquello dei linfomi non Hodgkin.
Proprio perch le cellule neoplastiche sono scarse rispetto al background del tumore, oltre ai
linfomi dellazonagrigia, con chi vain diagnosi differenziale questo linfoma? ( rispostastudenti: con
l'anaplastico. Il prof dice che vain diagnosi con l'anaplastico soltanto per laformadelle cellule, male
cellule dell'anaplastico fanno massa). Cellule mostruose in un tappeto reattivo. Con il
linfomadiffuso agrandi cellule (?) maanche con il linfomaangioimmunoblastico in cui vi sono delle
cellule B grandi in mezzo ad un background di cellule, per l l'inverso perch le cellule T sono
neoplastiche e le B reattive.
Quindi ricapitolando il gold standard delladiagnosi di non Hodgkin il riconoscimento
dellacelluladi Reed Sternberg o delle sue varianti e questo si faprimadal punto di vistamorfologico
e poi immunoistochimico. Background reattivo esteso massivo che talvoltaoscurale cellule
neoplastiche, e poi ricordiamo che il 50% degli Hodgkin positivo ad Epstein Barr che uno dei
fattori eziologici che deregolaNfkb tramite LMP1.
( IMMAGINI cellule Reed Sternberg ) Problemi di fissazione e processazione delle cellule nel
campione possono rattrappire le cellule, e quindi per determinare se una cellula grande o
piccolabisognasempre
fare un confronto con le cellule che si trovano sul vetrino stesso.
Altre varianti sono mononucleate in cui il nucleo unico ma c' sempre un grande nucleolo,
queste mummificate in cui lacellulastamorendo ed ha un citoplasmaeosinofilo e sono positive per
il CD30che abbiamo gi trovato nel linfomaanaplastico. Il CD30 un marker di attivazione di tutti i
linfociti, in particolare dei linfociti B, non assolutamente specifico di nessunapatologia, e lo
troviamo anche in patologie benigne, come nelle cellule dellamononucleosi infettivache abbiamo
visto aproposito delle linfoadenopatie reattive. Per il CD30
pu esserci d'aiuto per
identificare queste grandi cellule spesso nascoste dal background infiammatorio. Sono positive
spesso anche allafascina, malacosapi importante che il profilo immunoistochimico di
questacellulaclassica CD30+, CD15+(marker che normalmente si trovanei granulociti maviene
espresso anche dalle cellule di Reed stendberg). Nellamaggior parte dei casi non esprimono il
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CD20, anche se in unabuona fettaquesto CD20pu essere debolmente espresso e questo
denotache questi linfomi sono di origine B. Quindi nellamaggior parte dei casi queste cellule sono
negative per CD20mentre il background reattivo positivo, perch ci sono molti linfociti B, e
anche per l'immunoistochimica importante confrontare con le altre cellule presenti nel vetrino,
per verificare che lametodicasiavenuta, perch in qualsiasi tipo di linfoma impossibile che non ci
siaunacellulaB positiva, si chiamacontrollo interno, e va sempre idntificato. Sono cellule che
possono essere PAX positive, questo un fattore di trascrizione delle cellule B, ricordate che il
CD20 quello forse meno espresso dalle cellule di Hodgkin mentre altri marker come PAX-5sono
pi espressi. Epoi nel caso in cui il CD20siaespresso unapositivit molto blanda, positivit di
membrana parziale, molto debole. Comunque profilo immunoistochimico di questacellulaclassica
e delle sue varianti CD30+, CD15+, con un marker B pi o meno espresso. Si possono anche
identificare nel midollo, con un agoaspirato midollare. Il CD30 un marker di reattivit cellulare e
quindi sono positive anche altre cellule.
Laformapi frequente di linfomadi Hodgkin classico lasclerosi nodulare, il linfonodo pu essere
sepimentato in noduli, per non unanodulazione come nei linfomi follicolari, ma
unanodulazione circondatadacollagene. Viene quindi chiamatasclerosi nodulare perch abbiamo
delle bande di collagene che partono dalla capsulae sepimentano il parenchimalinfonodale in
grossi nuclei, in cui ci sono queste cellule dette lacunari (ricordiamo che lavariante di celluladi
Reed Stendberg che si trovanellasclerosi nodulare lacellulalacunare che hagrosso nucleo, grossi
nucleoli e citoplasmaampio e chiaro con un aspetto di uovo aocchio di bue). Come sar il profilo
immunoistochimico? CD30+, CD15+ nellamaggior parte dei casi. Pu colpire i linfonodi e
lasepimentazione delle bande fibrose macroscopica, nel linfonodo che andiamo atagliare
abbiamo parte di parenchimacircondato dabande di fibrosi con unanodulazione molto chiara.
L'aspetto tipico di coinvolgimento splenico di linfomadi Hodgkin un coinvolgimento massivo con
grossi noduli sepimentati dafibrosi.
La sclerosi nodulare è sicuramente la variante più frequente, più comune in assoluto, raggiunge da
sola circa il 50-60% di tutti i linfomi di Hodgkin classici, seguita subito dalla cellularità mista, in cui
abbiamo varianti di cellule di Reed-Sternberg, cosiddette embryo-like, che sembrano degli embrioni
(sempre grosse cellule voluminose con grossi nucleoli e con membrana nucleare piuttosto
irregolare); questa colpisce di solito pazienti un po’ più anziani e si chiama a cellularità mista perché
il background infiammatorio che troviamo in questo linfoma è molto esagerato, molto spinto, con
moltissimi eosinofili. Questo [immagine] è un tipo di cellularità mista, in cui abbiamo sempre la
positività per il CD30 e questa è la positività che vi ho detto prima per il CD15. Quindi CD30, CD15
noi li andiamo sempre a fare nel caso di un sospetto di Hodgkin (ricordatevi il CD30 è sempre
positivo, il CD15 può essere qualche volta negativo), e in più espressione aberrante e non completa
di tutti i markers linfoidi B. Poi abbiamo invece questa variante, quella della prevalenza linfocitaria
che è stata identificata relativamente da poco tempo rispetto alle varianti di Linfoma di Hodgkin
classico, perché in realtà questa variante veniva un tempo classificata nell’ambito delle
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predominanze linfocitarie nodulari (l’altro capitolo del linfoma di Hodgkin, faceva trattamenti
diversi con fallimenti terapeutici importanti), in cui la cellula è sempre una cellula di Reed-Sternberg
o variante come questa [immagine], grosso nucleo, grossi nucleoli, che ha un profilo
immunoistochimico tipico della cellule di Reed-Sternberg e varianti, quindi classico CD30 e CD15 ed
espressione aberrante dei linfociti di markers B; però queste cellule sono immerse in un background
che non è misto, ma che è un background esclusivamente linfocitario, quindi ci sono nel background
soltanto cellule linfoidi, non ci sono eosinofili e non ci sono macrofagi, che sono gli altri elementi del
background tipici del linfoma di Hodgkin. Ecco un aspetto tipico della cellula di RS e il background,
vedete, non si vedono gli eosinofili neanche a cercarli col lanternino ma soltanto ed esclusivamente
dei linfociti, e la cellula anche in questo caso esprime il CD30 e il CD15.
Poi abbiamo invece la forma di linfoma di Hodgkin classico più aggressiva che è quella tipica
dell’anziano e viene definita deplezione linfocitaria, perché in questo linfoma la componente
infiammatoria di fondo è del tutto assente ed è sostituita da sclerosi, da fibrosi, che non va confusa
con la sclerosi nodulare: ricordatevi che la sclerosi nodulare è fatta da tralci fibrosi che partono dalla
capsula e sepimentano il parenchima linfoide in noduli linfoidi; invece in questo caso il linfonodo è
completamente sovvertito dal fatto che esistono delle cellule di RS che andremo a vedere in
dettaglio dopo, però è un linfonodo rosa, quando vedete il vetrino è rosa, perché c’è molto
collagene che però si trova intorno alle cellule, non intorno ai noduli linfoidi, quindi questo lo
differenzia dalla sclerosi nodulare. È importante fare questa diagnosi perché questo nell’ambito dei
classici è un linfoma particolarmente aggressivo, ed è tipico dell’anziano e si sviluppa
prevalentemente nel retroperitoneo. Nel dettaglio, vedete [immagine], le cellule possono essere di
aspetto classico, nel background si trova tutto questo che è rosa che è collagene, molti linfociti però
non tantissimi come avevamo visto prima (perciò si chiama “a deplezione linfocitaria”, perchè
immaginate che deriva da una forma con un background linfoide o misto abbastanza spiccato che
va perso man mano), e poi molto spesso si trovano queste cellule che hanno un nucleo
ipercromatico, in cui non si vede più il nucleolo, che vengono dette cellule mummificate, che sono
cellule che in qualche modo stanno morendo.
E poi abbiamo la variante non classica di linfoma di Hodgkin che è la predominanza linfocitaria, che
è tipica del paziente giovane, un giovane adulto di 35 anni, in genere si trova dal punto di vista
stadiativo allo stadio I o II nell’80% dei casi, è un linfoma che ha un potere di adattamento diverso
dal linfoma classico di Hodgkin, come vi ho detto, può evolvere però anche in un linfoma diffuso a
grandi cellule B. Allora differenza fondamentale è che la variante di cellula di RS viene detta “cellula
pop-corn” (sembra un pop-corn, il fiocco di un pop-corn) con chiaramente da un punto di vista
morfologico cellule grandi con grossi nucleoli, però questa ha un profilo B completo, cioè esprime
tutti i markers B che sono il CD20, il CD2, il bob1, può avere una focale espressione del CD30, ma
non esprime mai il CD15. La diagnosi immunofenotipica, in questo caso di sospetto di predominanza
linfocitaria, va fatta perché chiaramente l’immunoistochimica è molto indicativa. Come si presenta
questo linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria? Viene detto nodulare perché nel 90% dei
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casi è un linfoma che fa noduli, e se vedete bene sono dei noduli che sembrano quindi un centro
germinativo, no? Di un follicolo però primario, più che secondario, io non vedo un centro
germinativo netto, qui [immagine] abbiamo un residuo di follicolo col centro germinativo normale
e qui abbiamo un nodulo neoplastico, in cui non riconosciamo un centro germinativo a
quest’ingrandimento, ma riconosciamo, a quest’ingrandimento si vedono già, delle cellule un po’
più grandi del normale. Andiamo nel dettaglio, abbiamo delle cellule, vedete, che sono cellule popcorn, con nucleo un po’ irregolare, nucleoli grandi ma non grandissimi come li abbiamo visti prima,
e sono contornate, hanno una corona di linfociti intorno sempre, e questa corona è molto
importante dal punto di vista diagnostico. Questa cellula è una cellula B abbastanza matura perché
esprime sempre il CD20: a differenza della cellula di RS e delle sue varianti classiche che hanno
positività variabile e spesso debole per il CD20, o addirittura sono negative, queste cellule
esprimono sempre il CD20 e questo è un elemento importante per la diagnosi differenziale, che va
fatta (dal punto di vista morfologico) prevalentemente con la variante a prevalenza linfocitaria della
forma classica del linfoma di Hodgkin. Quindi questo è il problema che ci dobbiamo porre: è una
variante classica a predominanza linfocitaria, o è una variante nodulare a predominanza linfocitaria?
La cosa è distinta dal punto di vista prognostico e terapeutico chiaramente. La cellula, vedete, ha
un’espressione del CD30 che è variabile, qui è molto intensa, qui è debolissima, e c’è sicuramente
anche qualche cellula negativa; il CD15 non è mai positivo; il PD1 che è un marker molecolare di cui
avrete già sentito parlare per quanto riguarda l’immunoterapia di alcune neoplasie maligne, è un
marker tipico di un fabset dei linfociti T, e l’aspetto tipico di queste cellule è che sono contornate
da cellule PD1 positive, che fanno proprio una corona. Ve le ho fatte vedere dal punto di vista
morfologico, e l’aspetto tipico che non vedete nelle forme classiche di linfoma di Hodgkin è che
queste cellule T sono PD1 positive e formano proprio una corona attorno a queste cellule che sono
sostanzialmente negative, non sono positive, sembrano positive ma in realtà è una positività indotta
dal fatto che ci sono cellule T PD1 positive intorno. È una cellula B abbastanza matura, esprime i
markers B, quindi esprime il CD2 che, come Pax, Faib, è un altro marker tipico delle cellule B, è un
fattore di trascrizione anch’esso, il CD30 è negativo o debolmente positivo, il CD3 marca in questo
caso i linfociti T reattivi normali, per cui mi deve dare una coroncina intorno a questa cellula. Le
cellule che contornavano le cellule pop-corn sono cellule che esprimono il PD1, però esprimono
anche il CD57, che è un marker citotossico tipico delle cellule T ed NK e anche in questo caso vedete
che fanno una corona intorno alle cellule linfoidi neoplastiche. [immagine] Qua è chiara l’immagine
che viene detta pop-corn, vedete questo nucleolo un po’ più piccolo rispetto ai precedenti però con
questo nucleo che sembra un nucleo soffiato, sembra proprio il fiocchetto di un pop-corn, e qui
ancora più evidente, vedete, con un nucleo con cromatina abbastanza dispersa.
Abbiamo detto che i linfomi a predominanza linfocitaria hanno una sopravvivenza che è del 92% a
5 anni, soprattutto se lo stadio è iniziale, cosa che avviene molto frequentemente. Le terapie dei
linfomi hanno rivoluzionato…è uno di quei tumori dai quali si può dire che si guarisce anche in forme
non localizzate, vedete che cosa è cambiato dagli anni ’40 in cui la mortalità era altissima per questi
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pazienti, la sopravvivenza dall’88/98 è molto alta per questi pazienti che fanno trattamenti ancora
basati sulla BBD, nella maggior parte dei casi.
Le complicanze sono legate fondamentalmente alla chemioterapia che determina grosse
cicatrizzazioni di queste masse linfonodali che alla TAC saranno ancora evidenti e sospette, però alla
PET saranno negative, perché sono in realtà degli ammassi fibrotici residui della neoplasia.
[…]Per quanto riguarda ancora l’ematopatologia, da sottolineare soltanto gli aspetti con cui veniamo
a contatto noi patologi, che nella maggior parte dei casi sono le diagnosi ematologiche. Vengono
fatte diagnosi molecolari e su aspirati midollari che normalmente gestisce l’ematologo; il patologo
ha un ruolo di supporto, non ha un ruolo cardine, e quindi a noi pervengono non gli aspirati ma le
biopsie osteomidollari. Le biopsie osteomidollari sono delle procedure che vengono fatte in tutti i
pazienti che hanno problemi ematologici di tipo neoplastico o pre-neoplastico, come le
mielodisplasie, le sindromi mieloproliferative, le leucemie acute, croniche, ma soprattutto poi nello
staging del linfoma. Abbiamo detto che una delle procedure più specifiche [?] del linfoma è la
biopsia osteomidollare che come sapete viene fatta nelle creste iliache; sapete che sono delle
procedure molto dolorose, fanno uso di aghi piuttosto spessi (11-13 Gauge) e si usa proprio un
cavaturacciolo per fare il prelievo del midollo, e l’aspirato in particolare è molto doloroso. Quindi, è
una procedura che chiaramente non può essere fatta sempre a tutti i pazienti, ma va fatta in
situazioni particolari. Per lo staging sicuramente è importante, per tutte queste problematiche
ematologiche che voi conoscete, ma anche nelle infezioni da HIV, perché molto spesso le infezioni
opportuniste dell’HIV, come le Leishmaniosi, colpiscono il midollo creando dei grossi problemi di
citopenia e in questi casi è richiesto anche l’aspirato midollare per valutare l’adeguatezza del
midollo. Allora, che cosa chiede a noi l’ematologo quando ci invia il campione? Ci chiede se il
campione è cellulato o non cellulato, quindi se il midollo è adeguato per affrontare una determinata
chemioterapia, è importante avere una valutazione iniziale della cellularità del midollo perché è un
paziente che nel caso del linfoma o anche della leucemia deve fare una chemioterapia massiccia.
Voi sapete che le chemioterapie in genere delle malattie ematologiche, a differenza di quelle dei
tumori solidi, sono chemioterapie che possono anche ammazzare il paziente, proprio perché in
questi tumori c’è la speranza di guarirli, a differenza dei tumori solidi; mentre nei tumori solidi la
chemioterapia ha soltanto la funzione di allungare la sopravvivenza, ma non di curare la malattia
avanzata, nelle problematiche ematologiche le chemioterapie sono molto molto spinte, perché il
paziente ha veramente la potenzialità di guarire. Però la chemioterapia crea dei problemi di
insufficienza midollare e quindi infezioni opportuniste che qualche volta uccidono il paziente.
Quindi, la cellularità è una cosa che bisogna valutare, un’informazione importante da dare
all’ematologo, va valutata sicuramente l’adeguatezza delle 3 linee emopoietiche che si trovano nel
midollo, se ci sono delle cellule abnormi, se c’è una modificazione della distribuzione delle linee
emopoietiche all’interno del midollo e poi qualche informazione che riguarda il microambiente
stromale, in particolare la presenza o assenza di fibrosi, che è uno delle cause più importanti delle
citopenie che si trovano nei pazienti ematologici. Quindi, la cellularità, vedete qui l’immagine di un
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midollo che è molto cellulato rispetto a un midollo che è poco cellulato. La cellularità dipende
innanzitutto dall’età: nei neonati e nei bambini la componente emopoietica prevale sulla
componente adiposa (il 100% circa è rappresentato dalla componente emopoietica), nel giovane
adulto la componente emopoietica diciamo che è in percentuale corrispondente a quella adiposa
(circa 50%), nel paziente anziano la componente adiposa prevale su quella emopoietica, in un
rapporto di circa 70:30. Che cosa si trova nel midollo? Sapete che tra le trabecole dell’osso spugnoso
si trovano una serie di cellule emopoietiche (ora, chiaramente tutta la linea l’avete fatta
sicuramente in altre discipline e la sapete benissimo, meglio di me), abbiamo una serie eritroide che
porta alla formazione di globuli rossi, una serie mieloide che porta alla formazione di globuli bianchi,
la serie megacariocitaria che porta alla formazione di piastrine e poi abbiamo delle cellule linfoidi
che nel midollo, lo sapete, hanno una funzione di maturazione e sono più numerose nei bambini
rispetto agli adulti. Cosa bisogna andare a distinguere nell’ambito di queste lacune intertrabecolari? La componente centrale che è popolata prevalentemente da linea eritroide e
megacariocitaria, rispetto alla componente para-trabecolare, a ridosso delle trabecole ossee, in cui
c’è la componente mieloide. Quindi noi andiamo a vedere tutte le componenti. [immagine]
Riconosciamo qui un megacariocita, ad esempio, questa è una cellula adiposa, grossa, molto
voluminosa, qui riconosciamo precursori eosinofili, queste qui invece, queste con cellule [?] più
laccato, lucido, nero, sono precursori dei globuli rossi, sono normoblasti, e poi abbiamo delle
plasmacellule caratterizzate dal nucleo eccentrico con citoplasma eosinofilo spinto alla periferia. La
differenza è che la prima ha un citoplasma granulare, quindi è un eosinofilo. Ora, un elemento molto
importante da valutare nelle sindromi mielodisplastiche e mieloproliferative (questa è la cosa
importante che dovete ricordare) è la valutazione dei megacariociti. I megcariociti sono un
elemento diagnostico molto importante perché ci danno idea della displasia del midollo, che molto
spesso è una displasia che può essere unilineare (che riguarda nella maggior parte dei casi elementi
eritroidi), però spesso è multilineare, e in questo caso il megacariocito della mielodisplasia è un
megacariocito poco maturo; la scarsa maturità di un megacariocito è caratterizzata dal fatto che il
nucleo è poco lobato. Esistono dei markers immunoistochimici (non li vogliamo approfondire tutti,
però esistono) che ci consentono di identificare le varie sottopopolazioni, in particolare la glicoforina
(proteina strutturale dei globuli rossi), che è un marker della serie eritroide, il CD31 che è un marker
dei megacariociti. Come vi ho detto, si trovano anche dei linfociti, prevalentemente linfociti B e T,
in questo caso marker T (in genere le cellule non sono così raggruppate, sono disperse, il
raggruppamento poi significa un’altra cosa). La mieloperossidasi sapete che è un enzima prodotto
dai granulociti, quindi marca in genere le cellule mieloidi. Quindi, l’immunoistochimica per andare
a valutare le diverse sottopopolazioni midollari. Qual è l’elemento importante dello stroma che
spesso è responsabile delle citopenie importanti? È il reticolo, che sono praticamente delle fibre
collagene che vengono colorate con colorazioni di impregnazione argentica, che danno questo
colorito grigiastro. [immagine] Qui abbiamo delle sottili fibre reticoliniche presenti, e questa è una
mielofibrosi di grado 1. Qua le fibre reticoliniche si addossano le une alle altre, per cui il midollo è
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sostituito da queste fibre reticoliniche, e questa è una mielofibrosi più seria, più importante che
viene definita di grado 4. Le mielofibrosi sono attribuibili a tutte le malattie ematologiche:
mielodisplasie, sindromi mieloproliferative, anche i linfomi (anche se lì sono mielofibrosi parziali),
però si possono trovare anche come conseguenze di alcuni chemioterapici, di alcune infezioni, nel
caso di metastasi, nelle immunopatie (soprattutto nell’artrite reumatoide, nel lupus eritematoso),
oppure in alcune malattie ossee, come ad esempio nella malattia di Paget, o negli iperparatiroidismi
primari e secondari. Nell’HIV si fa la biopsia osteomidollare per identificare eventuali agenti
infettanti, come la Leishmania ma anche il bacillo della tubercolosi con la Ziehl-Neelsen, e anche le
mielodisplasie.
Abbiamo detto che esistono delle proliferazioni clonali neoplastiche o pre-neoplastiche, vi ricordate
tutte le forme di leucemie, le mielodisplasie e le sindromi mieloproliferative.
La mielodisplasia è un gruppo di disordini clonali caratterizzata dalla cattiva maturazione di alcune
o di tutte le linee emopoietiche e che sono caratterizzate dal punto di vista morfologico da atipie di
queste cellule che non hanno un’adeguata maturazione, e questo riguarda soprattutto i
megacariociti, che vi ho ricordato sono spesso ipolobati. Esiste la classificazione solida delle
sindromi mielodisplastiche con le anemie refrattarie che possono avere o no eccesso di blasti, però
quello che dovete sapere è che i sideroblasti (che sono elementi diagnostici importanti delle
mielodisplasie) possono essere evidenziati con colorazioni che vanno a interagire con il ferro
all’interno di questi sideroblasti; questa colorazione si chiama colorazione di Perls (bluetta) e colora
tutta una serie di cellule, anche in blocchi, all’interno del midollo. [immagine] Questa è un’anemia
refrattaria con sideroblasti.
Poi abbiamo le sindromi mielodisplastiche multilineari che coinvolgono anche le altre linee
emopoietiche, in particolare i megacariociti che, vedete, sono ipolobati, non sono quelle cellule
bizzarre, mostruose, iperlobate che abbiamo visto nel midollo normale, ma hanno scarsi lobi e
spesso hanno anche nuclei piuttosto piccolini. E quindi il megacariocito è un elemento
importantissimo da andare a identificare, sia nelle sindromi mielodisplastiche, che nelle sindromi
mieloproliferative. L’eccesso di blasti, questo è un quesito che ci pone spesso l’ematologo, che
sapete deve essere superiore al 5-10% nel midollo osseo, può essere identificato grazie a una
colorazione che va a colorare blasti, e cioè il CD34, marker che va a marcare i blasti midollari (ma
tutte le cellule staminali in genere possono essere marcate con il CD34).
Sindromi Mieloproliferative:
1)Leucemia Mieloide Cronica 2)Policitemia Vera 3)Trombocitemia Essenziale 4)Mielofibrosi
Idiopatica
L’aspetto tipico di tali sindromi è che il midollo è molto cellulato. Il grasso è completamente
scomparso e questo accade indipendentemente dall’età del paziente che in genere è un paziente
giovane. Hanno una proliferazione abbondante di tutte le tre linee emopoietiche con prevalenza
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dell’una o delle altre a seconda del tipo di sindrome. L’immagine tipica è caratterizzata
dall’assenza dei globuli di grasso nel midollo. In tutte le sindromi si ritrovano Megacariociti
alterati, a volte piccolini; nella Policitemia Vera , il megariocita è ipercromatico, invece nella
Trombocitemia Essenziale si addossano gli uni agli altri formando dei clusters mentre
normalmente sono dispersi. L’elemento in più delle mielofibrosi è ovviamente la fibrosi (Visibile
con la colorazione per le fibre reticolari secondo Gomori) associata a megacariociti bizzarri e
raggruppati. ElementidiagnosticidelleSindromiMieloproliferative: Ipercellularità, bizzarria dei
megacariociti, e la fibrosi spinta che può essere massiccia nelle Mielofibrosi primitive in cui il
Tessuto emopoietico si trova nella milza.
Le leucemie acute sono caratterizzate da cellule immature che sostituiscono il midollo
completamente. È una diagnosi difficile per l’anatomopatologo e infatti è generalmente di
competenza dell’ematologo. L’immunoistochimica è fondamentale per evidenziare i vari sottotipi
FAB in base ai markers.
Elementi per la diagnosi di Leucemie acuta:cellule immature + immunoistochimica adeguata che
permetta di riconoscere le diverse linee emopoietiche.
Le leucemie linfatiche croniche sono parenti dei small lymphocytic lymphoma. Hanno un profilo
immunoistochimico tipico: CD20+ CD23+ CD5+ associato all’infiltrazione midollare che è sempre
presente rendendo cosi indistinguibili i linfomi da questo tipo di patologie. Presentano
interessamento diffuso, con spazi midollari che sono completamente sostituiti da linfociti e rari
megacaricoti che sono ancora visibili.
L’infiltrazione massiva è visibile all’immunoistochimica.
La diagnosi della leucemia linfatica cronica è una diagnosi più agevole spesso richiesta
all’anatomo patologo. Displasie Plasmacellulari
Si tratta di patologie neoplastiche che colpiscono le plasmacellule, elementi differenziati dei
linfociti b produttori di anticorpi. Il Quadro clinico-ematochimico fondamentale è rappresentato
dalla presenza di un picco monoclonale o dalla proteinuria di BenceJones, indice del fatto che
vengano prodotte lo stesso tipo di immunoglobuline.
Ci sono:
Forme di mieloma multiplo sintomatico o asintomatico in cui le immunoglobuline sono più di 3
g/dL
Nel plasmocitoma localizzatosi possono avere i picchi monoclonali ma più spesso ci si basa sulla
proteinuria di Bence Jones.
La macroglobulinemia di Waldenstrom è invece dovuta ad un linfoma linfoplasmacitoide
Poi esistono delle forme di displasie plasmacellulari ad incerto significato(MGUS) che in qualche
caso evolvono verso mieloma multiplo.
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Sono delle Patologie aggressive con sopravvivenza media a 3 anni che quindi presentando discreta
mortalità anche se negli ultimi anni sono stati sviluppati dei protocolli che riescono a controllare la
progressione di malattia.
Gli eventipatogeneticiche alterano lo sviluppo della plasmacellula sono legati a traslocazioni che
interessano nel 50 % dei casi la ciclina D1 con t11-14 (come nel linfoma mantellare), e per l’altro
50 % invece sono rappresentati da iperdiploidia o delezione del braccio corto del cromosoma 13.
Ci possono poi essere traslocazioni secondarie che danno maggiore aggressività come quelle che
interessano c-myc. IlQuadroclinicoè caratterizzato da interessamento osseo con osteolisi diffusa,
insufficienza renale per accumulo delle Ig a livello renale e da complicanze infettive.
Macroscopicamente si rileva presenza di materiale dardaceo? con accumuli di materiale
translucido/ dardaceo che ricorda il muco , con plasmacellule neoplastiche rosa costituite da
molto citoplasma con nucleo eccentrico e inclusi nucleari detti corpi di Dutcher, le quali sono
positive per CD138 che è un marker normale per le plasmacellule e per CD56 che è invece
aberrante.
Diagnosi: è necessaria la valutazione di un numero di plasmacellule >10 % della popolazione
midollare e soprattutto che siano raccolte in clusters, in questo caso la diagnosi sarà agevole.
Tuttavia spesso nelle mgus il quadro è più sfumato perché le cellule non raggiungono il 10 %.
La neoplasia ha una restrizione per le catene leggere con rapporto Kappa/lambda di 4 a
1.
E’ possibile ritrovare infiltrazioni di plasmacellule a livello renale. Possono infiltrare tutti gli organi.
I linfomi possono coinvolgere il midollo. Il pattern di infiltrazione midollare è diverso a seconda del
tipo di linfoma.
Il linfomaapiccolilinfocitielaleucemialinfaticacronicadanno un pattern di infiltrazione diffuso.
Tutti gli altri danno un pattern di tipo nodulare.
La sicurezza è data dall’immunoistochimica.
La diagnosi sulle Biopsie osteomidollare è complessa: il campione va decalcificato e poi
processato e deve essere costituito da un frustolo di almeno 1.5 cm altrimenti la diagnosi è
subordinata.
Anche le metastasi sono causa di insufficienza midollare. In questo caso dobbiamo individuare un
ispessimento delle fibre reticoliniche attorno ai noduli neoplastici. Tutte le neoplasie possono
darle ma quelle di mammella e prostata sono le più frequenti.
Patologia Della Milza
Generalità: organo dal peso di circa 180 g , situato in ipocondrio sinistro. Possono esserci delle
milze accessorie in addome. È costituita da un polpa rossa e da un polpa bianca. La bianca
presenta tessuto linfoide costituito da follicoli e centri germinativi che avvolge i rami delle arterie.
La polpa rossa è costituita da cordoni splenici addossati ai sinusoidi che svolgono funzione
emocateretica.
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La patologia può riguardare la polpa bianca ed è tipicamente neoplasticacome nel caso dei
linfomi.
Si può avere Splenomegalia quando è presente un aumento del peso della milza >400 gr, detta
massiva se >1kg Cause di splenomegalia:
-Iperfunzione Emocateretica e quindi tutte le condizioni che determinano un aumento delle
funzioni della polpa rossa.
-Primitive della milza
-Secondarie ad anomalie degli eritrociti come la sferocitosi o l’ellissocitosi che vanno a stimolare la
funzione emocateretica della milza.
-Anomalie del flusso di sangue: ipertensione portale da cirrosi perché la vena lienale è tributaria
della porta.
-Processi infiltrativi: Neoplasie primitive della milza come angiomi ecc. , neoplasie linfomatose,
rare le metastasi.
-Metaboliche: malattia di gaucher.
Si definisce IPERSPLENISMO un aumento dell’attività emocateretica della milza. Tumori della milza
Linfomiprincipalmente. Tutti possono localizzarsi alla milza: Linfomaprimitivodella milza, linfoma
della zona marginale. Soprattutto quelli indolentipossono infiltrare la milza. Al taglio l’indolente è
costituito da piccoli noduli perché si localizza solo alla polpa bianca determinandone un
espansione e il cosiddetto aspetto a salame. Si tratta generalmente di Linfomi indolenti di basso
grado, leucemie linfatiche croniche, linfomi marginali secondari, linfomi follicolari.
Sindromi mieloproliferative possono avere localizzazione splenica: ne è un esempio la
mielofibrosi idiopaticacaratterizzata da fibrosi midollare e componente emopoietica neoplastica a
carico della milza.
Tumori primitivia livello dei vasi
I linfomi aggressivitipo Hodgkin e il linfoma diffuso a grandi cellule b formano delle grosse masse.
Patologia del Timo
Organo localizzato a livello del mediastino anteriore costituito di due lobi, rivestito da una capsula
che divide il parenchima in lobuli in cui è possibile distinguere una zona
corticaleed una zonamidollare. La corticale è costituita prevalentemente da linfociti T immaturi la
cui immaturità è documentata dalla presenza del Tdt(caratteristico del linfoma linfoblastico)
mentre la midollare ha meno cellule T ma più mature e più cellule epiteliali(positive per la
citocheratina:proteina dei filamenti intermedi) comunque presenti in tutto il lobulo ma
maggiormente nella midollare dove si riduce la componente linfoide.
Le cellule epiteliali possono formare i corpuscoli di Hassall che secernono timopoietina per far
maturare i linfociti T e per sviluppare la tolleranza verso il self. Timomi: patologie tumorali rare
che originano dalle cellule epiteliali. Hanno una prognosi spesso indeterminata e non sono
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esclusivamente benigne anche se spesso presentano prognosi favorevole indipendentemente dal
tipo. Sono Classificati in base alla zona di origine:
Timomi tipoA: originano da cellule epiteliali midollari e sono quindi citocheratina+ e Tdt- ed
hanno un background di linfociti T Tdt-(molto importante perché ci aiuta a distinguerne l’origine:
tdt- midollare tdt+ corticale).
Qui le cellule epiteliali citocheratina+ possono essere fusate oppure possono costituire rosette ,
pseudo rosette o strutture similghiandolari con linfociti sempre scarsi Tdt-. -
FormaditransizioneABcon componente epiteliale sovrapponibile alla A disposta a formare fasci o
nidi e con una dominante componente linfocitaria.
Timomi tipoB sono di origine corticale e vengono suddivisi in tre forme in base al numero di
cellule epiteliali presenti. Qui la componente linfocitaria prevale fino ad oscurare quella epiteliale.
-B1presenta un tappeto di linfociti con cellule epiteliali disperse difficili da riconoscere con la
colorazione ematossilina eosina e per cui è necessario ricorrere all’immunoistochimica che
evidenzia la presenza di linfociti Tdt+ in cui sono disperse cellule citocheratina+ e tdt-.
-B2sempre background di cellule t tdt+ abbastanza corposo con cellule epiteliali che formano
piccoli gruppetti.
-B3aspetto epiteliale netto con cellule epiteliali a gruppi solidi e massicci citocheratina+ e con
linfociti Tdt+.
Quindi da b1 a b3 quello che cambia è la componente epiteliale che diviene sempre più marcata.
Timomi tipoC (errato, più corretto Carcinoma) molto raro, caratterizzato dall’aspetto
Atipicodelle cellule che si differenzia dal caratteristico monomorfismo delle forme benigne. Le
cellule esprimono il marker aberrante CD5.
Tutti i timomi presentano capacità infiltrante (capsula, polmone). In ogni caso, anche quando sono
metastatici(spt polmone), le forme A-B1-B2 hanno un andamento indolente e possono essere
trattati chirurgicamente con buona prognosi. Va ricordato che possono dare recidive anche a
distanza di 10 anni.
Vengono stadiati in base all’invasione della capsula e degli organi vicini come pericardio e
polmone:
Stadio 1: capsulato
Stadio:2 Invasione transcapsulare con infiltrazione del tessuto adiposo esterno alla capsula
Stadio 3: infiltrazione diretta degli organi vicini(pericardio, vasi, polmone)
Stadio 4: disseminazione locale o metastatica
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PATOLOGIA CARDIOVASCOLARE
Con la Dott.ssa Costanzo avete iniziato a parlare di vasculiti. Non affronteremo tutte
le problematiche, sperando che alcune vi siano note dalla patologia clinica e
generale. Ricordare:
•
EDEMA → raccolta di liquidi che nella maggior parte dei casi non dà particolari
problemi, se non a livello polmonare;
•
TRASUDATO TISSUTALE di liquidi che può essere dovuto a un aumento della
p idrostatica e osmotica e le patologie che lo determinano come ipertensione o
sindrome nefrosica per riduzione della p osmotica;
•
ESSUDATO
Nell’EDEMA POLMONARE vediamo la morfologia degli alveoli, i setti interventricolari
repleti di sangue (son proprio rossi per la presenza di sangue), spazi aerei pieni di
liquido sieroso. L’edema polmonare è mortale perché è una raccolta di siero
proveniente dal sangue nel polmone che impedisce gli scambi gassosi e porta alla
morte. L’edema polmonare è una complicanza di tutte quelle patologie che
determinano un aumento della p idrostatica o ipervolemica in generale come, per
es., gli scompensi cardiaco e insufficienza renale cronica acuta.
La TROMBOSI è la formazione di un trombo che aderisce alla parete di un vaso, un
coagulo. La sua risoluzione più frequente è la ricanalizzazione del vaso oppure una
sua complicanza sono quadri embolici dovuti allo staccarsi di parti del trombo che
vanno in circolo.
Un embolo alla biforcazione del tronco polmonare causa EMBOLIA POLMONARE
dovuta ad emboli provenienti dagli arti inferiori o dalla pelvi (⇒ terapia
antiaggregante in caso di interventi pelvici). È una delle cause di MORTE
IMPROVVISA ⇒ morte che avviene improvvisamente in condizioni di benessere o di
stazionarietà di malattia, una morte inattiva. Le cause più frequenti di morte
improvvisa nell’anziano sono di natura cardiovascolare, legate a problemi cardiaci
soprattutto; nei giovani abbiamo, ad es., rottura di un aneurisma cerebrale o
problemi malformativi.
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ATEROSCLEROSI
ARTEROSCLEROSI: - ispessimento ed indurimento delle arteriole
• distruzione dello strato di muscolo
•
ipertensione e diabete mellito
C’è differenza tra ARTEROSCLEROSI E ATEROSCLEROSI.
L’ARTEROSCLEROSI, normalmente, si riferisce ad un ispessimento ed indurimento
delle arteriole, vasi di piccolo calibro, che porta ad una perdita di elasticità per una
perdita delle fibre elastiche dello strato muscolare e può essere dovuto a diversi
motivi. Nell'ATEROSCLEROSI il danno riguarda soprattutto i vasi di grosso e medio
calibro e, generalmente, ed è danneggiata la tonaca intima per prima con un
coinvolgimento secondario della tonaca media.
I vasi sono composti da 3 tonache: intima, media ed avventizia: l'intima è molto
sottile, rivestita da endotelio e da un sottilissimo strato di connettivo lasso dove si
trovano anche alcune fibre elastiche; poi abbiamo la tonaca media che è composta
da un'alternanza di fibre elastiche e di fibre muscolari che sono più numerose e
consistenti nei vasi arteriosi.
FATTORI DI RISCHIO
Fattori di rischio
epidemiologici non
condizionabili
Fattori di rischio
epidemiologici condizionabili
- Iperlipidemia
•
Età
•
Sesso maschile
•
Familiarità per malattie
ischemiche premature
- Fumo
- Diabete
- Ipertensione
- Stress
• Obesità
• Scarsa attività fisica
I fattori di rischio: età, sesso maschile, familiarità, malattie ischemiche premature
sono i fattori di rischio non condizionali, poi ci sono quelli condizionali come
iperlipidemia, fumo, diabete, ipertensione, stress, obesità, scarsa attività fisica.
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Le lesioni correlate all’aterosclerosi sono:
•
Stria lipidica
•
Placca ateromasica
•
Placca ateromasica complicata
Le lesioni che portano all'aterosclerosi iniziano molto precocemente, nell'infanzia,
con le strie lipidiche che sono accumuli di cellule schiumose, sono macrofagi che
fagocitano i grassi, poi abbiamo la placca ateromasica che si forma a metà della
vita adulta e che può complicarsi.
Le complicanze sono la fissurazione, l'ulcerazione, etc. e tutte queste condizioni
portano alla formazione di un trombo.
Che cosa determina l'aterosclerosi?
•
riduzione del calibro del vaso, del lume e, quindi, anche dell'apporto di
sangue al distretto interessato;
•
una perdita di elasticità, perché abbiamo detto che, inizialmente il danno
inizia dalla tonaca intima, ma poi si estende anche alla media dove abbiamo le
fibre elastiche ⇒ il vaso perde la sua elasticità.
PATOGENESI DELL'ATEROMA
Il protagonista dell'ateroma è il macrofago. C'è una significativa disfunzione
endoteliale, c'è un danno endoteliale causato da tutti quei fattori di rischio visti
prima ⇒ un aumento della permeabilità per cui i macrofagi entrano nella tonaca
intima e richiamano altre cellule effettrici del sistema immunitario, come le cellule
B e T, e tutto questo determina la formazione della placca. Si accumulano nella
tonaca intima anche i grassi circolanti, i macrofagi li fagocitano e formano il core
morbido della placca. Tutte le cellule infiammatorie coinvolte richiamano,
attraverso una serie di mediatori chimici come le interleuchine, i fibroblasti che
proliferano, sintetizzano collagene e questi (fibroblasti e collagene) formano il
rivestimento esterno al core lipidico (cellule schiumose).
La disfunzione endoteliale è un danno dell’endotelio, determinato dai fattori di
rischio, che determina una migrazione dei monociti nell’intima, una adesione delle
piastrine (proprio per il danno che si è creato) e una distruzione dell’intima.
I macrofagi e le piastrine producono una serie di fattori di crescita che richiamano
altre cellule infiammatorie e tutto questo determina un aumento dei fibroblasti e
un aumento della produzione di collagene.
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Abbiamo il core centrale costituito dai macrofagi fagocitati e rivestito da cellule
infiammatorie, fibroblasti e, in superficie, il collagene. Nell'ambito della placca
ateromasica abbiamo la placca ateromasica stabile che è particolarmente dura ha
un bel colletto di fibroblasti e di collagene e difficilmente, raramente, può rompersi;
e poi abbiamo la placca ateromasica complicata in cui il colletto fibroblastico è
meno evidente e qualsiasi ulteriore danno si crei sull’endotelio fa sì che si venga a
formare un trombo, una fissurazione, un’emorragia interna, per cui il calibro del
vaso si riduce ancora di più e dal trombo possono partire degli emboli che possono
complicare la ossigenazione dei tessuti a valle.
(Fa vedere una slide riassuntiva e una serie di immagini con placche ateromasiche)
La placca stabile ha il colletto di fibroblasti più consistente, molto compatto e,
difficilmente, si danneggia; la placca instabile è quella in cui il colletto è meno
evidente e ci sono dei punti più sensibili che portano alla formazione del trombo.
Il restringimento del lume di un vaso importante porta a problemi ischemici ⇒
quando parliamo di infarto parliamo di una complicanza estrema e ci riferiamo
principalmente al cuore o al cervello.
Le complicanze della formazione degli ateromi sono principalmente la riduzione
del lume, oppure la fissurazione con area emorragia all'interno della placca e questo
ne aumenta il volume dell’ateroma e riduce ulteriormente il calibro del vaso. Ci
sono, poi, dei danni anche a carico delle fibre elastiche dell’arteria questo porta ad
una dilatazione che si chiama aneurisma.
Ricordare l'anatomia vascolare del cuore. Dall’arteria coronaria di sinistra deriva il
ramo circonflesso e il discendente. La formazione della placca può avvenire a
qualsiasi livello e a valle l’irrorazione sarà alterata ⇒si hanno problemi ischemici in
zone ben specifiche del cuore.
Abbiamo detto che la formazione dell'ateroma può avere una certa stabilità quando
il colletto fibro-collagenico è ben strutturato per cui difficilmente questa placca va
incontro a danni e dal punto di vista clinico si riflette nella cosiddetta angina stabile
⇒ un dolore dovuto ad una scarsa irrorazione a valle del vaso in cui si è formato
l'ateroma. Quando abbiamo una angina stabile che compare durante uno sforzo
fisico quasi sicuramente alla sua base, fisiologicamente, ci sarà una placca stabile.
Il nostro problema sono le placche instabili che vanno incontro a danni superficiali
che possono essere erosioni o fissurazioni con formazione di trombi per cui il lume
si riduce improvvisamente e, dal punto di vista clinico, possiamo avere: un'angina
instabile, non motivata da uno sforzo fisico; un infarto acuto del miocardio; oppure
la morte improvvisa (ricordate che la morte improvvisa è una delle manifestazioni
cliniche della malattia ischemica).
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Il cuore è un muscolo striato. Che differenza c'è con il muscolo striato scheletrico?
Il muscolo striato scheletrico è costituito da fasci che sono dei sincizi anatomici,
cellule fuse che condividono il citoplasma e hanno una serie di nuclei fusi posti alla
periferia. Il muscolo cardiaco è un muscolo scheletrico, un sincizio anatomofunzionale dove il nucleo è centrale e le fibrocellule comunicano con dei
microfilamenti.
Manifestazioni
IC
• Angina Pectoris: stabile, instabile
• IMA
• IC cronica
• Morte improvvisa
• Sindrome Coronarica “Acuta”:
•
Angina Instabile
•
IMA
•
Morte Improvvisa
CLINICA
Le manifestazioni cliniche della malattia ischemica sono angina stabile, instabile,
infarto acuto del miocardio, malattia ischemica cronica e la morte improvvisa.
Quando parliamo di Sindrome Coronarica Acuta ci riferiamo, dal punto di vista
patogenetico, all'ateroma instabile quello che si danneggia molto frequentemente
e che può, dal punto di vista clinico, dare luogo all’angina instabile, infarto del
miocardio e morte improvvisa, NON all’angina stabile e alla malattia ischemica
cronica. Abbiamo detto che a seconda del danno in cui si è formato l’ateroma il
miocardio soffre, perché può andare incontro a morte, può essere più o meno vasto:
quando c’è
un’occlusione
dell’arteria coronaria di
destra c’è
un danno
generalmente posteriore; quando c’è un danno dell’arteria coronaria di sinistra
interessa la parte antero-laterale di sinistra e anche parte del setto; quando
l’occlusione interessa l’arteria discendente il danno è antero-settale; quando
l’occlusione è dell’arteria circonflessa è laterale. Quindi a seconda di dove sia la
placca può cambiare la sede del danno.
Il rischio della malattia ischemica è legata al numero delle placche, alla loro
distribuzione, alla loro dimensione e alla loro struttura.
128
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Nella sindrome coronarica acuta abbiamo la conversione di una placca
aterosclerotica stabile in una instabile, però, vi ricordo, che quando abbiamo una
placca stabile nella maggior parte dei casi rimane stabile, però quando nasce
instabile va incontro a fenomeni di erosione, di fissurazione.
Dal punto di vista epidemiologico l’infarto del miocardio ha una sovrapposizione
con l’epidemiologia dell’aterosclerosi perché nel 90% dei casi di infarto del
miocardio sono legati all’aterosclerosi. Negli Stati Uniti nel 2010 si è calcolato un
mezzo milione di morti per patologia ischemica cardiaca e nel ‘63 era un milione,
il doppio ⇒ i nostri strumenti di prevenzione hanno dato buoni frutti, quindi la
prevenzione riguardo i fattori di rischio ha ridotto l’incidenza della malattia
ischemica e soprattutto delle sue complicanze più gravi come l’infarto del
miocardio e la morte improvvisa e, ovviamente, è migliorata anche la diagnosi
precoce di qualsiasi forma di patologia ischemica iniziale.
Sindromi coronariche acute
Conversione di una placca aterosclerotica stabile in una instabile per
fenomeni trombotici causati da erosione superficiale, ulcerazione,
fissurazione, rottura o emorragia profonda.
PATOGENESI
A che cosa è dovuta la Sindrome Coronarica Acuta, che è quella che da l’infarto del
miocardio, legata alla formazione della placca instabile?
Alla modificazione della placca: erosione, fissurazione, ulcerazione.
È importante non dimenticare il ruolo determinante che hanno alcune molecole,
alcune citochine infiammatorie prodotte da alcune cellule infiammatorie presenti a
livello della placca, e che determinano un maggiore accorso di fibroblasti e di altre
cellule infiammatorie ⇒ una riduzione abbastanza rapida del lume del vaso e poi
alla vasocostrizione, al vasospasmo, che su un vaso già danneggiato e ridotto di
calibro incide determinando quei fenomeni che sono infarto acuto e morte
improvvisa.
Quello che è maggiormente incidente sulla Sindrome Coronarica Acuta sono:
rottura, erosione, fissurazione ed emorragia acuta all’interno della placca (mostra
alcune immagini di placche danneggiate). Quando si verifica uno di questi fenomeni
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si ha la formazione di un trombo sulla superficie che determina l’occlusione totale
o parziale del vaso, è un evento acuto, oppure può portare alla formazione di un
embolo, i trombi più freschi sono quelli che più frequentemente possono dare
origine ad emboli che si staccano più facilmente.
Ricordate che, per quanto riguarda l’entità della stenosi, quando abbiamo
un’angina stabile abbiamo una riduzione del calibro della coronaria del 75% ed è
sempre evocata da uno sforzo fisico e si riduce con i nitroderivati. In tutte le altre
condizioni come angina instabile, infarto del miocardio e morte improvvisa, invece,
l’entità della stenosi può essere variabile può anche essere minima, è il danno che
insorge su questa placca può determinare un’ostruzione parziale con queste
conseguenze cliniche
Quando parliamo di danno endoteliale ci riferiamo a quelle condizioni che
determinano una perdita della superficie endoteliale del vaso con la formazione del
trombo.
Nell’ambito dell’angina pectoris, l’angina stabile rientra con il riposo e con il
trattamento con nitroderivati, quella instabile è causata dai danni di cui abbiamo
parlato. Dal punto di vista anatomico, gli infarti possono essere distinti in
transmurali, che sono i più frequenti, e sub-endocardiali. Gli infarti transmurali
coinvolgono l’intero spessore del cuore, quindi dal pericardio all’endocardio, invece
i sub-endocardiali interessano soltanto la porzione miocardica che si trova al di
sotto dell’endocardio.
L’infarto si verifica quando si forma il trombo, responsabile della sindrome
coronarica acuta, ma questo si dissolve rapidamente. Gli emboli raggiungono solo
i rami ultimi delle ramificazioni. Quindi la sofferenza ischemica si ha soltanto nelle
porzioni del miocardio sotto l’endocardio. Il 90 % degli infarti è legato
all’aterosclerosi. Ma nel 10 % dei casi gli infarti sono dovuti a vasospasmo embolo
di altri distretti o cause sconosciute.
Dal punto di vista anatomico abbiamo delle alterazioni sia funzionali che istologiche
del tessuto. Uno dei primi danni è la riduzione dell’energia (dopo qualche secondo).
Le cellule miocardiche sofferenti prive di energia sono incapaci di contrarsi. La
riduzione dell’ATP diventa significativa in 10 minuti (50 %) e arriva al 10% dopo 40
minuti. Dopo 40 minuti il danno è irreversibile. Dopo un’ora sopravviene l’infarto.
Una lesione di questo tipo è caratterizzata da un tessuto pallido, ma questo pallore
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è evidente molto di più nelle fasi più avanzate dell’infarto. Si mette il cuore in
nitroblu tetrazolio nelle prime 12 ore: si colorano soltanto le cellule ricche di ATP,
le aree povere di ATP non si colorano. Successivamente il pallore diventa evidente
anche macroscopicamente. Successivamente, in terza giornata, compare un’area
emorragica congesta intorno a una lesione pallida (movimento di sangue
compensatorio per salvare il salvabile). Successivamente abbiamo il danno
irreversibile delle cellule che muoiono e sono sostituite da cicatrice. Ricordate che
le cellule muscolari sono cellule che non sono capaci di rigenerarsi. Sono stabili
labili o perenni? Perenni. Dal punto di vista istologico abbiamo questo edema. Dopo
24 72 ore accorrono le cellule dell’infiammazione acuta, i granulociti, che
distruggono le cellule morte. Poi accorrono i macrofagi che vengono a spazzare i
detriti cellulari. Successivamente accorrono fibroblasti che depongono collagene e
formano la cicatrice. Fa vedere immagini. -Infarto del setto: quale arteria è
coinvolta? La discendente anteriore. -Preparato istologico con fibre cardiache
sofferenti, si vede che sono piene, un po’ chiare, idrope cellulare che indica
sofferenza ischemica iniziale. -Questa colorazione particolare si chiama rosso Sirio
e colora in rosso il collagene, questa è infatti un’area cicatriziale.
L’infarto ha anche delle complicanze:
• Rottura del cuore. Il paziente muore per emopericardio e tamponamento
cardiaco.
• Trombo. Partono emboli che vanno in circolo
• Aneurisma cardiaco
• Bypass
• Rottura muscolo papillare, che dà insufficienza valvolare ed edema
polmonare a monte. Questi pazienti muoiono di edema polmonare
(Sapete la differenza tra autopsia giudiziaria e autopsia con riscontro diagnostico
fatta dall’anatomopatologo? L’autopsia giudiziaria è richiesta dal pubblico
ministero, in genere per motivi di morti sospette, morti violente. Mentre il riscontro
diagnostico viene richiesto al patologo dal clinico che ha seguito il paziente, che
non capisce perché è morto e vuole che il patologo ricostruisca tutte le fasi che
hanno portato alla morte del paziente).
131
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• Cuore polmonare cronico: il ventricolo destro è aumentato di spessore. Le
cause possono essere ipertensione polmonare o bronco-pneumopatie croniche
ostruttive. (Nella malattia ischemica cronica non ci sono dei veri e propri infarti.
C’è una estesa aterosclerosi. Ci sono dei danni importanti a livello delle camere
cardiache come l’ipertrofia…)
• Morte improvvisa. È una delle manifestazioni cliniche della malattia
ischemica. 350.000 morti in USA su base aterosclerotica. Nei reperti autoptici
si ha un’occlusione del 75 % del lume di uno due o tre vasi. Uno dei momenti in
cui può avvenire la morte improvvisa è anche in corso di guarigione, quando
sembra che il paziente stia uscendo dalla fase acuta, probabilmente per la
formazione di emboli.
• Aritmia. Quando si fa l’autopsia e non si trova una causa anatomica della
morte, si parla di morte elettrica (si parla di causa di morte di “convenienza”,
una volta che sono state escluse le altre cause)
PATOLOGIA DEL MIOCARDIO NON INFARTUALE
Prof. R. Franco - 01/12/15
ENDOCARDITI
Sono patologie infiammatorie che si estrinsecano a livello dell’endocardio valvolare ed
eventualmente parietale con accumulo di materiale sulla superficie dei lembi valvolari.
•
Malattia Reumatica → processo flogistico sistemico, su base autoimmune, che si realizza
circa 2-6 settimane dopo una faringite da streptococco B-emolitico di gruppo A.
•
Endocarditi Infettive → processo infiammatorio su base infettiva che si estrinseca a livello
dell'endocardio valvolare ed eventualmente, parietale. In passato erano principalmente i
batteri a provocare le lesioni tipiche, oggi grazie alla terapia antibiotica sono divenuti più
frequenti endocarditi da germi saprofiti e da miceti. I batteri (spesso stafilococchi,
pneumococchi o streptococchi B-emolitici) si impiantano su valvole sane dando origine a
vegetazioni tromboemboliche friabili (raggiungono anche i 5 mm di diametro) e ad estese
ulcere della valvola (da cui spesso il nome di endocardite ulcero-poliposica)
•
Endocarditi in quadri di malattie autoimmuni → più frequenti sono quella lupica (che
colpisce entrambe le facce valvolari) e quella legata all'artrite reumatoide (che non da
vegetazioni ma granulomi soprattutto a livello dell'ostio valvolare e miocardio
•
Endocarditi trombotica non batteriche (Marantiche) → caratterizzate da deposizione di
trombi friabili, di dimensioni variabili (in genere da 3 a 5 mm) disposti in maniera
132
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simmetrica sulla faccia assiale delle cuspidi valvolari, gli orifizi valvolari più colpiti sono, in
ordine, la mitrale, l'aorta e la tricuspide.
Endocardite Reumatica
La Malattia reumatica è un processo flogistico sistemico, su base autoimmune, che si realizza circa
2-6 settimane dopo una faringite da streptococco β-emolitico di gruppo A. Lo streptococco a
innescherà una risposta infiammatoria la cui conseguenza sarà una abnorme risposta immune con
la produzione di numerosi anticorpi, alcuni dei quali agenti contro strutture dell’ospite. L’aspetto
caratteristico della malattia reumatica è appunto la reazione contro epitopi self a livello articolare,
vasale e contro glicoproteine dell’endocardio. L’infezione, quindi, stimola il sistema immunitario a
produrre gli anticorpi che daranno la reazione crociata.
Tipica dei bambini, ma negli ultimi anni ha subito una riduzione notevole grazie all’introduzione di
terapie antibiotiche.
•
Clinica → Non predilige alcun sesso, anche se le complicanze valvolari croniche sono più
frequenti tra le donne, è raro che il primo attacco della malattia si manifesti oltre i 30 anni
e, con l'avanzare dell'età di esordio, la localizzazione carditica si fa sempre meno frequente
e la prognosi sempre più favorevole. Sebbene l'endocardite reumatica sia quella che lascia i
maggiori reliquati a distanza, la miocardite è l'unica a mettere a repentaglio la vita del
paziente durante l'attacco acuto (peraltro con mortalità di appena l'1%), i sintomi sono in
genere rappresentati da aritmie, dilatazione acuta del ventricolo sinistro (che può essere
responsabile di una insufficienza mitralica transitoria) e – nei casi fatali – di insufficienza
contrattile. Si sviluppa in una
◦
Fase acuta → frequente in età pediatrica caratterizzata da una costellazione di
manifestazioni: febbre, eritema cutaneo marginato, poliartrite migrante, episodi
occasionali di corea, pancardite ( manifestazione clinica più importante della malattia).
La pancardite in particolare si manifesta sotto forma di: Pericardite fibrinosa,
Miocardite, Valvulite. La valvulite, in particolare, interessa la superficie valvolare
cardiaca (in ordine di frequenza la valvola mitralica, valvola mitralica e aortica, solo
aortica), ma può interessare anche i margini valvolari; l'interessamento isolato delle
valvole del cuore destro è eccezionale.
◦
Fase cronica → si sviluppa nel corso degli anni favorita da ripetuti attacchi acuti della
malattia ed è caratterizzata da vizi valvolari in stenosi o in steno-insufficienza.
Di tutti i danni che provocherà a livello tissutale il danno endocardiaco assume particolare
rilievo a causa dell’esito cicatriziale che crea delle aderenze tra le strutture dei lembi
valvolari andando ad impedire l’apertura delle valvole semilunari con quadro di stenosi o
limitandone la chiusura con insufficienza mitralica o aortica.La valvola più comunemente
interessata dalla malattia reumatica è la mitrale con quadri di interessamento combinato
mitro-aortico. .
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Macroscopicamente sarà possibile notare vegetazioni biancastre sulla superfice della valvola
•
Quadro istologico → La malattia inizia con edema dei lembi valvolari in fase acuta. Nelle
prime settimane dall’attacco acuto compare necrosi fibrinoide con infiltrato infiammatorio
a carattere diffuso con maggioranza di linfociti e rari fibroblasti. Ad un anno dall’insorgenza
della patologia, con il ripetersi delle recidive, le lesioni infiammatorie sono sostituite da
tessuto connettivo che porterà alla formazione di collagene denso e tessuto ialino con
ispessimento, irrigidimento e retrazione delle parti colpite.
•
Esiti → Vizi valvolari di stenosi e steno-insufficienza
Endocardite Infettiva
Colpisce, in ordine di frequenza, le valvole: mitralica, aortica e meno frequentemente la altre (nei
maschi sarà più frequente l’interessamento della valvola aortica e nelle donne quello della
mitrale).
•
Si dividono in
◦
Acute → si sviluppano in un cuore sano e sono in genere sostenute da batteri
particolarmente virulenti come S. Aureus e streptococco di gruppo A. Danno delle
vegetazioni di grosse dimensioni
◦
Subacute (o lente) → più subdole, sono sostenute da batteri meno virulenti
(Streptococco viridans, enterococco), formano delle vegetazioni di dimensioni minori a
quelle formate nelle endocarditi acute ma che possono ugualmente modificare la
meccanica delle valvole. Si riscontra in questi pazienti spesso un infezione a distanza
(soprattutto dopo interventi di chirurgia orale). Dal punto di vista patogenetico gli
134
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agenti eziologici variano se si considerano pazienti tossicodipendenti perché oltre a
stafilococchi, streptococchi ed enterococchi si dovranno considerare Haemophilus e
funghi come Candidae e Aspergilli.
Infezioni valvolari si possono avere anche su protesi valvolari biologiche e nei primi due mesi
dall’impianto sarà più frequente l’infezione da stafilococco mentre nei mesi successivi le infezioni
saranno sostenute soprattutto da streptococchi. L’introduzione della terapia antibiotica ha
cambiato radicalmente la storia di queste patologie.
•
•
Clinica →
◦
Febbre > 38 °C
◦
Soffio cardiaco
◦
Petecchie emorragiche
Complicanze ed esiti
◦
Scompenso cardiaco da insufficienza valvolare acuta per ulcerazione o perforazione dei
veli o rottura di corde tendinee
◦
Tumore settico di milza
◦
Embolie settiche
◦
Ascessi del miocardio
◦
Distacco di protesi valvolari
◦
Aneurismi cardiaci
◦
Noduli di Osler → piccole papule cianotiche dolenti della cute delle estremità, imputate
a embolia settica o, più probabilmente, a vasculite da ipersensibilità
◦
Lesioni renali → infarti, ascessi da embolia, glomerulonefrite focale da
immunocomplessi
Endocarditi in corso di malattie autoimmuni
•
Sindrome di Libman-Sacks → nota anche come “endocardite verrucosa atipica”, è una
forma frequente nei soggetti affetti da LES. Il lupus eritematoso sistemico è legato alla
presenza di autoanticorpi, contro il DNA in particolare, che daranno una serie di alterazioni
sistemiche. A livello cardiaco avremo endocarditi in cui si formano delle vegetazioni ma
abbiamo anche quadri di infiammazioni del miocardio. Nelle endocarditi avremo
soprattutto interessamento valvolare su entrambe le facce e questa è una caratteristica
del lupus. Caratterizzata da:
◦
Macroscopicamente → vegetazioni asettiche (ricorda non ci sono batteri!) che
colpiscono entrambe le facce ed anche il margine, sono piccole, friabili.
135
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•
◦
Microscopicamente → il quadro, legato alla reazione infiammatoria, sarà composto da
fibrina, neutrofili linfociti ed istiociti cellule giganti.
◦
Clinicamente → Asintomatica, ma rispetto alla reumatica che era caratterizzata dalla
fibrosi, le vegetazioni della endocardite lupica, non sono stabili quindi posso partire
degli emboli che nel caso della valvola aortica sono spinti a livello sistemico potendo
raggiungere il cervello o dare infarto renale.
Endocardite in corso di artrite reumatoide → Non è molto frequente, non coinvolge
direttamente i lembi valvolari ma più frequentemente gli osti valvolari con un quadro di
miocarditi che possono destrutturare o alterare gli osti con un minimo coinvolgimento
retroattivo dei lembi.
◦
Microscopicamente → Granulomi reumatoidi, detti noduli rematoidi, distribuiti un po’
in tutto l’organismo e caratterizzati da una degenerazione del collagene all’interno e
cellule istiocitarie disposte a palizzata alla periferia
◦
All'istologia → il nodulo reumatoide con cellule a palizzata è patognomonico per
l'artrite reumatoide.
Endocarditi trombotiche non batteriche
Detta anche marantica o cachettica caratterizzata da vegetazioni sterili di grandi dimensioni 3-5mm
di diametro. Generalmente asintomatica con vegetazioni che sono attaccate molto debolmente ai
lembi valvolari e che quindi possono dare embolia. Frequente in pazienti con tumori. Le
vegetazioni dell'endocardite trombotica non batterica non sono diverse da quelle dell'endocardite
infettiva ma sono generalmente più piccole di quest'ultime e la diagnosi differenziale si basa,
macroscopicamente, sull'assenza delle tipiche ulcerazioni (dell'endocardite infettiva) e,
microscopicamente, sulla mancanza di agenti infettivi all'interno delle vegetazioni trombotiche.
Inizialmente questa forma fu descritta quale riscontro occasionale di autopsia, in soggetti
cachettici in stadio terminale, per cui fu chiamata “marantica” o “cachettica”. L'avvento
dell'ecocardiografia ha permesso di riconoscerla in vivo ed ha dimostrato che essa colpisce i
soggetti di ogni età (ma più frequentemente > 50 anni) e non necessariamente affetti da condizioni
cachettizzanti. Si ammette oggi l'esistenza di un duplice ordine di fattori predisponenti:
•
Locali → vortici (che favoriscono la deposizione di trombi previa marginazione delle
piastrine), o corpi estranei o comunque aree di endocardio private del rivestimento
endoteliale. Si comprenda quindi come questa endocardite prediliga valvole alterate da una
lesione preesistente
•
Generali → ipercoagulabilità del sangue
VIZI VALVOLARI
Esistono due tipi di alterazioni valvolari che sono la stenosi e l’insufficienza. La stenosi è un’alterazione con
cattiva apertura della valvola, l’insufficienza sarà legata a cattiva chiusura.
136
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Nel caso della stenosi mitralica c’è una sofferenza a monte del piano valvolare con una dilatazione atriale e
congestione dei vasi polmonari e riflesso sul cuore destro. Il cuore è un organo in grado di compensare
queste alterazioni meccaniche fino ad un certo punto e poi si scompensa.
La malattia reumatica ricordate che è la causa più frequente di queste alterazioni meccaniche valvolari.
Ricordiamo che le valvole atrio ventricolari sono la mitrale e la tricuspide ma quella che più frequentemente
è interessata da alterazioni è la mitrale. Ci sono poi le valvole semilunari, l’aortica e la polmonare con una
particolare struttura a nido di rondine con interessamento maggiore per la valvola aortica.
Stenosi mitralica → È una malattia cronica progressiva della valvola mitrale caratterizzata dal
restringimento dell’orifizio mitralico, che crea ostacolo al flusso dell’atrio sinistro durante il
riempimento diastolico del ventricolo.
Ispessimento dei lembi
valvolari con disfunzione degli
stessi, causa più frequente di
stenosi è la malattia
reumatica. Spesso avremo
interessamento dell’apparato
sottovalvolare, i muscoli
papillari e le corde tendine si
irrigidiscono. Si ha una ridotta
apertura valvolare ed il piano
valvolare mitralico può
raggiungere anche 1 cm2.
FISIOPATOLOGIA
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CLINICA → i sintomi non compaiono prima che l'area valvolare sia inferiore a 1, 2 cm^2
(normalmente è 4-5 cm^2)
•
Congestione polmonare → quindi dispnea, tosse ed emottisi, voce bitonale (per
compressione del nervo ricorrente sinistro ad opera dell'atrio sx e dell'arteria polmonare
dilatati)
•
Riduzione della portata cardiaca → quindi astenia (per ipoperfusione muscolare), lipotimia
(per ipoperfusione nervosa), edema (per ipoperfusione renale e scompenso destro)
COMPLICANZE → flutter e fibrillazione atriale (per camera atriale dilatata e formazione di circuiti
da rientro), fenomeni tromboembolici (per camera atriale dilatata e ristagno di sangue
nell'auricola)
Insufficienza mitralica → Incompleta chiusura della mitrale con reflusso di sangue in sistole. Causa
prevalente è la malattia reumatica con esiti cicatriziale, tra la cause anche: l’endocardite infettive,
rottura dei papillari (con insufficienza mitralica acuta), dilatazioni dell’ostio valvolare.
CLASSIFICAZIONE → in base alla modalità di insorgenza si distinguono:
•
Forma cronica: in cui il cuore ha il tempo di adattarsi al sovraccarico di volume impedendo,
tramite dilatazione e ipertrofia, l’aumento di pressione.
•
Forma acuta: in cui il cuore non ha il tempo di adattarsi e il sovraccarico di volume viene
pienamente dissipato come aumento pressorio.
CLINICA
•
•
Forma cronica → I sintomi sono attenuati ed insorgono gradualmente; Anche nelle forme
rilevanti il paziente può rimanere asintomatico per molti anni. In circa un terzo dei pazienti
le prime manifestazioni sono legate alla ridotta gittata e sono essenzialmente
rappresentati da:
◦
Palpitazione: dovuta alla comparsa di flutter o fibrillazione in seguito alla dilatazione
atriale sinistra.
◦
Diminuita resistenza allo sforzo: in quanto il ventricolo deve già a riposo espellere
maggiore quantità di sangue.
◦
Dispnea (lieve)
Forma acuta → La sintomatologia è legata alla congestione venosa ed all’ipertensione
arteriosa polmonare:
◦
Edema polmonare acuto
◦
Dispnea parossistica notturna
◦
Emottisi
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Stenosi aortica → Complicanza della malattia reumatica con cattiva apertura della valvola in fase di
sistole, la valvola si apre molto difficilmente e non del tutto. Frequentemente riscontrata in corso
di patologie cardiache congenite.
CLINICA → La stenosi aortica può rimanere per molti anni asintomatica; la fase sintomatica
compare in genere solo tardivamente (50 60 anni) ed è caratterizzata dalla triade classica: angina,
sincope e dispnea.
• Angina → È il sintomo più frequente; è dovuta ad un aumento del consumo di ossigeno
cardiaco accoppiato ad un’impossibilità di incrementare il flusso coronarico a causa della
compressione del miocardio ipertrofico.
• Sincope → È causata da un’ipoperfusione a livello cerebrale. Generalmente avviene in
seguito ad uno sforzo; in questo contesto la pressione ventricolare sistolica aumenta
enormemente nel tentativo di mantenere il flusso richiesto all’esercizio muscolare. Ciò
provoca un’abnorme stimolazione dei barocettori ventricolari, i quali a loro volta innescano
un riflesso di brusca vasodilatazione periferica. Si tratta di un meccanismo regolatore di
difesa per cui:Nel soggetto normale i barocettori inducono una riduzione delle resistenze
periferiche in modo da evitare incrementi pericolosi di pressione ventricolare; ciò consente
un maggiore flusso in aorta al fine di sostenere lo sforzo.Nei soggetti con stenosi la
diminuzione delle resistenze periferiche, a causa del restringimento, non è accompagnata
da quell’ incremento di flusso in aorta necessario per lo sforzo ragion per cui il paziente ha
sincope.
• Dispnea → Nei soggetti stenotici, sotto sforzo, la pressione ventricolare non decresce perché
il cuore, a causa del restringimento, non risente della riduzione delle resistenze periferiche.
Quest’incremento pressorio si ripercuote in atrio sinistro e nel circolo polmonare
determinando la comparsa dei sintomi da congestione polmonare.
MALATTIE DEL PERICARDIO
Membrana di origine mesodermica che circonda il cuore. E’ costituita da due foglietti un pericardio
fibroso esterno ed uno sieroso interno che aderisce alle strutture cardiache ed è costituito da un
foglietto parietale ed un foglietto viscerale tra i quali ci sono circa 30-50 ml di liquido pericardico.
Le malattie del pericardio possono essere malattie primarie del pericardio oppure secondarie a
patologie sistemiche come ad esempio il lupus.
Versamenti
Aumento della quantità di liquido pericardico. Il versamento di liquido può essere più o meno
importante può essere trasudatizio o contenere sangue, parleremo di EMOPERICARDIO.
EMOPERICARDIO: quando?
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-Rottura del cuore
- Rottura aneurisma dell’aorta ascendente o altri vasi intrapericardici
-Traumatismi
-Emorragie a partenza del pericardio. Se la causa di emopericardio è uno stillicidio c’è possibilità di
adattamento distensivo del pericardio parietale. Se si istaura in tempi rapidi c’è tamponamento.
CLINICA → Dolore
COMPLICAZIONI → Tamponamento cardiaco: 200-300 cc si sangue in parte fluidi e in parte come
coaguli che impediscono la distensione delle camere cardiache.
Pericarditi
Patologia infiammatoria del pericardio che in genere coinvolge entrambi i foglietti del pericardio sieroso.
CAUSE
-INFETTIVE (Soprattutto VIRALI coxsackie e ECHOvirus)
Sintomatologia acuta, agenti eziologici sono sia virus che batteri (stafilo, pneumo e steptococchi), funghi e
bacillo della tubercolosi più raramente e lo potremo sapere con esame del liquido.
Le pericarditi acute sono distinguiamo in:
•
Sierose → sostenute in genere da virus con essudato da limpido a lievemente torbido, più raramente
si osservano nelle fasi iniziali delle pericarditi batteriche. Possono essere anche associate a malattie
sistemiche quali: malattia reumatica, LES e artrite reumatoide.
•
Fibrinose → + frequente, essudato sieroso arricchito di fibrina, ricordate la fibrina (la vedete in rosa
nel vetrino) è il pane per formare un coagulo! Ricordate che il versamento va da abbondante ad
assente (se è assente parliamo di pericardite secca!) L’accumulo di fibrina porterà alla formazione di
un coagulo. Cause: infarto del miocardio, infezioni, insufficienza renale cronica, terapia radiante del
polmone, malattia reumatica, les, artrite reumatoide. Nei casi più gravi, o negli stadi più avanzati, la
superficie della sierosa è rivestita da una cotenna di fibrina grigio-giallastra, di qualche millimetro di
spessore. Questo deposito non ha aspetto omogeneo, a causa dell'azione meccanica di scorrimento
impressa dai movimenti del cuore, per cui possono osservarsi rilievi irregolari (aspetto a “pane e
burro”) o paralleli (aspetto pettinato) oppure depositi di forma papillare (cor villosum).
Microscopicamente, si osservano i depositi di fibrina sulla sierosa e, nel connettivo sottostante, la
presenza di un infiltrato infiammatorio cronico aspecifico. L'evoluzione può essere verso la
dissoluzione dell'essudato e la guarigione, o verso l'organizzazione della fibrina da parte di un
tessuto di granulazione, con formazione di placche fibrose o, più spesso di aderenze. Il quadro
sintomatologico è dominato dagli sfregamenti pericardici, che tendono a scomparire con il
progressivo accumularsi del versamento, altri sintomi sono rappresentati da dolore toracico, febbre
e dispnea. Se l'essudato si forma rapidamente si può avere scompenso fino al tamponamento
cardiaco.
•
Purulente → essudato purulento (piopericardio), spesso è presente anche una componente fibrinosa
o uno screzio emorragico che da all'essudato un aspetto a lavatura di carne
140
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•
Emorragiche → tbc, infezioni batteriche gravi o impianto di neoplasia. Se c’è tbc osserviamo i i
granulomi con cellule giganti ed epitelioidi con necrosi caseosa.
-SECONDARIE ( LUPUS, MALATTIA REUMATICA, INFARTO DEL MIOCARDIO)
Esiti delle pericarditi →
•
Esiti aderenziali limitati al pericardio → conseguono in genere ad una pericardite fibrinosa o sierofibrinosa. È la fibrina in se a suscitare la proliferazione di un tessuto di granulazione. Quest'ultimo
sostituisce gradualmente la cotenna fibrosa con un connettivo che, inizialmente lasso, tende a
divenire sclerotico. Si costituiscono così aderenze fibrose tra i foglietti pericardici fino alla possibile
sinfisi completa con obliterazione della cavità
•
Esiti aderenziali estesi al mediastino → soprattutto in caso di pericardite tubercolare o in quella
suppurativa. All'esame macroscopico si osserva la presenza di sinfisi pericardica e di propaggini
fibrose, talora calcifiche, nel connettivo mediastinico che saldano il pericardio a strutture limitrofe
quali la pleura, il diaframma o la gabbia toracica.
•
Esiti costrittivi → sono secondari a pericarditi tubercolari o suppurative, raramente a forme a
espressione fibrinosa. All'esame macroscopico il pericardio appare come una spessa cotenna di
tessuto fibroso inestensibile (concretio cordis) talora calcifico (cuore a corazza), con completa
obliterazione della cavità. Anche se non frequentemente, possono esserci aderenze con strutture
adiacenti (accretio cordis). La terapia è la pericardiotomia e rimozione della cotenna sclerotica che
strozza il cuore ed i vasi venosi.
MIOCARDITI E CARDIOMIOPATIE
Prof. R. Franco - 03/12/15
LE MIOCARDITI: infiammazione e sofferenza del miocardio e dei miociti rispettivamente.le
cause sono:cause infettive virali come il cocksakie virus, quelle da protozoi, batteri e funghi
soprattutto nei pz immunodeficienti.pesse possono pero anke essere legate all uso di farmaci,
malattie immunitarie come lupus eritematoso.le miocarditi poi possono anche essere tossiche
quando legate all abuso di cocaina pero le principali sono quelle virali legate al cocksakie virus.dal
punto di vista patologico distinguiamo una fase acuta, subacuta e cronica. Nella fase acuta c e il virus
che comporta la lisi del linfocita.nella fase subacuta la distruzione dei linfociti e massiva per cui si
evoca una rx infiammatoria di tipo immunita innata e si attivano i NK e i linfociti citotossici.
successivamente vengono richiamati i T HELPER CHE COMPORTANO L ATTIVAZIONE DI ANTICORPI
RIVOLTI CONTRO GLI ANTIGENI VIRAli. questa era la fase cronica in cui c e una massiva
infiammazione. Nella maggior parte dei casi la miocardite si risolve cn un esito cicatriziale pero in
alcuni casi la patologia e piu grave.la fase acuta normalmente dura 2 o 3 giorni.la fase subacuta dura
circa quasi una settimana.nella fase cronica abbiamo che o per l ecceso degli antigeni o perche la rx
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immunitaria diventa una rx autoimmunitaria si va incontro ad una cronicizzazione che puo
comportare una cardiomiopatia dilatativa che rappresenta una complicanza della miocardite virale
infatti. la rappresentazione clinica della miocardite e UNA rapida insorgenza di insufficienza cardiaca
che colpisce piu gli anziani e i bimbi. istologicamente ricordiamo le cellule infiammatorie nell
interstizio e in perliiferia le fibrocellule.nella diagnosi istologica si seguono i criteri di gallas si basano
sul riconoscimento dell infiammazione e sul danno a carico delle cellule cardiache. Non sempre
ovviamente appare questo quadro cosi preciso.le miocardite possono essere legate anche all uso di
farmaci e il quadro istologico e caratterizzato da granulociti eosinofili.poi abbiamo le miocarditi
batteriche caratterizzate da ammassi di eosinofili e si poxono formare anke veri e rpr ascessi.le
miocarditi possono anche essere dovute ad altre patologie che comportano la degerezione dei
miociti. Una forma particolare di miocardite e quella a cellule giganti in cui ci sono cellule giganti
istiocitarie ma anche miocitarie degenerative.come si classificano?con una classificazione
morfologica oppure temporale.possiamo infatti anche avere miocarditi fulminee che comportano
grave scompenso cardiaco anche con interessamento toracico. Esistono anche forme piu subdole
che pero si complicano nella maggior parte dei casi con cardiomiopatie dilatative.
LE CARDIOMIOPATIE.
Che cosa sono le cardiomiopatie? Le cardiomiopatie in passato si definivano, molto semplicemente,
come delle malattie primitive del miocardio per differenziarle dalle malattie secondarie ad altri
problemi come ischemia, vizi valvolari che possono creare delle alterazioni del cuore come
un'ipertrofia. Quindi le cardiomiopatie, cosi definite, erano quelle NON secondarie. Però qualcosa è
cambiato. Tant'è che dal '95 la definizione delle cardiomiopatie è cambiata (sulla base della
definizione data dalla società dei cardiologi americana): queste sono patologie associate a
disfunzione cardiaca elettrica o meccanica, indipendentemente dall'eziologia (che fino al '95 era
ritenuta prevalentemente di tipo genetico).
Negli anni '90, quindi, le cardiomiopatie erano: dilatativa, ipertrofica e restrittiva; nel '95 si è aggiunta
quella aritmogena..L'associazione dei cardiologi americana, ha invece riclassificato le cardiomiopatie
in forme genetiche, miste ed acquisite.
Cardiomiopatie primitive:
dilatativa: la diagnosi dal punto di vista anatomo patologico è un'alterazione del volume
del ventricolo sinistro, ma anche del ventricolo destro; quindi quando parliamo di
cardiomiopatia dilatativa ci riferiamo ad una cardiomiopatia che mostra dal punto di vista
macroscopico una dilatazione delle camere singole. (Aspetto globoso del ventricolo sx,
cosidetto a palla). Quali sono le cause della cardiomiopatia dilatativa? Esiste ovviamente un
subset in cui la causa è sconosciuta, esistono delle forme legate a malattie autosomiche
dominanti, esistono anche delle forme recessive. Poi abbiamo le forme post-virali e quelle
immuno-mediate. La forma più frequente è, sicuramente, quella post virale in cui appunto
dopo un'infezione virale si ha una miocardite acuta che, in alcuni soggetti con
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predisposizione genetica, si può avere una autoalimentazione del processo
autoimmunitario.
Dal punto di vista istologico abbiamo:
• MOSTRUOSITA' NUCLEARI,
• DEGENERAZIONE DELLE CELLULE (per esempio vacuolizzazione all'interno delle
fibrocellule)
• FIBROSI INTERSTIZIALE.
Dal punto di vista clinico come si rivela tutto questo? C'è un sovraccarico di volume a livello
del ventricolo dx, quindi anche sulle strutture a monte, l'atrio non riesce a svuotarsi
completamente, ed anche a carico del sistema venoso polmonare. E poi abbiamo una
incapacità del muscolo cardiaco di contrarsi e di garantire, quindi, una normale gittata
cardiaca. L'esito della cardiomiopatia dilatativa è verso lo scompenso cardiaco.
La cardiomiopatia dilatativa colpisce una popolazione giovanile, tra i 35 e i 50 anni,
maggiormente l'uomo rispetto alle donne.
ipertrofica: cardiomiopatia legata ad un'ispessimento della parte di un ventricolo. La zona
che viene maggiormente colpita è il setto, ma il suo esclusivo interessamento è molto raro.
L'incidenza di qeusta patologia non è bassissima (1:100 pz l'anno). L'eziologia è genetica con
un pattern autosomico dominante (ad oggi sono conosciute molte mutazioni genetiche, ma
tutte sono correlate ad alterazioni di particolari proteine. In particolare alterazioni della beta
miosina e della proteina C. [Ricordate il sistema actina-miosina dei sarcomeri di cui l'actina
e la miosina sono sicuramente le proteine fondamentali che sono connesse tra di loro].
L'ipertrofia è una forma di adattamento delle cellule che è legato ad una maggiore richiesta
di attività (la cellula cardiaca si organizza per avere più sarcomeri).
Esistono delle situazioni che possono essere considerati dei fattori di rischio maggiori, come
fibrillazioni ventricolari, aritmie sopraventricolari, storie familiari di morte improvvisa o altre
patologie legate ad ostruzione del flusso.
Dal punto di vista istologico abbiamo:
• DISORGANIZZAZIONE DELLE MIOFIBRILLE (non sono allienate)
• FIBROSI INTERSTIZIALE (nell'interstizio c' è più collagene)
L'interessamento del setto influisce anche sulla dinamica del flusso aortico, per cui spesso c'è
bisogno di una risoluzione chirurgica.
Questo è un cuore che, perquanto ipertrofico, funzionerà.
Dal punto di vista clinico c'è una disfunzione diastolica perchè il cuore non riesce a riempirsi
e, quindi, non riesce a garantire il normale deflusso di sangue. Una complicanza è l'ischemia
perchè chiaramente il cuore ipertrofico non ha supporto di sangue adeguato; un altra
complicanza sono le aritmie.
Queste aritmie aumentano con l'età, in particolare la fibrillazione atriale ha un picco tra i 40
e i 60 anni, mentre la tachicardia sopraventricolare è sicuramente più frequente.
I pz possono restare anche asintomatici per tutta la vita per la capacità del cuore di adattarsi.
Tuttavia nella maggior parte dei casi avremo, deducendo da quanto detto, sintomi di
ischemia e di scompenso, oltre alle aritmie.
La diagnosi si fa con le mutazioni genetiche, ecocardiogramma ed ECG.
Il trattamento è chirurgico per ridurre lo spessore.
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aritmogena (con aspetti microscopici e macroscopici molto particolari)
restrittiva
Le cardiomiopatie restrittive possono essere distinte in:
-idiopatiche o primitive: legate alla genetica ma non sono genetiche
-secondarie: rappresentano la maggior parte delle cardiomiopatie e sono legate soprattutto
a problemi metabolici
Le cardiomiopatie restrittive sono caratterizzate da un ridotto volume di riempimento diastolico di
uno o di entrambi i ventricoli.
Le cause principali sono:
• l'amiloidosi: è una malattia genetica caratterizzata dall'accumulo di amiloide in particolare
nel rene, nel cuore e nel sistema nervoso centrale. L'accumulo di amiloide all'interno del
miocardio determina un'alterazione della capacità contrattile del cuore.
• le glicogenosi: malattie genetiche soprattutto pediatriche
• l'emocromatosi: caratterizzata da un accumulo di emosiderina negli spazi intersiziali di
numerosi organi e tessuti; rappresenta spesso una complicanza della talassemia maior
• la sarcoidosi, nella quale una localizzazione tipica può essere il cuore e che in alcuni casinpuò
dare quadri abbastanza gravi di cardiomiopatia restrittiva.
Quadro clinico: dispnea, edemi declivi, tutti gli aspetti correlati allo scompenso cardiaco come ascite,
... e anche in questo caso ….
La diagnosi è legata fondamentalmente all'uso di esami strumentali.
Questo è un esempio di cardiomiopatia restrittiva di tipo amiloidosico: è caratterizzato da un
ispessimento legato all'accumulo di materiale amiloide e questo rappresenta dal punto di vista
anatomo-patologico l'elemento di diagnosi differenziale con la cardiomiopatia ipertrofica connotata
dall'ispessimento delle fibre e dalla fibrosi.
L'aspetto macroscopico della cardiomiopatia restrittiva e di quella ipertrofica è in genere
sovrapponibile: tuttavia nella cardiomiopatia restrittiva il lume ventricolare è sempre presente
mentre nella cardiomiopatia ipertrofica spesso il lume ventricolare scompare.
In particolare quando andiamo ad esaminare materiale cardiaco prelevato da biopsie o più
raramente da casi autoptici il quadro è il seguente: questa è una colorazione con ematossilinaeosina; evidenziamo un aspetto zigrinato delle cellule dovuto all'organizzazione miofibrillare dei
sarcomeri presenti all'interno delle fibrocellule muscolari cardiache mentre nell'intersizio
evidenziamo accumuli di amiloide che si distribuisce caratteristicamente intorno ai vasi. Con la
colorazione ematossilina-eosina abbiamo il sospetto che sia amiloide; ma per colorare l'amiloide ci
serviamo di una colorazione che si chiama Rosso Congo, che conferisce all'intersizio un aspetto
rossastro dovuto proprio all'accumulo di amiloide.
L'emocromatosi è un'altra patologia che determina una cardiomiopatia restrittiva secondaria;
nell'intersizio si accumula del pigmento emosiderinico. Anche per questo materiale utilizziamo delle
colorazioni particolari come la colorazione di Perls che conferisce un colorito bluetto a questi
accumuli di emosiderina.
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Poi abbiamo delle forme di cardiomiopatia restrittiva da fibrosi che possono localizzarsi sia all'interno
dell'endocardio che del subendocardio.
Infine abbiamo la cardiomiopatia del ventricolo destro aritmogena (il prof nella registrazione dice
sinistro): dal punto di vista clinico può dare luogo all'insorgenza aritmie che possono essere mortali,
mentre dal punto di vista anatomo-patologico è caratterizzata dalla sostituzione, a livello del
ventricolo destro, di parte del miocardio con tessuto fibroadiposo. Colpisce prevalentemente il sesso
maschile e la comparsa avviene in età giovanile (il prof riporta una casistica belga in cui sono
annoverati atleti deceduti al di sotto dei 35 anni a causa di morte improvvisa; di queste morti il 10,
8% sono avvenute a causa della cardiomiopatia del ventricolo destro aritmogena.)
