Etica Pietro Aberaldo a cura di Massimo Parodi e Marco Rossini Aberaldo inizia la propria opera distinguendo quelli che sono i vizi dell’anima dal peccato. I vizi dell’anima, al pari di quelli del corpo, ci rendono inclini al bene o al male. Come l’esser cieco per il corpo, l’essere iracondo è un qualcosa che ci induce a peccare, ma non è un peccato. L’essere come si è non implica in alcun modo un’azione, anzi, resistere alla propria natura è vittoria ancora più grande, che si ottiene solamente con le proprie virtù. Scheda 1: Agostino: è senza dubbio il pensatore che più di tutti ha influenzato la filosofia medioevale. Aberaldo riprende il concetto di “male” come mancanza di bene. Dio è bene e Vero e da lui tutto ciò che è creato. Il male dunque esiste nel momento in cui manca il bene. Agostino affermerà che è un bene che il male esista e lo riprende Aberaldo: “Trarre il bene dal male è meglio che impedire del tutto l’esistenza del male”. Non esiste, per Agostino, il male nella cose. Le cose sono create da Dio e quindi prive di male. È l’intentio (volgere a) dell’uomo che scade nel peccato: l’avarizia non è intrinseca nell’oro, ma nell’amore malato dell’uomo verso un oggetto, allo stesso modo la lussuria. Conclude con il pensiero che riprenderà Aberaldo: Dio non tiene conto dell’azione in sé, ma dello spirito con cui quel’azione viene svolta. Prima di compiere un vero e proprio peccato ci sono altre fasi: il desiderio (osservazioni), il consenso, l’azione e poi l’abitudine. Il provare piacere nel desiderio è già vicino al peccato, ma è il consenso a determinare l’azione e quindi a peccare propriamente. Un’azione ripetuta si trasforma poi in abitudine. Scheda 2: il vizio e il peccato: Prima parte dell’etica può essere così schematizzata: vitium animi peccatum peccatum actio mala Il vizio dell’anima è ciò che è innato, il peccato ciò che è esteriore (“il vizio c’è anche quando l’azione non c’è ancora”). Il legame di questi due punti cruciali è il consenso, nucleo cruciale di tutta l’etica di Aberaldo. Il consenso è l’unica parte in pieno controllo dell’uomo, è il momento di scelta del non disprezzo di Dio. È la scelta di andare volontariamente contro Dio ad offenderlo, l’azione in sé non crea nessun danno all’Onnipotente. Il vizio non può essere scelto, lo si ha per natura. Parallelismo con concetto aristotelico di potenza che tramuta in atto. (Scheda 3: Il problema della Volontà) Un passo fondamentale nell’Etica di Aberaldo è la distinzione tra volontà e peccato. È indubbio che commettere coscientemente una mala azione è peccato contro Dio, ma cosa succede qualora una cattiva azione viene compiuta senza volontà? Aberaldo fa l’esempio del servo che ingiustamente vuole essere ucciso dal padrone; egli tenta di sfuggire alla morte, ma poi si ritrova ad uccidere il padrone perché senza via d’uscita. In questo caso c’era la volontà di avere salva la vita, ma non quella di uccidere. È dunque un peccato? In questo caso si è commesso peccato senza volontà, forse meno grave, ma allo stesso modo non si è fatta la volontà di Dio. (“sia fatto come vuoi Tu, non come voglio io”) Al pari dei martiri o Gesù stesso, si deve andare incontro alla volontà di Dio, anche se il destino che ci si prospetta non è ciò che vogliamo. Nessun martire è felice di soffrire, ma lo fa per ottenere il premio nell’altra vita. La grandezza della virtù non è nel non avere alcun vizio dell’anima, esso è il nemico che dobbiamo avere per poter combattere e vincere. Non è peccato desiderare una donna, ma il consenso di questo desiderio. Il desiderio è legittimo e anzi giusto, è quello che ci permette di essere lodevoli agli occhi di Dio una volta represso. Dio non giudica l’azione in sé, ma l’animo e l’intenzione di chi la compie. Scheda 4: Eloisa L’azione del peccare non è più grave della sua intenzione, come alcuni sostengono. Essi giudicano l’azione più grave perché contornata dal piacere ultimo che peggiora il nostro status agli occhi di Dio. Ma Aberaldo si oppone, dicendo che il godimento non è di per sé un male, poiché è voluto da Dio che ha creato i corpi e i frutti e i sapori. Se godere significasse peccare allora saremmo intrisi di peccato ad ogni nostra azione. Aberaldo torna sul concetto di intenzione quando parla dei comandamenti, ribadendo che “non dire falsa testimonianza” non è di per sé