Marco Filoni L’ONTOLOGIA DI KOJÈVE IL DUALISMO DIALETTICO E LO SCARTO FRA HEGEL E HEIDEGGER www.giornaledifilosofia.net – Gennaio 2012 www.giornaledifilosofia.net L’ONTOLOGIA DI KOJÈVE. IL DUALISMO DIALETTICO E LO SCARTO FRA HEGEL E HEIDEGGER di Marco Filoni «Kojève mostra una rara passione per il pensiero. Il pensiero francese degli ultimi decenni è un’eco di queste lezioni. L’interruzione di queste comunicazioni è anch’essa un’idea. Ma Kojève legge Essere e tempo soltanto come antropologia». Così Martin Heidegger, in una lettera del 29 settembre 1967 inviata ad Hannah Arendt1. Nelle sue parole ritroviamo un importante giudizio e, insieme, un’indicazione precisa su come il filosofo di Meßkirch avesse letto Kojève. Heidegger si riferisce alle lezioni parigine di Kojève, tenute presso l’Ecole Pratique des Hautes Etudes fra il 1933 e il 1939, dedicate alla lettura e commento della Fenomenologia dello Spirito hegeliana. Destinate a diventate il punto di riferimento di un’intera generazione di intellettuali francesi e non solo, quelle lezioni segnarono uno spartiacque nella ricezione del pensiero hegeliano – ma va ricordato che, attraverso Hegel, Kojève esprime sempre il suo punto di vista e il suo pensiero2. Per comprendere quale fosse il punto di vista kojèviano, nonché il motivo per cui Heidegger richiama la sua lettura antropologica, è necessario riprendere le lezioni hegeliane. Già alla fine del primo anno di lezioni, nel 1934, nel “rapporto” che annualmente i docenti dovevano redigere e depositare all’Ecole Pratique in merito ai corsi effettuati Kojève scriveva: 1 M. Heidegger-H. Arendt, Briefe 1925 bis 1975. Und andere Zeugnisse, Klostermann, Frankfurt a.M. 1998 (tr. it. Lettere 1925-1975 e altre testimonianze, a cura di M. Bonola, Edizioni di Comunità, Torino 2001, p. 123). 2 Aimé Patri scriveva: «…sotto lo pseudonimo di Hegel, l’autore [Kojève] espone una sorta di pensiero personale» (Dialectique du maître et de l’esclave, «Le Contrat social», n. 4, V, 1961, pp. 231-35). In margine a questa frase Kojève annota di suo pugno solo due parole: «Bien vu» (dalla copia personale della rivista contenuta nella biblioteca kojèviana, conservata presso la Bibliothèque Nationale di Parigi). 2 Marco Filoni, L’ontologia di Kojève La Fenomenologia s’è rivelata esser un’antropologia filosofica. Meglio: vi è una descrizione sistematica e completa, fenomenologica nel senso moderno (husserliano) della parola, delle attitudini esistenziali dell’uomo, in vista dell’analisi ontologica dell’essere in quanto tale, che sarà poi il tema della Logica3. Della pubblicazione di queste lezioni Kojève non si curò più di tanto. Dopo la fine della seconda guerra mondiale lasciò il compito di pubblicarle a Raymond Queneau, che fu uno dei suoi più assidui uditori. Apparve così nel 1947 l’Introduction à la lecture de Hegel presso l’editore Gallimard4. E l’anno successivo la rivista «Les Temps modernes» ospitò nelle sue pagine un articolo di Tran-Duc-Thao che ne analizzava i contenuti5. Da questo articolo emerge un giudizio positivo dell’opera kojèviana che, agli occhi di Tran-Duc-Thao, offre una conferma della lettura delle dialettiche dell’autocoscienza delineate da Marx. Per l’autore, Kojève era riuscito a mostrare come Marx avesse riconosciuto, sotto il divenire della coscienza di sé, il movimento della storia umana: attraverso Hegel erano state messe finalmente in luce le linee fondamentali del pensiero marxiano – anche se rimprovera a Kojève di non aver condotto fino in fondo questa logica che avrebbe dovuto restituire un’immagine di un Hegel assolutamente «materialista». Per Thao