Il ruolo della biopsia è importante; le biopsie vanno fatte in diverse sedi cardiache, sono multiple e
sono piccolissime. La biopsia viene fatta per il monitoraggio...(minuto 55:48 a 56 incomprensibile)
La biopsia può essere utile nelle cardiomiopatie restrittive per andare ad indentificare il materiale
accumulato all'interno dell'intersizio; in particolare con le colorazioni come il Rosso Congo e il Perls
si indentificano rispettivamente l'amiloide e l'emosiderina.
La patologia cardiaca conduce allo scompenso: nella fase dello scompenso leggero riscontriamo un
assottigliamento delle pareti ventricolari sia destra che sinistra. Infatti il cuore presenta una capacità
di adattamento al sovraccarico pressorio o volumetrico abbastanza efficace, almeno nelle prime fasi,
in quanto adotta come meccanismi di compenso un'ipertrofia concentrica quando il sovraccarico è
pressorio e un'ipertrofia eccentrica quando il sovraccarico è di volumetrico. Tuttavia alla fine i sistemi
di adattamento falliscono e il cuore si sfianca; la soluzione, dopo l'approccio farmacologico, è il
trapianto del cuore. Nei centri dove si effettuano i trapianti la biopsia viene utilizzata per identificare
quelle alterazioni iniziali o anche tardive a cui va incontro l'organo trapiantato; le cause di morte
dopo il trapianto sono legate prevalentemente alle infezioni, anche infezioni chirurgiche. Il rigetto
acuto un tempo era frequentissimo nelle prime fasi del trapianto, mentre negli ultimi anni si è
notevolmente ridotto in seguito all'uso di particolari farmaci immunosoppressori. Viceversa il rigetto
cronico, che si verifica intorno ai 2 anni, è legato alla risposta immunitaria la quale agisce soprattutto
a livello dei vasi e determina un' aterosclerosi galoppante, con la progressione delle placche
ateromasiche e la comparsa di quadri ischemici.
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Patologia del polmone
11/11/2015
Apparato Respiratorio
Richiami di istologia anatomia: le vie aeree si dividono in bronchi, bronchioli… fino ad arrivare alle
vie aeree distali (caratteristiche specifiche da un punto di vista istologico). Ricordate che l’Albero
Respiratorio è rivestito dall’ epitelio respiratorio, caratterizzato da un epitelio stratificato colonnare
dove ci sono le cellule caliciformi mucipare. Le cellule sono dotate di ciglia e voi sapete che le ciglia
e il muco sono meccanismi di difesa da infezioni e da polveri che entrano nell’apparato respiratorio
e che vengono intrappolate ed respinte. Cosa diversa gli alveoli sono costituiti da un epitelio piatto,
dove sono presenti i pneumociti di 1 e 2 tipo. L’epitelio alveolare è responsabile degli scambi
respiratori.
Patologie dell’apparato respiratorio
Parleremo sia di patologie di infettive(un tempo mortali) che di patologie restrittive. Si parla di
patologie infettive polmonari quando abbiamo un processo infiammatorio a livello del polmone, può
coinvolgere gli alveoli o l’interstizio. Le classificazioni comuni delle cosiddette polmoniti sono
diverse. La classificazione per agente eziologico è la più importante dal punto di vista terapeutico ,
esiste inoltre un criterio anatomo- patologico ed uno epidemiologico, quest’ ultimo divide le
polmoniti in comunitarie e nosocomiali (in base alla sede nelle quali si contraggono le infezioni,
dobbiamo considerare anche luoghi d’assistenza e il pz immunodepresso). Dal punto di vista
epidemiologico negli Stati uniti la Polmonite (spt batterica) è la prima causa di morte, in Italia non è
così e questo in parte è dovuto al differente sistema sanitario. L’incidenza è maggiore in pz più
sensibili, in bambini e anziani.
Il polmone è normalmente un organo sterile, questa sterilità è garantita dalle alte vie respiratorie
bloccano il passaggio di sostanze, dal il sistema muco-ciliare dell’epitelio respiratorio e dal sistema
(9.06???). Chiaramente alterazioni dei sistemi di difesa possono aversi in diversi contesti sia genetici
( come Sindrome delle ciglia immobili caratterizzata dalla deficienza del sistema ciliare) e sia acquisiti
come ad esempio l’Alcolismo che altera il sistema muco-ciliare e riduce il riflesso della tosse. Affinché
si verifichi un’infezione è necessario che ci sia l’agente patogeno, che arriva sia per contaminazione
per via inalatoria, ma può arrivare anche per disseminazione ( sepsi) e poi da batteri che colonizzano
l’orofaringe possono discendere e creare condizioni non particolarmente gravi. È necessario che i
batteri siano in numero sufficiente, siano virulenti associati ad alterazioni dei meccanismi di difesa
di cui abbiamo parlato.
Polmonite Lobari: La polmonite sono sostenute dunque da diversi batteri di cui il più importante è
lo Streptococco Pneumoniae (responsabile delle polmoniti gravi) . Esistono altri batteri quali
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Pseudomonas Auriginosa, Staphilococco e Haemofilus che sono responsabili di quadri di polmoniti
meno gravi e si verificano nel pz con problemi di immunocompetenza. La polmonite lobare si osserva
principalmente nell’adulto, si associa a produzione di un essudato che è responsabile della diffusione
immediata dei batteri. Dal punto di vista morfologico nelle polmoniti Lobari (di cui lo streptococco è
coinvolto nel 80% dei casi)valutiamo:
-congestione: (dura 2 giorni)vasodilatazione che determina un afflusso di sangue elevato con
l’apporto di granulociti responsabili appunto della difesa contro l’agente patogeno
-epatizzazione rossa: (dura 2 giorni) chiamata così perché il polmone da un punto di vista
macroscopico appare simile al fegato, il polmone normalmente ha un aspetto spugnoso
-epatizzazione grigia: cambia il colorito del polmone
-risoluzione: i pz che sono immunocompetenti normalmente arrivano a questa fase
(descrizione immagine): Nella congestione: polmone appare rosso per la congestione dei vasi che
passano nei setti e che si riempiono di sangue, gli alveoli sono ancora abbastanza puliti.
Nell’epatizzazione rossa l’aspetto spugnoso scompare e il parenchima diventa compatto e nelle
polmoniti lobari questo aspetto può essere presente anche solo ad un lobo polmonare; dal punto di
vista microscopico il disegno alveolare è quasi completamente scomparso, negli alveoli c’è il siero
che è trasudato dai capillari alveolari e troviamo anche cellule come macrofagi, polimorfi nucleati,
globuli rossi e fibrina che si compatta nella cosiddetta fase grigia della epatizzazione (3 fase)e
vediamo che l’aspetto non è più rossastro ma grigiastro. Accade questo perché negli alveoli
prevalgono in questa fase macrofagi e fibrina che formano tappi che a loro volta comprimono i vasi
e impediscono il passaggio di sangue questo è il motivo per cui i polmoni appaiono un po’ più pallidi
rispetto a quello che avevamo visto nella seconda fase. Nell’ ultima fase quella dell’epatizzazione
gialla o risoluzione tutto l’essudato inizia a scomparire, esistono ancora delle cellule infiammatorie
all’interno (spt macrofagi) ma gli alveoli già riacquisiscono la forma normale e i setti si vanno
nuovamente ad assottigliare.
Aspetti clinici della polmonite Lobare: insorge con febbre, dolore toracico e all’ e.o. ipofonesi e segni
di sfregamento pleurico , perché la polmonite lobare coinvolge soprattutto le parti esterne del
polmone e l’essudato può coinvolgere anche la pleura, che si infiamma e si viene a trovare in uno
stato fibrinoso che la compatta al polmone e si forma una sorta di cicatrice e questo da sequele per
quanto riguarda la capacità respiratoria. All’ Rx abbiamo opacità lobare. Possiamo valutare ipossia
ma senza ipercapnia. Nel 10% dei casi si può verificare la morte del pz (se defedato). Ricordate che
TUTTI I quadri patologici polmonari possono essere associati ad insufficienza respiratoria dovuta sia
ad alterazione della ventilazione e perfusione ematica. Quella delle polmoniti lobari è meno severa
perché è solo ipossemica e non anche ipercapnica, dove normalmente la pressione di O2 è 80/100
mmHg (si parla di ipossia al di sotto di questi valori). Tutte le condizioni di insufficienza respiratoria
hanno delle sequele sull’apparato vascolare come ad esempio l’ipossia può creare una ipertensione
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a livello del distretto polmonare, così come tutte le patologie che distruggono i polmoni riducono la
vascolarizzazione e così il sovraccarico del cuore realizza il cosidetto “cuore polmonare cronico”.
Complicanze delle Polmoniti: possono essere complicate da ascessi, si può avere coinvolgimento
della pleura (pleuriti), si può avere la formazione di cicatrici soprattutto se il processo infiammatorio
è durato a lungo, dal polmone i batteri possono raggiungere il sangue e raggiungere pericardio,
meningi quindi con pericarditi e meningiti.
Ci può essere anche un'organizzazione del tessuto, normalmente il polmone va incontro a una
risoluzione come abbiamo visto nell'epatizzazione gialla, in cui i polmoni riacquisiscono la loro forma,
ma come in tutti gli organi un tipo di risoluzione può essere la formazione di cicatrici, soprattutto
quando il danno è durato a lungo. Dal polmone i batteri possono raggiungere il sangue, il pericardio,
l'encefalo, la milza, il snc in particolare le meningi; si aveva in era pre antibiotica la sindrome di
Austrian(?) caratterizzata da meningite, polmonite ed endocardite.
Le complicanze sono:
1) polmoniti emorragiche: quando lo stravaso è particolarmente importante gli alveoli sono ripieni
di sangue, la risoluzione in questi casi è particolarmente difficile.
2)fibrosi:
3)ascesso: sostenuto prevalentemente da streptococco e gram -.
4)pleuriti fibrinosa: lo stravaso di fibrina si organizza in cicatrici pleuro polmonari.
5) embolia settica: in un vaso polmonare vediamo colonie di batteri ben visibili
Broncopolmoniti sono determinate da batteri generalmente poco virulenti, in pazienti
immunocompromessi ; spesso sono complicanza di infezioni virali. I focolai della broncopolmonite
sono mal definiti, a differenza della polmonite lobare che coinvolge un intero lobo polmonare, in
questo caso
i focolai sono sparsi nel lobo e generalmente sono nodulari. Nelle broncopolmonite osserviamo le
stesse quattro fasi della polmonite: inizziazione, epatizzazione rossa, grigia e risoluzione, però sono
asincrone
cioè ogni focolaio ha una "storia a sè", alcuni si risolvono prima, altri dopo. L'infezione inizia a livello
del bronco o del bronchiolo poi i batteri passano attraverso la parete bronchiale nell'interstizio, e
raggiungendo poi l'alveolo.
I focolai sono generalmente piccoli (4cm) e disseminati, anche se qualche volta possono confluire e
danno l'aspetto della cosidetta "polmonite pseudolobulare" che nasce da focolai che interessano più
lobuli e confluiscono interessando un inteo lobo.
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Ricordate:POLMONITI e BRONCOPOLMONITI dal punto di vista ISTOLOGICO sono UGUALI. (abbiamo
in entrambe le quattro fasi)
Le differenze tre polmoniti e broncopolmoniti sono:
- fattore eziologico differente: nelle polmoniti l agente eziologico è molto virulento, nelle
broncopolmoniti l'agente è poco virulento
-stato immunitario: competente nelle polmoniti, immunodeficienza relativa nelle broncopolmoniti.
Polmoniti atipiche sono polmoniti che non coinvolgono l'alveolo(come nelle polmoniti e
broncopolmoniti), ma l'interstizio; sono sostenute da batteri intracellulari obbligati come
micoplasma, clamidia pneumoniae, ma anche da virus(influenza ecc).
Anche in questi soggetti c'è uno stato di immunodeficienza relativa; questi agenti patogeni dalle alte
vie aeree riescono a raggiungere l'albero bronchiale creando un danno infiammatorio nell'interstizio,
quindi il profilo degli alveoli è relativamente conservato.
Si hanno varie aree con focolaio di colorito rossastro(segno di flogosi) che cambiano colore in fase di
risoluzione; l'essudato è formato prevalentemente da macrofagi e linfociti(contro i virus) mentre
nelle polmoniti si avevano soprattutto monociti e macrofagi.
Nelle forme particolarmente gravi l'essudato può attraversare la parete alveolare dando un
coinvolgimente alveolare (tale complicanza si può presentare soprattutto nella forma di polmonite
da virus dell'influenza).
Bisogna sempre confrontare le strutture con la grandezza del globulo rosso(5micrometri) e
bianco(7).
La sintomatologia è aspecifica: febbricola, sintomi respiratori scarsi; l'unico elemento diagnostico
risolutivo è la radiografia: si ha ispessimento diffuso della trama bronchiale. Le complicanze sono
collegate allo stato di immunodeficienza che si crea.
Le polmoniti dell'immunodepresso sono tante, l'immunocompromesso per eccellenza è il malato di
AIDS soprattutto quando il livello di linfociti CD4 scende al di sotto dei 200/mm^3; le infezioni
batteriche sono spesso mortali.
Poi abbiamo quelli virali in particolare Citomegalovirus(anche nei soggetti non affetti da AIDS, ma ad
es.soggetti trapiantati da rene, fegato, soggetti vhe fanno terapia per linfomi) e anche quelle da
fungi: Candida, Aspergillus, Pneumocystis.
Il Cytomegalovirus dà origine a degli inclusi cellulari che sembrano "occhi di Civetta(?)". Le
dimensioni di un incluso sono 10micron.
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Lo pneumocystis carinii si riteneva un protozoo, mentre in realtà è un fungo ed è caratterizzato
macroscopicamente dalla formazione di cisti nel parenchima polmonare; tale infezione può impedire
gli scambi gassosi a livello alveolare. Lo Pneumocystis carinii dà un quadro mortale, ma è grazie ad
esso che si iniziarono a diagnosticare i primi casi di AIDS.
Le infezioni nosocomiali sono sostenute da gram- e colpiscono pazienti con alterazioni varie.
Tubercolosi:
Oggi non è molto frequente nei paesi occidentali, colpisce in particolare i paesi del terzo mondo con
circa 3 milioni di morti l'anno, soprattutto là dove l'AIDS è endemico(Uganda).
Nei paesi occidentali abbiamo tubercolosi da tossicodipendenza( nome che non si capisce) e da
immigrati.
La tubercolosi è stata molto mortale fino all introduzione degli antibiotici nel 900. I pazienti venivano
rilegati nei sanatori che solitamente sorgevano su colline lì dove la pressione di O2 è più alta per
cercare di correggere le alterazione di base.
I sanatori sono sopravvissuti fino alla seconda guerra mondiale.
La tubercolosi è determinata dal micobatterio umano; esistono anche altri tipi di micobatteri come
quello bovino che dà la sintomatologia intestinale nell'uomo e poi ci sono micobatteri atipici che
danno quadri clinici nei soggetti immunodepressi.
La parete batterica è formata da glicolipidi e fosfoglicani che inibiscono l'attività fagocitica dei
fagosomi cellulari e quindi il batterio sopravvive all'interno della cellula e poi esistono altri lipidi che
fissano la fucsina base e che consentono di fare diagnosi su qualsiasi preparato.
La colorazione che noi usiamo che si va a legare a questi glucosidi è appunto l'ematossilina acida e
quindi la colorazione del zhiel nielsen, ricordate che la diagnosi della tubercolosi in assenza di segni
macroscopici è di tipo colturale, un alternativa per la diagnosi può essere la ricerca antigenica, ma la
diagnosi con colorazione Z.NIELSEN è però quella più rapida.
Nella tubercolosi c'è una fase primaria e una fase secondaria , nella prima fase i microrganismi
vengono a contatto con gli anticorpi e vengono eliminati nel 75% dei casi, invece in una parte di
questi pazienti invece arriva all'albero respiratorio viene fagocitato dai macrofagi alveolari ma
essendo incapaci di eliminare questi batteri trasportano essi verso (42:00) e dopo 2/4 settimane si
avrà una reazione dell'ipersensibilità di quarto tipo e siamo in presenza di questi macrofagi che in
parte sono riusciti a eleminare questi micobatteri e di linfociti tcd8 che attaccano i macrofagi infettati
distruggendoli e vanno anche ad attivare i linfociti tcd4 che richiamano altri macrofagi e portano alla
formazione del granuloma in cui esistono 2 parti, una parte necrotica che è indicativa della capacità
dell'organismo di distruggere la componente batterica e questa è la cosidetta fase(42:51) .
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Quindi il granuloma tubercolare è il cosidetto granuloma necrotizzante, spesso infatti quando
andiamo ad analizzare il granuloma tubercolare abbiamo due fasi , la fase dove si cerca di arginare
l'infezione dove accorrono macrofagi , fibroblasti ed altri elementi linfocitari che cercano di arginare
l'infezione e poi quella della capacità di distruggerlo.
Quindi quando si forma il granuloma se la persona va incontro ad immudepressione o (tosse di un
simpaticissimo studente) di un altro batterio la patologia tenderà a non essere più localizzata ma
tendederà ad espandersi , quindi ricapitolando il granuloma è formato da una parte centrale
necrotica (simile a un formaggio spalmabile) e una parte periferica con macrofagi e alcuni di essi si
fondono oltre a queste strutture macrofagiche abbiamo anche fibroblasti che portano alla
formazione della capsula. Quindi quando parliamo di tubercolosi primaria è quella del primo
contatto invece quando parliamo di quella secondaria parliamo di quella che si è evoluta o per
riattivazione o per reinfezione, si distingue dall'infezione primaria il complessa di ghon , che è un
complesso formato da un focolaio granulare primario e poi da un linfonodo ingrossato, quindi il
granuloma di ghon è formato da un complesso granulare primario e una linfoadenite .
Quindi la tubercolosi primaria aggressiva è quella che si sviluppa in particolari pazienti
immunodepressi , quindi il quadro devastante di tubercolosi è la tubercolosi di tipo (iliare??!!) in
questo caso il linfonodo si apre a livello del vaso e i batteri diffondono nel sangue sia nei polmoni sia
a livello sistemico quindi si formeranno sia dei tubercoli a livello polmonare sia a livello sistemico
questo è il quadro della tubercolosi iliare che fa parte della tubercolosi primaria progressiva , un altra
tipologia risulta essere quella della tubercolosi (tronculare??!!) infatti la struttura del tronco si rompe
e la componente batterica si libera in circolo.
Focolai si aprono nei bronchi e formano delle caverne. Sono la base per trasmissione da individuo ad
individuo attraverso l’espettorazione. La caverna nasce come focolaio e suo contenuto viene
rilasciato nel bronco. I vasi vengono scheletrizzati. Leopardi era affetto da morbo di Pott. Mostra
immagine di tubercolosi ossea.
Le pneumopatie di distinguono in due grossi capitoli, restrittive e non restrittive (o aumentata
resistenza delle vie aeree, in cui il lume dei bronchioli si riduce, o ridotta pressione di espirazione,
cioè polmone perde la sua elasticità, difficilmente riesce ad espirare tutta l’aria). Un tempo si
classificava tra le pneumopatie restrittive anche l’asma, attualmente si vede da parte perché legata
ad episodi allergici.
Una forma di pneumopatia cronica ostruttiva è l’enfisema. In essa c’è perdita di elasticità. Si crea
nel tratto respiratorio distale uno stato infiammatorio cronico, questo richiama macrofagi
nell’interstizio ma anche negli stessi alveoli, essi a loro volta richiamano neutrofili. Quest’ultimi
producono proteasi, tra cui l’ elastasi che distrugge l’elastina. In soggetti non fumatori viene rilasciata
una antiproteasi che cerca protegge il tessuto.
Esistono due forme di enfisema, quella centroacinare, che va a colpire alveoli che si trovano al centro
dell’ acino a ridosso del bronchiolo respiratorio, e la forma parasettale. La forma centroacinare è
tipica dei fumatori, costante nella porzione superiore del polmone. Nelle prime fasi dell’enfisema la
quantità di ossigeno apportata è normale, successivamente si ha insufficienza respiratoria.
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Dal punto di vista microscopico, l’enfisema centroacinare porta alla formazione di bolle, forma una
sorta di groviera. L’enfisema polmonare come sapete distrugge i setti, quindi il letto vascolare del
polmone.
Nella Bronchite cronica si vede l’ispessimento del bronchiolo per effetto dell’ipertrofia ed iperplasia
delle ghiandole sottomucose che producono muco. La diagnosi è esclusivamente clinica e si basa
sulla presenza di tosse con espettorato per 3 mesi per più anni consecutivi. Dal punto di vista
istologico si osservano cellule ciliate, cellule mucipare ed aree vuote. Indice dell’epitelio squamoso,
oltre alla cheratina, sono cellule fittamente addossate tra di loro con formazione di una rete. Sapete
che gli epiteli squamosi rivestono l’epidermide e le mucose a contatto con l’esterno. L’epitelio dell
albero bronchiale diventa squamoso per effetto del fumo che danneggia la mucosa, la quale per
difendersi si differenzia e si verifica una Metaplasia squamosa. Non è una lesione neoplastica ma
un’azione di difesa.
Nelle pneumopatie restrittive abbiamo una riduzione della funzionalità respiratoria perché c’è
incapacità del polmone di espandersi. Questo è legato ad una serie di patologie dell’interstizio (edemi,
granulomi, depositi di Silicio) che determinano rigidità. Tutte le forme di pneumopatie restrittive
esitano in fibrosi.
Nell’ Aids c’è danno all’epitelio pneumocitico, vengono danneggiati vasi e abbiamo stravaso. C’è la
formazione di una membrana ialina che ricopre l’alveolo ed impedisce gli scambi gassosi. Mortale
nel 60% dei casi.
Quando, in pochi casi, c’è guarigione si ha comunque fibrosi e ridotta funzionalità. Si vede materiale
eosinofilo, rosa con colorazione ematoss-eosina.
Poi abbiamo le polmoniti interstiziali idiopatiche di cui non si conosce la causa, le alveoliti allergiche
che sono tantissime. Infine ci sono le malattie alveolari legate all’inalazione di sostanze estranee
come il Silicio.
Anatomia Patologica 19 Novembre 2015
Patologia benigna del Polmone
L’altra volta abbiamo parlato dei polmoni, vi ricordate un po’ l’anatomia dei bronchi e del parenchima
polmonare e ricordate l’istologia, ricordiamo che l’epitelio polmonare è un epitelio ciliato che contiene nel
suo contesto cellule caliciformi che producono muco, e questo è nei bronchi. Invece negli alveoli abbiamo
delle cellule piatte che costituiscono pneumociti di primo e secondo tipo e che vanno a rivestire la cavità
alveolare.
Oggi dovremo iniziare il discorso sui polmoni ma vorrei ricapitolare un po’ le problematiche della patologia
benigna che abbiamo affrontato l’altra volta. Ricordate le polmoniti di cui si distinguono quattro fasi la
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prima è quella della congestione l’epatizzazione rossa in cui il polmone assume un aspetto del parenchima
epatico quindi più compatto e non spugnoso e dal punto di vista istologico l’epatizzazione rossa è
caratterizzata dalla presenza negli alveoli di sangue quindi globuli rossi, granulociti, meno macrofagi.
Nell’epatizzazione grigia invece l’aspetto è un po’ più pallido perché appunto istologicamente vengono
riassorbiti e distrutti i globuli rossi mentre rimangono i granulociti e i macrofagi che insieme alla fibrina
comprimono gli alveoli e i vasi e quindi impediscono l’irrorazione. E poi abbiamo la fase di riorganizzazione
che consiste nel [… non si capisce, registrazione disturbata ]
L’Ascesso è una complicanza della polmonite può essere dovuta a infezioni batteriche abbiamo un numero
circoscritto di granulociti. La pleurite è un’altra complicanza, l’embolia settica vi ricordate i batteri che
sostengono l’infezione batterica in particolare nelle polmoniti lobari possono raggiungere diversi distretti tra
cui il SNC e il cuore.
La Broncopolmonite, vi ricordate, che a differenza della polmonite non coinvolge l’intero lobo ma queste
aree all’interno del lobo che dal punto di vista istologico hanno le stesse caratteristiche della polmonite
lobare e stessa fase di congestione, epatizzazione rossa, epatizzazione grigia e risoluzione.
Le Polmoniti virali e da micoplasma invece sono caratterizzate da una raccolta di [??? ] infiammatoria negli
interstizi quindi gli alveoli non vengono coinvolti e non si trova un essudato negli alveoli fondamentalmente
ma il problema infiammatorio si trova negli interstizi, ricordate che l’interstizio è la parte di parenchima
interposta tra alveoli e bronchi
Esistono particolari forme di polmoniti come quella da [??? Penso dica da P. Jervensi] nei pazienti
immunodepressi caratterizzata dalla raccolta all’interno di queste cellule di questi elementi virali che
sembrano proprio l’occhio di una civetta.
Abbiamo poi parlato della tubercolosi che è una malattia molto particolare sostenuta da un batterio a scarsa
virulenza che è un batterio intracellulare la cui lesione fondamentale è il granuloma. Il Granuloma,
ricordiamo, è costituito da un nodulo del quale si distingue una capsula fibrosa esterna, un infiltrato
linfocitario più internamente poi una popolazione infiammatoria costituita da istiociti epitelioidi e all’interno
c’è la necrosi caseosa, perché una caratteristica della tubercolosi, qualche volta che ci troviamo dinanzi a
pazienti che vengono operati con sospetto di tumore che in realtà [???]
La necrosi centrale che sappiamo è un effetto da ipersensibilità di tipo IV sono i macrofagi che tentano di
distruggere le cellule infettate con i linfociti T citotossici e sopraggiunge la formazione di un vallo fibrotico
che cerca di circoscrivere la lesione. Queste sono tipiche cellule di Langherans che sono cellule
multinucleate, ieri il professore ha parlato di cellule multinucleate, esistono quelle da corpo estraneo in cui i
nuclei sono addossati gli uni agli altri ad un polo della cellula e qui invece abbiamo una cellula di Langherans
in cui i nuclei si dispongono all’interno di questa cellula unica a formare questa specie di ruota di carro.
Ricordate che la diagnosi più veloce che si può fare della TBC è effettuando una batterioscopia con dei
coloranti che sfruttano l’acido-resistenza di questi batteri in particolare la colorazione di Ziehl-Neelsen che
possono evidenziare nell’espettorato, ma anche nei preparati citologici e istologici, la presenza dei batteri.
La diagnosi di TBC vera è una diagnosi che richiede diversi giorni, anche 40 giorni, chiaramente in caso di
TBC conclamata dobbiamo cominciare subito la terapia.
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Abbiamo parlato di complesso di Gohn che rappresenta il primo contatto con il batterio ed è caratterizzato
da un nubulo polmonare e coinvolgimento dei linfonodi mediastinici, dovete sapere che in casi di
immunodepressione questa può essere complicata perché i granulomi possono essere evasi e quindi si
presenta una TBC miliare oppure possono invadere i bronchi e dare un quadro di broncopolmonite
tubercolare.
Le caverne sono invece delle manifestazioni di TBC così dette post-primarie quelle che comunque la
riattivazione del batterio dopo l’abbassamento delle difese immunitarie. Le caverne sono quindi dei
granulomi che si svuotano perché entrano in contatto con i bronchi e contengono batteri che necessitano di
ossigeno che in questo modo arriva e le caverne si ingrandiscono. Quando all’interno delle caverne si
rompono i vasi chiaramente c’è l’emottisi.
Poi abbiamo, e questi sono quadri che chiaramente noi non vediamo più, la TBC sistemica, vi ricordate che
la TBC può interessare anche le ossa a cui arriva per via ematica, nella cosiddetta malattia di Pott, oppure
anche i reni.
Abbiamo parlato delle due grosse categorie di broncopneumopatie le ostruttive e le restrittive che voi avete
sicuramente studiato in pneumologia, le ostruttive sono caratterizzate da una ostruzione dei bronchi nella
bronchite cronica e una riduzione quindi del lume dei bronchi per un fatto infiammatorio, vedete che la
diagnosi di bronchite cronica non è una diagnosi istologica ma è clinica con la presenza di tosse per due
mesi, per due anni consecutivi. Mentre l’enfisema è caratterizzato dalla perdita del ritorno elastico dei
polmoni per cui l’aria si accumula, si rompono i setti interalveolari nei quali nei cosiddetti enfisemi
centroacinari che è tipica dei fumatori invece quello paracinare dove oltre al fumo di sigaretta ne è causa
una perdita della 1-antitripsina poiché la rottura, la digestione di queste pareti è dovuta a un disequilibrio
tra le proteasi prodotte dalle cellule infiammatorie e le antiproteasi che il nostro organismo mette a
disposizione e che normalmente bloccano le proteasi. Quando c’è un deficit dell’antitripsina che è
un’antiproteasi quadri conclamati di enfisemi panacinari si possono verificare chiaramente in fumatori dove
si innesca un meccanismo per cui l’infiammazione cronica legata al fumo provoca l’accorsa di macrofagi che
rilasciano le proteasi per cui si hanno questi quadri devastanti. Ricordate che l’enfisema paracinare porta a
distruzione massiva del parenchima con formazione di vere e proprie bolle, le cosiddette bolle enfisematose
ma sono quadri che si vedono raramente e poi chiaramente la distruzione dei vasi che sono presenti
all’interno del parenchima può determinare un sovraccarico del cuore sinistro che va incontro a un
ispessimento e si parla in questi casi di cuore polmonare cronico.
La Bronchite cronica che oltre ovviamente al problema infiammatorio che riduce il lume del bronco si ha la
metaplasia, metaplasia squamosa vedete che qui le cellule che producono muco non ci sono più ma si sono
appiattite e stratificate e formano i cosiddetti ponti intercellulari questi ponti intercellulari che mettono in
comunicazione le cellule dell’epitelio squamoso sono diagnostiche proprio di epitelio squamoso.
Quindi le pneumopatie restrittive sono dovute a una perdita della capacità del polmone di espandersi e
queste sono dovute all’infiltrato nell’interstizio per cui gli alveoli non riescono a dilatarsi di più.
Le pneumopatie restrittive sono quindi dovute ad un’infiammazione dell’interstizio o alla presenza di alcuni
materiali come nelle pneumoconiosi che sono malattie professionali dovute all’accumulo di sostanze come il
silicio o come l’asbesto.
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Oppure patologie granulomatose per l’interstizio come la sarcoidosi, sarcoidosi è una malattia immunitaria
di cui non si conosce bene l’etiologia, non si conosce bene l’antigene che la sostiene, anche in questo caso si
avrà la formazione di granulomi però granulomi non necrotizzanti. In questo caso troveremo sempre un
vallo esterno, uno più interno ma all’interno degli istiociti epitelio di manca la necrosi caseosa.
Quando parliamo di cellule epiteliodi ci riferiamo a istiociti che subiscono delle modificazioni che le rendono
molto simili alle cellule epiteliali, il suffisso –oide indica “somiglianza a”
E poi la fibrosi abbiamo detto che è una risoluzione di tutte le infiammazioni interstiziali e quindi può essere
secondaria a queste cause note però possono esistere anche delle fibrosi interstiziali idiopatiche di cui non
si conosce la causa che ha provocato l’infiammazione nell’interstizio.
Le fibrosi sono responsabili quindi delle pneumopatie restrittive.
Per quanto riguarda invece i tumori del polmone, è un argomento un po’ complesso penso lo continueremo
poi la prossima volta, in questa lezione affronteremo dei brevi cenni epidemiologici, per chi ha fatto
Oncologia sicuramente queste cose le avrà già studiate.
Cenni epidemiologici e quindi la classificazione dei carcinomi e affronteremo la stadiazioni, sapete che i
tumori vanno stadiati. L’approccio diagnostico, come sapete dobbiamo interfacciarci con i mezzi che
abbiamo e poi la patologia molecolare predittiva che nel polmone negli ultimi anni ha assunto un ruolo
fondamentale.
Sapete che il patologo negli ultimi anni ha cambiato un po’ il suo ruolo perché non fa soltanto diagnosi
istologiche o immunoistochimica ma fa diagnosi molecolare che sono sia d’aiuto per formulare delle
diagnosi corrette come per esempio nei linfomi che poi vedremo nelle prossime lezioni ma anche delle
diagnosi predittive. Che cosa significa predittive, il termine più corretto è “Marker predittivo di risposta alla
terapia” sicuramente avrete sentito parlare di erb2 nella mammella e quello è un marker predittivo, perché
ovviamente dove l’espressione di HER2 nella mammella rende i pazienti sensibili a trattamenti biologici
mirati, trastuzumab, ne avrete sentito parlare, è un anticorpo monoclonale che va a bloccare l’attività di
questo HER che è il recettore per il fattore di crescita. Quindi il fattore predittivo è un fattore che aiuta a
capire l’andamento della risposta alla terapia, in genere è un fattore molecolare e non solo. Mentre che
cos’è un fattore prognostico in oncologia, un fattore prognostico è un indice della progressione della
malattia. Quindi un fattore prognostico può essere positivo, favorevole, nel senso che a parità di situazione
un paziente che ha un fattore prognostico va meglio o un fattore prognostico può essere negativo o
sfavorevole nel senso che un paziente va peggio di un altro a pari condizioni che non lo presenta.
HER2 in particolare non è soltanto un fattore prognostico per il carcinoma alla mammella nel senso che a
parità di condizioni chi ha HER2 va peggio però c’è il vantaggio della terapia mirata che lo rende
praticamente più favorevole. Quindi HER2 è un fattore prognostico sfavorevole ma è un marker predittivo
che lo rende sensibile al trattamento con farmaci biologici.
Allora dal punto di vista epidemiologico il tumore al polmone registra un tasso di mortalità molto elevato
nel mondo, si registrano ogni anno circa 170.000 nuovi casi di tumore al polmone e la mortalità è molto alta.
Era molto alta anche qualche anno fa, ora si sta riducendo soprattutto per alcuni sottotipi tumorali che si
avvalgono di terapie biologiche mirate. In particolare si calcola che dopo 5 anni soltanto il 15% di pazienti
con tumori polmonari non resecabili sono vivi. Più del 50% di pazienti con tumore al polmone non si
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possono operare e l’intervento chirurgico rappresenta l’intervento terapeutico che garantisce un’aspettativa
di vita sicuramente maggiore rispetto alla radioterapia e alla chemioterapia. Quindi gran parte dei pazienti
arriva alla diagnosi che non può essere operato e quindi si esegue la radio o la chemio e di questi pazienti
dopo 5 anni soltanto il 15% è ancora vivo.
Ovviamente il fumo di sigaretta rappresenta il maggior fattore di rischio per il tumore al polmone ma
ricordate che esistono tumori al polmone non legati al fumo di sigaretta come alcuni adenocarcinomi.
Esistono poi anche altri fattori di rischio.
L’incidenza della sopravvivenza dipende dall’istotipo, vedete che il carcinoma a piccole cellule ha una
sopravvivenza molto bassa rispetto all’adenocarcinoma a diffusione lepidica (dopo spieghiamo perché si
chiama così).
Un tempo la diagnosi era molto semplice poiché bastava distinguere il carcinoma a piccole cellule da quelli
che non erano carcinomi a piccole cellule e infatti si è introdotto negli anni passati un concetto che forse
non troverete in nessun altro capitolo della patologia oncologica che è il “non” cioè noi definiamo dei
tumori che non sono altri.
Quindi abbiamo carcinomi a piccole cellule e carcinomi non a piccole cellule. Perché questa distinzione,
perché prima per il carcinoma non a piccole cellule la terapia era sempre uguale, quindi all’oncologo
importava poco come lo definivamo, se lo definivamo squamoso o altro, tanto il fatto di trovarsi davanti ad
un carcinoma non a piccole cellule lo portava a eseguire sempre la stessa terapia.
Ovviamente questo è cambiato e quindi la definizione nell’ambito dei carcinomi non a piccole cellule che
comunque come termine è rimasto infatti ora il paziente con un carcinoma squamoso farà una terapia
diversa, anzi esistono casi in cui un errore diagnostico nel caso di adenocarcinoma e carcinoma squamoso,
che provoca dei problemi seri, voi non so se avete mai sentito parlare del bevacizumab che è un fattore
antiangiogenetico e riduce quindi la vascolarizzazione del tumore e quindi l’approviggionamento di ossigeno
da parte del tumore. Il bevacizumab può essere utilizzato nell’adenocarcinoma ma non nello squamoso, anzi
nello squamoso provoca delle grosse complicanze emorragiche che possono essere fatali.
Questo diciamo che nella maggior parte dei casi la diagnosi differenziale tra un adenocarcinoma e uno
squamoso abbastanza semplice, ma non è sempre semplice, quindi noi ci dobbiamo avvalere di metodiche
immunoistochimiche che ci rendono la vita più semplice.
Questa è la nuova classificazione, voi avrete già visto l’immagine del bluebook del WHO, esistono bluebook
del WHO per ogni distretto, nel 2015 è stata rilasciata la nuova classificazione dei carcinomi del polmone, la
precedente risaliva al 2006 ed ha radicalmente cambiato la categoria dell’adenocarcinoma, vedremo poi
questi aspetti nel dettaglio.
Lo squamoso è il tipico carcinoma del fumatore nell’anziano, è aumentata l’incidenza dell’adenocarcinoma
che si trova anche nel non fumatore probabilmente perché è aumentata la qualità diagnostica, ora gli
anatomopatologi utilizzano l’immunoistochimica, i markers tumorali, che prima non c’erano.
Esistono come in ogni tumore che si rispetti delle lesioni precancerose, sia per quanto riguarda gli
adenocarcinomi sia per quanto riguarda il carcinoma squamoso.
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Qui abbiamo un epitelio ciliato con forse qualche cellula mucipara, ma questo è un tipico epitelio
respiratorio normale. L’epitelio normale respiratorio però voi sapete che va incontro a fenomeni di
metaplasia squamosa, ecco perché noi abbiamo il carcinoma squamoso. Ricordate quindi che il carcinoma
squamoso insorge su aree già metaplasiche, la metaplasia di per sé non è una lesione precancerosa ma è un
sistema di adattamento perché gli epiteli squamosi sono quelli più resistenti, e quindi un epitelio
respiratorio per difendersi dall’attacco del fumo cambia il programma e forma un eptelio pluristratificato
che lo rende più resistente. Ricordate questo in generale per quanto riguarda i Carcinomi. Quando noi
parliamo di carcinomi ci riferiamo a tumori Epiteliali.
Esistono due grosse categoria di Carcinomi:
•
•
Adenocarcinomi dagli epiteli ghiandolari
Carcinomi da epiteli di rivestimento che sono per lo più epiteli squamosi e quindi
dall’epidermide (epitelio più diffuso) a tutti gli epiteli a contatto con l’esterno, quindi la
mucosa orale, quella dell’ano, della vagina, del naso ecc.
Quindi tutte le mucose a contatto con l’esterno sono rivestite da un epitelio squamoso, ma anche l’esofago,
l’esofago ha bisogno di un epitelio particolarmente resistente. Perché? Perché è attraversato da cibi caldi,
freddi ecc.
L’epitelio squamoso a livello respiratorio origina da un epitelio metaplasico e da qui può nascere un
carcinoma squamoso.
Il concetto di displasia negli epiteli squamosi è legato alla mancanza di proliferazione delle cellule dalla base
alla superficie. Quando questa immaturità coinvolge l’intero spessore dell’epitelio squamoso allora parliamo
di CARCINOMA IN SITU. Che differenza c’è tra un carcinoma in situ e un carcinoma infiltrante? E’ un
parametro istologico. Il carcinoma in situ non dovrebbe dare problemi perché il tumore non ha raggiunto i
vasi e non può diffondere in tutto l’organismo.
IMMAGINE:Qui abbiamo un tumore che sta cominciando a infiltrare. Qui vedremo cellule di tipo
respiratorio, qui abbiamo un epitelio squamoso caratterizzato da questo aspetto irregolare del tumore nei
confronti del corion, cioè il connettivo di sostegno degli epiteli. Ovviamente nella progressione dall’epitelio
squamoso normale al carcinoma infiltrante si hanno numerose alterazioni molecolari che rendono il tumore
maggiormente aggressivo nei confronti del corion, nei confronti dei vasi, quindi aumenta la potenzialità
metastatica che ogni carcinoma maligno ha. Il carcinoma squamoso si presenta di solito come una massa
che è centrale . E’ chiaro che il carcinoma squamoso che origina dall’epitelio squamoso si sviluppa nei
bronchi, non nel parenchima alveolare del polmone, quindi sono necessariamente dei tumori centrali,
mentre gli adenocarcinomi possono essere sia centrali sia periferici perché possono avere origine dalle
cellule sia bronchiali sia alveolari. I carcinomi squamosi sono tumori legati al fumo di sigaretta quindi non
esistono nei pazienti NON fumatori. Quali sono gli elementi che ci consentono di distinguere un carcinoma
squamoso? 1 - La formazione di cheratina (voi sapete che la cheratina si trova in particolare nell’epidermide
che cheratinizza), però vi ricordo che non tutti gli epiteli squamosi cheratinizzano. Nell’ambito dei carcinomi
squamosi distinguiamo i carcinomi cheratinizzanti e non cheratinizzanti. Questo dal punto di vista
prognostico e terapeutico non significa niente, è una valenza che noi aggiungiamo. 2- Un altro elemento che
ci consente di definire un carcinoma squamoso è la formazione di quei ponti intercellulari che seguono
proprio delle cerniere che collegano le cellule le une alle altre. Quindi la cheratina e i ponti intercellulari
sono gli elementi diagnostici dei carcinomi squamosi.
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I carcinomi vanno gradati. Vi ricordate il concetto di GRADING? Nella maggior parte dei casi quando
parliamo di GRADING ci riferiamo alla cellula di origine: quanto più la cellula somiglia a quella da cui deriva ci
troviamo dinanzi ad un carcinoma ben differenziato, ovvero G1. Quando noi riconosciamo di trovarci dinanzi
ad un carcinoma squamoso, però la cellula tumorale è molto diversa dalla cellula da cui deriva allora ci
troviamo di fronte ad un G3, cioè un alto grado. Il grading è un elemento prognostico nella maggior parte
dei tumori e chiaramente un tumore ben differenziato è prognosticamente più favorevole rispetto ad un
carcinoma meno differenziato e tendenzialmente più aggressivo. Il concetto di grading si basa anche
sull’architettura delle cellule.
IMMAGINE: Quindi abbiamo carcinomi squamosi del polmone che formano cheratina. Quella che vedete
all’interno è la cosiddetta PERLA CORNEA che è la cheratina che di solito troviamo sulla superficie
dell’epidermide, in questo caso s’incista in un nido tumorale. Quindi queste sono cellule tumorali in periferia
e questa è cheratina che forma proprio un nido che viene definito PERLA CORNEA. Il citoplasma delle cellule
squamose è piuttosto ampio, un nucleo piccolino e un nucleolo che non sempre si vede. Questo è un
elemento importante perché la presenza di un nucleolo evidente è indice di ADENOCARCINOMA!
Ovviamente i tumori possono essere moderatamente differenziati quando le perle cornee sono molto
scarse, oppure essere scarsamente differenziati.
IMMAGINE: Qui vedete ancora un tumore squamoso con cheratina disposta a lamelle e qui vedete ancora
perle cornee e i ponti. Vedete questi ponti, le strie bianche che stanno tra una cellula e l’altra e sembrano
delle cerniere;questi ponti sono delle giunzioni che queste cellule continuano a mantenere nelle forme ben
differenziate. Ovviamente la perdita delle giunzioni è uno dei parametri che consente alla cellula
di”infiltrare”i vasi. Però i ponti anche ben formati possono essere evidenti anche nelle metastasi. Questo è
un reperto bioptico di materiale rinvenuto nel corso di broncoscopia.
Esistono varianti di carcinoma squamoso e in alcuni casi le cellule possono differenziare talmente tanto che
assumono un aspetto sarcomatoide. Come abbiamo detto prima, quando parliamo di carcinoma
sarcomatoide parliamo di carcinoma che assomiglia al SARCOMA. Il SARCOMA è un tumore mesenchimale
che nella maggior parte dei casi è formato da cellule fusate. In questo tumore, vedete, esiste una
componente di tipo epiteliale squamoso e accanto c’è una componente a cellule fusate molto brutta dal
punto di vista citologico. In questo caso si parla di CARCINOMA SARCOMATOIDE perché l’origine è sempre
dalla cellula epiteliale(per questo carcinoma), ma in questo caso la cellula assume un aspetto molto simile al
sarcoma.
E poi abbiamo gli ADENOCARCINOMI. Anche gli adenocarcinomi, in genere, sono tumori periferici che
originano da strutture aeree terminali, hanno un loro precursore istologico che è l’IPERPLASIA
ADENOMATOSA. All’interno delle strutture alveolari che conoscete sono presenti queste cellule con setti
molto sottili tra un alveolo e l’altro, esistono cellule che non sono le classiche cellule piatte, ma sono un
poco più voluminose, un poco più ovoidali. Questa è l’iperplasia adenomatosa che si osserva nelle vie aeree
inferiori, in particolare negli alveoli. In generale sono periferici, ma possono essere anche centrali.
IMMAGINE: Questo è un adenocarcinoma che è un po’ più centrale, ma comunque viene detto periferico.
Vedete ci sono altri noduli;sono delle metastasi intraparenchimali. L’adenocarcinoma può dare metastasi
all’interno dello stesso polmone, ma anche a livello del polmone contro laterale con questo aspetto che
definiremo MILIARIFORME perché ricorda un po’ la fase miliare della tubercolosi con questi puntini
addensati che si trovano all’interno del parenchima polmonare.
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La nomenclatura degli adenocarcinomi è un po’ cambiata. Voi avrete sicuramente sentito parlare di
ADENOCARCINOMI BRONCHIOLO-ALVEOLARI. Questo nome è stato completamente cambiato in
ADENOCARCINOMA A DIFFUSIONE LEPIDICA. L’ADENOCARCINOMA IN SITU, che vedremo è il precursore
diretto dell’adenocarcinoma del polmone, ha esclusivamente una definizione dimensionale. Quindi si
definisce adenocarcinoma in situ un tumore che ha una dimensione minore ai 3 cm e istologicamente ha
l’aspetto di un adenocarcinoma a diffusione lepidica(ex bronchiolo-alveolare). Gli alveoli polmonari abbiamo
detto che sono rivestiti da cellule piatte distinte in cellule di I e II tipo. L’adenocarcinoma a diffusione
lepidica è costituito da cellule neoplastiche che diffondono lungo la via bronchiolo-alveolare che perde la
propria funzione respiratoria, quindi è un tumore che non infiltra ed era considerato un tempo benigno alla
stregua del carcinoma in situ. In realtà gli adenocarcinomi ex bronchiolo-alveolari diffondono lungo le vie e
possono coinvolgere l’intero polmone comprimendolo completamente e portando alla morte del paziente
per un soffocamento dovuto all’incapacità del polmone di aerare. Anche questo tumore è maligno quando
supera i 3 cm. Vedete queste cellule, sono un po’ più voluminose con questi nuclei che producono degli
spazi aerei.
Esistono una serie di adenocarcinomi del polmone: l’ADENOCARCINOMA ACINICO che è quello che forma le
ghiandole o che deriva da un epitelio di tipo ghiandolare, il CARCINOMA PAPILLARE che è un
adenocarcinoma perché deriva da epiteli ghiandolari, ma formano papille che vedete qui come spazi aerei
allungati , costituiti da cellule con sottili assi vascolari, oppure non formano più lumi ghiandolari, ma hanno
un aspetto solido(questo pone un problema di diagnosi differenziale con carcinoma squamoso ed è
importante distinguere un adenocarcinoma solido da un carcinoma squamoso per tutte le problematiche
terapeutiche di cui abbiamo parlato), e poi abbiamo una variante particolare di tumori che poi vedrete
sicuramente nella mammella e ancor più nello stomaco, gli ADENOCARCINOMI MUCINOSI. Le cellule di
questo tumore hanno un citoplasma molto ampio con nucleo spostato alla periferia. Questo cosa sembra
(mostra un’immagine)? Un nucleo alla periferia con un citoplasma ricco di muco che sposta il nucleo alla
periferia. Questo somiglia ad un anello con castone. Vengono detti mucinosi perché producono muco. Li
ritroviamo nella mammella, nella prostata e anche nello stomaco.
Ora, ritornando al grading, abbiamo detto che è un parametro prognostico che ci indica dal punto di vista
istologico la somiglianza delle cellule neoplastiche rispetto a quelle da cui si presume abbiano avuto origine.
Ma non è sempre così perché gli adenocarcinomi del polmone si gradano in base al pattern di crescita.
Abbiamo visto i vari patterns dell’adenocarcinoma polmonare, ma uno di questi è quello prevalente perché
la maggior parte dei casi di adenocarcinomi sono quelli misti. Possiamo avere componenti lepidiche,
aciniche, solide, papillari, diversamente combinate. In base alla componente prevalente noi possiamo
gradare l’adenocarcinoma del polmone. In particolare i tumori che hanno una prevalente componente
solida e micro papillare sono quelli più aggressivi, quindi vengono identificati come tumori degli
adenocarcinomi di alto grado;i tumori che contengono una prevalente componente papillare o acinica
vengono definiti di grado intermedio, mentre i tumori che hanno una prevalente componente lepidica sono
definiti tumori di basso grado perché di fatto non hanno infiltrato lo stroma, hanno permeato le vie aeree,
diffondono attraverso le vie aeree. Chiaramente la definizione alto grado, basso grado non è una definizione
istologica, ma una definizione clinica. Noi sappiamo che i tumori con prevalente pattern solido sono quelli
più aggressivi. Quando noi formuliamo un referto anatomo-patologico tumorale diamo delle informazioni
prognostiche, istiotipo, differenziazione, se ci sono degli emboli dei vasi intorno al tumore, lo stadio,
insomma, parametri prognostici. Anche la semplice morfologia, il semplice istiotipo sono dei semplici
parametri prognostici che un clinico deve valutare per pianificare un intervento migliore per quel paziente.
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Il problema più importante nella diagnosi differenziale di un tumore è la distinzione tra ADENOCARCINOMA
SOLIDO e CARCINOMA SQUAMOSO. E’ importante questa distinzione perché il paziente avrà dei trattamenti
diversi. In particolare, chi avrà un adenocarcinoma potrà fare il BEVACIZUMAB, oppure potrà fare un
chemioterapico abbastanza comune, il PEMETREXED, usato solo nell’adenocarcinoma e NON nel carcinoma
squamoso, che verrà trattato, invece, con il CISPLATINO.
Per fare diagnosi corretta l’immunoistochimica ci viene in soccorso. TTF-1 identifica un fattore di
trascrizione prodotto principalmente nella tiroide, ma anche nel cuore. E’ positivo esclusivamente negli
adenocarcinomi dei polmoni. Se si tratta di un carcinoma squamoso questo sarà negativo. Il TTF-1 è un
marker ad altissima sensibilità e ad altissima specificità. La p63 è un marker epiteliale, ma in questo
contesto marca carcinomi squamosi, non è un marker del tutto affidabile, non è sensibile, non è specifico.
Può essere positiva negli adenocarcinomi. Esiste un 10% dei casi in cui il TTF-1 è negativo anche negli
adenocarcinomi, però quelle stesse cellule saranno negative anche a p63. TTF-1 sarà positivo nella
stragrande maggioranza dei casi di adenocarcinoma ! Quando ci troviamo dinanzi a un caso TTF-1 positivo è
sicuramente adenocarcinoma, quando è negativo ed è negativa anche la p63 può essere anche un
adenocarcinoma. Nello squamoso la p63 è SEMPRE positiva. La p63 la dobbiamo analizzare anche negli
adenocarcinomi però è debole è sfocata, non è diffusa come nei carcinomi squamosi, quindi c’è anche
questo parametro di intensità e diffusione che va valutato sempre. Chiaramente voi immaginate che
l’anatomia patologica è una disciplina ad ampio spettro in quanto abbraccia tutte le patologie. Però anche
nel nostro settore esistono competenze specifiche nei vari campi, esiste l’esperto di linfomi, di mammella, di
colon etc. Ovviamente la diagnosi anatomo-patologica “banale” la devono fare tutti, però ricordate che
anche nell’anatomia patologia esiste una certa specializzazione legata alle competenze. Dovete immaginare
che noi interpretiamo dei dati, non esiste una macchina che ci dice il risultato. Il nostro è un lavoro di
interpretazione legata ad uno studio continuo, competenze ed una certa predisposizione.
Esiste nell’ambito dei carcinomi polmonari, una minima componente di carcinomi cosiddetti “misti” in
particolare il carcinoma “ADENO-SQUAMOSO”, vedete già dal nome che combina sia aspetti squamosi che
componenti dell’adenocarcinoma, sono in genere più aggressivi di entrambe le componenti prese
singolarmente.
E poi abbiamo l’altro capitolo dei tumori che è quello dei carcinomi NEUROENDOCRINI. Sono tumori diffusi
un po’ in tutto il nostro organismo, derivano da cellule di derivazione neuro-ectodermica che si trovano
ovunque, in tutte le mucose e in particolare l’apparato digerente come nel pancreas. Sicuramente sapete
benissimo cos’è una cellula neuroendocrina, che è diffusa e che costituisce il sistema APUD. Dove si trovano
queste cellule neuroendocrine nel polmone? Si trovano in genere a livello dello strato basale dell’epitelio
bronchiale soprattutto la dove ci sono delle ramificazioni: vanno a formare il cosiddetto “corpo neuroepiteliale”. Sono cellule piccole. Sapete che in patologia oncologica uno dei riferimenti morfologici più
importanti è la dimensione. Si usa come riferimento sempre il linfocita (o il globulo rosso) che ha
dimensione di 7-10micron. In base a questo definiamo che le cellule sono piccole, medie, grandi. Quindi
quando dico piccole cellule (come nel k a piccole cellule) intendo cellule della dimensione più o meno di un
linfocita. Al microscopio non posso misurare le singole cellule, quindi le confronto con il linfocita o il globulo
rosso.
Esistono in generale 3 grosse categorie di tumori neuro-endocrini:
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•
•
•
carcinomi neuroendocrini ben differenziati
carcinomi neuroendocrini moderatamente differenziati
carcinomi neuroendocrini poco differenziati
Questo quadro vale per tutti i distretti tranne per il polmone dove sono rimaste terminologie antiquate:
Quelli differenziati (di basso grado):
•
Carcinoide tipico che corrisponde al carcinoma neuroendocrino ben differenziato, a prognosi più
favorevole, raramente da metastasi. INDICE MITOTICO minore di 2 mitosi per HPF (v. dopo) e
assenza di NECROSI
• Carcinoide atipico  carcinoma neuroendocrino moderatamente differenziato, più cattivello del
precedente, hanno INDICE MITOTICO superiore di 2 mitosi x HPF (High Power Field, obiettivo che
consente all’operatore di vedere a ingrandimento di 400 volte) e/o presenza NECROSI.
La differenza quindi è sia clinica, sia anatomopatologica.
I carcinomi neuroendocrini poco differenziati (di alto grado) invece possono avere tre nomi:
•
carcinoma neuroendocrino a piccole cellule (microcitoma): molto aggressivo, diagnosticato sempre
in fase avanzata, tipico dei fumatori. I tumori a piccole cellule rappresentano circa il 20% di tutti i
tumori del polmone (il restante 80% è detto “non a piccole cellule”), producono sostanze
neuropeptidiche responsabili delle sindromi paraneoplastiche come la diarrea che è tipica.
All’osservazione osserviamo cellule piccole (in riferimento ad un linfocita), cellule con poco citoplasma, i
nuclei molto delicati che appaiono stirati per dispersione della cromatina dovuta al prelievo stesso che
distrugge i già fragili nuclei, vediamo strie bluastre segno di dispersione cromatinica. Hanno un pattern
diffuso, che non forma ghiandole.
•
•
carcinoma neuroendocrino a grandi cellule: strettamente imparentato a quello a piccole cellule,
anch’esso tipico dei fumatori, la sua incidenza sta diminuendo. Per molto tempo la sua origine è
stata sconosciuta e quindi tutti i tumori con cellule più grandi erano detti “a grandi cellule”. Oggi
sappiamo, grazie ai marker immunoistochimici, che l’80% esprime il TTF-1 e quindi sono
probabilmente di origine ghiandolare (come detto prima possibilità di somministrare bevacizumab e
pemetrexed) mentre il 20% esprime, anche se meno intensamente, il p63 e quindi sono
probabilmente di origine squamosa. Un piccolo subset non può essere incluso né tra gli squamosi né
tra i ghiandolari e quindi viene detto ancora “a grandi cellule” nonostante l’utilizzo
dell’immunoistochimica.
forme miste che combinano sia grandi che piccole cellule: che hanno anch’essi differenziazione
neuroendocrina.
Questi sono tumori, i carcinoidi, ad andamento cosiddetto organoide, cioè formano noduli nello stroma
riccamente vascolarizzato oppure possono formare delle strutture similghiandolari che non si chiamano
però ghiandole ma rosette dalla forma tipica di rosa con lume centrale.
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Possono essere centrali cioè al ridosso di un bronco principale (li riconoscete degli anelli cartilaginei, la loro
ostruzione dà polmonite lobare), oppure periferici. Quelli dei fumatori sono di solito centrali.
Per individuare le cellule neuro-endocrine possiamo cercare uno dei 3 seguenti marker istochimici
(immunoprofilo):
1. cromogranina A (CgA)
2. sinaptofisina
3. CD56 (NCAM)
I carcinoidi tipico e atipico di solito esprimono tutti e tre i marker, mentre invece quelli ad alto grado
possono perderne 1 o raramente 2. Comunque per essere definito neuroendocrino deve avere almeno due
marker.
Si utilizza la DiaminoBenzidina (DAB), che precipita in presenza di una reazione antigene-anticorpo dando
colore marroncino, per individuarli.
Riepilogo sulle problematiche diagnostiche: più del 50% dei tumori vengono diagnosticati in fase avanzata,
nelle lesioni periferiche il prelievo è TAC guidato (introducendo un ago dall’esterno, biopsia percutanea)
poiché le lesioni sono profonde e intratoraciche (difficoltà in più rispetto ad un tumore come quello della
mammella), gli aghi utilizzati sono di dimensioni minori poiché il polmone è un organo particolare, con
rischio di emopneumotorace. Quello che si può fare, in base all’esperienza e l’audacia dei radiologi, è
utilizzare aghi molto sottili che danno un semplice citologico, l’ideale sarebbe un prelievo di tessuto (come
per tutte le neoplasie) che consente una serie di indagini, ma ciò molto spesso non è possibile. Per questo
esistono delle alternative. Una è quella del “Cell Block”: è un prelievo agoaspirativo, ciò che è aspirato però
viene messo in un fissativo, centrifugato e trattato come un prelievo istologico con la conseguente
processazione permettendo di fare diverse indagini con lo stesso prelievo.
L’ideale è comunque la biopsia (materiale istologico e non citologico) che può essere fatta al massimo per
piccolissimi frammenti tumorali che non consentono di fare tutto ciò che vorremmo fare.
Il broncoscopio ci permette di prelevare le neoplasie centrali, soprattutto le squamose che originano dai
bronchi, con prelievo istologico o citologico. La lesione può essere centrale endobronchiale, facilmente
bioptizzabile con pinze bioptiche o ago aspirati in corso di broncoscopia, o centrale extrabronchiale e qui
bisogna penetrare il bronco e prelevare con aghi di diverse dimensioni la lesione nel parenchima (prelievo
per ago sottile di una lesione al ridosso delle vie aeree). Si può fare un washing bronchiale, laviamo i
bronchi, raccogliendo il materiale che viene inviato. Oppure quando vediamo la lesione possiamo fare un
brushing, con spazzoline che con il broncoscopio sono introdotte fino alla lesione e ci permettono
ovviamente solo di fare un citologico.
Possiamo infine avvalerci di una tecnica più recente che è l’EBUS, ecografo molto sottile che ci consente di
visualizzare nell’ambito di una broncoscopia la lesione al di fuori del bronco e di fare un prelievo direzionale
eco-guidato.
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L’alternativa è la MEDIASTINOSCOPIA, si fa un taglio nella parte superiore del mediastino, il giugulo, si entra
nel mediastino con un endoscopio e si effettua il prelievo guardando dell’esterno.
Come detto, quando è parenchimale ma centrale si fa mediante broncoscopia con la guida, mentre se è più
periferica si fa l’agobiopsia TAC-guidata.
Spesso tutto ciò non è sufficiente e i pazienti possono ricorrere alla V.A.T.S. (Video-Assisted-Thoracic
surgery)  videotoracoscopia, tecnica chirurgica video-guidata, si entra nella gabbia toracica e si provvede
alla biopsia della lesione.
L’anatomo patologo è chiamato spesso a valutare se i prelievi sono adeguati con controllo citologico
estemporaneo durante l’intervento (ottimizza i tempi evitando di dover ripetere le indagini invasive): Egli fa
una colorazione rapida del materiale prelevato dal broncoscopista e può dire se c’è materiale sufficiente per
fare una diagnosi (non può fare diagnosi ma solo dire se vi sono i requisiti), quindi verrà inviato all’anatomia
patologica.
Stadiazione e Patologia molecolare nelle prossime lezioni.
Lezione 25/11/2015
Sbobinata da:
Tumori polmonari:
Per quanto riguarda il tumore squamoso l’origine è sempre a livello bronchiale. In situazioni particolari,
come un soggetto fumatore, si ha una metaplasia squamosa che è una protezione dal fumo di sigaretta , per
poi arrivare ad una displasia di grado variabile fino al carcinoma in situ da cui origina la forma infiltrante. Un
carcinoma è infiltrante quando supera la membrana basale, cosa visibile solo con una diagnosi istologica. Il
carcinoma squamoso è riconoscibile perché in una parte dei casi fa cheratina e , quando questa viene ad
essere incistata dalle cellule neoplastiche , si forma la ’ perla cornea’ e perché ci sono i ponti che formano
come dei binari tra una cellula e l’altra. Per il carcinoma squamoso la gradazione è quella classica e si
riferisce alla somiglianza che c’è tra epitelio tumorale ed epitelio epidermico, sia per la presenza di cheratina
sia la presenza dei ponti. Le perle cornee occupano piu del 50 % dell’epitelio. Quando il carcinoma è
scarsamente differenziato non si vedono né ponti né cheratina . Esistono aspetti particolari di carcinomi
squamosi come i sarcomatoidi, detti così perchè somigliano al sarcoma in quanto, quando le cellule si
differenziano in modo profondo, ricordano quelle mesenchimali presentando un aspetto fusato.
Il precursore degli Adenocarcinomi è l’iperplasia adenomatosa atipica che si sviluppa all’interno delle
strutture alveolari o nei bronchioli terminali. Il profilo degli alveoli rimane lo stesso ma cambiano le cellule
che non sono più piatte e ma sono piuttosto voluminose. Dal punto di vista clinico, radiografico e biologico
si distinguono in periferici e centrali a seconda dell’ origine .Quando il tumore è periferico è un
adenocarcinoma, quando è centrale, cioè è contatto con i bronchi principali, è potenzialmente squamoso
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ma potrebbe essere anche un adenocarcinoma. L’ adenocarcinoma polmonare in situ, a differenza degli
adenocarcinomi degli altri distretti, ha una distinzione ben precisa perchè oltre a non infiltrare la tonaca
sottostante deve essere anche inferiore ai 3 centimetri. È un tumore che ha una diffusione lepidica per cui il
profilo degli alveoli rimane lo stesso e le cellule neoplastiche vanno a ricoprire gli spazi alveolari . Quando
questa tipologia di tumore non infiltrante supera i 3 cm va trattato come un adenocarcinoma infiltrante.
Adenocarcinomi nel polmone possono essere in varia forma: ci sono quelli lepidici e le forme vere e proprie
infiltranti che sono l’adenocarcinoma acinare che deriva direttamente dal lepidico quando comincia a
infiltrare lo stroma e cioè forma lumi ghiandolari normali come qualsiasi adenocarcinoma e poi ci sono
forme particolari tipo quelle papillari, in cui il tumore si organizza a formare delle papille e quelli solidi in cui
è raro vedere i lumi ghiandolari, in alcuni punti può sembrare addirittura un carcinoma squamoso. La
differenziazione tra tumore squamoso ed adenocarcinoma è importantissima in quanto il paziente si
sottopone a differenti terapie, ad esempio il bevacitzumab ed il pemetrexed si usano nell’adenocarcinoma e
non nello squamoso, trattare uno squamoso con questi farmaci sarebbe inefficace per il tumore e dannoso
per il paziente. La maggior parte dei tumori è diagnosticata in fase avanzata per cui un campione bioptico
senza immunoistochimica non permette di fare diagnosi avanzata. Poi c’è quello a signet ring cell in cui il
muco prodotto rimane nella cellula tanto che il nucleo è spostato alla periferia dando immagine ad anello a
castone , ci sono laghi di muco in cui le cellule galleggiano (cosa visibile anche in tumore di prostata o
mammella ecc) .Il Grading di adenocarcinoma a differenza degli altri grading si basa proprio sull’ aspetto del
tumore. Nella maggior parte dei casi gli adenocarcinomi sono misti e il nome si attribuisce a seconda
dell’aspetto che prevale. Quelli più aggressivi sono i G3, misti o puri che contengono componenti del signet
per esempio, sono di basso grado quelli che hanno aspetto lepidico. Possono essere anche misti con aspetto
di tumori squamoso e di adenocarcinoma contemporaneamente.
Apriamo poi il capitolo dei Carcinomi Neuroendocrini che derivano dalle cellule neuroendocrine (molto
diffuse nel nostro organismo). Tra questi ci sono i carcinoidi tipici e quelli atipici , la differenza sta nel
numero delle mitosi. Il cut-off è 2 mitosi per 10 HPF (campi a maggiore ingrandimento), se le mitosi sono più
di 2 per 10 HPF il carcinoide è atipico, se sono inferiori è tipico. I tumori neuroendocrini esprimono marker
neuroendocrini che sono: la cromogranina , la sinaptofisina e il CD56. Per poter fare diagnosi di tumore
neuroendocrino almeno due di questi marker devono essere positivi ( vale per i neuroendocrini di tutti i
distretti, non solo per quello polmonare) e poi ci sono i carcinomi neuroendocrini di alto grado. I
neuroendocrini difficilmente si possono operare perché diagnosticati spesso in fase avanzata. L’aspetto è
diffuso non ci sono perle cornee, ci sono cellule molto piccole che ricordano i linfociti, la cromatina viene
frequentemente dispersa nello stroma e lo si vede soprattutto nelle biopsie.
Carcinomi a grandi cellule (grandi cellule riferendoci ai parametri dati dai globuli rossi e dai linfociti) negli
ultimi anni si è visto che in realtà derivano dagli squamosi o dagli adenocarcinomi.
Il Ttf1 nell’ambito del gruppo dei carcinomi non a piccole cellule è il marker positivo degli adenocarcinomi e
negativo negli squamosi. Ttf1 sta per fattore di trascrizione tiroideo.
Infatti è un marker spesso iperespresso anche dai tireociti però negli adenocarcinomi è iperespresso nel
90% dei casi, mentre la p63 è un marker più specifico che colora i carcinomi squamosi. Quando noi abbiamo
pochissimo materiale ci avvaliamo di questi anticorpi per fare diagnosi, alcuni dei quali sono
particolarmente differenziati. Ad esempio per gli adenocarcinomi solidi che comunque sembrano dei
carcinomi squamosi abbiamo necessità di classificarlo meglio. Quindi facciamo il TTF1 che è un marker tipico
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del 90 % degli adenocarcinomi e poi abbiamo la p63 che invece colora i carcinomi squamosi. Esistono anche
adenocarcinomi che sono negativi per TTF1 e sono anche negativi per p63. Anche i tumori a piccole cellule
sono positivi a TTF1, questo per segnalare che l’immunoistochimica non è in genere diagnostica ma deve
partire sempre da un presupposto morfologico. Quindi quando io devo fare la diagnosi differenziale tra
carcinoma squamoso e adenocarcinoma va fatto il TTF1, però se il mio problema è il microcitoma devo
tenere presente che il TTF1 è positivo anche in questo caso.
STADIAZIONE: la stadiazione si basa sulla classificazione TNM. T sta per tumore, N sta per linfonodi ed M sta
per metastasi. La stadiazione dei tumori può essere una stadiazione clinica e viene fatta sulla base degli
esami strumentali e in questo caso il TNM è fatto precedere dalla lettera “c”; quando invece viene fatto
precedere dalla lettera “p” è una stadiazione patologica; quando è preceduta dalle lettere “yp” è indicativo
di una stadiazione di un tumore fatta dopo chemioterapia che quindi ha subito delle variazioni. La T indica le
dimensioni del tumore ma non è sempre così, in realtà essa indica l’”estensione”: in genere negli organi
parenchimatosi è la dimensione che fa la T, almeno negli stadi iniziali; nei tumori che nascono sulle superfici
come ad es la cute oppure organi cavi quello che fa la T è lo spessore e quindi l’infiltrazione. Quindi un
tumore più è superficiale più sarà di basso T e più è profondo più sarà di alto T. Immaginate un tumore del
colon di 10 cm nella sua estensione massima questa informazione non mi dà un’idea della T, quello che è
importante è lo spessore della parete, perché potrà infiltrare pochissimo e la T sarà comunque bassa. Se ho
un tumore della mammella di 5 cm allora a quel punto sto dando una definizione della T e possiamo dire che
quel tumore è in T2.
STADIAZIONE DEI POLMONI: sono organi parenchimatosi e quello che inizialmente rende il parametro T è
proprio la dimensione. Quindi vedete che nei primi stadi quello che incide sulla T è la dimensione.
T1= tumore <3cm
T1a= tumore < 2 cm T1b= tumore >2 cm
T2= tumore compreso tra 3 e 7 cm
T2a= fino a 5 cm T2b= tra 5 e 7
In T2 si aggiungono altri parametri:
-interessamento del bronco principale a 2 cm (distali) dalla carena (questo è il caso di un tumore centrale)
-invasione della pleura viscerale: anche un tumore di 1 cm (adenocarcinoma, che è sempre periferico) che
infiltra la pleura viscerale diventa T2 indipendentemente dalle dimensioni
-tumore associato ad atelettasia
T3= tumore >7 cm
T4= infiltrazione di strutture che stanno al di fuori del polmone.
(Ovviamente le stadiazione non dovete saperle a memoria all’esame!E’ impossibile impararle tutte, però i
principi fondamentali della stadiazione è importante che li sappiate)
Immagine di microscopia à
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CARCINOMA SQUAMOSO: il tumore non forma ghiandole e ci sono binari tra le cellule che sono i ponti
intercellulari.
Nei MICROCITOMI , TUMORI NEUROENDOCRINI DI ALTO GRADO, esistono anche carcinomi neuroendocrini
di alto grado a grandi cellule che sono strettamente imparentati ai microcitomi, la stadiazione è diversa.
Nel 30% dei casi abbiamo una malattia limitata e quindi la classificazione TNM non ha nessun valore oppure
abbiamo la malattia diffusa. Nella forma limitata il tumore è limitato ad un emitorace, un polmone, quando
ci sono anche delle metastasi che sono ipsilaterali mediastiniche o sopraclaveari oppure quando ci sono dei
versamenti pleurici.
E’ avanzata e diffusa quando il tumore sta anche all’altro polmone oppure ha già dato metastasi a distanza.
DIAGNOSI: ci avvaliamo di diverse tecniche, in particolare la ROSE (Rapid observation on site examination), è
una valutazione che il patologo fa in corso di prelievo da parte dell’operatore sotto TC per valutare se il
materiale che invierà alla diagnosi è idoneo per fare una diagnosi conclusiva. L’operatore lascia l’ago e
aspetta la risposta del citologo per capire se quel materiale è utile altrimenti farà un’altra agoaspirazione o
sposterà l’ago per centrare il tumore.
ALTERAZIONI MOLECOLARI
Negli ultimi anni è molto cambiato l’approccio terapeutico al carcinoma del polmone. In passato l’unica
distinzione che dovevamo fare era “piccole cellule” e “non a piccole cellule” ora le distinzioni sono più
corpose che devono essere fatte nell’ambito dei “non a piccole cellule” che sono più dell’80% dei tumori
polmonari e questo perché in passato i pazienti con carcinoma “non a piccole cellule” dovevano fare
chemioterapia al cis-platino ed era uguale per tutti (la distinzione di terapia veniva fatta più sullo stadio). La
terapia in prima linea si fa quando la malattia è localmente avanzata e in seconda linea quando la malattia
avanza nonostante la terapia. La distinzione principale che va fatta nell’ambito dei “non a piccole cellule” è
principalmente tra adenocarcinoma e carcinoma squamoso perché il PEMETREXED ed il BEVACIZUMAB
vanno usati nell’adenocarcinoma (come chemioterapici). Poi si sono anche sviluppati dei farmaci molecolari
biologici che vanno ad agire contro le principali alterazioni molecolari. Le due principali alterazioni
molecolari sono: mutazioni di EGFR che è un recettore di un fattore di crescita (EGF) e di ALK che è un
recettore sempre tirosin chinasico contro i quali esistono dei farmaci che vengono attualmente utilizzati
nella terapia senza parlare di tutta un’altra serie di alterazioni per i quali esistono farmaci usati solo in
determinati casi clinici. In un tumore al polmone (adenocarcinoma) vanno cercate queste
mutazioni:mutazione di EGFR che rende i pazienti sensibili al trattamento con gli inibitori specifici (erlotinib
e gefinitib).
Farmaci che terminano con “ab”= anticorpi monoclonali che vanno a bloccare il recettore(trastuzumab)
Farmaci che terminano con “ib”= intercettori molecolari che vanno a bloccare il funzionamento delle cellule
Quindi il ruolo del patologo è cambiato, non è soltanto di istologia e biochimica ma è anche di indirizzo alla
terapia. Le mutazioni che noi abbiamo identificato a livello molecolare servono perché il paziente può
instaurare un certo regime terapeutico.
Per quanto riguarda il tumore al polmone il materiale per la diagnosi è scarso per la rappresentazione dei
tessuti ed è molto prezioso: si è effettua solitamente un prelievo per il citologico.
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Quando il tumore è in fase avanzata (metastasi) è necessario prelevare più materiale possibile perché
dobbiamo fare la morfologia, l’immunoistochimica e il molecolare che richiede molto materiale, per cui il
citologico spesso può essere insufficiente. Quindi ricorriamo ad un trattamento che è quello del “Cellblock”: trattamento per le cellule che sostituisce un po’ il tessuto. Le cellule vengono centrifugate e trattate
con paraffina per cui si possono tagliare sezioni da cui fare in fretta il colorante. Cell-block: inclusione in
paraffina del sedimento dopo centrifugazione. E’ una tecnica complementare alla citologia tradizionale,
l’architettura è più conservata!
Quali sono le mutazioni che rendono attivo da un punto di vista costitutivo il recettore EGFR?
-Delezione dell’ esone 19
-Mutazione puntiforme dell’ esone 21
Queste sono le mutazioni che noi andiamo a ricercare mediante indagine molecolare, facciamo il
sequenziamento di queste regioni. Tali mutazioni sono frequenti negli adenocarcinomi dei non fumatori,
soprattutto donne, ha una incidenza del 7-8% nella popolazione nei carcinomi non a piccole cellule. Nei
pazienti orientali l’ incidenza è maggiore infatti qui raggiunge il 15%. Nei pazienti occidentali è presente
negli adenocarcinomi dei non fumatori, soprattutto donne, l’ incidenza è del 7-8%, a volte anche di più. Con
gli inibitori dell’ EGFR non curiamo il paziente ma hanno lo scopo di aumentare la sopravvivenza del
paziente a volte di qualche mese, a volte di qualche anno ma hanno un’ efficacia maggiore rispetto alle
chemioterapie convenzionali. Pazienti che rispondono a questi farmaci svilupperanno resistenza. La
RESISTENZA è legata a mutazioni di c met oppure a mutazioni di T790M.
L’ altro protagonista della diagnostica molecolare del polmone è l’ ALK(Anaplastic lynphoma kinase) che è
stato riconosciuto in un particolare tipo di linfoma che è quello anaplastico. E’ un recettore a tirosinochinasi
a ligando ignoto. La sua attivazione determina la proliferazione cellulare. Il gene di questo recettore viene
alterato a causa di traslocazioni in caso di linfomi o carcinomi polmonari. Ha un incidenza molto bassa cioè
del 5-7 % del carcinoma non a piccole cellule( se però consideriamo che un milione di persone nel mondo si
ammalano di tumore del polmone sono circa 70000 persone che presenteranno queste alterazioni). Contro
questa mutazione viene utilizzato un farmaco che è il CRIZONIB, un inibitore dell’ alterazione dell’ ALK che
inizialmente ha dato risultati ottimi. Anche in questo caso però si può avere lo sviluppo di RESISTENZE. E’ più
frequente nei giovani maschi non fumatori che hanno un adenocarcinoma, soprattutto quelli mucinosi, sia
che non espellono la mucina sia quelli che la espellono.
Il riarrangiamento di ALK non si tratta di una vera e propria traslocazione(che coinvolge due geni che si
trovano in due posizioni diverse) ma il riarrangiamento avviene all’ interno del braccio corto del cromosoma
2, nella maggior parte è coinvolto il gene EML4 e il gene ALK che ha una porzione che codifica per la parte
tirosinchinasica e un’ altra che codifica per i domini all’ esterno della membrana. Se si ha il riarrangiamento
si ha la perdita di parte del cromosoma e ALK si accosta a EML4 che è attivo in maniera costitutiva, va sotto
il controllo del promotore di EML4 e quindi viene espresso costantemente.
Esiste un altro riarrangiamento che è quello di ROS che ha sempre attività tirosinchinasica e che viene
regolato da CRIZONIB che inibisce ALK, ROS e MET. Non è stata ancora individuata la mutazione di ROS 1.
Ci sono vari tipi di tumori polmonari, alcuni molto frequenti come l AMARTOMA, un tumore mesenchimale,
è un tumore benigno che è costituito da cartilagine ed epitelio bronchiale.
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Esistono tumori mesenchimali più rari come il SARCOMA SINOVIALE.
Bisogna soffermarci su altri tipi di tumori bronchiali, malformazione polmonare, bronchiectasia
(complicanza di infiammazione /infezione polmonare dovuta a dilatazione dei bronchi su base
infiammatoria).
Esistono anche altri tipi di tumori come i TUMORI MESENCHIMALI. Tra questi ultimi è importante ricordare
l’amartoma, tumore benigno che nasce dall’alterazione di strutture di origine embrionale. In particolare,
questo tumore è costituito da cartilagine ed epitelio bronchiale. Esistono, poi, tumori mesenchimali più rari
come il sarcoma sinoviale. Esistono poi ancora altre patologie polmonari benigne. La BRONCHIETTASIA è
spesso una complicanza dell’ infezioni e delle infiammazioni polmonari ed è caratterizzata da una
dilatazione dei bronchi. L’ ATELETTASIA è il collasso del polmone che può essere totale o parziale. Può
essere dovuto a cause intrinseche al polmone (ostruzioni-?-) o estrinseche (come la pleura che può
comprimere). PATOLOGIA PLEURICA VERSAMENTI PLEURICI Si distinguono in versamenti di tipo
infiammatorio e versamenti di tipo non infiammatorio. Quelli infiammatori, che possono essere trattati,
sono caratterizzati dalla presenza di essudato. I versamenti non infiammatori sono l’ emotorace, l’
emopneumotorace, chilotorace. Le cause dell’ emotorace sono: traumi, tumori (altre cause dette dal posto
non si sentono). Il chilo torace, invece, è l’ accumulo di linfa tra i foglietti pleurici (ricordate che i foglietti
pleurici sono 2, viscerale, a ridosso del polmone e parietale, a ridosso della gabbia torace). Anche in questo
caso riconosciamo una causa ostruttiva che può essere neoplastica.
ANATOMIA PATOLOGICA
Prof. Franco
26/11/2015
PATOLOGIA PNEUMO-POLMONARE
Mi sono reso conto che della FISH, come tecnica diagnostica, quest’anno non avete
proprio parlato, quindi, almeno i principi, è bene chiarirli perché è una delle tecniche
che si usa in anatomia patologica.
L’esame di anatomia patologica è lunghissimo, su alcuni argomenti, in sede di
esame, si può chiudere un occhio, su altri mezzo occhio, su altri bisogna avere gli
occhi spalancati: a voi l’intelligenza di capire quali sono gli argomenti importanti.
Mutazioni del gene ALK nel carcinoma del polmone non a piccole cellule.
Mutazioni attivanti il GENE ALK, nel polmone, si osserva nel5-8% negli
adenocarcinomi o carcinomi non a piccole cellule (tale mutazione spesso è presente
in soggetti affetti dal tumore ma non fumatori).
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Il riarrangiamento porta ad una over-espressione della proteina che sarà aberrante
perché
costituita
dalla
attività
tirosin-chinasica
⇒
quella
responsabile
dell’attivazione della proliferazione cellulare. Però questa subunità, codificata da
una parte del gene, è il controllo di un promotore, un gene diverso, EML4
normalmente espresso nelle cellule umane ⇒ è detto promotore forte ⇒è overespressa ed attiva costitutivamente ⇒ non ha necessità di ligando ⇒ è una proteina
attiva.
I riarrangiamenti sono diversi: le porzioni di EML4 che possono essere coinvolte
sono diverse, mentre le subunità geniche di ALK che codifica per la porzione tirosinchinasica è sempre la stessa.
Quello che avviene normalmente:
•
i 2 geni si trovano sul braccio corto del cromosoma 1 → EML4 e ALK
•
ALK è costituito da 3 porzioni: verde, arancione, grigia. La porzione
arancione è quella che codifica a 5’ per la subunità tirosin-chinasica.
Nel riarrangiamento c’è un’inversione del gene, inversione paracentrica, per cui la
porzione tirosin-chinasica va sotto il controllo di EML4 e viene distanziata dall’altra
porzione dell’ALK. (ci sono anche altri geni a quel livello, ma il più importante è
EML4+ALK)
Nella FISH utilizziamo delle sonde a DNA che vanno ad anilare con le catene del DNA
che andiamo a testare. Normalmente abbiamo delle catene di DNA marcate con
fluorocromi di colore diverso, nel caso dell’ALK utilizziamo una sonda che marca 5’
nello spectrum del green e una sonda che marca a 3’ nello spectrum dell’orange.
Quando il gene è integro, lo percepiremo al microscopio a fluorescenza come un
segnale di fusione dei 2 colori ⇒un segnale giallo che significa che il gene è integro.
Quando c’è dissociazione del gene nella porzione 3’-5’ avremo una dissociazione
anche del finale ⇒ percepiremo i 2 segnali dell’ALK come 2 segnali distinti: verde e
rosso. Questo tipo di marcatura con la FISH si chiama BREAK APART perché
visualizziamo la rottura del gene con 2 segnali di fusione dei 2 colori che abbiamo
usato come fluorocromi.
Per concludere sull’ALK: la tecnica di indagine FISH ci serve a definire i pazienti che
possono fare un trattamento specifico con CRIZOTINIB.
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Il riarrangiamento dell’ALK è un fattore predittivo in risposta alla terapia con
CRIZOTINIB.
La differenza tra:
•
FATTORI PROGNOSTICI → possono essere + o -, favorevoli o sfavorevoli,
indicano il comportamento di un tumore
•
FATTORI PREDITTIVI →indicano se un tumore risponde bene o no alla
terapia. Possono essere diagnostici, ma non è sempre così.
PLEURA
La PLEURA è il foglietto di rivestimento dei polmoni e può andar incontro a diverse
patologie. La PLEURA è un sottile tessuto costituito da un mesotelio che poggia su
un folio molto sottile costituito da una porzione viscerale, che poggia proprio sul
polmone, e una porzione parietale che, invece, riveste la gabbia toracica. All’interno
di questi 2 foglietti pleurici c’è un liquido, 10-15 ml, che serve a far scivolare bene
il polmone sulla parete toracica. L’aumento di questo fluido pleurico è espressione
di patologia. Abbiamo accennato ai versamenti che possono insorgere a livello
polmonare e sono di tipo:
•
NON INFIAMMATORI
•
INFIAMMATORI
VERSAMENTI NON INFIAMMATORI:
TRASUDATIVI → dovuti a una compressione di tutto il sistema di scarico delle pleure,
in particolare linfa e sangue.
Idrotorace: caratterizzato da un aumento della p idrostatica locale
•
•
•
scompenso cardiaco
•
sindrome nefrosica (che dà anche una riduzione della p osmotica)
•
cirrosi epatica
•
tumori
Chilotorace: raccolta di linfa tra i foglietti pleurici
VERSAMENTI INFIAMMATORI:
170
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ESSUDATIVI → sono sempre su basi infettive ⇒ versamento si troveranno le cellule
espressione di essudato ⇒ granulociti. Quando i granulociti sono particolarmente
abbondanti, possiamo parlare di PUS nello scavo pleurico ⇒ EMPIEMA, complicanza
di patologie infettive come la TBC.
ESAME DEL LIQUIDO PLEURICO
Prevalenza di linfociti – TBC, infezioni virali, fungine e carcinoma
Prevalenza di granulociti – infezioni batteri
Cellule pleomorfe - neoplasie
L’esame del liquido pleurico si fa in anatomia patologica non tanto per identificare
i linfociti, ce aumentano in tutte le infezioni virali, ma anche nei carcinomi; oppure
dei granulociti nelle infezioni batteriche; ma soprattutto per identificare la presenza
di cellule neoplastiche. Una delle diagnosi che si può fare sul liquido pleurico è
quella di tumore, soprattutto polmonare, ma la pleura è spesso sede di metastasi di
altre patologie tumorali, in particolare della mammella.
Quando un versamento è costituito da un numero abbondante di granulociti è un
essudato ⇒sospetto di una complicanza di un’infezione batterica che può essere
polmonare.
Plasmacellule e linfociti abbondanti ci fanno pensare a un’infezione virale.
Cellule pleomorfe: si vedono con una colorazione particolare che si usa in citologia
e ci fa vedere tutto blu → Giemsa, colora molto bene i nuclei ⇒ si vedono bene la
cromatina e i nucleoli (elemento distintivo della categoria degli adenocarcinomi dei
tumori epiteliali, anche quando il tumore è particolarmente indifferenziato). Anche
quando non vediamo strutture ghiandolari (impossibili da vedere sul citologico
anche quando andiamo ad esaminare singole cellule, talvolta aggregate) la presenza
del nucleolo è indice di adenocarcinoma.
I carcinomi comprendono un’ampia categoria di tumori che, però, si possono
distinguere in 2 categorie principali:
171
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•
ADENOCARCINOMI: riguardano tutti gli epiteli che formano ghiandole e
dotti ⇒ stomaco, intestino, mammella, ghiandole salivari, pancreas
•
CARCINOMI SQUAMOSI: derivano dagli epiteli squamosi (⇒epiteli
malpighiani) che possono essere cheratinizzati (epidermide) oppure noncheratinizzati come le mucose (in genere tutte le mucose che sono a contatto
con l’esterno)
Una delle complicanze di versamento è il COLLASSO DEL POLMONE che può essere
moderato, parziale o totale. Indica, dal punto di vista istologico, la scomparsa del
disegno alveolare, di quell’aspetto spugnoso tipico del parenchima polmonare.