un peccato, qualora fatto senza consapevolezza o per ignoranza, ma al contrario è l’intento di mentire deliberatamente che comporta il peccato. (Esempio di Giuda: Egli consegna Cristo alla morte, ma effettivamente è la stessa azione che compie Dio stesso. nonostante la medesima azione, l’intenzione essendo completamente diversa rende uno empio, l’altro divino) Scheda 5: L’eredità dello Stoicismo e Aberaldo La filosofia stoica, in particolare quella di Cicerone e Seneca, è penetrata per vie “traverse”all’interno della cultura medievale, in quanto non ci sono ritrovamenti di traduzioni latine dei testi più importanti. In ogni caso i due pensatori sono molto influenti nella cultura si fondo, anche se come ammette Aberaldo stesso difficilmente si faceva la loro conoscenza con testi diretti: perlopiù la loro conoscenza avveniva mediata dai Santi Padri. Questa conoscenza mediata mette la filosofia stoica come subordinata al concetto teologico. Il principio di Seneca, ad esempio, del vivere secondo natura (anche quindi nel vizio) è accettabile nella concezione che la nostra natura è data da Dio, e andarle contro sarebbe rivoltarsi contro il Creatore. Delle suggestioni dei demoni: Aberaldo, coerentemente col suo tempo, pensa che i demoni conoscano forze della natura che l’uomo non potrà mai conoscere e spesso fanno cadere in tentazione l’uomo (sotto permesso di Dio) Perché si punisce l’atto peccaminoso più del peccato: Talvolta capita che le leggi dell’uomo possano punire un innocente ragionevolmente, anche laddove non c’è colpa. Ad esempio nel caso di una madre che non ha vesti per il figlio e decide di abbracciarlo amorevolmente, ma accidentalmente lo soffoca. In questo caso ella sarà punita, non per colpa, ma come monito per altre madri ad essere più prudenti. Oppure se un innocente viene accusato di qualcosa e l’accusa produce testimoni falsi, il giudice che pur sa, se non può dimostrare la non autorevolezza e la falsità dei testimoni, dovrà rispettare le leggi e condannare l’innocente. Nel caso ci sia invece la colpa, è assurdo stupirsi se l’atto peccaminoso venga maggiormente punito rispetto al peccato, poiché sono le intenzioni a rendere offesa a Dio, e non il risultato di un atto spregevole. Dio è lo scrutatore del cuore e dei reni, Egli conosce perfettamente le nostre intenzioni e il nostro spirito d’azione. Dei peccati spirituali o carnali Dio è detto scrutatore del cuore e dei reni in quanto vi sono peccati spirituali, ovvero nati dai desideri e dalle passioni e altri che si dicono carnali, cioè nascono dal corpo. Noi non sappiamo invece giudicare questo o quello. Come disse il Signore a Pietro “se qualcuno pecca contro di te prendilo da parte”. Il motivo è che l’azione può essere imitata o se anche questo non avviene può essere incompresa e invertito il regolare giudizio. ad esempio se un uomo viola una donna in chiesa, agli orecchi del popolo suonerà scandaloso l’offesa verso il luogo, piuttosto che alla persona, quando per Dio la profanazione della donna, vero suo tempio, è molto più grave. Scheda 6: Il livello dell’esteriorità: i libri penitenziali Confessione:penitenza=processo:sentenza La concezione di confessione come tribunale è molto diffusa nel medioevo. È chiaro quindi come fosse necessario creare i “penitenziali”, ovvero testi che indicassero come giudicare i peccati e la corrispondente punizione, proprio perché il sacerdote nella confessione era visto come un giudice. A questo proposito, Aberaldo sottolinea come l’uomo può occuparsi solo dell’aspetto pratico e sociale, nel giudizio. L’uomo, il sacerdote, giudica solo in quanto la punizione può essere d’esempio per altri uomini e spesso la colpa e la punizione non sono esatti, ma è comunque necessario. Agli di Dio questo non accade, perché Egli giudica solamente lo spirito e le intenzioni, non le azioni o le ripercussioni che esse hanno. Per esempio: se un uomo compie adulterio in luogo pubblico sarà per le leggi dell’uomo più grave piuttosto che non faccia lo stesso in casa, poiché in questo modo oltre l’adulterio danneggia anche altri innocenti. Dio giudica invece solamente l’atto e ai due uomini spetterebbe la stessa colpa. Allo stesso modo se due uomini vogliono costruire una casa per poveri e uno riesce nell’intento mentre l’altro viene derubato non potendo compiere l’opera, agli occhi di