la dialettica dello spirito hegeliana altro non sarebbe che «l’esposizione idealizzata della storia economica dell’umanità», dato che Kojève non sarebbe riuscito a cogliere sino in fondo, senza perciò comprendere il vero senso di tale dialettica. Ma al di là del testo di Tran-Duc-Thao, che si inscrive in una lunga serie di reazioni di stampo marxista al libro kojèviano, è particolarmente interessante lo scambio di lettere avvenuto in occasione della pubblicazione di questo articolo6. Nella lettera di Kojève, meglio che in qualsiasi altro testo, è delineata con precisione la sua concezione dei 3 Rapports de Cours à l’EPHEE (1933-1934), dalla copia di Kojève conservata presso il fondo Kojève del dipartimento manoscritti della Bibliothèque Nationale di Parigi (d’ora in poi: BNF–Mss.). 4 A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel, réunies et publiées par R. Queneau, Gallimard, Paris 1947 (II éd. augmentée 1962); tr. it. Introduzione alla lettura di Hegel, a cura di G.F. Frigo, Adelphi, Milano 1996 (il testo integrale dei corsi ’33-’34 e ’34-’35 era stato tradotto da P. Serini con il titolo La dialettica e l’idea della morte in Hegel, Einaudi, Torino 1948 e 19912, con un nuovo saggio introduttivo di Remo Bodei). 5 Tran-Duc-Thao, La “Phénoménologie de l’esprit” et son contenu réel, in «Les Temps modernes», n. 36, IV, 1948, pp. 492-519. Sulla figura piuttosto bizzarra di Tran-Duc-Thao si rimanda alla notizia biobiliografica di R. Tomassini in appendice a Tran-Duc-Thao, Fenomenologia e materialismo dialettico, Lampugnani Nigri, Milano 1970, pp. 277-282. 6 La lettera dattiloscritta di Kojève, datata 7 ottobre 1948, e la risposta manoscritta di Tran-Duc-Thao del 30 ottobre 1948 (conservate in «Papiers Alexandre Kojève», BNF–Mss.), sono state pubblicate in G. Jarczyk-P.-J. Labarrière, De Kojève à Hegel. 150 ans de pensée hégélienne en France, Albin Michel, Paris 1996, pp. 64-68. 3 www.giornaledifilosofia.net rapporti fra naturalità e storia umana. Una concezione che non vuol esser affatto, almeno su questo punto, un commentario alla filosofia di Hegel – che sarebbe rimasta al livello di uno studio storico – quanto piuttosto «un corso di antropologia fenomenologica»: […] Quanto al nocciolo stesso della questione sono, nell’insieme, d’accordo con l’interpretazione della fenomenologia che lei dà. Vorrei segnarlarle, tuttavia, che la mia opera non aveva il carattere di uno studio storico; m’importava relativamente poco sapere ciò che Hegel stesso aveva voluto dire nel suo libro; io ho fatto un corso di antropologia fenomenologica servendomi dei testi hegeliani, ma dicendo soltanto ciò che consideravo esser la verità, e lasciando cadere ciò che mi sembrava essere, in Hegel, un errore. Così, per esempio, rinunciando al monismo hegeliano, mi sono coscientemente allontanato da questo grande filosofo. D’altra parte, il mio corso era essenzialmente un’opera di propaganda destinato a scuotere gli spiriti. È per questo che ho volontariamente rinforzato il ruolo della dialettica del Signore e del Servo e, in maniera generale, schematizzato il contenuto della fenomenologia7. Kojève affronta la questione sulla quale non condivide il giudizio di Tran-DucThao, che è anche il nocciolo dell’antropologia kojèviana – e che gli permette di introdurre l’invenzione di quello che chiama «dualismo dialettico». In risposta a TranDuc-Thao che insiste sulla dialetticità implicita della Natura, il quale sviluppo rende ragione dell’apparizione dello Spirito, Kojève inventa una terza via, che evita contemporaneamente dualismo e monismo ontologici. Se c’è dualismo, è temporale e non