PNEUMOTORACE
• Spontaneo: enfisema, asma, tubercolosi
• Traumatico: danno perforante
Aperto
Chiuso
A valvola
Raccolta di aria all’interno dello scavo pleurico dovuto a un evento traumatico o
spontaneo per rottura di bolle enfitematose. Abbiamo visto, quando abbiamo
parlato dell’enfisema, cha la confluenza degli spazi alveolari per distruzione di
parenchima,
può
essere
tale
da
formare
delle
bolle
che
si
vedono
macroscopicamente. Quando queste bolle sono sottopleuriche e si rompono, l’aria
passa direttamente dall’esterno nello scavo pleurico e abbiamo il cosiddetto
pneumotorace con…
In particolari condizioni, come nella TBC, le caverne, che sono delle strutture della
tubercolosi post-primaria, possono aprirsi nelle vie aeree e anche nei foglietti
pleurici e possono essere, dal punto di vista clinico, distinte in APERTI, CHIUSI e A
VALVOLA.
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MESOTELIOMA MALIGNO
• 5% dei tumori maligni pleurici (trend in aumento)
• Più frequente tumore maligno pleurico primitivo, con frequenza
in progressione
Relazione con esposizione all’amianto
•
Esposizione in 80% pz con mesotelioma
•
Latenza esposizione – comparsa 30-30 aa
•
Spesso no placche ed altri segni asbestosi
•
20-30 aa di latenza
Il tumore che deriva dalle cellule mesoteliali è nell’80% un tumore raro, è frequente
nelle persone che sono state a contatto con l’asbesto (molecole di carbonato di
silicio fibroso). L’asbestosi è una malattia professionale che rientra nelle
pneumoconiosi e responsabile di un accumulo di fibre di asbesto nell’interstizio e
dà quadri di patologia restrittiva con fibrosi conseguente.
Un’altra complicanza dell’esposizione all’asbesto è, sicuramente, il MESOTELIOMA.
È stato riclassificato recentemente in diverse categorie, mediamente della diagnosi,
nonostante la terapia, la sopravvivenza è di 1 anno.
Esistono forme:
•
BIFASICHE, sono le più comuni, in cui c’è una componente epiteliode
(componente tumorale che assomiglia alla cellula epiteliale) e una componente
sarcomatoide (componente che è simile a un sarcoma);
•
forme esclusivamente EPITELIODI;
•
forme esclusivamente SARCOMATODI.
Rappresenta il 5% dei tumori pleurici, sono rari.
Il tumore più frequente è il secondario.
La diagnosi è sicuramente radiografica con ispessimento della pleura che piò essere
focale o diffuso. Si diagnostica esclusivamente sui versamenti con esame citologico
o su biopsie pleuriche che, in genere, si fanno a cielo aperto.
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I mesoteliomi sono soprattutto di tipo diffuso su tutto il foglietto pleurico, fino alle
strutture vicine, oppure di tipo nodulare.
L’aspetto istologico è di tipo EPITELIODE, sembra formi delle papille (sono strutture
tipicamente epiteliali quando parliamo di struttura oncologica), oppure da strutture
che ricordano delle ghiandole, il corum dell’epitelio è infiltrato da cellule che
formano delle ghiandole. È un tumore che sembra epiteliale ⇒ necessita una
diagnosi differenziale con tumori trans-epiteliali, in particolare il polmone. Quando
il tumore è esclusivamente formato da cellule fusate, simula il SARCOMA.
I mesoteliomi sono tumori maligni che cambiano entrambi gli aspetti ⇒ possiamo
vedere aree che simulano un aspetto epiteliale e aree che simulano un aspetto
mesenchimale; più raramente sono puri ⇒solo epiteliodi o solo sarcomatoidi.
MESOTELIOMA MALIGNO
RACCOMANDAZIONI:
ALMENO 2 MARCATORI MESOTELIALI + 2 MARCATORI SULLA BASE
DELLA MORFOLOGIA DEL TUMORE
Se Pancitocheratina negativa, si considera la diagnosi differenziale:
•
melanoma (S100, HMB45 +ve)
•
angiosarcoma (CD31, CD34 +ve)
•
linfoma (CD45, CD3, CD20…)
Le pancheratine sono debolmente positive o negative in alcuni
mesoteliomi sarcomatoidi
Ci serviamo dell’immunoistochimica:
in un tumore che simula l’epitelio per es. per prima cosa cerchiamo il TF1 che è -,
mentre sono +:
•
CALRETININA, marker tipicamente mesoteliale
•
WT1 marker di un fattore di trascrizione a localizzazione nucleare
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La CALRETININA ha un’esposizione sia citoplasmatica sia nucleare, mentre il WT1 è
un marker nucleare. Per fare diagnosi ci servono almeno 2 marker mesoteliali + un
pannello di anticorpi riferiti al tumore epiteliale diverso.
La prima cosa che si fa è il TF1 nel sospetto di mesotelioma.
La diagnosi di mesotelioma è complessa perché nella maggior parte dei casi non si
fa su campione operatorio, ma su citologico o su biopsia: ecco perché
l’immunoistochimica, in questo caso, è fondamentale.
Almeno 2 marcatori mesoteliali + per la diagnosi di mesotelioma, diagnosi
complessa perché va ad influenzare non solo quella epiteliale, ma anche altri tumori,
in particolare quando hanno un aspetto particolarmente sarcomatoide come il …
Chiudiamo la patologia pneumo-polmonare.
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Patologia dell’apparato gastroenterico
APPARATO GASTROINTESTINALE
MALATTIE FUNZIONALI:
-esofago di Barrett
- gastriti
-malattia celiaca
-malattie infiammatorie croniche intestinali
( il professore specifica che riuscirà a trattare solo alcuni argomenti della gastroenterologia ma che per il
resto dovremmo “arrangiarci” da soli)
REFLUSSO GASTRO-ESOFAGEO
Patologia più comune dell’esofago. Fisiologicamente esiste una competenza del cardias che riduce la
possibilità che l’acido gastrico risalga nell’esofago, quando questa competenza viene a mancare si hanno
una serie di problematiche cliniche a cui corrispondono alterazioni morfologiche che definiamo (MRGE)
malattia da reflusso gastro esofageo che può essere associata o meno ad esofagite. La presenza di una
malattia da reflusso non implica che ci sia un danno epiteliale serio, quando questo si configura si parla
di esofagite, il danno che crea l’acido … -professore interrotto dal brusio-… si può avere una complicanza
del reflusso che è l’esofago di Barrett.
Il reflusso si trova nel 10% della popolazione, piuttosto diffuso, l’esofagite la troviamo nel 10% delle
endoscopie, risulta quindi anche questa molto diffusa ma meno del reflusso perché non tutti i soggetti
con reflusso si sottopongono ad endoscopie.
Le complicanze dell’esofagite sono ulcere, stenosi ed esofago di Barrett .
L’esofago di Barrett è una lesione potenzialmente evolutiva , importante in quanto precancerosa,
precursore dell’adenocarcinoma. L’adenocarcinoma esofageo sta diventando più diffuso del carcinoma
squamoso anche se questo dovrebbe essere più frequente in quanto l’esofago è costituito da epitelio
squamoso.
Nel reflusso gastroesofageo quando c’è il danno riconoscibile abbiamo il quadro dell’esofagite che
inizialmente può essere non erosiva, ma poi può diventare erosiva. Nell’ambito dell’esofagite abbiamo
un’alterazione epiteliale di tipo maturativo definita esofago di Barrett , che risulta essere una metaplasia
colonnare (metaplasia = cambio di tipologia epiteliale a seguito di un adattamento; l’esofago infatti non
abituato all’acido dello stomaco ha necessità di diventare più resistente, quindi quando l’acido
imperversa a questo livello l’esofago attua un cambiamento di programmazione diventando più
resistente, simile all’epitelio gastrico e/o a quello intestinale -che normalmente hanno a che fare con
l’acido-). L’esofagite da reflusso è caratterizzata da un allungamento delle papille dell’esofago e
nell’ambito dell’epitelio squamoso troviamo numerose cellule infiammatorie, granulociti e linfociti.
L’esofago di Barrett è una metaplasia colonnare che altera la morfologia squamosa dell’esofago ed è
causato sempre dal reflusso. L’epitelio squamoso esofageo può diventare sia gastrico che intestinale;
esiste un conflitto sulla reale problematica dell’adenocarcinoma: gli autori statunitensi indicano come
esofago di Barrett la metaplasia soltanto in senso intestinale (l’unica realmente legata alla
trasformazione carcinomatosa), mentre gli europei indicano come tale anche la metaplasia in senso
gastrico che però non ha una reale associazione con la trasformazione neoplastica ed in più è una realtà
piuttosto rara.
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Dal punto di vista microscopio l’epitelio squamoso quando non cheratinizzato è sempre bianco, mentre
la linea di giunzione gastro-esofagea che corrisponde alla giunzione squamo-colonnare, segna il
passaggio dall’epitelio squamoso esofageo al colonnare gastrico. L’epitelio gastrico è ghiandolare ed è
sempre più scuro mentre l’esofago mantiene il colorito biancastro degli epiteli squamosi in quanto non
ha una vascolarizzazione molto superficiale. L’esofago di Barrett che ha questo aspetto di tipo
ghiandolare , più in superficie, da un punto di vista istologico presenta una trasformazione di tipo
intestinale. Noi patologi dobbiamo accertarci del fatto che il campione prelevato dall’endoscopista
presenti una componente di epitelio squamoso o quantomeno una componente ghiandolare di tipo
intestinale, onde evitare errori dovuti a prelievi effettuati in sede non idonea (più in giù rispetto alla
linea zeta). La postilla del patologo riguarda la compatibilità della sede endoscopica del prelievo.
La linea zeta ha un aspetto a margini ondulati, riconosciamo un epitelio esofageo più chiaro rispetto a
quello gastrico ghiandolare (brunastro) più scuro. Nell’esofago di Barrett si perde tale aspetto
ondulatorio, la giunzione gastro-esofagea è molto irregolare.
La metaplasia di tipo intestinale viene riconosciuta grazie alle GLOBET CELL, cellule con citoplasma
ampio ripieno di muco , tipico dell’epitelio intestinale ( mostra immagine ); è facile fare diagnosi.
–Seguono una serie di immagini con epiteli squamosi e ghiandolari-.
L’endoscopia è fondamentale, la diagnosi è endoscopica-istologica non esclusivamente endoscopica o
istologica. La diagnosi viene fatta quando vediamo epitelio squamoso intervallato da epitelio
ghiandolare o quando vediamo epitelio intestinale. Le globet cell sono quelle tipiche dell’intestino.
Esistono indagini immunoistochimiche che ci aiutano a fare la distinzione: l’epitelio dello stomaco è
sempre positivo alla CK20 e CK7, quello intestinale è negativo alla CK7, e positivo alla CK20 e alla CDX2.
[“i criteri di diagnosi istologica li saltiamo”].
Il vero precursore dell’adenocarcinoma dell’intestino non è il Barrett semplice ma il Barrett con displasia
( displasia= criterio morfologico che si riferisce ad un’alterazione della maturazione dell’epitelio che
corrisponde dal punto di vista molecolare ad alterazioni pre-neoplastiche. Sulla displasia possono
insorgere carcinomi invasivi o non invasivi.).
Riconosciamo due forme di displasia, una di basso grado dove le cellule presentano atipie morfologiche
ma sono simili alle cellule di origine ed una di alto grado dove le cellule sono molto diverse da quelle
originali, ma sono ancora confinate al di sopra della membrana basale. Dunque il vero precursore
dell’adenocarcinoma risulta essere l’esofago di Barrett con displasia di alto grado.
In caso di diagnosi di esofago di Barrett bisogna segnalare l’eventuale presenza di displasia e la
gradazione di quest’ultima.
Le alterazioni di tipo molecolare sono diverse nella progressione in epitelio squamoso-> infiammazione
cronica/esofago di Barrett ->displasie a basso grado -> displasie ad alto grado. In particolare c’è
un’alterazione che riguarda prima l’angiogenesi, la perdita di P16, controllore della differenziazione
cellulare e poi come nell’intestino la deregolazione di APC (sequenza adenoma->carcinoma
dell’intestino).
Gli adenocarcinomi esofagei avendo origine dal Barrett con metaplasia intestinale assomigliano molto a
quelli intestinali sia da un punto di vista morfologico che molecolare. Il rischio di adenocarcinoma nel
Barrett è stimato con una possibilità dal 40 al 50% superiore rispetto alla popolazione normale , la
sorveglianza endoscopica è consigliata ogni due anni a questi pazienti , quando hanno una displasia di
basso grado la fanno ogni anno, quando hanno displasia di alto grado è indicata la mucosectomia (fanno
un intervento come se ci fosse il cancro) perchè il paziente ha un rischio di sviluppare il cancro del 25%
superiore rispetto a quelli con displasia di basso grado. Le categorie secondo ??? le lasciamo da parte.
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La displasia di alto grado è la più comune , istologicamente risulta caratterizzata da deplezione di
mucine, le globet cells sono assenti in quanto il muco o si riduce o è assente. I nuclei sono più grandi ,
ipercromatici a contorni irregolari e i citoplasmi ridotti, la cellula perde la polarità infatti i nuclei delle
cellule ghiandolari normalmente sono presenti verso la base invece in questo caso si trovano anche agli
apici, c’è inoltre aumento dell’attività mitotica. Non c’è infiammazione ma qualora essa sia presente
(come in tutto il distretto gastro-intestinale) , le cellule non sono definite pre-neoplastiche ma
“metaflogistiche”, motivo per il quale è importante specificare la presenza di infiammazione. La
displasia che presenta infiammazione va seguita nel tempo, dev’essere ridotta l’infiammazione e va
valutata la permanenza o meno della displasia. L’infiammazione si inquadra grazie ai granulociti anche
delle linee epiteliali e ai linfociti.
La displasia con infiammazione viene chiamata “esofago di Barrett con displasia indeterminata”.
( il prof mostra immagini con epiteli senza globet cells per evidenziarne il grado di displasia alto).
La displasia di basso grado invece presenta minime alterazioni morfologiche, si perdono le globet cells
ma le cellule mantengono la loro polarità con nuclei basali, non c’è infiammazione.
(il prof. Continua a mostrare immagini).
Lezione 16 Anatomia Patologica 02/05/2016
(questa lezione si è tenuta solo per il IV anno canale dispari)
Il prof ad inizio lezione specifica che lo scritto non è congelabile e che ,
qualora si venga bocciati, occorre saltare una data d’esame
STOMACO
L’altra volta abbiamo parlato dell’ esofago di Barrett, oggi parleremo dello
stomaco, ci soffermiamo poco sugli aspetti clinici.
Lo stomaco è importante per la digestione, è un’importante difesa
antibatterica, ha dei meccanismi che rendono la mucosa resistenti alla
digestione (qui sono presenti enzimi proteolitici potenzialmente pericolosi
per la mucosa gastrica) e produce un fattore che rende assorbibile la
vitamina b12.
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I suoi prodotti principali sono l’HCl, che rende attivi gli enzimi prodotti
dalle cellule ghiandolari dello stomaco, la pepsina che è l’enzima cardine
della digestione delle proteine
Lo stomaco si divide in fondo, corpo e antro. Le strutture ghiandolari
variano a seconda della sede: quelle del fondo- corpo sono deputate alla
sintesi di HCL (prodotto dalle cellule parietali) e di pepsinogeno (prodotto
dalle cellule principali). Nell’antro le cellule producono invece
principalmente muco, con funzione protettiva. Le tight juction sono le
giunzioni strette che non consentono il passaggio di hcl e pepsina e
rappresentano quindi un meccanismo di difesa
L’aspetto delle cellule del fondo-corpo è: cellule tubulari con citoplasma
eosinofilo (tipico delle cellule parietali).Quelle antrali sono strutture
ghiandolari ramificate
GASTROPATIA= Si caratterizza per un’infiammazione minima della
mucosa, ma c’è un danno cellulare. E’ sostenuta principalmente da agenti
chimici, come la bile, o dai FANS (che riducono la produzione di
prostaglandine che hanno un effetto protettivo sulla mucosa molto
importante). Quindi, in sintesi nelle gastropatie c’ è un danno epiteliale
non sostenuto da una componente infiammatoria evidente.
GASTRITE =Processo infiammatorio della mucosa gastrica, che può essere
provocato da agenti infettivi ( Helicobacter Pylori) mentre alcune forme
sono autoimmuni
Possono essere distinte invece, in base al decorso in:
-ACUTE: sono imparentate con le ulcere da stress. Si ah una riduzione dei
meccanismi di protezione (ad esempio l’acido salicilico che provoca una
riduzione delle prostaglandine, con conseguente danno alla mucosa da
parte degli enzimi proteolitici, Il danno se non risolto può portare
all’erosione e all’ulcerazione con sanguinamento profuso, e alla
perforazione
Altri Fattori sono L’alcol, il fumo ed alcuni chemioterapici
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Dal punto di vista istologico, c’è un’erosione diffusa della superficie della
mucosa dal punto di vista endoscopico, che riguarda però in particolare
l’antro
-CRONICHE: si distingue in
1) Tipo 1: è la forma di natura autoimmune, e determina una distruzione
delle cellule parietali, con progressiva in gastrite cronica atrofica fino
all’atrofia gastrica, responsabile dell’anemia perniciosa (queste sono
condizioni PRECANCEROSE, associate al cancro gastrico)
In questi pazienti troveremo autoanticorpi anti-cellule parietali,
evidenziabili con fluoresceina (che dà un colorito verdastro a carico delle
cellule, con un’infiammazione localizzata prevalentemente a livello del
fondo e del corpo, c’è un calo di produzione di pepsinogeno e HCl e per
motivi compensatori, la gastrina a livello ematico aumenta
Nella prima fase della gastrite cronica prevale la componente
infiammatoria, con linfociti e plasmacellule che producono anticorpi; Nella
seconda fase c’è prevalentemente uno stato di atrofia gastrica che espone
al rischio di cancro endoscopico
Importante: Quando parliamo di atrofia gastrica non ci riferiamo
solamente ad una riduzione del numero delle ghiandole (parliamo
sempre di corpo e fondo) ma anche alla metaplasia intestinale poiché
alcune di queste cellule vanno incontro per un meccanismo protettivo
ad una differenziazione di tipo intestinale e prevalentemente cellule
muco secernenti di tipo goblet.
Ovviamente più aumenta la atrofia più aumenta il rischio di displasia E
carcinoma.
Immagine- possiamo vedere una prima fase della malattia in cui prevale
una componente infiammatoria molto importante mentre nelle fasi più
avanzate la componente infiammatoria c è sempre ma compaiono
cellule che normalmente dovrebbero essere ampiamente eosinofile e
che invece si trasformano in goblet, cellule dal citoplasma otticamente
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vuoto che producono muco che ritroviamo normalmente a livello
dell’albero respiratorio e soprattutto nel grosso intestino che vanno a
sostituire quindi l’epitelio delle normali ghiandole gastriche.
In una fase ancora piu avanzata la componente infiammatoria è ancora
più ridotta ma tutte le strutture ghiandolari sembrano di tipo
intestinale, ossia le goblet cells le ritroviamo in tutte le strutture
ghiandolari.
Quindi , questo, puo essere definito un quadro di gastrite cronica
atrofica non perché le strutture ghiandolari sono scomparse ma perché
l si sono moltiplicate.
2) Tipo 2: è la forma di natura infettiva (da H.Pylori)
E’ localizzata prevalentemente a livello dell’antro. Sono caratterizzate
da una aumentata secrezione di acido cloridrico e la gastrina rimane
normale in questi pz.
L’elemento eziologico che determina questo tipo di gastriti è H.Pylori
che Dal punto di vista morfologico microscopico si riconosce per il suo
aspetto a bastoncino depositato sulle strutture epiteliali e nel lume
ghiandolare a livello dell’antro (solo).
È quindi l’ unico e solo responsabile di questo tipo di gastrite (tipo2).
Si trova nel 90% di pz con ulcera duodenale e nel 75% di pz con gastrite
dell’antro.
Chiaramente il trattamento antibiotico eradica il batterio che non è solo
responsabile di gastrite in quanto processo infiammatorio in se ma è
anche un importante fattore etiologico di lesioni neoplastiche.
Ne Abbiamo parlato particolarmente in riferimento ai linfomi poiché
l’induzione progressiva della proliferazione linfoide puo selezionare dei
cloni neoplastici e sono responsabili di un linfoma MALT di basso grado
indolente.
L’aspetto istologico delle gastriti è caratterizzata dalla presenza di
questi “bastoncini” all’interno del lume ghiandolare che possono essere
messi meglio in evidenza da colorazioni particolari come Grocott anche
se può essere messo in evidenza anche da colorazioni anche banali come
ematossilina eosina senza necessita di colorazioni speciali.
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H.pylori è un bacillo con flagelli in grado di produrre ureasi che gli
consente di innalzare ph all’interno del lume ghiandolare
permettendogli di sopravvivere.
È in grado di aderire alle celllule epiteliali tramite delle strutture
adesive proteiche creando un danno diretto che indiretto perchè come
abbiamo detto determina una proliferazione linfoide con possibile
insorgenza di cloni neoplastici.
H. Pylori induce infiammazione perché attraverso alcuni fattori batterici
come questa proiteina CagA che induce la interleuchina IL8 da parte dei
linfociti che richiama granulociti .
l’aspetto istologico di una gastrite da H.Pylori si configura in quello di
una gastrite cronica attiva perché vengono richiamati nell ‘ ambiente
gastrico appunto i granulociti che tendono ad erodere le strutture
ghiandolari e più raramente tendono a creare delle vere e proprie
ulcere.
Immagine – quadro istologico di una gastrite da H.Pylori:
infiammazione, strutture ghiandolare , granulociti che erodono la
struttura basale della ghiandola con all’interno queste strutture
bastoncellari che sono appunto il batterio.
H.Pylori è responsabile della gastrite (?) e anche dell’ulcera duodenale
che viene a crearsi perché in alcuni pazienti (esistono dei profili di
predisposizione) la ridotta acidità che viene a determinarsi nell’antro a
causa dell’ureasi prodotta dal batterio, induce un aumento della
produzione di acidità dovuta una ipertrofia a livello del corpo gastrico.
L’ eccessiva quantità di acido viene successivamente riversata nel
duodeno dove produce erosione epiteliale ed ulcerazione che non sono
ovviamente direttamente correlate alla presenza di H. ma sono
correlate all’aumento della acidità prodotta dallo stomaco in
conseguenza dell’infezione.
Quando parliamo di ulcera peptica ci riferiamo quindi a ulcere sia
gastriche che duodenali considerando che queste ultime sono quelle
correlate all’infezione da H.
La differenza tra ulcera ed erosione -> erosione riguarda i piani
superficiali, l’ulcerazione i piani più profondi di qualsiasi organo cavo.
L’ulcera peptica dello stomaco è invece più correlata all’uso di farmaci
come fans o chemioterapici.
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La metaplasia gastrica è uno degli aspetti principali che si trovano nelle
gastriti di tipo 1 e 2. Determina quindi una modifica degli aspetti
istologici delle strutture ghiandolari gastriche con formazione di goblet
cells(a livello del fondo e del corpo gastrico), diminuendo quindi la
competenza delle cellule normali in questa zona nella produzione di
pepsina e ac.cloridrico.
La metaplasia intestinale è comunque ritrovata anche nelle infezione da
H. e dunque anche a livello dell’antro.
Immagine- se ci sono goblet cells nelle strutture ghiandolari è provata
la presenza di metaplasia .
Qualunque sia la causa di metaplasia, è da considerarsi una lesione
eteroplastica che con il sovrapporsi di ulteriori mutazioni può sfociare
nello sviluppo di displasia fino al cancro.
Normalmente , nelle gastriti l’atrofia va gradata.
Può esssere:
• Assente
• Indefinita (aspetto un po’ difficile da definire)
• Presente
Se presente, è sempre necessario indicare se si tratti di una gastrite
• Atrofica Metaplasica (metapl. di tipo intestinale)
• Atrofica Non metaplasica (con perdita delle ghiandole)
Sia l’atrofia metaplastica che non metaplastica possono essere
inquadrate secondo un ulteriore grading in forme
• Lievi <30%
• Moderate 30-60%
• Severe>60%
In base alla quantità di strutture ghiandolari che sono coinvolte.
Quello che si fa quindi quando andiamo a valutare una gastrite è
GRADARLA utilizzando degli schemi proposti in letteratura, che
valutano in particolare l’ ENTITA’ della metaplasia, importante perché
rappresenta una condizione che può portare a sviluppo di cancro.
Più metaplasia-> più alto grading gastrite-> più rischio -> più attenzione
verso il paziente nell’effettuazione di controlli periodici che possano
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permettere di individuare precocemente condizioni di eventuale
displasia per poter agire adeguatamente.
Il grading delle gastriti è dunque INDISPENSABILE per poter stratificare
i pazienti e poterli inserire in un adeguato programma di follow up
periodico a distanza di tempo più o meno breve che ci consenta di poter
formulare un’adeguata diagnosi precoce di nuove lesioni precancerose
che predispongano ad aumentato rischio .
Questo ci permette dunque di prendere le decisioni più idonee.
Il sistema che si usa è quello dell ‘ OLGA SYSTEM, di natura istologica ,
che valuta sia l’atrofia (perdita di strutture ghiandolari) sia la
metaplasia a livello del corpo e dell’antro, inquadrando i diversi casi e
includendoli secondo gli schemi già citati in condizioni lievi, moderate,
severe.
Stratifichiamo quindi i pazienti mettendo a confronto il quadro
dell’atrofia sia dell’antro che del corpo.
Ricordiamo a questo proposito come l’endoscopia dello stomaco
richieda per una corretta valutazione del grading tre prelievi di antro e
due di corpo.
Portiamo l’esempio di un caso in cui i tre prelievi di antro mostrino un
basso grado di metaplasia . La valutazione di ognuno dei tre campioni
mostra presenza di circa 20% di ghiandole metaplasiche nel primo
prelievo, 20% nel secondo, 4% nel terzo.
Facciamo una media dei valori dei tre prelievi che ovviamente in questo
caso ci darà un risultato monito di un grado di atrofia antrale <30 %
quindi atrofia lieve -> rischio basso.
La stessa operazione di media dei valori % di metaplasia si fa sui prelievi
del corpo, dopodiché incrociamo i risultati. Il pz di questo esempio ha
uno STADIO 1 di OLGA SYSTEM -> pz. A basso rischio di neoplasia.
Nel caso di incrocio di valori medi più alti che ci diano un valore di
metaplasia di 30-60% possiamo inserire questo pz in UNO STADIO 4 ,
atrofia più severa, che indicano un paziente a più alto rischio.
(i riferimenti ai concetti di atrofia e metaplasia sembrano confusi).
Per quanto riguarda le ulcere, lesioni che possono essere messe in
evidenza
macroscopicamente
all’esame
endoscopico,
sono
caratterizzate da un fondo generalmente emorragico
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I prelievi per fare diagnosi di ulcera devono essere fatti ai bordi di
quest’area per consentire al patologo di valutare effettivamente sia
l’erosione che l’ulcerazione.
Istologicamente l’ulcera si evidenzia come una perdita di sostanza, in
particolare della mucosa, muscolaris mucosae fino alla sottomucosa. Se
andassimo a fare una colorazione con una tricromica vedremmo che il
bordo superficiale si colorerebbe di marroncino per la presenza
abbondante di fibrina. Il “panno” che ricopre l’ulcera è formato
istologicamente da granulociti e fibrina . (panno fibrino leucocitario che
si trova su tutti i fondi ulcerati).
-mostra delle immagini in cui ancora con la tricromica è colorato il
panno fibrino leucocitario ed in cui si riconosce che ci troviamo nella
zona dell’ antro con metaplasia intestinale lieve(<30%).
-ancora immagini in cui appare un infiltrato infiammatorio di parete
nell’ambito di una gastrite cronica di tipo 1 a livello di antro ( dice che
possiamo fare differenza tra corpo e antro valutando la colorazione dei
citoplasmi cellulari eosinofili (rosa) -> più fucsia quelli del corpo +
metaplasia intestinale.
Abbiamo quindi inquadrato i criteri dell’OLGA SYSTEM ricordando che
l’atrofia va gradata e rappresenta il parametro più importante nella
stratificazione del rischio verso la progressione neoplastica.
L’OLGA SYSTEM in definitiva valuta la quantità di atrofia intesa sia in
termini di perdita di strutture ghiandolare sia in termini di metaplasia
a livello sia dell’antro( tre prelievi ) sia del corpo (due prelievi) dei quali
definiamo una media complessiva che ci permette di definire lo STADIO
ed il POTENZIALE PROGRESSIVO verso la trasformazione neoplastica.
Ricorda che le gastriti esclusivamente antrali sono da H.Pylori
Per la diagnosi di gastrite è importantissimo un prelievo bioptico fatto in
sede endoscopica (sono necessari ALMENO 3 prelievi dell’antro e 2 del
corpo): tale pratica ci permette di:
a) conoscere l’entità dell’infiammazione e dell’infiltrato flogistico:
linfociti e plasmacellule sono elementi di infiammazione cronica, i
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granulociti indicano l’attivita dell’infiammazione , tutti questi
parametri vanno gradati! Quindi l’attività di una gastrite viene
valtata quantizzando i granulociti, che spesso vanno a danneggiare
l’epitelio basale delle ghiandole (il prof mostra una serie di immagini
dove è evidente la presenza di granulociti a livello della mucosa
dell’antro, con danneggiamento delle superfici delle ghiandole)
L’infiammazione causa atipie cellulari, che possono apparire grandi
e con più nucleoli
b) di verificare la presenza dell’agente infettivo (h. pylori che oggi può
essere anche identificato con metodiche meno invasive come il
breath test o la ricerca nelle feci)
c) di fare il follow-up nel caso di lesioni preneoplastiche, come le
atrofie gastriche
Malattia celiaca
la malattia celiaca ha una patogenesi autoimmune, legata agli
anticorpi antigliadina ed altri autoanticorpi verso l’ endomisio e la
transglutaminasi. La gliadina sembra che si combini con queste
strutture proteiche evocando una risposta immune. Esiste una
predisposizione genetica legata all’aplotipo MHC . Dunque la
diagnosi di malattia celiaca non è fondamentalmente una diagnosi
anatomopatologica, ma questa serve a confermare il dato clinico,
sierologico e genetico.
Il patologo necessita di informazioni cliniche: è importante che il
gastroenterologo invii anche il referto endoscopico e che formuli un
quesito chiedendosi se sussistano i parametri istologici di malattia
celiaca. Quindi è necessaria la preservazione ottimale del
campione. Il parametro più importante è la scomparsa del profilo dei
villi, questo però rende necessario il corretto orientamento del
campione. Se il campione non è ben orientato vediamo villi tozzi e
assenti, dando origine a falsi positivi. Quindi all’atto dell endoscopia,
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una volta prelevato il campione con la pinza bioptica, questo viene
poi disposto su una strisciolina di carta, di modo che il patologo
riconosca l’orientamento e includerà il frammento in modo tale da
vedere bene il profilo dei villi, con un orientamento tale da vedere
dai villi alla muscularis mucosae.
La diagnosi di celiachia si basa su criteri morfologici e
immunoistochimici.
Criteri morfologici sono: Il profilo dei villi, la caratteristica degli
enterociti, la presenza di linfociti intraepiteliali, l’iperplasia delle
cripte e l’infiammazione cronica della mucosa.
Per la diagnosi servono 3-4 villi consecutivi. Normalmente hanno un
aspetto slanciato, il rapporto villi-cripte dovrebbe essere di 3:1 o 4:1
(in questo caso non potremo dunque porre diagnosi di una malattia
celiaca conclamata, sebbene esistano delle forme iniziali in cui la
forma del villo potrebbe apparire conservata). LA diagnosi è banale
invece se i villi sono assenti, parleremo di malattia celiaca atrofica
oppure essi possono essere accorciati o tozzi. I villi possono essere
però distorti o mal orientati, spesso ci accorgiamo della cattiva
qualità del campione dal fatto che manca ad esempio la
sottomucosa o parte della muscularis mucosae.
Gli enterociti nella malattia celiaca sono appiattiti e perdono il brush
border.
Ma nelle fasi iniziali, il parametro che più di ogni altro assume
importanza è l’entità degli infiltrati linfocitari intraepiteliali. Di norma i
linfociti sono molto pochi e sono orientati più alla base del villo che
alla sua superficie. Il rapporto fra linfociti e celule epiteliali è minore
di 20 linfociti su 100 epiteliali. Se tale rapporto è inferiore il prelievo
è normale. L’aumento dei linfociti è un indice molto sensibile della
malattia celiaca in fase iniziale. tuttavia poichè i linfociti non sono
ben visibili in ematossilina eosina, confondendosi con le cellule
epiteliali, ricorriamo all’immunoistochimica che va ad identificare la
positività di CD3 all’interno dell’epitelio o in alternativa in alcuni
preparati anche la positività per CD8.
Alcune alterazioni morfostrutturali che simulano la celiachia
comprendono ad esempio quadri di danno duodenale da
un’infezione da h. pylori. Per cui il patologo si trova a rispondere
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solo ad un preciso quesito clinico e può indicare o meno la
compatibilità del campione su quel sospetto avanzato.
Un altro rilievo tipico della malattia celiaca è l’iperplasia delle cripte,
parametro di grande importanza per la gradazione della malattia
celiaca: morfologicamente un’attività proliferativa delle cripte per cui
valuteremo nello specifico la presenza di figure mitotiche al loro
interno, soprattutto verso la superficie.
Va poi studiata l’infiammazione cronica della mucosa specie a livello
della lamina propria.
Marsh ha classificato la malattia celiaca:
Nel tipo infiltrativo, (Marsh 1) in cui i villi hanno profilo slanciato,
regolare e conservano il rapporto dimensionale con le cripte, si
osserva solo l’aumento dei linfociti intraepiteliali. Quindi serve la
quantizzazione dei linfociti con immunoistochimica. Manca
l’iperplasia delle cripte.
Nel tipo 2 vi è una forma iperplastica in cui oltre ai linfociti abbiamo l’
iperplasia delle cripte.
Il tipo 3 viene gradato sul profilo dei villi: la forma più grave è il 3c
nel quale riconosceremo l’appiattimento completo del villo.
Questa classificazione è poi stata cambiata. Una classificazione più
moderna è quella di Corazzi Campanacci che distingue più
semplicemente una forma A non atrofica, in cui avremo soltanto un
infiltrato intraepiteliale e l’iperplasia delle cripte, e le forme atrofiche:
B1 con danno iniziale e B2 con atrofia dei villi.
Esiste una malattia refrattaria alla dieta prima di glutine, però
ricordate che una delle complicanze
più gravi associate alla celiachia è lo sviluppo di linfomi, in
particolare il T cell Lymphoma intestinale.
Quindi il ruolo del patologo nella malattia celiaca consiste nel
confermare il sospetto clinico, MAI fare diagnosi di malattia celiaca
sul solo danno morfologico, perchè esistono delle condizioni di
danno duodenale che possono simulare la malattia celiaca. E’
importante la genetica, per la ricerca dell’HLA e soprattutto la
valutazione sierologica.
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Passiamo adesso a qualche cenno sulle malattie croniche
intestinali. Si tratta di stati infiammatori che persistono in assenza di
un agente infettivo, esiste una predisposizione probabilmente legata
ad una incontrollata risposta immune al normale microbiota
intestinale. Le 2 forme più frequenti sono Crohn e colite ulcerativa.
Anche in questo caso, è necessaria la presenza di un sospetto
clinico. Esistono poi delle coliti indeterminate che hanno aspetti
morfologici indicativi dell’una e dell’altra. La mortalità dei pazienti
con MCI è maggiore della popolazione generale, esistono delle
complicanze, quali la peritonite, la sepsi o anche i fenomeni embolici
che possono risultare più frequenti. L’incidenza è di 10-15 casi ogni
100000 abitanti/anno
Qual è la differenza fondamentale tra Crohn e RCU(Rettocolite ulcerosa)? Il
Crohn può riguardare tutto il tratto gastrointestinale, mentre la RCU
riguarda prevalentemente il retto, può interessare il resto del colon ma non
va mai oltre la valvola ileocecale. Entrambe possono essere però associate
a manifestazioni extraintestinali. Per quanto riguarda l’epidemiologia: il
Crohn ha un primo picco tra i 15 e i 20 anni e un secondo dopo i 60 anni; la
RCU è generalmente giovanile con prevalenza per le donne. Esistono delle
condizioni predisponenti (quindi non responsabili di malattia): nel Crohn
abbiamo alterazioni di alcuni locus genici, definiti IBD da 1 a 5, dove si
trovano geni correlati con l’apoptosi come CARD 15; mentre nella RCU è
implicato l’aplotipo HLA-DR2. Esistono particolari topi knockout, che non
producono alcune interleuchine, in particolare la IL-10, IL-2 e TGF beta che
danno quadri di malattie infiammatorie intestinali croniche, però soltanto
in topi in cui la flora intestinale è normale (quindi se non hanno flora
intestinale, non sviluppano la malattia). Un altro elemento distintivo è la
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dominanza di Th1 per il Crohn e di Th2 per RCU. Poi esistono fattori
ambientali.
Per la diagnosi, bisogna avere ovviamente un quadro clinico di sospetto,
che verrà poi confermato dall’anatomopatologo. Il Crohn ha una
localizzazione prevalentemente a carico dell’ileo terminale (ma può
localizzarsi dappertutto nell’apparato gastrointestinale) ; le complicanze
sono: ulcerazioni, fistolizzazioni sia con altri tratti GI sia extraintestinali
come vescica, vagina. Per la sua localizzazione, va in diagnosi differenziale
con il linfoma di Burkitt che può formare grosse masse infiammatorie
proprio all’ileo terminale. Per quanto riguarda il quadro morfologico
macroscopico: la enterite di Crohn è detta enterite segmentaria perché può
interessare tratti di intestino a salti, senza essere continuativo; poi ancora,
l’aspetto è detto “a selciato” o “acciottolato”, in quanto la mucosa, per
effetto della fibrosi e delle ulcerazioni, ha un aspetto che ricorda i sassi di
un selciato. Altro aspetto tipico del Crohn è “l’ulcera a fessura”, sono
piccole ulcere che si vedono anche a livello endoscopico e che si
approfondano nella mucosa in modo fissuliforme. Quindi reperti precoci
del morbo di Crohn sono: ulcere superficiali fissuliformi e granulomi. Tali
granulomi ricordano quelli della sarcoidosi, quindi non sono necrotizzanti;
ciò ci permette di fare diagnosi differenziale con la TBC poiché quest’ultima
ha come localizzazione particolare proprio l’intestino, ma in questo caso i
granulomi sono necrotizzanti e non epitelioidi. Ancora reperti del Crohn:
infiammazione transmurale, che quindi riguarda tutto lo spessore della
parete intestinale (questo può essere visibile anche a piccoli ingrandimenti
al microscopio); per effetto della fibrosi abbiamo aree stenotiche e aree
dilatate a valle; la fibrosi può essere cicatriziale quindi possiamo avere
aderenze tra le anse intestinali. Tali complicanze infiammatorie, fibrosanti,
cicatriziali, determinano delle aderenze e delle fistole così importanti che
l’intervento è l’unica soluzione (a differenza della RCU che, solo quando
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presente displasia di alto grado o complicanza acuta come il megacolon
tossico, va operato).
La RCU invece ha una incidenza nelle donne giovani, con 7-10 casi ogni
100.000 abitanti. Si distinguono diverse fasi: la fase acuta in cui si osservano
petecchie emorragiche e ulcere a carico del retto (ma può essere coinvolto
tutto il colon); nelle forme avanzate la risoluzione di queste ulcere porta a
fibrosi e stenosi fino all’atrofia, quindi non si osserva infiammazione. Uno
degli aspetti tipici della RCU è la presenza di strutture che sembrano dei
polipi (pseudopolipi), che sono il risultato della rigenerazione dell’area dove
era presente l’ulcerazione. Sono detti pseudopolipi perché crescono in un
contesto di atrofia. L’aspetto istologico fondamentale della RCU è il
coinvolgimento superficiale, solo della mucosa, manca quindi
l’infiammazione transmurale. Uno degli aspetti fondamentali per la
diagnosi è la formazione di microascessi criptici: l’erosione che porta alla
ulcerazione ha delle fasi precedenti con coinvolgimento e infiltrazione da
parte dei granulociti nella linea basale della struttura ghiandolare e questo
va sotto il nome di criptite, fino a che i granulociti entrano nel lume
ghiandolare e formano dei veri e propri microascessi. [Ribadisce il concetto
che la presenza di granulociti nel contesto dell’epitelio gastrointestinale è
detta criptite; la presenza di granulociti nel lume ghiandolare va sotto il
nome di microascesso criptico). Ricordate che la criptite e i microascessi
sono tipici della RCU, ma si trovano anche nei condilomi e meno
frequentemente nella sifilide. Gli aspetti morfologici fondamentali sono: la
riduzione del numero delle ghiandole, la riduzione delle globet cells (le
strutture ghiandolari appaiono prive di globet cells, mentre normalmente
le strutture ghiandolari del colon sono piene di globet cells nel lume), la
criptite e i microascessi.
La RCU va in diagnosi differenziale con tutte le enteriti infettive, le enteriti
indotte dai farmaci e con la colite microscopica. Quest’ultima è una entità
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ad eziopatogenesi ignota che porta ad un danno soprattutto della lamina
propria che è caratterizzata da accumulo di collagene.
Le complicanze della RCU sono la perforazione, formazione di ascessi,
megacolon tossico. Il danno della parete intestinale diventa così importante
perché la mucosa diventa una sfoglia e il megacolon tossico, se non operato
di urgenza, va incontro a rottura con quadri clinici importanti. Una delle
complicanze più importanti della RCU, meno del Crohn, è la displasia
nell’ambito di queste isole rigenerative nel tessuto della mucosa con
possibile evoluzione in cancro. La displasia si rende visibile all’osservazione
con la presenza di cellule con nuclei grandi, brutti e non più polarizzati. Se
la displasia è di basso grado, il paziente dovrà essere controllato, se è di alto
grado affronta l’intervento chirurgico (se la displasia colpisce la lesione
polipoide, la rimozione di tale lesione può essere sufficiente). Il rischio di
adenocarcinoma inizia dopo circa 8 anni dalla diagnosi, con un rischio del
3% dopo 10 anni, del 23% dopo 20 anni e del 43% dopo 35 anni; mentre il
rischio di pancolite (infiammazione di tutto il tratto del grosso intestino)
passa dal 7% al 17% dopo 30 anni di malattia.
MOSTRA UNA SERIE DI IMMAGINI METTENDO IN EVIDENZA GLI ELEMENTI
DISTINTIVI:
-
Infiammazione transmurale e ulcera fissuliforme  Crohn
Cellule giganti e quindi granuloma epitelioide  Crohn
Aspetto acciottolato e fessura  Crohn
Stenosi  Crohn
Quadro di emorragia  RCU
Parete intestinale molto sottile  megacolon tossico
Aspetti polipoidi  RCU
Ascessi criptici  RCU
Lezione 3 Maggio 2016
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Tumori dello stomaco
I tumori dello stomaco si distinguono in benigni, maligni e lesioni similtumorali. I più frequenti sono
i maligni, in particolare l’adenocarcinoma che è sicuramente il più frequente del distretto gastrico,
ma ricordate che esistono anche altri tipi di tumori non epiteliali, quali il linfoma MALT e i tumori
mesenchimali, in particolare il GIST. Per quanto riguarda i tumori benigni, distinguiamo i tumori che
originano dalla mucosa, in particolare dalle cellule epiteliali, e i tumori che derivano dalle strutture
mesenchimali di supporto e in particolare il più frequente è il leiomioma, che abbiamo già incontrato
nell’utero e ha le stesse caratteristiche dei tumori uterini, cioè è un tumore a cellule fusate, di
derivazione muscolare liscia, esprime markers della muscolatura liscia quindi actina e desmina
fondamentalmente. Gli altri benigni sono piuttosto rari.
Il polipo iperplastico è sicuramente tra i polipi più frequenti ed è molto frequente nella sede antrale:
il 60% di questi tumori si trova a livello antrale ed hanno un’origine infiammatoria nel senso che la
mucosa infiammata che poi si rigenera può dar luogo a delle formazioni polipoidi. Siccome la causa
più frequente di infiammazione dello stomaco è la gastrite da Helicobacter pylori, la maggior parte
di questi polipi è associata a infezione da HP. Si distribuiscono prevalentemente nella regione antrale
e prepilorica.
Il polipo adenomatoso, che invece è una proliferazione neoplastica vera e propria, ha una
localizzazione prevalentemente antrale. Possono essere voluminosi e in questo caso anche ulcerati;
l’ulcerazione chiaramente provoca una sintomatologia tipica oltre al dolore chiaramente il
sanguinamento per cui melena e anemia sono aspetti clinici che possono far diagnosticare questo
tipo di polipo. Generalmente però non sono molto voluminosi per cui la resezione chirurgica, la
resezione endoscopica, è la via di trattamento più semplice.
Poi esistono invece poliposi associate a sindromi, come la sindrome di Gardner, che è caratterizzata
dalla formazione di polipi adenomatosi e la sindrome di Peutz-Jeghers che invece dà luogo a polipi
amartomatosi. Ricordate che gli amartomi sono malformazioni caratterizzate da un miscuglio di
tessuti epiteliali e non epiteliali. Di conseguenza i tumori adenomatosi, quindi i polipi adenomatosi,
anche quelli singoli e quelli delle poliposi, sono associati a possibile trasformazione carcinomatosa
mentre quelli amartomatosi hanno bassissima potenzialità di trasformazione carcinomatosa.
Il mioma gastrico, l’abbiamo detto, rappresenta il tumore mesenchimale più frequente ed è un
tumore benigno secondo i criteri che abbiamo già visto per l’utero e quindi basandoci sul numero di
mitosi per 10 campi ad elevato ingrandimento e la presenza di necrosi.
Pertanto criteri per la diagnosi differenziale tra una neoplasia muscolare liscia benigna e maligna
sono sempre gli stessi: la valutazione delle mitosi che nel caso del leiomiosarcoma è superiore a 10
per 10 campi e la presenza di necrosi. Sono i due criteri su cui si basa la diagnosi di malignità. Sono
tumori sottomucosi per cui all’endoscopia il nodulo che emerge nella cavità gastrica è sempre
rivestito da mucosa.
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I tumori maligni invece abbiamo detto che sono i più frequenti. Il più frequente è l’adenocarcinoma
che da solo rappresenta l’85% di tutti i tumori maligni. Il 15% restante di questi tumori è
rappresentato da linfoma non Hodgkin, in particolare linfoma MALT, che è linfoma di basso grado,
indolente, e i GIST che sono tumori a potenziale maligno incerto nel senso che non esistono allo stato
dei criteri assoluti di malignità o benignità.
Il numero di diagnosi di tumori all’anno è di circa 800.000 e si registrano ogni anno circa 650.000
morti per lo stomaco. Sono molto più frequenti in aree cosiddette endemiche perché il tumore dello
stomaco è molto più frequente in alcune regioni, strettamente correlato all’infezione da HP, per cui
impropriamente si usa questo termine ma significa che è molto più diffuso in alcune regioni rispetto
al resto del mondo, come l’Asia orientale (Giappone in particolare), l’Europa orientale e il Sud
America. Ricordate che il carcinoma dello stomaco nei paesi industrializzati, cosiddetti evoluti, negli
anni 30 rappresentava la prima causa di morte nei paesi occidentali, ma ora si assesta intorno al
quinto, sesto posto. Quindi la riduzione dell’incidenza di ca dello stomaco è anche legata alle
maggiori possibilità di cura nei confronti del principale agente eziologico che è l’HP.
Non ci soffermiamo troppo sull’eziopatogenesi.
E’ più frequente nei maschi e i paesi a più bassa incidenza sono gli Stati Uniti (4-4, 5 casi ogni 100.000
abitanti l’anno), mentre quello a maggiore incidenza è il Giappone (circa 31 casi ogni 100.000 abitanti
l’anno).
I fattori ambientali legati all’incidenza di ca dello stomaco sono essenzialmente fattori dietetici: le
nitrosammine hanno alto potere cancerogeno sulla mucosa gastrica, l’assenza di antiossidanti
(riduzione di ingestione di acido ascorbico), cibi salati, speziati, affumicati, bevande calde, questo
soprattutto per quanto riguarda la porzione più prossimale dello stomaco. Ma esistono anche delle
condizioni di predisposizione genetica che incidono su questo tumore.
La formazione di nitrosammine può essere dovuta sia a batteri che contaminano il cibo ( problema
che riguarda soprattutto gli strati più poveri della popolazione e in particolare quelli del terzo
mondo), ma diciamo che probabilmente anche l’HP può avere un ruolo nella sintesi di queste
nitrosammine a livello gastrico. Quindi anche a livello dello stomaco parliamo di condizioni a rischio,
di condizioni precancerose.
Differenza tra lesione precancerosa – lesione istologicamente riconoscibile- e condizione
precancerosa – condizione che predispone al cancro anche se non ci sono alterazioni istologiche
riconoscibili-. Le lesioni precancerose sono esclusivamente le displasie (metaplasia squamosa dei
bronchi non è una lesione), che comprendono tutte le condizioni che alterano l’epitelio e in
particolare la maturazione dell’epitelio dal punto di vista morfologico; dal punto di vista molecolare,
la lesione è caratterizzata da alterazioni molecolare e in particolare genetiche che sono molto simili
a quelle del cancro che si svilupperà in quella sede. Le condizioni a rischio sono tutte le condizioni
che portano all’atrofia gastrica, quindi tutte le gastriti autoimmuni di cui abbiamo parlato in
particolare, ma anche le gastriti da HP. Abbiamo visto che le gastriti da HP sono responsabili di
pangastriti, quindi riducono la competenza diciamo produttiva delle strutture del fondo e del corpo,
portando progressivamente ad una atrofia. Ricordate che quando parliamo di atrofia dello stomaco
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non ci riferiamo soltanto alla riduzione della componente ghiandolare che magari viene sostituita da
una fibrosi quindi da una proliferazione connettivale, ma anche a condizioni di metaplasia, cioè la
ghiandola gastrica diventa sempre più simile a quella intestinale. Chiaramente se questa situazione
è localizzata all’antro gastrico è un conto, però se c’è un coinvolgimento di tutto lo stomaco abbiamo
una condizione di riduzione di sintesi di acido cloridrico e di pepsina e quindi abbiamo una condizione
di atrofia gastrica importante, che è legata anche ad una riduzione significativa della sintesi di acido
cloridrico.
Ricordate che esistono ceppi diversi di HP con diversa virulenza, esistono anche condizioni di
predisposizione personale e che nella maggior parte dei casi l’HP è localizzato soltanto all’antro e dà
gastriti antrali, mentre nel caso di pangastriti la situazione chiaramente diventa più importante
perché l’atrofia è in realtà una condizione precancerosa su cui si instaura una displasia epiteliale che
è la vera e propria lesione.
L’evoluzione dell’adenocarcinoma gastrico parte da situazioni di condizioni precancerose che sono
le atrofie gastriche responsabili dell’anemia perniciosa in particolare, su cui però si instaura una
displasia epiteliale potenziale che deve essere riconosciuta dal patologo anche a livello endoscopico
che è la vera e propria lesione precancerosa. Quindi fattori di rischio sono fattori di predisposizione
genetica, in particolare esistono anche subsets di carcinomi gastrici familiari, esistono condizioni
ambientali, in particolare legate all’ingestione di cibi, alla produzione di nitrosammine e poi
certamente c’è l’agente eziologico più importante, più frequentemente associato al carcinoma
gastrico che è l’HP, che è anche responsabile dell’altro tumore gastrico di cui abbiamo parlato, cioè
il maltoma perché stimola la proliferazione di elementi linfoidi nei quali si può instaurare una
proliferazione clonale responsabile per l’appunto di questa neoplasia di basso grado.
Esistono vari ceppi di HP e in particolare la proteina che più frequentemente può indurre il cancro è
CagA, che è una proteina che HP riesca ad inserire all’interno della cellula epiteliale. Questa proteina
è in grado di bloccare alcuni oncosoppressori, riducendo la loro capacità oncosoppressiva per cui la
cellula prolifera, però induce l’attivazione di una serie di enzimi che sono responsabili anche di
importanti di mutazioni genetiche. Sono state segnalate una serie di mutazioni a carico della betacatenina, della E-caderina, degli enzimi responsabili della riparazione del DNA. Diversi studi sono
stati prodotti ma la cosa importante che dovete ricordare è che questa proteina CagA, ha un’azione
diretta su oncosoppressori inibendoli, quindi un’inibizione post-trascrizionale (perché agisce proprio
sulla proteina), e attiva una serie di enzimi che sono responsabili di vere e proprie mutazioni geniche
che sono in grado di far proliferare la cellula indipendentemente dal batterio.
Ricordate che la maggior parte (90%) dei ca gastrici, il cui istotipo più frequente è quello intestinale,
sono associati all’infezione da HP; c’è una stretta associazione tra infezione ed evoluzione
carcinomatosa.
Ora una diapositiva per richiamare un aspetto di cui abbiamo detto ieri: l’HP può avere esclusiva
localizzazione antrale e quindi dare gastrite antrale, cioè gastrite che non coinvolge il resto dello
stomaco, induce con meccanismo di feedback negativo un aumento della sintesi di gastrina, quindi
un aumento della sintesi di acido cloridrico, per cui questi pazienti hanno ipercloridemia. Questo è
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responsabile di un aumento di acido cloridrico che arriva a livello del duodeno ed è quindi
responsabile dell’ulcera duodenale fondamentalmente, l’ulcera peptica a livello duodenale.
Invece le pangastriti, cioè le gastriti da HP che poi si diffondono a tutto lo stomaco, sono invece
legate alla riduzione della sintesi dell’acido cloridrico, un’atrofia progressiva e proprio sull’atrofia si
instaura una condizione di displasia e quindi di cancro. Come si diceva un tempo le ulcere duodenali
sono inversamente correlate allo sviluppo del cancro gastrico perché sono associate ad atrofia
esclusivamente antrale e quindi non c’è un coinvolgimento atrofico di tutto il resto della mucosa.
Perché fin quando diventano atrofiche le cellule antrali il problema è che il muco si riduce, si possono
ridurre le barriere di protezione però diciamo la competenza gastrica della sintesi di ac cloridrico e
di pepsina viene mantenuta, mentre viceversa le pangastriti, quando i ceppi sono particolarmente
virulenti o quando c’è una particolare predisposizione, portano ad atrofia progressiva delle cellule
parietali e delle cellule principali e quindi una riduzione delle competenze producenti dello stomaco.
Dal punto di vista istologico, classicamente distinguiamo due forme di adenocarcinoma gastrico:
l’intestinale e il diffuso,
-intestinale perché somiglia alla mucosa dell’intestino, perché nelle pan gastriti l’atrofia gastrica
porta ad una metaplasia intestinale con formazione di globet cells. Quindi il tumore che insorge su
questa mucosa è molto simile al tumore intestinale, anche dal punto di vista molecolare: mutazione
di APC e P53 che portano al cancro early, e poi su questo altre mutazioni come su c-erb-b2 come
nella mammella, con importanti implicazioni anche dal punto di vista terapeutico), la molecola c-erbb2 spesso determina evoluzione dalla forma early alla forma avanzata.
-diffuso tumore che forma singole cellule poco coese tra di loro, con aspetto di cellule ad anello con
castone, che non formano strutture ghiandolari. La ridotta coesione è legata a mutazione o
metilazione di E-caderina, molecola che forma le giunzioni aderenti tra le cellule epiteliali. La ridotta
sintesi di E-caderina determina quindi questo aspetto delle cellule disperse in uno stroma spesso
desmoplastico (cellule con una risposta fibrotica e quindi con iperplasia stromale importante.).
Sintomi poco specifici: mal digestione, perdita di peso, astenia, anoressia, in alcuni casi (forme
ulcerate) grosse perdite di sangue (melena).
Diagnosi: endoscopica e bioptica. L’endoscopisca segnala la lesione, che può essere ulcerata o
vegetante, pratica delle biopsie che vengono inviate al patologo.
L’Ecoendoscopia ci consente di fare l’ecoendoscopia e vedere come si estende il tumore nello
spessore della parete. (Infatti la stadiazione dei tumori degli organi cavi valuta il livello di
infiltrazione, a differenza dei tumori degli organi parenchimatosi in cui si valutano le dimensioni).
L’operabilità del tumore dipende proprio dal livello di infiltrazione. Non esistono markers specifici. I
pazienti operabili sono quelli in stadio iniziale.
Altre sedi: piloro (30%), cardias e fondo(sede più frequente), piccola curvatura (20%), grande
curvatura (3-5%) carcinomi grandissimi estesi a tutto lo stomaco (molto rari).
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Mentre in passato il tumore gastrico era prevalentemente localizzato nella regione antro-pilorica,
negli ultimi anni è aumentata l’incidenza dei tumori in zona fundico-cardiale.
STADIAZIONE:
-early: adenocarcinoma che infiltra la membrana basale (carcinoma infiltrante) ma arriva fino alla
sottomucosa (con risparmio della tonaca muscolare) Gli early hanno una prognosi nettamente
migliore rispetto alle forme avanzate. (quindi la distinzione è molto importante dal punto di vista
prognostico). Coinvolgimento linfonodale basso (24%).
-avanzato: supera la sottomucosa interessando anche la tonaca muscolare e la tonaca sottosierosa.
Punto di passaggio importante tra i due tipi quindi è la tonaca muscolare. Metastasi linfonodali e
ematogene spesso già presenti alla diagnosi (ricorda che nel cancro dello stomaco le prime stazioni
linfonodali coinvolte sono quelle della piccola e grande curvatura, mentre le metastasi ematologiche
più frequenti sono quelle al fegato). Coinvolgimento linfonodale quasi il triplo rispetto all’early.
Sopravvivenza a cinque anni: 78% nell’early, 21% nelle forme avanzate.
La diagnosi dell’early è una diagnosi sul pezzo operatorio, con la diagnosi bioptica-endoscopica è
possibile solo fare diagnosi di tumore (perché con la biopsia endoscopica arriviamo solo alla
muscolaris mucosae, o meglio il prelievo per essere idoneo deve arrivate alla muscolaris mucosae),
poi c’è bisogno della eco-endoscopia (sospetto di infiltrazione) e poi della diagnosi sul pezzo
operatorio (diagnosi di certezza early o avanzato).
CLASSIFICAZIONE ENDOSCOPICA GIAPPONESE DELL’EARLY:
tipo 1: forme rilevate - polipoidi
tipo 2: distinte A (poco rilevate), B (piatte) o C (lievemente depresse)
tipo 3: forme escavate (più rare) – che formano dei veri e propri crateri
Questi aspetti macroscopici li vedremo anche per il tumore avanzato.
CARCINOMA AVANZATO:
classificazione macroscopica:
-forme polipoidi, cioè rilevate
-forme ulcerate, per ulcera intendiamo perdita di materia che va oltre la muscolaris mucosae
-forme ulcerate-infiltranti, le più frequenti, probabilmente originanti da forme rilevate che poi si
escavano
-forme infiltranti al di sotto della mucosa che spesso è in gran parte integra, queste sono le forme
più aggressive e più difficili da diagnosticare per l’endoscopista. (esistono casi di tumori gastrici non
visibili all’endoscopio, finchè poi non formano un’area ulcerata visibile)
classificazione microscopica
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classificazione di Lauren distingue due tipi morfologici: intestinale e diffuso, che presentano
differenze genetiche, ma anche morfologiche-macroscopiche, in genere l’intestinale si presenta
come forma rilevata-polipoide, mentre il diffuso si presenta come infiltrante. La differenza dal punto
di vista istologico consiste nel fatto che nella forma intestinale sono presenti ghiandole che ricordano
le ghiandole intestinali, ci sono le globet cell, mentre nella forma diffusa non ci sono ghiandole, le
cellule sono isolate e hanno aspetto di cellule ad anello con castone (cellule che producono muco,
ma il muco rimane all’interno del citoplasma e sposta verso la periferia il nucleo.)
Età media: 55 anni per il tipo intestinale, età più bassa (anche 30-35 anni) per il tipo diffuso.
Il diffuso è un tumore che nella maggior parte dei casi ha un pattern di crescita infiltrante, cresce
all’interno dello spessore della parete, la parete spesso è desmoplastica e quando noi andiamo a
sezionare la parete dello stomaco è visibile uno spessore che è almeno 3-4 volte rispetto allo
spessore normale della parete gastrica e, nel contesto di questo spessore, c’è un materiale
biancastro molto duro. Il tumore insinua tra i fasci di muscolo, non si vedono strutture ghiandolari
perché il tumore è a signet ring cell, le cellule sono singole, con nucleo ipercromico e sembrano dei
linfociti. La linite plastica si riferisce ai carcinomi gastrici che hanno un pattern di crescita infiltrativo
e nella maggior parte dei casi sono tumori a signet ring cell. La parete dello stomaco è rigida, infatti
col pasto baritato si vede un aspetto triangolare perché le pareti non sono distensibili ma rimangono
rigide nella loro posizione.
Cellule ad anello con castone (signet ring cell): la cellula ha un nucleo spostato alla periferia,
citoplasma microvacuolare, perché contiene muco. La colorazione del muco in rosso è fatta con PAS,
perché il muco è costituito da mucoproteine che sono glicoproteine che si colorano col PAS. La
colorazione in marroncino è immunoistochimica, colorazione DAB con citocheratina che ci permette
di individuare le cellule epiteliali disperse, perché molto spesso nella diagnosi microscopica di
carcinoma diffuso l’immunoistochimica è importante perché queste cellule sono poche, si
confondono con le plasmacellule, si confondono con macrofagi, per cui quando c’è un sospetto
clinico di base (lesione infiltrata/ulcerante/polipoide), quando ci sono delle cellule sospette facciamo
una citocheratina. Se cellule singole, non organizzate in strutture ghiandolari, si colorano, possiamo
formulare la diagnosi di un carcinoma diffuso secondo Lauren.
Il TNM è legato al livello di infiltrazione del tumore, un T1 (quindi un early gastric cancer) infiltra
soltanto la lamina propria, fino alla sottomucosa; un T2 invece è un tumore che infiltra la tonaca
muscolare fino alla sottosierosa; quando c’è l’infiltrazione e lo sfondamento della sierosa si parla di
T3; quando c’è l’infilrazione di organi vicini si parla di T4. Per una stadiazione completa riceviamo il
campione, in genere gastrectomie parziali, abbiamo necessità di un’adeguata componente di grasso
della piccola curva e della grande curva perché dobbiamo isolare, per la stadiazione corretta del
tumore, almeno 15 linfonodi. L’identificazione dei linfonodi viene fatta dal patologo perché sono
grandi 1-2 mm, quindi non sono visibili dal chirurgo, la ricerca si fa schiacciando con le dita il grasso
e identificando le piccole aree nodulari che si trovano nel grasso. E’ una cosa molto complessa.
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Esistono condizioni di cancro dei gastroresecati a livello dei monconi, legato a un problema di
alterazioni chimiche a carico dello stomaco, la bile che proviene dall’intestino. Quindi esiste una
relazione stretta tra i monconi gastrici e cancro.
Nella metaplasia intestinale ci sono le goblet cell però le cellule sono stratificate, talora poco
polarizzate, con nuclei in superficie, quindi una mucosa con metaplasia intestinale ma anche displasia
(di basso grado se i citoplasmi si continuano a vedere).
Quando non ci sono le goblet c’è displasia, di alto grado se ci sono molti nuclei in superficie e aree di
atrofia. Il paziente deve essere necessariamente trattato perché evolve verso un adenocarcinoma.
Se c’è un’architettura irregolare, crescita di strutture ghiandolari cribrate, irregolari, è una displasia
di alto grado. Nuclei aumentati di volume ma con ancora le goblet, si produce ancora muco, la
displasia è quindi di basso grado, i nuclei sono polarizzati verso la base. Se l’immagine è “nera”, dove
c’è nero ci sono molti nuclei, alto grado, mancano le goblet e le cellule epiteliali arrivano fino alla
superficie. Una colorazione speciale, Van-Gieson, ci fa vedere bene le cellule. Nella forma diffusa ci
sono le signet ring cells (cellule ad anello con castone), mentre in quella intestinale non ci sono. Nell’
adenocarcinoma diffuso abbiamo la linite plastica che è un ispessimento della parete gastrica.
Sul carcinoma gastrico abbiamo delle applicazioni di patologia predittiva importanti. Il carcinoma
gastrico avanzato di tipo intestinale ha delle possibilità di trattamento terapeutico con terapie
biologiche ed in particolare con il Trastuzumab perché è un tumore che ha una mutazione a carico
del gene c-ERB-b2 come nel tumore della mammella in cui è spesso amplificato. Per cui sono pazienti
che sono sensibili al trattamento con il Trastuzumab. Tutto è nato da questo studio famoso ToGA
trial design che identificava pazienti inoperabili o pazienti localmente avanzati che non potevano
fare la chirurgia inviandoli o alla chemioterapia ordinaria a base di cis-platino oppure alla
chemioterapia più il Trastuzumab. Si era visto che le curve di sopravvivenza a 3 anni nei pazienti
trattati con Trastuzumab era migliore di quelli che avevano fatto soltanto la chemioterapia. Quindi
per il patologo c’è l’ulteriore impegno di andare a identificare se questi tumori sono positivi o
negativi al c-ERB-b2 come nella mammella.
Tumore della mammella -> criteri per identificare le pazienti candidabili e non candidabili.
IMMUNOISTOCHIMICA -> Esistono 4 score (0, 1+, 2+, 3+)
- Le pazienti che hanno un’espressione circonferenziale delle cellule tumorali per c-ERB-b2
intensa in più del 10% delle cellule fanno il trattamento (3+);
- Le pazienti che non lo esprimono sono 0 e non fanno il trattamento;
- Le pazienti che ne esprimono poco e non in maniera circonferenziale non fanno il trattamento
(1+);
- Pazienti equivoche (2+): sono le pazienti che hanno un’espressione debole di c-ERB-b2 lungo
tutta la membrana plasmatica in più del 10% delle cellule. Queste pazienti devono fare
un’ulteriore approfondimento diagnostico che è la FISH perché bisogna vedere se queste
pazienti hanno l’amplificazione del gene. Nel 20% dei casi il gene è amplificato e le pazienti
possono fare il Trastuzumab, negli altri casi non sono responsive e non lo fanno.
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Nello stomaco l’applicazione è diversa però tenendo conto che nello stomaco le porzioni apicali delle
membrane plasmatiche sono sempre negative, quindi le porzioni delle cellule che esprimono il
recettore sono quelle basolaterali, quindi il discorso che abbiamo fatto per la mammella lo
applichiamo allo stomaco, ma non contemplando il concetto di circonferenziale che vale per la
mammella.
Come si fa la FISH per c-ERB-b2?
Si usano due sonde, due fluorocromi, il verde che va a colorare il centromero del cromosoma 17 e il
rosso che va a colorare il locus del gene c-ERB-b2.
Quando abbiamo l’amplificazione il rapporto verde/rosso è a favore notevolmente del rosso perché
significa che nell’ambito del cromosoma abbiamo più copie geniche.
c-ERB-b2: è un recettore di fattori di crescita a tirosin-chinasi che attiva, una volta che viene
stimolato, una serie pathway a valle e quindi la replicazione cellulare, però nei pazienti che hanno
l’amplificazione genica c’è un’attivazione costitutiva che è indipendente dal ligando. Quindi con il
Trastuzumab (-AB: anticorpi monoclonali che vanno a bloccare il recettore) andiamo a bloccare il sito
del legame. La sopravvivenza in termini di mesi nei pazienti con espressione immunoistochimica
elevata e FISH positiva è molto molto elevata se fanno il Trastuzumab.
Le cellule positive per ERB-b2 sembrano tagliate: la positività è soltanto basolaterale (gli apici delle
cellule sono completamente negativi), per cui il concetto di circonferenzialità che si applica per la
mammella non si applica per lo stomaco. L’amplificazione ci ERB-b2 è tipica degli adenocarcinomi di
tipo intestinale, non c’è mai in quelli diffusi.
GIST: tumori che hanno origine dalle cellule di Cajal dei plessi mioenterici che si trovano nella parete
dell’intestino e si trovano anche nello stomaco. Possono essere presenti in tutti il distretto
gastrointestinale. Sono tumori a prognosi indeterminata: non esistono dei criteri assoluti di benignità
e di malignità. Nella maggior parte dei casi hanno mutazioni di due recettori a tirosin-chinasi: c-kit e
PDGFR-alpha. E’ il primo tumore su cui si è applicata la terapia biologica con imatinib che va a
bloccare queste tirosin-chinasi per cui questi pazienti hanno intervalli di sopravvivenza veramente
migliori rispetto al passato.
Non esistono dei criteri prognostici assoluti ma noi dei tumori dovremo sicuramente valutare:
- La sede: i tumori gastrici avranno sicuramente una prognosi migliore, i tumori intestinali ed
in particolare quelli rettali hanno una prognosi peggiore;
- La dimensione: quelli che sono superiori a 5 mm sono più cattivi, quelli più piccoli sono
migliori;
- Quelli con necrosi sono più cattivi;
- Quelli che hanno un indice mitotico superiore a 5x50 campi ad alto ingrandimento hanno
una prognosi peggiore in genere.
Si presentano come delle masse fascicolate nel contesto della parete che ricordano quelle dell’utero,
ad es. nei leiomiomi, infatti nell’aspetto macroscopico assomigliano molto ai leiomiomi.
Non si parla di malignità o di benignità, ma si parla di alto o basso rischio di progressione.
A parità di dimensioni e di indice mitotico, la sede gastrica è sempre migliorativa.
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L’aspetto morfologico è quello in genere di un tumore a cellule fusate però esistono anche tumori
epitelioidi con cellule rotondeggianti che sembrano appunto cellule epiteliali. Tra le due forme
esistono delle differenze genetiche: in genere i fusati hanno una mutazione di c-kit, mentre quelli
epitelioidi hanno mutazioni di PDGFR-alpha, però l’imatinib agisce su tutti e 2 e quindi è irrilevante.
Le mutazioni descritte per c-kit e per PDGFR non sono sempre le stesse, sono varie: possiamo avere
diversi tipi di mutazioni puntiformi, delezioni, inserzioni ecc, ma le mutazioni coinvolgono sempre gli
stessi esoni, l’esone 9, 11, 13 e 17 per quanto riguarda il c-kit e gli esoni 12, 14 e 18 per quanto
riguarda PDGFR-alpha. La mutazione più frequente è quella assolutamente del c-kit ed è importante
sapere la mutazione dove sta perché le mutazioni dell’esone 11 sono in genere più responsive e più
lungamente responsive all’imatinib rispetto a quelli che hanno le mutazioni localizzate sull’esone 9
in particolare e sul 13.
Immunoistochimica: tumori CD34+ (marker di staminalità) e positivo al c-kit nella maggior parte dei
casi (90-95 %). Il c-kit è diffusamente positivo sia in forme a cellule fusate che in forme a cellule
epitelioidi. PDGFR-alpha è mutato più frequentemente nelle forme ad aspetto epitelioide.
Le mutazioni più frequenti sono quindi quelle che coinvolgono l’esone 11 del c-kit che sono anche
quelle che maggiormente rispondono all’imatinib e per tempi più prolungati, perché anche questi
tumori poi svilupperanno resistenza.
ANATOMIA PATOLOGICA 4-MAGGIO 2016
(il razionale della trascrizione della spiegazione di slides che, non in tutti i casi siamo riusciti a
reperire, è quello di ricavarne comunque delle informazioni che possano tornarci utili per l'esame
ndr)
LESIONI NEOPLASTICHE DEL COLON
Il tumore, una neoformazione, può essere nel senso latino del termine, di natura neoplastica o non
neoplastica
Le forme tumorali dell'intestino benigne e non neoplastiche prendono il nome di polipi perché
nella maggiore parte dei casi hanno questa forma di escrescenza sulla mucosa intestinale che può
essere peduncolata (quindi ha un peduncolo riconoscobile) oppure può essere sessile quando ha
una base di impianto piuttosto ampia. Quindi quando utilizziamo il termine di polipi non dobbiamo
pensare per forza alla accezione neoplastica perché ce ne sono di differenti tipi: ci possiamo riferire
a formazioni iperplastico-rigenerative come per esempio i polipi iperplastici che troviamo nella
rettocolite ulcerativa; oppure possono essere polipi malformativi amartomatosi in alcuni pazienti
sindromici come nella sindrome di Petz-Jegers; possono avere una natura infiammatoria ed essere
costituiti esclusivamente da cellule dell'infiammazione ed infine essere di natura neoplastica.
I polipi neoplastici va sotto il nome di adenomi e possono essere di diversa forma istologica con
diverse potenzialità trasformative in senso neoplastico. I più frequenti sono il tubulare, il villoso ed
il tubulo villoso. E poi abbiamo questa forma di polipi serrati che in realtà non sono altro che dei
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polipi rigenerativi, quindi iperplastici, su cui si instaurano delle condizioni neoplastiche benigne ed
eventualmente maligne in caso di ulteriori mutazioni geniche. Il polipo iperplastico è quindi un
polipo rigenerativo che si trova in condizioni patologiche come per esempio la rettocolite ulcerativa
e sono tutti caratterizzati dal fatto che le strutture ghiandolari normalmente presenti nell'intestino
(indicando la slide: si riconosce che stiamo nell'intestino perché ci sono numerosissime goblet cells)
hanno un lume cosiddetto seghettato, hanno questa proliferazione all'interno che dà l'aspetto di
una sega. Ovviamente anche nei polipi iperplastici si può aver per effetto della proliferazione
continua stimolata la possibilità di una trasformazione, di una alterazione genica e quindi una
trasformazione nell'ambito del polipo neoplastico in lesione adenomatosa ed eventualmente in
carcinomi.
Poi abbiamo forme di polipi amartomatosi che possono essere singoli ed in genere sono
abbastanza giovanili( ricordate che gli amartomi sono caratterizzati da una commistione di cellule
di strutture tissutali diverse quindi muscolo, epitelio), e quindi in teoria anche questi non hanno
una potenzialità trasformativa però ricordate che in alcune sindromi , come quella di PJ,
nell'ambito dei polipi amartomatosi si possono avere delle mutazioni geniche di modo che ci siano
proliferazioni adenomatose, quindi neoplastiche benigne, da cui possono originare dei cancri.
Quindi i pazienti con la sindrome di PJ hanno un basso rischio di trasformazione neoplastica, però
sicuramente più alto rispetto alla popolazione generale.
I polipi di PJ sono caratterizzati da polipi con strutture ghiandolari normali, perché se uno le vede
istologicamente sono costituite quasi esclusivamente da goblet cells, queste strutture ghiandolari
sono piene di cellule che producono muco. Però fra queste cellule si notano anche dei fasci di
muscolo e questa commistione di diversi tessuti caratterizza appunta l'amartoma.
La sindrome di PJ è caratterizzata da numerosi polipi intestinali e da macchie lentiginose disperse in
tutto il corpo ed anche sulle mucose. Come vi ho detto hanno una potenzialità trasformativa
sicuramente molto bassa perché non è una poliposi familiare di cui parleremo, però sicuramente
più alta rispetto a quello della popolazione generale, perché le cellule epiteliali possono, per effetto
della proliferazione, andare incontro ad una trasformazione adenomatosa prima e carcinomatosa
poi.
I polipi infiammatori abbiamo detto che sono dei polipi costitutiti quasi esclusivamente da cellule
dell'infiammazione acuta nell'ambito di una mucosa normale e anche questi si trovano nelle
malattie infiammatorie croniche ma anche in altre condizioni come per esempio a ridosso dei
diverticoli.
Nel polipo infiammatorio si osservano strutture ghiandolari, però il grosso è costituito da cellule
dell'infiammazione acuta e cronica; si vedono anche delle proliferazioni vascolari.
Però quello che interessa dal punto di vista oncologico al patologo è l'adenoma.
Quindi, si definisce adenoma una lesione neoplastica benigna che ha delle alterazioni genetiche
che la predispongono al carcinoma. Quindi l'adenoma è una lesione preneoplastica maligna? Sì,
perché tutti gli adenomi sono associati a displasia, che può essere di basso o alto grado. Displasia,
vi ricordo, è un termine che si riferisce ad alterazioni morfologiche maturative dei tessuti e nel caso
dell'epitelio implica una alterazione della maturazione alla cui base c'è comunque una alterazione
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genica. Quindi, non esistono adenomi senza displasia, la displasia è perlopiù di basso grado, però
ci sono delle lesioni adenomatose con displasia di alto grado e queste sono le vere e proprie lesioni
precancerose, perché chiaramente queste hanno una potenzialità trasformativa in senso
carcinomatoso più elevata( ma cosa è questo borbottio nelle retrovie? :D)
Allora...abbiamo detto che nell'intestino l'epitelio è costitutito quasi esclusivamente da goblet cells,
in particolar nel colon dove le goblet cells sono molto numerose. Però nella proliferazione
adenomatosa le goblet cells spariscono, o si riducono, le cellule si stratificano, le cellule inoltre
riducono il volume dei citoplasmi, e si trovano anche alla superficie della stratificazione.
Nel basso grado le goblet cells sono ancora un po' mantenute, le cellule stratificate ci sono, però
vedete che la superficie dello strato epiteliale è comunque costituito prevalentemente da
citoplasmi, è completamente rosa, quindi significa che dopotutto le cellule mantengono la loro
polarità, ed evidentemente i citoplasmi sono piuttosto voluminosi perché la componente eosinofila
è piuttosto ampia.
Dal punto di vista strutturale abbiamo detto che gli adenomi si distinguono in adenomi tubulari,
perché mantengono la normale struttura tubulare dell'epitelio dell'intestino crasso, quindi
formano dei veri e propri tubuli come in questo caso, e in questi la displasia è generalmente di
basso grado, quindi il rischio di trasformazione è del 2-3%.
Gli adenomi villosi invece sono quelli più pericolosi perché spesso sono associati ad una displasia di
alto grado. Perché si chiamano villosi? Perché hanno questa superficie che io definirei capelluta,
cioè queste strutture che partono dalla muscolaris mucosae e si portano in superficie, quindi hanno
proprio l'aspetto di una medusa, come dei capelli.
Indicando una slide: questa è una displasia di basso grado però si incominciano a notare dei nuclei
alla supeficie di queste cellule pluristratificate, ma nel complesso, essendoci anche goblet cells, è di
basso grado.
Quindi la trasformazione in carcinoma è molto probabile nell'ambito dell'adenoma villoso e tubulovilloso e possiamo avere dei veri e propri focolai di carcinoma che possono essere confinati alla
ghiandola; in questo caso si parla, utilizzando una vecchia dizione, di carcinoma in situ, il cui
termine non si usa più, può infiltrare la lamina propria, ed incomincia a creare problemi quando
supera la muscolaris mucosae.
Quindi diciamo che le proliferazioni adenomatose con trasformazione carcinomatosa minima
devono essere distinte in forme intramucose, quindi al di sopra della muscolaris mucosae, e in
forme extramucose, con infiltrazione della muscolaris mucosae. In queste ultime forme l'intervento
dovrà essere più demolitivo.
Ricapitolando: per vedere il grado di displasia si vedono le goblet cells, l'orientamento delle cellule
e nucleo, la dimensione dei citoplasmi.
1a slide: ci sono molte goblet cells quindi basso grado
2a slide: qua invece i nuclei arrivano in superficie, sono veramente nuclei mostruosi, qui vediamo
anche delle mitosi che come vi ricorderete sono quasi sempre criterio di malignità, soprattuto
quando non sono mitosi basali, perché le mitosi che si hanno negli strati bassi dell'epitelio sono
normali.
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Nell'ambito delle proliferazioni adenomatose ci sono anche alcune forme cosiddette piatte: queste
sono più difficili da notare endoscopicamente, perché poco rilevate alla superficie, non hanno né
una grossa base di impianto, né un peduncolo, ma le cellule proliferative adenomatose
neoplastiche benigne poggiano e si distribuiscono fra strutture ghiandolari normali. Anche negli
adenomi piatti la displasia è quasi sempre di alto grado, quindi la potenzialità trasformativa è molto
elevata. L'adenoma serrato è una variante di adenoma che è una proliferazione polipoide
iperplastica su cui si instaura una displasia, questo era originariamente un adenoma iperplastico in
cui c'è ancora l'aspetto un po seghettato dei lumi ghiandolari però qui in queste aree se andassimo
a vedere in maggiore dettaglio c'è una stratificazione cellulare che da il senso della
perdita(?).L'adenoma serrato è anche una lesione che va segnalata perché ha una potenzialità
trasformativa nel 6% dei casi.
Questo per esempio che cos'è ? c'è il seghettamento tipico dell'adenoma serrato però in fondo c'è
displasia perché si perdono le goblet . Dal punto di vista panoramico , se noi vediamo una sezione
di una lesione polipoide , quello che dobbiamo andare a vedere è quante goblet ci sono. Qui ce ne
sono tantissime infatti è chiara l'area, ci sono molte goblet e le goblet sono spesso associatea
formazioni polipoidi iperplastiche , quando le aree cominciano a diventare più scure perché
compaiono più nuclei e scompaiono le globet cells allora li dobbiamo scendete a maggiore
ingrandimento ed andare a gradare la displasia che in questi casi c'è.
Quindi la trasformazione carcinomatosa vi ho detto che può riguardare :
- solo le strutture ghiandolari
- può interessare la mucosa (però in qualche caso supera la muscolaris mucosae ed infiltrare )
in qualche caso può infiltrare il peduncolo e dunque in teoria può aver raggiunto l'asse fibrovascolare e dare metastasi .
Quindi qual è l'approccio chirurgico ?
Quando ci troviamo di fronte ad una lesione polipoide su cui si può intervenire endoscopicamente (
quindi non molto grande , con una base di impianto riconoscibile o addirittura peduncolata ) si fa
una resezione della base di impianto della formazione polipoide , il patologo deve avere la
possibilità di riconoscere questa base di impianto perché il campionamento va fatto valutando la
base di impianto , quindi si un prelievo , una sezione della base di impianto e poi si va a studiare
tutta la sezione del polipo.
Quindi noi che risposta dobbiamo dare all'endoscopista o al chirurgo ove eventualmente deve
intervenire ? Se c'è una trasformazione carcinomatosa che coinvolge la mucosa, che va al di la della
mucosa e se coinvolto sopratutto il peduncolo. Se è coinvolto il peduncolo l'altra informazione che
devo dare è se la base di impianto è integra o no .
Chiaramente nel caso in cui c'è un coinvolgimento del peduncolo in una lesione polipoide
peduncolata con base di impianto negativa l'intervento può finire li, però se c'è una lesione sessile
con coinvolgimento del peduncolo, o una lesione peduncolata con coinvolgimento della base
chiaramente questo paziente deve andare a reintervento con resezione segmentaria del colon a
valle e a monte della lesione polipoide che avevamo identificato.
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Quindi l'aspetto di infiltrazione ,trasformazione carcinomatosa è valida sia per le formazioni
polipoidi tubulari (adenomi tubulari) che sono prevalentemente peduncolati , sia in quelli sessili
che sono prevalentemente di tipo villoso o tubulo villoso
Questo è un adenoma villoso , sono molto sottili le strutture tubulari, quindi questo è un adenoma
villoso o tubulo-villoso.
Questo è un tubulo-villoso, abbiamo strutture tubulari e strutture un po più villose
Qui è un villoso perché ha papille appuntite , in genere invece le formazioni tubulari in superfice
sono più arrotondate
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Ora qua c'è una displasia , di che grado ? Ci sono zone di basso grado e zone di alto grado.
Questo invece è un adenoma serrato con displasia di alto grado , di globel cells non se ne vedono
proprio più, addirittura qui abbiamo una sedimentazione della struttura ghiandolare con aspetto
che si chiama ghiandola nella ghiandola ed è tipica degli adenocarcinomi in situ.
Ricapitolando abbiamo detto che gli adenomi sono tutti lesioni neoplastiche benigne, sono sempre
associati a displasia che può essere di basso e di alto grado. Esistono adenomi tubulari che hanno
un minor rischio di trasformazione carcinomatosa , adenomi villosi che hanno un rischio maggiore
di trasformazione carcinomatosa. Gli adenomi tubulari da un punto di vista macroscopico sono
generalmente peduncolati , gli adenomi villosi generalmente sono a base di impianto ampia e
quindi sono sessili, poi abbiamo questa forma di adenoma polipo serrato che nasce da una
proliferazione reattiva su cui si instaura una proliferazione adenomatosa e anche qui la displasia è
presente( quando parliamo di trasformazione adenomatosa la displasia c'è sempre e anche in
questo caso va gradata, il rischio anche in questo grado di trasformazione c'è).
Quindi in un adenoma noi facciamo una diagnosi che va a valutare la struttura dell'adenoma ma
sopratutto , l'informazione importante , è la gradazione della displasia e l'eventuale trasformazione
carcinomatosa (ricordate che non sempre riceviamo campioni interi , quando i polipi sono molto
voluminosi l'endoscopista è costretto a fare una campionatura un po random e la campionatura
random non è mai rappresentativa di tutta la lesione , ci potrebbe essere una trasformazione in
altre aree).
Ricordate i polipi sporadici sono molto frequenti, nei polipi andiamo a elencare sia forme non
neoplastiche come gli iperplastici e gli infiammatori ma sopratutto il grosso numero di polipi è fatto
da adenomi, quindi tutti gli anziani possono sviluppare adenomi sporadici e quindi carcinomi che
derivano da questi . Poi esistono delle sindromi genetiche in cui si fanno molti polipi come la
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poliposi familiare che è caratterizzata da una mutazione ereditaria del gene APC , che come
ricordate tutti dalla patologia generale è un soppressore , quindi non funziona più e nelle
formazioni adenomatose e carcinomatose del colon è molto presente anche nelle forme
sporadiche.
Quindi nella poliposi familiare c'è invece una mutazione ereditaria, questi pazienti possono
sviluppare il cancro in giovanissima età (anche a 20 - 25 -30 anni ), quindi questi sono pazienti ad
alto rischio che vanno controllati , per cui la colectomia spesso è indicata anche sulla base del
numero di polipi quindi non necessariamente sulla displasia perché che questo paziente avrà un
cancro prima o poi è verosimile.
Poi esistono delle forme di sindromi correlate a poliposi dell'intestino come la sindrome di Gardner
, la sindrome di Turcot che formano adenomi (quindi come tutti gli adenomi possono trasformarsi )
e poi abbiamo una sindrome in cui i polipi non sono adenomatosi ma sono polipi amartomatosi
.Non dimenticate che polipi amartomatosi possono svilupparsi nel contesto di formazioni
adenomatose e quindi con potenzialità trasformative maggiori della popolazione generale.
Il carcinoma del colon retto ha un incidenza elevatissima nei paesi industrializzati, in particolare
nell'America del nord e in Europa , è molto più bassa nei paesi asiatici , in America centrale (in
particolare in Messico). Il carcinoma del colon retto sia nei maschi che nelle femmine si colloca al
terzo posto sia per incidenza che per mortalità. L'Italia ha altissimi tassi di incidenza però più bassi
rispetto a nuova zelanda e stati uniti , il numero di casi annui è di 30-35 per 100.000 abitanti e
prevalentemente di sesso maschile.
Quali sono fattori genetici che sono correlati alla trasformazione carcinomatosa ?
Esistono dei fattori genetici ereditari di cui abbiamo già parlato , esistono poi delle mutazioni,
alterazioni ,che si verificano in modo sporadico e che riguardano essenzialmente APC e i geni che
codificano per gli enzimi riparatori del D.N.A. .
Chiaramente la progressione adenoma-carcinoma è fatta da un accumulo di mutazioni che possono
partire dall' APC generalmente però anche dagli enzimi che riparano il D.N.A. . Esiste tra le sindromi
genetiche , ne facciamo un breve cenno, la sindrome di Lynch che è caratterizzata da poliposi
intestinale e endometriale ( le sindromi di Lynch sono legate a mutazioni specifiche di enzimi che
riparano il D.N.A.) .
