Un PATTO SOCIALE EQUO-SOLIDALE di Flavio PELLIS – Segretario Generale AReS Da tempo, anche prima degli esiti clamorosi delle elezioni amministrative (in tutto il nord, non solo Milano) e dei referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento (con il quorum abbondantemente superato, dopo ben 16 anni), nonostante la fiducia comunque ottenuta dal governo il 21-22 giugno in Parlamento, molti analisti e commentatori politici sono concordi nel ritenere che il ciclo berlusconiano stia volgendo al termine. Ma il punto non è quando (presto o tardi) o come (in modo soft o disastroso) finirà, bensì quali eredità e condizioni ci lascerà, sul piano sociale, economico, nel tessuto connettivo del paese. Se osserviamo tutti i dati riferiti all’ultimo decennio, di cui ben 8 anni di governi a guida Berlusconi, risulta evidente il declino, sociale, economico ma anche culturale: il peggior neo-liberismo coniugato con l’esaltazione e la diffusione pervasiva della rincorsa all’egoistico arricchimento individual/familiare con qualsiasi mezzo (compreso quelli men che leciti), ai privilegi corporativi, di casta o di gruppo, al frazionismo ed all’arroccamento (anche territoriale) a scapito degli altri e danno per la collettività. Il berlusconismo ha fatto emergere e portato allo scoperto le parti peggiori e nascoste degli italiani (forse è meglio dire di ognuno, più tentato a corrompersi anziché tenere la schiena dritta anche a costo di rinunce e fatica), determinando una frantumazione egoistico-corporativa degli interessi che sta mettendo a rischio i legami di tenuta della società. Il risultato è stato che l'arricchimento dei pochi per vie illecite, ha determinato l’impoverimento generale: esemplari sono i disastri non solo economici e sociali, ma anche culturali derivanti dall‘evasione fiscale e dalla corruzione. L’evasione fiscale non è una “furbizia” da giustificare e magari ammirare od imitare, ma un CRIMINE contro la collettività, perché un evasore ci frega tutti quanti e 4 volte insieme: 1. costringe ognuno di noi, a pagare un po’ di tasse in più al posto suo; 2. riceviamo servizi più scadenti, a causa di minori risorse pubbliche; 3. chi evade inoltre, usufruisce indebitamente delle provvidenze al posto nostro: accesso alle case popolari, agli asili nido, a minori tasse universitarie, a borse di studio, etc., dove vale il reddito fiscale dichiarato, notoriamente falsato per chi non è soggetto alla ritenuta alla fonte; 4. infine, si instilla un’idea malsana e devastante secondo cui, se anche tu non evadi, se non sei disonesto, non sei “furbo”, quindi cretino, e questo mina alla base la coesistenza civile. Idem per la corruzione, che non è qualche caso isolato, ma un vero e proprio sistema di arricchimento illecito sugli appalti e commesse pubbliche, che rappresenta (al pari dell’evasione) un DELITTO ugualmente grave perché significa rubare risorse (pubbliche) con conseguenze dirette di impoverimento della società, in quanto il danno è perpetrato violando l’osservanza e la trasparenza delle regole e delle leggi: 1. contro le finanze dello stato (i soldi dei contribuenti); 2. contro il mercato che viene deliberatamente alterato a danno dei competitors (quindi non è più libera concorrenza); 3. infine, provocando sempre l’impennata dei costi dei lavori appaltati. Anche la corruzione come l’evasione, concorre a creare effetti devastanti nell’economia di mercato e nella società. Chi vive di evasione e corruzione, calpestando regole e legalità, non ama la democrazia e fa di tutto per imbavagliarne la voce libera e pubblica; al contrario gli impoveriti hanno bisogno di democrazia come ambito di emancipazione, di cambiamento, di affermazione dei diritti, dove poter far valere le proprie ragioni, che potrebbero provocare tanto fragore, se funzionasse la diffusione di una presa di coscienza e consapevolezza collettiva, che l’egoismo è nemico della convivenza civile e democratica. Perciò è indispensabile far riemergere la parte migliore e virtuosa che è dentro ognuno di noi, in quanto “animali sociali”: un senso civico come coesione di fondo, un tessuto connettivo che tenga unito il paese nelle sue parti e nelle sue diversità, nel rispetto di regole e legalità, in una dimensione equa e solidale. Gli obiettivi egoistici di arricchimento e potere, sono appannaggio di chi si può permettere di infrangere