Dio il merito è esattamente lo stesso, seppure un’azione non si è trasformata in compimento. Scheda 7: La “quaestio”, strumento di ricerca Con quaestio si intende una indagine che cerca di rispondere a una domanda. La domanda può riguardare qualsiasi argomento, in termini teologici può scaturire dall’interpretazione della Bibbia o un dilemma morale. La quaestio per Aberaldo è la ricerca del vero tramite la logica e prevede il saper mettere in discussione tutto a patto di un rigore logico-linguistico. Come spesso dice, è per lui più importante la ricerca e il ricercare piuttosto che la soluzione, la verità è posta quasi al secondo posto rispetto al porsi dubbi e il ricecare. Una critica che è mossa a questa concezione è quella di Bernardo di Chiaravalle: “la fede cristiana non ha questi limiti, queste affermazioni lasciamole agli accademici, la cui prerogativa è di dubitare di tutto e non conoscere nulla”. Dio e l’uomo uniti in Cristo non costituiscono una unità migliore del solo Dio: L’uomo deve compiere il bene e deve servire Dio in Cristo, ma questa unione non deve mai essere scambiata per una unità ancor superiore a quella del solo Dio. Infatti un uomo buono che compie opere buonissime in Cristo non costituirà mai una unità migliore, in quanto Dio è la bontà somma. Per quanto riguarda le azioni invece, una buona azione che si aggiunge ad un’altra buona azione non costituiscono una unità migliore della singola azione, poiché il metro di giusto è sempre applicato ad ogni singola azione e non come unione delle due (o più). Una buona azione in sé probabilmente nemmeno esiste, si dice buona l’azione che è preceduta da intenzioni buone. La stessa azione può essere oggi buona e domani cattiva, se compiuta con intenzioni diverse. Dire “Socrate è seduto” può essere vero oggi e falso domani, e ciò non implica nulla all’affermazione, ma all’intenzione con cui la si dice. Socrate, ch è l’oggetto, è mutevole. Scheda 8: L’intenzione e l’azione Va detto anche che sì, l’intenzione buona rende buona l’azione, ma se essa è realmente buona e gradita a Dio. Il nostro fervore e credo non può essere cieco e falso, con occhio semplice ma attento bisogna saper guardare a quali siano i veri interessi di Dio. Scheda 9: L’Etica nella teologia Aberaldo afferma che nessuna scienza è sbagliata, nemmeno quella del male, poiché bisogna conoscerlo per saper evitarlo; in contrasto con quanto dice Paolo: “conobbi il peccato solo perché proibito dalla legge, prima non conoscevo concupiscenza”. A questo Aberaldo risponde che se si commette l’omicidio di un innocente perché considerato eretico e credendo di compiacere Dio, sarebbe questa una buona azione poiché motivata da buona intenzione? Probabilmente no, l’ignoranza non giustifica un qualcosa che non aggrada Dio. Per dar forza alla propria teoria Aberaldo mostra come spesso si chiede il perdono per coloro che compiono azioni malvagie senza conoscere la volontà di Dio, come il martire lapidato Stefano, che sul punto di morte chiede il perdono dei propri assassini perché “non sanno quel che fanno”. Chiaramente se l’intenzione buona implica una azione buona, allora non ci sarebbe proprio niente da perdonare. Scheda 10: Il problema della salvezza: il caso dei persecutori di Cristo Per Aberaldo i persecutori di Cristo non hanno peccato in senso stretto, poiché convinti che stavano gratificando Dio. Il peccato vero è solo nella consapevolezza di andare contro Dio. Ma Aberaldo allo stesso tempo non può negare la loro condanna eterna, quindi il giudizio di Dio, incomprensibile talvolta per l’uomo, li vede colpevoli per assenza di vera fede. Peccare senza colpa è possibile dunque, è il caso non solo dei persecutori di Cristo, ma anche di tutte quelle persone che al momento della morte erano lontane dalle fede, ma non per volontà loro, come ad esempio i bambini o abitanti di luoghi sperduti dove nessun predicatore sia giunto. Peccare propriamente è possibile solo con volontà contro Dio e paradossalmente i persecutori di Cristo avrebbero peccato ancor più gravemente se avessero risparmiato Cristo contro la loro coscienza e ciò che credevano essere giusto per Dio. Inoltre Adorno fa una distinzione netta tra i vari livelli di peccato, intensi in senso largo e non come offesa diretta verso Dio, ammettendo che nessuno può dirsi senza peccato: ci sono