Quindi diciamo le vie fondamentali di mutazioni che si trovano nel carcinoma del colon e che
hanno importanti applicazioni predittive e quindi di terapia sono :
- La APC (la classica sequenza di mutazioni di APC che portano a un accumulo di mutazioni fino
anche a quella di p53 )
- I geni che riguardano gli enzimi riparatori del D.N.A.
Esistono delle lesioni precancerose , gli adenomi di fatto sono delle lesioni precancerose perché gli
adenomi sono sempre displastici e in particolare la displasia di alto grado è legata alla
trasformazione .
La rettocolite ulcerosa è una condizione precancerosa perché l'induzione della proliferazione
continua può determinare più facilmente la trasformazione , infatti nella rettocolite ulcerosa quello
che va fatto nel controllo nel follow up è la valutazione delle formazioni polipoidi proliferative
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contenenti displasie, perché nelle displasie il paziente deve essere subito colectomizzato perché è
un paziente ad altissimo rischio
Come si fa la diagnosi ?
Chiaramente sangue occulto nelle feci , però sicuramente a noi serve una indagine morfologica . Il
prelievo delle lesioni del colon si fa per via endoscopica , all'endoscopista interessa sapere se c'è
cancro o meno . Se c'è un cancro prima di operare si fa la stadiazione clinica . La stadiazione clinica
prevede un'indagine accurata strumentale fondamentalmente di tutto il corpo ma in particolare
delle sedi più frequentemente colpite da metastasi ( Fegato ).
La stadiazione locale la so fa con la ecoendoscopia ma anche con la risonanza magnetica ,
sopratutto se stiamo nel retto ( le anse intestinali con la risonanza non si vedono benissimo !! ).
Un paziente che ha il carcinoma nel retto farà un trattamento “sandwich” perché fa radio e chemio
pre operatoria e poi …. e chemio post, mai operare un paziente senza aver fatto un trattamento
pre operatorio . Esistono dei marker tumorali specifici come il CEA.
Nella progressione da epitelio normale a carcinoma, è caratterizzato da un accumulo di mutazioni
geniche. Le più importanti sono quelle che riguardano APC e i geni che codificano per enzimi di
riparazione del DNA, in particolare MSH2 ed MLH1.
Aspetti macroscopici: un carcinoma dell’intestino si può presentare come una lesione rilevata
vegetante perché origina da un polipo e quindi è più facilmente vegetante. Spesso è vegetante e
ulcerata, spesso solo ulcerata e qualche volta è stenosante, cioè la massa cresce stenotizzando il
segmento dell’intestino.
La Gradazione si fa confrontando le strutture tumorali con quelle normali e quindi la capacità di un
tumore di formare ghiandole. Un tumore che forma ghiandole è sempre e comunque un tumore
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ben differenziato. Un tumore con aree un po’ più solide è un G2, un tumore che è esclusivamente
solido è un G3. La differenziazione è architetturale e si basa sulla capacità del tumore di formare
ghiandole.
Esistono altre varianti del carcinoma del colon, come il carcinoma mucinoso che è caratterizzato da
“laghi di muco” e ricorda i carcinomi mucinosi dell’ovaio, della mammella e del polmone. Sono
tumori che formano molto muco e non lo trattengono nella cellula, ma lo espellono al di fuori. Le
cellule tumorali galleggiano in quantità abbondanti di muco. Oppure, sempre tumori mucosecernenti ma, come nello stomaco, il muco non è eliminato, ma trattenuto.
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Nell’ ambito di tumori apparentemente simili, l’assetto genetico può essere diverso. È importante
distinguere quelli che hanno di base un’instabilità cromosomica e di microsatelliti e quelli che
hanno una mutazione di K-RAS, una proteina a valle dei recettori tirosin-kinasi, tra cui anche i
recettori per i fattori di crescita. Quindi è una molecola che consente la trasmissione
dell’informazione dal recettore a tirosin chinasi (come per esempio EGF-R) a valle, alle MAP-K
attraverso il sistema di RAF e quindi induce la proliferazione. In circa il 40% dei casi di questi
carcinomi si trova questa mutazione. Possono anche esserci altre mutazioni, meno frequenti, come
quelle di B- RAF che si trova a valle di K-RAS. Tali mutazioni hanno importanti implicazioni
terapeutiche. Per questo oggi al patologo si chiede di ricercare l’instabilità dei microsatelliti e le
mutazioni di K-RAS, N-RAS e B-RAF, perché oggi la terapia biologica più utilizzata è quella contro
EGF-R. Questi tumori hanno normalmente un’overespressione di EGF-R perché può anche essere
overespresso, legare i suoi ligandi, ma non funzionare perché ci sono queste mutazioni che
rendono il tumore costitutivamente proliferativo, indipendentemente da ciò che è a monte.
Quindi mai fare terapia con Cetuximab ad un paziente con carcinoma del colon che avrà comunque
overespresso EGFR poiché, se ha questa mutazione, non risponderà.
Il mismatch repair: esiste una serie di enzimi, in particolare MSH2, MLH1, PMS2, MSHE6 che
costituiscono un complesso enzimatico che va a riparare i danni del DNA, qualora si verifichino.
Nella proliferazione spinta ci possono essere delle inserzioni, delezioni anomale ma, quando il
complesso è funzionante, queste vengono riparate. Se il complesso non è funzionante, la
riparazione non c’è e si accumulano una serie di mitosi che renderanno il tumore particolarmente
aggressivo.
È importante sapere l’instabilità dei microsatelliti
poiché si è visto che, quando gli enzimi non funzionano, i primi a risentirne sono i microsatelliti.
Questi sono presenti nel DNA umano in grandissima quantità e sono i primi a danneggiarsi per
questo difetto riparativo. I microsatelliti sono instabili. Un tempo si facevano indagini molecolari
sui microsatelliti per sapere se c’era un difetto degli enzimi. Attualmente abbiamo sistemi più fini
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che indagano la presenza o assenza degli enzimi. È importante perché il trattamento classico dei
carcinomi del colon, ma anche del retto, si basa sul 5-fluorouracile. Quando c’è questa instabilità, i
pazienti non rispondono bene al 5fluorouracile, quindi dovrebbero avere altre opzioni
terapeutiche. I pazienti che fanno chirurgia e 5 fluoro uracile vanno molto peggio rispetto a quelli
che fanno solo chirurgia allo stadio 2 più o meno sovrapponibile allo stadio 3. Se invece c’è stabilità
dei microsatelliti e gli enzimi funzionano, addirittura il 5-fluorouracile più la chirurgia è meglio della
sola chirurgia, c’è quindi un’inversione della curva.
I pazienti che hanno instabilità dei microsatelliti dovrebbero fare trattamenti diversi da quelli con
5-fluorouracile. Esistono molti trials clinici controllati che stanno studiando proprio questo. Il
problema più attuale è quello che riguarda le mutazioni di K-RAS e B-RAF perché il cetuximab
agisce sull’ EGFR; se questo funziona e i meccanismi a valle funzionano, il cetuximab blocca il
recettore, con conseguente vantaggio poiché si blocca la proliferazione del tumore. Se K-RAS e BRAF sono invece costitutivamente attivi, non ci interessa bloccare l’EGFR poiché il problema è a
valle e non si può trattare con il cetuximab.
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RAS e RAF si trovano a valle di tutti i recettori a tirosin-Kinasi, ma vanno tutti ad attivare in
definitiva ERK e le MAP-K che agiscono sul DNA inducendo la proliferazione.
Le mutazioni di K-RAS sono più frequenti a livello dell’esone 2,3,4.
Le identifichiamo con una Real time-PCR che va proprio a riconoscere queste specifiche mutazioni.
A differenza delle mutazioni del GIST, in cui bisogna sequenziare gli esoni poiché le mutazioni sono
sempre diverse, qui sappiamo quali sono (le mutazioni) e possiamo utilizzare dei metodi sensibili
che vanno ad identificare queste specifiche mutazioni. Oltre a mutazioni di K-RAS, che sono le più
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frequenti, esistono anche quelle che interessano il gene N-RAS e B-RAF. Questi pazienti non sono
responsivi, non hanno un vantaggio dal trattamento con Cetuximab.
Questo è un carcinoma di grado G2. Ci sono delle aree dove si formano piccoli lumi ghiandolari.
Questo è un carcinoma G1 con lume ghiandolare e in alcune zone si mantengono ancora i gobblets
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Questo è un carcinoma in G3. Non ci sono più i lumi ghiandolari e c’è anche necrosi.
Non si può dire che è un carcinoma. È una proliferazione adenomatosa di tipo villoso con displasia
ad alto grado (non ci sono più i gobblet)
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Questo è un polipo serrato
Questo è un altro polipo serrato
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Poliposi familiare
Tra gli altri tipi di tumore non carcinomatosi c’è il GIST, tumori gastro-intestinali stromali a
potenziale maligno incerto. Si può non dare malignità, ma comunque valutare il rischio. I GIST del
retto sono quelli più aggressivi. Più si va in basso nel tubo digerente, più il rischio aumenta. A parità
di condizioni, cioè dimensioni e numero di mitosi, il tumore del retto è molto più severo,
impegnativo rispetto a un tumore dello stomaco o dell’esofago.
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Per questi tumori ci sono strategie terapeutiche ottimali. Ci sono terapie biologiche che funzionano
molto bene e che però danno resistenza a lungo termine.
In particolare ricordate che questi tumori hanno mutazioni di diverso tipo (delezioni, inserzioni,
mutazioni puntiformi) che riguardano diversi esoni. La più frequente è la c-kit all’ interno dell’
esone 11 e sono quelli che in genere rispondono anche meglio e più a lungo. Quindi un’ altra
informazion che il patologo deve dare sui GIST è la mutazione, dove si trova e che mutazione è.
Poi abbiamo chiaramente i linfomi ma sono molto poco frequenti a livello intesinale(più(?) frquenti
a livello dello stomaco), tumori muscolari, di Kaposi e metastatici.
C’è un capitlo che noi affronteremo soltanto qui e riguarda i tumori neuroendocrini che sono dei
tumori distribuiti, diffusi in tutto l’ organismo a livello della cute del polmone (come si chiamano a
livello polmone? Carcinoidi tipic e atipicio). Negli ultimi anni i tumori neuroendocrini sono stati
completamente riclassificati, hanno preso nomi differenti rispetto al passato e solo nel polmone si
conserva il nome di carcinoide, per il resto si parla sempre di tumori neuroendocrini, NET di alto o
basso grado e poi NEC, carcinomi neuroendocrini, che sono veramente aggressivi e tra questi
possiamo annoverare anche i carcinomi a piccole cellule , non quelli polmonari ma simili.
Vabbè questa è una variante di K (?) dell’ intestino che è quello basaloide, qui ancora riferimenti su
k-ras. Allora i NET sono tumori molto frequenti, non pensate che sono rari, a differenza degli altri
tumori si distribuiscono in tutto l’ organismo ma prevalentemente in tratto GI, rappresenta il
secondo tumore GI più frequente. Maggior parte localizzati ma possono essere metastatici ma
anche se metastatici ci sono opzioni terapeutiche perché vanno a bloccare proprio la proliferazione
sui loro meccanismi di induzione della proliferazione e si trovano a livello del colon, però più
frequenti le porzioni dell’ appartao digerente sono intestino, piccolo intestino e pancreas. Tumori
neuroendocrini nel tratto GI si localizzano prevalentemente in questi distretti però non trascuriamo
anche lo stomaco e il colon retto.
Vedete, il più comune tumore dopo il K nel cancro intestinale e in particolare in tutto l’ organismo
la sede più coinvolta è l’ apparato GI (58% di tutti i tumori neuroendocrini si localizzano a livello
tratto GI).
Cosa sono le cellule neuroendocrine? Sono cellule che derivano dalle creste neurali, sono più o
meno presenti in tutte le mucose , da quelle della prostata a quelle polmonare e gastrointestinale,
producono una serie di neuro peptidi che vanno a controllare diverse funzioni e questo è noto per
quanto riguarda l’ app. GI, in altri casi nemmeno è noto. Questi tumori producono delle proteine, le
ritroviamo in tutte le cellule neuroendocrine, benigne e maligne e sono la sinaptofisina e
cromogranina A e sono opzioni diagnostiche per il patologo che consentono di fare nella maggior
parte dei casi agevolmente la diagnosi di tumori neuroendocrini.
Tumori quindi che si possono trovare un po’ ovunque, tutti hanno come caratteristica microscopica
quella di crescita ‘organoide ‘, cioè sono dei nidi tumorali nel cui contesto si trovano: cellule
epiteliali, piuttosto simili le une alle altre, di basso grado, che formano microstrutture ghiandolari
per esempio e producono tutti dei marker neuroendocrini che sono per tutti validi cromogranina e
sinaptofisina però possiamo avere differenze a seconda del distretto d’ origine del tumore:
Gastrinomi e gastrina, Somatostimomi somatostatina e quindi a seconda della genesi e del
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distretto possiamo avere neuro peptidi aggiuntivi.
Allora, nella maggior parte dei casi i tumori neuroendocrini sono ben differenziati, o
moderatamente differenziati , questi attualmente vanno sotto il nome di tumori NET, di grado I e II.
Hanno diverse forme e aspetti ma la più frequente è quella dei nidi solidi nel cui contesto si
trovano piccole formazioni tubulari ghiandolari però possono assumere forme tiroido-simili però l’
aspetto istologico importante è che queste cellule sono uguali tra loro (pleomorfismo è minimo).
Chiaramente bisogna conoscerli un po’ per poterli affrontare.
Ancora nidi solidi e strutture similghiandolari e ancora qui.
Il monomorfismo delle cellule è un criterio diagnostico importante, chiaramente le informazioni
cliniche anche perché il patologo dovrebbe sapere se il pz. Ha magari una evidente sindrome da
carcinoide.
L’ immunoistochimica che serve per fare diagnosi di base è cromogranina A, sinaptofisina e CD56,
che è uno dei marker neuroendocrini specifici. Per fare diagnosi servono almeno due di questi tre,
tenendo presente che nelle forme èiù indifferenziate la cromogranina è quella che si perde prima.
Si devono fare tutti e tre i marker. Serve ovviamente sospetto clinico e morfologico, non possiamo
fare marker altrimenti. Anche perché ricordate che anche tumori (si gira)-ali del polmone e
intestino possono esprimere cromogranina ma ciò non vuol dire che sono tumori neuroendocrini.
Come si gradano: mentre nel polmone c’è distinzione tipica in carcinoidi, tipici e atipici e in K
neuroendocrini di alto grado come il microcitoma, solo qui abbiamo conservato i nomi, per il resto
dei tumori si parla di NET di grado intermedio, moderato G1e G2; nelle forme più aggressive si
parla di NEC (carcinomi neuroendocrini). Quindi nell’ ambito dei tumori neuroendocrini
distinguiamo essenzialmente tre gradi: G1 e G2 che sono paragonabili a carcinoidi tipico ed atipico
del polmone e G3 che invece sono K aggressivi paragonabili al microcioma del polmone.
Nel 1980 i nomi vedete erano quelli vecchi invece dal 2000 è tutto cambiato. Dal 2010
classifichiamo i tumori neuroendocrini in grado 1 e 2, in relazione a parametri che vedremo, e
forme aggressive di alto grado, i NEC o neuroendocrini di grado 3.
Quindi ricordate che i tumori neuroendocrini si gradano in 3 gradi: 1, 2 e 3, la forma molto
aggressiva detta anche carcinoma neuroendocrino ed è un neuroendocrino di grado 3.
Quali sono i parametri per fare distinzione? Parametri riguardano soprattutto indice mitotico:
Nel G1 si trovano meno di 2 mitosi per 10 hpf, nel G2, questo ricordate è anche come il carcinoma
del polmone, da 2 a 20; nel G3 più di 20, avendo sempre come riferimento i 10 hpf (obiettivo 40x).
A questo si è aggiunto più recentemente la valutazione del Ki67 , che va a marcare tutte le cellule
in…. C’è corrispondenza tra Ki67 e Indice mitotico? Non sempre. Ki 67 è sempre più altro dell’
IMitotico.
La stratificazione è questa: meno di 2 positività per 100 cellule (non per hpf). (Slide) siamo a più del
20%. Qui è abbastanza chiaro, tumore neuroendocrino con indice di proliferazione bassissimo.
Questo è facile dire che è un G3, superiamo il 20% nettamente.
Importante discriminarli perché c’è netta distinzione tra le forme G1 e G2, Net grado 1 e 2 rispetto
a G3 che va malissimo mentre la sopravvivenza di G1 e G2 per quanto distinta è generalmente più
favorevole. Quindi quando approcciamo un tumore neuroendocrino dobbiamo avere
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necessariamente delle informazioni, specie se valutiamo piccole biopsie sospette, da parte
dell’endoscopista o del clinico dobbiamo avere info cliniche. Io richiedo per esempio ai pnemologi
di farmi sapere quando vanno a prelevare una lesione bronchiale se l’ NSE è aumentato o no
perché è chiaro che dinanzi ad un sospetto di microcitoma noi ci possiamo orientare…, se c’è
questa validazione del dato biochimico vado un po’ più sicuro.
Quindi è importante la diagnosi istologica che come vedete qui, da questa relazione, che invece
deve essere fatta da mani esperta, non tutti i patologi sono onniscienti, è impossibile sapere tutto.
Esistono proprio dei gruppi anche regionali di patologi che si occupano anche di tumori
neuroendocrini ai quali spesso ci si riferisce per la rivalutazione di casi, di casi un po’ più complessi.
Quindi nel reporto anatomopatologico di un NET dobbiamo definire sempre il grado valutato e nel
referto deve essere sempre riportato l’ indice mitotico e l’ indice proliferativo. Come in tutti,
quando abbiamo un pezzo operatorio andiamo a definire il TNM, i margini di resezione e
chiaramente quando abbiamo informazione su produzione di ormoni possiamo anche andare ad
indagarli con l’ immunoistochimica.
La stadi azione di tutti i tumori dell’ intestino, sempre la TNM che conoscete, come in tutti gli
organi cavi è importante il livello di infiltrazione. Quindi un T1 è localizzato alla mucosa o massimo
alla sottomucosa, un T2 coinvolgimento iniziale o più esteso della tonaca muscolare, un T3
coinvolgimento della sottosierosa, quando si sfonda la sierosa dell’ intestino abbiamo T4. Il
coinvolgimento dei linfonodi (i primi coinvolti sono: pericolici, enterici e in base al numero di
linfonodi si ha una stadi azione anche dell’ N). Questo è il pTNM (ricordate il pTNM. Invece gli
inoperabili hanno come riferimento soltanto un TNM clinico).
(slides): questo cos’è? Sezione trasversale intestino con cancro, superficie mucosa completamente
sostituita.Arriva a . Sierosa versante anticolico riveste il grasso pericolino quindi sta tutta qua.
Questo è un T3. Muscolo completamente scomparso, (si vede solo un po’ di muscolo traslucido)
lingue tumorali vanno nel grasso pericolico dove troviamo anche un linfonodo (Metastatico?
Dobbiamo vedere al microscopio).
La sopravvivenza nel colon è molto alta per i primi stadi poi si riduce. Grazie a nuove frontiere
terapia, specie per il retto e col trattamento sandwich, gli intervalli di sopravvivenza liberi da
malattia e sopravvivenza globale sono notevolmente aumentati. Quindi si può anche convivere, in
alcuni casi per molti anni, con un tumore del colon avanzato.
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Patologia del fegato e delle vie biliari
Lezione del 10/05/2016
Allora, oggi parleremo di fegato: tratteremo prevalentemente, se non esclusivamente,
la patologia infiammatoria che va dalle epatiti alla cirrosi, ma non riusciremo a parlare
dell’epato-caricinoma che è un argomento abbastanza facile ed agevole che potete fare
anche sul libro. Poi credo che non riusciremo a fare più niente, forse un cenno breve
sull’agoaspirato tiroideo e le classi diagnostiche degli aspirati tiroidei, che faremo
domani, ma solo un cenno rapido, mentre il resto lo dovrete fare, purtroppo, sul libro.
Rimane fuori la patologia della testa e del collo, bisogna fare: i carcinomi squamosi del
distretto “testa-collo”, in particolare del cavo orale e laringe e poi una classificazione e
cenni dei tumori delle ghiandole salivari, sia benigni che maligni dato che sono
abbastanza frequenti. Per quanto riguarda, invece, il sistema endocrino chiaramente
(bisogna studiare) la tiroide -benissimo! Cit. - il cui tumore è uno dei più frequenti, ma
è anche un organo che spesso è patologico anche se non neoplastico, vedi i gozzi, tutta
la patologia sia benigna che maligna eccetera. Per quanto riguarda invece l’ipofisi e il
surrene, soprattutto la classificazione dei tumori va affrontata in un modo un po’ più
sereno. Ci sono poi i tumori dei tessuti molli, ai quali io tengo moltissimo come ai
tumori dell’osso, che non riusciremo ad affrontare e, cosa a cui tengo molto, la
diagnostica molecolare dei sarcomi in genere. Ovviamente dell’osso vanno affrontati i
capitoli più importanti quali osteosarcomi, sarcoma di Ewing e condrosarcomi, mentre
per i tessuti molli, sicuramente le patologie più frequenti come (qualcosa che non si
capisce che finisce in –sarcoma) il sarcoma sinoviale eccetera. Poi ancora? Che rimane
fuori? Il pancreas! Forse riusciremo a fare anche qualcosa del pancreas, ma anche quello
presenta patologie, che avendole affrontate già nella clinica, quali pancreatiti (?) e
carcinoma del pancreas, sarà una cosa (?) abbastanza generica; per quanto riguarda i
NET, non ne parleremo più, però chiaramente nel pancreas è una patologia piuttosto
frequente. Altri quesiti? (Qualcuno fa una domanda) lui risponde: allora oggi farò il
fegato che non riuscirò a finire e poi, vi ho detto, un po’ della citologia tiroidea e poi
faremo qualche test simulato giovedì giusto per farvi vedere come sarà impostato lo
scritto. Delle ghiandole salivari: classificazione e le caratteristiche più importanti. Altri
problemi sul programma? (Qualcuno fa una domanda sui tessuti molli) lui risponde:
allora i tessuti molli… Che cosa sono i tessuti molli? Che cosa si intende per tessuti
molli? Una bella definizione è quella di Heinzinger (?) che definisce i tessuti molli come
“tutti i tessuti che stanno tra la cute e l’osso esclusi organi ed apparati”. Quindi che ci
sta tra cute ed osso? Tessuto adiposo, nervi, vasi, muscoli (lisci e striati). La
classificazione dei (tumori dei) tessuti molli è una classificazione, diciamo,
ontogenetica, che si basa cioè sull’origine di questi tumori dai vari tessuti. I più
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frequenti sono i lipo(?)sarcomi, sicuramente, gli angiomi, gli angiosarcomi, i tumori
che derivano dai nervi, ovvero i neurogenici, e poi quelli muscolari che sono: i
rabdomiosarcomi, più rari, e i leiomiosarcomi più frequenti. Ci sono tumori anche in
altri distretti, ma i tumori di origine adipocitaria e vascolare vanno affrontati con più
attenzione. Lo scritto conterrà immagini? Mi chiedeva il collega… (un “NOO!”
generale). Allora lo scritto non conterrà immagini…Allora questo è un esame
morfologico! Si basa sulle immagini! Quest’anno non faremo le immagini perché mi
rendo conto che siete, forse, poco preparati ad affrontare un esame del genere, anche se
avete fatto anatomia e dovreste già essere attrezzati e strutturati. Sarebbe bello farlo con
le immagini? (Un “NOO!” generale) Vabbè quest’anno le immagini non ci saranno, ma
dall’anno prossimo le immagini ci saranno, quindi fatelo in tempo! La modalità va
cambiata, il mio ideale sarebbe anche di fare una prova al microscopio… per ora no,
però mi raccomando, fate tutti l’esame perché questa richiesta noi l’anno prossimo non
la vogliamo(?)
FEGATO (parte I)
Allora per quanto il fegato, la patologia è complessa, e, come in tutti gli organi, la
patologia funzionale è molto più complessa di quella tumorale perché l’interpretazione
del patologo è molto più basata sull’ esperienza, sulle competenze, anche cliniche; nel
fegato questa cosa è portata al massimo. Quando ho fatto la scuola di specializzazione,
avevo una professoressa che si occupava esclusivamente di patologia epatica, quindi
vedeva pazienti e anche prelievi operatori, ma sapete che per il fegato questo è molto
più complesso. Allora, giusto degli accenni sull’anatomia del fegato: lobi del fegato
destro, sinistro, caudato, quadrato, ma non ce ne importa tanto, ci importa di più
dell’istologia. Le unità funzionali del fegato sono di 2 tipi: lobulo e acino. Il lobulo è
costituito da una vena lobulare centrale e da 6 spazi portali periferici, per cui il lobulo
epatico ha una struttura geometrica di un esagono più o meno, anche un po’ più grande,
un ottagono per esempio; mentre l’acino centralizza la struttura più importante del
fegato, che è lo spazio portale, e quindi abbiamo lo spazio al centro e le vene centrolobulari in periferia, con una struttura geometrica triangolare, perché questo? Perché
nello spazio portale si concentrano le strutture fondamentali fegato che sono: i rami
dell’arteria epatica, dotto biliare e i rami della vena porta. Da dove origina la vena porta?
Mesenterica superiore, inferiore e lienale. Che cosa porta questa vena? Porta di tutto al
fegato, dove viene elaborato: sostanze nutritive sostanze tossiche eccetera. Che funzioni
ha il fegato? Non ripetiamo la fisiologia però che ricordiamo che le funzioni del fegato
sono protido-sintetica, lipido-sintetica, detossificazione, produzione di bile che è
fondamentale per la digestione. Quindi se noi partiamo dagli spazi portali abbiamo
strutture divise in tre zone, la zona 1, 2, 3 che hanno diverse funzioni: quelle più vicine
allo spazio portale sono quelle normalmente hanno una spiccata funzione protido221
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sintetica, le più distanti hanno una funzione lipido-sintetica..è vero? Vi ricordate? La
struttura istologico del lobulo epatico è di tipo laminare: gli epatociti sono disposti in
lamine, lamine che poggiano su che cosa? Su un’impalcatura di fibre reticolari,
collagene di tipo III. Quindi sono lamine mono-stratificate contenute in queste fibre
reticolari… Ok? Quindi tutto il sangue defluisce dallo spazio portale dove si trova sia
sangue ossigenato, nei rami dell’arteria, sia sangue venoso nella vena porta, e confluisce
e si contamina all’interno di queste strutture vascolari che si chiamano sinusoidi. Vi
ricordate che i sinusoidi son costituiti da cellule endoteliali, ma anche cellule un poco
più grandi, che hanno una funzione macrofagica, che sono le cellule di Kupffer. Gli
epatociti confinano con gli spazi sinusoidali attraverso uno spazio, che si chiama spazio
di Disse, in cui si trovano le cellule di Ito che sono cellule che hanno diverse funzioni
e sembrano essere molto importanti per la induzione dei fibroblasti alla produzione del
collagene che, come vedremo, è importante per tutte le epatopatie croniche. (Scorre
diverse immagini ripetendo i concetti suddetti e si ferma su una diapositiva) La zona 1,
2, 3, l’abbiamo detto, hanno diverse funzioni e hanno anche diverso livello di
maturazione, in realtà pare che nella zona 1 esistano degli epatociti con capacità
staminale da cui derivano gli epatociti che poi si differenziano in questa progressione
ideale che va dalla zona 1 alla zona 3. Quindi gli epatociti più staminali, più
indifferenziati, che hanno capacità proliferativa, sono quelli più vicini, in parte, allo
spazio portale. Allora come si riconosce lo spazio portale dal punto di vista istologico?
Lo spazio portale si riconosce perché ha un’impalcatura lievemente fibrotica e nel
contesto dello spazio abbiamo rami della vena porta, dotto biliare e rami dell’arteria
epatica. Allora, qualsiasi danno epatico, quindi qualsiasi danno che può essere, come
nelle nostre zone, di tipo virale o tossico, mi riferisco all’alcol, oppure autoimmunitario,
determina un’ attivazione di una serie di sistemi di rigenerazione: in primo luogo, una
rigenerazione vera e propria, nel senso che le cellule epatocitarie, che sono cellule
normalmente stabili, se stimolate possono essere indotte a proliferare, poi la fibrosi che,
come in tutti i fenomeni infiammatori, è data dalla sostituzione fibrotica del tessuto
danneggiato, assume particolare importanza nel fegato perché destruttura quello di cui
abbiamo parlato, determinando appunto un’evoluzione cirrogena del tessuto epatico
con la cirrosi e tutte le conseguenze che conoscete meglio di me; però i danni possono
essere anche , se non esclusivamente, a carico del sistema biliare come in alcune
patologie autoimmuni ad esempio la colangite sclerosante e cirrosi biliare primitiva…
E’ vero? Vi ricordate? Queste patologie le avete fatte in gastro-enterologia.
Ovviamente l’andamento dipende un po’ dall’entità del danno, quando è lieve (non
credo volesse usare questo aggettivo, ma l’ha detto chiaramente) abbiamo le forme
iperacute di epatite che possono essere anche mortali, fulminanti in cui la distruzione
del fegato è massiva, invece abbiamo situazioni in cui l’epatite è più subdola e si ha
un’evoluzione in senso cronico e il danno, chiaramente, avverrà in modo diverso perché
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ci sarà un’evoluzione cirrotica molto più tardivamente (?). Comunque la cosa
importante, che sapete tutti quanti, è che il fegato ha una grossa capacità di compensare
le alterazioni istologiche e funzionali, tant’è vero che il danno diventa sintomatico
quando supera il 75% del parenchima epatico; voi sapete che anche nella fase cirrotica
di una malattia, ci può essere una fase di compenso lunghissima , ci sono pazienti con
una cirrosi compensata poiché la quantità di fegato danneggiato non è così eccessiva.
Ovviamente il danno cellulare che deriva dalle infezioni, infiammazioni in genere
provoca distruzione degli epatociti con liberazione in circolo degli enzimi, quindi le
transaminasi, mentre il danno delle strutture biliari provoca la liberazione di fosfatasi
alcalina e di gamma GT. Quindi elementi sierici di danno epatico li abbiamo e sono
comunemente utilizzati da moltissimi anni. Allora quando noi andiamo a fare una
valutazione delle alterazioni epato-biliari, dobbiamo andare a valutare il pattern di
alterazione e poi vedremo che cosa intendiamo per pattern, se le cellule infiammatorie
sono linfociti o altri tipi di cellule infiammatorie come i granulociti che sono molto
abbondanti nelle epatopatie alcoliche , le plasmacellule sono molto abbondanti nelle
malattie autoimmuni, poi andiamo a valutare l’entità della necrosi, quindi del danno
epatocitario, andiamo a valutare la severità di questo danno, la capacità rigenerativa del
fegato e , chiaramente l’informazione che dovremo dare al clinico che ci manda il
prelievo di fegato …( qui non si capisce, penso che si riferisca al tipo di danno da
descrivere nel referto da consegnare al clinico)…ma può essere anche di altro tipo, può
essere tossico oppure può essere autoimmunitario. Quindi quando riceviamo una
biopsia epatica dal clinico, come sempre dobbiamo avere le informazioni cliniche;
ovviamente un paziente che arriva alla biopsia epatica è un paziente che già stato
studiato, sicuramente epatopatico, quindi ha un’elevazione sierica delle transaminasi,
della fosfatasi alcalina, della gamma GT, ha segni di insufficienza iniziale o avanzata
del fegato e quindi avrà fatto tutti i suoi test che riguardano, appunto, l’assetto
anticorpale per i virus fondamentalmente, tutti gli anticorpi dell’autoimmunità che sono
di particolare interesse per la patologia epatica e così via. Quindi diciamo che il
campione di fegato, come in genere di tutti, non tanto per quelli tumorali ricordatevelo,
ma per tutta la patologia funzionale (i campioni) devono arrivare al patologo con un
adeguato corollario di informazioni cliniche. Quindi al livello istologico, quindi la
biopsia epatica è lo strumento che utilizziamo per la diagnosi della patologia funzionale
epatica; non so se voi avete frequentato (il reparto di) gastro-enterologia, ma le biopsie
sono all’ordine del giorno, soprattutto in quelli che si occupano della patologia epatica.
Inizialmente volevo farvi un quadro delle alterazioni che noi osserviamo a livello
epatico che vanno comunque segnalate: questa è il corpo di Councilman
(23.23)? Questo è il corpo di Councilman. Come la descriveremo questa cellula? Questi
epatociti, vi assicuro che sono tutti più o meno rosei e granulari, (qua nella proiezione
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sono bianchi), citoplasma eosinofilo, il nucleo è periferico e anche un po’ piccolino.
Questo, che viene detto corpo di Councilman o corpo acidofilo, è un indice della picnosi
epatica, (è una morte programmata), che è indice di un danno a livello epatocitario. I
corpi di Councilman, vedete, possono essere anche globuli ialini completamente
anucleati, qua il nucleo è ancora evidente, ma in tutte le picnosi, come le avrete fatte
anche nel primo semestre, la picnosi è caratterizzata da una coagulazione delle strutture
proteiche che si trovano nel citoplasma, perchè la cellula sta morendo, non funziona
più, mentre il nucleo diventa progressivamente più piccolo fino ad annullarsi, e l’aspetto
morfologico dell’apoptosi è proprio la picnosi.
Poi abbiamo quadri necrotici del fegato che possono essere più o meno estesi, quando
parliamo di necrosi è un danno non programmato della cellula, è un danno che viene da
un insulto infiammatorio prevalentemente quindi… La necrosi può essere di singoli
epatociti, di epatociti raggruppati o grosse aree epatocitarie che interessano anche
l’intero lobulo, come in questo caso. E questo lo troviamo, quindi il corpo di
Councilman lo troviamo in tutta la patologia epatica che determina un danno degli
epatociti, in particolare quella virale, in alcune patologie virali, mentre la necrosi litica
di epatociti talora confluente la possiamo trovare sia nelle epatiti, prevalentemente
epatiti acute, nel danno epatico da necrosi massiva delle cellule epatiche tipica dei
quadri acuti, però la possiamo trovare anche nelle epatiti croniche. E poi vedremo quali
sono gli aspetti istologici che ci consentono di differenziare un’epatite acuta da
un’epatite cronica.
La necrosi quindi può essere di singoli elementi epatocitari, può essere multifocale
oppure può riguardare la lamina limitante, e questo lo vedremo dopo che cosa significa
dal punto di vista patogenetico un danno della lamina limitante.
La necrosi può essere classificata in base alla localizzazione nel lobulo, centrolobulare,
paracentrale o nella zona intermedia, può essere anche periportale o può essere a ponte,
“bridging”. La necrosi a ponte è una necrosi che si disloca tra uno spazio portale e una
vena centrale, uno spazio portale e uno portale, o tra una vena centrale e una vena
centrale. Quindi è una necrosi massiva che va da un distretto vascolare a un altro. Ok?
Allora, incominciamo a parlare un po’ di colorazioni istochimiche. Allora, il fegato è
un organo, nella valutazione funzionale di quest’organo noi facciamo sempre delle
colorazioni istochimiche di base, cioè il patologo sa che quando arriva una biopsia
epatica per problemi funzionali in diverse sezioni. Una sempre di E-E (ramanzina alle
retrovie). Allora le biopsie epatiche… La biopsia epatica che si fa per motivi funzionali
necessita di uno studio accurato che non si può basare soltanto sull’ E.E, ma necessita
di altre colorazioni speciali. Una di queste è sicuramente il PAS, ora ve le elenco:
-PAS-diastasi
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-Il ferro
-Il reticolo, quindi l’impregnazione argentica
-E la tricromica, preferibilmente la Masson.
Allora, il PAS a che cosa serve? (Risposte dalla platea) No, il PAS è una colorazione
che serve a colorare tutti gli zuccheri complessi, quindi sia il glicogeno che le
glicoproteine. L’impregnazione argentica serve a colorare il collagene di tipo III e
quindi l’impalcatura delle lamine. La tricromica ci serve fondamentalmente per valutare
la deposizione di collagene neoformato e quindi è importante per la stadiazione delle
fibrosi. Il ferro, gli accumuli di ferro, perché voi sapete che una delle funzioni del fegato
è anche quello di depositare, la funzione emocateretica delle cellule di Kupffer dei
confronti dei globuli rossi esiste ancora per tutta la vita, nella vita fetale e nell’adulto,
quindi un accumulo di ferro a livello epatico è indice di emocromatosi che può essere
anche spia di diverse epatopatie.
Allora… Invece il PAS (non è che serva tantissimo il PAS), però serve sicuramente la
variante del PAS, che è il PAS-diastasi. Voi sapete come si faceva il PAS-diastasi un
tempo? Si prendeva la sezione del vetrino, si sputava sopra, letteralmente si sputava,
poi si lavava e si colorava. Perché si sputava? Perché l’enzima che è presente nella
nostra saliva, l’amilasi, demolisce il glicogeno. Quindi con questo sistema noi
eliminavamo il glicogeno dal tessuto e quando andavamo ad eseguire il PAS,
coloravano soltanto le glicoproteine. I tecnici che facevano la diastasi dovevano essere
anche abbastanza produttivi, sennò la colorazione non veniva, spesso la colorazione
non veniva.
Va be’ comunque, l’utilità di questo sistema è che con PAS-diastasi, ora esistono dei
kit con l’amilasi già incorporata, si elimina il glicogeno e coloriamo le glicoproteine. In
quest’ immagine per esempio voi vedete le cellule colorate, color magenta, hanno la
colorazione magenta del PAS, però il resto del fegato, che normalmente dovrebbe
essere PAS-positivo perché il fegato contiene molto glicogeno, è completamente
negativo. Queste in realtà sono tutte cellule di Kupffer replete di pigmento ceroide, il
pigmento ceroide si trova nel fegato, è dovuto alla digestione degli epatociti danneggiati
che le cellule di Kupffer si stanno mangiando. Quindi PAS-diastasi ci serve a questo
punto per valutare il danno epatico, la capacità dell’agente eziologico di creare danno e
le cellule di Kupffer cercano di rimuovere tutti gli epatociti danneggiati a livello
epatico.
Quindi questa è un’immagine, qui si vede benissimo, il pigmento ceroide ha
quest’aspetto grigiastro all’ E-E. Questa che colorazione è? Questa è PAS normale,
vedete gli epatociti, le lamine epatocitarie vedete come sono colorate, color magenta,
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un color magenta brillante, quando ci sputiamo sopra, quindi facciamo il PAS dopo
aver usato l’amilasi, rimane positiva soltanto una piccola componente che corrisponde
alle cellule di Kupffer che stanno fagocitando gli epatociti danneggiati. Il pigmento
ceroide è l’espressione del danno epatocitario, molto frequente nelle epatopatie di tipo
virale.
Allora, quindi, quando andiamo a valutare il fegato, dobbiamo discriminare quello che
succede nello spazio portale rispetto a quello che succede nella struttura del lobulo. Qui
chiaramente non vedete spazi portali, vedete epatociti, quindi siamo proprio all’interno
del lobulo, lontani dagli spazi portali, che vedete qui? Un corpo di Councilman, che è
espressione del danno epatico, no? Come appare il corpo di Councilman? Spesso
anucleato come globulo ialino ma può essere anche nucleato. Qui ce n’è uno, qui ce ne
sono diversi, e qui ovviamente c’è un danno epatocitario, una necrosi epatocitaria
importante che si trova molto spesso nelle epatopatie di tipo virale. Però chiaramente
quando c’è un danno epatocitario, a livello epatocitario, noi vediamo delle espressioni
indirette di questo danno che è avvenuto, che spesso ha un infiltrato infiammatorio
linfocitario. E molto spesso, quando andiamo a valutare l’attività necrolitica del lobulo,
non necessariamente troviamo corpi di Councilman, ma possiamo trovare solo
espressioni indirette di questo che sono le cellule infiammatorie.
Qui ci sono delle aree epatocitarie necrotiche, queste qua un po’ più pallide, qui
abbiamo una necrosi un po’ più estesa, multifocale perché coinvolge più zone, ampie
aree del lobulo.
Un altro danno tipico del fegato è la steatosi. Sapete cos’è la steatosi? E’ un accumulo
di lipidi a livello dell’epatocita, e queste raccolte possono essere molto voluminose,
come in questo caso, quindi si parla di macrovacuoli steatotici, oppure molto piccole
che sembrano anche essere quelle più pericolose. Negli epatociti possiamo trovare sia
macrovacuoli che sostituiscono interamente il citoplasma, ed hanno un aspetto che
ricorda un po’ gli adipociti, no? Oppure microvacuolare che sembra essere anche più
dannosa. Vedete, i microvacuoli possono accumularsi all’interno degli epatociti, per poi
confluire in grossi vacuoli come questo. Quindi prima i microvacuoli all’interno
dell’epatocita sono differenziati, poi questi confluiscono a formare dei grossi vacuoli,
con citoplasma schiacciato alla periferia, un nucleo… Com’è questo nucleo? (Qui si
stacca l’immagine sul proiettore… Quindi pausa di qualche secondo) E poi abbiamo un
altro aspetto istologico del danno epatocellulare, che è il ground glass, “vetro
smerigliato”, che è tipico, ma non esclusivo, ricordate, dell’epatite cronica di tipo B.
Quindi com’è il vetro smerigliato? E’ quello di un citoplasma rosa pallido, che sembra
proprio un vetro attraverso il quale si può vedere. Qui non si vedono benissimo ma le
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immagini a vetro smerigliato si vedono più alla periferia, non sono più in rosa granulare
… ramanzina.
Allora un altro aspetto di danno epatico… Quindi abbiamo detto la steatosi la troviamo
in tutte le epatopatie tossiche, compresa quella alcolica, nelle steatoepatiti legate a
problemi di tipo metabolico, obesità eccetera, la troviamo anche nelle epatiti croniche
di tipo C, la troviamo quasi sempre nelle epatiti croniche di tipo C. Il ground glass lo
troviamo più frequentemente nelle epatiti croniche di tipo B, mentre i corpi di Mallory,
che sono questi accumuli eosinofili che spesso si dispongono a ferro di cavallo intorno
ai nuclei, non si vedono benissimo, questo è un epatocita con steatosi microvacuolare,
qua c’è questo accumulo eosinofilo, vedete che forma il ferro di cavallo, si trova in
genere associato ad epatopatie di tipo alcolico.
Un altro aspetto istologico è la colestasi, che è un indice di un danno biliare, ma non
solo, non è esclusivo delle patologie che coinvolgono l’albero biliare, come le cirrosi
biliari primitive, le colangiti sclerosanti, ma si possono trovare anche nelle epatiti
croniche di tipo C. quindi quando noi andiamo ad osservare, andiamo a valutare tutti
questi aspetti.
Ricapitoliamo, quindi i corpi di Councilman, la necrosi epatocitaria singola o
confluente, il pigmento ceroide che è un indice indiretto di danno epatico, l’attività
lobulare, intesa sia come necrosi sia come aspetti indiretti, attività infiammatoria, e poi
abbiamo la steatosi, il ground glass, i corpi di Mallory e la colestasi.
Questi sono i principali aspetti istologici, citologici del danno epatico.
Ora abbiamo degli aspetti indiretti del danno epatico, che riguardano l’infiammazione
e la fibrosi. Se noi consideriamo questo come spazio portale, con il ramo della vena
porta, il ramo dell’arteria e il dotto biliare, con un limite esterno che è la lamina di
epatociti, la lamina limitante, possiamo avere un’infiammazione che riguarda
esclusivamente lo spazio portale, un tempo si chiamava portite, possiamo avere una
diffusione dell’infiammazione nel parenchima per superamento della lamina limitante.
Come viene superata la lamina limitante? Perché viene danneggiata e i linfociti passano.
Quindi noi possiamo vedere o epatociti necrotici o l’aspetto indiretto che è il fatto che
i linfociti sono in pieno parenchima perché hanno superato lo spazio portale.
Possono diffondere oltre la lamina limitante in modo diffuso oppure possono estendersi
a tutto il lobulo epatico. A questo quadro infiammatorio che parte comunque nello
spazio portale si associano eventi infiammatori, la cosiddetta attività lobulare che
riguarda il resto del lobulo. Questi puntini neri rappresentano l’attività lobulare, intesa
appunto come danno epatocitario ma anche come infiltrato infiammatorio, che si
accumulano all’interno del lobulo. In questo caso vedete, è molto più viscoso. Quindi
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quando noi andiamo a gradare l’infiammazione, poi vedremo quali sono i sistemi di
gradazione che vengono utilizzati, dobbiamo valutare sia l’attività infiammatoria a
livello dello spazio portale, sia a livello del lobulo. Quindi, attività infiammatoria
portale e lobulare. Allora abbiamo detto, questo qua ricordate è uno spazio portale e si
riconoscono i vasi di grosso calibro, la lamina limitante è appunto quella struttura
epatocitaria che rappresenta un continuum a ridosso dello spazio portale. Vedete, non
ci sono elementi di discontinuità di questa struttura epatocitaria laminare che si trova a
ridosso del lobulo. Quindi in questo caso l’infiammazione è localizzata a livello dello
spazio portale, quindi è una portite, quindi un grado 1.
Ovviamente questo superamento della lamina limitante non è facile da identificare con
colorazioni (si ferma… Ramanzina di qualche secondo) Con l’immunoistochimica, in
particolare andando a colorare con l’antigene epatocitario specifico, coloriamo gli
epatociti, vediamo tra questi epatociti delle raccolte di linfociti che rappresentano
appunto l’integrazione, il superamento dei linfociti della lamina limitante. L’attività
lobulare, abbiamo detto che viene gradata sia considerando i corpi di Councilman,
singoli o aggregati all’interno del lobulo, sia appunto le raccolte infiammatorie. Qui
abbiamo poche cellule infiammatorie e moltissime cellule picnotiche, i corpi acidofili
di Councilman.
Ovviamente oltre a valutare lo spazio portale e la struttura lobulare nella sua interezza,
quello che dobbiamo andare a valutare è anche l’epitelio biliare, che in qualche caso
può essere danneggiato, e il danno è tanto più importante quando la patologia è proprio
biliare, quindi nel caso di patologie come la CBP e la CSP. Però non è un dato esclusivo
delle patologie biliari, perché anche nell’epatopatia da HCV può esserci un danno
biliare.
Allora quindi quando noi andiamo a valutare l’attività infiammatoria a livello del
lobulo, sia lo spazio portale sia l’interno proprio del lobulo, parliamo di grading.
Esistono sistemi di grading dell’infiammazione che vengono applicati andando a
gradare la severità o lievità dell’infiammazione, sia a livello dello spazio portale che a
livello della zona lobulare. A questa attribuzione di gravità diamo uno score, sommando
questo score abbiamo il grado di attività dell’infiammazione.
Quando si parla di fibrosi a livello epatico ci si riferisce alla stadiazione dell’epatopatia
cronica, e la fibrosi, spesso indotta dalle cellule di Ito, quindi dalle cellule stellate, è
quella che danneggia in maniera importante il fegato, determina tutte quelle alterazioni
strutturali che poi porteranno alla cirrosi. Quindi la stadiazione, intesa però questa come
una stadiazione comunque di una patologia funzionale, è un parametro molto
importante perché ci dice la capacità evolutiva di questa patologia e quindi la sua
possibile associazione con la cirrosi epatica. Quindi anche in questo caso c’è il disegno
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che ci aiuta. Qui abbiamo gli spazi portali e le vene centrolobulari, la fibrosi, che si
vede con queste linee orizzontali, può interessare esclusivamente lo spazio portale, può
travalicare lo spazio portale formando dei sottilissimi setti, che poi vedremo dal punto
di vista istologico, oppure si possono formare dei setti ma anche dei ponti, che sono in
questo caso porto-portali e anche porto-centrali, e qui invece la formazione dei ponti è
completa. Quando la formazione dei ponti è completa, quindi quando due distretti
vascolari sono uniti da ponti tra i quali si ha una rigenerazione epatocitaria, si formano
dei noduli cirrotici, che possono essere macro o micronodulari, a seconda della
patologia, e quindi da qui abbiamo un’evoluzione della patologia. Chiaramente in questi
setti, in questi ponti porto-portali, si creeranno dei vasi e chiaramente shunteranno la
normale distribuzione vascolare a livello epatico, e creeranno tutti quei danni che voi
conoscete dal punto di vista fisiopatologico.
Quindi per la fibrosi, noi utilizziamo una colorazione che si chiama tricromica, la
tricromica di Masson in questo caso, che va a colorare di bluetto intenso il collagene
neoapposto. In questo caso come vi sembra la deposizione di collagene? Che cosa
riguarda? Solo lo spazio portale, o va un po’ oltre? Poco oltre. Diciamo che riguarda
soltanto lo spazio portale, dovete vedere là dove è molto intenso. Quindi abbiamo una
fibrosi esclusivamente portale, però ci possiamo servire dell’impregnazione
argentica… L’impregnazione argentica va a colorare il reticolo, il collagene di tipo III
che è, ovviamente, normalmente presente a livello del fegato e va a costituire
l’impalcatura delle lamine epatiche: si dipana dagli spazi portali e va a ridisegnare le
lamine epatiche. Ovviamente, in alcune situazioni… Vedete il rapporto: tutti gli
epatociti generalmente poggiano su una fibra reticolare, però esistono… Perché si fa
nel fegato? Perché col reticolo si va a vedere la capacità rigenerativa del fegato che può
essere più o meno spinta. Allora, il rapporto lamine… Immaginate un binario di reticolo
che circoscrive una lamina epatica come più o meno avviene in questo caso… In questa
immagine non si vede benissimo, ma vi assicuro che tutte le lamine epatiche sono
circondate da fibre reticolari. In questa immagine, invece, che si vede meglio, abbiamo
delle fibre reticoliniche un poco disorganizzate, però tra queste esistono più epatociti:
quindi questo è un fegato che sta rigenerando. Quindi immaginate qui, in
quest’immagine, tra lo spazio portale esistono delle lamine, alcune molto delicate di
reticolo e tra queste lamine esiste una fila esclusiva di epatociti. Qui, invece, le fibre
reticoliniche sono disposte regolarmente, però tra le fibre reticoliniche che noi
osserviamo abbiamo delle aree occupate da più di una fila di epatociti e quindi queste
è espressione della capacità rigenerativa del fegato. Quando, invece, le vediamo
particolarmente addossate che cosa significa, secondo voi? Quando queste fibre
reticoliniche sono normalmente (qua ci sono delle immagini) molto sottili le vediamo
addossate le une alle altre o (? Min. 50.33) –il pubblico invoca la fibrosi- Non è ancora
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fibrosi, la colorazione è un po’ più delicata rispetto alle fibre reticoliniche, però stanno
collassando, quindi è un’espressione del danno epatocitario. Nelle epatiti acute i
fibroblasti non hanno il tempo di produrre il collagene e abbiamo il collasso delle fibre
reticoliniche che sembrano dei setti, in realtà sono fibre reticoliniche collassate che
vanno, secondo una vecchia nomenclatura, sotto il nome di “setti passivi” perché non
sono setti neoapposti, ma sono dovuti al collasso delle fibre reticoliniche per necrosi
massiva degli epatociti. Questa è una… -interruzione, viene chiesto di ripetere la
definizione- “setto passivo”, i “setti attivi” erano chiamati (setti attivi) quelli formati da
collagene neoformato, i “setti passivi” erano dovuti al collasso delle fibre reticoliniche.
Questo che cos’è? Uno spazio portale con una fibrosi importante, che però è per lo più
localizzata a livello dello spazio, qui forse incomincia ad emergere un sottile setto.
Questa è sempre una tricromica di Masson, una biopsia epatica, ok, questo è lo spazio
portale con una fibrosi -si vede questo bluetto, verdino- che è localizzata allo spazio
portale, però anche qui sembra che si sta un po’ estendendo. Anche qui un po’ più
irregolare. Qui abbiamo spazi portali fibrotici, abbiamo dei setti -che non raggiungono
ancora niente-, abbiamo anche dei ponti porto-portali, però non abbiamo ancora il
nodulo completo degli epatociti, quindi non possiamo parlare ancora di cirrosi, ma di
una fibrosi moderata-severa. Qui, invece, abbiamo la formazione di ponti completi e
qui c'è un nodulo epatocitario rigenerativo che è espressione di una cirrosi.
Quindi quando noi affrontiamo lo studio delle epatopatie croniche, che cosa vuole
sapere il clinico? La causa, quindi che tipo di epatite è, se è un’epatite virale, se è
un’epatite autoimmune eccetera, però abbiamo dei quadri istologici che possono essere
presenti in tutte queste forme qui… Quindi, quando noi parliamo di epatite cronica
attiva non ci riferiamo ad un agente eziologico, ma ci riferiamo ad un quadro
infiammatorio che può originare da un (? Min. 53.20); così come quando parliamo di
cirrosi non ci riferiamo esclusivamente alle epatopatie croniche da virus, ma anche alle
epatopatie alcoliche, per esempio, ma anche ad altre; poi ci riferiamo alla steatoepatite
e ci riferiamo sia a forme legate all’alcolismo, ma anche a forme legate a problemi
metabolici; l’emosiderosi, che è l’ematocromatosi epatica, è una patologia importante
che può essere legata anche in alcuni casi di epatite di tipo C; la colestasi è un quadro
in cui c’è un danno sicuramente biliare, però non è distintivo delle patologie biliari.
Quindi quando parliamo di pattern istologici ci riferiamo ad entità che possono avere
diversi motivi istologici.
Allora… Le epatiti virali sono legate a virus che conoscete benissimo, i più frequenti
sono i virus delle epatiti di tipo A, B, C, D, E, i più frequenti in assoluto nelle nostre
aree sono i tipo B e C, sono tutti virus a RNA tranne il virus dell’epatite B per il quale
siete (penso) tutti vaccinati, vero? E ricordate anche che l’epatite A è un’epatite
esclusivamente acuta (e fulminante), mentre le epatiti B e C sono spesso associate a
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epatiti croniche. Più la B o più la C? Più la C. Qual è l’incidenza della evoluzione
dell’epatite cronica della B? 8-10%. Invece per la C? Sessant… Comunque più del 50%.
Invece ricordate che l’epatite D è un virus (? Min. 55.30) perché ha bisogno di una
coinfezione con il B. L’epatite E è invece un’epatite piuttosto rara, però comunque la
incominciamo a vedere anche nelle nostre aree, si trova più frequentemente in Africa,
per esempio, ed infetta fondamentalmente le carni. Poi esistono altri virus che però non
danno esclusivamente danno epatico come per esempio il Citomegalovirus, Epstein
Barr, che chiaramente possono dare quadri epatitici anche importanti, però non
colpiscono esclusivamente il fegato. Quindi dal punto di vista clinico le epatiti virali si
distinguono in forme acute e in forme croniche. Le acute, quella classica con ittero,
oppure abbiamo le forme subcliniche come l’anitterica, però abbiamo delle forme
piuttosto gravi come la fulminante che porta rapidamente ad una distruzione massiva
del fegato e questi pazienti o muoiono o fanno rapidamente il trapianto di fegato fortunatamente sono rari-. Le forme croniche di coinvolgimento del fegato possono
essere quelle di un portatore senza nessun danno epatico importante, oppure quello
tipico dell’infiammazione cronica potenzialmente evolutiva verso la cirrosi. Allora…
Nelle epatiti acute la diagnosi… Quando ci troviamo di fronte ad una biopsia… E’ raro
che facciano biopsie a quadri epatitici acuti, però ricordate che l’epatite acuta è un
quadro clinico che può durare anche due mesi, eh, quindi non è una cosa che si risolve
rapidamente, esistono delle forme subcliniche che necessitano di un approfondimento
bioptico, però dal punto di vista istologico abbiamo due cose importanti: che nelle
epatiti acute il danno -c’è sempre un’infiammazione portale, però…- il danno lobulare
è molto importante, quindi l’infiammazione e il danno che osserviamo a livello dei
lobuli è importante sia in termini di corpi di Councilman, sia in termini di infiltrato
infiammatorio cronico; mentre nelle epatiti croniche l’attività lobulare è sempre
minima, se non del tutto assente, l’infiammazione è quasi sempre localizzata a livello
dello spazio portale e in più c’è la fibrosi, in questo caso fibrosi attiva, (? Min. 58.15).
Quindi diciamo una distinzione di massima dal punto di vista istologico può essere fatta.
Allora… Quando parliamo di attività lobulare, dobbiamo gradare l’attività lobulare.
Quindi attività lobulare intesa fondamentalmente come infiltrato infiammatorio, quindi
si vanno a valutare gli aggregati infiammatori all’interno del lobulo e questo può essere
del tutto assente, come spesso succede nelle epatiti croniche, oppure, come spesso
succede, può essere minima, che è difficile da trovare. Quindi su dieci campi ad alto
ingrandimento troviamo delle piccole raccolte di linfociti: può essere mild -che
significa mild? Lieve-, quindi 1 aggregato ogni 3 o 4 campi ad alto ingrandimento; può
essere moderata -che significa moderata? Non mi piace moderata, a me piace
intermedio, perché moderato in italiano significa che non è né carne, né pesce, (? Min.
59.39) significa proprio moderato. Quindi noi utilizziamo la traduzione corretta che è
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intermedio, non moderato- quindi intermedio significa che è ovvia, quindi in realtà in
ogni campo che andiamo a vedere ad alto ingrandimento troviamo degli aggregati;
oppure può essere chiaramente marcata e confluente, quindi abbiamo dei grossi
aggregati linfocitari che vanno in qualche modo a distruggere o destrutturare il
parenchima (? Min. 1.00.00). Quindi ritorniamo all’immagine di prima: abbiamo forme
di coinvolgimento esclusivamente portale, quindi infiammazione portale,
infiammazione portale e periportale minima, infiammazione portale e periportale
massiva, oppure qui abbiamo una necrosi massiva la lamina limitante (? Min. 1.00.30)
con coinvolgimento del lobulo. Però vedete che in tutte queste forme il coinvolgimento
lobulare dato da questi puntini neri a distanza dallo spazio portale può essere più o meno
frequente. Allora noi andiamo a gradare secondo la scala di Model l’attività
dell’infiammazione contemplando sia la componente portale e periportale, sia la
componente lobulare. Quindi assegniamo uno score all’infiammazione e alla necrosi
(l’infiammazione è un segno indiretto della necrosi), se questa è soltanto a livello
periportale, portale, portale e periportale; oppure se c’è un coinvolgimento c’è un
coinvolgimento intralobulare.
Allora… La fibrosi, invece… Per la fibrosi esistono diversi schemi classificativi e
stadiativi, quello più utilizzato è quello di Ishak (che vedete qui): allo stadio 1 abbiamo
una fibrosi esclusivamente portale con sottilissimi ed esili setti che vanno un poco (?
Min. 1.01.58), quindi tutte queste situazioni noi le definiamo stadio 1 se soltanto
portale, se ci sono degli esili setti che partono dagli spazi portali parliamo di (? Min.
1.02.10); stadio 3 abbiamo dei setti molto sottili che –quando parliamo di setti ci
riferiamo a strutture collageniche- possono essere incompleti se occupano parte del
lobulo, oppure possono essere completi quando vanno da un distretto vascolare all’altro
–però la differenza tra setti e ponti è che i setti sono molto sottili, i ponti sono molto
spessi-, quindi per Ishak lo stadio 3 è una situazione in cui la fibrosi periportale è
importante, però si possono incominciare a vedere degli esili setti e in questo caso di
tipo porto-portale; stadio 4 quando i setti li troviamo in ogni lobulo e possono essere
porto-portali o porto-centrali; nello stadio 5 abbiamo la formazione di ponti veri e
propri, cosa che è massiva nello stadio 6 che indica proprio una cirrosi perché le
strutture epatocitarie vengono confinate dai ponti e si formano delle vere e proprie (?
Min. 1.03.25). Allora è chiaro? La stadiazione di Ishak va a valutare l’entità della fibrosi
che può essere portale o periportale, si possono formare degli esili setti che non
coinvolgono tutti i lobuli che noi andiamo ad esaminare a livello del fegato; oppure si
possono formare dei setti che coinvolgono tutti i lobuli del fegato; si possono
incominciare a formare dei ponti, però senza circoscrizione di tratti di parenchima;
oppure si formano dei veri e propri noduli circoscritti. Quindi la stadiazione di Ishak,
che è in 6 stadi, si riferisce alla destrutturazione fibrotica che parte dagli spazi portali e
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arriva fino alla formazione dei ponti con circoscrizione del parenchima in noduli.
Quindi quando parliamo di cirrosi ci riferiamo ad un Ishak di stadio 6. E’ importante
gradarlo perché esistono delle terapie che riducono la formazione e la giunzione (? Min.
1.04.30) di collagene. Qui abbiamo –nella prima immagine che colorazione è? La
tricromica di Masson perché vediamo questo blu. Che colora? Lo spazio portale- una
fibrosi che riguarda solo lo spazio portale. La fibrosi può essere anche periportale, si
possono formare dei sottili setti che possono essere porto-centrali, ma prevalentemente
sono porto-portali; oppure si formano dei noduli ben circoscritti di parenchima
circondati da fibrosi per effetto della formazione di ponti porto-portali e porto-centrali.
Stadio 3, questa qua è quella di (? Min. 1.06.00) in cui abbiamo la formazione del
nodulo cirrotico. Ora… Questa che colorazione è? E’ un’impregnazione argentica. Che
cosa notate qui? Che c’è un affollamento di fibre reticoliniche: questo, secondo voi, è
un quadro di epatite acuta o cronica? Acuta perché c’è un collasso di fibre dovuto alla
necrosi massiva degli epatociti. Questo? Che cos’è, secondo voi? Uno spazio portale,
no? Si vede qualche dottino, qui… Non si vede benissimo, qua… Questo qua è uno
spazio portale, questa è la lamina limitante e qui abbiamo un’infiammazione… La
lamina limitante sta qua e qua: qua è fibrosi dello spazio portale normale e qui c’è
l’infiammazione. Qui c’è che cosa? C’è un passaggio delle cellule infiammatorie oltre
la lamina limitante. Qui c’è una piecemeal necrosis, quindi necrosi della lamina
limitante e la possiamo trovare fondamentalmente in queste tipologie di lesioni qua:
epatopatie da virus e nelle epatopatie autoimmuni, meno nelle patologie biliari come la
cirrosi biliare primitiva e la colangite sclerosante primitiva, più rara anche per effetto
dei farmaci. Qui che abbiamo? Vetro smerigliato, che è tipico… Si trova più
frequentemente nelle epatiti B, però non soltanto in queste. Allora… Abbiamo un uomo
di 53 anni con astenia importante, un’epatite dal 1970 (di lungo corso), HBsAG postivo,
che ha un’epatite cronica B di grado 3, di stadio 3: l’infiammazione qui è portaleperiportale con piecemeal necrosis, quindi abbiamo un grado 3 dell’infiammazione.
Allora… Le epatopatie B sapete che si sono ridotte notevolmente negli ultimi anni,
soprattutto nei Paesi occidentali, per effetto della vaccinazione, per cui l’incidenza è
molto, molto bassa –quando studiavo io medicina la vaccinazione non era obbligatoria
e c’era una buona prevalenza di epatopatie croniche di tipo B, anche rispetto alle C…
Va be’, quando studiavo io medicina non si conosceva ancora la C e veniva chiamata
non B/non A-. Allora… Quali sono i fattori di rischio li sapete, tutti i contatti parenterali
apparante e non apparenti possono essere… Come anche l’epatopatia di tipo C è legato
ad un contatto che può essere parenterale apparente o inapparente, quindi droga,
rapporti sessuali… Sono molto, molto infettive, ricordate che l’epatite C, molto più
della B, ma entrambe le epatiti hanno queste capacità infettive di resistenza all’aria
molto elevate. E’ ora prevalente, chiaramente, nei Paesi del terzo mondo, in particolare
in Asia e in Africa. Sapete che l’infezione di tipo B è un’infezione acuta che è quasi
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sempre sintomatica, qualche volta può essere subclinica, può dare dei quadri anche di
epatite fulminante, però quando è indolente, quando non è manifesta, può anche
manifestarsi successivamente come epatopatia cronica; quindi l’evoluzione di
un’infezione acuta può essere quella di un’epatite acuta normale, con una risoluzione –
e questo nel 90% dei casi-, raramente può essere fulminante –in meno dell’1% dei casi, però in 8-10% di casi si ha un’evoluzione in epatite cronica di tipo B che può essere
preceduta da una fase sintomatica di epatite acuta, però qualche volta può anche essere
passata inosservata –e quindi sublinica-. L’evoluzione dell’epatite B è quella -quando
si evolve verso un’epatite cronica- di una cirrosi, e quindi epatocarcinoma. L’aspetto
istologico della cellula infettata è quella del ground glass, cioè questo aspetto di
citoplasma a vetro smerigliato, grigiastro, quasi trasparente. Ovviamente, vi ho detto,
quando questi pazienti fanno la biopsia epatica chiaramente le indicazioni sono quelle
di un paziente con epatopatia cronica, quindi è stato già indagato che è un’epatite B,
esistono dei test sierologici che ci indicano se il paziente è portatore, se ha avuto
contatto, se è ancora in una fase (? Min. 1.11.55). Quindi diciamo che le informazioni
che a noi arrivano con la biopsia epatica sono già state trovate relativamente
all’infezione. Allora… Qui abbiamo che cosa? Qui abbiamo lo spazio portale, c’è una
piecemeal necrosis, vedete che ci sono degli epatociti steatosici nell’infiammazione,
quindi abbiamo sorpassato la lamina limitante abbondantemente, abbiamo un infiltrato
che è spesso nodulare e questo è tipico dell’epatite di tipo C, epatite cronica di tipo C.
Qui abbiamo un’infiammazione portale importante, spesso associata alla piecemeal
necrosis, associata a steatosi degli epatociti lobulari, ma soprattutto la cosa importante
è che questa infiammazione ha un aggregato, si aggrega a formare proprio dei noduli
che ricordano i follicoli dei linfonodi. Ancora qui: spazio portale molto espanso per
effetto di questa infiammazione, vedete che l’infiammazione è abbondante. Qui c’è…
Che cosa vi mostro, qui? La membrana limitante che è superata, qui ci sono degli
epatociti intrappolati e circondati da linfociti. Qui siamo nel lobulo, c’è infiammazione
nel lobulo? Non tanta, qualche linfocita qui. Questo che cos’è? Councilman, che
troviamo molto spesso nelle epatopatie croniche. Councilman… Councilman…
Abbondanti… Questo che vi sembra? Ferro di cavallo… Eh, un corpo di Mallory,
bravo, normalmente si trova nelle alcoliche, però sapete che questi pazienti possono
avere diversi problemi, non necessariamente un (? Min. 1.14.10). L’epatite C sapete
che è quella che dà più problemi di epatopatie croniche virali, è molto diffusa, anche
questa, in Africa e in Asia, ma anche in Europa, sia nella continentale che nella
meridionale. Quindi l’aspetto istologico delle epatiti croniche di tipo B è (? Min.
1.14.37) sempre almeno un infiltrato infiammatorio lieve a livello degli spazi portali e
questo infiltrato infiammatorio si organizza a formare delle strutture simil follicolari,
dei noduli linfoidi; c’è sempre uno sforamento della lamina limitante –si parla di epatite
dell’interfacie- ed è sempre associata ad una fibrosi, almeno lieve –come in questo caso234
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. Va be’, questi li finiamo domani perché vi sento un po’ stanchi. Siete stanchi? (Il
pubblico risponde tra incredulità ed agonia).
Approccio diagnostico alla paziente con nodulo mammario:
Parte finale lezione del 10/5/2016
Un nodulo mammario di 2cm come si affronta? Prima di tutto bisogna essere sicuri che
quello sia un tumore, quindi ci serve un dato morfologico; oltre ai dati strumentali che
possono essere sospetti di tumore, chiaramente la paziente dovrebbe affrontare qualsiasi
tipo di prelievo che ci consenta di fare diagnosi di tumore. Ora, se la paziente può
affrontare un intervento, bisogna ragionare, se può fare l’intervento, ci serve sapere se
è cancro oppure no, tanto la paziente sarà operata. Quindi tutte le determinazioni
immunoistochimiche per la terapia eccetera verranno effettuate sul pezzo operatorio.
Ricordate che in genere, qualsiasi determinazione debba essere fatta, è sempre
preferibile l’istologico, quando possibile, rispetto al citologico. Quindi l’istologico è
sempre preferibile al citologico. Però il citologico è una metodica poco invasiva che
viene fatta con un ago molto sottile e quindi in alcune condizioni ci va anche bene
utilizzarla; è il caso della paziente con un tumore piccolo della mammella, quindi
sicuramente un tumore a basso rischio di metastasi, e quindi il citologico ci può andare
bene. Quando il tumore invece è grande, e quindi il sospetto strumentale è di tumore
piuttosto voluminoso con alto rischio di metastasi, chiaramente a noi ci serve
l’istologico. Perché ci serve l’istologico? Che quindi è preferibile in quel caso, la core
biopsy e il mammoton; perché in quel caso ci serve anche la determinazione
immunoistochimica, perché la paziente è verosimilmente candidata ad un trattamento
preoperatorio nel tumore piuttosto voluminoso. Fermo restando che dipende molto
dall’esperienza personale: ci sono dei centri in cui si preferisce, qui ad esempio, fare
più la citologia e meno l’istologia, però dove lavoravo prima al Pascale, la citologia
raramente si faceva e si preferiva l’istologia sia per tumori grandi che per tumori piccoli.
Considerate comunque che la mammella è un organo superficiale, quindi un ago un po’
più spesso può tollerarlo; gli aghi spessi sono invece difficili da applicare alle sedi
polmonari perché ci sono delle complicanze serie che sono: l’emotorace e il
pneumotorace. Però nella mammella se uno lo vuole fare, lo si può fare tranquillamente,
e si fa tutta la determinazione che deve fare. Chiaramente il patologo deve sapere già
prima la paziente che paziente è, se è candidabile al trattamento oppure no; perché se
io so che la paziente fa il trattamento, io l’immunoistochimica su quella biopsia non la
faccio, sono soldi che spendo inutilmente. Ovviamente tutto questo va poi confrontato
con una stadi azione clinica della paziente che può avere già metastasi a livello
ascellare, a livello delle ossa o a livello del polmone, per cui è una paziente candidata
al trattamento preoperatorio, prima dell’intervento (se riesce a farlo ovviamente). La
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terapia neoadiuvante, quando dobbiamo farla, abbiamo bisogno di informazioni molto
più dettagliate rispetto a quella di sapere se è cancro oppure non lo è. Se la paziente non
è operabile invece, a me interessa solo sapere se è un tumore maligno. Va bene?( Qui
poi il prof. Fa delle digressioni su Charles Bovary, da Madame Bovary…).
Domanda di una ragazza: Prof, quindi se la paziente (fa l’istologico?) va valutato dal
trattamento neoadiuvante? Risposta: Le pazienti che devono fare trattamento
neoadiuvante, necessariamente hanno bisogno di un istologico, perché l’Her2, la FISH,
non si può fare su citologico, o comunque è molto indaginoso e molto più complesso.
Domanda: Prof. Il linfonodo sentinella della mammella si fa quando il tumore è
maggiore di 3cm? Risposta: Allora, il linfonodo sentinella si, si fa! Prima si faceva oltre
i 2cm quando la mammella era almeno nello stadio 2, però oggi si è scelto un cut-off
(non si sente bene, diverso?), entro i 3cm si fa il linfonodo sentinella. Vi ricordate come
si fa il linfonodo sentinella? Si inietta un tracciante, con una gamma camera si va a
vedere dove c’è il primo linfonodo drenante della zona. Per la mammella è facile, nel
melanoma non tanto. Il MELANOMA, ha bisogno anche della linfoscintigrafia. A noi
interessa sapere qual è la stazione.
Domanda: Prof ma in questo caso si valutano micro metastasi, macrometastasi per lo
svuotamento? Risposta: Allora nella mammella qualcosa è cambiato, nel senso che a
noi non ci interessa se sono cellule isolate o micro metastasi perché “in teoria” quella
paziente non dovrà fare più niente, a noi ci interessa quando sono macrometastasi. Se
sono macro- la paziente dovrà fare la radicalizzazione del cavo ascellare. Ora, questo
esame può essere fatto in intraoperatorio o all’esame definitivo, non ci interessa. Il
problema è che nel caso di macrometastasi la paziente dovrà essere riaperta. Per le
micro- le linee guida dicono che sono irrilevanti per la prognosi della mammella quindi
possono anche essere lasciate così, sotto osservazione. Sono micro metastasi del
linfonodo sentinella, quindi il rischio che ci sia coinvolgimento degli altri linfonodi è
(basso? Non si sente bene).
Domanda: Prof per quanto riguarda i microarray e il mammaprint? Risposta: i
microarray sapete cosa sono? Si selezionano dei geni, e quindi l’RNA di questi geni si
mette in diversi pozzetti e si va a valutare l’espressione alta o bassa rispetto al normale
di determinati geni. Ora nel mammaprint esistono tutta una serie di geni che vengono
studiati, in genere sono geni legati al ciclo cellulare, apoptosi eccetera alcuni anche
secretati; non sappiamo tutto del mammaprint, però queste pazienti vengono gradate in
base all’espressione di questi geni in pazienti con un determinato rischio di
progressione, quindi quello che va a valutare il mammaprint è il rischio di progressione,
e quindi l’alto rischio è candidato ad un trattamento … (non si sente).
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Altra domanda: Quindi Prof ci interessa se sono macrometastasi? Risp: le micro
metastasi le linee guida dicono che non ci interessano per la prognosi della mammella,
quindi la paziente che ha una micro metastasi della mammella viene lasciata sotto
osservazione senza fare lo svuotamento dell’ascella. Però come sapete, tutte le linee
guida vengono smentite o spesso non seguite. Alcuni continuano a fare lo svuotamento
anche a pazienti con cellule isolate eh!! Altri problemi?
Domanda: Prof quindi la classificazione molecolare…con il mammaprint e espressione
recettore degli estrogeni? Risposta: No, e un’altra cosa. Ci si riferisce ai vari luminal
eccetera, però Oncoprint e Mammaprint usano altri geni, che poi in qualche modo si
riferiscono anche a questi ma che vanno a valutare il rischio di progressione. La
classificazione molecolare è più legata al concetto di terapia che poi devono fare queste
pazienti. Un’altra ragazza chiede di nuovo la classificazione molecolare, luminal A, B
eccetera (il prof non la dice, sta sul libro).
Domanda: Prof dato che abbiamo parlato di MELANOMA…? Risposta: importante è
che sappiate i fattori prognostici e predittivi alla terapia, per esempio … (non si
capisce). Domanda: Prof ma allora l’estemporaneo del linfonodo sentinella non si fa?
Risposta: Non è che non si fa, in realtà dipende dalle scuole di pensiero. In realtà il
problema dell’estemporaneo nei linfonodi in genere, è che è un estemporanea
approssimativa; immaginate che in estemporanea noi facciamo delle sezioni spesse di
tessuto, quindi noi possiamo dare un orientamento, le risposte possono essere: positivo
per tumore benigno, positivo per tumore maligno, negativo oppure non lo so. Nei
linfonodi che sono tessuti molto molli e friabili, farli in estemporanea, che richiede il
congelamento del pezzo e sezioni che sono spesse, la risposta non sempre è adeguata.
Quindi: o si decide di farla e mettere un tecnico e un patologo in estemporanea una
giornata, 1 ora 1 ora e mezza per singola paziente, altrimenti secondo me fare
l’estemporanea sui linfonodi è inutile; è meglio rimandare a meno che la metastasi non
sia grossolanamente evidente. E’ meglio rimandare e poi dare una risposta certa e poi
vedere se il pz dovrà rifare l’intervento. Esistono indagini molecolari che possono
superare questo, per la mammella ma non per il melanoma, che possono essere una
valida alternativa. Però l’esame estemporaneo classico, fatto sul linfonodo, secondo me
non ha senso fatto così. Cioè all’istituto europeo oncologico ci sono un tecnico ed un
patologo che si dedicano un’ora, 1 ora e mezza al singolo paziente. Significa sezionare
tutto il linfonodo e vedere sezione per sezione, cosa che richiede chiaramente personale
e soldi che spesso non ci sono. Quindi a sto punto meglio non dare una risposta e
rimandare tutto al definitivo (risposta certa), piuttosto che raffazzonare una risposta.
Questa è una mia opinione che al Pascale seguivo ma qui c’è tutta una cultura
dell’esame estemporaneo; che può avere un senso nella mammella, perché
effettivamente se l’interesse è solo per le macrometastasi allora la macro- e chiaro che
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si vede, però se, nel melanoma, è importante osservare micro metastasi o anche le
cellule isolate questo non è sempre (possibile? Non si sente bene). Anche perché con
l’estemporanea, il linfonodo si conserva, si fanno sezioni spesse, noi non la vediamo la
metastasi che magari c’era, l’ abbiamo conservato e quando facciamo il vetrino ci risulta
tutto negativo, perché la micro metastasi la rischiamo di perdere. Quindi nel melanoma
non si fa.
Domanda: Quindi se il nodulo mammario è inferiore ai 2cm la citologia la consideriamo
diagnostica? Risp: Si! Possiamo fare diagnosi, a meno che la paziente non abbia
metastasi alle ossa e ai polmoni, chiaramente in quel caso ha bisogno di informazioni
riguardo il profilo immunoistochimico (fa l’istologico).
Anatomia Patologica 12/05/2016 Prof. Franco (prima parte)
[Noi l'altra volta abbiamo parlato delle epatiti croniche,infettive,diciamo che queste
lezioni sul fegato sono un po' caotiche perché gli argomenti sul fegato sono tantissimi,
non riusciamo ad affrontarli tutti insieme, quindi sta a voi fare un po' di sintesi e di
riorganizzazione del pensiero. Io quello che ho voluto farvi vedere sono delle
immagini soprattutto, è un metodo un po' deduttivo per capire quali sono gli aspetti
delle epatiti croniche, su alcune cose sono ritornato, quindi vedete un attimo di
recepire il meglio di tutte queste cose].
L'epatite cronica, abbiamo detto che è una patologia infiammatoria, come tutte le
patologie funzionali necessita di uno strumento morfologico diagnostico che è la
biopsia epatica.
Voi sapete che la biopsia epatica la fa l'epatologo e la invia all'anatomopatologo, però
con tutte le informazioni cliniche pertinenti. Chiaramente non è che vogliamo sapere
se il paziente è stato operato di appendicectomia per esempio, non ci interessa, però
vogliamo sapere perché quel paziente fa la biopsia, quali sono le sue problematiche
epatiche,sicuramente gli esami di laboratorio pertinenti che possono indirizzarci verso
una diagnosi di pattern e poi chiaramente possiamo anche ipotizzare una diagnosi
eziologica.Quindi la biopsia epatica ci serve fondamentalmente per definire il pattern
della lesione.Chiaramente se ci sono adeguate informazioni cliniche e se ci sono
adeguati strumenti in anatomia patologica,che possono essere anche
l'immunoistochimica dell' HbsAg,HbgAb, (insomma esistono anche delle
immunoistochimiche che ci dicono se quelle cellule sono realmente infettate o no),
possiamo anche ipotizzare un'eziologia.
Dunque innanzitutto la biopsia epatica deve essere ADEGUATA, quindi deve essere
sufficientemente lunga (almeno 1,5-2 cm) e deve contenere un numero di spazi portali
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che dipende dalle scuole di pensiero ed anche dal tipo di patologia (se il sospetto è di
una patologia biliare come CBP o CSP servono più spazi portali), orientativamente
6/10 spazi portali completi,cioè con la rappresentazione di tutte le strutture che fanno
parte dello spazio portale,che sono 3 (la cosiddetta triade dello spazio portale).Quindi
noi dobbiamo valutare gli spazi portali perché è li che nella maggior parte dei casi si
verificano i danni soprattutto per le epatiti croniche,a differenza di quelle acute che
sono più massive ed interessano prevalentemente i lobuli, nelle forme croniche c'è un
interessamento prevalentemente degli spazi portali.
Abbiamo parlato un po' di grading e staging,chiaramente voi non dovete imparare
tutto a memoria,esistono diverse tipologie di grading e staging; però dovete sapere che
il grading è la GRADAZIONE dell'infiammazione,normalmente esistono tutta una
serie di Scores applicati all'entità degli infiltrati infiammatori e degli spazi e dei
lobuli,se c'è necrosi della lamina limitante o no e quindi a ognuno di questi si
attribuisce un punteggio,alla fine la somma di questi punteggi ti da lo score finale che
ti consente di classificare l'epatite in LIEVE,MODERATA e SEVERA a seconda che
ci sia una minor o maggior severità dell'infiammazione.
Esistono invece diversi Staging che riguardano appunto la fibrosi che è diciamo il
danno cicatriziale conseguente alla necrosi e all'infiammazione che si osserva in
queste patologia e chiaramente in tutte le forme croniche inizia dagli spazi portali, ci
possono essere dei setti che possono essere completi o incompleti (i COMPLETI sono
quelli che arrivano all'altro distretto vascolare che può essere l'altra vena
centrolobulare o l'altro spazio portale),quando diventano particolarmente spessi si
parla di PONTI. La circoscrizione da parte dei ponti di parenchima epatico configura
il nodulo, che poi è il nodulo CIRROTICO.
Anche per lo staging ne esistono diversi; quello di Ishak contempla 6 stadi, gli altri ne
contemplano 4.Chiaramente lo staging è l'elemento più rilevante per calcolare il
rischio di progressione di una patologia epatica.
Quindi campione adeguato, staging e grading.
Per fare ciò ci serviamo delle colorazioni NON standard dell'istochimica (no
immunoistochimica).L'istochimica va ad identificare determinate sostanze. Il PAS
abbiamo detto che identifica? Gli zuccheri complessi. Quindi glicogeno e
glicoproteine. Il PAS diastasi depura la colorazione dal glicogeno. E quindi ci
consente di vedere meglio alcune cose.Il vetro smerigliato secondo voi come si vede
meglio? Con PAS diastasi o Ematossilina Eosina? Ematossilina Eosina. PAS diastasi
serve invece a vedere meglio i corpi acidofili di Councilman, che sono tipici di quale
epatopatia cronica? L'epatite C! Il vetro smerigliato invece è tipico della B!
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Riguardo il fattore eziologico, abbiamo detto che può essere ACCERTATO
chiaramente con l'immunoistochimica per quanto riguarda il virus B e SOSPETTATO
in lesioni quando ci sono determinati pattern istochimici suggestivi di virus C. Per
esempio l'HCV è sospettata perché gli infiltrati infiammatori sono spesso nodulari,
coinvolgono principalmente gli spazi portali, la steatosi è tipica, si trova sempre
nell'infezione da HCV e qualche volta si trova la colestasi e i corpi di Councilman.
Questi sono gli elementi INDIRETTI che possono farci sospettare un'epatite cronica
da HCV ed essa è SEMPRE associata ad una fibrosi che può essere almeno modesta.
Essa va spesso al di la degli spazi portali.
Tutte invece le patologie infiammatorie biliari, dei dotti o larghi dotti che non si
trovano negli spazi portali, sono caratterizzate da un danno dell'albero biliare, quindi
un'infiammazione fino alla distruzione completa dei dotti biliari a livello degli spazi
portali, e questo è l'esempio della cirrosi biliare primitiva. Anche questo però non è
esclusivo della cirrosi biliare primitiva, perché può trovarsi ad esempio dell'epatite C e
per poter fare diagnosi di CBP bisogna avere un numero adeguato di spazi portali per
vedere se questo è un fenomeno a spettro diffuso o focale. Poi lo vedremo. Il pattern
morfologico ne abbiamo parlato. I pattern morfologici principali sono quelli
dell'epatite acuta, cronica, oppure di colestasi, steatosi e steatoepatite. La correlazione
col dato clinico è FONDAMENTALE e queste informazioni chiaramente servono per
tutta una problematica che riguarda la terapia, che negli ultimi anni ha avuto
particolarmente successo nel trattamento di alcune infezioni croniche che un tempo
non erano curabili e anche alcune forme di epatopatie croniche con fibrosi importante
possono andare incontro ad una regressione se non totale almeno parziale.
Quindi, un prelievo bioptico abbiamo detto che deve essere almeno di 2 cm però se è
di più è meglio. Quando il prelievo è frammentato,la frammentazione non consente
di vedere bene gli spazi portali o il lobulo,però la frammentazione che spesso subiamo
nelle biopsie è spesso indice di una fibrosi importante e quindi può associarsi a cirrosi,
ma questo è un dettaglio.Poi bisogna stare attenti a fare il prelievo all'interno del
fegato evitando il più possibile la capsula glissoniana che è fibrotica e i tralci fibrosi
della glissoniana si addentrano nel parenchima e possono dare l'aspetto della falsa
fibrosi,che non è patologica ma è la fibrosi naturale fisiologica che si trova nelle
porzioni superficiali del fegato al di sotto della glissoniana, quindi bisogna evitare le
porzioni sottocapsulari. Anche perché qui sotto per l'effetto della spremitura, quando
si fa il prelievo, dei vasi del fegato si trovano anche molti granulociti, e i granulociti li
troviamo soprattutto nell'epatopatia alcolica.
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Quindi quando andiamo a vedere una biopsia epatica ci andiamo a riferire a un
prelievo che è 1:50000 del parenchima epatico, chiaramente tutte le epatopatie
croniche interessano tutto il parenchima epatico e quindi è sufficiente se però c'è un
numero sufficiente di spazi portali.
L'adeguatezza non è però un parametro riconosciuto in tutto il mondo, ricordate che
servono almeno 6-7 spazi portali per una patologia comune (epatiti croniche post
infettive),ma per una patologia biliare ne serve un numero superiore, sicuramente 10
potrebbe essere un numero adeguato.
Il Grading l'abbiamo detto più volte si riferisce all'entità dell'attività infiammatoria, lo
staging al ?.Il grading misura quanto l'infiammazione è presente e lo staging che
danno ha creato.
L'ISTOCHIMICA abbiamo detto che ci consente di vedere delle alterazioni che
all'ematossilina eosina non si possono vedere. Considerate che la biopsia epatica
quando arriva all'anatomia patologica bisogna rivedere delle sezioni di istochimica già
al momento dell'accettazione del campione. Ricordate che tutti i campioni piccoli
quando vengono tagliati al blocchetto in paraffina (ricordate la processazione dei
campioni istologici, prima fissati poi processati; che significa processati? Prima di
includerli in paraffina dobbiamo disidratarli, poi li portiamo in paraffina, che è una
cera e facciamo il blocchetto; al microtomo si tagliano le sezioni e quindi
normalmente a seconda della patologia si fanno 1-2 sezioni) .Quando però le sezioni
sono molto piccole e si chiede al tecnico di ritagliare il blocchetto, il tecnico deve
un'altra volta livellare il blocchetto e si rischia di perdere il materiale. Quindi per tutte
le piccole biopsie, quando si può già prevedere alla prima sezione tutto quello che è
necessario fare si fa. E in particolare questo si fa per il fegato, le biopsie endoscopiche
e le biopsie osteomidollari per esempio.Quindi io già alla sezione quando arriva il
campione prevedo che oltre all'ematossilina eosina devo fare: la TRICROMICA per
vedere il collagene, la deposizione di collagene è indice di una fibrosi attiva, cioè che
le cellule di Ito sono state stimolate per qualche motivo ed inducono la sintesi di
collagene, che è quello che danneggia il parenchima epatico; devo prevedere una
sezione del reticolo, cioè del collagene di tipo III che è il normale collagene su cui si
poggiano le lamine epatiche, questo può collassare e quindi ci da l'aspetto dei setti
collassati cioè passivi, perché le lamine epatocitarie vanno in necrosi e l'impalcatura si
accolla. Oppure come abbiamo visto quando tra due binari del reticolo ci sono più di
una linea di epatociti allora è un aspetto indiretto di una proliferazione indotta
chiaramente in questi casi stiamo parlando di epatiti croniche. Il PAS va fatto sempre
e confrontato con il PAS diastasi. Abbiamo detto che il PAS diastasi ci serve per
vedere i corpi acidofili e molto bene l'entità della PIECEMEAL NECROSIS
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(necrosi della lamina limitante) che è uno dei parametri su cui si va a fare lo score da
cui dipende il grading della biopsia epatica. Quindi la piecemeal necrosis, che è la
necrosi della lamina limitante, è un indice di importante attività dell’infiammazione
quindi è necessario scorarla per poi avere il grading definitivo. L’ Iron di Peals la
conoscete già, il rame, normalmente però quelle che facciamo sempre sono: la
tricromica, il reticolo PAS, PAS diastasi, ed il ferro.