le regole e le leggi, dei già ricchi e potenti, ma è solo per pochi, abbandona tutti gli altri e si traduce in prevaricazione sociale. L’idea corrosiva della libertà individuale illimitata, è funzionale al dominio, secondo l’equazione maggiore libertà di manovra = maggior potere. La logica sottostante consiste nel sottrarsi alle regole che limitano la propria libertà, imponendo nel contempo restrizioni agli altri; ma il limite della libertà sta nel non diminuire la libertà altrui; le regole e le 1 leggi sono le coordinate del vivere insieme, il sistema di riferimento della convivenza, altrimenti è il sopruso del più forte sul più debole, la legge della giungla; l’opposto di essere una comunità. L’INGANNO PROPAGANDATO È NELL’ILLUSIONE CHE L’ARRICCHIMENTO SIA POSSIBILE PER TUTTI. L’innalzamento dei livelli di benessere per tutti, non consiste nel cercare la “propria” soluzione ai “propri” problemi, arrangiandosi come meglio si può, possibilmente con qualche raccomandazione e favoritismo, ma si può realizzare solo nel rispetto di regole e legalità ed in una convivenza collettiva, solidale e di eguaglianza delle opportunità. Il rispetto dei diritti per tutti, si ha con il rispetto dei doveri da parte di tutti. I già ricchi e potenti non hanno bisogno di fare “blocco”, prova ne sono le varie lobby: dei petrolieri, degli assicuratori, dei notai, dei primari, dei banchieri, etc., per finire agli stabilimenti balneari (ultimi in ordine di tempo, che stavano per beneficiare di 90 anni di concessione statale, ridotti a 20 anni grazie al duplice intervento sia dell’Europa e soprattutto di Napolitano); lobby che, in assenza di contrappesi, sono tutte tanto minoritarie quanto potenti, in grado di esercitare una enorme capacità di pressione ed influenza sul potere politico, molto spesso piegandolo a scaricare i costi dell’intoccabilità dei loro privilegi verso la collettività, vedi i tagli “lineari” (che disattendono il principio di progressività sancito dalla Costituzione). Al contrario, chi vive di solo reddito da lavoro o da pensione non ha alternative alla “unione fa la forza” (come si diceva una volta), sia perché le possibilità individuali di riuscita sono infinitesime, ma soprattutto perché i gruppi più deboli non prevarranno mai su quelli più forti, se non attraverso la ricerca di una strada comune e collettiva, in grado di controbilanciarne le facoltà di condizionamento, una sorta di contro-potere compensativo, in modo da far prevalere l’interesse della collettività, anteposto agli interessi particolari. E’ una strada obbligata; altrimenti si continuerà, più o meno periodicamente, a passare di bolla in bolla, di crisi in crisi, con i costi sociali o i debiti, che saranno . . . . . . . . . . . . . equamente distribuiti fra i poveri! In sostanza la risposta non può essere (come è stata finora) la soluzione individuale, che è conservazione, annichilimento, apatia quasi rassegnata all’impossibilità di miglioramento per tutti. Nonostante la globalizzazione abbia radicalmente cambiato il mondo, non è affatto diminuito il bisogno di equità e di giustizia. Il bene comune, l’interesse generale, l’equità e la solidarietà, devono diventare i paradigmi su cui costruire la visione del futuro dell’Italia, per arrestare il declino non ancora irreversibile e rispondere ai nuovi scenari della globalizzazione (quindi modernità). Come ha già fatto notare Nicola Cacace in un suo recente articolo “Europa: più eguali e più ricchi; Italia: più diseguali e più poveri. Come invertire il trend” (peraltro pubblicato sul sito di AReS), i paesi del Nord Europa con minori disuguaglianze sono anche i paesi a più alto reddito per abitante. Nella società della conoscenza, una maggiore eguaglianza dei redditi assume valore economico, perché rafforza sia la domanda interna che la cultura diffusa. Viene da riflettere sul fatto che ai primi posti mondiali di Investimenti diretti esteri si trova la Svezia, che com’è noto ha un welfare generoso ed una tassazione elevata; ciò si spiega in quanto il capitale si muove ricercando da un lato il basso costo-lavoro quale parametro per allocare produzioni di tecnologie facilmente replicabili, mentre dall’altro, risulta decisiva come fattore di competitività, la componente umana in possesso di elevate competenze, professionalità e specializzazioni, soprattutto nei paesi avanzati (dove