spaziale: la Natura è esistita prima dell’uomo e senza di lui; ma, dopo l’uomo, questa non ha alcun senso se non quello di esser negata per apparire come Spirito. Di conseguenza ci troviamo di fronte a un dualismo ontologico – e su questo punto Kojève dà ragione al suo interlocutore – ma non più monismo; poiché, contrariamente a ciò che pensa Tran-Duc-Thao, la transizione della Natura allo Spirito – Kojève preferisce dire dalla Natura all’Uomo – non si opera come una deduzione, cioè a partire da un presupposto di tipo materialista, ma procede da un atto di libertà che tiene in un’assunzione negativa il dato naturale. Il dualismo Natura-Spirito – nella sua forma storica dualismo Natura-Uomo – è allora per Kojève dialettico, non lineare ma riflessivo. 7 Ivi, p. 64, corsivi miei (cito dalle lettere pubblicate, aggiungendo le annotazioni fatte in margine e a mano da Kojève, che nel testo pubblicato sono riportate in nota). È interessante notare che qui Kojève utilizza il termine «propaganda»: nella sua copia del volume di Henri Niel, De la médiation dans la philosophie de Hegel, Aubier, Paris 1945, che Kojève finisce di leggere il 25 maggio 1946 e del quale farà una lunga recensione (Hegel, Marx et le christianisme, in «Critique», n. 3-4, 1946 (tr. it in Interpretazioni hegeliane, a cura di R. Salvadori, La Nuova Italia, Firenze 1980, p. 292), quando Niel scrive «l’hegelismo presenta tutt’altro che un interesse di storico puramente letterario», Kojève annota in margine: «Sì; è ancora un progetto (pro-ject), e cioè un’Azione in potenza che si tratta di attualizzare. È, se vogliamo, un “articolo di legge” che agisce (agissant). E ciò vuol dire che il testo hegeliano ha ancora un valore di propaganda» (dalla copia del volume della biblioteca personale di Kojève). 4 Marco Filoni, L’ontologia di Kojève Questo dà vita a un ateismo perfetto. Poiché così concepito tale dualismo, l’uomo è altro che il «divino pagano», il quale è identico alla «Natura stessa» (al contrario l’uomo è tale in quanto nega la natura); e l’uomo esclude il Dio cristiano postulato come anteriore alla Natura che è creata da un atto positivo della sua propria volontà (allorché la negazione che l’uomo opera di questa Natura la presuppone, necessariamente, «ontologicamente e dialetticamente»)8. Per spiegare lo sviluppo di tale ragionamento, Kojève ricorre a un esempio più concreto che forse chiarisce la nozione di dualismo dialettico. Per far comprendere al suo interlocutore il significato sottile del suo ragionamento utilizza infatti la metafora di un anello d’oro. L’oro è la Natura, il buco è l’Uomo, e l’anello è lo Spirito9. Che l’oro possa esistere senza il buco segna la priorità temporale della Natura; che il buco, nella sua unità con l’anello, non possa esistere senza l’oro sta a significare che l’Uomo, nella sua realtà storica, non può sussistere senza un radicamento «naturale» che è l’impronta della sua libertà negativa. Di conseguenza non si tratta di un «dualismo spaziale», nella misura in cui non sussiste un accordo fra due elementi contrari l’un l’altro. Ma al contrario si può parlare di «dualismo temporale» nella misura in cui giustamente la Natura non è, nella sua situazione originale, condizionata dall’Uomo. È qui che divergono le posizioni di Kojève e di Tran-Duc-Thao. Quest’ultimo non ammette questa successione di fasi, poiché pensa che l’apparizione dell’Uomo sia totalmente predeterminata dall’evoluzione della Natura. Mentre Kojève mantiene l’idea di una «cesura» che viene messa al servizio della libertà umana: l’«atto di auto-creazione dell’Uomo» non potrà esser dedotto o previsto (come pensa Tran-Duc-Thao), ma non potrà altro che esser «compreso». Per Kojève è l’Uomo che si crea, che crea sé stesso, «attraverso e nella, o ancor più esattamente, in quanto negazione della Natura». L’Uomo che compie quest’atto di auto-creazione non è però da considerarsi come un dio: non lo è poiché negando la Natura non si identifica a essa (posizione pagana), e poiché la presuppone (negandola) ne rimane comunque «dipendente» (non può quindi coincidere con la posizione cristiana). 