La TRICROMICA: questa è una tricromica di Masson, il collagene appare blu, qua
siamo nello spazio portale e c’è una fibrosi che riguarda solo lo spazio portale e c’è
qualche delicatissimo setto incompleto, che però comincia a vedersi, ma la cosa è
minima, questo verrebbe sicuramente gradato da Ishak come uno stadio 1.
Qua invece abbiamo sempre il blu del collagene che circoscrive noduli, quindi questa
è una cirrosi epatica. È micro o macronodulare? Questa è una biopsia epatica, lo
spessore della biopsia epatica quant’è? Massimo 2 mm, quindi se un nodulo epatico
entra nello spessore dei millimetri siamo in una micronodulare perché qual è il cut-off
della micronodulare? 3mm. Quindi le cirrosi micronodulari, ricordate che possono
essere visibili già sulla biopsia epatica, mentre le macronodulari possiamo averne solo
la percezione sulla biopsia. Ricordate che la maggior parte delle cirrosi è di tipo
misto, però quando vediamo già un nodulo completo micronodulare in una biopsia
epatica possiamo fare tranquillamente diagnosi di cirrosi epatica, quindi una
epatopatia cronica che è già evoluta e siamo magari in una fase anche compensata, ma
di una cirrosi epatica.
Questa invece è impregnazione argentica: qui vedete abbiamo binari di reticolo e
guardando la lamina perpendicolarmente rispetto allo spazio portale, vediamo che è
costituita da una lamina di cellule.
Qui c’è un maggiore affollamento che può essere anche un indice indiretto di una
necrosi.
Qua invece c’è un reticolo, stranamente, quindi qua c’è una rigenerazione importante
perché tra le lamine esistono anche 2 cellule e talvolta forse anche 3, quindi la
presenza di più lamine epatiche tra i binari del reticolo è un indice indiretto di
rigenerazione, cioè un fegato danneggiato che si sta rigenerando. Questo è il terzo che
non si vede benissimo, ma la colorazione è bluetta.
MORFOLOGIA: per morfologia si intende sempre ematossilina-eosina associata a
colorazioni istochimiche e le informazioni cliniche ci consentono di fare, non solo una
diagnosi del pattern di lesione, ma anche della possibile etiologia. Quindi se un
epatologo mi invia un campione nel quale dice che il paziente è sospetto di una
epatopatia cronica di tipo C, io concluderò il mio referto dicendo che ho visto: una
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struttura lobulo-laminare più o meno conservata, con spazi portali sede
d’infiammazione anche di tipo nodulare, piecemeal necrosis di una certa entità, faccio
il grading, valuto la fibrosi con il collagene, indentifico dei setti e forse dei ponti e poi
posso concludere con corpi di Councilman, ecc ecc, che la epatopatia cronica di una X
attività e di una X cirrosi è compatibile con una etiologia da HCV. Quindi, io posso
dare soltanto la compatibilità solo se il clinico mi dice che effettivamente questo
paziente ha un profilo sierologico di infezione da HCV, quindi noi diamo la
compatibilità perché non abbiamo parametri oggettivi che ci consentono di dire che
effettivamente quella è una epatopatia cronica da HCV. La stretta interazione tra
patologo ed epatologo è necessaria per la diagnosi conclusiva.
Questa è una biopsia epatica, ci sono dei fustoli, qua ci sono artefatti perché la fetta
del fegato si è ripiegata per cui abbiamo immagine lineare e regolare, vediamo delle
pieghe che non hanno nessun senso, però in questo fegato vediamo un infiltrato
infiammatorio nodulare. Qui c’è un danno con cellule necrotiche, c’è uno spazio
portale ispessito e fibrotico e qui c’è un danno che prosegue nel lobulo, qui c’è una
piecemeal necrosis importante e fibrosi importante nello spazio. L’aggregato qui è
linfoide e nodulare, qui si vedono piccoli duttuli biliari che proliferano, e ricordate che
la neo-duttulazione negli spazi portali è un fenomeno che si osserva frequentemente in
tutte le situazioni in cui è danneggiato lo spazio portale. Quindi si osservano dei
duttuli che non sono neoplastici, ma proliferanti.
Questo è uno spazio portale con lieve fibrosi, attività lobulare all’interno del questo è
uno spazio portale e a ridosso di questo c’è la lamina limitante e vedete che il
processo infiammatorio ha sfondato la lamina limitante e va nel parenchima, quindi se
volessimo gradare questa piecemeal necrosis la graderemmo come piuttosto severa.
La picemeal necrosis è un parametro molto importante per la valutazione del grading
complessivo dell’infiammazione.
Qui siamo a ridosso della lamina limitante, le cellule infiammatorie stanno nello
spazio portale però cominciano ad erodere la lamina limitante ed i linfociti arrivano a
circondare l’epatocita, per cui anche in questo caso gradiamo la picemeal necrosis
come moderata.
Qui invece non vediamo spazi portali, siamo all’interno del lobulo e questa è quella
che viene definita attività lobulare e vediamo un corpo acidofilo quindi anche
l’attività lobulare va gradata. Quindi, nel grading va gradato:
•
l’entità dell’infiammazione portale,
•
l’entità della necrosi della lamina limitante
•
l’entità dell’infiammazione portale.
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Dallo score che attribuiamo ad ognuno di questi parametri abbiamo uno score
complessivo da cui deriva il grading della infiammazione epatica.
Qui vediamo una biopsia epatica che è molto rossiccia con qualche area blu. Questo è
uno spazio portale con piccoli setti, non possiamo dire se completi.
Qui anche è uno spazio portale con una fibrosi che sembra localizzata solo nello
spazio portale. Invece la biopsia di sotto, che appartiene allo stesso paziente, ha aree
blu più marcate che sono quelle della fibrosi effettiva, mentre quelle blu più pallide
sono aree in cui si trovano detriti cellulari, macrofagi, quindi c’è un’ entità necrotica
importante che è più tipica delle epatiti acute, ma si può trovare anche in particolari
forme di epatiti croniche. Dobbiamo sempre distinguere ciò che è intenso da ciò che è
meno intenso, perché il primo è dovuto a fibrosi e il secondo alla necrosi.
Questa è sempre una tricromica con blu molto pallido e quindi è un blu non
collagenico, ma necrotico.
Qui invece è blu molto più intenso, è una vera fibrosi portale con dei sottilissimi setti
e la fibrosi va ad incanalarsi negli spazi di Disse, per cui i sinusoidi vengono
collagenizzati, di conseguenza aumenta la pressione portale ed il sinusoide diventa
come un capillare, cioè il sangue passa direttamente dallo spazio portale alla vena
centrale senza avere nessuno scambio con gli epatociti. Normalmente l’anatomia dei
sinusoidi consente gli scambi necessari tra questo spazio e gli epatociti.
Qui abbiamo ancora una collagenosi dello spazio portale e riconosciamo lo spazio
portale perché abbiamo una grossa vena che è un ramo di una vena portale, qui c’è un
ramo dell’arteria epatica e qui ci sono due dotti. C’è una fibrosi importante ed anche
qui si vede un esilissimo setto, quindi è uno stadio 1-2 di Ishak.
Domanda: “il collagene all’interno dello spazio di Disse è al di là dei setti portoportali?”
Risposta: “È una fibrosi chiaramente iniziale agli spazi di Disse che poi si estende ed
il collagene neo-apposto formerà dei setti fino a formare veri e propri ponti”.
Ricapitoliamo: l’ epatite acuta è caratterizzata da necrosi degli epatociti che può
essere più raramente di singoli epatociti e più frequentemente di epatociti confluenti.
Talvolta la necrosi può essere massiva e riguardare interi lobuli epatici, quindi indice
di un’epatite acuta importante, talora fulminante, perché si instaura rapidamente
insufficienza epatica importante. Quando compaiono segni e sintomi di una
insufficienza epatica? Quando più del 75% del parenchima epatico è danneggiato.
Quando ci troviamo di fronte ad epatite acuta che può durare anche per mesi (è
verosimile che un pz con una epatite acuta di lunga durata faccia una biopsia epatica),
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dobbiamo distinguerla dalla cronica. La differenza tra la biopsia epatica di un paziente
con epatite acuta ed epatite cronica è la necrosi che è più importante nella epatite
acuta, l’infiammazione è prevalentemente lobulare nella acuta, mentre è più portale
nella cronica e poi la fibrosi che comunque noi troviamo nell’epatite cronica, mentre
non c’è stato il tempo di formarsi nell’epatite acuta. Nell’epatite acuta troviamo dei
setti che non sono attivi, ma sono setti passivi e sono dovuti al collasso delle fibre
reticoliniche.
Qua abbiamo biopsia epatica con spazi portali, aggregati linfoidi da HCV, questa
quindi è una epatite cronica da HCV che si vede anche a quest’ingrandimento. Oltre
agli aggregati linfoidi nodulari. che sono negli spazi portali, è molto evidente in
questi lobuli epatici la steatosi, cioè è una biopsia pallida, perché queste cellule sono
replete di trigliceridi.
Qui abbiamo uno spazio portale e riconosciamo: un ramo della vena porta, i dotti e, un
po’ schiacciato, un vaso dell’arteria epatica. C’è un infiltrato infiammatorio dello
spazio portale e c’è epatite d’interfaccia, infatti è eroso l’epatocita. Se su questa
sezione di ematossilina-eosina facessimo il PAS vedremmo l’entità della piecemeal
necrosis perché gli epatociti che sono pieni di glicogeno, si colorano di rosso magenta
e li troveremmo schiacciati in mezzo all’infiammazione, e questo è un indice del fatto
che l’infiammazione ha sfondato la lamina limitante e ha invaso il lobulo epatico.
Quando abbiamo epatite di interfaccia, col PAS tutto il parenchima si colora in rosso
magenta molto intenso e si colorano prevalentemente gli epatociti, quindi con la
piecemeal necrosis noi dobbiamo trovare all’interno dell’infiltrato gli epatociti
schiacciati, il che significa che l’infiltrato infiammatorio ha circondato isole o singoli
epatociti e quindi vuol dire che ha sfondato la lamina limitante, questo chiaramente a
ridosso degli spazi portali.
Questo chiaramente avviene a ridosso degli spazi portali e non nel parenchima
lobulare. Abbiamo un infiltrato infiammatorio che sta circondando gli epatociti,
questo significa che ha sfondato la lamina limitante. La lamina limitante è una
barriera di epatociti che impedisce che i processi infiammatori vadano al di là dello
spazio portale. Quando valicano lo spazio portale vuol dire che c’è un danno (di
singoli epatociti, che noi possiamo anche non riuscire a vedere). Quindi l’infiltrato
infiammatorio si sta facendo spazio attraverso la lamina limitante e sta invadendo il
parenchima a ridosso dello spazio portale.
Quindi, ricapitoliamo, la differenza tra EPATITE ACUTA E CRONICA è che
- nell’EPATITE ACUTA ha un infiltrato prevalentemente lobulare, quindi portale con
necrosi che può essere più o meno estesa e soprattutto non c’è fibrosi;
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- nell’EPATITE CRONICA (che è un epatite sostenuta da diversi virus, ma anche da
altre patologie, altri fattori eziologici come le malattie autoimmuni) c’è sempre
fibrosi, cioè nella malattia cronica il danno provoca sempre deposizione di
collagene(quindi le cicatrici che si formano in ogni parte del corpo le ritroviamo
anche nel fegato). Quindi nelle epatiti cronica micronodulari(?) c’è sempre la fibrosi e
gli altri parametri di cui abbiamo parlato.
IMMAGINE: in uno spazio portale c’è un aggregato linfoide, nodulare, molto esteso.
È suggestivo di epatite C.
Le epatiti croniche oltre che di natura infettiva possono essere anche di natura
AUTOIMMUNE. Le AUTOIMMUNI ACUTE chiaramente sono molto rare, mentre
sono più frequenti quelle CRONICHE. Esistono una serie di patologie autoimmuni
nel fegato. Quando parliamo di 1 epatite autoimmune ci riferiamo ad una patologia in
cui gli anticorpi sono dirette contro strutture dell’epatocita , in particolare contro il
muscolo liscio (SMA), i nuclei (nelle forme caratteriste della donna di mezza età) e
contro una proteina microsomiale (LKM1) che si trova nel fegato e nel rene. Quadro
clinicoà pz donna, con storia di malattia autoimmune o comunque che ha una
patologia cronica vedrà già screenato, con la sua biopsia epatica (dal patologo) e
quindi avrà tutta una serie di autoanticorpi sia virali che autoimmunitari che ci aiutano
a fare la diagnosi. Ma il criterio diagnostico fondamentale, per fare diagnosi di epatite
autoimmune, oltre al fatto che generalmente gli infiltrati sono nodulari, oltre al fatto
che la steatosi è molto frequente e che la piecemeal necrosis è molto estesa, è che
troviamo nell’infiltrato infiammatorio le plasmacellule. Le plasmacellule sono cellule
con nucleo disposto alla periferia e citoplasma eosinofilo perché pieno di proteine, le
Immunoglobuline. Le plasmacellule nelle epatiti autoimmuni si dispongono a formare
cluster (gruppi).
IMMAGINE: sono visibili i CORPI DI COUNCILMMAN, corpo acidofilo che si
trova nelle epatiti da HCV e anche nelle epatiti autoimmuni.
LE EPATITI CRONICHE posso essere anche TOSSICO-METABOLICHE, alcuni
farmaci possono determinare danno epatico, come ad esempio il paracetamolo (viene
usato come antinfiammatorio nei bambini, ma non ci dobbiamo dimenticare che è
epatotossico). L’aspetto istologico fondamentale di tutte le patologie indotte da
farmaci è la PRESENZA DI EOSINOFILI (a qualunque livello sia il danno da
farmaco, che può essere cutaneo, renale, epatico o cerebrale…..).
Tra le patologie tossico-metaboliche vi è l’Emocromatosi e il morbo di Wilson che vi
farete dal libro, così come la PATOLOGIA NEOPLASTICA.
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IMMAGINE DI BIOPSIA EPATICA: vediamo Steatosi, ma anche vero e proprio
grasso, e Fibrosi. Questo è un prelievo sub-capsulare. Quindi dobbiamo stare molto
attenti quando facciamo i prelievi sotto la capsula per 2 ragioni: c’è la fibrosi della
glissoniana che si spinge nel parenchima e la spremitura dei vasi con abbondanti
granulociti. Saputo questo possiamo affrontare lo studio di una biopsia epatica.
IMMAGINE: Steatosi importante, prevalentemente macrovacuolare , però ci sono
anche dei piccoli vacuoli. A maggior ingrandimento vediamo anche dei piccoli
vacuoletti. Le cellule a ridosso delle cellule vacuolizzate hanno un aspetto strano: non
sono eosinofile come gli epatociti, ma hanno citoplasmi chiari, balloniformi.
La degenerazione balloniforme si trova in alcune epatopatie croniche, soprattutto
tossico-metaboliche. In particolare in quella alcolica abbiamo un pannello di
steatoepatiti.
STEATOSI E STEATOEPATITE sono patologie che riguardano il fegato nei pz con
sindrome metabolica, resistenza all’insulina, obesità, ipercolesterolemia,
ipertrigliceridemia. [Questi pz vanno incontro ad accumulo, per un danno che si ha nel
citocromo P, con formazione di radicali tossici.] Sia l’alcool che i grassi all’interno
degli epatociti determinano la liberazione di radicali liberi (NDS. Prodotti dalla
reazione di catabolismo dell’alcool da parte del citocromo p450) che creano danno al
citoscheletro, con l’aspetto di questa degenerazione balloniforme. È una coagulazione
di proteine che dà i corpi di Mallory, anche in questo caso li vediamo come accumuli
eosinofili, a ferro di cavallo, che si vedono intorno ai nuclei. Quindi, CORPI DI
MALLORY e DEGENERAZIONE BALLONIFORME sono marker diagnostici di
danni tossici (es. Alcool) o metabolici (es. Steatosi/Steatoepatite).
IMMAGINE: vescicole di grasso microvauolare e macrovacuolare.
Il danno nella steatosi, soprattutto da alcool, determina una così rapida crescita del
citoplasma dell’epatocita che ad un certo punto scoppia. Il grasso rimane nel
parenchima epatico e da luogo ad un’infiammazione granulomatosa a cellule giganti.
Il granuloma viene detto LIPOGRANULOMA, che tipico dell’alcolismo e di tutte le
steatoepatiti.
Tornando al campione, il campione deve essere di 1,5cm, però questo comprende
anche la porzione sotto-capsulare in cui la porzione di parenchima epatico è molto
poca. La porzione di fegato, qua è di 0,4cm o poco più con un unico spazio portale,
come ce la caviamo, tenendo conto che questo campione è inadeguato? In questo caso
la problematica delle steatosi e delle steatoepatiti, colpiscono prevalentemente il
lobulo, quindi che ci sia steatosi lo possiamo dire? Sì, in un pz che ha sindrome
metabolica potrebbe anche essere sufficiente.
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Per parlare di steatoepatite abbiamo bisogno di altri 2 parametri che sono:
infiammazione e fibrosi, perché anche la steatoepatite può evolvere in cirrosi. Quindi
non necessariamente dobbiamo far pungere il pz se ci sono tutti i parametri per dire
che ha steatoepatite. Diciamo che la diagnosi è limitata, dal fatto che c’è solo uno
spazio portale, però se c’è un quadro clinico con alcolismo o obesità (perché
nell’obeso è difficile fare la biopsia) possiamo dire che c’è compatibilità con un
quadro steatoepatitico, anche con un solo spazio portale perché il danno in questo
caso è prevalentemente parenchimale (NDS: non si fa rifare la biopsia , se la prima
era inadeguata, se c’è un quadro clinico compatibile con la steatoepatite)
IMMAGINE: unico spazio portale, con colorazione tricromica. C’è fibrosi dello
spazio portale, quindi non è una semplicissima steatosi.
STEATOSI: danno epatocitario di accumulo di acidi grassi e di colesterolo
STEATOEPATITE: danno epatico avanzato perché abbiamo l’infiammazione, ma
soprattutto l’esito dell’infiammazione, cioè la fibrosi che ha sostituito il parenchima
danneggiato.
IMMAGINE (dettaglio): fibrosi dei sinusoidi detta anche “capillarizzazione dei
sinusoidi”; fibrosi della parete della vena centro-lobulare
IMMAGINE BIOPSIA: si vede una grossa parte di glissoniana
Ricordiamoci che quando parliamo di malattia del fegato grasso ci riferiamo alla
steatosi fino ad arrivare alla steatoepatite, che può evolvere in cirrosi. Tutte quelle che
un tempo venivano chiamate cirrosi criptogenetiche perché non si riconosceva la
causa spesso rientravano in cirrosi post steatoepatitiche, tipica degli obesi e dei pz con
sindrome metabolica.
La differenza tra steatoepatite metabolica ed epatite alcolica è minima, nel senso che
dal punto di vista istologico la diagnosi differenziale è veramente difficile. Tutte
quante sono complicate da fibrosi, però c’è qualche elemento che ci può suggerire che
si tratti di epatopatia alcolica: stasi della bile, degenerazione balloniforme e corpi di
Mallory che sono molto più evidenti in questa condizione piuttosto che nella
steatoepatite metabolica (N.B. i pazienti obesi possono consumare alcool e anche un
consumo di alcool superiore a 80mg al giorno per 10 anni può portare ad una cirrosi).
Le cause più frequenti di steatosi sono:
1. Alcool (la più frequente)
2. uso di corticosteroidi
3. epatite C (perché associata a steatosi)
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4. sindromi metaboliche
Il rischio di evoluzione in cirrosi è molto elevato nella steatoepatite, quindi quando
c’è un danno epatico importante che si manifesta a livello istologico nel ballooning e
con i corpi di Mallory nonché la fibrosi. Chiaramente quando c’è fibrosi il rischio di
evoluzione in cirrosi è molto più alto, 26% in questa casistica.
Steatosi: danno epatocitario che riguarda più del 5% degli epatociti
Steatoepatite: legata ad infiammazione ma soprattutto alla fibrosi.
• La degenerazione, il danno epatico, nell'alcolismo e nelle steatoepatiti è dato
proprio dal ballooning. Questo danno è dato dall'idrossilazione delle strutture che
fanno parte della cellula e dà questo aspetto a "pallone rigonfio" agli epatociti, che si
svuotano anche del loro contenuto. Tutte le strutture proteiche che vengono
danneggiate divengono eosinofile e si vanno ad accumulare intorno al nucleo dando i
cosiddetti corpi di Mallory.
[mostra immagine con steatoepatite macrovescicolare, con corpi di Mallory e
infiammazione, in paziente obeso e alcolizzato di 58 anni.]
Dobbiamo avere informazione di tutti i marker sierologici.
Caso clinico: Paziente donna di 52 anni, affaticata, con indici di colestasi alterati,
transaminasi un po' elevate, fosfatasi alcalina raddoppiata, quasi triplicata, la
gammaGT elevata con rapporto 5:1, autoanticorpi contro mitocondrio, vi ricordano
qualcosa? La cirrosi biliare primitiva. La paziente ha anamnesi negativa per virus,
malattie metaboliche ecc. Abbiamo un bel campionamento con 4 frustoli, perché
abbiamo 4 frustoli in questo paziente? Un prelievo così esteso? Perché ricordiamo che
in una patologia con quadro colestatico, e in questo caso anche anticorpi
antimitocondrio, dobbiamo fornire al patologo più materiale possibile, con più spazi
portali possibili, perché per fare diagnosi di patologia biliare abbiamo bisogno di più
spazi portali. Non ci accontentiamo dei 6-7 o addirittura 1 nelle forme di steatoepatite
in cui siamo stati in grado di dare una compatibilità perché c'era un quadro lobulare
abbastanza tipico.
Nello spazio portale cosa riconosciamo qui? Un dotto biliare, con infiammazione.
Qui invece siamo in un altro spazio portale, fibrotico, con molti dotti schiacciati e c'è
il fenomeno della neoduttulazione. Quindi, quando c'è un danno delle vie biliari, c'è
un tentativo di compensazione che tenta di formare più duttuli possibili nella
neoduttulazione. Non sono dotti, sono duttuli.
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Notiamo poi delle cellule giganti, quindi uno dei parametri che ci consente di fare
diagnosi morfologica con una cirrosi biliare primitiva, è la presenza di infiammazione
con cellule giganti e quindi la formazione di veri e propri granulomi, e, nelle prime
fasi, si associa anche la formazione di duttuli.
In questo spazio portale, che si riconosce per la presenza di un'arterietta, mancano
invece i dotti. Quindi nelle fasi avanzate della cirrosi biliare primitiva i dotti
scompaiono (e questo è un criterio diagnostico delle fasi avanzate).
E' una malattia con pattern di tipo colestatico, significa che ho tutti i parametri della
colestasi, uno in particolare è il danno dell'albero biliare. Quindi questo è un dotto
biliare danneggiato, si trovano addirittura dei linfociti che vanno a ridosso del dotto, e
lo erodono. Quale altra patologia vi ricorda un'erosione dell'epitelio ghiandolare da
parte delle cellule infiammatorie? Le criptiti della rettocolite ulcerativa.
Il danno della struttura ghiandolare, o dell'epitelio, si vede perchè le cellule
infiammatorie erodono e mangiano l'epitelio. Nelle prime fasi abbiamo detto che c'era
neoduttulazione, che è una condizione tipica di tutte le malattie biliari, ma non
esclusiva delle malattie biliari, perchè si trova anche in altre patologie infiammatorie
(per esempio epatite cronica da virus C), mentre nelle forme avanzate c'è
l'infiammazione, ma scompaiono completamente i dotti. Ci sono indici di colestasi,
infatti si nota l'accumulo di bile negli epatociti perchè non riescono a scaricarsi nei
duttuli. Si osserva anche bilirubinostasi.
La cirrosi biliare primitiva può essere micro o macronodulare, ma i noduli sono
sempre rotondeggianti, con aspetto tipico a tassello di puzzle.
Ricordiamo che le patologie autoimmuni del fegato sono 3: la cirrosi biliare primitiva,
le epatopatie autoimmunitarie,poi queste due condizioni patologiche a volte si
possono sommare creando le sindromi da overlap, in cui sono presenti anticorpi
antimitocrondrio ma anche anticorpi antinucleo, anti muscolo liscio, anti LKM, quindi
si avrà sia un danno dei dotti, sia un danno degli epatociti.
Esistono anche le cirrosi biliari primitive AMA negative e lì la diagnosi è più
complessa perché è patologica, a quel punto nella biopsia dobbiamo documentare
l'importante danno a carico dell'albero biliare.
Un'altra patologia che coinvolge i dotti è la colangite sclerosante, che coinvolge i
grossi dotti biliari, più frequentemente è extraepatica, ma talora anche intraepatica. La
diagnosi è di competenza del patologo soltanto in alcuni casi, perchè esiste una serie
di strumenti che consentono di vedere se c'è un restringimento dell'albero biliare,
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soprattutto se extraepatico con colangiografie retrograde. Se però il danno è
intraepatico (20% dei casi), i referti istologici possono esserci d'aiuto. Si notano in
particolare grossi dotti biliari con infiltrato intorno all'epitelio,e la colorazione
tricromica mette in evidenza una fibrosi con l'aspetto a sfoglie di cipolla intorno al
dotto biliare. Anche qui i dotti sono danneggiati e diventano quasi atrofici, appiattiti.
Per quanto riguarda lo staging della cirrosi biliare primitiva e della colangite
sclerosante, si usano dei criteri che vanno a documentare la fibrosi negli spazi portali,
fino alla formazione dei setti e dei ponti.
Mostra immagine con quadro macroscopico di cirrosi. I noduli sono verdastri perchè
c'è colestasi (si dice impronta colestatica), ricordando che anche le epatiti da HCV
posso avere impegno colestatico e possono anch'esse essere verdi.
Con le colorazioni tricromiche possiamo vedere la fibrosi collagenica in bianco (di cui
la Masson è la più comune).
Con il Rosso Sirio (che non è una vera tricromica) noi coloriamo specificamente il
collagene.
In un'altra immagine con colorazione tricromica il collagene è colorato di blu.
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Patologia del rene
La patologia renale
Lezione dell’ 8/04/2016
Le patologie renali di nostro interesse sono: le malattie glomerulari (le glomerulonefriti), le malattie
tubulari, di cui è sicuramente importante la necrosi tubulare acuta, le malattie interstiziali (le pielonefriti), le
malattie vascolari, le malattie cistiche e i tumori.
Le patologie renali si riflettono in una serie di quadri che sono:
•
•
•
•
La sindrome nefritica: caratterizzata da ematuria
La sindrome nefrosica: caratterizzata da proteinuria, il cut-off è 3g/100 mL nelle 24 h
L’insufficienza renale acuta: la causa principale è lo shock e qualsiasi forma che provochi
ipovolemia a livello renale
L’insufficienza renale cronica: rappresenta l’evoluzione di una serie di patologie come le
glomerulonefriti, le pielonefriti, le malattie cistiche renali, ecc.
-
Le patologie glomerulari (glomerulonefriti) sono caratterizzate da due sindromi fondamentali che
sono la sindrome nefrosica e la sindrome nefritica. La sindrome nefrosica è caratterizzata da una
ipoalbuminemia con una proteinuria massiva (si parla di sindrome nefrosica quando la quantità di
proteine nelle urine è maggiore di 3g/100 mL nelle 24h), di conseguenza si avrà una riduzione della
pressione osmotica e quindi edema, prevalentemente localizzato agli arti inferiori e nei pazienti
allettati nelle porzioni basse della schiena, iperlipidemia e lipiduria. Nella sindrome nefritica invece
il quadro caratteristico è ematuria con oliguria, ipertensione e iperazotemia. Il passaggio delle
cellule ematiche nel tubulo renale è dovuto ad un danno a livello glomerulare.
Quello che interessa all’ anatomopatologo ed al nefrologo per la diagnosi di glomerulonefrite è appunto il
glomerulo. La più importante indicazione di agobiopsia renale è proteinuria ed ematuria non clinicamente
spiegabili, ma solo nei pazienti adulti. Nei bambini invece non si fa la biopsia, ma si fa prima il cortisone,
perchè la maggior parte delle glomerulonefriti in età pediatrica con sindrome nefrosica sono dovute a
glomerulonefriti a minimal change, quindi la diagnosi si basa sulla risposta alla terapia. Questi pazienti
rispondono benissimo al cortisone, la sindrome nefrosica regredisce ed il bambino guarisce e non c’è
bisogno di fare la biopsia. La biopsia si fa quindi nel bambino cortisone-resistente e nell’adulto.
Per eseguire la biopsia abbiamo bisogno di un fusto che sia lungo almeno 2 cm e largo 0, 2 cm, un ago
abbastanza grosso perchè non ci interessa l’esame citologico, dobbiamo prelevare il tessuto, e deve essere
rappresentativo soprattutto della zona glomerulare, cioè della parte corticale del rene. Il numero di
glomeruli necessari per la valutazione diagnostica deve essere almeno di 4-6. Alla microscopia ottica si
osservano queste biopsie renali, la colorazione si fa con:
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•
Ematossina-Eosina (EE): è una colorazione standard, con l’ematossina si colorano i nuclei di blu
e con l’eosina si colorano le strutture citoplasmatiche di rosa.
A questa si aggiungono anche delle colorazioni speciali di istochimica, che sono:
•
PAS: colorazione che va ad identificare tutte le glicoproteine, nonchè tutti gli zuccheri complessi
(glicogeno)
• L’argentica: va a colorare le fibre reticoliniche, che sono le fibre del reticolo neo apposto. È una
colorazione a base di argento che precipita su queste fibre
• Tricromica: va a colorare il collagene
• Rosso congo (RC): che invece va a colorare l’amiloide
A questa diagnostica morfologica che utilizza il microscopio ottico si aggiunge una diagnostica che si fa con
l’immunofluorescenza, in campo oscuro, che va ad identificare le immunoglobuline IgG, IgM, IgA e le
frazioni del complemento C3, C4, C1q e le catene Kappa e Lambda che si ritrovano nell’amiloidosi
secondaria ad es. a mieloma multiplo.
A questo si può aggiungere la microscopia elettronica che di fatto però non si fa quasi più.
Per fissare il campione per la microscopia ottica abbiamo bisogno di resine epossidiche che consentono di
fare sezioni molto sottili del tessuto e quindi di valutare bene la morfologia, e le sezioni frozen (congelate)
che vengono invece utilizzate per l’immunofluorescenza, e la gluteraldeide nel caso debba essere fissato per
la microscopia elettronica.
Indicazioni per la biopsia: il paziente con sindrome nefrosica adulto, il paziente con sindrome nefrosica
cortisone resistente bambino, tutte le glomerulonefriti che sono rapidamente progressive che stanno
portando rapidamente all’ insufficienza renale, malattie sistemiche come il LES, che può creare danno renale
di diverso tipo, il diabete in alcune situazioni, ed altre patologie sistemiche.
Meccanismi eziopatogenetici
Perchè si chiama glomerulonefrite? Non c’è infiammazione nel glomerulo, è un nome che è stato utilizzato
per identificare tutte le patologie glomerulari che non riconoscono uno stato infiammatorio evidente al
microscopio ottico, il suffisso “ite” è un po’ aspecifico quindi in questo caso. La maggior parte riconoscono
dei meccanismi immunologici di danno glomerulare basati sulla formazione di complessi circolanti che si
vanno a depositare a livello renale, oppure su antigeni che circolano (come nel caso di tumori e di infezioni
virali) e che vengono intrappolati a livello renale e lì avviene la reazione da parte di anticorpi. Quindi o gli
immunocomplessi sono già formati e precipitano a livello renale, oppure si formano a livello renale perchè è
l’antigene che viene intrappolato, oppure ci sono delle rare forme in cui vengono prodotti anticorpi contro
la membrana basale glomerulare. Spesso si ha una attivazione del complemento che induce la proliferazione
del mesangio e richiama i granulociti, il che comporta un danno a livello dei vasi ed è importante nelle forme
rapidamente progressive.
Altra distinzione che dobbiamo fare nell’ambito delle glomerulonefriti è quella tra:
-diffusa globale
-diffusa segmentale
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-focale globale
-focale segmentale
La glomerulonefrite è diffusa quando interessa la maggior parte dei glomeruli, è focale quando sono
interessati soltanto alcuni glomeruli, è globale quando è interessato tutto il glomerulo, è segmentale
quando sono interessate soltanto porzioni del glomerulo.
Anatomia del glomerulo: esiste un’arteriola afferente che arriva in questa struttura che ha la forma di un
gomitolo a cui fa seguito un’arteriola efferente. Questo gomitolo di vasi viene raccolto nella capsula di
Bowman costituita da cellule epiteliali, e in più su questi vasi si dispongono delle cellule epiteliali
specializzate chiamate podociti che avvolgono il vaso riducendo la filtrazione delle sostanze che ci sono nel
sangue. La barriera di filtrazione glomerulare è una struttura anatomica ed istologica complessa in cui
partecipano diversi elementi che sono: l’endotelio fenestrato delle arteriole, i podociti con i loro pedicelli
che avvolgono il glomerulo e la membrana basale. Nella porzione esterna del vaso dove si trovano i podociti,
sono presenti una serie di glicoproteine con cariche anioniche che riducono il passaggio delle proteine che in
genere sono cariche positivamente. Il passaggio quindi di proteine come l’albumina è ridotto perchè c’è una
barriera anatomica costituita dai filtri, dai podociti ecc. ed una barriera “elettrica” costituita dalle cariche
anioniche presenti sulla porzione esterna del glomerulo che respingono le proteine. Perchè è importante
questo? Perchè nelle glomerulonefriti c’è un danno che riguarda le strutture che compongono il glomerulo.
All’osservazione dobbiamo andare a valutare:
• Se c’è una proliferazione delle cellule endoteliali, che può creare una ostruzione. Il paziente che presenta
ostruzione è oligurico ed ha ematuria perché nel danno dell’endotelio ci sono spesso dei sanguinamenti.
• Se c’è proliferazione del mesangio, cioè quella porzione specializzata all’interno del glomerulo che sta tra i
vasi. Anche queste cellule del mesangio se si espandono vanno ad occludere i vasi.
• Come è fatta la membrana basale: se è inspessita o no.
• Se ci sono alterazioni dei podociti (tipiche di alcune glomerulonefriti), ma questi sono visibili solo con la
microscopia elettronica.
• Se c’è necrosi della parete capillare, perchè quando c’è danno di un vaso oltre al fibrinogeno vengono
rilasciati tutta una serie di fattori di crescita che vanno ad agire sulle cellule epiteliali della capsula di
Bowman e creano le cosidette semilune tipiche delle forme di glomerulonefriti rapidamente progressive,
che sono le più aggressive.
Volendo raggruppare le glomerulonefriti, le possiamo distinguere dal punto di vista clinico nei gruppi che
danno Sindrome Nefritica e quelli che danno Sindrome Nefrosica.
Nella Sindrome Nefrosica ricadono le Minimal changes che sono tipiche dei bambini (mai Biopsia), le
glomerulosclerosi focale e segmentale che è una delle forme più difficili da diagnosticare, appunto perché è
focale e servono molti glomeruli perché non li coinvolge tutti, ed inoltre è segmentale, quindi coinvolge solo
una parte del glomerulo; la glomerulonefrite membranosa, che può essere primitiva (idiopatica non se ne
conosce la causa) o secondaria (infezioni virali, tumori). La glomerulonefrite membrano-proliferativa, che in
genere clinicamente dà una sindrome nefritico-nefrosica o solo nefrosica.
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Poi le 2 sindromi Nefritiche più importanti: la post infettiva (anch’essa tipica del bambino); l’IGA mesangiale
causata dall’accumulo nel mesangio di Immunoglobuline A.
Se si effettuano biopsie in un bambino con Minimal Changes, rileviamo un glomerulo piuttosto normale alla
microscopia ottica perché il danno è ultrastrutturale in quanto riguarda i pedicelli dei podociti che si
riducono significativamente, per cui la filtrazione delle proteine non ha più quella barriera meccanica,
provocando il loro passaggio e configurando il quadro di una sindrome nefrosica. Quindi in questo caso la
diagnosi è clinica ed è basata sulla capacità di rispondere al cortisone.
La glomerulonefrite più frequente che da Sindrome nefrosica è la glomerulonefrite focale e segmentale. Può
essere la forma evolutiva di una glomerulonefrite proliferativa, oppure si può rilevare molto
frequentemente in pazienti HIV positivi. Ha coinvolgimento dei glomeruli focale e segmentale, e il danno è
rappresentato dalla ialinizzazione: le cellule mesangiali producono molta matrice, formata da proteine, le
quali coagulano e danno questa colorazione ialina che ostruisce parte del glomerulo. Questi pazienti nel giro
di 10 anni vanno incontro ad una insufficienza renale cronica che necessita di dialisi. La patogenesi è
sconosciuta, è tipica di bambini e adolescenti, la prognosi è cattiva poiché è sempre evolutiva. [guardando la
slide] questa non è una colorazione Ematossilina-Eosina ma è un PAS; lo riconoscete perché colora le
membrane basali di fucsia molto evidente, mentre la E-E è meno evidente. Vediamo che all’interno del
glomerulo, una parte è completamente rosa, con aumento della matrice mesangiale, sostituendo
completamente il glomerulo, comprimendolo e comprimendo i vasi e, a lungo andare, progredendo verso
una sua ialinizzazione completa.
Una delle forme più frequenti di glomerulonefrite è quella membranosa. In questa non ci sono
immunocomplessi circolanti e si presume che in questi pazienti il danno avvenga direttamente a livello
renale, cioè esiste un antigene sconosciuto nelle forme idieopatiche o derivante da tumori o virus nelle
secondarie; che si deposita a livello renale e da una reazione Ag-Ab. Questa reazione forma IC a livello
renale che si depositano sulla porzione esterna della membrana basale, cioè dalla parte dei podociti,
facendola ispessire. Tali IC, infatti, stimolano la membrana basale verso la produzione di fibre reticoliniche.
[guardando la slide] il lume vascolare è completamente rosa per un ispessimento significativo della
membrana basale, che essendo formata da glicoproteine è intensamente PAS positiva. I podociti sono
strutture nerastre e gli IC si depositano all’esterno di questi. L’aspetto è quello di “ Una collana di perle”,
poiché la matrice della membrana basale si inspessisce e va a circondare questi IC. Quindi quando andiamo
a fare una impregnazione argentica, che colora le fibre reticoliniche neo-apposte, e che da questo aspetto
irregolare, poiché si colora la matrice ma gli IC scompaiono, lasciando queste cavità, le perle della collana. Si
sviluppa una sindrome nefrosica, poiché tale membrana provoca un’alterazione delle cariche cationiche che
si trovano esternamente, per cui favorisce il passaggio di proteine, soprattuto quelle a bpm(soprattutto
l’albumina).
La sindrome Nefritica è caratterizzata soprattutto da ematuria, oliguria, iperazotemia, ipertensione. Nel
bambino la causa più frequente è la Post-Infettiva, soprattutto la Streptococcica. La causa più frequente in
assoluto, è la IGA mesangiale. Nella post infettiva gli antigeni streptococcici, derivanti da un quadro
faringitico, determinano una reazione immunitaria, e nel circolo si formano gli IC (al contrario delle
situazioni precedenti) che si depositano a livello del glomerulo provocando dei danni a livello di diverse
strutture del glomerulo. Tali IC sono formati da IgG, C3 e si depositano sia sulla MB del vaso che nel
mesangio, richiamando i neutrofili che accorrono attraverso i vasi e, degranulandosi, e danneggiano il
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tessuto, i vasi proliferano, gli endoteli proliferano, e si ha una ostruzione che questa volta parte proprio
dall’interno del vaso. Inoltre questi IC fanno proliferare anche il mesangio, per cui i vasi vengono bloccati e
compressi sia dal mesangio che dalla proliferazione endoteliale. Nel 90% dei casi la patologia recede
autonomamente. Nel 10% dei casi invece, il danno endoteliale è tale che dal vaso fuoriescono fattori di
crescita che stimolano le cellule epiteliali della capsula di Bowman, per cui si ha una forma “rapidamente
progressiva”, con formazione di semilune, e i pazienti necessitano di dialisi per IR. Quindi nella
glomerulonefrite post infettiva, il glomerulo è pieno di cellule (granulociti, cellule mesangiali, cellule
endoteliali che proliferano) e nelle forme rapidamente progressive, si evidenziano anche le semilune.
All’immunofluorescenza, questi IC sono costutuiti prevalentemente da IgG+frazioni del complemento.
Quando le glomerulonefriti attivano il complemento, sono GN pericolose perché possono far proliferare le
cellule epiteliali al di fuori dei vasi. La forma più frequente che da sindrome nefrosica è però la GN
proliferativa focale-segmentale primitiva o secondaria, e la forma primitiva si chiama GN IGA mesangiale. La
diagnosi di questa è semplicissima poiché all’immunofluorescenza si vanno ad osservare i depositi di IgA nel
mesangio, il quale è aumentato.
La GN membrano-proliferativa, che può essere associata a sindromi miste, nefrosica-nefritica, è primitiva o
secondaria (soprattutto LES). In questa si rilevano IC sub-endoteliali IgG+IgM+complemento (è per questo
pericolosa). Esistono 2 tipi di GN membrano-proliferativa, delle quali la Tipo 2 da una proliferazione del
mesangio maggiore. Quello che prolifera in questa GN non è la membrana, bensì il mesangio, con la sua
matrice, che non avendo spazio, si insinua all’interno della membrana basale e la sdoppia. Effettuando una
colorazione argentica, si ha l’immagine del “doppio binario”, cioè con sdoppiamento della membrana basale
dei vasi.
La GN rapidamente progressiva è quella che da le semilune e nella maggior parte dei casi è secondaria ad
un’altra GN, laddove il danno è tale che si ha filtrazione di fattori di crescita, che stimolano la proliferazione
delle cellule epiteliali della capsula di Bowman che va a comprimere i vasi.
(il prof descrive una slide) C’è un glomerulo normale con i suoi periciti.Ora nella glomerulonefrite minimal
change i periciti scompaiono; nella membranosa troviamo la “collana di perle”;nella post-streptococcica
troviamo degli spike (?) esterni di immunocomplessi che vengono però dal sangue;nella membranoproliferativa troviamo il doppio binario.Anche il LES presenta delle alterazioni morfologiche a carico del rene
che vengono distinte in 5 classi sovrapponibili alla membranosa e alla mesangio-capillare
(prevalentemente).
Nel diabete i danni che si hanno a carico del rene sono sia a livello glomerulare che a livello vascolare, a
livello proprio dei vasi renali.Si ha una glicosilazione non enzimatica, quindi il glucosio in eccesso nel sangue
si va a legare alle proteine che costituiscono le membrane basali, così che la membrana basale e la matrice
mesangiale aumentino, dando spot ialini e quindi ialinosi prima segmentale e poi completa del glomerulo e
di conseguenza IRC progressiva.
Nella amiloidosi ci sono delle proteine che si possono accumulare attorno ai vasi, in particolare a livello
renale, dando un quadro di ialinosi diffusa, colorabile in rosso congo (le proteine dell’amiloidosi sono
positive al rosso congo), quando l’amiloidosi è secondaria ad un mieloma, sarà positiva anche
all’immunoistochimica per la presenza di catene kappa e lambda.
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(Il prof sottolinea che all’esame le gln non verranno chieste nei minimi dettagli ma le basi si devono
sapere;tipo patogenesi, quadro clinico e spiegazione del perché c’è quel quadro clinico, quindi il danno alla
base in senso anatomico-istologico)
Oltre alle gln ci sono anche altre alterazioni che possono inficiare la funzionalità renale, ossia danni del
tubulo (principalmente necrosi tubulare acuta) e dell’interstizio (principalmente pielonefriti), nonchè tutta
la patologia formante massa benigna (cisti e noduli).
TUBULOPATIE: Necrosi tubulare acuta.
Necrosi che riguarda le cellule epiteliali del tubulo, è responsabile dal punto di vista clinico dell’IRA. CAUSA
PRINCIPALE: ischemia e, piu’ in generale, qualsiasi condizione di ipovolemia che determina anche ridotto
apporto ematico al rene, quindi ridotto apporto di ossigeno che porta infine a danno tubulare.Questo però
può regredire, se si interviene per tempo, quindi nella maggior parte dei casi, con idratazione.Tra le cause ci
possono essere anche farmaci che possono agire negativamente sulle cellule tubulari renale.La funzione
principale del tubulo è quella di riassorbire, infatti le sue cellule hanno un orletto a spazzola, formato di
microvilli, sporgente nel lume tubulare;per cui quando questa funzione viene a mancare non si ha piu’ il
riassorbimento.Nel momento in cui si va a reidratare il pz aumenta il quantitativo di liquido quindi aumenta
l’escrezione di acqua, di conseguenza diventerà poliurico;questo perché non c’è ancora riassorbimento da
parte delle cellule tubulari, che sono ancora danneggiate e che riprenderanno a funzionare lentamente.
ASPETTO DI UN RENE CON NTA: l’epitelio che normalmente è cubico con orletto a spazzola, diventa
sofferente e si appiattisce talmente tanto che il citoplasma si riduce e dalle cellule sporgono i nuclei visibili a
livello del profilo tubulare. Questo è quello che si vedrebbe se facessimo, ad esempio, una autopsia a un pz
morto per shock ipovolemico. Inoltre si vedrebbero delle aree pallide e delle aree emorragiche che tentano
di compensare la situazione a livello della corticale o aree prevalentemente emorragiche (si usa la
colorazione PAS, con cui si vedono benissimo le membrane basali aventi spazi tra di esse, a differenza delle
gln post-streptococciche che non presentano spazi tra le membrane ma sono piene).Si possono avere
calcificazioni all’interno del tubulo. Comunque le cellule possono essere altamente variabili, ci possono
essere cellule piatte, altre piu’alte e altre completamente morte, che si sfaldano nel tubulo.
INTERSTIZIOPATIE: Pielonefriti
Quadro infiammatorio acuto o cronico a carico dell’interstizio, di cui quelle acute sono più rare rispetto a
quelle croniche. CAUSA PRINCIPALE: infezioni, che arrivano al rene per via ascendente (E.coli e Proteus,
soprattutto).La forma acuta presenta, a livello istologico, caratteristici accumuli di granulociti, nella cronica
non ci sono.Questi accumuli di granulociti, in forma di cilindri cellulari nel tubulo, andranno a formare
ascessi. Le croniche possono avere origine ostruttiva , ad esempio pielonefriti croniche in seguito a calcolosi
renale oppure possono essere di origine non ostruttiva, quando c’è un reflusso, una lesione o una
compressione localizzata a livello del rene e il quadro infiammatorio coinvolge solo una parte del rene. Ci
sono poi dei casi particolari di pielonefriti croniche come quella di origine tubercolare. Nella forma cronica il
quadro istologico è rappresentato da un’infiammazione dell’interstizio con cellule dell’infiammazione
cronica, prevalentemente macrofagi e linfociti. All’interno dei tubuli abbiamo del materiale che sembra
colloide e questo fenomeno si chiama tireoidizzazione del rene, perché ricorda la tiroide morfologicamente.
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Esistono poi dei farmaci, dei FANS, che possono provocare danno renale nell’interstizio e sono
infiammazioni mediate da IgE e quindi vedremo all’interno dell’interstizio prevalentemente eosinofili (si
colorano con ematossilina).
DANNI VASCOLARI: Nefrosclerosi.
Possono essere di due tipi: benigne o maligne.La nefrosclerosi benigna si ha in corso di ipertensione
essenziale, per cui tutti i malati di ipertensione essenziale possono svilupparla, essendo il rene uno dei
target principali di danno da ipertensione essenziale.Infatti andando ad osservare i vasi di questi reni, si
vedrà un ispessimento ialino della parete con riduzione funzionale del vaso e di conseguenza ridotta
filtrazione renale. La nefrosclerosi maligna è associata ad ipertensione maligna (colpisce il 5% di tutti i pz
con ipertensione) ed è caratterizzata da ispessimento e iperplasia della membrana basale, portando il pz ad
avere un infarto renale.
MASSE RENALI: Cisti, noduli e neoplasie.
Le masse renali possono essere benigne (cisti) e maligne (neoplasie). Ricordiamo che i tumori del rene nella
maggior parte dei casi sono maligni, mentre rarissimi sono quelli benigni e quindi di fronte a una massa
renale bisogna sospettare immediatamente che sia un tumore renale maligno, fino a prova contraria.
Le formazioni cistiche sono in parte congenite e in parte acquisite, ma entrambe sono caratterizzate da
epitelio piatto e possono originare dalla capsula di Bowmann, dai dotti collettori, dai tubuli prossimali e
distali. A livello morfologico però sono tutte uguali e non si riconoscono più le cellule caratteristiche delle
varie componenti precedentemente nominate; sono tutte cellule piatte che rivestono cisti di dimensione
variabile, al cui interno c’è del materiale sieroso. Le cisti possono originare dalla midollare o dalla corticale,
possono essere unilaterali o bilaterali, uniloculari o multiloculari (se sono sedimentate all’interno).
Quando parliamo di reni policistici, parliamo di reni aventi numerose cisti e in questo contesto distinguiamo
due forme: una forma giovanile o pediatrica, autosomica recessiva, molto aggressiva ed una forma
dell’adulto, autosomica dominante, non aggressiva e tra le piu’ frequenti cause di uremia e trattamento
dialitico dopo i 30-40 anni, perché il rene è completamente distrutto da queste cisti.
Poi abbiamo le cisti semplici del rene che appunto sono solitarie, e in genere le cisti semplici sono quelle
acquisite.
Allora, la malattia autosomica recessiva colpisce 1 su 14000 nati. Il gene coinvolto che si trova sul cromosoma
6 è un gene che sintetizza una fibrocistina, una proteina prodotta dalle cellule epiteliali dei dotti collettori.
Nella maggior parte dei casi questi pazienti non arrivano all’età adulta, muoiono addirittura in età pediatricaneonatale e l’insufficienza renale cronica è progressiva. E’ sempre bilaterale, le cisti sono molto piccole in
questi pazienti, e sono coinvolti i dotti collettori, mentre i tubuli e i glomeruli sono normali. Sono reni che
mantengono il loro profilo a fagiolo, nella maggior parte dei casi non sono molto aumentati di volume però,
se andiamo ad osservare più in dettaglio la macroscopica, sulla corticale ci sono tutte una serie di formazioni
cistiche, traslucide; il profilo è sempre mantenuto, le formazioni cistiche sono molto piccole.
La forma dell’adulto, che è molto più frequente, 1 su 1000 nati, rappresenta il 6% dei pazienti che stanno in
dialisi. Anche qui sono coinvolte delle proteine epiteliali strutturali, PKD1 e PKD2, che si trovano sul
cromosoma 16 e sul cromosoma 4: sono delle proteine strutturali importanti per la maturazione delle cellule
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epiteliali quindi la dismaturazione di queste cellule crea delle formazioni aberranti che poi sono le cisti che
vanno ad ingrandirsi man mano con l’età. Le cisti raggiungono la loro massima espressione a 20-40 anni e in
questi casi l’insufficienza renale è progressiva e può essere complicata dalla formazione di calcoli. Ci sono
anche cisti epatiche, pancreatiche, della milza e della tiroide e questi pazienti hanno spesso aneurismi
cerebrali che si complicano con rottura, emorragia in sede subaracnoidea. I reni in questo caso sono molto
ingranditi, ognuno pesa più di 4 chili. Il diametro longitudinale di un rene normale è circa 10-11 cm. In questi
casi i reni raggiungono i 20-30 cm, sono molto voluminosi, perchè le cisti sono molto più grandi, non sono 4
cm come quelle della forma recessiva del bambino ma sono molto grandi, ed originano proprio dal nefrone,
quindi dai glomeruli, dai tubuli contorti prossimali e distali. (slide): i reni sono molto aumentati di dimensioni,
le cisti sono molto voluminose, nascono a livello corticale ma debordano nella midollare, sostituiscono tutto.
Il profilo non si vede più, è completamente deformato e qui non si vede benissimo ma all’intero di questa cisti
c’è un calcolo. Però dal punto di vista istologico vi ho detto che le cisti sono tutte uguali, cioè sono costituite
da una parete con un epitelio completamente piatto, quindi dal punto di vista istologico non esiste una grossa
differenza tra queste formazioni cistiche.
La cisti renale semplice è tipica dell’età avanzata, si associa spesso a cicatrici ed è spesso asintomatica, si
scopre quasi per caso. Può essere anche multipla, può coinvolgere entrambi i reni e le cisti possono
raggiungere delle dimensioni veramente importanti. Poi esistono le cisti che si associano a pazienti con una
malattia renale terminale, endstage renal disease, non so se avete mai sentito parlare di questa patologia,
che porta ad un’atrofia dei reni, diventano reni grinzi, però in questi reni ci possono essere proprio delle cisti
ed è tipico dei pazienti che stanno in dialisi in genere. Ecco qui (slide): reni piccoli, con cisti. Quando si parla
di renal endstage disease, ci si riferisce al rene grinzo, che non funziona più; tutte le condizioni, a parte la
malattia cistica, che portano ad un’insufficienza renale cronica, in particolare le glomerulonefriti, portano un
quadro di rene grinzo con dal punto vista istologico atrofia di tutte le strutture, sia glomerulari che tubulari.
Ecco qui (slide) un esempio di un rene grinzo, in un reperto autoptico, qui riconoscete l’aorta calcifica.
E poi la patologia del trapianto che vi fate sui libri: il rigetto può essere acuto e cronico, in particolare
nell’acuto distinguiamo un iperacuto ed un acuto accelerato. In genere i rigetti più acuti sono e più sono dovuti
a reazione antigene-anticorpo, quindi sono reazioni per produzione di anticorpi diretti contro specifici
antigeni, in genere sono il gruppo ABO quindi antigeni piuttosto comuni. Nelle forme croniche invece il danno
è generalmente tubulare o vascolare. (Risposta ad una domanda di una studentessa sul programma =) Nel
programma alcune cose mi sono sfuggite, ma per la patologia del trapianto e la endstage renal disease solo
cose sintetiche, per capire di cosa parliamo, non vado nel dettaglio è chiaro!
TUMORI RENALI
I tumori renali sono prevalentemente maligni, quando ci troviamo di fronte ad una massa renale dobbiamo
escludere le rare forme benigne però questi pazienti nella maggior parte dei casi vanno incontro ad
intervento. E’ sintomatico il carcinoma del rene? Nella maggior parte dei casi no. Quando è sintomatico può
dare ipertensione, policitemia, ma nella maggior parte dei casi è asintomatico, quindi o si scopre per caso, si
fa un’ecografia e si scopre una massa renale, oppure si scopre quando è gia metastatico. Il tumore renale può
dare metastasi anche dopo parecchi anni, e può dare metastasi ovunque! Io ho visto mestastasi alla tiroide,
alla lingua, al labbro, di tutto di più, anche in organi poco comuni, però le sedi più frequenti di metastasi del
tumore renale sono l’osso, prima di tutto, e il fegato. Nell’ambito dei tumori renali il più frequente è il tumore
di Gravitz detto carcinoma a cellule renali chiare. In questa casistica, il 7 % dei tumori renali è benigno, di
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questi la maggior parte va sotto il nome di oncocitoma, ma il 93 % è maligno e di questo l’82% è il carcinoma
a cellule chiare. Quindi neoplasie renali benigne: oncocitoma e adenoma renale, che è un tumore che viene
diagnosticato solo su criteri dimensionali, non morfologici. Se un tumore papillare ha una dimensione
inferiore ai 5 mm è un adenoma papillare del rene, se le dimensioni sono superiori l’aspetto papillare li
trasforma in carcinomi papillari. Quindi la diagnosi di adenoma papillare renale è una diagnosi dimensionale.
I maligni invece sono il carcinoma a cellule renali, il tumore di Wilms, che è tipico dell’età pediatrica, e il
carcinoma uroteliale. Perché l’urotelio? La pelvi renale è rivestita da un epitelio di transizione. Il carcinoma
renale origina dall’epitelio tubulare, rappresenta l’85 %, in realtà anche di più, di tutti i tumori primitivi del
rene, però soltanto il 2-3 % dei tumori maligni dell’adulto, quindi è un tumore raro. La definizione di tumore
raro si basa sull’incidenza del tumore per anni, ed è molto bassa. Colpisce prevalentemente gli uomini, due
volte in più delle donne, i pazienti fumatori sono più a rischio, quelli che si espongono al cadmio, e poi esistono
tumori relazionati ai pazienti che fanno dialisi. Nella maggior parte dei casi non ci sono sintomi: si possono
avere quadri microematurici ma di fatto asintomatici, dolore soprattutto al fianco ma soprattutto quando ci
sono mestastasi, ci possono essere delle sindromi paraneoplastiche legate a policitemia, febbre, ipercalcemia,
ipertensione, Cushing, però soprattutto nella maggior parte dei casi il tumore diventa sintomatico quando
metastatico. Quali sono gli istotipi più comuni di carcinomi a cellule renali? Sono questi 3: il carcinoma a cellule
chiare, il carcinoma papillare e il carcinoma cromofobo.
Carcinoma a cellule chiare
Slide:
-associato a sindrome di von Hippel-Lindau
• VHL gene autosomico dominante
• Germline mutation in VHL gene (3p25)
• Perdita del secondo allele per mutazione somatica
• Alterazione di VHL anche nel carcinoma sporadico
Il carcinoma a cellule chiare rappresenta l’80 % circa di tutti i carcinomi a cellule renali. Può essere familiare
o sporadico. E’ familiare nella sindrome di Von Hippel-Lindau (questo all’esame lo chiedevo ma nessuno lo
sapeva, pochi sul molecolare erano orientati). Anche i carcinomi sporadici sono legati all’alterazione di questo
gene, VHL, quindi nelle forme familiari c’è un’alterazione strutturale però nelle forme sporadiche c’è una
mutazione, che in genere è una delezione del braccio corto del cromosoma di VHL (3p), oppure ci possono
essere delle mutazioni, o delle metilazioni. Di fatto VHL non viene decodificato e la proteina non viene
prodotta. Essa agisce tramite HIF1alfa, che è un fattore prodotto in condizioni di ipossia, condizioni in cui
viene sintetizzato VEGF e attivato il pathway che determina neoformazione vascolare. VHL agisce su HIF e
regola negativamente VEGF. Quando manca, HIF aumenta in modo incredibile e VEGF è prodotto in grosse
quantità. VEGF, oltre che un fattore che favorisce la proliferazione dei vasi, è un fattore di crescita quindi
agisce potenzialmente anche su queste cellule. Quindi VHL è un oncosoppressore e in questi pazienti con
questa sindrome non funziona, ma non funziona anche nei pazienti con tumore sporadico.
Carcinoma papillare
E’ molto più raro, 10-15 %. Può essere anche multifocale o bilaterale. E’ legato in genere ad una acquisizione
del braccio lungo del cromosoma 7, dove si trova un gene molto importante che è MET. MET codifica per un
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recettore per fattori di crescita che si trova generalmente sugli epatociti, in questo caso è amplificato e
iperfunzionante. Però il carcinoma papillare del rene è meno aggressivo di quello a cellule chiare, così come,
infine, il cromofobo è un carcinoma assolutamente indolente, per quanto maligno e per quanto può evolvere
in forme aggressive come le forme sarcomatose. Quando parliamo di carcinoma aggressivo ci riferiamo
assolutamente a quello più frequente, che è il carcinoma a cellule chiare.
Tumori Renali (parte 2)
La maggior parte dei tumori renali sono maligni, solo una minima quota di tumori è benigno. L’ altra volta
abbiamo parlato dell’ adenoma papillare che, a differenza degli altri distretti, viene diagnosticato solo per
criteri dimensionali e non per l’ architettura, perché l’ architettura papillare la ritroviamo anche nel carcinoma.
Quindi quando la dimensione supera i 3mm parliamo di carcinoma, se è <3mm parliamo di adenoma
papillare. In assoluto, il tumore renale benigno più frequente è l’ oncocitoma (come tumore epiteliale), la
maggior parte dei tumori renali è dunque di tipo maligno, e tra questi in oltre il 90% dei casi, è il carcinoma
a cellule chiare.
•
Nell’ adulto tutti i tumori renali di origine epiteliale vanno sotto il nome di carcinoma a cellule
renali (quelli che hanno generalmente origine dal tubulo e dai dotti collettori);
•
Nel bambino il tumore più frequente è il tumore di Wilms.
Il rene è costituito nella sua porzione mediale, da una struttura epiteliale diversa dalla corticale e dalla
midollare, che è la pelvi renale. La pelvi renale è rivestita da un epitelio uroteliale (urotelio o epitelio di
transizione), per cui il carcinoma che si osserva più frequentemente in questo distretto è il carcinoma
transizionale o uroteliale (molto simile a quello che si osserva nell’ uretere e nella vescica).
CARCINOMA RENALE
Ha origine dall’ epitelio tubulare e rappresente l’ 85% di tutti i tumori primitivi del rene (quindi è molto
frequente). Dal punto di vista clinico la sintomatologia e i segni di malattia sono scarsissimi, nella maggior
parte dei casi il tumore viene scoperto:
1.
perché il paziente segue un’ ecografia di controllo o per altri motivi;
2.
perché è sintomatico: quando è sintomatico (soprattutto dolori ossei) è perché ha già
metastatizzato (soprattutto metastasi polmonari ed ossee)!
261
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Raramente ci possono esse segni e sintomi di malattia in un tumore renale in fase precoce, questi sono:
•
febbre dovuta all’ infiammazione
•
policitemia per sintesi di eritropoietina che
SINDROME
determina un aumento dell’ attività midollare;
chiaramente
PARANEOPLASTICA
•
ipercalcemia
•
•
•
•
•
ipertensione
Sindrome Cushingoide
Ematuria
Dolore
Massa
ISTOTIPI (più comuni)
1.
carcinoma a cellule chiare è il più aggressivo e più subdolo perché può dare metastasi
anche molto tardivamente, o essere particolarmente
aggressivo ab origine
2.
carcinoma papillare ha prognosi migliore
3.
carcinoma cromofobo è il più indolente, raramente particolarmente aggressivo , se non
nelle forme particolarmente indifferenziate.
1. CARCINOMA A CELLULE CHIARE
Costituisce l’ 80% dei carcinomi renali. È il carcinoma più “tipico” con caratteristiche morfologiche sia
microscopiche che macroscopiche particolari, e dal punto di vista di patologia molecolare, riconosce una
mutazione del gene VHL (gene mutato nella Sindrome di Von Hipple Lindeau, con tumori del cervelletto,
emangioblastoma, cisti renali e tumori renali). Il gene VHL è un oncosoppressore che si lega a HIF1 (un fattore
di trascrizione che aumenta in fase di ipossia nei tessuti, e stimola il rilascio di VEGF in grado di forzare il
processo di angiogenesi, ma è anche un fattore di crescita generale, favorendo così anche una crescita di
cellule epiteliali oltre che di vasi). Il prodotto di VHL blocca l’ attività di HIF1 e questo è importante poi anche
nella terapia.
2 forme: familiare (mutazione puntiforme VHL) e sporadica.
Nei tumori sporadici non c’è una mutazione di questo gene, ma c’è una DELEZIONE del GENE o DELEZIONE
del BRACCIO CORTO del CROMOSOMA 3 che contiene proprio il gene VHL (alterazioni CITOGENETICHE
piuttosto che mutazioni puntiformi)
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Tabella 1 Gradazione secondo Fuhrman (oggi non più usato)
2. CARCINOMA PAPILLARE
Il carcinoma papillare è meno frequente (10% dei casi circa). Può essere anche multifocale, bilaterale, è quasi
sempre sporadico (ma può essere anche familiare), e in questi tumori si osserva un aumento, un’
amplificazione di MET (protoncogene), perché vi è un’ acquisizione di segmenti cromosomici relativi al
cromosoma7 dove si trova il gene del recettore MET (MET è un recettore per i fattori di crescita, si trova
normalmente sugli epatociti, ma è amplificato in alcuni tumori, anche del polmone, del rene)TRISOMIA
7.
Questo è importante dal punto di vista terapeutico, poiché con i farmaci biologici possiamo bloccare MET.
3. CARCINOMA CROMOFOBO
Ancor meno frequente (5% dei casi), origina dai dotti collettori. Sono dei tumori ipodiploidi, hanno
generalmente una buona prognosi, e non vanno incontro a metastatizzazione (se non nelle forme
particolarmente indifferenziate che sono rarissime!!).
È un tumore di basso grado e indolente. Trattabile nella maggior parte dei casi con la chirurgia!
ASPETTI MACROSCOPICI
1. CARCINOMA A CELLULE CHIARE
colorito
giallo ocra
ed è variegato ad aree di necrosi
macroscopicamente. Dal punto di vista
istologico
inoltre, le
cellule sono pieni di glicogeno e lipidi (che danno appunto un
aspetto
chiaro, da cui deriva il nome), per cui otticamente si ha citoplasma vuoto. Può essere anche totalmente
cistico, con cisti bordate da epitelio neoplastico
con citoplasma vuoto e con nuclei veramente
piccoli.
Questo tumore è variegato sia per quanto riguarda la COMPATTEZZA (per la presenza di aree
cistiche/solide) che per il COLORE (giallo cora se c'è necrosi, rosso se sono presenti zone emorragiche..)
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RICORDA: un tumore si definisce “variegato” da un punto di vista patologico macroscopico, quando
esistono aree cistiche, aree solide, aree necrotiche (giallastre), emorragiche (rosse) e tutti questi aspetti
hanno coloriti diversi che conferiscono appunto un aspetto variegato!). Delle aree bianche invece sono
aree fibrotiche in cui ci sono reazioni desmoplastiche indotte proprio dalle cellule tumorali
proliferazione del background mesenchimale del tumore.
2.
3.
CARCINOMA PAPILLARE
CARCINOMA CROMOFOBO
ha un aspetto granuleggiante (protuberanze granulari che
danno proprio un senso di papille (asse vascolare con
cellule neoplastiche e non, intorno). La papilla la possiamo
SOSPETTARE macroscopicamente, ma è una definizione
ISTOLOGICA!!
(quindi
non
la
vediamo
macroscopicamente!!!!)
ha un aspetto color mogano con in genere una
cicatrice centrale. Sono molto voluminosi e la parte
più interna che è meno vascolarizzata va in
sofferenzadiventa
infartuatesostituzione cicatriziale
di
rimaneggiamento.
Qualche volta richiede l’ immunoistochimica per la
diagnosi differenziale.
RICORDA: l’ aspetto color mogano è tipico anche dell’ ONCOCITOMA (lesione benigna del rene)
I tumori renali sono in genere tumori polari (si osservano ai poli del rene).
Nelle lesioni cistiche del rene si possono associare dei tumori, in particolare nelle formazioni dell’ endstage,
del trapiantato, del dializzato, e la lesione la vediamo al polo inferiore.
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CARCINOMA A CELLULE CHIARE
CARCINOMA PAPILLARE
CARCINOMA CROMOFOBO
Gene VHL (3p25.3)
Gene MET (7q21-q31)
Perdita di cromosomi non
specifici
Corticale
Papillare
Corticale
Giallo ocra con emorragie e
necrosi
Multifocale / bilaterale
Marrone, con cicatrice centrale
ASPETTI MICROSCOPICI
1. carcinoma a cellule chiare cellule chiare perché ricche di lipidi e glicogeno
2. carcinoma papillare
3. carcinoma cromofobo alone perinucleare e membrane ben definite.
Il carcinoma a cellule chiare può essere anche totalmente cistico, solo che le cisti sono bordate da epitelio
neoplastico con citoplasma vuoto e con nuclei particolarmente piccoli e all’interno del nucleo si vede il
nucleolo. Quindi nel carcinoma renale un elemento importante per la diagnosi e per la gradazione è la
valutazione del nucleolo.
Ovviamente quando vediamo il nucleolo nel carcinoma renale e lo vediamo anche con obiettivi panoramici
siamo di fronte a un tumore più aggressivo, quindi di grado più elevato.
Ricordiamo cos’è il grading: il grading è il grado di aggressività di una neoplasia, viene generalmente valutato
comparando la cellula neoplastica rispetto alla cellula d’ origine, ciò è valido per quasi tutti i
tumori eccetto per alcuni per i quali la valutazione del grading è un po’ più elaborata, ad es. il grading del
carcinoma della mammella si basa sullo score che somma criteri architetturali come la formazione
di tubuli, la presenza di mitosi, il pleomorfismo quindi in tal caso il grading non è basato solo sulla
similitudine con la cellula d’origine ma anche su criteri architetturali e
relativi all’attività mitotica.
Un altro esempio è la gradazione del tumore prostatico basata sul Gleason
score, che è una gradazione di tipo esclusivamente architetturale;
Nel rene invece presto particolare attenzione a nucleolo, poi vedremo come
si effettua la gradazione dei carcinomi renali.
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Il concetto generale è che meglio si vede il nucleolo a ingrandimenti panoramici più è cattivo il tumore. Non
vedere il nucleolo a maggior ingrandimento è indice invece di un carcinoma renale di grado più basso
malgrado si tratti sempre di un carcinoma a cellule chiare cioè di un tumore con citoplasma otticamente
vuoto, pieno di glicogeno e lipidi che vengono estratti nei normali processi di processazione del campione
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istologico. La processazione di un campione istologico può durare anche solo un giorno consentendomi
di avere diagnosi entro un giorno dal ricevimento della biopsia (ad es gastrica) inviata dal medico al patologo,
ciò se tale processazione è accelerata al massimo. Il campione dev’essere fissato e processato, processato
vuol dire che dev’ essere disidratato, incluso in una cera che si chiama paraffina, tagliato e colorato.
Ovviamente quanto più è piccolo il campione tanto più la fissazione e la processazione possono essere
accelerate, a contrario se il campione è grande ad es. mi arriva un bel rene dalla chirurgia, chiaramente la
fissazione durerà più di 24h. Qual è il normale rapporto formalina/volume del campione? 10 a 1! Una volta
dunque fissato questo campione in tempi più lunghi il campione si taglia e si fanno i prelievi che sono fatti
sempre dal patologo e mai dal tecnico, ciò perché il campionamento di qualsiasi campione chirurgico si basa
su una serie di prelievi specifici per ogni tumore che hanno come finalità ultima la stadiazione dello stesso,
si parla in tal caso di campionamento adeguato. La stadiazione infatti prevede per ogni tumore e per ogni
organo una campionatura ben specifica, che consentono d’ avere alla fine una serie di vetrini che consentono
di determinare l’esatto stadio del tumore.
Devo fare quindi una valutazione complessiva che non si basa solo sullo studio del tumore esclusivo, ma
anche dei linfonodi che stanno intorno al viscere, dei margini di resezione, del livello d infiltrazione nel caso
d organi cavi, quindi il campionamento necessita della conoscenza di procedure specifiche e non si può
improvvisare.
Il carcinoma papillare è un tumore che forma papille, quindi caratterizzato da un asse fibrovascolare intorno
al quale si dispongono le cellule neoplastiche, però chiaramente non è che queste papille le vediamo sempre
nelle sezioni longitudinali ma le possiamo vedere anche nelle sezioni trasversali, sicchè le papille possono
assumere l’aspetto di “palluccelle” in cui abbiamo l’asse fibrovascolare e le cellule che si dispongono attorno
a questo core centrale.
Per definire se un tumore è papillare o no bisogna valutare una sezione ampia del tumore e la sezione delle
papille viene differenziata a seconda di come si effettua il taglio.
Nel contesto dell’ asse fibrovascolare di un carcinoma renale è frequente il riscontro di cellule xantomatose,
ovvero istiociti che fagocitano grasso, aspetto tipico e diagnostico di carcinomi papillari.
Le cellule disposte sugli assi fibrovascolari possono essere:
cellule “fesse” ovvero piccole e senza nucleolo;
cellule pleomorfe, indice di maggior aggressività del tumore (tanto è vero che il pleomorfismo è uno
dei criteri del grading di tumore mammario) alcune sono grandi e hanno nucleolo, altre hanno aspetto
detto “bob nail” cioè con i nuclei che protudono nei lumi (come nel tumore a cellule chiare dell’ovaio).
N.B. I tumori papillari se li vedete in una sede metastatica non sono facilmente diagnosticabili come d’origine
renale perché abbastanza simili gli uni agli altri, sulle metastasi bisogna fare diagnosi differenziale ponendosi
dunque il problema da dove provenga quel tumore se rene, ovaio, polmone etc.
il tumore renale cromofobo sembra un tumore a cellule chiare ma in realtà non lo è, ha un citoplasma
generalmente misto, sia chiaro, sia ematossinofilo, cioè eosinofilo ovvero si colora di rosa.
Possiede due caratteristiche fondamentali:
Lo spessore delle membrane plasmatiche, che sono particolarmente spesse
un alone più chiaro intorno al nucleo, dunque perinucleare.
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L’aspetto istologico di un tumore cromofobo è quello di un tumore a crescita così detta solida, è un tumore
che non fa ghiandole e non fa papille, è compatto quindi si parla di un tumore a crescita solida che non forma
strutture riconoscibili.
******
Quindi ricapitoliamo i tre tipi di tumore maligno del rene sono il carcinoma a cellule chiare, il carcinoma
papillare e il cromofobo, che hanno caratteristiche specifiche. Il cellule chiaro un tumore con citoplasma
svuotato, quindi chiare, il papillare forma papille, il cromofobo ha invece un pattern di crescita solido e da
un punto di vista citologico le cellule hanno un alone perinucleare e un ispessimento delle membrane
plasmatiche.
Da un punto di vista genetico/molecolare: il carcinoma a cellule chiare è dovuto a una delezione o meno
frequentemente una mutazione del gene VHL che si trova sul braccio corto del cromosoma 3 (domanda
d’esame), il papillare è caratterizzato da un’amplificazione del gene Met che può essere dovuta a
un’alterazione citogenetica come a un’amplificazione dell’intero braccio cromosomico mentre il cromofobo
ha solitamente una perdita di cromosomi ma non di specifici cromosomi, alcuni sono abbastanza frequenti
altri no.
Da un punto di vista macroscopico il carcinoma a cellule chiare è un tumore variegato, giallo-ocre, il papillare
ha questo aspetto granuleggiante e ricordate che può essere anche multifocale e bilaterale, mentre l’aspetto
del carcinoma cromofobo è quello di un tumore color mogano, spesso con una cicatrice centrale quando
particolarmente voluminoso.
******
ONCOCITOMA- TUMORE BENIGNO
Tra i tumori benigni il più frequente.
Come il carcinoma cromofobo ha come caratteristica fondamentale l' avere citoplasma pieno di mitocondri,
quindi sono tumori “mitocondriali” nel senso che se andassimo a fare una ricerca dei mitocondri sicuramente
essi abbondano (ciò è valido per gli oncocitomi di tutti i distretti, le cellule oncocitarie della tiroide, gli
oncocitomi delle ghiandole salivari).
L’aspetto dell’ oncocitoma è spesso quello di una neoplasia con pattern di crescita solido, con citoplasmi
eosinofili, nuclei "fessi" cioè molto piccoli. Ciò rende la diagnosi agevole, tuttavia vi sono alcuni casi in cui
l’aspetto è un po’ più pleomorfo, il citoplasma è un po’ più ampio e ciò pone problemi di diagnosi
differenziale con il carcinoma cromofobo, ovviamente è importante differenziarli perché uno è benigno
l’altro è maligno.
L’aspetto microscopico dell’oncocitoma è generalmente quello di un tumore che cresce in un background
edematoso con questi nidi solidi che non formano ghiandole ne papille e nel dettaglio si tratta di tumori con
citoplasmi particolarmente eosinofili.
Se andiamo dunque ad analizzare un oncocitoma rispetto a un cromofobo vediamo che i nuclei sono
certamente un po’ più grandi nel cromofobo, l’alone c’è nel cromofobo ma lo possiamo osservare anche
nell’oncocitoma e quindi in alcune situazioni la disgnosi differenziale è veramente sottile e complessa da
fare sull’ematossilina/eosina per cui l’affidiamo all’immunoistochimica.
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CARCINOMA DEI DOTTI COLLETTORI
E' una forma particolarmente aggressiva.
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GRADING
Aspetti importanti relativo al grado dei tumori renali che si applica soltanto per i carcinomi a cellule chiare
e ai carcinomi papillari, dato che i cromofobi non vengono mai gradati poiché nel 99% sono tumori di basso
grado.
Secondo la classica distinzione di Fuhrman sono le dimensioni del nucleo, la presenza dei nucleoli
e la dimensione delle cellule a stimare il grading.
Questo grading di Fuhrman è stato un po’ superato dall’ultima classificazione del WHO che riconosce
esclusivamente tre gradi, grado 1, grado 2, grado 3 del carcinoma renale e come unico criterio diagnostico
del grado riconosce la presenza/assenza del nucleolo. La presenza/assenza del nucleolo deve tenere conto
anche dell’obiettivo utilizzato ed infatti un tumore di grado 3 è quello in cui vedi i nucleoli anche con
l’obiettivo più panoramico che è il 10x, cioè quello che ingrandisce la cellula di 100 volte. Il tumore più
benigno è quello in cui non si vede il nucleolo nemmeno con i maggiori ingrandimenti ad es. il 40x, che
ingrandisce la cellula di 400 volte, mentre chiaramente il grado 2 è una situazione intermedia nel senso che
il nucleolo non lo vedi con l’obiettivo panoramico ma lo vedi soltanto con il 40x, mentre il grado 4 che un
tempo riconosceva Fuhrman è soltanto il carcinoma renale che ha aspetti sarcomatoide, ovvero un tumore
che ha un aspetto morfologico che assomiglia a quello di una cellula mesenchimale quindi sembra un
sarcoma anche se non lo è.
Fattore prognostico: incide sulla prognosi indipendentemente dalla terapia ogni
fattore prognostico deve essere pesato sulla casistica.
I fattori prognostici si dividono in:
1.
2.
3.
prognostici
prognostici e predittivi
solo predittivi
IMMUNOISTOCHIMICA
Il carcinoma renale a cellule chiare ha come marker specifico CD10 positivo. Il carcinoma a cellule chiare
presenta delezioni grossolane del braccio corto del cromosoma 3, e altre.
I tumori papillari sono citocheratiina 7 positivi.
Nel carcinoma papillare vi è aumento del cromosoma 7(sul braccio lungo c’è MET) e 17 e perdita nel
cromosoma Y(elementi comuni a tutti i carcinomi papillari).
Il carcinoma cromofobo mostra assenza di CD10 e overespressione di citocheratina 7che è invece negativa
nell’oncocitoma (importante per la diagnosi differenziale con l'oncocitoma)
Pax8 è un fattore di trascrizione di tutti i tumori renali (corticali, midollare, pelvi etc.), positivo anche nei
tiroidei e nei ginecologici. Lo facciamo se abbiamo un sospetto clinico e morfologico di tumore renale.
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APPROCCIO ALLE MASSE RENALI
Innanzitutto dobbiamo differenziare una massa da una cisti.
Una massa non cistica del rene ci deve far pensare per prima cosa ad un tumore.
Dato che nel rene il tumore più frequente è maligno, prima l’approccio era di nefrectomia radicale. Oggi
l’approccio diagnostico pre-operatorio è importante perché può essere possibile una nefrectomia parziale
o addirittura una tumorectomia (per T1a, ovvero <4cm) essendo sicuri di lasciare il margine di resezione
pulito. Questo approccio più conservativo è possibile solo per tumori di dimensioni limitate che valutiamo
con una TAC.
Agoaspirato: ci permette solo un citologico, calibri di aghi molto sottili, indicato negli organi nei quali il rischio
di sanguinamento è alto (es polmone e massa rene in stadi superiori a T1a)
Agobiopsia: d’elezione poiché ci permette un istologico, per tumori renali di piccole dimensioni e T 1 (limitato
al rene e di dimensioni <7cm) possiamo farlo. Cerchiamo di farlo sempre perché è importante osservare,
oltre alle cellule , la qualità e la morfologia dei glomeruli e dei tubuli. Sono ECO o, preferenzialmente, TAC
guidati.
Campioni macroscopici che possono arrivarci dall’urologia:
•
Nefrectomia radicale, che spesso contiene anche il surrene
•
Nefrectomie parziali
STADIAZIONE
Non dovete sapere gli elenchi a memoria di ogni tumore ma capire i concetti.
DIMENSIONE: Un tumore contenuto nel rene è uno stadio limitato, T1 (<7cm, diviso in A<4cm e B>4cm) o
INFILTRAZIONI: Un altro elemento importante per la stadiazione è l’infiltrazione della capsula e del seno
renale (il grasso attorno all’ilo renale)  T2
Se ci sono EMBOLI NEOPLASTICI nella vena renale e nelle sue ramificazioni (strutture ilari) invece abbiamo
un T3 a prescindere dalle dimensioni.
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Altri parametri come NECROSI e INFILTRAZIONE VASCOLARE MINIMA hanno un valore relativo che però va
comunque segnalato nel referto.
PATOLOGIA PREDITTIVA e TERAPIA
Intendiamo l’ identificazione dei marker predittivi (risposta alla terapia). Non si usano ancora nella pratica
clinica del rene (come invece accade nel polmone) ma sono in corso studi clinici controllati.
L’ istotipo è importante perché a seconda dell’ istotipo dipende la scelta terapeutica
•
cellule chiare spesso hanno deregolazione di VHL  aumento di HIF  aumento VEGF.
VEGF (chemochina che maggiormente induce formazione di vasi)  questi tumori sono quindi
sensibili agli Inibitori delle tirosin chinasi di VEGFR come il sorafenib e il sunitinib che agiscono su
pathway deregolato da vhl.
•
I carcinomi papillari sono più sensibili a farmaci che agiscono sul pathway di mTor  inibitori
di mTor.
Inoltre i papillari sono MET dipendenti e quindi vi sono studi in corso per agire su questo pathway.
Non essendo in uso i marker oggi la prima linea è di dare inibitori di VEGF. Nei papillari quando non funziona
più il Sunitinib si utilizzano gli inibitori di mTor.
Pochissimi tumori renali hanno il riarrangiamento del gene ALK e quindi sono sensibili all’inibitore specifico
Crizotinib (come il linfoma anaplastico)
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Il carcinoma renale NON FA MAI TERAPIA ADIUVANTE ( ossia la post-chirurgica), ma fa terapia solo se è
progredito, cioè se diventa metastatico
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TUMORE DI WILMS
Tipico età pediatrica, il più frequente di questo distretto, molto aggressivo ma anche curabile. Tumore misto
TRIFASICO poiché caratterizzato da:
•
componente epiteliale che abbozza tubuli e glomeruli
•
componente mesenchimale più differenziata (presente nel rene)
componente mesenchimale indifferenziata detta blastema
Mutazione WT1 e WT2 , presente anche in sindromi genetiche, si presenta con una sintomatologia legata
alla massa addominale (per esempio ostruzione intestinale), ematuria. La sopravvivenza a 2 anni è al 90%
perché molto responsivo alla terapia.
Trattamento “sandwich” combinato: biopsia preoperatoria – chemioterapia – trattamento chirurgico –
chemioterapia. Importante quindi la diagnosi preoperatoria così da iniziare con la chemio prima della
chirurgia.
IMPORTANTE: A DIFFERENZA DEGLI ALTRI TUMORI QUI SI FA SEMPRE LA BIOPSIA!!!
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CARCINOMA TRANSIZIONALE
Origina dall’urotelio della pelvi renale e non c’entra niente con il rene, ma può infiltrare il parenchima renale
partendo dalla pelvi.
Possono essere:
papillari poco aggressivi senza infiltrare la parete
papillari, sono aggressivi, infiltrano la parete e non controllabili con nessuna terapia.
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Patologia dell’apparato genitale maschile
PATOLOGIA TESTICOLARE
Richiami anatomici su testicolo ed epididimo.
Il testicolo o didimo è formato da strutture tubulari con il tipico epitelio germinale che porta alla formazione
degli spermatozoi. In periferia lo stroma, sono presenti le cellule di Leydig che producono testosterone. I
tubuli convergono nella rete testis, poi nell’epididimo, nel dotto deferente e quindi siamo nel funicolo
spermatico. Argomenti importanti sono sterilità e orchiti che è necessario vedere dal libro. Problematiche
congenite come criptorchidismo. E soprattutto neoplasie.
Macroscopicamente il testicolo è rivestito da tonaca albuginea, epididimo rivestito un po’ da grasso. I tubuli
seminiferi generalmente sono tubuli pieni di cellule, più sono pieni meglio è perché segno di buona
produzione di spermatozoi. L’epididimo invece è una struttura epiteliale con cellule allungate e nuclei alla
base. Un elemento importante al momento della biopsia è la presenza di un lume obliterato, ciò significa che
la linea germinale è molto spessa.
Allora tuttala problematica della differenziazione della gonade primitiva in testicolo è legata al cromosoma Y,
ma questo ve lo ricordate.
Il CRIPTORCHIDISMO è una patologia abbastanza comune, presente nel 10 % dei nuovi nati, ed è
caratterizzata dalla mancata discesa del testicolo dall’addome allo scroto. Generalmente si completa nel
primo anno di vita. In una minima parte i testicoli sono ritenuti anche dopo il primo anno di vita e possono
localizzarsi in varie sedi, a livello addominali o a livello inguinale, in generale lungo tutto il tragitto che
effettua la gonade.
La patogenesi è essenzialmente ormonale, associata ad alterazioni dell’asse ipotalamo ipofisi, infatti la
discesa nelle prime fasi può essere anche stimolata dalla somministrazione di ormoni. E’ un testicolo
ritenuto è un testicolo sofferente, se non corretto progressivamente diventa atrofico, i tubuli non producono
più spermatozoi, l’epitelio si appiattisce. Quindi l’infertilità è una delle manifestazioni cliniche più importanti.
Si è sempre detto in passato che un testicolo ritenuto nella cavità addominale avesse una temperatura più
alta rispetto a quella scrotale e ciò potesse predisporre l’insorgenza di una neoplasia. Ma è una vecchia
storia. Le teorie oggi sono cambiate.