l’Italia è sempre più fanalino di coda). Quindi, l’uomo diventa il primo fattore critico e sempre più decisivo fattore strategico di competitività produttiva e crescita economica. L’Italia ha potenzialità di imprenditorialità, operosità e talenti che chiede solo di essere valorizzata con politiche adeguate; pertanto bisogna rimettere in moto un grande, diffuso, condiviso “scatto” che rivitalizzi e riaggreghi le culture sociali cattoliche e laiche, ricomponendo i diversi interessi per un “PATTO SOCIALE” nel più generale e coeso “bene e futuro comune”, per una economia sociale di mercato adattata ai tempi, per una imponente ricostruzione di un “nuovo boom economico equo e solidale”, attraverso politiche per ridurre le disuguaglianze, con politiche fiscali anche a fini redistributivi (adottando pene severe contro evasione e corruzione, recuperando le risorse necessarie); politiche contro la precarietà del lavoro, per aumentare l’occupazione stabile, sopratutto di giovani, donne e per il Mezzogiorno; politiche per l’innovazione, la ricerca ed il sistema formativo; politiche per la famiglia ed i figli. Politiche redistributive e di sostegno all’ innovazione, ricerca e formazione, non bastano per rilanciare produzioni, imprenditorialità e crescita, se non si esce dalla vecchia e controproducente alternativa tra modelli autoritari e modelli antagonisti, che rende bloccate e contrapposte le relazioni industriali, bensì incentivando e diffondendo una “cultura partecipativa”, che riconosca il valore sociale del lavoro e la responsabilità sociale delle imprese, per rendere possibile conciliare le diverse rappresentanze degli interessi, affinchè sia reciprocamente conveniente contrattare accordi sui miglioramenti di produttività ed 2 efficienza e sulla ripartizione dei benefici conseguenti tra capitale e lavoro, in funzione del contributo dato da ciascuno, al fine di assicurare la competitività all’impresa coniugata con la salvaguardia/sviluppo occupazionale e condizioni lavorative/salariali concordate, simili a quelle dei nostri competitors europei. Le nostre pietre di paragone non possono essere Cina o India, bensì i paesi più affini e vicini a noi: Germania, Francia e Scandinavia, che sono anche i paesi più uguali e più ricchi. Emblematico è l’esempio dei produttori tedeschi di auto, che riescono a garantire ragionevoli profitti, alti salari, orari tollerabili, occupazione (peraltro in crescita) ed un sistema di relazioni industriali tra i più avanzati in Europa. Non a caso Bini-Smaghi (nell’esecutivo BCE per l’Italia) ha recentemente dichiarato sul Sole24ore, che dovremmo copiare Germania e Svezia, perchè in economia è utile prendere lezioni da chi va meglio di noi. È quindi del tutto evidente che, anzichè modificare l’art. 41 della Costituzione (eliminando i vincoli all’utilità sociale ed alla sicurezza, libertà e dignità umana, che non limitano affatto la libertà d’impresa) sarebbe necessario dare piena applicazione all’art. 46 (la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese). In conclusione, credo che abbiano ragione quanti sostengono che essere “ai margini” dei fenomeni, fa vedere meglio ed interpretare più lucidamente ciò che si sviluppa “all’interno”. Essere alla periferia degli eventi vuol dire essere abbastanza vicini da vederli chiaramente e nello stesso tempo, sufficientemente lontani per interpretarli per ciò che sono in realtà. Per questo motivo ritengo sia compito delle parti migliori, più sensibili e disponibili della società civile (al fine di condizionare il dibattito politico e finalizzarne le scelte conseguenti) assumere e sostenere quale priorità, la riduzione delle diseguaglianze socio-economiche (la rarefazione di opportunità di lavoro stabile, soprattutto per i giovani, le donne ed al Sud, l’impoverimento dei redditi da lavoro e da pensione, amplificato dalla crisi), che non sono una questione marginale da addossare ai singoli ed alle loro famiglie, ma rappresentano un fattore decisivo della coesione sociale e di tenuta del tessuto democratico. È una strada assolutamente obbligata; altrimenti, usando le parole di PLATONE: “Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quante ne vuole, fino ad ubriacarlo . . . . . In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo né rispetto per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la TIRANNIA”. 3