8 Cfr. ivi, pp. 65-66. Il fatto che Kojève nomini sempre queste tre realtà con l’uso della maiuscole sta a significare che non le considera come principi metafisici, bensì come categorie logiche universali. La stessa metafora dell’anello d’oro era stata utilizzata da Kojève per ammettere la possibilità di un’ontologia dualista durante le lezioni su Hegel: l’anno successivo infatti la ritroviamo nel volume che raccoglieva questi corsi: cfr. A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel cit., p. 487 in nota (tr. it. cit., pp. 604-605). 9 5 www.giornaledifilosofia.net Un ulteriore chiarimento a questa concezione arriverà fra le pagine di alcune recensioni che Kojève scrisse per la rivista «Recherches philosophiques», diretta dall’amico Alexandre Koyré. In particolare è il pensiero di Heidegger a interessarlo. Il problema del dualismo che il filosofo tenta di risolvere introducendo, come abbiamo visto, la nozione di «dualismo dialettico», era stato trattato da Heidegger – è ovvio che si fa riferimento a Sein und Zeit, opera che Kojève conosceva bene e limitatamente al primo volume, il solo pubblicato fino allora. Tale questione del dualismo rinviava direttamente a Hegel, e precisamente era stata posta in primis da Koyré10. Da quest’ultimo Kojève aveva ereditato e fatta propria l’intuizione centrale secondo la quale Hegel pone, al centro dell’Assoluto, il valore positivo del negativo, «del no che si oppone al sì; del no che, solo, conferisce al sì che lo supera, il suo senso di affermazione e di posizione». E Koyré prosegue: Collocare il no nel sì; far vedere il multiplo nell’uno stesso; far vedere nell’infinito stesso il finito; nell’eternità il tempo, il movimento, l’inquietudine che è, per Hegel, l’essenza stessa del reale11. Qui risiede per Koyré l’ambiguità hegeliana, poiché l’Assoluto non è più fuori dal mondo, non è più eternità immobile. «L’Assoluto hegeliano […] è compromesso, o se si preferisce, sintesi di storia e di teologia, movimento eterno, eternamente compiuto», ma resta sempre e comunque l’«intuizione metafisica più profonda di Hegel»12. Koyré aveva colto l’aporia hegeliana della temporalità, l’opposizione fondamentale che il filosofo di Stoccarda aveva postulato fra il tempo delle cose – tempo passato, realizzato, eterno – e il tempo umano – tempo storico, costituito dal primato dell’avvenire. L’aver posto tale aporia, e aver insistito sul tempo storico e umano, sull’avvenire che è anteriore al passato, è per Koyré «l’originalità» di Hegel. 10 In quella che doveva essere la premessa al Sistema filosofico kojèviano, il Système du savoir, Kojève non manca di riconoscere il debito con Koyré. Ma è altrettanto importante che qui Kojève segnali anche l’influenza di Sein und Zeit di Heidegger – o meglio, di colui che con ironia chiama l’«ex-Heidegger»: «Credo sia mia dovere menzionare qui il nome di questo filosofio geniale, che è poi filosoficamente finito male, forse proprio a causa del malaugurato desiderio di “superare” Hegel “ritornando a”… prima Platone (via Husserl), di seguito ad Aristotele, poi… a Hölderlin e alla fine a Parmenide, addirittura a Eraclito, o non so più a chi altro ancora», A. Kojève, Le Concept, le temps, le Discours, éd. par B. Hesbois, Gallimard, Paris 1990, pp. 32-33. 