Per quanto riguarda l’atrofia testicolare una delle cause più frequenti è l’orchite, che è un processo su base
infiammatoria, seguita da traumi, criptorchidismo, patologie come sindrome di Klinefelter, legata a disturbi
ormonali o legata a trattamenti radio o chemioterapici. Normalmente il testicolo ha aspetto carnoso, molto
delicato. Quello atrofico è più chiaro e di dimensioni ridotte, circa la metà. Quindi un testicolo normale
presenta un epitelio germinale con cellule che vanno dagli spermatogoni agli spermatozoi, con tubuli
piuttosto pieni, quello atrofico ha tubuli vuoti, non si vedono più spermatidi, altro elemento molto
importante è che una parte del testicolo è sostituito da tessuto fibrotico ialino, la ialinosi incomincia a livello
della membrana basale e sostituiscono man mano tutto il lume del testicolo. Nelle forme più gravi ci sono
completamente noduli ialini, fantasmi di vecchi tubuli.
NEOPLASIE TESTICOLARI
I tumori del testicolo originano dalle cellule germinali, distinguendo seminomi e non seminomi, oppure dalle
cellule di Leydig, però abbiamo anche tumori non tipici come linfomi, generalmente ad alto grado e sarcomi.
L’80-90 per cento è rappresentato da tumori germinali, il resto da tumori a cellule di Leydig che sono quasi
sempre benigni e infine linfomi e sarcomi, soprattutto nell’anziano. Le neoplasie germinali sono tipiche del
giovane e del giovane adulto.
Vengono suddivisi in due grandi categorie: PRIMARI, germinali, suddivisi in seminomi (60 %) e non
seminomi(40%) (teratoma, carcionoma embrionale, coriocarcinoma, yalk sac tumori e tumori misti), stromali
dei cordoni sessuali (quelli di Sertoli e di Leydig); quelli SECONDARI, sono metastasi di tumori extra testicolari
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o linfomi, leucemie, linfomi paratesticolari, sarcomi.
Nel giovane adulto post puberale i non seminomi sono per la maggior parte misti, assortiti, raramente sono
puri.
I tumori germinali hanno un picco d’incidenza tra i 20 e i 30 anni, soprattutto nei bianchi, diffusi in Svizzera,
Germania, Danimarca, l’Italia è in posizione intermedia. Tumori pediatrici sono il teratoma e lo yalk sac
tumor.
Ricordiamo un aspetto importantissimo: i tumori del pre pubere sono completamente diversi da quelli del
post pubere. NEL POST PUBERE hanno una storia naturale breve, perché sono tumori molto aggressivi se
non trattati, però sono curabili, anche quando sono metastatici; NEL PRE PUBERE hanno una prognosi
favorevole, spesso la rimozione chirurgica è sufficiente. Inoltre i tumori come il teratoma e lo yalk sac tumor
nel PRE PUBERE è sempre puro, nel POST PUBERE è frequentemente misto.
Abbiamo detto che il criptorchidismo è storicamente ritenuto essere una delle cause predisponenti dei
tumori germinali del testicolo. Questo concetto è stato però rivisto negli ultimi anni. Oggi si ritiene infatti che
la principale causa dei tumori testicolari germinali sia la disgenesia testicolare, condizione caratterizzata da
uno sviluppo anomalo del testicolo; tale sviluppo anomalo del testicolo determina una disfunzione delle
cellule del Sertoli e di Leydig ed è responsabile dei tumori testicolari, del criptorchidismo e anche
dell’ipospadia. Esiste quindi una sindrome da disgenesia testicolare caratterizzata da tumori del testicolo,
criptorchidismo e ipospadia che riconosce come causa comune l’anomalo sviluppo del testicolo (disgenesia).
Quindi il criptorchidismo che in passato era ritenuto essere esso stesso causa dei tumori testicolari è in
realtà un aspetto sindromico associato (non quindi causale) dei tumori testicolari in quella che è la sindrome
da disgenesia testicolare (cit. non è il criptorchidismo a causare il tumore ma la disgenesia testicolare, la
quale può determinare contemporaneamente anche il criptorchidismo e l’ipospadia).
Per quanto riguarda la patogenesi dei tumori germinali si presuppone, sulla base di studi eseguiti in vivo su
animali, che esista un gonocita primordiale, una cellula germinale primordiale, che non si differenzi in
maniera adeguata cioè che non colonizzi i tubuli e non formi il normale epitelio germinale; già a livello
uterino, quindi durante la vita fetale (cit. le cellule germinali primordiali si formano durante la vita fetale) si
avrebbe un arresto maturativo di questo gonocita primordiale e da questo si svilupperebbe una cellula preCIS (Carcinoma in situ). Su questa cellula primordiale pre-CiS interverrebbero poi altre condizioni a
determinarne la trasformazione in tumore intratubulare. La causa dei tumori testicolari va quindi individuata
nella vita intrauterina dei feti maschi. Probabilmente essa è legata a condizioni ambientali predisponenti a
carico della mamma; in particolare sembra che una delle cause che determini l’arresto maturativo del
gonocita primordiale sia il sovraccarico di estrogeni. Si è osservata infatti un’elevata incidenza di tumori
testicolari nella popolazione maschile nata da mamme colpite in gravidanza da insufficienza luteinica e
sottoposte per tale condizione a terapia simil-estrogenica (dietilstilbestrolo) o simil-progestinica (tale terapia
estrogenica era utilizzata in passato, negli anni ’70).
È probabile quindi che esistano condizioni ambientali in parte note (assunzione di ormoni) e in parte non
ancora note (farmaci, inquinanti ambientali e alimenti con azione simil-estrogenica) che determinino l’arresto
maturativo del gonocita primordiale durante la vita uterina. Questi bambini maschi sono quindi portatori di
una cellula pre-CiS, cioè una cellula non ancora tumorale ma che si predispone a diventare cellula tumorale.
Tale predisposizione si sviluppa nella fase post-puberale cioè solo dopo la pubertà questa cellula diventa
neoplastica e forma il tumore intratubulare seminomatoso o non-seminomatoso.
È stato osservato che i gonociti primordiali normali presentano un profilo immunofenotipico di cellule
indifferenziate molto simile a quello delle cellule del tumore germinale in situ (cit. cioè l’ipotesi che questi
tumori derivino da una cellula germinale primordiale è supportata dal fatto che la cellula pre-CiS è molto simile
alla cellula germinale primordiale normale).
Il tumore germinale in situ è il precursore di tutte le neoplasie germinali post-puberali.
In tutti i maschi in età post-puberale (cit. chiaramente affetti da tumore) si osserva la condizione di carcinoma
in situ; tale condizione invece non è presente nei tumori pre-puberali. Quindi nei teratomi puri, negli yolk sac
tumor puri (tumori del sacco vitellino puri) del bambino in età pre-pubere non si trova tumore in situ.
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Schema dello sviluppo del tumore:
Gonocita primordiale non ben maturato (anomalo)
Cellula pre-carcinomatosa
Trasformazione in cellula neoplastica intratubulare CiS
dopo la pubertà
Seminoma
Non-seminoma
Seminoma. La cellula seminomatosa , presenta morfologia e immunofenotipo che ricordano quelli del
gonocita primordiale; si tratta quindi di una cellula abbastanza indifferenziata.
Non-seminoma. La cellula neoplastica Cis può però anche tentare una sorta di differenziazione, cioè può fare
quello che normalmente fa una cellula germinale, vale a dire formare strutture embrionali ed extraembrionali. Quando accade ciò, cioè quando la cellula tende a differenziarsi, si realizza il tumore nonseminomatoso. La cellula tumorale può ad esempio tentare di formare abbozzi embrionali come ad esempio
strutture ghiandolari o altre strutture organizzate; quando la differenziazione è un po’ più spinta possiamo
avere la formazione di cellule mature somatiche (teratoma) oppure la formazione di strutture
extraembrionali annessiali come quelle del sacco vitellino (yolk sac tumor) e del sinciziotrofoblasto e
citotrofoblasto (coriocarcinomi).
La cellula seminomatosa che come abbiamo detto è una cellula più indifferenziata, simile al gonocita
primordiale, può però andare incontro ad una riprogrammazione per cui tale cellula può tentare una
differenziazione verso un carcinoma embrionale o verso un qualsiasi altro tipo di tumore nonseminomatoso. Per questo motivo la maggior parte dei tumori non-seminomatosi sono sempre associati tra
di loro; più frequentemente si ritrova ad esempio l’associazione tra carcinoma embrionale e teratoma.
Spesso a queste due forme non-seminomatose si associano poi anche aspetti che ricordano il tumore del
sacco vitellino (yolck sac tumor) e il coriocarcinoma. Quindi nel maschi post-pubere i tumori nonseminomatosi sono per la maggior parte misti e non puri. Nell’ambito dei tumori non-seminomatosi le forme
più aggressive sono il carcinoma embrionale e il coriocarcinoma. Il coriocarcinoma è in assoluto il più
aggressivo e dà frequentemente metastasi. Il carcinoma embrionale, invece, quando è presente riveste una
quota tumorale superiore all’80%.
Le associazioni nell’ambito dei tumori misti non riguardano solo le varie forme di non-seminomi ma si
possono trovare anche associazioni tra forme seminomatose e forme non-seminomatose (tumori misti
formati da seminoma e non-seminoma). Il tumore misto può riguardare quindi tutte le componenti tumorali.
Vediamo ora come si classificano i tumori testicolari (cit. la seguente classificazione è ritenuta molto valida dal
prof. e ci tiene che venga conosciuta; si tratta della classificazione di Looijenga del 1999).
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La seguente classificazione non comprende solo i tumori testicolari ma comprende tutti i tumori germinali
compresi quelli dell’ovaio; quindi sono considerati in questa classificazione anche i tumori germinali
dell’ovaio della donna.
Prima di vedere la classificazione dobbiamo ricordare che i tumori germinali oltre che nelle gonadi possono
svilupparsi anche lungo tutta la via di migrazione dei gonociti, cioè lungo l’asse mediano del corpo (sella
turcica, mediastino, retroperitoneo, regione sacrococcigea). Si tratta dei cosiddetti tumori germinali
extragonadici. Questi tumori sono molto più frequenti nei bambini e nei giovani in età post-puberale.
Possono determinare in alcuni casi difficoltà di diagnosi in quanto alcune volte può accadere che vengano
riscontrate metastasi polmonari o metastasi linfonodali da tumori germinali senza però la presenza di una
massa tumorale testicolare; in questi casi va ricercata la massa tumorale primitiva nel retroperitoneo
fondamentalmente ma anche a livello del mediastino, nella sella turcica o nella regione sacro-coccigea.
Vediamo ora la classificazione. Looijenga nel ’99 distingueva i tumori germinali in cinque gruppi.
Il 1° gruppo comprende i tumori germinali testicolari e ovarici, e i tumori germinali extragonadici (sella turcica,
mediastino, retroperitoneo, regione sacrococcigea) di neonati e bambini. Quindi nel primo gruppo sono
compresi tutti i tumori dell’età prepubere. Si tratta principalmente di teratomi puri (nei bambini i teratomi
sono sempre puri, quindi mai combinati con altre forme) e di Yolk sac tumor. Sono tumori generalmente
diploidi con profili citogenetici particolari ma non specifici.
Il 2° gruppo , quello caratterizzato dai tumori di più frequente riscontro e che più ci interessano, comprende:
A) tumori testicolari seminomatosi e non-seminomatosi post-puberali.
B) tumori ovarici disgerminomi e non-seminomi sempre post-puberali (il disgerminoma è il corrispettivo
del seminoma del testicolo nella donna). I tumori non-seminomatosi sono i più frequenti tumori
germinali nella donna.
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C) tumori seminomatosi e non-seminomatosi extragonadici sempre post-puberali.
Il 3° gruppo comprende un’entità tumorale rara rappresentata dal seminoma spermatocitico che è tipico
dell’anziano.
Il 4° gruppo comprende i teratomi maturi dell’ovaio (cisti dermoidi) che sono sempre benigni.
Il 5° gruppo comprende i tumori placentari.
Questa classificazione è molto interessante per diversi aspetti: considera in un unico gruppo, il 2° gruppo, i
tumori che presentano più o meno lo stesso profilo di andamento clinico e di trattamento terapeutico, vale a
dire seminomi e non-seminomi del testicolo, disgerminomi e non-seminomi dell’ovaio e tumori extragonadici
tutti dell’età post-pubere; è ancora interessante perché distingue le forme infantili, pediatriche che
presentano profili morfologici e clinici completamente differenti dagli altri tumori (si tratta di tumori puri a
prognosi favorevole); è ancora interessante perché distingue quella forma rara di seminoma spermatocitico
che presenta un’origine completamente diversa; e infine è interessante perché distingue i teratomi ovarici che
rappresentano i tumori germinali dell’ovaio più frequenti in assoluto (i teratomi ovarici sono tumori che
formano peli, denti, ecc. e nella donna hanno nella maggior parte dei casi un andamento benigno proprio
come i tumori puri del bambino in età prepubere).
! Il teratoma del maschio post-pubere è sempre maligno.
Quando parliamo di teratomi del maschio dobbiamo sempre distinguere
in base all’età.
I teratomi del bambino, sia maschio che femmina, sono puri ed hanno andamento
benigno; i teratomi della donna sono nella maggior parte dei casi puri ed hanno
andamento benigno; i teratomi del maschio post-pubere sono associati nella maggior
parte dei casi ad altre forme non-seminomatose ed hanno andamento maligno.
Molto spesso i teratomi post-puberali del maschio sono già metastatici alla diagnosi.
Vediamo ora come si approccia una neoplasia del testicolo dal punto di vista diagnostico e terapeutico.
Per quanto riguarda la diagnosi, questa è innanzitutto clinica attraverso l’autopalpazione. Il paziente
attraverso l’autopalpazione apprezza un nodulo che verrà poi indagato all’ecografia.
Quando abbiamo un nodulo testicolare non va assolutamente eseguito né agoaspirato né agobiopsia. (cit.
l’agoaspirato e l’agobiopsia determinerebbero disseminazione di cellule neoplastiche).
In caso di nodulo testicolare sospetto va invece eseguita una valutazione estemporanea (cit. viene definita in
seguito come Frozen Section Intraoperatoria). In teoria se la massa è particolarmente grande e il testicolo è
completamente destrutturato da questa massa, sia che si tratti effettivamente di un tumore o meno, possiamo
anche togliere direttamente tutto il testicolo senza eseguire l’estemporanea in quanto un testicolo così
destrutturato è comunque un testicolo inutile, che non serve a niente. Quando invece il nodulo è piccolo e
sussiste un dubbio di benignità o malignità di tale neoformazione è fondamentale eseguire un’estemporanea.
Per eseguire l’estemporanea bisogna estrarre il testicolo attraverso il canale inguinale (non attraverso lo
scroto); il testicolo viene tirato su, si clampa il funicolo, e si fa il prelievo per l’estemporanea. All’estemporanea
l’anatomopatologo dovrà riferire se si tratta di neoplasia germinale o meno in quanto oltre ad una neoplasia
germinale potrebbe trattarsi anche di un’altra forma neoplastica benigna nel qual caso il testicolo andrebbe
semplicemente riposizionato in sede.
Nel caso di diagnosi estemporanea positiva per neoplasia germinale va eseguita orchinguinectomia, cioè
l’asportazione di tutto il testicolo che poi verrà chiaramente analizzato.
Nel caso di diagnosi estemporanea positiva per formazione benigna invece il testicolo verrà semplicemente
riposizionato in sede.
In caso di diagnosi estemporanea incerta, cioè se l’anatomopatologo non sa riferire se si tratti di neoplasia
germinale o meno, verrà anche in questa condizione riposizionato il testicolo in sede, in quanto sulla base di
una diagnosi incerta il chirurgo non è tenuto ad asportare il testicolo. Se poi la storia naturale della
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neoformazione darà in seguito positività per tumore maligno il paziente verrà riaperto e sottoposto ad
orchinguinectomia.
Quindi le possibili diagnosi in estemporanea sono tre: tumore maligno, tumore benigno, diagnosi incerta.
La diagnosi estemporanea con risultato incerto determina importanti conseguenze. Consideriamo per
esempio un paziente che abbia un seminoma (la forma più frequente di tumore testicolare) diagnosticato in
stadio I. Se questo paziente riceve già alla prima estemporanea una diagnosi certa, positiva per neoplasia
maligna, verrà eseguita semplicemente orchiectomia (quindi il paziente in questo caso farà solo chirurgia
senza chemioterapia in quanto il protocollo terapeutico di un seminoma diagnosticato in stadio I prevede la
sola chirurgia). Se lo stesso paziente riceve invece alla prima estemporanea una diagnosi incerta, cioè
l’anatomopatologo non è in grado di definire se si tratta di neoplasia benigna o maligna, e solo
successivamente viene diagnosticata la malignità della formazione, supponiamo sempre in stadio I, in questo
caso il paziente non farà solo più chirurgia ma anche chemioterapia in quanto è possibile che durante la prima
estemporanea vi sia stata diffusione di cellule neoplastiche.
Quindi la valutazione fatta all’estemporanea è una valutazione molto importante nel caso di tumore del
testicolo. A differenza di un’estemporanea eseguita per una neoplasia della mammella , quindi di un organo
superficiale, in cui una diagnosi estemporanea incerta non compromette in maniera importante il successivo
approccio terapeutico, al contrario nel caso del testicolo è importante che l’anatomopatologo sia attento a
valutare se la neoformazione è di natura maligna o benigna in quanto questo incide in maniera importante
sull’approccio terapeutico (se l’anatomopatologo fa diagnosi certa di tumore maligno in stadio I il paziente
dovrà eseguire solo chirurgia; se invece l’anatomopatologo fa diagnosi incerta e si scoprirà successivamente
che si trattava di neoplasia germinale il paziente sarà costretto ad eseguire dopo la chirurgia anche la
chemioterapia).
Vediamo ora altri aspetti di questi tumori.
La morfologia del tumore è fondamentale in quanto come abbiamo visto questi tumori presentano andamento
diverso a seconda per esempio della quota di carcinoma embrionale e della quota di coriocarcinoma (cit. si
tratta spesso di tumori misti) che sono le forme tumorali più aggressive.
L’immunoistochimica ci aiuta molto in quanto abbiamo profili immunoistochimici specifici per il
coriocarcinoma, profili specifici per lo yolk sac tumor, ecc. Questi ultimi due tumori sono tumori secernenti: il
coriocarcinoma secerne β-HCG mentre lo yolk sac tumor secerne α-fetoproteina.
Ricordiamo che eventuali lesioni metastatiche sospette vanno indagate con esame bioptico.
Altro aspetto importante riguarda i tumori del 2° gruppo vale a dire i seminomi e non-seminomi testicolari
dell’età post-pubere, disgerminomi e non-seminomi dell’ovaio sempre dell’età post-pubere, ecc. Questi
tumori sono tutti associati alla presenza di isocromosoma 12P cioè ad un’aberrazione cromosomica che
interessa il braccio lungo del cromosoma 12 per cui si ha raddoppiamento di questo e formazione di un
isocromosoma (cit. in rete si parla di braccio corto e non di quello lungo). Quindi tutti i tumori germinali
appartenenti al 2° gruppo, tumori post-puberali, presentano da un punto di vista citogenetico tale alterazione.
I tumori post-puberali si differenziano da quelli pre-puberali del bambino per tre aspetti clinico-biologici.
I tumori post-puberali sono tutti associati a neoplasia intratubulare (CiS) mentre quelli pre-puberali no. I
tumori post-puberali non sono puri mentre quelli pre-puberali sono puri. I tumori post-puberali sono associati
ad isocroma 12P mentre quelli pre-puberali non sono associati a isocromosoma 12P (l’associazione
citogenetica dell’isocromosoma 12P può essere valutata con la FISH).
Altro aspetto che riguarda la clinica di questi tumori è che nella maggior parte dei casi i tumori del testicolo
sono asintomatici. In molti casi il nodulo non è neanche palpabile e viene scoperto frequentemente in seguito
ad un accertamento ecografico eseguito il più delle volte per una problematica di infertilità. Ricordiamo che
l’infertilità è un altro degli aspetti sindromici della sindrome da disgenesia testicolare alla base dei tumori del
testicolo, del criptorchidismo, ecc. Spesso pazienti con tumori del testicolo presentano quindi anche
problematiche di infertilià.
Altro aspetto dei tumori testicolari è la valutazione dei linfonodi retroperitoneali. La valutazione dei linfonodi
retroperitoneali in corso di asportazione del testicolo in genere non viene eseguita perchè questi tumori
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rispondono molto bene alla chemioterapia anche per quanto riguarda le metastasi linfonodali per cui risulta
inutile eseguire la valutazione di tali linfonodi.
Altro aspetto è la possibilità di metastatizzazione per via ematogena che si realizza nella maggior parte dei casi
a livello polmonare. Ricordiamo che i tumori testicolari sono tumori guaribili e come in tutti i tumori
potenzialmente guaribili (per esempio i linfomi) anche per quelli testicolari si utilizza una chemioterapia molto
aggressiva; se il tumore è guaribile si va giù pesante con una chemioterapia aggressiva. Lo schema
chemioterapico utilizzato nei tumori testicolari è la PEB vale a dire Cisplatino-Etoposide-Bleomicina.
Altro aspetto importante da considerare è il concetto di tumore intratubulare o Cis. Il tumore intratubulare
rappresenta il precursore dei tumori germinali seminomatosi e non-seminomatosi. Nel tumore intratubulare
è mantenuta l’organizzazione in tubuli ma si osservano cellule ipercromatiche che sostituiscono la linea
germinale soprattutto nelle porzioni basali e in parte anche più verso l’interno (le cellule che vediamo grandi
ed ipercromatiche sono cellule tumorali).
Esistono alcuni elementi immunoistochimici che ci consentono di identificare le cellule tumorali del tumore
intratubulare. Tra tali elementi abbiamo principalmente la PLAP, cioè la fosfatasi placentare, che è
intensamente positiva nelle cellule neoplastiche della neoplasia intratubulare; altro elemento è la positività
per CD117 (c-kit) che ricordiamo essere positivo anche nei tumori GIST e nei carcinomi della tiroide; altro
elemento ancora è la positività all’OCT-2 che rappresenta uno dei markers di staminalità.
Ripetiamo quindi che tutti i tumori germinali post-puberali si associano a neoplasia intratubulare: se troviamo
una massa tumorale testicolare in età post-puberale troveremo necessariamente alla periferia tubuli con
neoplasia intratubulare. La neoplasia intratubulare si trova sempre nei tumori testicolari post-puberali.
Ripetiamo anche che la neoplasia intratubulare esprime al profilo immunoistochimico proteine correlate alla
staminalità e quindi c-kit, OTC-2, ecc. che sono espresse anche dai gonociti primordiali normali.
I seminomi che originano dalla neoplasia intratubulare (vedi schema di sviluppo del tumore nelle pagine
precedenti) mantengono la maggior parte dei markers espressi dalle cellule del tumore intratubulare. I nonseminomi che pure originano dalla neoplasia intratubulare ma che tendono ad una differenziazione in senso
embrionario (teratomi) o extra-embrionario (yolk sac tumor e coriocarcinomi) perdono la maggior parte di
questi markers espressi dalle cellule del tumore intratubulare. Ricordiamo che dal punto di vista della
staminalità la cellula seminomatosa è quella più rassomigliante alla cellula tumorale della neoplasia
intratubulare trattandosi come questa di una cellula particolarmente immatura.
SEMINOMA
Il seminoma si presenta macroscopicamente come un nodulo bianco-carneo definito a “carne di pesce”.
L’aspetto morfologico del tumore è caratterizzato da queste grandi cellule immerse in un background linfoide.
Un aspetto importante da valutare all’esame anatomopatologico è la presenza di vasi con emboli neoplastici
al loro interno in quanto questa condizione è alla base della stadiazione del tumore e quindi dell’approccio
terapeutico: un possibile stadio I vira immediatamente verso lo stadio II se troviamo anche un solo embolo
alla periferia del tumore. Ricordiamo che il paziente in stadio II esegue oltre alla chirurgia anche la
chemioterapia. Per tale motivo la ricerca degli emboli deve essere particolarmente accurata da parte
dell’anatomopatologo.
L’aspetto morfologico del seminoma è caratterizzato come abbiamo detto da grandi cellule immerse in un
background linfoide; le cellule indifferenziate neoplastiche di grandi dimensioni crescono in lobuli contenenti
cellule linfoidi. Quindi si tratta di una neoplasia organizzata in lobuli in cui le cellule tumorali crescono in uno
stroma linfoide. Le cellule tumorali sono molto più grandi, anche 5-6 volte più grandi dei linfociti che
costituiscono lo stroma linfoide.
La cellula seminomatosa come la cellula del Cis (tumore intratubulare) è una cellula positiva per PLAP, la
fostatasi placentare. Quindi l’immunoistichimica ci aiuta nella diagnosi in quanto questo PLAP che è espresso
da tutti i tumori germinali nel tumore seminomatoso e nel CiS è espresso addirittura in elevatissima quantità
mentre negli altri tumori germinali è espresso in maniera un po’ più ridotta.
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[Digressione sul CD30: Il CD30, un marker che troviamo anche nei linfomi Hodgkin e nei linfomi anaplastici,
marca anche le cellule del carcinoma embrionale che è un tumore che cerca di formare abbozzi embrionali,
forma tubuli, strutture ghiandolari, ecc. Il carcinoma embrionale esprime anche la citocheratina che è un
marker tipico degli epiteli. Questi tumori esprimono CD30 e citocheratina]. (cit. non si capisce bene se questi
markers sono espressi anche dal seminoma o meno).
I tumori embrionali formano degli abbozzi epiteliali (papille, strutture ghiandolari) e sono CD30 positivi.
Il carcinoma embrionario a differenza del seminoma (che è carneo e biancastro) ha un aspetto soffice ed
emorragico. Quando il tumore non è biancastro e troviamo anche aree emorragiche sospettiamo un tumore
misto, nel quale molto probabilmente c’è un carcinoma embrionario. Presenta cellule grandi e bruttissime: è
un tumore molto pleomorfo.
Lo Yolk-Sac tumor è un tumore invece che abbozza il sacco vitellino (“Sac” sta per sacco vitellino) e quindi
forma strutture che ricordano un po’ le membrane embrionali e strutture papillari che si chiamano corpi o
papille di Schiller-Duval; non è molto frequente nei tumori germinali post-puberali ed esprime spesso
focalmente l’alfa-fetoproteina. L’aspetto dello Yolk Sac tumor può essere molto vario, ci possono essere aree
microcistiche, però quello che andiamo sempre a ricercare sono le papille di Schiller-Duval che sono tipiche
di questo tumore; un altro elemento tipico è l’accumulo di depositi ialini.
Il coriocarcinoma, come dice la parola, è un tumore che abbozza la placenta e presenta cellule piccole e
cellule giganti multinucleate che simulano rispettivamente il cito- e il sincizio-trofoblasto, in un background
emorragico; è positivo alla gonadotropina corionica e per questo facilmente identificato
all’immunoistochimica. Ha un comportamento aggressivo e soprattutto nelle forme miste dà metastasi.
Il teratoma invece è un tumore generalmente cistico, in cui abbiamo la massima espressione della
differenziazione embrionaria; il tumore può differenziarsi a partire dal carcinoma embrionale nei tre foglietti
embrionali, soprattutto strutture ectodermiche (cute, annessi). Il teratoma è detto maturo quando le
strutture che forma sono appunto mature e quindi epidermide, cheratina, con cellule differenziate; può
formare fasci di muscoli, epitelio respiratorio, cartilagine. Ha comportamento aggressivo e, assieme al
coriocarcinoma, è quello che più frequentemente dà metastasi. Sono tumori differenziati e spesso danno
metastasi nel retroperitoneo. Essendo tumori differenziati rispondono male o per niente alla terapia. Alla
fine questi pazienti che hanno metastasi retroperitoneali, che vengono trattati perché è stata fatta diagnosi
di tumore non seminomatoso (i non seminomatosi anche allo stadio I si trattano, ricordatevi), queste masse
retroperitoneali non regrediscono perché le cellule mature del teratoma non possono essere distrutte, anzi
se la metastasi è la metastasi di un carcinoma embrionale per esempio quello che fa la chemioterapia è di
indurre la differenziazione, quindi questi tumori embrionali si differenziano in teratomi e chiaramente poi
non riescono più a regredire. Quindi l’effetto che la chemioterapia può avere sulle metastasi retroperitoneali
è quello di indurre la differenziazione e purtroppo questi pazienti devono essere operati per rimuovere il
tumore, anche se essendo il teratoma un tumore differenziato quindi non molto aggressivo, con un indice di
proliferazione bassissima, è un tumore che ha un comportamento indolente. Quindi ricordatevi che molto
spesso quando facciamo un esame istologico di un tumore del testicolo in cui ci sono tutte le componenti
tranne il teratoma, andiamo a vedere le metastasi retroperitoneali e proprio là c’è il teratoma perché
proprio la chemioterapia induce la trasformazione di una componente embrionaria in un tumore più maligno
che è il teratoma.
In precedenza abbiamo distinto i tumori puri dai tumori misti:
Nel maschio post-pubere il tumore più frequente puro è il seminoma (il seminoma si presenta puro nella
maggior parte dei casi), i non seminomi, invece sono misti. Quindi quando abbiamo tumori misti che
presentano dal punto di vista macroscopico aree biancastre, aree emorragiche, aree cistiche (quindi già
macroscopicamente sospettiamo un tumore misto), quello che il patologo deve fare è quantizzare le
componenti presenti nel tumore misto e quindi la componente embrionale, Yolk Sac, il coriocarcinoma è il
teratoma, con l’eventuale aiuto dell’istochimica laddove il nostro occhio non arriva; è importante la
quantizzazione perché componenti di carcinoma embrionario superiori al 80% identificano pazienti ad alto
rischio di progressione, così come pazienti che hanno componenti di coriocarcinoma.
Nella stadiazione del tumore testicolare un parametro importantissimo è l’identificazione degli emboli
neoplastici sia intorno al tumore che nel funicolo spermatico: la sola presenza degli emboli, senza
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infiltrazione diretta del funicolo, della tunica albuginea e della tunica vaginale, identificano pazienti allo
stadio II, quindi questi pazienti vanno sicuramente a chemioterapia.
L’infiltrazione della rete testis non è al momento non è un dato che fa cambiare lo stadio però è importante
valutarla.
La biopsia per il testicolo non deve essere assolutamente fatta, mentre deve essere fatta per le sospette
metastasi; ricordate che spesso pazienti con tumori germinali hanno quadri clinici sovrapponibili a quelli dei
linfomi, con grosse masse addominali e mediastiniche: questi pazienti vanno dall’ematologo con il sospetto
di linfoma, si fa la biopsia della massa tumorale che rivela che si tratta di una neoplasia germinale
metastatica del testicolo; alla presenza di una neoplasia germinale vado subito a valutare il testicolo, che può
presentare aree fibrotiche non tumorali perché il tumore del testicolo può anche regredire nella sua sede
primitiva.
Il tumore spermatocitico è un tumore tipico dell’età avanzata (oltre 65 anni), molto raro, e rispetto al
seminoma le cellule sono pleomorfe (ci sono cellule grandi, altre piccole) e manca il background linfoide
(tipico dei seminomi); dà metastasi soprattutto al polmone.
Cenni sullo stadio: quando il tumore è confinato al testicolo e non ci sono emboli neoplastici ci troviamo
nello stadio 1, quando c’è l’infiltrazione della tunica albuginea, del funicolo spermatico ci si trova ad uno
stadio più avanzato.
Ci possono essere anche metastasi da altri tumori, come leucemie e linfomi, prostata, rene, polmone e
melanoma.
Dal punto di vista della patologia molecolare (branca dell’anatomia patologica che si occupa di individuare
marker prognostici, predittivi di risposta alla terapia) la maggior parte dei tumori del testicolo ha
l’isocromosoma 12, però è da segnalare l’overespressione della ciclina D1 che identifica pazienti con scarsa
risposta alla terapia; ci sono alterazioni del meccanismo di mismatch repair e di bRAF che indentifica pazienti
che sono resistenti o che sono tardo-recidivanti: il 90% di questi tumori quando si trattano, anche se
metastatici, regredisce, mentre il 10% o è resistente alla terapia o risponde alla terapia ma recidiva molto
tardi: proprio questi pazienti hanno alterazioni del mismatch repair o la mutazione di bRAF, in particolare la
mutazione V600E (presente anche nel melanoma).
[qui il prof. ritorna sui tumori dell’ovaio]
Fra i tumori dell’ovaio il seminoma si chiama disgerminoma. È un tumore molto raro (2% dei casi), solido e
biancastro, con cellule grandi monomorfe in un background linfoide, con aspetto istologico e
immunofenotipo sovrapponibile a quello del maschio. La neoplasia è positiva per PLAP, c-kit, Oct-4.
Il carcinoma embrionario come nel testicolo è macroscopicamente emorragico; è rarissimo nella donna e
anche in questo caso è un tumore che cerca di formare strutture, dei lumi ghiandolari ed esprime CD30.
Il sinciziotrofoblasto presenta cellule giganti, cellule più piccole ed è positivo a hCG.
I teratomi sono i tumori germinali più frequenti nella donna, ma hanno andamento benigno, e abbiamo
differenziazioni che possono riguardare tutti e tre i foglietti embrionali e quindi possono sviluppare cute,
ossa, cartilagine, peli, ghiandole sebacee, denti però nella donna a differenza che nel maschio si va a
quantizzare la maturità del teratoma perché quanto più è immaturo, tanto più è aggressivo, nel senso che
non dà metastasi ma può recidivare localmente. Come si va a quantizzare l’immaturità? Con l’identificazione
del neuroepitelio, epitelio che ricorda un po’ quello che succede nel sistema nervoso centrale, cioè le
strutture neuroepiteliali del sistema nervoso centrale. La gradazione del neuroepitelio è importante per
valutare l’immaturità: l’immaturità può essere di primo, secondo e terzo grado e chiaramente questi ultimi
hanno una prognosi peggiore. Si può avere un teratoma maturo monofillico definito struma ovarii che forma
tessuto tiroideo nell’ovaio e quindi iperproduzione di ormoni tiroidei.
Nei bambini i tumori germinali hanno una prognosi migliore e possono localizzarsi anche alla regione sacrococcigea.
Lez. 31.03.16 Prof. Franco
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Uropatologia: la prostata.
Oggi parleremo di uropatologia che è quel settore dell’anatomia patologica che si occupa della diagnostica
dei tumori urogenitali maschili. Uropatologia è quella branca dell’anatomia patologica che si affianca
all’urologia e si occupa dei tumori delle vie urinarie e del tratto genitale maschile. Parliamo di prostata, oggi,
che è un capitolo molto importante per la diagnostica uropatologica soprattutto per quanto riguarda il
tumore, quindi andiamo un po’ più spediti sulle prime due patologie che sono le prostatiti e le iperplasie
prostatiche benigne poiché hanno scarso impiego dell’anatomia patologica.
Prostatiti
Come tutte le infiammazioni le prostatiti possono essere:
1)acute
2)croniche: nelle croniche si può identificare o no il batterio, quindi abbiamo una cronica batterica e una
cronica abatterica.
1)La principale causa delle prostatiti acute è determinata dall’Escherichia coli, la patogenesi delle infezioni
da Escherichia coli sono legate alla via ascendente, che è tipica nelle donne.
Le donne sono più frequentemente soggette ad un’infiammazione acuta della vescica, e quindi le cistiti
femminili sono più frequenti. Perché nelle donne la cistite è più frequente? Perché l’uretra è più corta e
quindi le normali barriere anatomiche di difesa della vescica sono più carenti.
Nei maschi la cistite può essere complicata da una prostatite e qualche volta ci può essere prostatite senza
un vero quadro cistitico.
La prostatite acuta batterica è quindi caratterizzata da una infiammazione acuta e molto frequentemente si
formano degli ascessi, come in tutti gli organi ghiandolari gli ascessi sono caratterizzati da accumuli di
neutrofili nell’ambito del lume ghiandolare. Il decorso clinico è chiaro, queste sono le immagini di prostatite
in cui riconoscete strutture ghiandolari e nell’ambito delle strutture ghiandolari ci sono dei granulociti
neutrofili.
2)Le prostatiti croniche invece sono frequentemente abatteriche, nel senso che non si individuano i fattori
eziologici, anche se spesso sono legate ad infezioni da Chlamidya e Ureoplasma.
Come sapete le prostatiti croniche danno problemi di disuria e dolori pelvici, però sono difficilmente curabili
poiché la prostata è difficilmente raggiungibile dagli antibiotici.
Questo è un quadro di infiammazione cronica di cui riconosciamo la ghiandola e una struttura linfoide che
assomiglia ad un follicolo, quindi linfociti che sono la popolazione prevalente nelle prostatiti croniche.
L’ anatomia della prostata è un’anatomia molto particolare. In anatomia patologica distinguiamo una zona
centrale ed una periferica, perché le patologie che possono colpire la prostata sono diverse se colpiscono la
zona centrale o la zona periferica. I cancri sono prevalentemente periferici mentre le iperplasie sono più
tipiche della zona centrale e sono quelle che danno più frequentemente la sintomatologia.
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Iperplasia prostatica benigna
L’iperplasia prostatica benigna è un’iperplasia che colpisce prevalentemente i maschi anziani.
È legata non solo ad una riduzione degli androgeni, ma più specificamente ad un aumento del rapporto
estrogeni/androgeni che portano ad una proliferazione sia dello stroma che delle strutture ghiandolari.
Il trattamento è chirurgico quando chiaramente c’è una sintomatologia. Normalmente la prostata è delle
dimensioni di una castagna, quindi ha un volume molto piccolo. Vedete che nelle iperplasie prostatiche può
essere particolarmente voluminosa, nodulare e ostruire l’uretra, quindi la sintomatologia prostatica è
sempre legata ad una iperplasia, difficilmente al cancro perché il cancro è localizzato alla periferia.
E questo è l’aspetto di una iperplasia prostatica che coinvolge sia lo stroma che le ghiandole.
Tumori della prostata
Allora arriviamo ai tumori della prostata che sono sicuramente il problema uropatologico più importante di
questo distretto, come in tutti i tumori, come quando abbiamo parlato anche in passato di tumori,
affronteremo aspetti generali, clinici e epidemiologici ed aspetti generali nella diagnosi nell’ambito
dell’anatomia patologica e soprattutto, e questa è una cosa che agli esami dovete sapere, problematiche
connesse alla diagnosi ed al management del campione che è bioptico o chirurgico, cenni di patologia
molecolare laddove ci sono delle applicazioni che riguardano la clinica e poi parleremo degli istotipi vari.
Quindi il tumore della prostata sapete che è il tumore maschile più frequente, negli anni 90’ vedete c’è
un’impennata nell’ambito dei carcinomi della prostata, sapete che nella maggior parte dei casi il tumore della
prostata è un tumore indolente, nella maggior parte dei casi la sintomatologia è legata a problematiche
metastatiche, però, negli ultimi anni grazie agli screening che si fanno, grazie a che cosa? qual è il marker? Il
PSA, sono stati identificati dei carcinomi della prostata. Il problema dei carcinomi alla prostata è un problema
molto importante perché probabilmente ne diagnostichiamo molti di più di quanti realmente debbano
essere trattati, perché a parità di aspetti morfologici, clinici alcuni tumori se li lasciamo stare non daranno
segni di sé e non daranno problemi, altri invece avranno un andamento più aggressivo e chiaramente
necessitano di un trattamento, però al momento non abbiamo dei parametri che ci facciano indentificare e
caratterizzare questi due tipi, a parità di condizioni, sto parlando di carcinomi sempre ben differenziati e non
dal punto di vista di grading e stadiazione particolarmente aggressivi, infatti, sapete che nella prostata,
sicuramente lo avete fatto in urologia, esistono dei programmi di sorveglianza attiva, cos’è la sorveglianza
attiva? Un paziente viene seguito farà delle biopsie farà un follow-up basato fondamentalmente sul PSA però
non viene trattato, quindi non fa né radioterapia, né ormono-terapia, né chirurgia, e quindi è un paziente
che verrà seguito e diciamo i risultati della sorveglianza attiva sono anche abbastanza soddisfacenti, i pazienti
arrivano anche a 7 anni di follow-up senza aver fatto nessun tipo di intervento medico o chirurgico, però, il
problema c’è ed il problema della mortalità per il carcinoma della prostata esiste, comunque è tra primi
tumori per mortalità. Come si fa lo screening? È un tumore asintomatico se non metastatico, lo abbiamo
detto, un marker che noi utilizziamo che è il PSA, che sapete normalmente aumenta con l’età, qualunque
metodo indica come valori patologici quando lo score è superiore a 4 ng/ml, abbiamo poi altri parametri che
possono essere utili come il rapporto PSA libero/totale, ed è ridotto nel paziente con tumore, oppure Il PSA
density. Il PSA è un marker che aumenta nel momento in cui si hanno patologie prostatiche, compresa la
prostatite e le iperplasie prostatiche benigne, non è un marker assoluto neoplastico e quindi va preso con le
opportune precauzioni, però è sicuramente utile per valutare la risposta al trattamento. Quindi i pazienti che
fanno ormono-terapia sono pazienti che dovrebbero avere un PSA completamente annullato e quindi la
scarsa risposta alla terapia c’è comunicata dal PSA. I sintomi sono presenti principalmente in fase avanzata e
in particolare la sintomatologia dolorosa dovuta alle frequenti metastasi ossee dovute al carcinoma
prostatico sono gli elementi clinici più rilevanti.
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Il tumore più frequente della prostata, e quindi parleremo prevalentemente di questo, è il carcinoma acinare,
l’adenocarcinoma acinare è un tumore ghiandolare perché la prostata è un organo prevalentemente
ghiandolare, poi ci sono dei tumori più gravi che sono l’adenocarcinoma duttale, uroteliale e lo squamoso.
Rare sono, chiaramente la prostata è un organo misto, le neoplasie mesenchimali di cui faremo un brevissimo
cenno.
Allora vi ricordate l’anatomia della prostata, la prostata è una ghiandola tubulare composta, i tumori
derivano dalle cellule secretorie che vanno a costituire questi tubuli, ricordiamo che nell’ambito di questi
tubuli ci sono anche altri tipi di cellule, che sono cellule neuroendocrine rarissime che però hanno
un’importanza particolare nell’evoluzione del tumore, e poi lo vedremo alla fine, e poi chiaramente abbiamo
cellule di ricambio che sono le cellule parietali (?) e sono anch’esse importanti per la progressione tumorale.
Alla base delle strutture tubulari come tutte le strutture ghiandolari abbiamo le cellula basali, fondamentali
perché ci consentono di fare diagnosi di malattia neoplastica, e chiaramente quando c’è il tumore le cellule
basali scompaiono totalmente, questo succede nella mammella vi ricordate il professore Rossiello
sicuramente vi ha fatto vedere che un marker immunoistochimico delle cellule basali è P63 o le citocheratine
ad alto peso molecolare (CK-HW). Quando queste scompaiono, in particolar modo hanno un’importanza
fondamentale nella diagnosi differenziale tra una lesione maligna ed una benigna, la scomparsa di queste
cellule ci permette di fare più facilmente diagnosi di malignità.
L’anatomia della prostata ve la ricordate, viene idealmente divisa in 4 lobi, non esiste una vera lobazione
nella prostata, se non diventa particolarmente evidente nei casi di iperplasia prostatica, si distinguono: un
lobo anteriore, posteriore, medio e lobi laterali. Questa divisione in lobi, però, a noi non interessa, poiché il
riferimento a cui facciamo capo è quello del modello di McNeal del 1998, il quale distingue 2 zone della
prostata che sono anche distinte dal punto di vista embriologico: una zona centrale e una zona periferica a
cui si aggiunge anche una zona transizionale. Allora perché questa distinzione? Questa distinzione dal punto
di vista patologico è importante perché i tumori originano prevalentemente dalla zona periferica.
Immaginate la prostata come una coppa, esternamente c’è la zona periferica che è più evidente e meglio
rappresentata nelle porzioni apicali della prostata e poi abbiamo una zona centrale che è quella che avvolge
i dotti eiaculatori e che è più evidente nella porzione basale( dove si trova la porzione basale? Sotto la
vescica.) La zona centrale è questa in grigio un po’ più chiaro, si trova più rappresentata nella zona basale, e
quindi e sotto la vescica, mentre la zona periferica che è quella che più interessa l’anatomopatologo per
quanto riguarda il tumore è più rappresentata nella porzione intermedia e nella porzione apicale. Il numero
delle ghiandole è superiore nelle porzioni periferiche che nella porzione centrale. A ridosso dell’uretra
abbiamo questa zona transizionale che è quella più sensibile all’alterazione del rapporto
estrogeni/testosterone e dà quadri di iperplasia prostatica con compressione dell’uretra e la sintomatologia
clinica di cui abbiamo parlato. Quindi zona centrale intorno ai dotti eiaculatori, zona periferica è molto più
rappresentata nelle porzioni apicali della prostata.
I tumori della prostata, tra cui il più frequente è il carcinoma acinare (istotipo: adenocarcinoma acinare),
hanno i loro comuni precursori che prendono il nome di PIN, che significa prostatic intraepithelial neoplasia,
e si distinguono due forme di PIN: di basso grado e di alto grado.
Il PIN di basso grado è una patologia che noi nemmeno lo segnaliamo nei referti perché ha una
scarsa/bassissima evolutività verso un PIN di alto grado e verso il carcinoma e comunque presenta delle
alterazioni molecolari e da punto di vista morfologico è caratterizzato da:
-Nuclei un po’ più ingranditi
- Nucleoli generalmente assenti
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-Struttura ghiandolare, mantiene lo strato delle cellule basali intatto; è presente dunque nella struttura
ghiandolare l’epitelio basale.
L’alto grado, il vero precursore del carcinoma prostatico infiltrante, che quindi va segnalato nei referti
anatomopatologici perché è quello che più potenzialmente può progredire verso il cancro e si associa molto
frequentemente al cancro è caratterizzato da:
-Nucleo aumentato di volume
-Nucleoli ben evidenti
-Struttura ghiandolare con linea di cellule basali incompleta.
Quindi ricordate che il PIN di alto grado è il precursore del cancro, e come tutti gli adenocarcinomi l’elemento
che ci consente di fare diagnosi di adenocarcinoma qual è? Dal punto di vista morfologico e citologico? La
presenza del nucleolo, ricordate che tutti gli adenocarcinomi sono caratterizzati dalla presenza di nucleoli
molto evidenti molto ingrossati, e in particolare nella prostata la dimensione del nucleolo, poi vedremo,
rappresenta un elemento diagnostico importante nella diagnosi differenziale con lesioni benigne. Quindi
l’alto grado ha un significato clinico perché è presente nel 4-16% delle biopsie, ha un valore predittivo di
concomitanza con il cancro che non viene rilevato e di possibile evoluzione verso il cancro. Allora si trova
come tutti i tumori nelle porzioni periferiche della prostata e si possono avere anche in questo caso grossi
pattern istologici. Invece di basso grado ricordatevi che è una lesione di cui parliamo solo qui, non lo
ritroverete mai nei referti perché è una lesione scarsamente evolutiva. Dal punto di vista molecolare queste
lesioni PIN di alto grado presentano delle alterazioni simili a quelle che si trovano nell’adenocarcinoma:
perdita del braccio corto del cromosoma 8, oppure gain del braccio lungo del cromosoma 8, accorciamento
dei telomeri che è un aspetto tipico degli adenocarcinomi prostatici ed un aumento dell’attività telomerasica.
Quindi è un vero precursore sia morfologico che molecolare dell’adenocarcinoma. Come si presenta il PIN?
Allora il PIN, se considerate che questa è una ghiandola, una ghiandola tubulare in cui l’epitelio basale è
interrotto ma presente, all’interno del lume ghiandolare l’aspetto può essere seghettato, come in questo
caso, detto tufted, oppure può essere micropapillare, cioè le cellule epiteliali all’interno del lume, sono le
papille che aggettano nel lume ghiandolare, come nel secondo caso, oppure le strutture epiteliali si possono
incrociare tra di loro formando una groviera come il formaggio a groviera, questo aspetto si chiama
cribriforme, oppure l’aspetto interno delle lume è completamente piatto e le atipie citologiche, di cui
abbiamo parlato, sono presenti e non a caso si parla di PIN di alto grado piatto. Quindi:
-tufted l’aspetto seghettato dei lumi, qui non so se li vedete, sono presenti i nucleoli, quindi l’aspetto
seghettato all’interno dei lumi tufted, in cui però sono sempre presenti gli aspetti citologici atipici cioè
l’ingrossamento del nucleo e la presenza del nucleolo
-l’aspetto micropapillare, all’interno del lume si formano delle micropapille (ricordate che la differenza
anatomopatologica tra papille e micropapille è che nelle micropapille non si vede l’asse microvascolare)
- l’aspetto cribriforme è quello a groviera in cui le cellule si incrociano tra di loro formando lembi all’interno
dei lumi
-aspetto flat piatto in cui le cellule non formano nessuna struttura all’interno del lume.
Allora le cellule basali sono difficilmente visibili al microscopio ottico, quindi abbiamo degli strumenti
immunoistochimici che ci consentono di identificarle, in particolare le citocheratine ad alto peso molecolare
(CK-HW) e la p63 sono i più utilizzati, in questo caso c’è un immunoistochimica con citocheratina ad alto peso
molelocare e vedete che il profilo della ghiandola ha un linea basale interotta in più punti e questo è un altro
aspetto tipico architetturale del PIN di alto grado. Quindi il PIN ha aspetti citologici aberranti e alterazioni
architetturali.
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Il PIN di basso grado, invece, non ha nessuna importanza ed è di scarso interesse da un punto di vista
anatomo-patologico, in questo caso le proliferazioni sono generalmente papillari, il volume dei nuclei è simile
a quello della cellula normale e, soprattutto, non si vedono i nucleoli, il profilo architetturale non è anomalo,
nel senso che se effettuiamo una colorazione immunoistochimica per la citocheratina ad alto peso
molecolare vedremo la normale rappresentazione di tutto l’epitelio basale lungo tutta la struttura
ghiandolare.
ADENOCARCINOMA ACINARE
A differenza di tutti gli altri tumori, nella maggior parte dei casi, il tumore della prostata non è né visibile né
palpabile, quindi se abbiamo un pezzo di prostata non riusciamo a vedere il tumore, mentre se abbiamo un
pezzo di mammella, il tumore si vede, è un nodulo che può essere identificato agevolmente con gli esami
strumentali: ecografia, risonanza magnetica, mammografia. Nel caso della prostata non esiste alcun esame
strumentale in grado di evidenziare il tumore, questo perché la prostata è un organo perlopiù fibroso
costituito da collagene, pertanto si tratta di un tumore che non fa massa ma si nasconde in questa normale
consistenza dell’organo e visivamente è anche biancastro come appunto lo è il parenchima prostatico. Quindi
il tumore non è visibile né con gli esami strumentali né direttamente con il pezzo. Questo è molto importante
dal punto di vista diagnostico e poi vedremo perché. Raramente, cosa del tutto eccezionale, il tumore può
fare massa immersa in un parenchima cistico: la prostata degli anziani è un po’ cistica per l’effetto di
rimaneggiamento dell’iperplasia prostatica benigna, dello scarso supporto degli androgeni e dell’aumento
del supporto degli estrogeni.
La diagnosi di adenocarcinoma è istologica e si basa fondamentalmente sugli aspetti architetturali del tumore
cioè come si presentano queste strutture ghiandolari, a differenza degli altri tumori, e non sul dettaglio
citologico che è sicuramente importante, ma non quanto quello architetturale. L’ aspetto architetturale è
anche importante per grade il tumore.
Pattern architetturali: score di Gleason
Il grading dei tumori, in generale è lo stato differenziativo del tumore, quanto cioè le cellule neoplastiche
somigliano alla controparte normale da cui originano. Nel grading della prostata, questo è parzialmente vero.
Infatti si fa riferimento al grading di Gleason. Quest’ultimo introdusse questo nuovo concetto di grading negli
anni ’50 ed è tutt’ora validissimo. Gleason classificò i tumori prostatici in base all’architettura ghiandolare e
non in base al dettaglio citologico cioè non alla somiglianza con la cellula nomale. Pertanto identificò i tumori
prostatici in 5 gradi: i primi gradi, chiaramente, sono quelli che formano ancora strutture ghiandolari.
Dunque:
•
•
Grado 1 il tumore forma ancora strutture ghiandolari di aspetto lobulato e contorni regolari.
Nel Grado 2 il tumore formerà ancora strutture ghiandolari con un lume ben evidente, abbastanza
addossate le une alle altre, ma il profilo del tumore è, in questo caso, irregolare. Queste sono pure
sempre infiltranti, cioè che superano la membrana basale, ma l’aspetto è comunque abbastanza
circoscritto.
• Nel Grado 3 le strutture ghiandolari sono più distanziate dallo stroma le une dalle altre, il profilo è
sempre irregolare.
• Nel Grado 4 le cellule in parte non formano più ghiandole con lumi riconoscibili.
• Nel Grado 5 il tumore non ne formerà proprio più.
Quindi l’aspetto del pattern o Gleason 1 e del pattern 2 lo apprezziamo soltanto nei campioni microscopici
di prostatectomia e non nelle biopsie, per cui quando nelle biopsie risulta un Gleason 2, bisogna pensare che
il patologo abbia sbagliato, in quanto nelle biopsie possiamo apprezzare solo il Gleason dal 3 in poi. Nel
Gleason 3 lo stroma prevale e distanzia le ghiandole, le cellule si organizzano a formare lumi ghiandolari e,
nel dettaglio, il profilo della ghiandola è un poco irregolare ma un elemento che si osserva sempre nella
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cellula è il nucleolo. Nel grado 4 i lumi sono scarsamente riconoscibili si osservano delle filiere di cellule
tumorali che hanno un lume talmente piccolo da non essere osservabile, compresso.
Nel grado 5 non riconosciamo proprio più nemmeno la filiera di cellule che organizza un tubulo, ma il pattern
di crescita è solido, si possono trovare aree di necrosi, le cellule si dispongono a formare, non delle filiere
tubulari con lume compresso, come nel grado 4, ma filiere di singole cellule, che qualche volta assumono
l’aspetto ad anello con castone, ritrovato anche nel carcinoma lobulare della mammella, nel carcinoma del
polmone, dell’ovaio e dello stomaco.
Come si attribuisce un Gleason ad un tumore prostatico?
I tumori prostatici sono molto pleomorfi cioè hanno pattern di crescita molto diversi tra loro anche
nell’ambito dello stesso tumore. Quindi in un tumore prostatico bisogna riconoscere dapprima il pattern
prevalente, detto primario e un pattern secondario. Nell’esempio mostrato dal prof, il pattern primario è il
3 mentre il secondario è il 4, quindi lo score Gleason risultante sarà 3+4= 7. Nei referti si fa sempre
riferimento ad un Gleason combinato cioè che combina il profilo primario con il secondario. Esistono diversi
score combinati da 2 a 10, teoricamente, mentre, in pratica, siccome il pattern 1 e 2 raramente si riscontrano,
gli score che osserviamo vanno da 6 a 10.
Dunque: un tumore di basso grado ha uno score inferiore o uguale a 6
un tumore di grado intermedio ha uno score di 7
un tumore di alto grado ha uno score di 8, 9 o 10
L’attribuzione del Gleason è molto importante anche sulla biopsia. I tumori con un Gleason basso hanno una
prognosi migliore. Esistono delle condizioni per cui due pazienti possono avere uno score di Gleason uguale,
per es 7 ma avere un decorso della malattia diverso, migliore in uno e peggiore nell’altro. Questo perché nel
paziente con decorso migliore lo score 7 è il risultato della somma di 3+4; mentre in quello con decorso
peggiore lo score 7 è il risultante della somma di 4+3, ovvero con un pattern prevalente più aggressivo.
Questo è il motivo per cui nel referto va sempre indicato anche il pattern primario e secondario.
VARIANTI RARE DEL TUMORE PROSTATICO (penso si riferisca all’ adenocarcinoma acinare, purtroppo non
viene specificato)
Tutte caratterizzate da atipie citologiche di cui abbiamo parlato e dalla perdita dello strato basale. Le varianti
sono:
•
Atrofica, simile all’atrofia ghiandolare, tipica dell’uomo anziano, con lumi molto dilatati e depleti di
materiale. Tuttavia anche queste cellule hanno atipie citologiche.
• Mucinosa sono tumori sempre acinari, ma che più del 50% della componente neoplastica produce
muco
• A cellule con anello con castone, variante del pattern 5
• Pseudoiperplastica
• Microcistica
Le atipie citologiche che si osservano in questi tumori sono simili a quelle discusse per la variante
convenzionale.
Ora passiamo alla diagnostica dei tumori prostatici. Esistono dei problemi legati alla biopsia e esistono
problemi legati al campione operatorio. Abbiamo detto che il tumore della prostata non si vede e non si
sente, per cui non si può fare prelievo mirato, gli unici mezzi che abbiamo sono la variazione del PSA e altri
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parametri biochimici, non è sintomatico, per cui i prelievi devono essere fatti multipli e a random. Si fanno i
cosiddetti “prelievi a sestante”, nella cui metodica noi andiamo ad effettuare prelievi a random ma andando
a prelevare in tutte le aree della prostata, aree anteriori, posteriori, laterali, apicali e basali. Quindi con una
campionatura che va dagli 8 ai 16 prelievi possiamo aumentare di molto la probabilità di individuare la lesione
cancerosa, è comunque possibile che non si rilevi la lesione nonostante tutto. Comunque in caso di PSA
elevato, o esplorazione digito-rettale sospetta o ecografia, non gli diciamo non hai il tumore, ma su questo
materiale non c’è il tumore, ciò non toglie che esso sia presente. In tal caso ovviamente se i dati clinici appena
detti continuano ad essere positivi il pz dovrà sottoporsi a nuova biopsia. Le biopsie prostatiche sono molto
dolorose poiché avvengono per via trans-rettale per cui la loro attuazione deve avvenire in maniera cauta e
utilizzare i prelievi con accuratezza. Altro problema della biopsia è l’assegnazione del GRADING, abbiamo
detto che da studi effettuati il grading assegnato alle biopsie è sovrapponibile a quello del campione
operatorio prelevato successivamente. Un altro problema riguarda il ruolo dell’ASAP (proliferazione
microacinare atipica) che non è un’entità nosologica, in quanto con il termine ASAP il patologo dice al clinico
“non lo so se il pz ha il tumore o non ce l’ha”. Non significa che è una lesione precancerosa, post-cancerosa
o cancerosa. In genere accade quando il patologo ha pochissimi elementi soprattutto ghiandolari per cui non
si esprime. Il patologo avverte il clinico con tale affermazione di stare attento a quel paziente ma oltre ciò le
sue capacità diagnostiche non possono andare.
Quindi tecnica della biopsia a sestanti, nel tempo si è passato da un prelievo a lobo, poi a due e ora si è
arrivati a 12 prelievi totali, sei per lobo. Il vantaggio è che l’aumento di prelievi determina anche una
probabilità maggiore di trovare la lesione cancerosa. Si calcola che si ha una percentuale di vantaggio che va
dal 7 al 30% con tale metodica. Quindi il prelievo si fa per via trans-rettale ed è guidato.
Quali sono le possibilità? Si può fare:
-diagnosi di cancro e a quel punto il pz comincerà il trattamento della neoplasia.
-diagnosi di lesione benigna
- PIN di alto grado,
-ASAP
-ASAP + PIN di alto grado.
Quello che guida il clinico alla re-biopsia è il quadro clinico che viene dato dal valore del PSA, nonostante la
terapia antibiotica e antiinfiammatoria data, dall’esplorazione digito-rettale e dall’ecografia sospetta ma in
particolar modo dal valore alto del PSA.
La re-biopsia deve essere considerata quando vi è una lesione benigna che deve essere monitorata e il valore
del PSA tende a rimanere stabile o aumenta. E si calcola che alla biopsia successiva il 18% circa dei casi con
diagnosi negativa precedente ha diagnosi di cancro. Quelli che hanno PIN di alto grado (ricordate che anche
se spesso associata a cancro non è meritevole di trattamento di per sé), alla successiva biopsia il 30% dei pz
ha diagnosi di cancro, quando facciamo diagnosi di ASAP alla successiva nel 40% dei casi si ha diagnosi di
cancro, ASAP + PIN alto grado il 50% ha diagnosi di cancro. I tempi della re-biopsia vanno dai 3 ai 6 mesi
perché ovviamente dopo la prima biopsia il PSA ha degli scombussolamenti dovuti al prelievo e quindi si deve
assestare. Se dopo tale tempo il PSA rimane stabile o aumenta è chiaro che si rende necessario avviare un
programma di re-biopsia, ripetuta soprattutto se le precedenti diagnosi sono di PIN o di ASAP.
Oggi, il lavoro anatomo-patologico è ovviamente aumentato perché alla prima biopsia si hanno 12 prelievi
ma alla seconda se non addirittura terza biopsia si possono avere fino a 16, 24 o anche 32 prelievi da
analizzare. Per quanto riguarda il Gleason detto precedentemente sono state riportate delle modifiche negli
ultimi anni, la più importante è che quando le cellule neoplastiche non formano lumi ghiandolari per quanto
si riconosce una struttura ghiandolare si attribuisce un PATTERN IV anziché come faceva Gleason in passato
un pattern III. Quindi tutti i tumori che non formano più lumi hanno un pattern IV. Esistono delle cose
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tecniche a proposito del Gleason di cui vi volevo parlare, quando troviamo in una biopsia un campione in cui
la componente tumorale è per il 95% Gleason 3 e meno del 5% Gleason 4 noi quel quattro lo dobbiamo
sempre valorizzare e quindi a questo tumore che in base ai criteri passati era un 3+3, deve essere classificato
invece come un 3+4. Viceversa quando abbiamo una componente 95% che è Gleason 4 e per meno del 5% 3
noi questo valore lo trascuriamo e assegneremo al pz un Gleason 4+4. Quindi i gradi più elevati vanno
SEMPRE valorizzati anche se in percentuale minima.
Altro problema evidenziato è il pattern terziario. È possibile che si abbia anche questo pattern in un tumore.
Secondo le linee guida il peggiore deve essere sempre valorizzato per cui se avremo un tumore con pattern
3+4+5 elimineremo il primo e manterremo i peggiori quindi 4+5.
Nel 2014 nell’ambito del Gleason è stato introdotta una classificazione del RISCHIO.
Il rischio nel pz che va incontro a progressione tumorale è l’aumento del PSA. In un pz che è stato sottoposto
a intervento chirurgico, radioterapico o ormonoterapico il PSA non ce l’ha più, per cui un innalzamento del
PSA dimostra chiaramente che è in corso una progressione, e si parla di progressione biochimica.
La classificazione di rischio di Ebstern del 2014 prevede cinque gruppi in relazione al Gleason:
1)Gleason tra 2-6: hanno un rischio di progressione molto basso.
2)Gleason 7 dato da 3+4: hanno rischio un po’ più elevato ma comunque basso.
3)Gleason 7 dato da 4+3: rischio intermedio.
4)Gleason 8
5)Gleason 9 e 10: hanno il rischio più alto.
Altro problema della bioptica è la proliferazione microacinare atipica (ASAP), è una proliferazione di piccole
ghiandole che è tipica dei carcinomi, che è inferiore al millimetro, ha un’incidenza del 2-3% dei casi ma alla
re-biopsia diventa cancro nel 40% dei casi, quindi questa proliferazione anche soprattutto se si trova ai
margini chirurgici ed è stata distorta dall’ago a noi non dà certezza di diagnosi ma alla re-biopsia poi si può
riscontrare diagnosi di cancro appunto in ben il 40% dei casi. Ricordate che è sempre una proliferazione molto
limitata. Gli strumenti che ci vengono in aiuto nella diagnosi di cancro sono dati dall’immunoistochimica.
Andiamo quindi a valutare l’epitelio basale utilizzando la citocheratina 34 ad alto peso molecolare o anche
la colorazione immunoistochimica doppia dove si ha una colorazione marrone e rossa: la marrone è data
dalla aminobenzidina sulle cellule basali, la rossa è data dal FAST RED che marca la RACEMASI che è un marker
espresso SOLTANTO dalle cellule tumorali. Si ha la combinazione di assenza di epitelio basale(ck34 positivita)
e presenza nel lume di questa colorazione rossa che indica la presenza della racemasi.
Bisogna comunque ricordare che in una piccola percentuale di casi (circa il 4%) nonostante alla biopsia si
abbia diagnosi di cancro in ambito operatorio non si riscontra il cancro, ciò deve essere fatto presente dal
patologo e si avvera in caso di lesioni veramente molto focali.
Allora abbiamo detto che i tumori alla prostata soprattutto quelli di basso grado non sono tutti uguali, ma
alcuni sono veramente indolenti. Li possiamo lasciare stare tutta la vita e non trattarli per niente e questo ha
indotto invece a inserire questo tipo di programma terapeutico che si chiama sorveglianza attiva, che è una
sorveglianza del paziente, follow-up stretto, legato a valutazioni periodiche di PSA fornite dopo sei mesi per
due anni poi ogni sei mesi negli anni successivi e biopsie a 1 a 3 e a 7 anni ( questo è il programma Prias che
è quello più famoso che ha incluso circa 2500 pazienti) e il paziente va in progressione: se il rapporto psa
libero totale si riduce in modo significativo, se in più di tre biopsie abbiamo un tumore in sede, o se il Gleason
cambia.
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I pazienti che fanno sorveglianza attiva sono pazienti che hanno meno di due biopsie positive delle 12
prelevate, un Gleason che sia inferiore o uguale a sei, quindi tumore di basso grado, e che abbiano un PSA
contenuto.
Quando aumenta il numero del rapporto PSA libero totale, quando le biopsie che vengono fatte a tre a sette
anni sono più di due o quando il Gleason aumenta chiaramente c'è un paziente che sta andando in
progressione, quindi esce dal programma della sorveglianza attiva e segue criteri chirurgici, radioterapici e
ormonoterapici, ok? Attualmente soltanto il 22 % dei pazienti che va incontro a progressione fa uso di altre
terapie, ma la sopravvivenza è altissima.
Ricordate che il problema della sorveglianza attiva è quindi il ruolo del patologo, fondamentale perchè in
base all'esportazione, il numero delle biopsie e il Gleason il paziente può essere arruolato per la sorveglianza
attiva o no. Quindi la diagnosi deve essere una diagnosi accurata e ricordate che anche la uropatologia non
è materia per tutti. L'anatomia patologica è sempre specializzata e quindi esistono anche per quello delle
competenze specifiche.
Le problematiche relative al campione operatorio sono problematiche anatomiche e di stadiazione.
Abbiamo detto che fondamentalmente è un tumore che non si vede, quindi la prostata va campionata
totalmente, il che significa fare prelievi di tutta la prostata e significa almeno 30, 40 prelievi di prostata
(campione operatorio).
E' un tumore quello della prostata che non ha una capsula riconoscibile , presente su tutta la superficie, e
quindi noi abbiamo la necessità di distinguere i margini chirurgici da quelli patologici della ghiandola per
questo motivo il campione va chinato. Questi sono coloranti particolari che si mantengono su vetrino e quindi
noi riusciamo a capire se il tumore arriva sul margine chirurgico, prima di sezionarla, perchè il paziente con
margine positivo farà la radioterapia, ok? Quindi ad es. qui la china verde usata per marcare il margine
anteriore ci fa vedere che il tumore è presente su questa superficie chinata. Se il tumore ha margine continuo
il paziente deve fare radioterapia, oltre all'intervento chirurgico. Poi dobbiamo avere il grasso che ci
documenta la fine della prostata; in qualche caso è il grasso che ci dice se il tumore sta uscendo o no.
L'infiltrazione della vescichette seminali è l'infiltrazione più frequente (tumore allo stadio 3).
Stadiazione
-T1 tumore in un lobo
-T2 due lobi
-T3 infiltrazione dei tessuti molli extraprostatici o delle vescichette seminali
-T4 quando c'è l'infiltrazione a distanza di organi come la vescica o organi pelvici.
Quando il tumore è metastatico a linfonodo (e molto spesso pazienti che hanno metastasi linfonodali non
vengono operati), quindi uno dei criteri dell'esame estemporaneo in anatomia patologica e dell'urologo è
l'analisi dei linfonodi pelvici. Se c'è metastasi, l'urologo chiude e non va più avanti.
La metastasi linfonodale è elemento di progressione matura che tuttavia indicano che il paziente non è più
candidabile all'intervento.
Metastasi ossee: molto spesso abbiamo detto che l'unica sintomatologia del paziente con carcinoma
prostatico è la metastasi ossea; anche in questo caso l'immunoistochimica può essere di aiuto, come il PSA,
che ci identifica l'origine prostatica dl tumore.
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Un paziente di 72 anni con carcinoma di prostata di grado Gleason sei con PSA inferiore a 10 che fa? Le
possibilità terapeutiche sono tre intervento chirurgico, radioterapia, terapia ormonale. Sicuramente a 72
anni non fa terapia ormonale perchè l'aspettativa di vita è ridotta, e probabilmente morirà per altre cause
(anche se esistono altre possibilità terapeutiche).
Chi è il paziente che deve fare un intervento radicale, sia esso radioterapia o chirurgia? Un paziente giovane
con aspettativa di vita più alta. Chiaramente l'ormonoterapia in questi casi dopo pochissimi anni (10 anni)
però renderà il paziente (magari di 60 anni, ancora giovane) non più responsivo.
Tra radioterapia e chirurgia? Meglio la radioterapia alla chirurgia perchè non dà in genere tutti gli effetti
collaterali della chirurgia: incontinenza e impotenza.
Chiudiamo con cenni di patologia molecolare.
E' un tumore che ha basso tasso di anomalie geniche, ha molte anomalie cromosomiche (gain o loss di 8p in
particolare), più del 50% ha un riarrangiamento tipico di gene erc (correlato a progressione del ciclo
cellulare), ha alterazioni del pathway dello sviluppo quindi riguarda geni normalmente attivi durante lo
sviluppo embrionale, ha alterazioni epigenetiche e soprattutto ha alterazioni che riguardano i recettori
androgenici. Nella mammella quando si pensa alla terapia antiestrogenica dobbiamo avere positività alta ai
recettori; nella prostata questo discorso non si fa perchè i recettori sono sempre presenti.
I tumori prostatici sono nella maggior parte dei casi androgeno correlati: rispondono bene a tutte le terapie
androgeniche, anche se risponderanno meglio quelli di basso grado, indipendentemente dall'espressione
immunoistochimica degli androgeni.
Fatto sta che questi recettori androgenici a un certo punto decidono di non funzionare più (i geni vanno
incontro a modifica epigenica, diventano attivi in modo costitutivo per mutazioni puntiformi o sono prodotte
delle varianti comunque attive per splicing alternativo anche a basse quantità di androgeni). Quindi il
paziente castrato biochimicamente castrato con gli analoghi dell'RHRA vede che i farmaci non funzionano
più.
Esistono delle terapie alternative.
Docetaxel
Farmaci che vanno a inibire la produzione degli androgeni mimando gli androgeni bloccando la 5 alfa
reduttasi e quindi annullano la quantità anche minima presente di androgeni nel sangue. Finasteride
Farmaci che bloccano il passaggio del recettore dal citosol al nucleo.
Un paziente che risponde bene per dieci anni al blocco ormonale ha anche alte armi a disposizione piuttosto
che passare alla chemioterapia (docetaxel, p.e.).
Ricordate soltanto che alcuni tumori prostatici hanno mutazioni di Brca (1 e 2), proteine molto importanti
nella riparazione del DNA. Esistono farmaci che vanno ad agire anche su questo pathway.
Differenziazione neuroendocrina
Nella prostata normale esistono le cellule neuroendocrine che sono cellule che in un qualche modo
producono dei fattori di crescita e possono potenziare la crescita dei tumori. La differenziazione
neuroendocrina non è un carcinoma neuroendocrino vero e proprio. Si vide che con la chemioterapia o l’
ormonoterapia si vanno a distruggere le cellule tumorali e a potenziare le cellule neuroendocrine, che
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possono prevalere su quelle esocrine. Si può andare a creare dei tumori un po’ diversi, ossia dei tumori
neuroendocrini veri e proprio che sono quelli particolarmente resistenti alle terapie o avere la selezione di
questi cloni neuroendocrini, che siccome hanno un background di fattori di crescita, possono potenziare la
crescita delle cellule esocrine neoplastiche rendendole indipendenti dall’ ormone(e questo sembrerebbe
essere uno dei meccanismi di ormonoindipendenza).
Un’ altra possibilità terapeutica è quella di valutare la componente neuroendocrina del tumore e
probabilmente agire su di essa.
Tumori mesenchimali:
Sono molto rari. Esiste un tumore stromale che è molto raro, benigno cd99+ e Bcl2+. Da dei quadri di tumori
che macroscopicamente possono assomigliare ad un tumore epiteliale, con una prostata che può
raggiungere anche volumi molto rilevanti.
Uropatologia
14 Aprile 2016
(immagine)Sezione di un pene con carcinoma squamoso del solco balano prepurziale.
La lesione neoplastica è biancastra, si vedono i corpi cavernosi e corpo spongioso.
L’infiltrazione è in genere localizzata alla tonaca propria e al corpo spongioso. Ha origine
prevalentemente, se non nella maggior parte dei casi dal glande, l’infiltrazione massima che si puo
avere in questo tumore è quella del corpo spongioso
qui abbiamo una lesione più profonda che infiltra il corpo cavernoso.
Epidemiologia:è una neoplasia rara, a differenza dei carcinomi della vulva e della cervice uterina, la
correlazione con l’infezione con l’hpv ad alto rischio esiste ma non è assoluta, più o meno come nella
vulva.
Esistono altre condizioni, come la scarsa igiene, che possono essere correlate a questo tipo di tumore.
Infatti le persone che hanno meno questo problema sono gli ebrei, in quanto circoncisi. Il carcinoma
squamoso ha il suo precursore che è il carcinoma in situ.
CARCINOMA IN SITU : è caratterizzato da cellule poligonali, con strette giunzioni tight, una
caratteristica differenziativa è la capacità di cheratinizzazione, nella maggior parte dei casi non sono
cheratinizzati(poiché la mucosa del glande è non cheratinizzata)
Mostra una seconda immagine con carcinoma in situ: ci sono cellule neoplastiche contenute da una
membrana basale abbastanza evidente. Questa regolarità della crescita ci deve sempre far pensare ad
un carcinoma in situ, se infiltrante i margini di infiltrazione sono stellati.
Terza immagine: k infiltrante: molto irregolare, aspetto stellato del bordo di infiltrazione
Quarta immagine: infiltrante e in più c’è la cheratina
Il grado di differenziazione va sempre valutato in relazione alle dimensioni delle cellule, alla presenza di
giunzioni strette e di cheratina .
SCARICATO DA WWW.SUNHOPE.IT291
È un tumore generalmente indolente, abbiamo detto che nella maggior parte dei casi l’infiltrazione si
ferma alla lamina propria, in una porzione dei casi raggiunge il corpo spongioso.
Si è spento il pc
Quali linfonodi sono coinvolti? I linfonodi inguinali. Quando c’è una metastasi linfonodale non bisogna
mai sospettare un tumore germinale del testicolo anche se ci possono essere casi quando i pz hanno
subito precedenti interventi inguinali(varicocele) che hanno alterato la distribuzione dei linfatici loco
regionali così le cellule neoplastiche possono andare dal testicolo all’inguine.
La maggior parte delle metastasi ai linfonodi inguinali provengono dai genitali esterni. 25% dei tumori
del pene insorge con una metastasi inguinale ed è proprio da questa evidenzia che nasce la tecnica del
linfonodo sentinella(e non dalla mammella)
Cos’è il linfonodo sentinella? È il primo linfonodo che drena una zona di interesse.
Come si fa? Si va ad identificare il primo linfonodo che drena quella zona. Nel pre-operatorio: ad
esempio in un melanoma del dorso dove metastatizza? Dipende, il dorso è abbastanza ampio: può
metastatizzare all’ascella, inguine, sovraclaveari. Per non aprire tutte le stazioni faremo una
Linfoscintigrafia pre operatoria per identificare la stazione di interesse(per la mammella il problema
non c’è, poiché metastatizza all’ascella, però i melanomi devono essere studiati con la linfoscintigrafia
iniettando il marcatore e vedendo dove va a localizzarsi.). Una volta identificata la stazione, si inietta in
sede intraoperatoria un colorante vitale(si inietta in sede intraoperatoria nella sede intorno a dove è
stato asportato il melanoma- il melanoma, infatti, è già stato asportato perché non si può fare diagnosi
di melanoma in assenza di un esame istologico) quindi intorno alla sede della cicatrice dove è stato
asportato il melanoma si inietta il colorante vitale e si va a localizzare visivamente la stazione che era
stata evidenziata alla scintigrafia, si asporta il linfonodo e si esamina. Si fa sempre nel melanoma?
Quando è un pT2 (breslow superiore a 1 mm) o pT1b( quando è inferiore a 1mm ma anche quando c’è
ulcerazione dell’epidermide o ha un num di mitosi superiore a 1 x mm2 x campo di osservazione) .
Se superiore a pT1b si fa il linfonodo sentinella. Ma come faccio a sapere se il linfonodo sentinella è
positivo? L’ esame istologico nel melanoma non è intraoperatorio, se positivo si fa la riapertura con
svuotamento della stazione di interesse(ascellare, inguinale…)
Come si fa nella mammella? Si fa in estemporanea, si fa esame istologico normale e poi quello
molecolare: si fa pcr si vede se ci sono cellule che producono melanina, però nella mammella ce ne
freghiamo delle cellule neoplastiche isolate e delle micrometastasi(0, 2-2mm) facciamo lo svuotamento
ascellare soltanto nelle macrometastasi cioè quando la raccolta metastatica è superiore ai 2mm.
Le possibilità di metastasi nei linfonodi: 0, 2 mm si parla di cell neoplastiche isolate, tra 0, 2 e 2mm di
micrometastasi, superiore a 2 mm di macrometastasi.
La paziente candidata a trattamento con svuotamento ascellare è soltanto quella che ha
macrometastasi, quindi è importante la misurazione della raccolta metastatica. Dove altro si fa il
linfonodo sentinella? Attualmente è previsto per il carcinoma della vulva, del pene e ora anche sul
polmone , colon e ginecologici.
Nel paziente con metastasi che fa svuotamento ascellare, quanto è la percentuale di positività degli
altri linfonodi? Bassa, il 25%.
Nel melanoma non si fa terapia adiuvante.
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Per concludere vi voglio parlare della vescica.
La vescica è un organo cavo che ha una mucosa abbastanza sottile rivestita da un epitelio di transizione
nell’ambito del quale si distinguono diversi strati e in superficie lo strato superficiale presenta cellule ad
ombrello che sono cellule che si adattano alla superficie, ricoprono gli strati più profondi
La vescica è un organo in grado di espandersi e accorciarsi in base alla quantità di urina nella vescica,
l’epitelio è in grado di modellarsi in base alla quantità di urina in vescica. Ricordate che i tumori
uroteliali si trovano anche in distretti extravescicali: ureteri, uretra e la pelvi renale e sono più o meno
tutti uguali. A differenza degli altri organi cavi ricordate che nella vescica la muscolaris mucosae è poco
rappresentata, o comunque ha una distribuzione diversa: a seconda della porzione della vescica che
andiamo ad analizzare possiamo trovarne di più o di meno(è poco rappresentata nella cupola
vescicale), quando facciamo l’esame istologico dobbiamo stare attenti a non confondere la muscolaris
mucosae rispetto alla tonaca muscolare.
Esistono due categorie di tumori, papillari e non papillari (dal punto di vista anatomo-patologico)
Dal punto di vista clinico, superficiale o infiltrante: quando parliamo di infiltrante intendiamo che
infiltra la tonaca muscolare. E’ importante perché nei superficiali abbiamo tumori che infiltrano la
tonaca propria e faranno trattamento chemioterapico con il bacillo.
In quello
infiltrante è un paziente chirurgico(deve subire cistectomia).
FATTORI DI RISCHIO:
Dal punto di vista dei fattori di rischio ricordate che esistono dei lavoratori a rischio, quelli che lavorano
a contatto con i coloranti, il fumo di sigaretta, alcune infezioni ( soprattutto nel terzo mondo).
SINTOMATOLOGIA:
MACROEMATURIA- Pazienti che urinano sangue, vanno dall’urologo e vengono quindi sospettati di
lesione, è una patologia del paziente anziano; si fa l’ecografia dove si riscontrano formazioni aggettanti
nel lume vescicale, a volte ci può essere anche DOLORE.
Qual è il MANAGEMENT del paziente con sospetto carcinoma alla vescica? si fa l’ecografia e l’esame
citologico delle urine ed eventualmente si procede con la cistoscopia . L’esame citologico delle urine
risulta essere a bassa specificità e sensibilità.
La distinzioni clinica tra tumore superficiale e infiltrante, l’abbiamo detto, nel primo caso si tratta di un
tumore che può infiltrare ma non va oltre la tonaca propria; sono pazienti medici che fanno solo
terapia locale. Nel secondo caso, il paziente infiltrante è un paziente chirurgico perché c’è infiltrazione
della tonaca muscolare e c’è indicazione alla cistectomia.
Dal punto di vista istologico la distinzione è tra invasivo e non invasivo, il tumore non invasivo è
localizzato alla sola linea epiteliale, l’invasivo infiltra la tonaca propria.
Dal punto di vista invece istopatologico la differenza è tra carcinoma in situ, che ha una storia
completamente diversa dalle forme non invasive (poi ne parliamo) , e a seconda profilo di crescita tra
l’istotipo papillare e non papillare.
CARCINOMA IN SITU: negli altri distretti parliamo di carcinoma in situ quando il tumore non supera la
membrana basale, cosa vera anche per la vescica, ma in questo caso ci riferiamo ad un’entità
potenzialmente evolutiva ed aggressiva tanto che quando il carcinoma in situ è multifocale il paziente
può fare intervento di cistectomia radicale perchè Il carcinoma in situ è il precursore del carcinoma non
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papillare e in genere il non papillare è quello clinicamente infiltrante. Come tutti i carcinomi in situ non
distinguiamo più una maturazione, riscontriamo cellule molto grandi, parliamo di cellule con ampi
nuclei anche in superficie, e abbiamo un collo quasi tutto disepitelizzato e vedete che ci sono mostri
cellulari. È un carcinoma che risulta difficile da valutare (- il prof allontana il microfono- ???) su biopsie
transureterali, è una diagnosi complicata perché sono pazienti candidati per l’intervento chirurgico
quando la lesione è multicentrica.
Da un punto di vista della classificazione attuale, quella della WHO, si distinguono i carcinomi:
UROTELIALI
• forme assolutamente benigne, ovvero i papillomi (rarissimi)
• forme a malignità incerta , neoplasie a basso potenziale di malignità (rare )
veri e propri carcinomi (più frequenti). I carcinomi sono distinti in transizionali o
uroteliali (sono sinonimi) papillari di basso grado, papillari e non papillari di alto grado
e poi esistono altre varianti (microcistico, a nidi sarcomatoide, micropapillare).
[Che significa sarcomatoide? Si tratta di carcinomi a cellule fusate; Perché si chiamano
papillari? perché nella maggior parte dei casi hanno strutture papillari in cui si
distingue un asse fibrovascolare, la stratificazione sulla papilla è delle cellule epiteliali
che mostrano un certo grado di maturazione, sopra sembrano adagiarsi come le cellule
non fanno normalmente, la stratificazione infatti è più estesa rispetto a quella di una
vescica normale.]
•
•
NON UROTELIALI
carcinoma squamoso (più frequente nelle donne) nel trigono
adenocarcinoma.
CARCINOGENESI
dal punto di vista molecolare, esistono due entità:
• Una forma aggressiva che è rappresentata dal carcinoma in situ ( entità in cui la neoplasia è
sulla superficie della tonaca propria ma non ha organizzazione papillare), precursore del
carcinoma non papillare di alto grado. E’ questa la forma più aggressiva che si sceglie di
operare anche quando non è infiltrante perché è potenzialmente evolutiva, può dare infatti
metastasi ai linfonodi locoregionali e a distanza oltre che infiltrazione della tonaca propria.
• Una forma indolente in cui non riconosciamo un precursore reale. Sono tutti i carcinomi con
aspetto papillare, clinicamente superficiali, che possono infiltrare la tonaca propria ma mai o
quasi mai la tonaca muscolare. Anche questi, una piccola parte di questi, può andare incontro
ad evoluzione, quando raggiungono la tonaca muscolare tendono a raggiungere i vasi e dare
metastasi linfonodali e a distanza.
Il problema dei carcinomi papillari è che nonostante la terapia locoregionale questi possono
recidivare, nel 75% recidivano in forme sempre superficiali, e quindi vanno ritrattati come
carcinomi superficiali. Questo risulta essere il problema delle forme indolenti mentre , nel caso
delle forme aggressive (carcinoma in situ) , il problema è il fatto che diano più frequentemente
metastasi. Motivo per cui è importante la distinzione istologica.
Il carcinoma papillare anche quando rimane localizzato alla linea epiteliale, non prende la
definizione di carcinoma in situ perché nella vescica il termine “carcinoma in situ” si definisce alle
forme più aggressive.
Nell’ambito delle neoplasie papillari c’è l’entità delle neoplasie papillari di basso grado (rarissime)
che un tempo venivano chiamate papillomi ma poi si è visto che anche queste possono andare
incontro a recidive, e vanno trattate con trattamento locoregionale. Anche in questo caso abbiamo
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un asse fibrovascolare e presentano una stratificazione minima con minime atipie citologiche e
quindi osserviamo una vera e propria maturazione.
I carcinomi papillari di basso grado mantengono architettura papillare, visibile anche
macroscopicamente, l’aspetto granuleggiante sulla superficie mucosa attesta una crescita
papillare. (viene mostrata un’immagine) In sezione vedete come l’organizzazione è aggettante nel
lume, la tonaca muscolare non sembra intaccata perché sono quasi sempre superficiali. Dal punto
di vista istologico c’è una maggiore stratificazione rispetto alle neoplasie papillari di basso grado,
non si osservano mitosi e le cellule sono tutte uguali dalla base alla superficie.
Il carcinoma di alto grado può essere papillare ed è importante perché quello papillare a basso
grado può evolvere in una forma di alto grado (può anche entrare nella tonaca muscolare ma è più
raro).
il carcinoma uroteliale è generalmente non papillare , e sono quelli più cattivi che infatti vanno
incontro a progressione più frequentemente. Le metastasi si osservano nel 50% dei casi , sono
tumori altamente poco differenziati, che mostrano aspetti diversi, non riconosciamo più la forma
papillare, le cellule sono pleomorfe ( con aspetto diverso l’una dalle altre) , la singola cellula è
bizzarra, atipica, anaplastica, con ampio citoplasma e nucleolo “che torna” e atipia nucleare
(Invece nei tumori papillari, più rari, le atipie si ritrovano nel contesto della papilla). Sono
aggressivi perché facilmente raggiungono la tonaca muscolare e così i vasi della muscolare dando
origine , nel contorno della neoplasia, ad EMBOLI neoplastici (immagine mostrata) che in quanto
atipia, nel referto anatomopatologico dobbiamo sempre riportare.
Il sarcomatoide è una variante indifferenziata di un carcinoma infiltrante di alto grado, definito
così perché è caratterizzato da fasci o cellule giganti che sembrano osteoclasti. Nel carcinoma
sarcomatoide nel 99% dei casi abbiamo una componente papillare uroteliale sempre riconoscibile
che ci permette di fare diagnosi, ad eccezione dei casi in cui ci troviamo di fronte ad una metastasi,
caso in cui il tumore sarcomatoide può avere origine da tutte le parti.