quelli veniali o leggeri, che comprendono il parlare troppo o essere un giorno oziosi o bere troppo. Poi ci sono quelli gravi e condannabili che si dividono in criminali e non. Quest’ultimi sono adornarsi con vanità per esempio, quelli criminali sono l’omicidio, l’adulterio o lo spergiuro. In ogni caso Aberaldo dice che Dio conosce la natura dell’uomo e sa che non può rinunciare al peccato in modo definitivo, talvolta per dimenticanza. C’è chi pensa, continua Adorno, che essendo più difficile astenersi dai peccati veniali piuttosto che da quelli criminosi, allora conviene astenersi più da questi che da quelli (è più facile difendersi da un nemico piuttosto che una pulce). Ebbene, Adorno spiega che se anche è più difficile, non per questo è più glorioso. Non bisogna infatti ragionare dal punto di vista dell’uomo, ma dell’offesa a Dio. Infatti i peccati criminosi sono certamente più offensivi verso Dio, che anzi non guarda con ferocia ai peccati veniali, invitando gli amanti del Vangelo a vivere con leggerezza. Scheda 11: La tradizione monastica Inizialmente la vita del monachesimo era vista come una chiusura verso la società e ai suoi costumi che tendeva a rifiutarli rifugiandosi in una vita comune o solitaria con altri monaci. Col tempo però la vita monacale è diventata centrale anche per questioni politiche e sociali, nonché fonti principali della diffusioni di testi teologici o filosofici. Nella concezione Agostiniana, l’uomo è fatto a immagine di Dio, ma questa non è una cosa data, ma anzi un divenire intellettuale. Il famoso “conosci te stesso” indica un viaggio all’interno di sé che deve perfezionare l’uomo e avvicinarlo in questo modo a Dio. Contro Aberaldo si schierano apertamente i monaci Bernardi di Chiaravalle e Guglielmo di Saint-Thierry. Essi sostengono che la ricerca verso sé stessi è un cammino centrale nella vita di ogni uomo e che una volta guardato dentro sé stesso realmente ogni uomo penserà di essere il più empio verso Dio, in quanto conosce le sue intenzioni e i suoi peccati meglio di qualsiasi altro. Aberaldo al contrario vede nelle intenzioni l’unico modo di peccare e conoscendo sé stessi si potrà vedere quanta dedizione c’è in Dio e quindi “scagionarsi” dai peccati miniori. L’uomo è peccatore, conclude Aberaldo, allora cerca la cura dell’anima attraverso tre passaggi: Pentimento Confessione Soddisfazione Che cosa si dica propriamente pentimento Il pentimento è solamente quello rivolto verso Dio. Non c’è pentimento se ciò che ci preoccupa è l’uomo danneggiato o ancor peggio noi stessi. È facile pentirsi in punto di morte, ma non per amore verso Dio vedendo le nostre colpe, ma semplicemente per la paura della punizione eterna. Oppure è facile pentirsi una volta che abbiamo tradito un uomo per soldi (come Giuda) per noi stessi, in quanto tutti ci giudicano dei vili e immeritevoli di rispetto. Il giusto pentimento è quello che avviene per paura di deludere Dio, per il dispiacere puro e semplice di averlo offeso e non per la paura della sua punizione. Bisogna pentirsi per il suo amore, perché egli è buono e non perché possa essere vendicativo e onnipotente! Non può inoltre esistere il caso in cui un uomo si penta di un peccato ma non di un altro. Difatti se è stato l’amore per Dio a muovere le lacrime verso il pentimento, allora quello stesso amore, se è vero, non mi farà ignorare nessun’altra azione che possa offendere Dio. Qualcuno potrebbe accusare di ingiustizia Dio, poiché se un uomo si pente di tutti i peccati, allora è meritevole della vita eterna in quel preciso istante, ma se al punto della morte ha ceduto nuovamente al peccato, allora sarà punito. Aberaldo risponde semplicemente che Dio non coglie tutti i peccatori in punto di morte e allo stesso tempo non premia tutti gli uomini reo confessi; un uomo giusto non teme di essere puro in ogni momento. Scheda 12: Logica e Teologia La logica è centrale nel pensiero di Aberaldo, che è applicabile a qualsiasi cosa, anche alla Bibbia; questo principio è la maggiore critica che i suoi contemporanei gli hanno rivolto. Nessuna scienza è male, può solo essere usata scorrettamente. Non fa scandalo quindi se Aberaldo fonda il suo pensiero sulla logica applicandola anche ai testi ritenuti indiscutibili. Aberaldo ritiene sciocco pretendere di insegnare la Bibbia e i testi sacri quando essi sfuggono