11 A. Koyré, Hegel à Iéna, ripreso poi in Id., Etudes d’histoire de la pensée philosophique, Gallimard, Paris 1971, pp. 161-62 e p. 162. 12 Ivi, p. 162, n. 3 e n. 4. 6 Marco Filoni, L’ontologia di Kojève […] il tempo hegeliano è prima di tutto un tempo umano, il tempo dell’uomo, lui stesso questo strano essere che «è ciò che non è e non è ciò che è», essere che si rinnega in ciò che esso è a favore di ciò che non è, o non è ancora, essere che, partendo dal presente, lo rinnega, cercando di realizzarsi nell’avvenire, che vive per l’avvenire trovandovi, o almeno cercandovi la sua «verità»; essere che non esiste se non in questa trasformazione continua dell’avvenire nel presente, e che cessa d’essere il giorno in cui non c’è più avvenire, in cui nulla è più a venire, in cui tutto è già avvenuto, in cui tutto è già «realizzato». Ed è perché il tempo hegeliano è umano che è anche dialettico, perché è l’uno e l’altro, che è essenzialmente un tempo storico13. Per questo motivo Koyré arriverà a dire che la Fenomenologia dello spirito, in ciò che ha di meglio, è un’antropologia e una filosofia della storia. Senza per questo non sottolineare l’aporia della quale rimane vittima l’analisi hegeliana: e cioè che se da un lato solo il carattere dialettico rende possibile una filosofia della storia, nello stesso tempo il carattere temporale della dialettica la rende impossibile. Questo perché la filosofia della storia, che lo si voglia o meno, è un arresto. La dialettica hegeliana non permette di prevedere l’avvenire, poiché «la dialettica, espressione del ruolo creatore della negatività, ne esprime allo stesso tempo la libertà. […] La filosofia della storia – e da qui la filosofia hegeliana, il “sistema” – sarebbero possibili soltanto se la storia fosse terminata; soltanto se non ci fosse più avvenire, soltanto se il tempo potesse arrestarsi»14. Kojève riprende le analisi dell’amico, ci lavora, le sviluppa, fino a renderle proprie per formulare a Hegel la critica di esser rimasto imprigionato nella tradizione, che risale alla filosofia greca, di un monismo ontologico. Per Kojève la Totalità reale è dialettica, in quanto implica l’Uomo che è esso stesso dialetico. Ma da quest’assunzione di base, Hegel commette l’errore di trasportare la dialettica della Totalità ai suoi due elementi costitutivi fondamentali, la Natura e l’Uomo (cioè la Storia)15. Al termine della lunga nota nella quale sviluppa questa considerazione, Kojève richiama in qualche modo le fonti storiche di una tale interpretazione, o meglio di coloro che hanno tentato di superare l’impasse nel quale era caduto Hegel – e che lo stesso Kojève risolverà, come abbiamo visto, attraverso il ricorso alla nozione di «dualismo dialettico». Ma veniamo al testo, nel quale ritroviamo il nome di Heidegger e che in qualche modo permette di sottolineare l’importanza per Kojève della lettura di Sein und Zeit – senza per questo sostenere, come è stato più volte fatto, che il filosofo russo sia una sorta di 13 Ivi, p. 177. Ivi, p. 189. 15 Cfr. A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel cit., p. 485 e ss. nota (tr. it. cit., p. 603 e ss.). 