Gli epiteliali maligni sono:
• lo squamoso, tipico delle donne, origina nel trigono, come tutti i carcinomi squamosi ha
morfologia tipica, è generalmente non cheratinizzante, ad elevato stadio e si applica il
grading dei carcinomi squamosi. Quelli differenziati cheratinizzanti se sono tali formano
cheratina e si riconoscono ponti intercellulari, nelle forme indifferenziate non ci sono i
ponti intercellulari e non c’è cheratina, in questo caso si fa un’indagine di
approfondimento con l’immunoistochimica.
• Forme più rare sono gli adenocarcinomi che formano molto muco. L’aspetto della singola
cellula è quello di una cellula repleta di muco , aspetto a “cellula ad anello con castone”, in
cui la cellula non è coesiva, risulta dissociata dalle altre, produce muco che difficilmente
caccia fuori, motivo per cui il citoplasma ne è pieno.
• Non frequentissima è la forma del carcinoma a piccole cellule, ricorda il tumore del
polmone a piccole cellule. È a cattivissima prognosi , percentuale di sopravvivenza annua
bassissima. Sono tumori neuroendocrini ed esprimono i markers tipici dei tumori
neuroendocrini: CD56, CROMOGRANINA e SINAPTOFISINA.
• Variante verrucosa (il prof. Non ne parla ma era presente nella slide)
STADIAZIONE:
Ricalca i principi generali, i più cattivi sono quelli che infiltrano il grasso periviscerale, in modo
macroscopico, vediamo l’infiltrazione sul pezzo chirurgico ( T4b), nel T4a l’infiltrazione, minima, è
documentabile dal punto di vista istologico ma non macroscopico.
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Come è l’approccio al tumore vescicale?
Si fa l’ecografia associata all’esame citologico. Fare una diagnosi citologica è complesso perché
soprattutto nelle forme di basso grado le atipie citologiche sono irrilevanti. Nelle forme risultanti
positive o negative alla citologia comunque si passa ad una valutazione endovescicale, ovvero alla
cistoscopia per osservare la mucosa ed effettuare i prelievi opportuni quando vediamo rilevatezze
oppure facciamo una resezione di tutta la mucosa vescicale, quando si tratta di un tumore
multicentrico e multidistrettuale. Può esserci presente contestualmente al tumore vescicale un tumore
dell’uretere e della pelvi renale.
La biopsia viene fatta sia per pulire l’area neoplastica ma anche per fare una stadiazione.
La stadiazione patologica richiede come criterio valutativo l’infiltrazione del muscolo, se presente, si fa
la cistectomia (intervento delicato) altrimenti , in assenza di infiltrazione del muscolo, il paziente è
candidato ad una terapia locale. La citologia ha una sensibilità piuttosto bassa, più alta nei casi in cui il
carcinoma è di alto grado perché le atipie sono ben visibili.
È sempre meglio fare una citologia su strato sottile, come si effettua la raccolta? Se un paziente ha il
sospetto è consigliato fare una raccolta di urine per tre giorni. L’urina deve essere raccolta in
contenitori che contengono alcool con lo scopo di fissare le cellule. Che cos’è la fissazione e a che
serve? Serve per bloccare la degenerazione cellulare, la morte delle cellule. Fissiamo le urine con
l’alcool e dopo tre giorni viene portata la raccolta in un centro di anatomia patologica dove viene fatta
la citologia. La citologia più sensibile è quella a strato sottile (TEEN PREP usato anche per il Pap testapparecchio che spara le cellule su un vetrino facendo un unico strato) le cellule sono concentrate su
un unico strato per evitare la sovrapposizione cellulare.
A seguito viene effettuata la FISH per valutare anche alterazioni citogenetiche sui cromosomi 3, 7 e 17
(polisomici nelle cellule neoplastiche e non nelle normali) e perdita del braccio lungo del cromosoma 9,
soprattutto nelle neoplasie a basso grado.
Le neoplasie ad alto grado seguono una via valutativa che è legata ad alterazioni di p53.
Le problematiche relative alla diagnosi si hanno con fenomeni infiammatori che comunque
determinano un aumento della proliferazione cellulare che può sembrare un’organizzazione papillare,
ma non sono presenti atipie.
Non vediamo asse fibrovascolare, ma punte di papille che sono raggruppamenti epiteliali con atipie
citologiche.
Esistono dei kit in FISH che valutano nella UROVYSION l’integrità di 3, 7, 9 (braccio lungo) e 17; In
particolare le neoplasie vescicali di basso grado hanno un aumento del numero di cromosomi 3, 7 e 17
e una perdita del 9p (il professore nell’arco della lezione è confusionario circa braccio lungo o corto del
9), basta uno di questi elementi alterato per porre diagnosi di sospetta neoplasia vescicale.
Il paziente deve fare comunque cistoscopia.
La biopsia può essere singola oppure con una pinza particolare viene effettuato un raschiamento di
tutta la mucosa vescicale quando la lesione è multicentrica e va analizzato frammento per frammento.
Il problema dell’infiltrazione è serio dal punto di vista istologico perché la muscolaris mucosae ,
normalmente ridotta nella vescica, quando presente può essere particolarmente spessa e simile alla
tonaca muscolare ; sul frammento è difficile orientarsi perchè la diagnosi differenziale tra muscolaris
mucosae e tonaca muscolare è difficile. Può accadere che, per errori di valutazione, pazienti vengano
sottoposti a cistectomia anche se poi con l’analisi istologica successiva all’intervento risulti negativa
l’indicazione all’intervento stesso.
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Patologia dell’apparato genitale femminile
PATOLOGIA GINECOLOGICA
15 marzo 2016
DIGRESSIONE DIAGNOSTICA GENERALE
L’anatomia patologica ha due campi di applicazione: il riscontro diagnostico, cioè l’autopsia non
giudiziaria finalizzata a valutare la causa di morte, ottimo strumento educativo per studiare
l’andamento delle patologie e richiesta nei casi di morte improvvisa, e l’ anatomia patologica
diagnosticache utilizza due strumenti cioè la citopatologia e l’istopatologia. La citopatologia a sua
volta si distingue in citopatologia esfoliativa, che analizza le cellule esfolianti cioè quelle che si
staccano da una superficie e si riscontrano in versamenti pleurici, ascitici, secrezioni bronchiali
ecc., e la citopatologia agoaspirativa, che si avvale dell’ aspirazione del contenuto di masse o
noduli palpabili o meno. L’ istopatologia, invece, consiste nell’esame istologico di un frammento di
tessuto o organo prelevato da una biopsia o di un grosso pezzo chirurgico; in quest’ultimo caso si
analizzano i margini di resezione, l’istotipo ed i parametri predittivi e prognostici (che indicano
quale sarà il decorso della malattia, i più importanti e comuni dei quali sono il GRADO e lo
STADIO).
GINECOPATOLOGIA:
IMMAGINE: mostra la struttura anatomica dell’utero, in particolare la cervice, detta a muso di
tinca, con le componenti eso ed endocervicali, la quale si continua con l’endometrio. Si
distinguono gli osti uterini, interno verso l’istmo uterino, esterno verso la vagina. Dal punto di
vista istologico queste entità sono totalmente diverse, in quanto la componente esterna è rivestita
da un epitelio squamoso ed una interna rivestita da un epitelio ghiandolare. Questa distinzione si
riflette anche nella diversa natura e frequenza delle neoplasie che da esse derivano, accomunate
invece dallo stesso agente eziologico.
Nell’ambito dei tumori epiteliali, in generale, si distinguono quelli che originano dai rivestimenti
(carcinomi squamosi, di cui il più frequente è quello cutaneo) e quelli che originano dalle strutture
ghiandolari, siano esse acini o tubuli (adenocarcinomi). Tutti i tumori squamosi hanno le stesse
caratteristiche, qualsiasi sia la sede in cui originano, possono cheratinizzare o meno; gli elementi
diagnostici fondamentali sono le perle cornee (ammassi di cheratina) e le tight junction (ponti
intercellulari). Pertanto, avremo tumori squamosi esocervicali e tumori adenomatosi
endocervicali. Nell’ utero, a livello della cervice, c’è un punto specifico che segna il passaggio dall’
epitelio squamoso a quello ghiandolare detto giunzione squamo-colonnare, sede in cui più
frequentemente insorgono i tumori in particolare di tipo squamoso. Alla nascita, l’epitelio
squamoso si spinge all’interno del canale cervicale, nell’adulta, invece, l’epitelio ghiandolare si
sporge un po’ oltre la giunzione. L’endocervice è deputata alla produzione del muco, così da
creare un ambiente che impedisce la risalita dei batteri dalla vagina verso l’endometrio
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assicurando l’asetticità di questa zona. La zona di transizione è comunque molto frequentemente
soggetta a processi infiammatori che evolvono verso la formazione di metaplasia squamosa
(sostituzione di una cellula con un’altra più resistente e l’epitelio squamoso, appunto, è quello più
resistente in assoluto).
CERVICE
patologia benigna
Non neoplastica:
•
Cerviciti, infiammazioni acute/croniche della struttura eso/endocervicale che, molto
spesso, danno erosione con depositi di granulociti e materiale fibrinoso. La metaplasia a
cui va incontro il processo infiammatorio può essere, anche, immatura cioè non completa.
Neoplastica:
•
Polipi, protrusioni costituite da ghiandole vascolarizzate. Possono avere attività
infiammatoria.
• Iperplasia microghiandolare dell’endocervice con cellule povere di citoplasma, non hanno
alcun significato patologico.
patologia maligna
Carcinoma squamoso (60-80%)
Adenocarcinoma
Altre rare entità
EPIDEMIOLOGIA:nonostante, nel mondo industrializzato, il carcinoma della cervice sia stato
debellato dalla prevenzione primaria basata sull’assunzione del vaccino, resta comunque la terza
causa di morte nelle donne dell’est ed in quelle affette da AIDS.
ETIOLOGIA:L’agente eziologico dei carcinomi della cervice è il papilloma virus (HPV), in particolare
i sottotipi 16 (nello squamoso) e 18 (nell’adenomatoso); in aggiunta a questi, anche il 31, 33, 35, e
39 possono essere correlati a trasformazione neoplastica per questo sono inclusi nel gruppo ad
alto rischio. Il virus raggiunge la cervice uterina attraverso i rapporti sessuali ma l ‘infezione
regredisce, nell’arco di 24 mesi, nel 90% delle donne che contraggono l’infezione, regressione che
può avvenire anche quando sono già in atto le trasformazioni epiteliali. HPV può essere causa,
anche, di tumori extracervicali, quali quelli del cavo orale, della laringe, anale, vulvare-vaginale,
penieno. L’infezione del virus da HPV avviene proprio nello strato basale dove abbiamo la cellula
staminale . Ricordiamo infatti che nell’epitelio squamoso si distinguono lo strato basale , lo strato
spinoso e lo strato superficiale , ed in particolare lo strato basale è fatto dalle cellule che si
rigenerano perché l’evoluzione della cellula epiteliale è quella di maturare e sfaldare .L’epitelio
basale rappresenta la struttura che fornisce cellule epiteliali nuove che andranno incontro a
maturazione . L’infezione quindi avviene a livello della cellula basale e il virus, che non è integrato
nella maggior parte dei casi , comincia a produrre le proteine del capside e diventa maturo nelle
porzioni più superficiali dell’epitelio . La cellula muore , in parte distrutta dal virus e in parte sfalda
, e il virus integro infetta altre cellule , ricordando sempre che l’infezione avviene a livello delle
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cellule basali .Quindi la cellula normalmente viene in contatto con il virus e quest’ultimo senza
integrarsi incomincia a replicare e a infettare le cellule viciniore .
Dal punto di vista morfologico questa attività del virus , che è quella di infettare le cellule basali,
replicare nelle porzioni superficiali e di infettare le altre cellule , si evidenzia con il così detto
‘’coilocita ’’. IL coilocita è un ‘immagine nota a tutti i patologi di cellula che he un alone chiaro
intorno al nucleo, un nucleo ben evidente e spesso questa cellula è binucleata .Il coilocita è
proprio indice dell’infezione del virus da HPV che nella maggior parte dei casi non è integrato nel
genoma ma produce questa serie di proteine per poi distruggere la cellula .Nella maggior parte dei
casi queste lesioni non sono evolutive , però chiaramente se crescono in distretti come il pene e la
vulva , dove hanno molto spazio , si ampliano e diventano delle strutture arborescenti ; se invece
si creano in strutture come la vagina o la cervice spesso rimangono piatte formando i condilomi
piatti. Invece in alcuni casi e questo può essere stimolato da diversi fattori tra cui la scarsa
immucompetenza , il fumo di tabacco, l’ambiente acido della vagina , il virus può essere in grado
di integrarsi nel genoma e va ad interagire con le proteine della proliferazione cellulare , creando
quelle alterazioni morfologiche che vanno sotto il nome di CIN o neoplasia intraepiteliale
cervicale. IL Genoma del virus HPV è costituito da una serie di geni che codificano per le proteine
strutturali L1-L2che interagiscono con la cellula epiteliale , tutta una serie di proteine capsidiche
da E1 ad E7 e in particolare da una porzione di dnaE2 che va normalmente a reprimere i fattoriE6
ed E7. Quando il virus si va ad integrare nel dna cellulare si ha un interruzione di questo E2 , per
cui si ha una over-espressione nella cellula epiteliale di E6 ed E7. E6 interagisce con la proteina del
retinoblastoma, un oncosoppressore che va a bloccare la proliferazione cellulare , per cui si ha un
vantaggio proliferativo della cellula .E7 invece interagisce con P53 , bloccando la sua funzione , che
è quella di uno dei più importanti oncosoppressori , spesso mutato in molti tumori umani .Questo
non funzionando più non blocca la proliferazione e non garantisce l ‘apoptosi . Quindi con questa
over espressione di E6 ed E7 la cellula prolifera in modo indiscriminato . Questo determina dal
punto di vista morfologico la creazione di quella che viene definita la neoplasia intraepiteliale
cervicale o CIN.Di questa si distinguono tre gradi a seconda del coinvolgimento dello spessore
dell’epitelio, fino a diventare un vero e proprio carcinoma squamoso , inizialmente in situ e poi
inizia ad infiltrare. Quindi le alterazioni squamose della cervice uterina sono CIN1 , CIN 2, CIN3 ,
carcinoma squamoso in situ , carcinoma infiltrante , nell’ambito del quale si distinguono poi i
microinfiltranti e i profondamente infiltranti .
Quindi morfologicamente:
La cellula epiteliale squamosa normale che si trova alla base è una cellula staminale , molto attiva ,
ha il nucleo molto grande , citoplasma molto piccolo e man mano che matura il volume del nucleo
si riduce e il volume del citoplasma aumenta fino a sfaldare . Quando c’è l’infezione ha HPV
possiamo osservare i coliociti, che abbiamo detto essere l’espressione di un virus che non si è
integrato , la cellula prolifera e le alterazioni morfologiche sono sempre evidenti a partire dalla
base fino alla superfice , nel senso che i nuclei non perdono di volume , rimanendo sempre
piuttosto grandi e i citoplasmi rimangono piuttosto piccoli . Si distinguono:
-
CIN1:quando questa alterazione riguarda il terzo basale dell’epitelio squamoso ;
CIN2:quando il volume del nucleo aumentato si trova nei due terzi intermedi ;
CIN3:quando invece il coinvolgimento è oltre in due terzi fino a tutto lo spessore ;
Carcinoma in situ: quando c’è tutto lo spessore coinvolto
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Quindi il criterio dimensionaleè importante per identificare i diversi gradi di CIN aggiungendo a
questo poi l’attività proliferativa , ovvero la presenza di mitosi . Nell’epitelio squamoso normale
l’unica cellula che è in grado di proliferare in modo significativo è la cellula basale , quindi in un
epitelio squamoso normale noi le mitosi le dobbiamo trovare soltanto alla base .
Ci troviamo di fronte ad un
- CIN1:se le mitosi si trovano nel terzo inferiore ;
- CIN2: se le mitosi sono nei due terzi intermedi ;
- CIN3: se le mitosi si trovano nelle porzioni superficiali ;.
Sono due gli elementi che dobbiamo ricercare .. sia i criteri dimensionali , sia le mitosi , quindi
abbiamo bisogno sempre di una conferma per andare a scrivere su un referto se è un CIN 1 , 2 o 3.
La membrana basale invece è quell’elemento che ci permette di distinguere se un tumore è
infiltrante o meno , perché quando non è superata ci troviamo di fronte ad un carcinoma in situ ;
quando invece il carcinoma è infiltrante c’è uno sfondamento della membrana basale.Ma qual è
la differenza tra CIN3 e carcinoma in situ ?
In realtà si tratta di una distinzione minima …. nel CIN3 c’è una cellula voluminosa che sta nel terzo
superiore , però in superfice c’è una cellula matura .Si tratta di carcinoma in situquando il
coinvolgimento è a tutto spessore . Ma è una differenza minima perché un CIN3 viene comunque
trattato come un carcinoma in situ .
Quando si hanno una serie di coliociti in una cervice si parla sempre di CIN 1 che è comunemente
chiamata anche ‘’Displasia coilocitica’’.
il CIN può però coinvolgere anche quelle aree di metaplasia che sono proprio quelle aree che
subiscono questa trasformazione nella giunzione squamo-colonnare .Infatti vi è questa zona di
giunzione squamo-colonnare dove le infezioni , i continui traumatismi , possono dire all’epitelio di
trasformarsi in un epitelio più resistente , ovvero l’epitelio squamoso .La metaplasia sostituisce
l’epitelio ghiandolare e la zona intorno all’epitelio di transizione ma può anche coinvolgere quegli
sfondati ghiandolari che si trovano nella cervice , e quindi può essere una metaplasia tranquilla
che però nonè più di superfice ma ha sostituito l’epitelio ghiandolare degli sfondati ghiandolari
con epitelio squamoso . Su questa metaplasia squamosa si originano le modificazioni di CIN 1 , 2 ,
3 e del carcinoma .Quindi si parlerà di:
‘’ carcinoma in situ su metaplasia squamosa degli sfondati ghiandolari’’.
CARCINOMA MICROINVASIVO
ILcarcinoma micro-invasivoè un tumore che inizia ad infiltrare lo stroma . Dal punto di vista clinico
ha importanza relativa perché può essere trattato come un carcinoma in situ , in quanto questi
tumori hanno una bassissima potenzialità metastatizzante. Ciò è dovuto al fatto che , affinchè un
tumore dia metastasi , debba raggiungere i vasi . In questo tipo di tumore è difficile che li
raggiunga .Quindi i carcinomi micro-invasivi rappresentano nel tumore della cervice un ‘entità
particolare perché il loro trattamento è sovrapponibile a quello dei carcinomi in situ , dovuto al
fatto che non hanno grosse potenzialità metastatizzanti in quanto non hanno avuto la possibilità
di raggiungere i vasi .
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Ritornando alla patogenesi dell’ HPV una cosa interessante dal punto di vista diagnostico e
fisiopatogenetico è l’ over-espressione della P16 che è un importante regolatore del ciclo cellulare
, un inibitore del ciclo cellulare .Quando i meccanismi che inducono la proliferazione , come nel
caso dell’infezione da HPV l’overespressione di E6 ed E7 che vanno ad inibire gli oncosoppressori
RB E P53 , la P16 cerca di bloccare la proliferazione , venendo così notevolmente espressa .Per i
patologi l’over-espressione di P16 viene utilizzate come un marker diagnostico in quanto tutti i
tumori legati all’ infezione da HPV sono P16 positivi .Questo è importante ad esempio nelle
metastasi da ndd in qualsiasi distretto , quando c’è il sospetto di una cervice, allora il tumore sarà
P16 positivo oppure sempre nel distretto ginecologico molto spesso è difficile fare diagnosi tra
tumori di alto grado che derivino dall’endometrio , per esempio dall’endocervice o dall’esocervice,
e i tumori cervicali overesprimo P16 , perché nel 100% dei casi questi tumori sono legati
all’infezione da HPV .Quando una proteina viene over-espressa la troviamo abbondante ovunque ,
quindi avremo P16 con una positivà sia nucleare che citoplasmatica .
REGRESSIONE
A proposito della regressione delle lesioni displastiche della cervice dobbiamo ricordare che
nonostante la lesione può essere notevolmente avanzata anche in CIN3 , questi tumori possono
andare incontro a regressione . La regressione è molto più alta per il CIN1 , molto più bassa per il
CIN3 però comunque nel 33% dei casi può andare incontro a regressione .
SOTTOTIPI
Esistono dei sottotipidi carcinoma squamoso della cervice che sono:
-
i sottotipi a grandi cellule non cheratinizzanti;(le cellule sono piuttosto voluminoso e
mantengono il citoplasma piuttosto ampio);
i sottotipi cheratinizzanti ;(chiaramente l’epitelio squamoso della cervice è una forma che
non cheratinizza , nella maggior parte dei casi è un tumore non cheratinizzante);
i sottotipi a piccole cellule non cheratinizzanti ;
VARIANTI
Le varianti di carcinoma squamoso sono:
-
IL basaloide ;(un tumore che assomiglia molto all’epitelio basale della cervice).
IL verrucoso;( è un carcinoma rarissimo in questo distretto , lo troveremo nel cavo orale ,
nella laringe , ed è legato all’infezione da hpv che è un ceppo a basso rischio con bassa
attività mitotica e non metastatizza mai perché non è un tumore che infiltra ).
- Lo squamotransizionale;
- Il linfoepitelioma maligno ;
Gli elementi che ci permettono di fare diagnosi di un carcinoma squamoso in ogni dove sono la
presenza di cheratinae i ponti intercellulari .Nella maggior parte dei casi questi tumori non sono
cheratinizzanti e l’unico strumento che abbiamo sono i ponti , che sono questi elementi che si
trovano tra una cellula e l’altra.
Il Linfoepitelioma-like è una variante di tumore che si trova in tantissimi distretti. È caratterizzato da
cellule epiteliali indifferenziate immerse in un background infiammatorio linfoide. Non vi è una
distinzione delle singole cellule infatti si parla di sincizi (è come se le cellule si fondessero). È correlato
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ad infezione di EBV ed ha una prognosi favorevole. Il papillare squamo-transizionale è così chiamato
perché somiglia all’epitelio di transizione della vescica.
Il secondo istotipo più frequente di tumore cervicale è l’adenocarcinoma. Insorge a livello
dell’endocervice, per questo è difficile da visualizzare durante la colposcopia ma nello striscio del
pap-test è facilmente identificabile. Esistono diverse forme di tumore endocervicale:
• Usuale, più comune
• Carcinoma mucinoso
Anche in questo tumore si ha una forma in situ. In questa andiamo a cercare la presenza di mitosi,
detta fluttuante perché sta all’interno del muco il quale si localizza, a livello dell’epitelio cervicale
normale, all’estremità apicale mentre le cellule si dispongono alla base, sono addossate le une alle
altre ed hanno un aspetto allungato, a sigaro. Il muco può essere normale, con colorito blu-grigiastro,
o di altro tipo. Nell’adenocarcinoma il muco si perde, i nuclei diventano più voluminosi e l’aspetto
slanciato del citoplasma ricco di muco scompare (forma usuale). Molto raramente le sue cellule
possono ricordare (forma mucinosa) quelle dell’antro e del piloro dello stomaco (variante gastrica,
positiva a MUC6 che è una proteina che si trova nelle cellule epiteliali dello stomaco) o dell’intestino
(elemento distintivo è la presenza delle cellule muco-secernenti che hanno citoplasmi con ampi vacuoli
che si trovano verso il lume. Sono positivi a CDX2, marker tipico del distretto intestinale). Le due
varianti, usuale e mucinosa, hanno una prognosi simile.
Negli adenocarcinomi p16 è positivo ed iperespresso perché vi è relazione con l’infezione di HPV ad
alto rischio (ceppi 16 e 18).
Pap-test: è stato ideato come strumento di prevenzione primaria, per identificare le lesioni
potenzialmente evolutive (CIN e atipie citologiche dei precursori degli adenocarcinomi). È usato anche
per la diagnosi di infezione legate, ad esempio, alla presenza di ife da candida. Va fatto con una spatola
che deve andare a documentare tutta la cervice, eso- ed endo-cervice, perché ci interessa la zona di
transizione in cui avvengono le trasformazioni. La spatola normalmente viene strisciata sul vetrino ma
esiste un altro metodo, più costoso, che è quello del THIN PREP: la spatola è messa in un liquido che
fissa le cellule che vengono “sparate” in monostrato, strato sottile su un vetrino e pulite da sangue,
muco, liquido infiammatorio che possono oscurarle. Il prelievo consente di distinguere due forme di
displasia (che hanno un nome diverso rispetto all’esame istologico):
• LSIL: lesione intraepiteliale, squamosa di basso grado (CIN 1)
• HSIL: lesione intraepiteliale, squamosa di alto grado (CIN 2 e CIN 3)
Sappiamo che l’infezione di HPV può regredire, LSIL può evolvere ad HSIL (che per una serie di fattori
può ulteriormente evolvere in una forma neoplastica conclamata come rapporti sessuali, fumo
tabacco, altre infezioni…). Le cellule atipiche con potenziale evolutivo possono essere evidenziate con
la colorazione di Papanicolau.
Nel pap-test bisogna ricercare: cellule eso- (tipiche con nucleo piccolo e citoplasma ampio) ed endocervicali (aspetto ammassato, addossate le une alle altre), eventuali cellule CIN 1-2-3 quando
spatolando preleviamo cellule più profonde (soprattutto nel CIN 1 e 2) che hanno rapporto
nucleo/citoplasma alterato, cellule ASCUS (squamose ad incerto significato).
Di fronte a pazienti che hanno LSIL, HSIL, ASCUS bisogna ricercare il virus HPV e distinguere forme a
basso ed altro rischio. Dopo che le pazienti sono state trattate per HSIL, durante il follow-up, bisogna
fare la tipizzazione virale.
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E’ stato fatto uno studio basato su circa 95 mila pazienti studiati in diversi centri d’Italia, tramite
Pap test e tipizzazione per oltre 3 anni, quello che è emerso è che la sola tipizzazione con HPV
aveva alta sensibilità e alta specificità in tutte le pazienti e inoltre è emerso che per i pazienti che
hanno meno di 30-35 anni devono fare la citologia e in seguito lo studio sequenziale di HPV,
mentre le donne che hanno più di 35 anni fanno il controllo per HPV e successivamente la
citologia.
Questo perché, l’evoluzione di una infezione di HPV, in una donna che ha avuto una normale vita
sessuale che inizia prima dei venti anni, è quella di avere il contatto con HPV, sviluppare un CIN 1
entro i 30 anni, CIN 2 dopo i 30 anni e un carcinoma entro i 40 se l’HPV ha determinato
progressione.
Infatti, mediamente in cancro alla cervice uterina si ha tra i 40 e i 50 anni in una donna che ha una
normale vita sessuale.
Però prima dei 30-35 anni, il 90% delle donne infette va in contro a risoluzione e quindi si
suggerisce di fare sempre la citologia e eventualmente l’HPV, mentre nelle donne superiori ai 35
anni, se il virus persiste ancora è un virus ad alto rischio di progressione per cui, va fatto sempre
prima HPV e se risulta ad alto rischio va fatta la citologia.
Dunque se è negativo la donna fa il controllo citologico dopo 5 anni, se è positivo farà la citologia
di contollo e poi la colposcopia.
I metodi di identificazione di HPV si basano tutti o sulla ibridazione in situ, tramite l’utilizzo delle
sonde molecolari a RNA che vanno a ibridizzare con il virus che si è integrato con il genoma,
oppure sono basate su realtà(?) sequenziali ovvero con metodiche di PCR e quindi sapremo il
ceppo e se è un virus ad alto o basso rischio.
Il passaggio successivo di una paziente che ha un ASCUS o un CIN con un virus ad alto rischio, è un
controllo colposcopico.
La colposcopia si effettua spennellando la cervice con acido acetico e se l’area rimane chiara, è
un’area sospetta che deve essere prelevata e mandata in istologia.
Una volta fatta la biopsia, se risulta un CIN1 a basso o alto rischio, la paziente va solamente
controllata invece nel caso di progressione va trattata. Questo perché, se anche il ceppo è di alto
grado, ci aspettiamo che un CIN 1 nella maggior parte dei casi regredisca e dunque bisogna
trattarla solo se ciò non avviene tramite laser, cioè la tipica bruciatura della lesione.
Se CIN è di alto grado dobbiamo effettuare un intervento più radicale tramite la conizzazione.
Questo tipo di intervento si chiama così perché si preleva chirurgicamente il collo dell’utero e
otteniamo un campione che ha la forma di un cono. Il campione di conizzazione viene marcato,
poi tagliato e chinato e vengono fatti dodici prelievi “a orologio” dalle ore 1 alle ore 12. E’
importante la china (di colore blu o nero) perché ci permette di valutare se la lesione è stata
rimossa tutta o arrivi sul margine. Se così fosse, infatti, dobbiamo reintervenire.
(Dobbiamo distinguere inoltre, tramite la china, i tagli fatti dal chirurgo da quelli del patologo).
Poi dobbiamo andare a vedere il campione al microscopio e valutiamo se si tratta di un carcinoma
in situ o invasivo, se c’è invasione vascolare e che tipo di pattern di crescita ha il tumore.
È importante valutare il livello di infiltrazione del carcinoma sia se siamo in presenza di carcinoma
squamoso sia ghiandolare perché nel caso in cui lo spessore di infiltrazione è inferiore ai 3 mm, ci
troviamo in uno stadio IA1 che ha una sopravvivenza altissima e una possibilità di metastasi
bassissima (infatti l’incidenza di metastasi ai linfonodi pelvici aumenta in modo significativo
quando l’infiltrazione supera i 3 mm), se il tumore infiltra più di 3 mm ma meno di 5 mm siamo in
uno stadio IA2 che ha una sopravvivenza alta ma inferiore allo stadio IA1.
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La profondità di infiltrazione si misura dalla superficie epiteliale fino all’ultima cellula infiltrante,
anche quando i nidi infiltrativi non sono continui.
La profondità di infiltrazione è un parametro prognostico e terapeutico importante perché fino ai
5 mm la paziente viene trattata e curata solo con la conizzazione, quando invece l’infiltrazione
supera i 5 mm bisogna effettuare interventi più radicali.
Prima di effettuare interventi, le pazienti vengono sottoposte a terapie preoperatorie adiuvanti e
radio chemio.
La progressione del tumore va dalla infiltrazione delle pareti dell’endocervice fino ai parametri e in
seguito agli organi vicini come vescica e retto.
Un elemento importante che deve essere sempre valutato sia nei campioni coni che chirurgici, è la
presenza di emboli ovvero cellule neoplastiche all’interno dei vasi perché è un indice di
progressione elevatissima.
Nella ginecopatologia non si usa la tipica classificazione TNM ma la classificazione FIGO, elaborata
da ginecologi oncologi, anche se vi è una corrispondenza tra le due classificazioni (es. lo stadio IA1
corrisponde a TNT 1 A1 in cui vi è una sopravvivenza a 5 anni altissima mentre questa si abbassa
per gli altri stadi).
Altri elementi prognostici importanti sono: L’invasione vascolare(presenza di emboli) e linfonodi
positivi metastatici.
In questo distretto sono rarissimi i tumori neuroendocrini che possono essere di basso o alto
grado e in particolare quelli di alto grado sono leggermente più frequenti e ricordano il
microcitoma del polmone.
-Il concetto di “CIN” vale per tutti gli epiteli squamosi infatti quando ci troviamo in vagina le forme
displastiche vengono chiamate VAIN 1-2-3, mentre nella vulva VIN 1-2-3 e nella laringe LIN 1-2-3.
VULVA
Anche quando parliamo di lesioni pre neoplastiche e neoplastiche di vulva c’è la frequentissima
associazione con l’infezione di HPV.
La lesione vulvare più comune è il condiloma acuminato che è una lesione arborescente ed ha una
possibilità di crescita molto elevata in questo distretto.
Sul punto di vista istologico, le cellule hanno le caratteristiche che abbiamo visto nella cervice
ovvero cellule con un alone chiaro perinucleare e spesso cellule binucleate, dunque anche nel
condiloma acuminato ci sono modificazioni citopatiche dovute all’infezione da HPV.
In sintesi, le lesioni pre-neoplastiche della vulva sono VIN1, VIN2 e VIN 3.
VIN1 è sempre associato a infezione da HPV, mentre VIN3 e il carcinoma della vulva nelle donne
molto anziane possono essere associate anche a patologie non virali chiamate “distrofie vulvari”
tra cui ricordiamo il lichen scleroatrofico.
Carcinoma della vulva:
Poiché la vulva, come la cute, è rivestita da epitelio cheratinizzato, la maggior parte dei carcinomi
sarà cheratinizzato e andiamo a cercare le perle cornee e i ponti intercellulari.
Raramente i carcinomi possono essere non cheratinizzati, basaloidi o verrucosi.
Molto importante nel carcinoma della vulva è valutare il linfonodo sentinella, cioè il linfonodo che
potenzialmente per primo viene interessato dalla metastasi nel distretto inguinale e in base alla
positività ci indica se radicalizzare o meno quel distretto.
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La prognosi nel carcinoma vulvare è sfavorevole a causa dell’abbondante vascolarizzazione
presente in quella sede che determina la rapida diffusione ematica e linfatica.
Anche il melanoma può comparire frequentemente nella vulva e assume una particolare
connotazione di negatività perché è difficilmente visibile, diffonde rapidamente e si infiltra molto
profondamente, dunque ha una prognosi estremamente sfavorevole.
Paget è una lesione tipica della mammella ed è una infiltrazione dell’epitelio squamoso da parte
dell’epitelio ghiandolare che però avviene per contiguità e non per infiltrazione diretta, infatti
attraverso i dotti galattofori le cellule passano nel capezzolo senza infiltrare lo stroma.
I Paget che si trovano al di fuori della mammella vengono definiti Paget Extramammari e il più
frequente è quello a localizzazione vulvare. Attraverso i dotti delle ghiandole sudoripare o del
Bartolini del distretto vulvare, le cellule raggiungono la superficie cutanea e avviene l’infiltrazione
dell’epitelio e spesso, anche in questo caso, senza una effettiva lesione infiltrante lo stroma.
Allora ieri abbiamo parlato della cervice uterina e di tutte le problematiche connesse alla diagnosi, del Pap
Test…Quindi è chiaro?E’ chiara la sensibilità e la specificità del PaP Test?Quando va fatto il Pap test?
Come screening.Quando consigliereste di fare un Pap test?Alle donne sessualmente attive. Quindi a 14 anni
così come a 40 anni, è indipente, la cosa importante è che sia una donna che ha iniziato la vita
sessuale.Perchè questo?Perchè il Pap test è uno strumento di screening delle lesioni preneoplastiche e non
di infezioni ed ecc che possono comunque essere documentate, ma il problema è proprio la
documentazione delle lesione preneoplastiche.Ovviamente non a 80, ovviamente ci sono delle persone che
continuano a farlo pur avendo una vita sessuale quantomeno stabile.Quindi abbiamo visto la rivoluzione del
Pap test nello screening, la differenza tra il Pap test ordinario e lo striscio in fase liquida e tutte le
problematiche tecniche che non dovete sapere, però dovete capire che lo striscio in fase liquida è utile
perché consente al patologo di vedere meglio le cellule, eventualmente le cellule neoplastiche , perché
l’apparecchio che riproduce il vetrino, filtra molto le cellule ematiche , quindi i globuli rossi e i globuli
bianchi , quindi quello che riusciamo a vedere sul vetrino sono fondamentalmente le cellule epiteliali , che
siano esse cellule endocervicali che esocervicali.Lo striscio idoneo, adeguato per la diagnosi deve essere
costituito sia da cellule esocervicali che endocervicali.Molto spesso i ginecologi poco esperti fanno prelievi
che contengono solo cellule esocervicali, quindi questo è una cosa che il patologo scrive subito nella
diagnosi:striscio adeguato o non adeguato e perché non è adeguato.
La problematica del virus, della diagnostica primitiva sull’infezione virale e l’utilità di associarlo o no alla
citologia la sapete.Voi sapete che nell’anatomia patologica si usa fare l’esame del Pap test, che sia esso
normale o in fase liquida e poi eventualmente si invia al laboratorio l’identificazione dell’HPV quando ci
sono delle alterazioni che possono essere del lassus o Cin I , II o III.Il problema di quello studio che è stato
fatto in Italia , voleva appunto capire se era possibile effettuare come screening primario l’identificazione
del virus e poi passare alla citologia.Questo è possibile?E’ stata una proposta ma non è stata accettata da
tutti, però in realtà è possibile.Nelle donne che hanno più di 35 anni, allora è bene fare sempre l’Hpv e in
caso di alterazioni, in presenza del virus, fare un controllo citologico. E nel caso di alterazioni anche
citologiche fare controlli corpuscopici.Questa donna deve essere trattata subito?In caso di Axodus per
esempio? No perchè può regredire, potrebbe regredire.Nelle donne che hanno meno di 35 anni invece si fa
sempre la citologia prima e poi normalmente l'HPV.Il problema delle displasie degli epiteli squamosi lo
abbiamo affrontato, tutti gli epiteli squamosi possono andare incontro a displasia, che può essere lieve ,
moderata o severa;a seconda dell'organo rivestito da epitelio squamoso si ha una sigla differente:per la
cervice si ha CIN, VIN per la vulva, VAIN per la vagina, LIN per la laringe e anche per il cavo orale esiste una
sigla OIN , che è poco usata, però indica sempre le displasie a carico dell'epitelio squamoso.Gli epiteli
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squamosi fanno cancro in tutte le parti del corpo in modo uguale, quali sono gli elementi discriminanti del
carcinoma squamoso?Sia se siamo in un polmone, che in una vagina o in una cervice l'aspetto istologico è
sempre lo stesso, l'unica variante è la cheratinizzazione , che è tipica degli epiteli che normalmente
cheratinizzano tipo la cute e più rara nei tipi di epiteli che normalmente non cheratinizzano.Quindi la vagina
come sarà?Non cheratinizzato.Nella vulva?si, più frequentemente è cheratinizzato.Ora andiamo un po' più
su, andiamo nell'endometrio.Voi ricordate la fisiologia, fisiopatologia dell'endometrio, le modificazioni
dell'endometrio in corso di ciclo mestruale o gravidanza o altro.Voi sapete che nell'endometrio si
distinguono due fasi , che sono la fase follicolinica e la fase secretiva.La fase follicolinica riguarda i primi 14
giorni del ciclo, dopo i 14 idealmente avviene l'ovulazione, nei secondi 14 abbiamo la fase secretiva.Quindi
nei primi 14 abbiamo la fase in cui l'endometrio prolifera perchè si deve rigenerare dopo la mestruazione
che c'è stata, nella seconda fase si deve preparare ad accogliere l'eventuale blastocisti o zigote che si è
venuto a formare.La prima fase è sostenuta dagli estrogeni, la seconda dal progesterone.Quindi gli
estrogeni favoriscono la proliferazione e questo è un evento importante, lo sapete anche nella mammella
l'estrogeno è un potente fattore pro-proliferativo, mentre il progesterone induce una trasformazione tale
che le cellule inizino a produrre muco, quindi le cellule endometriali producono muco nella seconda fase.La
posizione di questo muco nella cellula è diversa a secondo della fase secretiva iniziale o tardiva.Quindi
conoscete l'endometrio, questo spessore.
Si riconosce l'endometrio perchè è una mucosa molto cellulata, ed è cellulata non dalle ghiandole che
comunque rappresentano una minima parte, ma dallo stroma , che proprio per queste sue caratteristiche
viene chiamato stroma citogeno, perchè è pieno di cellule, che hanno funzione di supporto, funzione
nutritive ecc.Nell'endometrio si distingue una porzione basale che è costituita da cellule che hanno una
potenzialità staminale e da cui si rigenerano le ghiandole, una volta che si sono sfaldate alla fine con la
mestruazione, una porzione intermedia, che è detta spugnosa e una zona più superficiale che è detta
compatta, che è molto più ricca di cellule stromali che di apici ghiandolari.Questa zona compatta e
spugnosa rappresentano proprio la parte funzionale, che è dove avvengono le modificazioni che noi
andiamo ad osservare dal punto di vista istologico.Allora qua sono immagini rappresentative di quello che
succede all'inizio del ciclo mestruale:le ghiandole sono tubulari , queste sono sezioni trasversali, per questo
appaiono come cerchietti con lume centrale.Nella fase più tardiva le cellule cominciano a diventare più
tortuose, cominciano ad apparire le mitosi , perchè si sta rigenerando, questa fase follicolinica è detta
anche proliferativa , perchè le cellule proliferano normalmente ed è logico trovare le mitosi. Dopo
l'ovulazione, avviene il cambio:le ghiandole diventano notevolmente più tortuose e cominciano a produrre
muco, che inizialmente , nelle fasi iniziali della fase secretiva , si trovano a livello basale, quindi sul lato dello
stroma (quindi immaginate che queste sono le ghiandole e queste sono le cellule epiteliali, qui il
lume;quindi il muco è disposto nelle porzioni basali, al di sotto del nucleo, verso lo stroma), nelle fasi più
tardive il muco è escreto , passa nella parte più superficiale della cellula, la parte apicale e si ritorna alla
struttura ghiandolare.Queste sono modificazioni tipiche delle ghiandole nella fase mestruale , sono
modificazioni normali e queste modificazioni non riguardano soltanto le strutture ghiandolari ma anche le
strutture stromali, le cellule stromali, che man mano che si progredisce nel ciclo (stiamo parlando sempre
della fase secretiva) diventano sempre più voluminose, con un aspetto che viene detto anche deciduo-simili
perchè sembrano le cellule della decidua della placenta in qualche modo.
Allora queste sono immagine istologiche standard , quindi qua che cosa troviamo?Strutture ghiandolari con
lumi chiari, quindi mitosi, quindi superfici in profondità e questa è la fase proliferativa , si trova nella fase
tardiva del ciclo, quindi non vediamo niente qua , nè i lumi sono ripieni di muco, nè le cellule contengono
muco, in queste lo stroma è edematoso, molto vascolarizzato, la ghiandola è un po' più tortuosa , ha il lume
un po' più beante, più aperto e qui c'è il muco; dov'è il muco?Nelle porzioni basali , al di sotto del nucleo,
quindi questa è una fase secretiva iniziale.In questa i lumi sono un po' più tortuosi, sono un po' più stretti
qui , non sono molto aperti, sempre secretiva iniziale perchè il muco sono al di sotto del nucleo e qui in
dettaglio ancora il muco, che è al di sotto del nucleo e che si sta spostando l’apice.
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Però queste sono le modificazioni dell’endometrio durante la vita fertile, quando la donna va in menopausa
la responsività dell’endometrio non c’è più e quindi le ghiandole cominciano a diventare stroma, diventano
molto atrofiche , l’endometrio è quasi sostituito da questo stroma detto citogeno e in questo caso
(riferendosi all’immagine)abbiamo solo due strutture ghiandolari, atrofiche , piccoline e in qualche caso le
ghiandole atrofiche possono diventare delle cisti , talvolta anche cisti piuttosto voluminose, in questo caso
si parla di atrofia cistica, che è un fenomeno parafisiologico.Quando le formazioni cistiche sono abbondanti
, si possono formare veri e propri polipi , si chiamo polipi cistici, però sono l’effetto della scarsa responsività
dell’endometrio. Si chiamano impropiamente polipi, ma in realtà non sono delle strutture proliferative, ma
il volume delle cisti è tale, che questi polipi emergono nel lume della cavità endometriale e sembrano delle
formazioni che possono sembrare dei cancri, ma in realtà sono solo polipi cistici.
Allora parliamo un attimo dei sanguinamenti.Abbiamo riguardato un po’ la fisiopatologia e l’istopatologia
delle ghiandole e dell’endometrio in genere , ora parliamo di quello che è patologico:i sanguinamenti
anomali.I sanguinamenti patologici interessano circa il 20% delle donne nella loro vita , nella vita
riproduttiva almeno il 20% ha avuto problemi di sanguinamenti anomali, sono molto più frequenti nelle
donne in post-menopausa.Allora esistono due categorie di sanguinamenti:sanguinamenti abromi dovuti a
cause sistemiche, che possono essere tumori che producono estrogeni , assunzione di estrogeni e
progestinici, tumori dell’endometrio e poi i sanguinamenti anomali disfunzionali in cui non si riesce ad
identificare una causa di sanguinamento ma è probabile che questa sia collegata ad un’alterata produzione
di estrogeni , durante il ciclo mestruale o durante più cicli mestruali, che però non è deiettabile a livello
sierico oppure ad una diversa sensibilità delle cellule endometriali a questi ormoni.Qui giusto per ricordare,
probabilmente già l’avete fatto in endocrinologia , quindi sapete ciò che riguarda i fenomeni anomali come
l’oligomenorrea che riguarda alterazioni del ciclo con intervalli superiori a 35 gg, polimenorrea con cicli
mestruali frequenti , ogni ciclo inferiore a 24 gg, la menorragia eccessivo sanguinamento con intervalli
regolari però, metroraggia quando il flusso è molto abbondante, la menometrorraggia quando i flussi sono
in genere irregolari e poi sanguinamenti che possono essere legati a situazioni ormonali che si osserva
spesso nelle persone anziane.L’amenorrea è l’assenza di mestruazioni, l’ipomenorrea con scarso numero di
cicli durante l’anno, lo spotting con piccole macchie di sangue durante un ciclo.Quali sono le cause di questi
sanguinamenti anomali?Chiaramente quando il sanguinamento è nell’infanzia, siamo sicuramente di fronte
ad una pubertà precoce, nell’adolescenza è dovuto ad un’alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisario, di tutto
il sistema che controlla la sintesi degli ormoni, la formazione dei follicoli, ricordatevi le bambine al menarca
hanno dei cicli abbastanza irregolari, proprio perché hanno un’asse ipotalamo-ipofisario un po’ immaturo,
le infezione , le gravidanze sconosciute.
Nell’età fertile le cause più comuni sono legati alla gravidanza , post-gravidiche fondamentalmente, l’uso di
contraccettivi orali, però abbiamo anche cicli anovulatori che possono creare problemi di
metrorragia.Durante la menopausa ricordiamo le lesioni organiche, le neoplasie, quando abbiamo
neoplasie organiche abbiamo polipi benigni , però anche lesioni disfunzionali legate a cicli anovulatori , nel
post menopausa la causa più comune di sanguinamenti è l’atrofia , i polipi atrofici di cui abbiamo parlato,
però dobbiamo ricordare anche neoplasie organiche benigne , i polipi e poi l’assunzione esterna di ormoni
come nei trattamenti della sindrome del climaterio. Una causa di sanguinamenti anomali più frequenti è
l’infezione che abbiamo soprattutto nell’adolescenza. Quando è che si parla di infezione ?si parla di
infezione acuta quando nelle sezioni ghiandolari che andiamo ad analizzare a livello istologico si osservano
granulociti nel lume, fibrina e granulociti , ed erosione con sfondamento della linea epiteliale da parte di
questi granulociti. Questo è un classico quadro di endometrite acuta, che però è poco comune.Le cause più
comuni di infezioni endometriali sono croniche e sono spesso identificabili a livello stromale con la presenza
di plasmacellule.Non si puà fare diagnosi di endometrite cronica , da causa sconosciuta in questo caso, se
non si trovano plasmacellule nello stroma endometriale, come vedete le ghiandole sono integre, ma nello
stroma esistono queste plasmacellule;come sempre hanno la stessa morfologia, sono cellule con nucleo
eccentrico, cromatina dispersa e citoplasma intensamente eosinofilo , perché produce glicoproteine, che
sono le immunoglobuline, Altre forme di endometrite cronica in questo caso specifiche, sono questi, cosa
sono questi?Granulomi che sono legati alla tubercolosi.Ricordate che l’endometrio è l’unica sede in cui i
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granulomi non formano la classica necrosi centrale caseosa, quindi sono granulomi non necrotizzanti , però
quando ci sono , si deve sospettare una tubercolosi e quindi la paziente va indagata anche per tubercolosi.
I polipi endometriali allora abbiamo detto che tra le lesioni organiche che interessano principalmente
l’adulta menopausale e la donna nel periodo perimenopausale sono delle proliferazioni polipoidi di
endometrio quindi come tutte le proliferazioni polipoidi hanno un asse fibrovascolare intorno a cui si
raccoglie un lembo di endometrio in cui le ghiandole sono iperplastiche cioè proliferano. Il picco di età
come vi ho detto è nell’adulta dopo i 40 anni e prima della manopausa ed è spesso asintomatico però come
vi ho detto il sintomo più frequente dei polipi endometriali è i sanguinamenti. Va in diagnosi differenziale
con altre patologie che riguardano prevalentemente il miometrio quindi leiomiomi adenomiomi oppure ci
può essere anche un aborto ritenuto con le iperplasie che poi vedremo chiaramente con carcinoma e
sarcoma. Il carcinoma dell’endometrio voi l’avete fatto in oncologia è una patologia tipica della donna
anziana. In realtà il carcinoma dell’endometrio è una patologia del periodo perimeopausale e
postmenopausale. Esistono diciamo 2 tipologie di tumore che poi vedremo che hanno 1 incidenza diversa a
seconda dell’istotipo e che trattamento richiede questa pz? Una rimozione tramite isteroscopia e il
problema è risolto. Ecco questo è un utero riconoscete qui la cervice con l’utero capovolto, una formazione
polipoide che si vede che emerge nella zona sovra istmica da cui dal punto di vista istologico vedete c’è un
miometrio e c’è questa formazione polipoide che è costituita da strutture ghiandolari prevalentenente
cistiche, sono dilatate. Abbiamo detto che i sanguinamenti puù frequenti e più preoccupanti sono sempre
quelli della donna nel periodo perimeopausale e postmenopausale va ricordato che le cause di
sanguinamento della donna dopo la menopausa più frequenti sono legati all’assunzione di estrogeni nella
cura dei sintomi del Climetere/climatere come sapete. L’atrofia, quei polipi grossi voluminosi, atrofici che si
vengono a creare nelle donne anziane sono causa di sanguinamento e al terzo posto vedete c’è il carcinoma
a cellule chiare e poi i polipi iperplastici l’iperplasia e altre forme di patologie. Quindi se noi raggruppassimo
le donne a seconda dell’età vedremmo che prima in una casistica degli anni 70 che conteneva circa 300 pz
prima dei sanguinamenti le lesioni neoplastiche all’interno dell’endometrio quindi i carcinomi endometriali
prima di 50 anni erano molto rare addirittura dei 34 casi 0 erano tumori mentre diventano via via
progressivi molto più numerosi nel periodo intorno e subito dopo la menopausa tra i 50 e i 59 anni, tra i 60
e i 69. Poi vedete l’incidenza del cancro nei gruppi divisi per età diminuisce al progredire dell’età però gli 80
anni vedete che sono soltanto tre dei 5 del 60% dei tumori. Quindi dal punto di vista dell’incidenza aumenta
all’aumentare dell’età con un picco più alto nell’età più tardiva dopo i 70 anni però lì c’è un altro tipo di
tumore che poi vedremo essere un tumore un po’ più raro. Quindi quando noi ci troviamo di fronte ad un
endometrio sapete che i prelievi endometriali vengono fatte in donne per diversi motivi, uno di questi
sicuramente è quello di valutare le cause di emorragia, quindi quando noi abbiamo il campione di
endometrio quello che dobbiamo fare è valutare la data , cioè il dating, viene fatto cioè viene valutato il
periodo del ciclo mestruale. Quindi noi quando riceviamo il campione , dobbiamo dire se ci troviamo di
fronte a un lembo di endometrio in fase follicolinica precoce o tardiva. E' bene che il ginecologo fornisca al
patologo anche la data dell’ultima mestruazione cosi' da inquadrare meglio la problematica; chiaramente se
voi vi trovate un endometrio secretivo, un endometrio proliferativo al 18° giorno che è il periodo in cui più o
meno viene fatto il prelievo abbiamo un problema, no? Che problema c’è secondo voi? Abbiamo un iper
estrogenismo cioè gli estrogeni favoriscono la proliferazione e queste cellule non riescono a diventare
secernenti e questo è un aspetto tipico dei cicli anovulatori. Quando c’è un ciclo anovulatorio il follicolo non
si trasforma in corpo luteo e il progesterone non viene sintetizzato. Gli estrogeni hanno una prevalenza
rispetto al progesterone e quindi la cellula prolifera senza maturare in forma secretiva e poi chiaramente
tutti gli aspetti legati all’endometrio dell’anziana, in particolare l’atrofia. Un altro motivo per cui vengono
fatti i prelievi nelle donne , soprattutto nel periodo fertile, è soprattutto quando ci sono problemi di
infertilità. Ora la biopsia è una delle tappe nella valutazione dell’infertilità di coppia. Vi ricordo che si parla
di infertilità quando la cioè quella condizione in cui non si riesce a rimanere incinta dopo 12 mesi di rapporti
sessuali non protetti, l’incidenza nella razza umana è abbastanza alta soprattutto nei paesi industrializzati ,
infatti la sterilità è una condizione che riguarda almeno il 10-15% delle coppie. Quindi l’endometrio viene
esaminato in queste donne perchè? Quali sono le cause di infertilità femminile? Nelle maggior parte dei
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casi sono dovute alla mancanza di ovulazione, che diventa patologica nei cicli anovulatori (abbiamo detto
che le tutte donne durante l’età fertile possono verificarsi però prima di diventare patologica quando questi
sono consecutivi e numerosi). Possono essere legati invece a problematiche di tipo ostruttivo, organico
come patologie dell’ ovaio uterine e pelviche, oppure a patologie nella maggior parte dei casi a
malformazioni congenite, oppure a patologie extraginecologica come l’ipertiroidismo primario o gli
ipotiroidismi anche. Nel 10% le cause sono inspiegate. Quand’è che il ginecologo prescrive alla donna nel
caso di una diagnosi di infertilità , secondo quello che abbiamo detto i 12 mesi di rapporti non protetti e
l’impossibilità di rimanere incinta, quando appunto c’è un certo aspetto di endometrite, quando c’è il
sospetto di una mancata ovulazione, quando c’è un ciclo irregolare , quindi l’ovulazione è imprevedibile, nel
sospetto di un difetto della fase luteinica e poi nella valutazione dell’endometrio nei casi di procreazione
assistita. Quindi abbiamo detto che la causa più frequente è l’anovulazione e quindi le modificazioni
dell’endometrio dei cicli anovulatori è una cosa che può essere avvalorata quando appunto valutiamo una
persistenza di ciclo proliferativo e modificazioni proliferative in un intervento che teoricamente è prelevato
in una fase secretiva e poi 1 altro elemento molto importante è questo problema dell’insufficienza nella
fase luteinica. Sapete che il progesterone è fondamentale per la valutazione dell’endometrio che deve
diventare secretivo e deve raccogliere la blastocisti. Questo diventaun problema perché la recettività
dell’endometrio , che si calcola essere tra il sedicesimo e il diciottesimo giorno , può essere impossibile
quando il progesterone non supporta adeguatamente e in modo coerente con la cronologia del ciclo
uterino. Poi nella procreazione assistita , una valutazione importante che viene fatta prima di impiantare
l’ovulo fecondato è quella appunto se ci troviamo di fronte ad un endometrio che è in grado di recepire e
accettare l’ovulo fecondato. Quindi quando ci viene inviata un biopsia nel caso di infertilità, quello che
dobbiamo soprattutto escludere è che ci siamo problemi di infiammazione e in particolare quello che
andiamo ad osservare sono le plasmacellule nello stroma endometriale, oppure forme più rare di
endometrite acuta. Dobbiamo datare l’endometrio, perché appunto persistenze in fase proliferative in
prelievi fatti nella fase secretiva sono indicativi di un ciclo anovulatorio , dobbiamo dimostrare se c’è
un'insufficienza, possiamo in realtà dimostrare questo dato viene dimostrato all’ecografia e con gli esami
sierologici, però anche il patologo da la sua informazione e poi vedremo come di insufficienza nella fase
luteinica. L’endometrite abbiamo detto che è una forma rara e però dobbiamo sempre fermentare le
plasmacellule. Questa è un immunoistochimica che va ad identificare le plasmacellule nell’endometrio.
Come si identifica? Con quale marker plasmacellulare chimico? Il CD138 , quindi questa è un
immunoistochimica che va a marcare il CD 138 , quindi cellule abbondanti aggruppate addirittura intorno a
questa struttura ghiandolare , la riconoscete? È l’endometrio, sono espressione di un endometrite cronica.
La forma più comune di endometrite cronica è quella plasmacellulare e quindi le plasmacellule vanno
identificate. Nel caso di sospetto di mancata evoluzione di variazione temporale nel momento
dell’ovulazione e insufficienza luteinica la cosa importante è la datazione dell’endometrio. Dobbiamo
informare il ginecologo in che fase dell’endometrio noi ci troviamo se è follicolinica precoce o tardiva
oppure secretiva precoce o tardiva. Quindi considerate che normalmente questi prelievi vengono fatti nella
fase secretiva più tadiva quindi noi dobbiamo trovare in questo endometrio delle modificazioni che siano
secretive, quindi polivacuoli, che devono essere in genere sovranucleari e modificazioni stromali tipiche
cioè ampliamento, edema, decidualizzazione dello stroma. Però il dato anatomopatologico non è indicativo;
questo per esempio cos’è? Un prelievo che è fatto in fase secretiva dopo il 16° giorno. Che ghiandola è
questa? È in fase proliferativa non ci sono vacuoli , quindi che significa? Che in questa donna probabilmente
non c’è stata l’ovulazione, cioè non c'è stata una maturazione dell’endometrio tale da fargli formare vacuoli.
Nella valutazione temporale quindi bisogna anche considerare nell’ambito della fase secretiva l’adeguatezza
dello sviluppo dell’endometrio. Quindi i vacuoli li troviamo nella prima fase della fase secretiva, mentre le
modificazione stromali, vedete questo stroma che normalmente avete visto molto blu , qui è molto rosa,
perché i citoplasmi stanno aumentando; ricordate che i citoplasmi si colorano di rosa, quando vedete un
preparato rosa significa che c’è molto citoplasma e pochi nuclei, quando il preparato è blu prevalgono
sempre i nuclei , questo diciamo che è una regola della “casalinga” per capire se c’è una lesione cellulare o
non cellulare. Qui le modificazioni stromali tipiche della fase tardiva dell’endometrio della fase secretiva.
Quindi quando c’è un’insufficienza; quindi ricordate che nella fase tardiva i vacuoli sono sovranucleari e ci
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sono queste modificazioni stromali, in più le strutture ghiandolari diventano seghettate e dilatate perché il
muco sta finalmente entrando nel lume. Quindi che cosa succede? Nelle diagnosi di insufficienza luteinica,
soprattutto, noi parliamo di un endometrio normale se il modo i prelievi vengono fatti in due cicli successivi
per poter avere un quandro definitivo e normale , se i dati istologici e quelli clinici relativi al ciclo sono
coerenti, e fuori fase, quando dal punto di vista istologico non c’è coerenza con quello che accade alla
donna dal punto di vista clinico. Però ricordate sempre che i cicli mestruali non hanno sempre la stessa
durata e quindi in meno 15% delle donne il ciclo dura realmente 28 giorni, la maggior parte mestrua in
questo arco il tempo va dal 24 ° al 35° giorno. Di conseguenza la fase dell’ovulazione varia un po’ da donna
a donna. Comunque nel 20% delle donne i cicli sono irregolari, una parte o almeno una volta nella vita. I
difetti della fase luteale o la fase luteale inadeguata attengono proprio a problemi di sostegno progestinico.
Il progesterone è fondamentale perché le cellule maturino e diventino secretive, ma è fondamentale per
tutta la fase della gravidanza: il progesterone deve mantenere l’endometrio accogliente per tutti i 9 mesi di
gravidanza. Il progesterone da chi è sintetizzato durante la gravidanza? Dal corpo luteo gravidico, che è
sempre ovarico , che a sua volta deve essere sostenuto da chi? Dalla placenta, la gonadotropina corionica.
Quindi non abbiamo più l’asse ipotalamo-ipofisario del ciclo mestruale, ma abbiamo un’asse che riguarda
placenta e ovaio , che sostiene il corpo luteo e produce il progesterone , che mantiene l’endometrio
accogliente durante i 9 mesi della gravidenza. Quindi il progesterone è fondamentale per la gravidanza.
Nelle insufficienze, il progesterone ha un picco di produzione più precoce rispetto a quello che ha
normalmente nel ciclo , per cui è impossibile che la blastocisti riesca a impiantarsi. Quindi quello che noi
osserviamo in un prelievo tardivo della fase secretiva che è intorno al 17-18° giorno abbiamo modificazioni
di tipo iniziale, quindi i vacuoli che avete visto prima ancora sottobasali rispetto a quello che avviene nelle
fasi più avanzate del ciclo. Abbiamo finito questa breve parentesi sull’infertilità, quindi abbiamo capito che i
prelievi dell’endometrio vengono fatti in isteroscopia, hanno diverse funzioni, quello di valutare le cause di
emorragia anormali dell’endometrio, però viene utilizzato anche come strumento diagnostico di
problematiche di fertilità. Sempre però questo elemento in concerto con tutta una serie di altri elementi
clinici, che sono di tipo laboratoristico e di tipo strumentale. E questo anche per dire che il patologo che ha
uno schema diagnostico, e il ruolo del patologo è quello di interpretazione. Noi non facciamo l’azotemia,
non è che voi ci mandate, voi che sarete dei futuri clinici, il prelievo di sangue per vedere quant’è l’azoto nel
sangue; noi interpretiamo in un concerto, in un quadro clinico, le informazioni cliniche sono fondamentali
per poter inquadrare. È chiaro che il basalioma è facile da riconoscere, però in problemi di tipo funzionale le
informazioni cliniche sono fondamentali. Ora affrontiamo il discorso delle iperplasie endometriali che sono
comunque legate ad un’alterazione del rapporto estrogeni-progesterone, quindi immaginate già che le
iperplasie endometriali sono legate ad un aumento sostanziale degli estrogeni rispetto al progesterone.
Quindi quali sono i quadri istologici delle iperplasie endometriali? Di base, nelle iperplasie endometriali noi
abbiamo un aumento del numero delle ghiandole endometriali rispetto allo stroma , quindi quello che
abbiamo visto nelle immagini iniziali relative all’endometrio normale, non si verifica , più nel senso che lo
stroma è minoritario rispetto alle strutture ghiandolari e quindi questo con qualsiasi obiettivo a maggior
ingrandimento panoramico , noi riusciamo a valutare questa cosa. Le iperplasie possono essere semplici, e
quindi non preoccupanti, oppure possono essere atipiche .E le atipie citologiche, che si vanno ad osservare
in queste ghiandole, vanno segnalate , perché questa è una lesione preneoplastica, è una lesione che ha un
potenziale di trasformazione neoplastica molto elevato. Si possono trovare delle iperplasie in tutte le
situazioni in cui aumenta il carico di estrogeni nella donna, che può essere endogeno, ovaie policistiche,
tumori che producono gli estrogeni per esempio i tumori dei cordoni sessuali, i tumori a cellule della
granulosa, i tecomi, che producono eccesso di estrogeni e quindi chiaramente l’endometrio ne risente e poi
condizioni in cui c’è una disfunzione esogena degli estrogeni, in cui le principali cause negli anni 50 di
iperplasia endometriale era legata alla pillola anticoncezionale , che aveva un carico di estrogeni
notevolmente superiore rispetto alle attuali , che invece sono prevalentemente progestiche.Allora
l’elemento fondamentale delle iperplasie è l’aumento delle strutture ghiandolari che vedete qui sono
aumentate, qua la componente stromale è veramente scarsa. Lo stroma è fatto da piccole cellule un po’
fusate, costituite quasi esclusivamente da nuclei. Ancora qui c’è un iperplasia, lo stroma addirittura qua non
si vede. L’iperplasia può avere anche aspetti cistici come in questo caso. E questo è un aspetto delle cellule
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endometriali che dovete ricordare bene: le cellule dell’endometrio si dispongono intorno al lume sia nella
ghiandola normale che nella ghiandola iperplastica non atipica “a sigaretta”, sembrano dei sigari che in
modo regolare si dispongono a raggiera intorno al nucleo. Quindi hanno un nucleo allungato , disposto a
raggiera intorno al lume ghiandolare. Qui ancora vedete sono abbastanza regolari anche in questo caso,
alcune sembrano non allungate perché è comunque un effetto del taglio. Nelle iperplasie atipiche quello
che vediamo è la perdita di quell’aspetto citologico della ghiandola a disposizione allungata lungo il lume,
per cui assume degli aspetti che sono prevalentemente di tipo rotondeggiante, quindi la cellula atipica
dell’endometrio è una cellula che non ha il suo normale aspetto allungato, ma è arrotondata, non perché
cambia sostanzialmente la forma, ma perché assume posizioni irregolari all’interno della cellula. Qui ancora
Le cellule sono arrotondate ed hanno un elemento diagnostico molto importante, l'atipia che è la presenza
del nucleolo. Quindi negli adenocarcinomi, nelle lesioni di prim’ordine degli adenocarcinomi, il nucleolo va
sempre ricercato, perché è un elemento diagnostico molto importante, che ci consente di fare diagnosi di
malignità. Una trasformazione in senso carcinomatoso (0, 5% dei casi) può insorgere anche nei polipi, che
sono prevalentemente di natura benigna. (Esistono delle sindromi come quella di Lynch in cui vi è
associazione tra poliposi del colon e quella all’endometrio). In alcune iperplasie complesse si formano
strutture ghiandolari particolari in cui ci sono ghiandole all’interno di ghiandole, quando un lume
ghiandolare è sepimentato da proliferazione cellulare, in questo caso si parla di una atipia architetturale,
che è diagnostica di un certo grado di atipia. Quindi per concludere: le atipie, cioè le iperplasie vengono
distinte in iperplasie semplici ed iperplasie complesse dal punto di vista architetturale. L’iperplasia semplice
è un’iperplasia che riguarda le strutture ghiandolari , che proliferano per effetto degli estrogeni, sono
complesse quando le ghiandole sono addossate le une alle altre, quindi esiste un’alterazione di tipo
architetturale nelle iperplasie complesse. Le iperplasie possono poi essere atipiche , se ci sono delle cellule
con le alterazioni di cui abbiamo parlato, di conseguenza le iperplasie semplici possono essere tipiche e
atipiche e le iperplasie complesse che possono essere tipiche ed atipiche, per cui noi abbiamo quattro tipi
di iperplasia. Questa distinzione è importante perché le iperplasie complesse atipiche sono quelle che più
frequentemente si associano allo sviluppo di cancro( 4 volte in più rispetto a quelle tipiche), quindi quelle
che combinano alterazioni architetturali a quelle citologiche, mentre più rare le trasformazioni nelle altre
forme.
I fattori di rischio delle iperplasie sono i carichi di estrogeni , che possono essere esogeni ed endogeni, il
tamoxifen che è un antiestrogeno, che però nelle anziane può avere un effetto pro-proliferativo, infatti nelle
donne anziane che fanno uso del tamoxifen si fanno controlli periodici all’endometrio, perché è appunto
l’endometrio che risponde in modo eccessivo al tamoxifen in senso proliferativo. Infatti sono numerosi i casi
di iperplasie tipiche ed atipiche nelle donne trattate con tamoxifen. Fattori di rischio endogeni sono legati
alla storia mestruale della paziente: il menarca precoce, menopausa tardiva, tumori della granulosa, i
tecomi, sindrome dell’ovaio policistico. Qualsiasi situazione che porti alla donna un continuo apporto di
estrogeni senza interruzione, assenza di gravidanze, assenza di allattamento, in qualche modo facilitano
l’insorgenza delle iperplasie, quindi del cancro. Si diceva una volta che mentre il carcinoma della cervice era
il carcinoma tipico delle prostitute, i carcinomi dell’endometrio erano i tumori delle proprio delle monache.
L’incidenza del carcinoma endometriale è molto elevata. L’ottava causa di morte per cancro nelle donne,
pur essendo questo tumore indolente. La mortalità in Italia è molto più bassa, negli Stati Uniti la
problematica legata al sistema sanitario rende i controlli più scarsi per una fetta della popolazione che non
accede al sistema sanitario. Che significa che un tumore è indolente? Che ha una storia naturale molto
lunga e un decorso molto lento, e proprio perché il decorso è molto lento, io ho visto anche delle recidive
dopo 15 anni. È più frequente nelle donne bianche rispetto alle donne di colore, l’età media è sempre
postmenopausale, quindi 61 anni, rarissimamente si ha prima della menopausa, molto raramente prima dei
40 anni, però esistono dei casi di carcinomi endometriali giovanili, per i quali esistono anche programmi
terapeutici alternativi all’isterectomia, perché sono donne che comunque vogliono una gravidanza e
cercano di preservare l’utero, sono programmi che possono essere seguiti facilmente, con raschiamenti
approfonditi dell’endometrio. Le iperplasie atipiche, alla revisione dei patologi esperti diventano carcinomi
nel 79% dei casi. La diagnosi di adenocarcinoma è difficile in caso in cui la definizione di gruppi di patologie
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rispetto ad un altro non è ben determinato. E questo accade in un certo gruppo di melanomi borderline,
sarcomi e linfomi che danno problemi diagnostico-interpretativi. I tumori dell’endometrio si distringuono in
due grosse categorie che sono quella endometrioide e non endometrioide. Quindi adenocarcinomi
endometriali, che originano dall’endometrio, possono essere endometrioidi perché ricordano l’endometrio,
non endometrioidi perché non ricordano l’endometrio. Il più frequente è l’endometrioide ed è anche detto
di tipo 1, che può assumere anche altri aspetti. Viene gradato, anche in base al grado di differenziazione in
grado 1, grado 2 e grado 3. Un tumore ben differenziato è un tumore che continua a formare ghiandole, un
tumore scarsamente differenziato è un tumore che non forma più ghiandole. Il decorso è indolente, per
quanto riguarda l’endometrioide, più aggressivo per quanto riguarda il non endometrioide, l’età è diversa:
colpisce di più le giovani l’endometrioide, molto di più le donne anziane il non endometrioide.
Nell’endometrioide si riconosce una relazione con il calo degli estrogeni , a differenza dei non
endometrioidi. Il precursore nell’endometrioide è la neoplasia endometriale , che deriva dall’iperplasia
atipica, mentre nel non endometrioide sono le neoplasie intraepiteliali di tipo sieroso papillare. La p53 è
l’oncosoppressore molto frequentemente mutato nel tumore non endometrioide, mentre PTEN, altro
oncosoppressore, è più frequentemente mutato negli endometrioidi.
Nell’ambito degli adenocarcinomi dell’endometrio, l’endometrioide rappresenta l’87% dei casi, tutto il
resto, a parte quello squamoso, che è molto raro ed è un capitolo a parte, il sieroso papillare ed a cellule
chiare reppresentano i classici esempi di carcinomi non endometrioidi dell’endometrio che hanno un
profilo un po’ più aggressivo. Non dimentichiamo che l’utero è fatto anche di stroma e quindi abbiamo
anche neoplasie maligne di origine mesenchimale: i sarcomi.
Quindi per ricapitolare: il tipo 1 è detto anche endometrioide, è correlato agli estrogeni e deriva dalle
iperplasie. Le donne colpite sono più giovani, hanno un’età media di 60 anni, sono generalmente di basso
grado. Il tipo 2 sono il carcinoma sieroso papillare ed a cellule chiare, sono più aggressivi, sono quindi a più
alto grado, hanno una prognosi più sfavorevole e danno più frequentemente metastasi rispetto ai non
endometrioidi. L’associazione con gli estrogeni è nota soltanto per il tipo 1, quindi significa che sono tumori
estrogeno-dipendenti, quindi in questo caso è possibile un trattamento basato su antiestrogeni.
Poi esistono le forme familiari, legate alla sindrome di Lynch, che è una sindrome legata ad alterazioni delle
proteine che regolano la riparazione del DNA e che danno come alterazioni neoplastiche sia tumori del
colon, ma anche tumori dell’endometrio.
Quindi le cellule ghiandolari, per effetto della mutazione di PTEN, che è una mutazione non produttiva di
un oncosoppressore, dà alterazioni clonali che portano alla trasformazione carcinomatosa in senso
endometrioide. Poi esistono altre cellule, sempre dell’endometrio, che hanno mutazioni di p53 e che sono
legate al tumore sieroso papillare ed a cellule chiare ( che saranno trattati meglio nei tumori dell’ovaio
perché questi sono tumori tipicamente ovarici). Tra i fattori di rischio tutti i carichi di estrogeni, compresa
l’obesità: le donne con carcinoma dell’utero sono obese. Obesità perché a livello del tessuto adiposo
avviene la trasformazione degli androgeni in estrogeni, quindi queste donne hanno un carico estrogenico
endogeno proprio per via dell’obesità.
La progressione del classico carcinoma endometriale è: endometrio normale-> iperplasia semplice->
iperplasia ghiandolare cistica complessa (detta anche adenomatosa)->adenocarcinoma in situ, carcinoma
invasivo. Quindi mentre nel peri-post-menopausa gli estrogeni incidono nella trasformazione dell’epitelio
endometriale nella trasformazione in carcinoma endometrioide, nelle donne anziane altri tipi di fattori che
non si conoscono, ma che agiscono su altri subset genetici e determinano un’altra tipologia di tumore , che
sono i tumori di tipo 2 che sono più aggressivi. Quindi i carcinomi endometrioidi dell’endometrio sono
legati spesso a mutazioni dell’oncosoppressore Pten, che è un oncosoppressore che agisce controllando e
bloccando la proliferazione cellulare, quindi la sua mutazione che determina la non produzione della
proteina da esso codificata, ha come effetto quello cancerogenetico, ed è tipica dei tumori endometrioidi.
Quindi, quando noi andremo a fare le colorazioni dei carcinomi endometrioidi , vedremo che le ghiandole
non producono Pten, mentre è molto abbondante nello stroma. Nei carcinomi endometriali di tipo sierosoSCARICATO DA WWW.SUNHOPE.IT313
papillare di tipo 2, la mutazione più frequente è quella che riguarda p53, un altro oncosoppressore. La
sindrome di Lynch è legata allo sviluppo di carcinomi endometriali e dell’intestino, è legata ad alterazioni
geneticamente determinate ed ereditarie di MSH2 e MLH1, e quindi queste sono pazienti genericamente
più giovani, 45 anni è l’età media, ed è la seconda causa di tumori in queste pazienti con questa sindrome,
dopo l’intestino. La sintomatologia in queste donne con carcinoma dell’endometrio si presenta nella
maggior parte dei casi con sanguinamenti difunzionali, con menorragia, e quindi la diagnosi si fa o su
raschiamento, che si ottiene raschiando la superficie dell’endometrio in modo adeguato, oppure facendo
biopsie mirate, soprattutto nel caso di piccoli polipi. La citologia in questi casi è poco sensibile, non serve a
niente, giusto come nota: nel PAP test qualche volta si possono osservare delle cellule che provengono
dall’endometrio, però solo in una piccola parte di casi queste cellule sono indicative di un carcinoma. Ecco
come si presenta un carcinoma di tipo endometrioide: la maggior parte dei casi ha uno sviluppo endoesofitico all’interno della cavità uterina, con questa formazione polipoide, dalla consistenza cerebroide, si
sfalda molto facilmente.
Com’è l’aspetto del carcinoma endometriale: le ghiandole sono le une addossate alle altre, lo stroma,
all’interno della struttura ghiandolare c’è proliferazione di strutture papillari o siero papillari, i lumi
ghiandolari sono spesso sepimentati da proliferazioni neoplastiche, quindi ghiandola nella ghiandola.
Aspetto tipico dei adenocarcinomi endometroidi ben differenziati sono le cellule squamose. La metaplasia
squamosa si osserva molto frequentemente nella neoplasia endometrioide, soprattutto nelle ben
differenziate.Nel grado 2 le cellule neoplastiche continuano a formare ghiandole , almeno per una parte
della neoplasia, dopodichè le ghiandole non si formano più: c’è un ammasso di cellule diffuse che non
formano più lumi, quindi non formano più ghiandole, e quindi abbiamo una forma meno differenziata di
prima. Nel G3 non ci sono lumi ghiandolari, è un carcinoma scarsamente differenziato.
Ricapitolando: G1 quando la componente solida, pattern diffuso non forma più ghiandole rappresenta il 5%,
G2 la parte solida va dal 6 al 50%, G3 la maggior parte del tumore non forma ghiandole, più del 50% del
tumore ha un pattern solido senza lumi riconoscibili. L’endometrioide può avere aspetti mucinosie qui si
profila un eventuale origine dall'espitelio secretivo, e qui vedete delle cellule hanno aspetto diverso, con
lume spostato nelle porzioni basali ed un citoplasma ripieno di materiale biancastro, filamentoso, che è il
muco. Le forme più aggressive del carcinoma dell’endometrio sono quelle di tipo 2: il sieroso papillare e
quello a cellule chiare. Il sieroso papillare da solo rappresenta il 5-10% di questi tumori endometriali, è
aggressivo, e l’aggressività è denotata dal fatto che spesso si creano emboli neoplastici intorno al tumore e
spesso questi tumori sono metastatici perchè hanno impianti di cellule neoplastiche, ha un precursore
anche questo che è il carcinoma sieroso intraepiteliale .Questo è un polipo con un carcinoma tra le
ghiandole, è infiltrante.
Carcinoma sieroso papillare: si chiama così perché fa’ prevalentemente papille, costituite da un sottilissimo
asse fibrovascolare su cui si dispongono le cellule neoplastiche. Altro aspetto tipico del ca sieroso papillare
è la presenza di calcificazioni che sono chiamate “psammoma body”, cioè corpi psammomatosi, che si
trovano frequentemente anche in altre neoplasie, come i carcinomi sieroso-papillari dell’ovaio.
Ca a cellule chiare che forma strutture ghiandolari ma formate da cellule di aspetto chiaro, con citoplasma
chiaro, se non nella totalità almeno in una buona parte della massa tumorale. Hanno nuclei che emergono
nei lumi ghiandolari, per cui il profilo ghiandolare assume aspetto frastagliato (le cellule neoplastiche si
gettano nel lume della ghiandola, formando “l'aspetto hobnail”).
L’Anatomopatologo deve fornire al paziente due tipi di informazioni:
1)FATTORI PROGNOSTICI che riguardano la prognosi del tumore
•
Istotipo
•
Età
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•
Invasione vascolare
•
Aneuploidia
•
Alterato rapporto oncogeni/oncosoppressori
•
Pten, p53, instabilità dei micro satelliti, MDR-1, her2-neu, ER/EP, Ki 67, PCNA, CD31, EGF-R,
MMRgenes
2)FATTORI PREDITTIVI che indicano l’eventuale risposta a determinati trattamenti terapeutici biologici o non
biologici (ad esempio nel caso del tumore della mammella che esprime elevati livelli di recettori per
estrogeni e un tumore che risponde bene agli estrogeni)
•
recettori per gli estrogeni.
•
recettore per il progesterone: infatti quando il tumore esprime elevati livelli di recettori
progestinici, significa che risponde bene agli estrogeni, perché il target principale degli estrogeni è
rappresentato dal recettore per il progesterone. Se un tumore ha elevati livelli di recettore di
estrogeni e bassi livelli di recettore del progesterone, significa che la cellula ha un anomalo
recettore per gli estrogeni che quindi non è in grado di stimolare il progesterone, quindi la paziente
potrebbe non rispondere a terapie a base di estrogeni.
DIFFUSIONE DEL CARCINOMA DELL’ENDOMETRIO
•
Infiltrazione della parete, quindi lo stadio è legato all’infiltrazione della parete. (Ricorda la
classificazione TNM, dalla quale si estrapola poi la classificazione ginecologica FIGO. A questo
proposito il prof ricorda che lo stadio T della classificazione TNM di un tumore di organi cavi o di
superfici -come il melanoma- si valuta lo spessore di infiltrazione, mentre nel caso di organi
parenchimatosi si valutano le dimensioni del tumore. Quindi la T del TNM si riferisce
all’ESTENSIONE del tumore che negli organi cavi e nelle superfici si riferisce allo spessore di
infiltrazione e negli organi parenchimatosi si riferisce alle dimensioni del tumore.
•
Infiltrazione degli annessi
•
Infiltrazione della cervice
•
Interessamento del distretto pelvico extrauterino
•
Diffusione linfatica
•
Diffusione ematica (polmoni, fegato, ossa sono sedi più frequenti di mtx a distanza)
Quindi nei primi stadi assume un ruolo importante lo spessore di infiltrazione della parete endometriale, se
superiore o inferiore al 50% della parete (nel melanoma si valutano invece i mm, nel colon gli strati della
parete). L’infiltrazione dell’endometrio fa passare il tumore da uno stadio T1A a T1B a seconda
dall’infiltrazione di meno o più del 50% della parete.
L’estensione della cervice fa passare il tumore dallo stadio 1 allo stadio 2.
(Il prof consiglia di vedere per bene la stadiazione sul libro, perchè ne ha parlato per sommi capi a lezione)
La stadiazione è correlata a diverso profilo di sopravvivenza. Un tumore in Stadio 1 è confinato all’utero e
rappresenta il 73% di tutti i tumori dell’endometrio che sono prevalentemente di tipo 1. Solo l’11% sono
tumori in stati 2. I restanti, più rari, sono in stadio 3 e 4.
Gruppi di stadio ricavati dalla FIGO:
Stadio 1: confinati all’utero
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Stadio 2: coinvolgimento cervice
Stadio 3: infiltrazione sierosa, annessi, vagina, mtx pelviche
Stadio 4: coinvolgimento vescica, intestino, mtx a distanza
Quindi i fattori prognostici sono: istotipo (indolente o aggressivo), grading (ricorda che gli endometriodi G3
hanno profilo di sopravvivenza sovrapponibile a quelli aggressivi, sieroso papillare e cellule chiare), stadio,
infiltrazione, invasione vascolare (che ci dice che il tumore è potenzialmente metastatico; ricorda che non
tutti i tumori con invasione vascolare sono metastatici, perché la cellula che va in circolo deve acquisire una
serie di mutazioni per sopravvivere e acquisire capacità di attecchire e dare metastasi), età
IMMUNOISTOCHIMICA: ci serve per la diagnosi differenziale con gli adenocarcinomi della cervice più vicini.
Tutti i tumori del distretto pelvico-urologico derivano dal mesoderma, e tutte le cellule mesodermiche
esprimono sia markers epiteliali che mesenchimali, quindi tutti i tumori dell’endometrio esprimono sia
citocheratina che vimentina. Gli endometrioidi esprimono alti livelli di estrogeni e progesterone. Il CEA,
marker tipicamente espresso dagli adenocarcinomi mucinosi, è espresso dall’endocervice. La p16
dall’endocervice. La p53 è elevata nel tipo 2, ma anche negli endometriodi di grado 3 perché è una
mutazione secondaria. Quindi p16 e CEA sono fondamentali per la diagnosi differenziale con il carcinoma
dell’endocervice. Poi c’è un problema di diagnosi differenziale con carcinomi dell’ovaio, perché esistono
istotipi di tumori dell’ovaio che possono infiltrare l’endometrio e viceversa. Quindi diventa importante
capire se il tumore parte dall’endometrio o dall’ovaio, valutazione che spesso non si raggiunge con
l’immunoistochimica ma solo attraverso parametri morfologici macroscopici.
COSA RIPORTARE NEL REFERTO: ISTOTIPO, GRADING, LVSI (INFILTRAZIONE DEI VASI?), STAGING, MARGINI,
SULLA BIOPSIA preoperatoria: fornire informazioni circa l’istotipo e il grado.
I tumori endometriali di stadio1, indolenti, G1 o G2 che non hanno coinvolgimento linfonodale e metastasi
a distanza vengono trattati con la chirurgia, serve una estemporanea? Si, perché durante l’intervento il
ginecologo toglierà l’endometrio e gli annessi, però in base allo stadio che noi gli forniamo (a questo
proposito la cosa importante è riferire informazioni sullo spessore di infiltrazione e il coinvolgimento della
cervice, dati che non è possibile ottenere con le indagini strumentali in preoperatorio), il chirurgo deciderà
se togliere i linfonodi pelvici, che verranno tolti in presenza di un tumore in stadio 1B o se c’è infiltrazione
della cervice. Quindi l’informazione intraoperatoria serve per decidere se radicalizzare l’intervento, non se
togliere l’utero che viene tolto in ogni caso.
Nello stadio 1 (con G3, N+, M2) e negli stadi più avanzati si associa radioterapia e chemioterapia.
RECIDIVE Più FREQUENTI sono a livello della cupola vaginale, pelviche, linfonodali e a distanza (polmoni e
ossa)
L’utero è costituito anche da strutture mesenchimali e quindi anche nell’utero possiamo avere tumori
mesenchimali che possono originare dallo stroma oppure dal miometrio. Lo stroma citogeno
dell’endometrio è costituito da piccole cellule mesenchimali a cui si può aggiungere una componente
epiteliale che può essere maligna o benigna. Quindi abbiamo diversi possibili quadri:
•
Tumori stromali puri (benigni o maligni, di diverso grado)
•
Tumori stromali con componente epiteliale (benigna o maligna)
Se entrambe le componenti sono maligne si parla di carcinosarcoma, tumore più aggressivo conosciuto
nell’ambito dell’endometrio. Presenta una componente epiteliale derivante dalle ghiandole
endometriali, molto indifferenziata, che non forma lumi ghiandolari, componente sarcomatosa, con
possibile differenziazione in senso condroide o ossea, in questo caso si parla di tumore maligno misto
mulleriano.
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Se invece abbiamo un tumore misto con componente epiteliale benigna si parla di adenosarcoma.
Questi tumori sono molto aggressivi con molteplici emboli neoplastici nei vasi peritumorali.
I tumori mesenchimali quindi si distinguono in tumori derivanti dallo stroma, puri o misti, e tumori
derivanti dal miometrio, leiomiomi (benigni) e leiomiosarcomi (maligni). Il tumore più frequente
nell’utero è il leiomioma, detto FIBROMA uterino. Questo è più frequente in età fertile, durante la quale
crescono di volume, per poi regredire dopo la menopausa.
Morfologia del fibroma uterino: polipoidi che sporgono in cavità, intramurali che crescono all’interno
del miometrio, peduncolati esterni o sottosierosi.
Lezione anatomia patologica 22 marzo 2016
L’altra volta abbiamo parlato dell’utero, dell’approccio ai problemi ed alle patologie
dell’endometrio, quindi abbiamo parlato dei sanguinamenti di tipo organico e
funzionale, il primo è dovuto a problemi di natura ormonale che non sono sempre
identificabili dal punto di vista sierologico ma che creano delle disfunzioni di
maturazione dell’endometrio. Come si vede dal punto di vista istologico se siamo di
fronte a cicli anovulatori?troveremo una fase proliferativa in quella che dovrebbe
essere una fase secretiva. Invece se siamo davanti ad un’insufficienza del corpo
luteo?una ragazza dice:un ritardo nella fase secretiva di almeno tre giorni. Il prof: un
ritardo, esattamente.. cioè in realtà è un’anticipazione perché tu le modificazioni le
vedi molto più precocemente di quanto dovresti vederle in realtà, e l’endometrio
sfalda prima di quanto dovrebbe sfaldare.