all’intelletto che non li ha sottoposti alla logica. Sembrerebbe così che Aberaldo ammetta che l’intelletto umano possa spiegare e soprattutto capire i dogmi teologici dati da Dio, e queste sono altre critiche che gli sono rivolte. Aberaldo risponde che i dogmi sono tali proprio perché superiori all’uomo e non pretende di poterli capire con l’intelligenza, ma nulla vieta il teologo di indagare e capire come questi dogmi siano stati interpretati ed enunciati, potendo carpire qualcosa di nuovo o potendo spiegar meglio. L’indagine quindi non è posta sulla cosa in sé, sulla piena verità, ma come dice Aberaldo sull’ombra della verità; sul linguaggio, sulla dialettica. La confessione La confessione è importante per purificare l’anima dai peccati ed è un processo fondamentale per la cura dell’anima, come appunto sottoporre una ferita al medico (che in questo caso è il sacerdote). È importante la confessione inoltre non solo con Dio o col sacerdote, ma anche fra uomini, in modo da stimolare il pudore e la vergogna qualora fossimo tentati; è importante infine pregare per chi confessa i suoi peccati, così che egli preghi anche per i nostri. La confessione talvolta si può tralasciare. Questo giudizio non spetta mai a noi in modo arbitrario, la confessione è necessaria per purificare l’anima attraverso la soddisfazione (soddisfare Dio attraverso atti di penitenza), ma può capitare in determinati casi che la confessione rechi più offesa e danno alla Chiesa piuttosto che il tacere. È il caso emblematico di S. Pietro, che temendo che la sua confessione facesse perdere di credibilità alla Chiesa e temendo di non poter guidare i proprio fratelli decise di tacere i propri peccati fin quando la posizione della Chiesa non si fosse solidificata. Può anche capitare di avere a che fare con sacerdoti ma anche cardinali colmi di cupidigia, che divulgano i peccati mettendo in gravi condizioni i penitenti o che assolvano o diminuiscano la soddisfazione in cambio di denaro. In questi casi, qualora il “medico” si mostrasse indegno, è più conveniente, sempre per amore di Dio e non verso sé stessi, tacere i propri peccati, rivolgendosi magari a qualcun altro più degno e pregare l’uno per l’altro. Scheda 13: La condanna Guglielmo di Saint-Thierry continua a condannare Aberaldo per le sue affermazioni che dice essere molto seguite e pericolosamente sostenute. Chiama il filosofo “critico della fede” e non discepolo. Non si accettano idea nuove e nuove interpretazioni a dispetto di quelle classiche assicurate dalla tradizione. Bernardo di Chiaravalle concorda con i rimproveri mossi contro Aberaldo, affermando di non avere nessuna intenzione, così come la Chiesa, di accogliere un quinto Evangelista. Aberaldo risponde di volere un confronto pubblico, ma Bernardo riesce ad evitarlo finché Aberaldo non viene ammonito dal pontefice che concordava a grandi linee con Guglielmo di Saint-Thierry. Scheda 14: Il “Socratismo Cristiano” Nel medioevo la concezione generale su Socrate lo vede come fondatore dell’etica e della morale. Il cristianesimo, forse grazie ai pochissimi scritti platonici, riprende alcune forme della sua filosofia. Prima tra tutte c’è quella del rifiuto per la fisicità e dei beni materiali, visti come un ostacolo alla conoscenza. Altro fondamentale concetto è quello del “conosci te stesso”. Gran parte del mondo religioso vede in questa ricerca lo slancio verso Dio, in quanto lui è l’unica meta raggiungibile, poiché la realtà e la natura sono incomprensibili per l’uomo. Tutt’altro significato gli viene dato da una diversa scuola di pensiero, nella quale rientra anche Aberaldo, ovvero il conosci te stesso come pura conoscenza di sé e della natura, quasi in chiave psicologica. L’idea classica del corpo era quella di un involucro senza il quale non si può vivere e non un qualcosa per cui vivere. Aberaldo va contro questa corrente, riconoscendo la bellezza del corpo e della natura, mettendo in discussione il concetto di peccato. Aberaldo aveva una fortissima personalità e individualità, che gli ha permesso di sostenere con forza le sue tesi innovative, come lui stesso afferma in alcune lettere. Aberaldo, nonostante i contrasti e le critiche è senza dubbio un pensatore fondamentale per il medioevo che ha intuito i problemi che riguarderanno gran parte della teologia e filosofia occidentale.