14 7 www.giornaledifilosofia.net discepolo heideggeriano. Al contrario la sua doppia lettura, da Hegel a Heidegger e da Heidegger a Hegel, lo porterà criticamente distante da Heidegger. Ma ciò non toglie che, in ultima analisi, Kojève può esser definito un hegeliano post-heideggeriano16. Il primo tentativo (d’altronde, assai insufficiente) di un’ontologia (o, più esattamente, di una metafisica) dualistica («identica» e «dialettica») è stato fatto da Kant; e in questo sta la sua grandezza senza uguali, paragonabile a quella di Platone, che ha posto i principi dell’ontologia (monista) «identica». Dopo Kant, Heidegger sembra sia stato il primo a porre il problema di una duplice ontologia. Non si ha l’impressione che egli sia andato al di là della fenomenologia dualistica svolta nel primo volume di Sein und Zeit (che è un’introduzione all’ontologia che deve essere esposta nel secondo volume, non ancora apparso). Ma ciò basta a farlo riconoscere come un grande filosofo. Quanto all’ontologia dualistica, essa sembra essere il principale compito filosofico dell’avvenire. Finora non è stato fatto quasi nulla17. Kojève non fornisce molte indicazioni in merito al suo confronto con Heidegger. Ma nello scrivere una severa recensione per le «Recherches philosophiques» di un libro di Alfred Delp dedicato a Heidegger, Kojève redige una lunga nota nella quale chiarisce il senso del suo rapporto con la doppia lettura di Hegel e Heidegger. Nella parte pubblicata della recensione introduce il discorso: Non è che confrontandola con l’opera di Hegel che si può comprendere e apprezzare la portata filosofica dell’opera di Heidegger, e scoprire cosa questa comporta di veramente nuovo. Di fatto, il primo volume di Sein und Zeit non è altro che un tentativo di riprodurre – rettificandola – l’antropologia fenomenologica («esistenziale») della Fenomenologia dello Spirito, in vista di un’ontologia (il secondo volume, non ancora apparso) che rimpiazzi la falsa ontologia della Logica di Hegel18. Ma è nella restante parte rimasta inedita – una nota preparatoria, che ha dunque lo stile e la forma non rifinita di appunti e materiale di lavoro – nella quale viene trattata più esplicitamente la convergenza che Kojève delinea fra le due antropologie, hegeliana e heideggeriana: 16 La definizione è improntata a quella che Eric Weil usò per definire la propria attitudine: kantiano posthegeliano. Per quanto riguarda Kojève, già Jean Wahl intitolava un paragrafo del suo À propos de l’Introduction à la Phénoménologie de A. Kojève (in «Deucalion», n. 5, 1955; tr. it. in Sulla fine della storia, a cura di M. Ciampa e F. Di Stefano, Liguori, Napoli 1985, pp. 47-69) con la formula «Un Hegel post-heideggeriano», intendendo però l’interpretazione kojèviana come una lettura di Hegel alla luce di Heidegger. Giustamente D. Janicaud evidenzia come piuttosto sia sostenibile il contrario (Heidegger en France, Albin Michel, Paris 2001, vol. I, p. 90). 17 A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel cit., p. 487 nota (tr. it. cit., pp. 604-605 nota). 18 A. Kojevnikoff, Rec. a A. Delp, Tragische Existenz, in «Recherches philosophiques», V, 1935-1936, p. 416. 8 Marco Filoni, L’ontologia di Kojève Che l’essere umano (Dasein) è essenzialmente un essere-nel-mondo (In-der-Weltsein); che il mondo dell’uomo (Welt) differisce essenzialmente dalla natura (Natur: Vorhandensein) per il fatto che esso è modificato, o – almeno – rivelato/considerato come da modificare con il lavoro (Zuhandensein); che alla base della comprensione (Verstehen), del Discorso (Rede) o del pensiero ragionevole, vi sia la presenzapratica-ed-emotiva (Befindlichkeit) – e non puramente «teorica» – dell’uomo nel suo mondo; che la totalità dell’essere non si rivela all’uomo se non nella e attraverso l’angoscia (Angst), che gli rivela la sua finitezza, la sua morte; che l’essere umano non è soltanto un essere che è nello spazio, ma anche – e soprattutto – un niente