Invece le problematiche organiche sono quelle legate ad alterazioni strutturali
dell’endometrio, quindi in primo luogo le neoplasie precursori dei tumori. Come
sono classificati i tumori? In endometrioidi e non endometrioidi di tipo 1 e tipo 2,
hanno vario grado sia di manifestazione clinica, precoci le prime e più tardive le
seconde; di manifestazione biologica, quindi i tumori endometrioidi hanno prognosi
……. E dipendono dagli estrogeni che possono essere sia endogeni che esogeni. Il
precursore del tumore endometrioide è l’iperplasia, che può essere di vari gradi,
semplice e complessa e con oppure senza atipie.. il precursore vero del tumore è
quello con atipie. Invece quali sono gli istotipi più frequenti del carconoma non
endometrioide? Il sieroso papillare e quello a cellule chiare, queste sono varianti che
si trovano più frequentemente nell’ovaio. Uno dei sintomi più frequenti del
carcinoma è il sanguinamento postmenopausale, dico così perché questo tumore
origina soprattutto nella fase postmenopausale della vita.
I tumori più frequenti dell’utero, oltre quelli della cervice ed endometrio sono quelli
della muscolatura liscia. Abbiamo il leiomioma, che cos’è? È un tumore di
muscolatura liscia con profilo nodulare anche questo dipendente dagli estrogeni e
cresce prevalentemente nella vita pre-menopausale, può dare problemi di
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sanguinamento e fertilità. Volgarmente si chiama fibroma dell’utero, ma il termine
corretto è leiomioma. Possono essere diversi dal punto di vista topografico, perché
possono insorgere sia nello spessore del miometrio e si chiamano intramurali,
possono essere sottosierosi e si chiamano appunto sottosierosi, oppure endocavitari
ed insorgono nella sottomucosa. Nell’ambito dei sottosierosi abbiamo forme
peduncolate, quindi attraverso un peduncolo si attaccano in questo caso (il prof
vede un’immagine) al fondo dell’utero, e questo peduncolo può anche andare in
contro a regressione, per cui qualche volta troviamo i leiomiomi totalmente
distaccati dall’utero che possono aderire strettamente al peritoneo o a qualche altra
struttura, questi si chiamano volgarmente leiomiomi metastatizzanti, non perché
siano vere metastasi ma perché perdono i reali contatti con l’utero. I leiomiomi
possono essere anche molto voluminosi, recentemente ne abbiamo visto uno che
misurava 60 cm, spesso crescono all’interno di donne obese quindi queste masse
non danno rapidamente sintomi o segni. Come si presenta il leiomioma? È un
tumore che simula ciò che fa la cellula muscolare liscia, e cioè forma delle strutture,
degli elementi cellulari fusati che si organizzano a formare dei fasci. Quindi l’aspetto
di un leiomioma, con una capsula che lo circoscriveche lo ciscoscrive, è
questo(immagine) con proliferazione che si osserva all’interno della neoplasia.
Questi tumori sono più frequentemente benigni, però abbiamo una serie di
neoplasie maligne che derivano dal tessuto mesenchimale dell’utero e hanno il
nome di sarcomi maligni. Possono originare o dalle cellule muscolari lisce del
miometrio e si chiamano leiomiosarcomi oppure dalle cellule stromali
dell’endometrio, vi ricordate abbiamo visto che c’è una proliferazione di cellule
piccole e fusate che vanno sotto il nome di stroma citogeno, da lì possono originare
dei tumori che sono generalmente indolenti, ma quando diventano di alto grado
oppure perdono la loro normale differenziazione diventano particolarmente
aggressivi. Quindi nel complesso i sarcomi uterini, rappresentano l’1-3 % dei tumori
maligni del corpo dell’utero, rispetto ai leiomiomi hanno un’incidenza molto bassa e
colpiscono circa 1, 6-3 donne su 100.000 all’anno. Vengono classificati in base alla
loro origine in leiomiosarcomi, che ne rappresentano la maggior parte, sarcomi dello
stroma endometriale (14-20%), e poi abbiamo quelle forme di tumori mesenchimali
che si associano anche a tumori epiteliali, li abbiamo visti anche l’altra volta e sono i
tumori mulleriani misti o i carcinosarcomi e sono il 35-40%. Quindi i più frequenti
sono i leiomiosarcomi seguiti dai tumori mulleriani misti.
I leiomiosarcomi sono molto più frequenti nelle donne giovani, in genere nella fase
perimenopausale, così come i sarcomi nello stroma, considerando che quelli di
basso grado sono più frequenti nelle donne pre-menopausali, quelli di alto grado in
quelle post-menopausali. Abbiamo visto anche l’altra volta che il sarcoma
mulleriano, tumore misto, quindi epiteliale e mesenchimale, combina aspetti sia di
mesenchima omologo quindi il mesenchima di questi tumori somiglia molto allo
stroma endometriale oppure possono essere presenti degli elementi definiti
etrologhi che non hanno niente a che fare con l’utero, ad esempio ci può essere
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cartilagine maligna, osso maligno, quindi altri tumori mesenchimali che con l’utero
non hanno niente a che fare. Ripetriamo: omologa quando la differenziazione sia
mesenchimale sia epiteliale ricorda quella dell’utero normale; eterologa quando la
stessa non ha niente a che vedere con quella normale. Abbiamo detto nei tumori
dell’utero che il primo sintomo fondamentale anche se spesso tardivo è la perdita di
sangue, e la diffusione di questi tumori avviene per contiguità, quindi per
infiltrazione delle strutture vicine oppure per diffusione ematogena più che linfatica.
Quindi questi tumori in fase avanzata quando sono maligni possono dare metastasi
soprattutto al fegato ed al polmone. L’accrescimento dei leiomiosarcomi è di tipo
rapido, è rarissima l’evoluzione al (mioma?) Quindi la trasformazione di leiomiomi in
leiomiosarcomi è una cosa rarissima, e come in tutti i tumori mesenchimali i
parametri di aggressività sono legati al grado. Vi ricordate cos’è il grado di un
tumore? La differenziazione, quindi si compara il grado di differenziazione della
cellula tumorale rispetto a quella di origine. Così è nella maggior parte dei casi,
esistono varianti di grado ad esempio nella mammella si vanno a valutare anche altri
aspetti, ad esempio quello architetturale quindi la presenza di tubuli e le mitosi,
ricordate nella mammella si fa uno score che guarda le mitosi, il pleomorfismo, la
formazione dei tubuli ed in base al risultato che si ottiene si grada la mammella.
Quindi mammella, prostata ed altri sarcomi non si gradano andando a valutare solo
gli aspetti morfologici ma si vedono altri parametri a cui si da uno score e
sommando tutti questi parametri otteniamo uno score totale da cui desumiamo il
grado di malignità. Questo è quello che succede anche nei sarcomi dei tessuti molli
e dell’osso, in cui si va a vedere la presenza o meno di necrosi, il pleomorfismo, ed il
numero di mitosi. In particolare nei leiomiosarcomi per fare diagnosi l’elemento più
importante che deve essere identificato è il numero di mitosi: si vanno a contare
dieci campi ad alto ingrandimento, se si superano dieci mitosi per dieci campi di
ingrandimento(in inglese si dice hpf e sta immagine ad alto ingrandimento, cioè high
power field) allora siamo di fronte ad una lesione maligna. Uno dei problemi più
importanti di diagnosi differenziale dei leiomiosarcomi è proprio il leiomioma,
esistono infatti dei leiomiomi molto cellulati che vanno in diagnosi differenziale; la
necrosi si trova ed è spesso molto focale, il pleomorfismo nei leiomiosarcomi spesso
non è così evidente quindi si trovano cellule fusate organizzate in fasci, quindi
l’elemento che discrimina il leiomioma dal leiomiosarcoma spesso è il numero di
mitosi, ripetendo se si superano dieci unità per dieci campi di ingrandimento ci
troviamo di fronte ad una lesione maligna.
Qui vedete (mostra un’immagine) qui ci sono le lesioni mesenchimali del miometrio
in relazione alle mitosi, alle atipie citologiche che vanno sotto il nome di
pleomorfismo, il leiomioma cellulato ha un numero di mitosi molto basso, al di sotto
di 5 X10 hpf, le atipie citologiche non ci sono. Nel leiomioma atipico invece abbiamo
un numero di mitosi sovrapponibile a quello del leiomioma tipico ma abbiamo
anche delle atipie citologiche importanti. Nella terza categoria c’è il leiomioma
mitoticamente attivo, le mitosi sono da 5 a 10 X hpf mentre nel leiomiosarcoma ci
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sono atipie ed il numero di mitosi è assolutamente superiore a 10Xhpf. Quindi i
leiomiomi mitoticamente attivi che pongono problemi di diagnosi differenziale con i
leiomiosarcomi sono abbastanza frequenti in donne pre-menopausali, quindi
durante la loro vita fertile, perché come vi ho detto sono tumori che dipendono
dagli estrogeni, questi tumori delle cellule della muscolatura liscia dell’utero
esprimono i recettori degli estrogeni. Abbiamo detto che i leiomiomi sono tumori
che simulano il miometrio quindi formano fasci di cellule fusate della muscolatura
liscia, e quindi esprimono tutti i marker di quest’ultima, in particolare la desmina e
l’actina che rientrano nei processi di contrazione cellulare. Qui cosa vedete?(mostra
immagine) mitosi. Le mitosi su sezioni istologiche appaiono come dei vermiciattoli,
con nuclei ipercromatici e bordi irregolari, sembrano dei ragnetti, la conta delle
mitosi è difficile in anatomia patologica perché molto spesso le mitosi vanno in
diagnosi differenziale con i corpi apoptotici perché anche questi ultimi sono
ipercromatici ma hanno i contorni più regolari. Immagine: questa non è una mitosi
vedete ci sono detriti nucleari intorno quindi questo è un corpo apoptotico, una
cellula che sta andando in necrosi e la necrosi è un elemento che si trova molto
spesso nei leiomiosarcomi e sono necrosi unicellulari, non sono grossi ammassi di
necrosi ma sono necrosi di singole cellule. Un tempo per fare diagnosi di
leiomiosarcoma bisognava trovare sia il numero di mitosi per HPF e sia cellule
necrotiche (quando parliamo di necrosi parliamo di necrosi unicellulari). Come sono
dal punto di vista macroscopico invece i tumori dello stroma endometriale? Sono
tumori generalmente benigni, esistono delle forme ultrabenigne che vengono
chiamati noduli stromali che sono dei piccoli noduli che hanno un’attività mitotica di
circa 0-2 per HPF e poi abbiamo delle varianti maligne che sono il sarcoma stromale
di basso grado e di alto grado. Con il prof. Rossiello avrete sicuramente affrontato gli
aspetti macroscopici delle neoplasie e sapete che in genere i tumori benigni hanno
margini espansivi e quindi si allungano, si ingrandiscono lungo tutti i diametri come
delle palle e poi invece i maligni in genere hanno dei margini infiltrativi e quindi
hanno dei margini stellati( infiltrano tutto quello che c’è intorno). La DD tra i noduli
stromali e i sarcomi stromali si basa fondamentalmente sui margini che sono
infiltrativi nei sarcomi e sul numero di mitosi che sicuramente è più alto nei sarcomi
di basso grado rispetto ai noduli ma sempre inferiore a 10 e come nei
leiomiosarcomi i sarcomi stromali di alto grado hanno un indice mitotico superiore a
10 figure per 10 HPF. Quindi i sarcomi stromali sono tumori che originano
dall’endometrio , simulano l’endometrio dopo vedremo delle immagini di una
neoplasia che assomiglia allo stroma endometriale quindi uno stroma citogeno con
cellule con corti processi cellulari che formano dei veri e propri fasci inoltre sono
piccoli sono a margini espansivi e hanno un indice mitotico bassissimo addirittura al
di sotto di 2 mitosi per 10 HPF (25.44?). Invece i sarcomi stromali si distinguono a
basso e alto grado, hanno margini infiltrativi e la differenza la fa il numero di mitosi
che sono più basse nel sarcoma di basso grado e superiori alle 10 figure per 10 HPF
nei sarcomi di alto grado. Immagine: questo è l’aspetto di un sarcoma, lo
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riconoscete rispetto alle lesioni della muscolatura liscia non ci sono cellule disposte
a formare fasci, sono cellule piccoline con la forma di virgola che si dispongono
attorno ai vasi (voi sapete che l’endometrio è ricco di vasi e anche il sarcoma
stromale è ricco di vasi) . Cosa manca? Se voi vedeste questa immagine che cosa
manca del normale endometrio? Le strutture ghiandolari, infatti è una
proliferazione costituita esclusivamente da cellule stromali e queste cellule stromali
sono positive per CD10 (27.26?) che è un marker specifico delle cellule stromali sia
normali che neoplastiche ( e non ci dice se è benigno o maligno, anche le cellule
benigne sono marcate con CD10!). La stadiazione è abbastanza semplice:
Stadio 1: tumore confinato al corpo dell’utero
Stadio 2: tumore si estende alla cervice
Stadio 3: coinvolge i tessuti pelvici
Stadio 4: al di fuori della pelvi
Quali sono i parametri prognostici? Lo stadio, il grado, eventuali metastasi, l’indice
mitotico, l’istotipo ( perché sicuramente quelli che interessano la muscolatura liscia
hanno una prognosi sfavorevole rispetto a quelli stromali che hanno un andamento
più indolente), le invasione endometriali (l’endometrio è ricco di vasi e quindi i
sarcomi stromali che infiltrano l’endometrio sono più aggressivi), così come gli
emboli neoplastici nei vasi peritumorali. Come si trattano? I pz fanno sicuramente
l’isterectomia quelli di basso grado e quelli di alto grado fanno anche chemioterapia
(sia i sarcomi stromali di alto grado che i leiomiosarcomi). Nel caso degli istotipi
quelli che hanno una sopravvivenza migliore sono sicuramente i sarcomi
endometriali rispetto ai tumori misti mullieriani e chiaramente la sopravvivenza è
anche in relazione allo stadio (stadi 2 e 4 hanno sopravvivenza a 5 anni dell’8%)
Caso clinico
Un pz. Di 50 anni va al pronto soccorso per un addome acuto, fa tutte le indagini e
alla TAC viene scoperta una massa addominale di 7-8 cm che ingloba delle anse
intestinali. Quindi il pz. viene operato di urgenza (fa vedere un’immagine di una
sezione trasversale di intestino in cui si vedono delle pliche di mucosa normale ma la
maggior parte della parete della mucosa è sostituita da questa massa biancastra).
Esame istologico (fa vedere un’immagine in cui si vede tessuto adiposo alla periferia
e poi una proliferazione linfoide con architettura nodulare non c’è più la capsula , la
popolazione linfoide va verso il grasso infiltrandolo, quindi questo è un aspetto
linfomatoso perché qualsiasi proliferazione non neoplastica linfoide è contenuta in
un linfonodo (33.30?)). Nel dettaglio riconosciamo in superficie cellule epiteliali
dell’intestino un po’ atipiche e sotto un infiltrato linfocitario di linfociti di
dimensione medio-piccola e quindi una proliferazione linfoide a piccoli elementi
cellulari (Ricordiamo che secondo la working formulation i tumori nodulari a piccole
cellule è un tumore buono ) quindi ora dobbiamo fare DD tra i linfomi a piccoli
linfociti. Quindi utlizziamo l’immunoistochimica con CD20 e CD3 (che si fanno
sempre perché servono a dirci se è un B o un T) poi per il linfoma follicolare
facciamo bcl-2 bcl-6 e CD10, per la leucemia linfatica cronica facciamo CD5 e CD23,
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per il linfoma mantellare facciamo CD5 e ciclina D1. Per chiudere facciamo anche
Ki67 per valutare l’indice di proliferazione . Fa vedere un’immagine e chiede il
marker (che è molto diffuso): CD20 quindi è un linfoma B, poi un’altra immagine con
la controparte che è il CD3 (ci sono pochi linfociti t), poi un’immagine con il CD5 (che
è espresso anche dai linfociti t). Nella proliferazione ci sono dei residui centri
germinativi bcl6+, CD23 che marca la maglia dendritrica e CD10 che è negativo.
Quindi questa popolazione neoplastica non esprime né bcl-6 né CD23 né CD10
quindi si può escludere il follicolare ma anche il linfoma a piccoli linfociti. La ciclina
D1 viene espressa da tutte le cellule e infine ki67 la cui percentuale di proliferazione
è di 30-40%. Quindi questo linfoma prima di tutto è aggressivo ed è un linfoma
mantellare (linfoma a piccole cellule ma è aggressivo). Non contenti possiamo fare
anche una fish che marca con un tipo di marcatore che si chiama dual color and dual
fusion (ricordiamo che il parametro biologico diagnostico del linfoma mantellare è la
traslocazione 11-14 che giustappone la ciclina D1 a igH). Quindi andiamo a marcare
con un fluorocromo verde igH e con un fluorocromo rosso la ciclina D1, dove
avviene la traslocazione abbiamo la fusione rosso-verde i due fluorocromi si
giustappongono mentre normalmente sono distanti. Quindi ecco come si affronta
uno studio su un linfoma a piccoli linfociti: una volta aver valutato il pattern di
crescita, una volta aver valutato la dimensione delle cellule quello che va fatto è un
pannello di immunoistochimica che copra tutti i linfomi a piccoli linfociti (che
comprende quindi i marker del follicolare, del linfoma a piccoli linfociti/leucemia
linfatica cronica, del linfoma mantellare e del linfoma marginale.. per il marginale
spesso è una diagnosi di esclusione ma l’indice di proliferazione del marginale è
molto basso ed è un linfoma tipicamente indolente.)
Utero e annessi
L’utero normalmente è grande 7 cm, l’ovaio normalmente è di 2-3 cm in età fertile
poi chiaramente con la menopausa la dimensione dell’ovaio si riduce notevolmente.
Struttura anatomica dell’ovaio: si distingue una corticale dove si osservano i follicoli
nei vari stadi maturativi e poi una midollare che è ricca di vasi. Alla nascita il
patrimonio di follicoli è elevatissimo però la maggior parte dei follicoli non va
incontro a maturazione ma va incontro ad atresia e soltanto alcuni di questi durante
l’età fertile vanno incontro a maturazione trasformandosi prima in follicoli primari
che sono costituiti da ovociti circondati da un unico strato delle cellule della
granulosa, successivamente il follicolo diventa secondario quando lo strato delle
cellule della granulosa diventa più spesso, successivamente si forma un antro
(follicolo di Graaf) e questo poi va incontro a deiscenza. I residui di cellule della
granulosa e della teca vanno a formare il corpo luteo che è importante perché
produce il progesterone che è fondamentale per la gravidanza (infatti una delle
cause più frequenti di infertilità è la cosiddetta insufficienza luteinica).Immagine: si
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osserva la corticale ovarica costituita da cellule fusate tra cui ci sono gli ovociti
circondanti da uno strato di cellule della granulosa. L’esterno dell’ovaio è rivestito
da cellule mesoteliali. Il follicolo primordiale è costituito da un ovocita bloccato in
fase di maturazione circondato da uno strato sottile di cellule della granulosa. Nel
follicolo primario lo strato di cellula della granulosa diventa più evidente. Nel
secondario le cellule della granulosa sono di più, si stratificano. Le cellule della
granulosa producono estrogeni e vanno sia nel follicolo che in circolo. Vi sono degli
spazi di Call-Exner, sono importanti e li vedremo nei tumori dello stroma gonadico. Il
follicolo di Graaf è caratterizzato, invece, dall’antro, dalla cellula uova rivestita da
più strati di cellule della granulosa (cumulo ooforo, proprio perché contiene la
cellula uova) e questo va incontro a deiscenza. Vi ricordate che la cellula uova,
fecondata e non, va nella cavità uterina attraverso la tuba. Il corpo luteo, invece, si
forma dopo l’ovulazione dai residui delle cellule della granulosa e delle cellule della
teca. Produce il progesterone. La fase luteina ovarica, corrisponde alla fase secretiva
endometriale, in quanto il progesterone ha effetto sulla secrezione delle cellule
endometriali. Come si dimostra il corpo luteo gravidico? Vedete questo è l’ovaio con
il corpo luteo che ha questo colorito giallastro ed è molto voluminoso che spesso
sporge dalla superficie dell’ovaio ed è costituito da cellule con citoplasma
abbondante eosinofilo con piccoli nuclei, e questo è l’aspetto tipico delle cellule
steroidogeniche, hanno abbondanti citoplasmi spesso eosinofili, chiari, ed hanno un
reticolo liscio molto sviluppato. E’ tipico di tutte le cellule steroidogeniche, ne
vedremo di questo tipo anche nel testicolo e nel surrene. Il corpo luteo gravidico
perché è così grande? Perché è stimolato dalla b-HCG, non come avviene
normalmente dall’LH, b-HCG prodotto dagli annessi fetali. Quando il corpo luteo
degenera, ha questo aspetto di sclerosi ialina rosea sempre all’interno della
corticale, e si chiama corpus albicans ed è tipico della corticale ovarica e
rappresenta appunto, il corpo luteo che è andato in regressione.
Le tube di Falloppio costituite da una mucosa organizzata in strutture papillari,
cellule ciliate e cellule secretorie (le cellule ciliate sono più abbondanti). Come tutti
gli organi cavi ha una sua tonaca muscolare e una sierosa. Vi ricordate che il lume
della tuba è formato da queste strutture papillari rivestite fondamentalmente da
cellule ciliate(qui si vedono le ciglia), più rare sono le cellule secretorie.
Quando parliamo di tumori ovarici, parliamo di tumori piuttosto aggressivi e da soli i
tumori ovarici, per incidenza sono superiori sicuramente ai carcinomi
dell’endometrio e della cervice messi insieme, almeno nei Paesi Occidentali.
Nonostante siano aggressivi, crescono in modo subdolo, soprattutto nelle donne
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anche obese e questo è un tumore tipico delle donne che sono in sovrappeso, non si
manifestano rapidamente e quando diagnosticati, spesso sono in fase avanzata. Il
decorso è sfavorevole. Però nell’ovaio non ci sono solo tumori, ci sono
infiammazioni, cisti e il problema delle cisti è un problema fondamentale,
soprattutto per la diagnosi differenziale con i tumori. Le infiammazioni, non sono
mai infiammazioni che riguardano soltanto l’ovaio, ma si parla sempre di ascessi
tubo-ovarici (è il quadro infiammatorio più importante che colpisce gli annessi) che
sono secondari a diverticolite, a problemi che riguardano l’apparato intestinale e ad
appendicite. Però sicuramente uno dei problemi più comuni dell’ovaio sono le cisti,
di cui la maggior parte sono benigne, però quando sono particolarmente
voluminose pongono problemi di diagnosi differenziale con cisti maligne. Ricordate
che la maggior parte dei tumori ovarici sono di aspetto cistico, a differenza di quello
che abbiamo visto per altri organi e apparati dove i tumori formano delle masse
solide. Quali sono le cisti? Le cisti sono prevalentemente di tipo funzionale, quindi
tra queste vanno annoverate sicuramente le follicoliniche e quelle luteali, oppure
per emorragia intralutenica. Ricordate che le cisti funzionali sono quelle più
frequenti, meno voluminose e generalmente non pongono grossi problemi di
diagnosi differenziale, a meno che non diventano particolarmente voluminose.
Perché si formano le cisti follicoliniche? Perché non si ha la deiscenza del follicolo di
Graaf. Le formazioni cistiche luteali riguardano fenomeni emorragici che si hanno
all’interno del corpo luteo e sono molto frequenti anche durante la gravidanza.
Abbiamo poi delle cisti malformative da inclusione che derivano dal mesotelio.
Perché succede questo? Abbiamo detto che l’ovaio è rivestito da mesotelio e
durante i fenomeni di deiscenza si possono formare delle lacerazioni sulla superficie,
per cui il mesotelio si invagina, forma una cisti che in questo caso è in
comunicazione con l’esterno, però ad un certo punto, questo contatto si può
chiudere e quello che vedremo nella corticale ovarica, saranno le cisti mesoteliali.
Quindi queste sono delle cisti che si ritrovano molto frequentemente nella corticale
ovarica. Altre cisti benigne non funzionali (vi ho detto le più frequenti sono quelle
funzionali e tra queste le follicoliniche e le luteali) oltre a quelle da inclusioni sono le
mulleriane che derivano dall’epitelio mulleriano che è un epitelio ciliato e sono dei
residui che si trovano nella corticale ovarica e che si organizzano a formare delle
vere e proprie cisti. Anche in questo caso cisti benigne. Tra le non funzionali
abbiamo quest’altra cisti in cui l’epitelio, che è sempre un epitelio mesoteliale, ha
una cosiddetta metaplasia transizionale, cioè assume l’aspetto dell’epitelio di
transizione che si trova nella vescica, negli ureteri ecc. ecc. Questo è molto
importante perché avremo specifici tumori ovarici che poi vedremo. Quindi
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ricapitoliamo: le cisti che sono la problematica più frequente dell’ovaio possono
essere semplici, non funzionali e sono quelle a inclusione o mulleriane, poi abbiamo
le cisti funzionali, come le cisti follicoliniche e luteiniche, poi abbiamo le cisti da
metaplasia transizionale, e, infine, abbiamo le cisti endometriosiche che sono molto
frequenti e che poi vedremo, le cosiddette cisti cioccolata perché il sangue che è
raggrumato all’interno di queste cisti sembra proprio cioccolato dal punto di vista
macroscopico. Quindi funzionali, non funzionali semplici e poi cisti endometriosiche.
Nell’ambito delle cisti follicoliniche, che sono le cisti che derivano da follicoli che
non sono andati incontro a deiscenza, ricordiamo che queste possono essere
multiple e configurano nel quadro della sindrome dell’ovaio policistico, in cui
abbiamo dei cicli anovulatori e la mancanza di ovulazione determina un
ampliamento di queste formazioni follicoliniche normali, non deiscenti, formando le
cisti che possono raggiungere dimensioni anche di 1, 5cm IMMAGINE: vedete
questo è un ovaio deformato, caratterizzato nella porzione corticale da numerose
formazioni cistiche. Ho detto che nella maggioranza dei casi le cisti funzionali
follicoliniche non sono particolarmente preoccupanti, perché non sono voluminose
(la maggior parte sono inferiori ai 2 cm, però qualche volta possono diventare
particolarmente voluminose). Sono rivestite da cellule epiteliali che ricordano molto
le cellule della granulosa, mentre quando i cicli anovulatori si susseguono abbiamo il
quadro della sindrome dell’ovaio policistico che è caratterizzato da un punto di vista
ecografico da queste aree anecogene dovute appunto dalla presenza di queste cisti
follicoliniche deplete di liquido. Ovviamente la mancanza di ovulazione determina
uno shift delle cellule che producono normalmente estrogeni, la trasformazione di
questi in androgeni per cui i sintomi clinici sono soprattutto obesità ed irsutismo e le
ovaie chiaramente, con tutte queste formazioni cistiche raggiungono dimensioni
piuttosto cospicue. Le dimensioni delle cisti sono piuttosto variabili, però
raggiungono anche i 2 cm. IMMAGINE: questo è un esempio eclatante di ovaio
policistico bilaterale, le dimensioni vedete, la corticale sembra quasi completamente
sostituita da queste cisti. Il problema dell’ovaio policistico è un problema legato
anche alla possibile trasformazione carcinomatosa. Perché? Perché queste cisti
costituite da cellule ormono-secerneneti, oltre agli androgeni producono estrogeni
che come sapete quando sono abbondanti possono determinare affezione
endometriale, quindi iperplasie semplici o complesse fino ad adenocarcinomi
endometroidi. Le cisti luteiniche, abbiamo visto prima un corpo luteo gravidico
molto grande, questo è un corpo luteo probabilmente anch’esso gravidico con area
emorragica al centro per cui dal punto di vista strumentale questa formazione
apparirà vuota all’interno, quindi cistica, e dal punto di vista morfologico è una cisti
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costituita da una parete giallastra, perché dal punto di vista morfologico i corpi lutei
appaiono giallastri con questa area emorragica all’interno, quindi cisti funzionale.
L’area emorragica può essere riassorbita, per cui all’interno ci può essere anche un
fluido siero-ematico. IMMAGINE: anche qui un corpo luteo completamente svuotato
del sangue e qui la parete liscia, anche questo è un corpo luteo cistico.
L’endometriosi è caratterizzata da tessuto endometriale che passa al di fuori del
distretto uterino ed è frequentissima, infatti, si calcola che l’endometriosi si trovi nel
10-15% delle donne, ¾ in età fertile. E’ frequente sterilità, perché? Perché
chiaramente la presenza di endometrio al di fuori dell’utero determina
sanguinamenti al di fuori dell’utero, quindi in strutture dove non c’è una facile
perdita di sangue, quindi nella cavità addominale, in sede periannessiale, ecc. ecc.
ovviamente tutto questo sangue crea uno stato infiammatorio continuo, e, in
particolare, quando questi fenomeni endometriosici si osservano a livello del
distretto tubo-ovarico si creano delle infiammazioni che occludono il lume della
tuba, rendendo impossibile il normale decorso dell’ovulo.
La dismenorrea, chiaramente le perdite di sangue extrauterine creano dei dolori,
talvolta lancinanti a livello pelvico-addominale. Le complicanze più frequenti della
cisti endometrioide sono l’emoperitoneo, l’ascite e la rottura dell’ovaio. Non va
trascurata la potenziale trasformazione maligna, infatti si segnala che i carcinomi
endometrioidi dell’ovaio e i carcinomi a cellule chiare sono frequentemente
associati a focolai di endometriosi. Ovviamente è immaginabile che un tumore
endometrioide possa derivare da un tessuto endometriale ectopico. Perché si
chiama endometrioide? Perché ha l’aspetto del tessuto ghiandolare endometriale.
Come si presenta la cisti endometriosica ovarica? Come una cisti emorragica, quindi
dal punto di vista macroscopico la diagnosi nella maggior parte dei casi è abbastanza
semplice, perché abbiamo queste cisti cioccolato all’interno delle quali il sangue è
raggrumato che sembra appunto cioccolato. Quindi quando vediamo delle cisti
ovariche emorragiche in una donna fertile, bisogna sempre sospettare un focolaio di
endometriosi. L’endometriosi non è sempre cistica però. Nell’ovaio è
frequentemente cistica. IMMAGINE: vedete l’ovaio è completamente deformato da
questa formazione cistica emorragica. Esistono diverse teorie per l’origine dei
focolai di endometriosi. La prima, la cosiddetta teoria metastatica (metastasi non in
senso cattivo ovviamente), ma indica il fatto che focolai di endometrio possano
spostarsi dalla loro normale localizzazione e nell’ambito dell’ovaio, attraverso la
tuba, si localizzano al di sopra dell’ovaio. Questo durante il flusso mestruale, invece
di seguire la normale via cervico-vaginale. Vediamo poi dei focolai che sono sensibili
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agli ormoni, che possono ingrandirsi ecc. ecc. mostrando quegli aspetti
endometriosici tipici. Oppure la teoria metaplasica, dove abbiamo visto altre forme
di metaplasie a carico dell’ovaio a cui va incontro il mesotelio che può essere incluso
o non incluso, l’epitelio transizionale l’abbiamo detto, però può anche assumere
aspetti, e questo soprattutto per quanto riguarda i focolai…epiteliali(?), può
assumere aspetti endometriali, quindi avere la biologia della cellula endometriale
con la sensibilità agli ormoni tipici, quindi allo sviluppo di focolai endometriosici. Si
parla però anche di diffusione metastatica di questi frammenti attraverso il circolo
ematico e questo giustifica che l’endometriosi può trovarsi anche a distanza, nel
polmone e nella cute, ad esempio. Quindi le teorie sono diverse, ma riguardano
tutte forme reimpianto di endometrio. Come si manifesta? Con focolai che
ricordano l’endometrio, quindi abbiamo ghiandole endometriali e lo stroma
citogeno tipico dell’endometrio. Questo tessuto, sotto lo stimolo ormonale, segue
tutte le fasi dell’endometrio normale. IMMAGINE: qui vedete infatti questo
materiale brunastro (emosiderina), questo è un endometrio che sta andando
incontro a degenerazione, quindi ci troviamo nella parte terminale della fase
secretiva. La cosa importante è che soprattutto in alcune fasi è un po’ difficile fare
diagnosi di endometriosi dal punto di vista istologico, perché le ghiandole molto
spesso non le vediamo. L’elemento su cui dobbiamo sempre basarci è la presenza
dello stroma citogeno. Perché è difficile? Perché nella fase di sfaldamento, le
strutture ghiandolari sono pochissime, quindi difficilmente identificabili dal punto di
vista istologico. Quindi dobbiamo sempre cercare lo stroma citogeno dove si
trovano aree di emorragia e depositi di emosiderina che sono indici della
degenerazione dell’endometrio. Quindi quello che noi vediamo spesso, è un po’ di
stroma citogeno in periferia, ma quello che vediamo in alcuni casi è esclusivamente
emosiderina e sangue.
Però un pò di stroma in periferia si vede le strutture ghiandolari in questo caso non se ne vedono, quindi le
sedi più frequenti delle endometriosi sono nell’ovaio (cistica), legamenti uterini, setto retto-vaginale
peritoneo, utero, tube, sigma retto, uretere e la vescica, organi che si trovano nella pelvi, quindi per effetto
di migrazione di cellule endometriali attraverso la tuba nella pelvi, ma le più frequenti sono nell’ovaio e
nella tuba .Meno comuni:intestino, cervice, vagina, cute nella cute spesso si trovano nelle pazienti che
hanno subito intervento chirurgico come parto cesareo, in quanto si trovano nelle cicatrici del parto.
Raramente al di fuori della pelvi:polmone, pleura, mammella, ossa e parti molli, in questi casi possono dar
luogo a carcinomi endometroidi metastatici. L’endometriosi ovarica è di tipo cistico abbiamo queste
“palluccelle”(termine tecnico) emorragiche a livello dei foglietti peritoneali, lungo l’intestino. Infine
abbiamo le formazione non cistiche dell’ ovaio che sono molto più rare, di tipo benigno ovvero luteoma
gravidico che in realtà non è un vero e proprio tumore , ma un corpo luteo esuberante che si ha durante la
gravidanza e che si sostituisce a volte a tutto il parenchima ovarico; le iperplasie stromali che riguardano la
corticale ovarica e che sono causa di iperproduzione di androgeni, e poi altre masse ovariche di tipo
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emorragico dovute a torsione dell’ovaio caratterizzate prima di tutto da edema, poi emorragia a livello del
parenchima e in cui le ovaie possono raggiungere dimensioni ragguardevoli, con una sintomatologia molto
importante e riguardano soprattutto pazienti giovani. Quello che si vede nel parenchima ovarico sono
sicuramente edema e emorragia.
Ora dovremmo iniziare i tumori, ma sicuramente non li finiremo, abbiamo detto che i tumori ovarici sono
quelli dal punto di vista patologico più importanti , hanno da soli un’incidenza altissima molto più alta di
quelli endometriali e cervicali messi insieme, considerando lo stesso distretto. I tumori ovarici hanno
un’incidenza per anno di 225mila casi mentre di morti è di 140mila200 casi l’anno ed è 5°/6° rispetto agli
altri tumori femminili.
Allora il tumore più frequente nell’ovaio è di tipo epiteliale, ”Ci sono epiteli nell’ovaio??” , No!!!Però ci
sono dei tumori che formano epiteli, cioè hanno tutte le caratteristiche degli epiteli, quindi i tumori più
frequenti dell’ovaio non hanno niente a che fare con le cellule normalmente presenti nell’ovaio e sono i
cosiddetti tumori epiteliali o detti anche epitelio-stromali e si distinguono a loro volta in tumori:sierosi,
mucinosi, endometroidi , a cellule chiare, transazionali. Possono essere tumori benigni, maligni e borderline
che è un concetto nuovo di cui non avete mai sentito parlare in anatomia patologica. Borderline significa
che è un tumore a basso potenziale di malignità ovvero può avere una promozione maligna, può rimanere
lì , può recidivare o scomparire del tutto, quindi il potenziale maligno è molto basso, rispetto ai carcinomi
che invece sono altamente maligni e molto aggressivi. Il tumore borderline è una forma che può precorrere
od associarsi a una forma maligna, però se resta borderline e non evolve, è un tumore che nella maggior
parte dei casi recidiva e ha bisogno di trattamenti chirurgici piuttosto spinti.
Gli altri sono invece tumori che derivano da cellule normalmente presenti nell’ovaio come le cellule
germinali, che daranno tumori a cellule germinali, e poi tumori che derivano dai cordoni sessuali e cellule
stromali. I cordoni sessuali sono cellule che si associano alla cellula uovo, come le cellule della teca e della
granulosa, che hanno funzione steroidogenica e di conseguenza i tumori che ne derivano verranno
chiamati: tecomi, tumore a cellule della granulosa, fibromi. Infine abbiamo i tumori germinali che derivano
dalla cellula uovo che tratteremo insieme al testicolo, ed ancora i tumori misti ovvero i gonadoblastomi che
comprendono cellule neoplastiche di derivazione oocitaria e cellule di derivazione dello stroma.
Allora i tumori epiteliali o epitelio-stromali, si chiamano così perché si associano a una quantità di stroma
abbastanza rilevante, sono il 65/70% di tutti i tumori dell’ovaio e il 90% di tutti i tumori maligni, sono di
derivazione epiteliale, e si hanno sempre in donne sopra i 20 anni. In particolar modo quelli epiteliali sono
frequenti sopra i 40 anni e sono tutti divisibili in benigni maligni e borderline. Possono essere costituiti solo
da cellule epiteliali o da cellule epiteliali più stroma, per tale motivo sono detti epitelio-stromali di
superficie. L’incidenza è di 15 casi l’anno ogni 100mila abitanti in Europa, mentre sono meno frequenti nei
paesi dell’Asia e dell’Africa. Nella maggior parte dei casi sono tumori benigni, e sono tipici nelle donne
giovani , nell’ambito dei tumori epiteliali le donne giovani hanno un rischio bassissimo di ammalarsi di
tumore maligno, si calcola che ogni 5 casi di tumore epiteliale benigno nelle donne giovani, ce n’è uno
maligno mentre invece nelle donne anziane soprattutto dopo i 50 anni , il rapporto è completamente
invertito ovvero per ogni massa tumorale benigna ce ne sono 5 maligne. La sintomatologia è tardiva,
perché spesso queste pazienti sono obese e le masse danno raramente segno di sé in fase precoce, la
maggior parte, il 75% dei casi, si manifesta in fase avanzata stadio 3-4 ricordate che nell’ambito dei tumori
ginecologici lo stadio 3 inquadra tumori a localizzazione pelvica, mentre lo stadio 4 inquadra tumori a
localizzazione extrapelvica. I fattori di rischio sono obesità, farmaci contro infertilità e ormonoterapia. Poi ci
sono fattori legati a mutazione di Brca. I markers li avete fatti in medicina di laboratorio, il più importante è
CA125 che tutta via è poco sensibile e poco specifico, in quanto aumenta in tutti i casi di insulto del
peritoneo, sia di tipo neoplastico che di tipo infiammatorio, anche nella paziente che ha un’ascite da cirrosi
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epatica ha il CA125 aumentato, quindi è un marcatore assolutamente poco sensibile e poco specifico dei
tumori ginecologici. In Italia l’incidenza è maggiore al nord rispetto al sud e la sopravvivenza dal ’91 al 2005
è aumentata di poco perché i successi legati alla terapia sono piuttosto scarsi. Quindi, ricapitolando, la
maggior parte dei tumori ovarici sono tumori epitelio stromali di superficie, poi abbiamo tumori che
derivano dalle cellule germinali, i tumori dei cordoni che derivano dalle strutture che vanno a costituire il
follicolo. I tumori epitelio stromali più frequenti sono i tumori sierosi che si dividono in benigni, maligni e
borderline, seguiti dai mucinosi che sono anch’essi benigni, maligni e borderline( più frequentemente sono
benigni), endometroidi primitivi dell’ovaio, transazionali (di Brenner), a cellule chiare, tumori misti (più rari)
e indifferenziati. I tumori sierosi sono i più frequenti nell’ambito dei tumori epitelio stromali e nel 60% dei
casi sono benigni e frequenti nelle giovani donne, il 30% è maligno e tipico delle donne anziane mentre il
10% è borderline e più frequente nelle giovani. Dal punto di vista macroscopico i tumori sierosi sono tumori
cistici e solido cistici, nella maggior parte sono cisto-adenomi quindi sono tumori che fanno cisti e le cisti
sono bordate da un epitelio ghiandolare, oppure a quest’ultimo può essere associata una componente
fibrosa importante e in questo caso parliamo di cisto-adeno-fibroma. Le masse cistiche possono
raggiungere dimensioni assurde anche 30/40 cm, quindi immaginate cosa possa essere un carcinoma
ovarico di 40 cm, nel 25% dei casi i tumori sono bilaterali. Si chiamano sierosi perché all’interno di queste
cisti c’è un liquido sieroso, le pareti internamente possono essere o lisce oppure possono esistere delle
protrusioni papillari, ecco perché si chiama anche cisto-adeno-fibroma papillare/sieroso papillare. Quindi
istologicamente, un tumore ovarico di tipo sieroso, si presenta come una massa cistica con superficie
esterna alla massa liscia, apriamo la cisti e fuoriuscirà un liquido sieroso, la parete interna sarà sottile e
liscia, quindi sarà liscia sia all’interno che all’esterno. Questi sono tutti elementi di benignità, tipici dei cistoadenomi sierosi, tipici delle donne giovani. Le cellule sono ciliate e si dispongono sullo stroma su di un
unico strato, qualche volta all’interno della cisti possiamo trovare delle aree granuleggianti, che sono dal
punto di vista istologico delle papille, ovvero delle strutture caratterizzate da un sottile asse fibrovascolare
sul quale si vanno a disporre delle cellule epiteliali. Talvolta la granulazione è esterna quindi tali papille si
possono trovare anche all’esterno della superficie dell’ovaio. Le papille possono presentare uno stroma
fibroso-tozzoin tal caso lo stroma è abbondante e la massa si chiamerà cisto-adeno-fibroma, anche in
questo caso siamo nell’ambito di un tumore benigno. Ricapitolando, i cisto-adenomi-sierosi benigni, sono i
tumori più frequenti, tipici delle donne giovani, e caratterizzati da superfici esterne ed interne lisce, talvolta
con strutture papillari ovvero strutture costituite da un asse fibrovascolare rivestito da singole linee
cellulari non stratificate, anch’esse benigne. Quando andiamo ad analizzare le papille dobbiamo fare molta
attenzione, perché è necessario controllare la stratificazione cellulare, la quale renderà un tumore
borderline. Quindi quando su un asse fibrovascolare avremo una pluristratificazione non parleremo più di
tumore benigno ma di tumore borderline, che andrà aggredito chirurgicamente in quanto può essere a
rischio di recidiva. Su questi cisto-adenomi-sierosi benigni dobbiamo controllare bene le aree di
inspessimento, in particolare quelle granuleggianti papillari, perché un’eventuale stratificazione ce lo farà
shiftare in una forma di tumore borderline, la quale necessita di un trattamento chirurgico aggressivo ed
estensivo in quanto è a rischio recidiva, ma non chemioterapico.
Rispetto ai tumori benigni e borderline, le pareti del carcinoma ovarico, cisto-adeno-carcinoma papillare
sieroso dell’ovaio, saranno più articolate, parleremo quindi di cisti complex, non è più un’unica massa
cistica ma saranno più cisti unite da masse più solide. A livello macroscopico il cisto-adeno-carcinoma sarà
differente dalle forme benigne e borderline in quanto saranno presenti più cisti e più aree solide. In taluni
casi le aree solide possono prevalere sulle cisti e questo è chiaramente un elemento di malignità, rilevabile
anche dal punto di vista macroscopico, nell’ambito delle cisti possiamo avere inoltre formazioni papillari in
cui gli aspetti granuleggianti sono più massivi. Quindi la coesistenza in una massa ovarica di aree cistiche e
aree solide è suggestiva di adenocarcinoma.
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Anatomia Patologica 23/03/2016 (prima lezione)
Abbiamo iniziato a parlare dell’ovaio. Abbiamo visto che la maggior parte delle problematiche neoformative
dell’ovaio sono di tipo cistico.
Le cisti che interessano l’ovaio possono essere piccole o grandi.
Le cisti che interessano l’ovaio sono:
• Cisti funzionali. Comprendono le cisti follicoliniche, le cisti luteiniche, ecc.
• Cisti semplici. Comprendono le cisti mulleriane, le cisti da inclusione, ecc.
• Cisti endometriosiche. Rappresentano una condizione ovarica particolarmente frequente dovuta a
localizzazione di tessuto endometriale all’interno dell’ovaio il quale va incontro a modificazioni
tipiche endometriali.
• Cisti neoplastiche. La maggior parte delle neoplasie ovariche sono di tipo cistico in quanto la maggior
parte di queste neoplasie sono neoplasie epiteliali. Ricordiamo infatti che sebbene nell’ovaio non sia
presente epitelio la maggior parte delle neoplasie ovariche sono però di tipo epiteliale (gli altri tipi
di neoplasie ovariche derivano dalle cellule germinali, dai cordoni sessuali e poi abbiamo quelle miste
come il ?). Per quanto riguarda le neoplasie epiteliali le più comuni sono le sieroso-papillari, le
mucinose, le endometrioidi, le transizionali e le neoplasie a cellule chiare. Poi abbiamo varianti
meno comuni come il tumore squamoso, i tumori misti e i tumori indifferenziati [NOTA:
probabilmente queste varianti meno comuni non sono neoplasie di tipo cistico].
TUMORE SIEROSO-PAPILLARE
Il tumore sieroso-papillare o sieroso è il tumore più comune dell’ovaio.
Come tutti i tumori può essere benigno, maligno o borderline.
I tumori sieroso-papillari risultano essere più frequentemente benigni nelle donne giovani e più
frequentemente maligni nelle donne anziane.
Possono presentare un epitelio piatto oppure possono formare papille ed essere quindi caratterizzati da
formazioni papillari.
Quando abbiamo un unico strato di cellule organizzate in strutture papillari siamo di fronte ad un tumore
benigno; quando abbiamo organizzazione cellulare in più strati (stratificazione) siamo di fronte ad un
tumore borderline; quando abbiamo infiltrazione vera e propria dello stroma siamo di fronte ad un
tumore maligno.
Nel tumore sieroso-papillare vanno sempre valutate le superfici interna ed esterna della parete cistica
neoplastica: quanto più tali pareti sono lisce tanto più verosimilmente saremo di fronte ad un tumore
benigno; quanto più sono granularizzate tanto più verosimilmente saremo di fronte ad una condizione
critica in quanto potrebbe trattarsi di un tumore borderline o di un tumore maligno.
Ricordiamo che macroscopicamente la cisti del tumore sieroso papillare può essere anche
pluriconcamerata.
Per quanto riguarda l’incidenza relativa alla benignità/malignità di questi tumori la maggior parte di essi
sono benigni, una minima parte sono borderline e circa il 30% sono maligni.
[IMMAGINE]: Tumore sieroso-papillare con superficie esterna liscia e superficie interna anch’essa liscia.
L’epitelio quindi non è organizzato a formare papille ma è un epitelio di tipo piatto
(l’epitelio che troviamo su questa formazione cistica è ciliato e piatto).
[NOTA: si tratta verosimilmente di una neoplasia benigna].
Le formazioni granuleggianti che si possono vedere all’interno dell’ovaio o anche all’esterno di esso
(superficie esterna dell’ovaio) sono indice di formazioni papillari.
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[IMMAGINE]: Formazione particolarmente grande che si trova all’esterno dell’ovaio.
Le papille possono essere tozze con uno stroma ben sviluppato; sono definite “tozze” perché l’asse
fibrovascolare è appiattito. Il core fibrovascolare è costituito più da tessuto fibroso che da vasi; è
fibrotico. Le papille sono grosse e tozze: nella maggior parte dei casi presentano un asse sottile, appiattito
(basso) e una proliferazione sulla loro superficie.
Il tumore sieroso-papillare borderline è caratterizzato come abbiamo visto da pluristratificazione
cellulare che si può realizzare sia nel contesto di formazioni cistiche papillari (granuleggianti) sia nel
contesto di formazioni cistiche a parete liscia.
[IMMAGINE]: Tumore sieroso-papillare caratterizzato da papille tozze e proliferazione micropapillare
sulla superficie. Questa complessità insieme all’edema che si osserva a livello delle papille
tozze sono indice di tumore borderline. Quando microscopicamente, anche utillizzando
obiettivi panoramici, si osservano papille con core edematoso e ramificazioni sulla
superficie siamo verosimilmente di fronte ad un tumore borderline.
Per quanto riguarda i tumori maligni esistono alcuni elementi macroscopici che possono essere indice di
malignità. Uno tra i più importanti di questi elementi che possono indicare la malignità è la compresenza
o la predominanza di aree solide insieme ad aree cistiche (in alcuni casi il tumore può assume anche
aspetto completamente solido). I tumori più sono di tipo cistico più verosimilmente sono benigni; più
sono solidi più verosimilmente sono maligni.
[IMMAGINE]: Tumore sieroso-papillare maligno caratterizzato da formazioni solide e formazioni
cistiche con papille grosse che determinano aspetto granuleggiante della superficie
interna cistica.
[IMMAGINE]: Tumore sieroso-papillare caratterizzato da compresenza di aree solide e cistiche.
Fare diagnosi di tumore sieroso-papillare maligno è molto complesso in quanto oltre a dover
documentare che la proliferazione delle cellule epiteliali sulla superficie superi quella che normalmente
troviamo nel tumore borderline, dobbiamo anche andare a documentare l’infiltrazione dello stroma;
dobbiamo quindi valutare la presenza di aree nodulari che perdono la loro configurazione papillare ed
infiltrano lo stroma. Il tumore può avere anche aspetto di singole cellule (non organizzate in nidi solidi)
che si trovano nel contesto dello stroma; tali cellule sono riconoscibili dal fatto di essere intensamente
eosinofile.
[IMMAGINE]: Tumore sieroso-papillare epiteliale pleomorfo caratterizzato cioè da cellule grandi e
cellule piccole. Le cellule mantengono un certo aspetto di organizzazione nidiforme
che in alcuni contesti rassomiglia a piccole papille (piccole papille in uno spazio
microcistico). Quindi abbiamo elementi cellulari che infiltrano lo stroma ed elementi che
formano piccoli noduli in spazi microcistici (spazi otticamente vuoti).
L’aspetto cistico papillare può essere riconosciuto a livello microscopico a maggiore
ingrandimento anche nei umori maligni solidi, infiltranti.
La diagnosi differenziale tra le varie forme di tumori epiteliali dell’ovaio è molto complessa in quanto non
abbiamo a disposizione grandi possibilità immunoistochimiche che ci aiutino a distinguere un istotipo
tumorale rispetto ad un altro. Per tale motivo è molto importante saper riconoscere la morfologia di
questi tumori, cioè saper riconoscere i dettagli morfologici che caratterizzano questi tumori al fine di
poter differenziare una forma tumorale epiteliale dall’altra. E questo è importante perché nell’ambito di
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questo gruppo di neoplasie abbiamo tumori a prognosi peggiore come i tumori sieroso-papillari di alto
grado e tumori a prognosi più favorevole come gli endometrioidi di grado I e II.
TUMORI MUCINOSI
Rappresentano il secondo gruppo di tumori epiteliali.
Hanno un’incidenza nell’ambito dei tumori epiteliali dell’ovaio di circa il 20-30% (a seconda delle
casistiche).
Sono definiti “mucinosi” perché producono muco.
A differenza dei tumori sieroso-papillari sono molto più frequentemente benigni. Quando ci troviamo di
fronte ad un tumore mucinoso possiamo essere molto più rassicurati in quanto si calcola che circa l’80%
dei tumori mucinosi siano benigni, il 10% maligni e il restante 10% borderline.
Anche questi tumori si presentano come masse cistiche (essendo per la maggior parte benigni hanno
quasi esclusivamente aspetto cistico) con superficie esterna generalmente liscia; se tagliamo la massa
all’interno si osservano concamerazioni cistiche contenenti muco. Il muco presenta colorito grigiastro.
Anche in questi tumori possiamo però avere aree un po’ più solide, translucide alla superficie di taglio in
quanto produttrici di muco.
Possono avere anche un aspetto a gruviera.
L’elemento determinante che ci consente però di fare diagnosi è il riconoscimento al microscopio di
strutture ghiandolari caratterizzate da cellule che presentano citoplasmi molto slanciati contenenti
muco.
All’interno delle cisti c’è muco. Mentre nel carcinoma sieroso e sieroso-papillare abbiamo produzione di
liquido sieroso (al taglio delle cisti fuoriesce liquido sieroso) nel carcinoma mucinoso al taglio delle cisti
fuoriesce muco.
Dal punto di vista istologico anche le cellule sono diverse tra il tumore sieroso-papillare e quello
mucinoso: nel sieroso-papillare abbiamo cellule piuttosto appiattite, ciliate, mentre nel mucinoso
abbiamo cellule con citoplasmi slanciati, con nuclei rivolti verso la base, replete di muco.
I citoplasmi cellulari sono chiari e allungati. Le cellule sono disposte a livello dell’epitelio basale.
Ancora possiamo avere citoplasmi rosa sempre contenenti muco.
Possiamo avere quindi due tipologie istologiche di tumori cistici mucinosi:
• Tumori caratterizzati da cellule con citoplasmi molto omogenei, delicatamente eosinofili, molto
rosa.
• Tumori caratterizzati da cellule con citoplasmi più fucsia, meno slanciati associate a particolari
cellule definite goblet cells.
Si possono notare quindi in questa seconda tipologia anche altre cellule, le cosiddette goblet cells che
sono cellule particolarmente abbondanti a livello dell’apparato digerente e in particolar modo del colon.
Quando vengono riscontrate queste cellule a livello del tumore mucinoso ovarico si parla di
cistoadenoma mucinoso intestinale. Tale tumore è il più frequente in assoluto tra i tumori mucinosi
dell’ovaio; il 90% dei tumori mucinosi dell’ovaio presenta differenziazione di tipo intestinale. Ciò che ci
consente di discriminare il cistoadenoma intestinale dell’ovaio dagli altri tumori ovarici è proprio la
presenza delle goblet cells.
Considerata la sede di questi tumori (prossimità con l’intestino) esiste chiaramente un problema di
diagnosi differenziale tra i tumori mucinosi dell’ovaio e i tumori intestinali . Un tumore che si manifesta
in questa sede potrebbe tanto essere un tumore ovarico mucinoso tanto essere un tumore che origini
dall’intestino, e in particolar modo dal retto, e che infiltri secondariamente l’ovaio. Abbiamo avuto,
soprattutto in passato, pazienti operate con sospetto di masse ovariche primarie che in realtà erano
metastasi o infiltrazioni ovariche da parte di tumori intestinali; masse tumorali quindi trattate come
neoplasie ovariche che erano però in realtà tumori intestinali. Chiaramente poteva accadere anche
l’inverso cioè masse trattate come tumori intestinali primari che erano però in realtà tumori ovarici. Fino
a qualche anno fa infatti non esistevano elementi immunofenotipici diagnostici che consentissero di
discriminare i tumori ovarici da quelli intestinali mentre oggi esistono.
Quindi quando il tumore mucinoso dell’ovaio presenta aspetti maligni (ricordiamo che raramente il
tumore mucinoso è maligno) bisogna sempre valutare se si tratti di un tumore primitivo ovarico o di una
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metastasi o infiltrazione da parte di un tumore del retto. Con la sola ematossilina-eosina tale
discriminazione non è possibile [NOTA: Non vengono riportati dal prof. gli elementi immunofenotipici
discriminativi; se ne parlerà quando verranno trattatati i tumori intestinali]
Quando il tumore mucinoso è caratterizzato invece da cellule con citoplasmi più omogenei , rosa (vedi
sopra) esso ricorda l’endocervice.
I tumori ovarici possono quindi avere una differenziazione di tipo intestinale (la maggior parte) oppure
una differenziazione di tipo endocervicale (la minor parte).
[IMMAGINE]: Tumore organizzato in papille in cui si osserva stratificazione di elementi cellulari.
Quando gli strati cellulari delle papille superano le 4 cellule si parla di tumore borderline
(molto raro).
La stratificazione è un elemento che non si osserva ovunque ma che va attentamente
ricercato.
I tumori mucinosi borderline possono anche infiltrare lo stroma (si parla di borderline se
abbiamo un’infiltrazione dello stroma inferiore a 3 mm).
TUMORE ENDOMETRIODE
La terza categoria di tumori ovarici epiteliali più frequenti è l’endometrioide così definito perché ricorda
l’endometrio.
Anche questo tumore presenta problemi di diagnosi differenziale soprattutto, in questo caso, con
neoformazioni primitive endometriali che abbiano dato metastasi alle ovaie. Tra l’altro molto spesso i
tumori ovarici endometrioidi sono associati a tumori dell’endometrio per cui spesso risulta difficile capire
se l’uno sia la metastasi dell’altro o viceversa. Questo problema di diagnosi differenziale è in genere
risolto più attraverso particolari parametri morfologici macroscopici (ad esempio il coinvolgimento di
entrambe le ovaie è tipico di metastasi da parte di un tumore endometriale primitivo) e microscopici che
attraverso l’immunoistochimica.
Il tumore endometrioide è associato ad endometriosi. L’endometriosi ovarica rappresenta quindi un
fattore di rischio per tumore endometrioide.
Il tumore endometrioide è identificato, diagnosticato, quasi sempre in stadio precoce. La sopravvivenza
a 5 anni è piuttosto alta a differenza del tumore sieroso-papillare che viene diagnosticato invece più
tardivamente ed ha profilo di aggressività maggiore. Va detto però che il tumore endometrioide a
differenza del tumore sieroso-papillare e soprattutto del mucinoso è un tumore quasi sempre maligno
[NOTA: i tumori sieroso-papillare e mucinoso sono per la maggior parte benigni mentre i tumori
endometriodi sono per la maggior parte maligni. Tra i tumori maligni sieroso-papillari e quelli maligni
endometrioidi questi ultimi hanno però migliore prognosi , con sopravvivenza a 5 anni molto alta].
I tumori sieroso-papillari sono per la maggior parte benigni; i mucinosi sono quasi sempre benigni; gli
endometrioidi sono quasi sempre maligni.
I tumori endometrioidi sono estrogeno-dipendenti; esprimono recettori estrogenici. In realtà tutti i
tumori epiteliali dell’ovaio esprimono recettori estrogenici ma i tumori endometrioidi ne esprimono
molti di più.
! Non vanno confusi gli adenocarcinomi endometriali dell’utero
con i carcinomi endometrioidi dell’ovaio.
Ricordiamo che gli adenocarcinomi endometriali dell’utero si
distinguono in tipo I (endometrioidi) e tipo II (non-endometrioidi
a cellule chiare e sieroso-papillari).
TUMORI A CELLULE CHIARE
Si tratta di tumori non molto comuni ma in compenso molto aggressivi. Rappresentano il 5% di tutti i
tumori dell’ovaio.
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La maggior parte sono maligni; le forme borderline e benigne sono rarissime (mai osservate dal prof.).
Sono definiti a “cellule chiare” perché presentano elementi cellulari con citoplasmi decisamente chiari,
otticamente vuoti.
Le cellule si organizzano a formare papille che protrudono tutte all’interno del lume cistico.
TUMORI TRANSIZIONALI
L’ultima categoria molto più rara che sono quelli transizionali (tumori di Brenner) che hanno degli aspetti
che ricordano l’epitelio di transizione che si trova nella vescica, ureteri, uretra e sono questi quasi
esclusivamente benigni. L’aspetto è questo, è un tumore che diversamente dagli altri ha poche cisti e lo
stroma è caratterizzato da queste formazioni epiteliali nodulari, che ricordano l’epitelio di transizione
vescicale. Possono esserci forme maligne e superano la membrana basale e ricordano i carcinomi di
transizione della vescica e sono forme particolarmente aggressive anche se rari. I carcinomi di transizione
sono tumori che formano anch’essi papille e qui come vedete c’è un’infiltrazione focale dello stomaco,
la membrana basale è ben rappresentata. Quindi dobbiamo ricercare alla base di queste strutture
papillari l’integrità della membrana basale, se non è presente parliamo di carcinoma a cellule transizionali
che è molto aggressivo.
I tumori ovarici diffondono abbastanza frequentemente, quando sono maligni invadono la capsula e
possono andare a creare nel peritoneo degli impianti in metastasi che presentano degli aspetti istologici
di tumore borderline e sono detti impianti non invasivi. Gli impianti invasivi creano più problematiche
perché sono una forma evolutiva infiltrante di un tumore ovarico. Le metastasi peritoneali da tumore
ovarico sono quelle più frequenti e formano delle masse cistiche che si impiantano su tutte le strutture
peritoneali, come l’intestino la vescica, utero, ecc. Gli impianti non invasivi hanno degli aspetti borderline
che non infiltrano (casino per l’entrata di un prof, quindi non prosegue).I problemi dei tumori mucinosi
dell’ovaio è che producono muco, abbondante ascite di muco di peritoneo e in questo caso si parla di
pseudomyxoma peritonei, caratterizzato da accumulo di muco prodotto da tumori mucinosi nel
peritoneo. Questo è un quadro clinico tipico del tumore dell’ovaio, ma possiamo ritrovarlo anche nei
tumori mucinosi dell’appendice, del pancreas, dell’intestino. Comunque lo pseudomixoma peritonei è
più tipico del tumore dell’ovaio come questi qua di impianto o i tumori che sfondano la capsula e che
producono muco e di cellule neoplastiche all’interno dei foglietti peritoneali, si chiama pseudomixoma
peritonei. Gli impianti non invasivi, si chiamano così perché non hanno le caratteristiche delle metastasi,
si impiantano sulla superficie dei foglietti peritoneali che rivestono la vescica, l’intestino, l’utero, però
sono ben delimitati e sono spesso associati ai tumori borderline e vanno differenziati da altre forme di
proliferazioni benigne come possono essere del mesotelio successivamente ad un insulto come
l’infiammazione, può proliferare e dare dei quadri molto simili al tumore ovarico, però più che tumori
mucinosi con tumori sierosi papillari, perché la cellula è molto più simile in quanto piatta. Gli impianti
metastatici invece sono impianti in cui le cellule non solo si appoggiano sul peritoneo, bensì infiltrano lo
stomaco da come vedete. Questi sono i quadri di pseudomyxoma peritonei, vedete qui dopo un
intervento chirurgico, tutto l’addome quindi l’intestino è ricco di questo materiale mucoide, dal punto di
vista istologico, quello che osserviamo è fondamentalmente muco, ma anche lembi neoplastici. Le
stadiazioni ve le vedete bene nei libri, ma i tumori ginecologici si usa la FYGO e non il TNM classico e
quindi il tumore allo stadio I riguarda un solo ovaio; lo stadio Ib quando c’è un coinvolgimento del
periovaio; Ic quando riguarda un ovaio, ma c’è rottura dell’ovaio quindi il prelievo del liquido ascitico è
positivo per cellule neoplastiche; lo stadio II quando si localizza in strutture extraovariche, quali tube e
utero; stadio IIb quando si localizza alla cute e quindi al di fuori dell’ambito ginecologico; stadio IIc
quando c’è una localizzazione extrapelvica e c’è la rottura dell’ovaio con positività al liquido ascitico; lo
stadio III il tumore si estende alla cervice, lo stadio IV metastasi a distanza. La sopravvivenza è variabile,
ai primi stadi la sopravvivenza è migliore, soprattutto nell’istotipo endometroide, il cui grading si basa
sulla quantità di aree solide. Nell’ambito dell’istotipo sieroso papillare la cui forma a cellule chiare è a
prognosi sfavorevole, abbiamo due forme, una ad alto grado e uno a basso grado, la prima più aggressiva,
la seconda meno ed entrambe vengono trattate allo stesso modo. La diagnosi di tumore ovarico si fa
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valutando il Ca125 aumentato e la rimozione delle masse ovariche e vanno tolte anche se benigne. Se è
una massa maligna va asportato l’utero, le tube, l’omento e i linfonodi pelvici, quindi è un intervento più
demolitivo e questo nell’ovaio maligno va sempre fatto. Quindi il ginecologo apre, toglie la massa e fa
l’estemporanea , perché se ci troviamo dinanzi ad una massa ovarica maligna, il ginecologo è legittimato
ala rimozione delle strutture adiacenti. Purtroppo non è sempre facile e rapida la diagnosi, come avviene
nei tumori mucinosi per distinguere la forma benigna dal borderline, poichè in quest’ultimo caso possono
essere spesso bilaterali e quindi si provvede all’asportazione, soprattutto se la donna non ha più
desiderio di maternità.
Allora quindi i tumori ovarici non sono tutti uguali, ma la terapia è sempre la stessa. Quando ci troviamo
di fronte ad un tumore ovarico avanzato, è necessario fare solo la biopsia diagnostica, che ci consente di
fare diagnosi di istotipo e di origine, mentre la paziente fa un trattamento neoadiuvante (rispondono
molto bene al trattamento)e poi si fa una rivalutazione dopo la chemioterapia ed eventualmente la
rimozione di tutto ciò che è rimasto(di cellule neoplastiche) e rimozione dei linfonodi pelvici. Quindi la
malattia non è unica, perché i fattori sono diversi; va detto che esistono forme più frequenti e meno
frequenti. I precursori sono diversi(per lungo tempo non sono stati riconosciuti, attualmente vengono
ad essere riconosciuti anche per l’ovaio, come tutti i tumori epiteliali).I fattori di rischio genetici (il
professore Rossiello sicuramente vi ha parlato nel tumore della mammella di BRCA1, mutazione in un
tumore di un oncosoppressore che determina e favorisce il cancro alla mammella ed anche il tumore
all’ovaio); i pattern di diffusione sono diversi; ed anche la risposta alla chemioterapia(che ribadisco è
unica), è diversa:ci sono tumori che rispondono bene e tumori che rispondono male.
Quindi , la PATOGENESI di questi tumori è diversa; l’origine e i precursori sono diversi.
Per quanto riguarda le problematiche della diagnosi differenziale, ne abbiamo già parlato: è importante
per l’anatomopatologo distinguere i borderline e gli impianti invasivi e non invasivi* e l’ultimo problema
con cui veniamo a confrontarci è discriminare le cosiddette forme peritoneali dalle forme ovariche: cioè
esistono tumori, in particolare il sieroso-papillare, ad origine peritoneale, che non hanno nulla a che fare
con l’ovaio, se non infiltrarlo.
Però sia tumori peritoneali sia i tumori ovarici di tipo sieroso-papillari, hanno profili di trattamento uguali,
ma dal punto di vista clinico il percorso è diverso. Il peritoneale non ha più ampia possibilità di diffusione
metastatica rispetto agli ovarici, che fin quando sono contenuti nell’ovaio hanno prognosi migliore.
La distinzione di sieroso-papillare, che abbiamo detto è l’istotipo più frequente di (???), si basa sulla
distinzione di “forme di basso grado” e forme di “alto grado”.
Le forme di basso grado sono forme di tumore in cui il tumore maligno mantiene la sua architettura
papillare e si presume che questo derivi da un’evoluzione di un tumore border-line; invece il tumore
sieroso-papillare di alto grado è un tumore generalmente più solido, forma poche papille e si presume
che derivi da cellule, da precursori che si trovano nell’ovaio, senza il passaggio per il sieroso papillare.
Quindi, il tipo I che è quello di basso grado, con prognosi più favorevole, ha uno spettro di evoluzione da
un carcinoma, da un tumore sieroso papillare borderline; mentre nel tipo II che è più solido, meno
papillare, l’evoluzione da un borderline non è chiara e questi tumori sono più aggressivi rispetto ai bassi
gradi. Quindi la carcinogenesi nell’ambito di un istotipo , è diversa, perché abbiamo i bassi gradi(prognosi
migliore) che derivano dai borderline, e gli alti gradi che non derivano dal borderline.
Quindi conoscete la formazione cistica, con le papille edematose, del borderline, è nel basso grado,
vedete che è progressiva, una infiltrazione progressiva, mantengono le strutture papillari.
La cosa importante è che in questi tumori, se noi andiamo a campionare il tumore, è sempre riconoscibile
un’origine borderline. E in questi tumori l’acquisizione del profilo aggressivo ed infiltrativo è dovuta ad
una mutazione di b-raf (ricordate di b-raf si trova mutato frequentemente nel melanoma e la terapia
infatti si basa sul trattamento biologico di tumori che hanno la mutazione di b-raf).
Quindi, il tumore sieroso-papillare abbiamo detto si distingue in alto grado e basso grado, tipo I e tipo II,
però nelle forme di tipo I rientrano tutte quelle forme meno aggressive, che sono: il tumore sierosopapillare di basso grado, l’endometrioide di basso grado, il tumore a cellule chiare, il mucinoso e il
transizionale; nel tipo II sono più aggressivi clinicamente. Nel tipo I sono tumori geneticamente stabili,
con profilo genetico molecolare abbastanza chiaro, in parte sovrapponibili per quanto riguarda il sieroso
papillare al borderline, meno aggressivi(tranne quello a cellule chiare, più aggressivo); il tipo II invece
sono costituiti da tumori biologicamente instabili dal punto di vista genetico, hanno mutazione di p53
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nell’oltre 80% dei casi ed è molto importante dal punto diagnostico perché p53 è overespressa. Voi
sapete che p53 è un oncosoppressore spesso mutato nella maggior parte delle neoplasie umane, e
l’elemento che il patologo può usare come screening per un’eventuale mutazione è la overespressione,
quindi quando la proteina non funziona viene espressa in maggiore quantità. Quindi in una cellula
normale dal punta di vista immunoistochimico p53 non la vedremo mai perché è talmente bassa,
talmente stabile che non può essere identificata dal punto di vista immunoistochimico. Quando invece
è mutata, non funziona, si accumula e noi possiamo identificarla dal punto di vista immunoistochimico.
Quindi, i tipi II sono tumori biologicamente instabili, sono: carcinomi sieroso papillari di alto grado, gli
endometrioidi di alto grado, gli indifferenziati e i tumori ?? misti di cui abbiamo parlato anche per quanto
riguarda l’utero. Sono più frequenti quelli di alto grado nel caso del sieroso-papillare, l’età media è un
po’ diversa, più anziane quelle con un carcinoma sieroso papillare di alto grado.
L’alto grado è chiaramente il più aggressivo, infatti la maggior parte è in stadio avanzato(più del 90%),
quindi oltre lo stadio 1.E’spesso bilaterale: la sopravvivenza a 5 anni è: 9-34% stadio 1 nell’alto grado,
40-56% nel basso grado stadio 1.
Quindi i tipi 1 sono più frequentemente confinati all’ovaio rispetto al tipo 2. Nel tipo 1 in genere si
riconoscono precursori, nel caso del sieroso papillare di basso grado è il borderline, nel caso di altre
tipologie di tumore poi vedremo. Nel tipo 2 non si riconosce un tipo di partenza e il comportamento è
chiaramente più aggressivo.
Una teoria storica dell’origine dei tumori epiteliali dell’ovaio, sono tumori strani perché originano da una
cellula che normalmente nell’ovaio non c’è. Prima si riteneva derivasse da cisti di inclusione, legata ad
ovulazioni ripetute, la deiscenza dell’ovaio creava incisure sulla superficie dell’ovaio, il mesotelio che
riveste l’ovaio si invagina all’interno, forma cisti da inclusione su cui si potevano avere fenomeni
metaplasici su cui si possono fenomeni metaplasici e trasformazione neoplastica, ma che è stata
accantonata(ma la dovete sapere).In realtà tutti i tumori dell’ovaio hanno origine diversa: il tumore
sieroso papillare dell’ovaio sembra avere origine dalle cellule epiteliali della Tuba.
Si è osservato che nei tumori ovarici ispezionando la tuba, si trovano spesso carcinomi in situ sulle fibre
tubariche: quindi succede che delle cellule neoplastiche delle fibre tubariche attraversano il lume della
tuba, vanno a depositarsi nell’ovaio, crescono lì. E che tumore è? Un sieroso-papillare. Infatti è noto da
tempo che l’epitelio sieroso papillare ciliato assumeva aspetto di quello della tuba e questo era già noto.
Questa coerenza morfologica è stata confermata perché si associano spesso a carcinomi in situ della
tuba. La cellula neoplastiche della tuba vanno a depositarsi sull’ovaio , rompono, si depositano sull’ovaio
e in questo caso la cellula della tuba si incide si chiude verso la superficie e dalla cisti che si è venuta a
creare sulla superficie dell’ovaio che si è venuta a creare , si ha la progressione. Queste cellule
neoplastiche della tuba prendono il nome di “stic”, che è un carcinoma intraepiteliale tubarico, quindi di
tipo sieroso, e che è il precursore putativo del carcinoma sieroso-papillare, in particolare di quello di alto
grado. Quando noi andiamo a campionare ovaie di pazienti con carcinoma sieroso papillare di alto grado
nella tuba spesso troviamo un carcinoma in situ, e e se non lo troviamo non significa che non c’è ma che
non siamo riusciti a trovarlo perché doveva essere davvero un piccolo focolaio.
Quindi vedete che nelle casistiche più recenti, il 50-60% delle pazienti con carcinoma sieroso papillare di
alto grado ha questo “stic”, cioè questo focolaio di carcinoma in situ a livello della tuba.
Questi carcinomi in situ essendo appunto precursori di un carcinoma sieroso papillare di alto grado sono
tumori con una overespressione di p53 per effetto della mutazione , quindi anche sia nello stic che nella
neoplasia( infiltrante?)dell’ovaio ne abbiamo un’overespressione .La patogenesi dei tumori dell’ovaio
sieroso papillari è legata a mutazione di p53.
Nei carcinomi endometrioidi e tumori a cellule chiare, il precursore è l’endometriosi e questo è elemento
chiaro per quanto riguarda il tumore endometrioide, meno per il cellule chiare. Fatto sta che quando noi
andiamo a campionare ovaie con tumori iniziali a cellule chiare, riconosciamo sempre focolai
endometriosi. E’ possibile che questi tumori abbiano un’origine dall’epitelio di tipo endometriale che si
trova in questi focolai endometriotici.
Quindi l’endometriosi, possiamo immaginare una progressione neoplastica che va verso l’iperplasia
atipica che si osserva anche nell’endometrio(ricordate che il precursore del carcinoma endiometroide
era l’iperplasia atipica?), anche nell’endometriosi si possono sviluppare cloni di cellule atipiche
iperplastiche da cui si possono sviluppare tumori endometrioidi.
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Nei tumori mucinosi di tipo intestinale la mutazione che si osserva più frequentemente è quella di kras,
presente spesso anche nei tumori intestinali. Qui vediamo il profilo di progressione del carcinoma
mucinoso di tipo intestinale e ha delle sovrapposizioni non solo morfologiche ma anche di tipo
molecolare.
Quindi, per concludere , la carcinogenesi del tumore all’ovaio è un po’ particolare perché (tutte le cellule
che danno, il tumore più frequente all’ovaio è il tumore epiteliale) sono tumori che non hanno niente a
che fare con le cellule normalmente presenti nell’ovaio. Gli unici tumori ovarici quindi sono quelli che
derivano dalle cellule germinali e dai cordoni sessuali.
Allora per chiudere la problematica dei tumori epiteliali: la diagnosi è prevalentemente morfologica nei vari
istotipi dei tumori epiteliali; nel sieroso papillare sono tipici i psammoma bodies, calcificazioni frequenti in
questi tumori, come anche nei carcinomi papillari della tiroide e nei meningiomi.
L’immunoistochimica nei tumori epiteliali dell’ovaio non è di grande aiuto però una cosa importante è la
distinzione tra tumori ad alto e a basso grado, legata all’espressione della p53. Quindi se ho problemi di
diagnosi differenziale tra le due forme vado a ricercare l’espressione immunoistochimica di p53. Per quanto
riguarda i tumori peritoneali primitivi, sono tumori sierosopapillari di alto grado, simili biologicamente e
morfologicamente a quelli dell’ovaio ma hanno una maggiore aggressività con maggior potenzialità di
diffusione. Di fronte ad una situazione del genere per fare diagnosi di tumore peritoneale primitivo bisogna
escludere la localizzazione ovarica e la prognosi è simile a quella del tumore dell’ovaio avanzato.
Quindi i tumori epiteliali dell’ovaio rappresentano l’80-90% di tutti i tumori ovarici. Meno frequenti
sono:Tumori dello stroma (stroma fibroso della corticale ovarica)e dei cordoni sessuali (cellule annesse e
connesse all’ovocita cioè della granulosa e della teca). Rappresentano il 5% dei tumori ovarici. I più frequenti
sono i fibromi, i tecomi e tumori a cellule della granulosa, che sono tumori cosiddetti di tipo femminili
perché originano da strutture normalmente presenti nell’ovaio. Ma abbiamo molto raramente anche tumori
tipo maschile come tumori a cellule di Sertoli e tumori a cellule di Leydig, che si trovano nel testicolo. Molto
rari. Si sviluppano da residui di tipo maschile presenti nella corticale ovarica e sono legati ad uno spiccato
iperandrogenismo che determina amenorrea, irsutismo ecc. Tutti i tumori dei cordoni sessuali esprimono
INIBINA e CALRETININA, che abbiamo già incontrato nei mesoteliomi.
Il TUMORE A CELLULE DELLA GRANULOSA origina dalle cellule della granulosa e si distingue in due categorie:
quello di tipo adulto con prognosi più favorevole, si chiama adulto perché sembrano le cellule della donna
matura, associati a trisomia 11. Il tipo giovanile, più aggressivo, si riscontra nelle donne più giovani e la
prognosi è legata allo stadio. Sono tutti tumori a prognosi indeterminata, quindi non possiamo etichettarli
nella maggior parte dei casi come benigni o maligni. Esistono tuttavia alcuni parametri legati allo stadio, alla
grandezza, sono tumori per quanto aggressivi hanno un andamento piuttosto indolente, possono dare
metastasi anche dopo svariati anni e in generale la prognosi si fa sul campo. Nella maggior parte dei casi il
decorso è assolutamente benigno. Macroscopicamente può essere solido, solido cistico, le cellule della
granulosa si organizzano nel tipo adulto a formare delle strutture nidiformi, con palizzate alla periferia, le
cellule hanno incisure. Il nucleo ha un aspetto a chicco di caffè per la presenza di un’incisura profonda. Si
organizzano intorno a degli spazio vuoti formando le strutture che ricordano le Call Exner, strutture
microcistiche delle cellule della granulosa intorno all’ovocita. Sono positivi a inibina e calretinina. Nel tipo
giovanile ha aspetto solido, l’aspetto è un po’ più indifferenziato, non ci sono strutture nidiformi, non ci sono
strutture di Call Exner, le incisure non sono molto profonde e sono positive a inibina e calretinina.
TECOMI
Tumori che originano dalla teca, spesso nelle donne in prossimità della menopausa, producono estrogeni e
spesso di manifestano con iperestrogenismo, per esempio iperplasia endometriale o emorragia.
Macroscopicamente si presenta come una massa ovarica di colorito giallastro, vi ricordo che
macroscopicamente tuti i tumori che originano da cellule steroidogenetiche sono giallastre, come il corpo
luteo. Microscopicamente si osservano fasci di cellule e cellule sempre organizzate in fasci ma chiare,
l’aspetto chiaro del citoplasma è tipico delle cellule che producono ormoni. Questo è un aspetto che ci
consente di distinguerlo dai fibromi. Anche questi positivi a inibina e calretinina.
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FIBROMI
Originano da fibrocellule presentano nella corticale ovarica, quindi dallo stroma gonadico. Abbastanza
frequenti. Si presenta come una massa biancastra, le cellule si organizzano in fasci, cellule hanno citoplasma
eosinofilo e non si osservano cellule con citoplasma chiaro. Questo è un aspetto fondamentale per la
diagnosi differenziale.
TUMORI A CELLULE DI SERTOLI-LEYDIG
Rari nell’ovaio, ovviamente più frequenti nel testicolo. Derivano da residui di abbozzi primitivi. Possono
avere diverse forme. In particolare abbiamo il tumore di S-L in cui sono cellule di Sertoli che formano dei
tubuli e cellule eosinofile in periferia che sono cellule di Leydig. Quindi sono tumori misti che combinano sia
strutture solide eosinofile dovute alle cellule di Leydig neoplastiche che strutture tubulari legate alle cellule
di Sertoli neoplastiche. Nelle forme un po’ più indifferenziate la componenti tubulare scompare.
(denominate anche Meyer 3, ma questo non è importante)
TUMORE A CELLULE DI LEYDIG
Rarissimo nell’ovaio. Macroscopicamente si presenta giallo ocra, qui(riferendosi alla slide) ci sono cellule
molto chiare ma nella maggior parte dei casi sono più eosinofile e granuleggianti. Quindi crescite solide di
cellule steroideogentiche tipo Leydig, aspetto eosinofilo. Positivo a inibina e calretinina.
GINANDROBLASTOMA
Combinano tumori a cellule della granulosa e delle cellule stromali con tumori epiteliali.
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Lezione riassuntiva con focus su patologia
tiroidea
Sbobinatura del 12/05/2016 (seconda parte)
Prof. Franco
Per quanto riguarda l’esame, la prima parte generale consta di una parte tecnica e diagnostica per
principi generali, per quanto riguarda le metodiche ordinarie, l’indagine citologica è a disposizione
del patologo. Per quanto riguarda le tecniche straordinarie, l’ intraoperatoria, voi medici dovete
conoscerne il significato: risposta immediata richiesta del chirurgo in seguito ad un intervento
radicale, ad esempio, in seguito ad un intervento radicale con rimozione dell’ utero, richiediamo l
estemporanea perché dobbiamo conoscere il grado di infiltrazione e i linfonodi coinvolti. Le risposte
dell’estemporanea non possono discriminare tra lesioni benigne e maligne. L’estemporanea si fa
congelando il pezzo, il congelamento dura due minuti, si fa una sezione che il tecnico ci produce, la
colorazione viene effettuata in 5 minuti e l’estemporanea è pronta in una ventina di minuti.
L’autopsia, la funzione dell’anatomo patologo in un reparto normale è legata alla surgical patology
legata alla diagnostica su pezzi diagnostica, ed ai riscontri diagnostici. La differenza tra riscontri
diagnostici ed autopsia giudiziaria sta nel fatto che i riscontri diagnostici servono per un analisi dei
momenti che hanno portato a morte il paziente e ne evidenziano la causa. La surgical patology è
legata sia ad esami citologici che istologici, gli esami citologici si distinguono in citologici ottenuti
per spatolamento quindi per esfoliazione o per agoaspirazione quelli a mano libera eseguiti
generalmente dal patologi. Poi abbiamo i campioni istologici, le biopsie incisionali, escissionali.
-la cancerogenesi penso l’abbiate affrontata abbondantemente con il professore Rossiello e non ci
soffermiamo; chiaramente dovete sapere anche se non è un esame di patologia generale dovete
saperla domandina applicativa, ad esempio, se uno vi chiede, che cosa fa.
-la patologia cutanea pure l’avete affrontata con il professore Rossiello, io non capisco nulla di
tatuaggi e piercing, magari interessano alla dottoressa Costanzo ma io non li chiederò. chiaramente
dovete fare patologia neoplastica, patologia infiammatoria, malattie bollose e psoriasi.
- l’ apparato respiratorio, l’abbiamo fatto insieme. Delle infezioni ne abbiamo parlato, compresa la
tubercolosi che è un argomento che mi piace moltissimo, ve lo dico. I tumori, la patologia pleurica
e i mesoteliomi in particolare. Per quanto riguarda l’ asma io vi ho fatto un brevissimo cenno e penso
che quello che sapete dal punto di vista clinico basta. Embolie polmonari e trombosi sicuramente le
dovete fare, le problematiche vascolari, comprese le vasculiti, chiaramente vanno affrontate. Un
cenno sulle pneumoconiosi l’ho fatto.
- l’apparato cardiovascolare; i disturbi vascolari vanno fatti, penso li abbiate affrontati anche con le
patologie del snc. Emorragie, embolie e trombosi vanno fatte sia per quanto riguarda il cuore che il
snc, cosi come la trombo embolia polmonare. Le cardiopatie congenite vanno fatte, anche dal punto
di vista classificativo, non è che vi chiederò come è la disposizione dei vasi nella tetralogia di Fallot,
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sono cose che sapete, la domandina può sfuggire ma non è che sarà oggetto d esame mentre la
patologia vascolare del snc e del cuore va fatta bene. All’ esame mi è capitato chi non sapeva
classificare le emorragie cerebrali e questo è molto grave. Penso abbiate avuto tutti gli strumenti e
le possibilità di studiare.
-l’ ematopatologia è una cosa che mi piace tantissimo, lo sapete bene no? Tutte queste cose di cui
abbiamo parlato; magari sul libro non troverete alcuni argomenti ma con tutti i vostri sistemi…Poi
patologia della milza, il timo e midollo emopoietico abbiamo detto cenni sulla classificazione delle
malattie mieloproliferative e delle mielodisplasie.
-il gastroenterico è un argomento vastissimo e noi abbiamo affrontato solo alcune cose, in
particolare quelle funzionali, più complesse: esofago di Barret, gastriti, malattie infiammatorie
croniche dell’ intestino e poi abbiamo parlato di alcuni tumori, in particolare non dimenticate i
tumori rari: NET, GIST.
- fegato, argomento bellissimo. abbiamo parlato solo di quello funzionale, esiste una problematica
legata alle neoplasie che dovete affrontare da soli perché non possiamo fare tutto. i tumori del
fegato sono veramente una stronzata.
-pancreas è un argomento un pò tosto, se uno lo volesse affrontare seriamente ci vorrebbero
almeno 2-3 lezioni però sul programma abbiamo scritto solo alcune cose relative a pancreatiti e
tumori.
-endocrino che avrei voluto fare ma non c'è stato tempo; a parte la tiroide che voi già avete studiato
in tutte le salse e in tutte le modalità possibili è un argomento che va arricchito da nozioni
morfologiche che trovate sui libri, quello che mi interessa è l'approccio (ad esempio che voi sappiate
benissimo la morfologia di un epatite ma non sapete la problematica dell'epatite non va bene, voi
siete dei medici quindi dovete sapere affrontare l'argomento anatomo patologico da medici); è
importante che voi sappiate come studiare una lesione, come ci si arriva alla diagnosi morfologica,
i percorsi gli approcci (di qualcuno abbiamo anche parlato) sapete che certe cose vanno affrontate
a step la diagnosi come va fatta, la citologia del polmone, la citologia o ago-biopsia del carcinoma
della mammella, la patologia epatica cosa ci vuole come deve essere fornito il materiale al patologo,
la diagnosi di melanoma tutti gli approcci diagnostici a queste patologie vanno fatti bene, perché
voi dovete capire che non stiamo parlando solo di aspetti morfologici se c'è una visione clinica.
-apparato urologico sul rene abbiamo fatto più o meno tutto; patologia renale, patologia del
trapianto da un punto di vista morfologico rigetto iperacuto, acuto quando è richiesta la biopsia al
patologo
-apparato genitale maschile mi raccomando alle lesioni del testicolo; la sterilità maschile, la
patologia neoplastica è distinta tra bambino e adulto, differenza tra neoplasie testicolari e germinali
dell' ovaio
-apparato urogenitale femminile e mammella non offre problemi e complicanze;l' ovaioè
l'argomento più complesso il resto è banale
(patologia vascolare abbiamo fatto solo accenno alla diabetica)
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-SNC avete fatto con la prof accardo una parte delle malattie cerebrovascolari come emorragie e
inquadramento di edema e idrocefalo, avete trattato anche i tumori cerebrali. dovete fare anche
encefaliti e meningiti, malattie degenerative(quadro generale ma soprattutto la malattia di
alzheimer), malattie demielinizzanti (ho messo solo sclerosi multipla)
-osso e tessuti molli son