che annulla in quanto tempo; che nel piano della coscienza umana questo annientamento si manifesta sotto forma di risoluzione-eroica (Entschlossenheit) d’accettare l’annientamento dell’umano propriamente detto – che è tempo e possibilità pura – nella e attraverso la realizzazione attiva (cioè la spazializzazione) delle sue possibilità essenziali; tutto questo, e molte altre cose ancora, è puramente hegeliano19. Kojève ritrova nelle tematiche principali di Sein und Zeit nient’altro che le premesse dell’antropologia hegeliana. E, a partire da qui, muove a Heidegger una critica fondamentale: quella di aver mancato – o comunque aver attenuato – la portata della negatività, non sviluppando un ambito importante e indispensabile come quello dell’azione: “Heidegger ha ripreso i temi hegeliani della morte, dimentica i temi complementari della Lotta e del Lavoro; perciò la sua filosofia non riesce a render conto della Storia”20. Questo in fondo il limite intrinseco dell’antropologia heideggeriana: egli l’ha fondata su tre categorie primarie e irriducibili (Befindlichkeit, Verstehen e Angst) che non sono altro che la trasposizione delle tre categorie fondamentali hegeliane (Begierde, Arbeit e Kampf auf Leben uns Tod). Ma nel compiere questa trasposizione ha attenuato l’elemento principale, l’elemento «attivo-negatore». La Befindlichkeit è l’uomo ridotto al sentimento del suo essere e del dover-essere (dass es zu sein hat). La Begierde è ugualmente tutto questo; ma è anche altro ancora: l’uomo che è – e deve essere – negando, sopprimendo, distruggendo attivamente l’essere dato che non è il suo, che non è lui; l’uomo che non è ciò che è in quanto uomo nella e attraverso questa negazione attiva dell’essere dato non umano. Il Verstehen (e il discorso-ragionevole) è l’uomo che realizza attivamente il suo scopo (Entwurf), dominando così la cosa e diventando il suo signore per il fatto di comprenderla (cioè nominarla). Questo corrisponde esattamente a ciò che Hegel dice del lavoro (Arbeit). Ma egli insiste sul fatto che il lavoro è sempre negazione attiva della forma data dell’essere trans-umano. (Perciò la Welt hegeliana si crea esclusivamente nel e attraverso il lavoro propriamente detto, mentre la Welt di Heidegger è Welt e non Natur già per il semplice fatto della presenza di una Befindlichkeit). Infine, è soltanto attraverso e nell’angoscia (Angst) rivelatrice della 19 A. Kojève, Note inédite sur Hegel et Heidegger, prés. de B. Hesbois, in «Rue Descartes», n. 7, 1993, p. 37. 20 A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel cit., p. 575 nota (tr. it. cit., p. 717). 9 www.giornaledifilosofia.net sua morte che l’uomo si costituisce definitivamente in quanto uomo, cioè in quanto individuo libero e storico, che – in fin dei conti – può divenire sophos, cioè l’uomo che è ciò che fa e che sa ciò che è, e che lo esprime nel e per il suo discorso ragionevole, attraverso la sua filosofia che gli mostra a lui stesso come un niente annientante in quanto tempo nello spazio. Ed è esattamente questo che Hegel dice dell’angoscia (Furcht) sentita nella e per la lotta per la vita e la morte. Soltanto che Hegel afferma, contrariamente a Heidegger, che non è l’angoscia della contemplazione passiva del sopraggiungere della sua fine biologica, ma unicamente l’angoscia nella e per la lotta per la morte, cioè nella e per la negazione-attiva dell’esser dato come un Ciò-che-è-come-lui-senza-esser-lui (in breve: un altro uomo), d’un essere che può perciò negarlo attivamente, che è solamente la morte rivelata nella e attreverso la lotta negatrice che ha il valore umano o – più esattamente – umanizzante che le attribuisce Heidegger21. Il tratto fondamentale dell’antropologia filosofica di Kojève risiede proprio in questa umanizzazione del negativo che impedisce l’accostamento con Heidegger. Quest’ultimo inoltre escludendo o «attenuando» il valore costitutivo dell’azione negatrice della lotta e del lavoro – azione nata dal desiderio negatore – esclude o comunque non giunge necessariamente all’ambito della storia: il Dasein potrebbe per Kojève costituirsi senza però entrare in contatto con l’altro uomo, potrebbe benissimo rimanere isolato e fuori dal mondo. L’essenza dell’uomo non è determinata solamente dall’individuo, ma anche dal «Sociale» e dallo «Storico». E l’«esistenza» umana non sembra esser caratterizzata soltanto dal fatto che essa è finita: quanto piuttosto dalla possibilità che essa ha della morte volontaria, la morte senza necessità biologica22. Per questo la filosofia di Heidegger corre il rischio di diventare un’antropologia naturalista che non può far altro che condurre a un’ontologia dell’essere naturale: ontologia incapace di render conto delle realtà umane esistenziali che Heidegger stesso vorrebbe analizzare nella loro costituzione. Come pensare il sein del Dasein se non come ciò che si manifesta in quanto azione? E questa azione può esser altro dall’azione negatrice? Gli interrogativi kojèviani si risolvono ritornando a Hegel, al senso che egli attribuisce all’azione negatrice in quanto Aufheben: un’azione che distrugge il dato naturale e umano in quanto dato, conservandolo in quanto naturale e umano e sublimandolo attraverso questa distruzione conservatrice (che lo conserva) in vista di uno scopo23. Lo scopo sarà un altro dei temi 21 A. Kojève, Note inédite sur Hegel et Heidegger cit., p. 39. Sul tema del “suicidio senza scopo” cfr. A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel cit., p. 66 (tr. it. cit., p. 83) e L’Ateismo, a cura di E. Stimilli e M. Filoni, Quodlibet, Macerata 2008, p. 84 e ss. 23 Cfr. A. Kojève, Note inédite sur Hegel et Heidegger cit., pp. 40-41. Cfr. inoltre gli studi di M. Vespa, Temporalità e negazione: Kojève, Heidegger e la fenomenologia dello spirito, in «Archivio di filosofia», 22 10 Marco Filoni, L’ontologia di Kojève centrali della riflessione filosofica kojèviana: il riconoscimento, quel processo al quale conduce la lotta per la vita e la morte che un uomo intraprende per imporsi a un altro, altro che egli riconosce come uomo per il fatto di rischiare la propria vita per affermarsi di fronte a lui in quanto uomo. È proprio in questo scarto filosofico fra Kojève e Heidegger che si gioca la partita fra i due. Ed è all’inizio, alle parole di Heidegger scritte ad Hannah Arendt, che ritorniamo: “Kojève legge Sein und Zeit soltanto come antropologia”. La finitudine nella mani di Kojève è radicalizzata allo scopo della fondazione di un’antropologia, umana e temporale, portata sul terreno della dialettica. Per Kojève, come per Hegel, «l’essere vero dell’uomo è la sua azione»24. Quindi il concetto, che sostituisce l’essere nel binomio dialettico con il tempo: solo il concetto può far parlare l’essere, può dar origine al discorso che è il discorso dell’uomo – cioè la filosofia, quel discorso che rende conto di tutti i discorsi, compreso sé stesso. Non vi è alcun silenzio, alcuna opacità dell’essere indicibile (un meta-linguaggio) che rimane l’orizzonte entro il quale si muove Heidegger. Giornaledifilosofia.net e una rivista elettronica, registrazione n° ISSN 1827‐5834. Il copyright degli articoli e libero. Chiunque puo riprodurli. 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