Politecnico di Milano Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea in Ingegneria Elettrica (vo) rte Un metodo per l’identificazione di modelli termici ridotti di convertitori statici Tesi di Laurea di: Pa Matteo Gattanini Relatori: prof. Francesco Castelli Dezza ing. Alberto Riboni Anno Accademico 2004/05 rte Riassunto Pa In questo lavoro si individua un metodo adatto ad applicazioni system level che consenta di stimare la temperatura di giunzione dei dispositivi integrati nei moduli plastici usati nei convertitori statici di media potenza. Il modello è basato sulla rappresentazione mediante reti resistivo-capacitive; questo genere di modelli sono stati ampiamente adottati e validati in letteratura, e rappresentano la scelta più conveniente in questi livelli applicativi. Nel lavoro viene predisposta una procedura per l’identificazione, ottenuta componendo misure esterne di temperatura con la caratterizzazione del modulo fornita dal produttore, realizzando gli strumenti software necessari per la misura e l’elaborazione dei dati. Il sistema preso in considerazione per l’attuazione della procedura e la verifica dei risultati è molto semplice e consiste in una unità di frenatura che utilizza un modulo igbt. La meta-validazione effettuata confrontando per vari regimi di funzionamento le misure di temperatura dell’involucro con i valori simulati indica uno scostamento entro il grado di approssimazione previsto. - documento compilato il 24 luglio 2005, versione 1.03 - I Sul documento R Questo documento è stato creato in ambiente Windows ; i sorgenti sono stati editati con WinEdt 5.4 e compilati con MiKTEX 2.4. Il formato pdf di questo documento è stato ottenuto con ps2pdf, programma fornito con l’interprete PostScript AFPL GhostScript 8.50 (AFPL = Aladdin’s Free Public Licence), il quale ha convertito il file ps ottenuto processando col driver PostScript dvips (di Tomas Rokicki) il file dvi (DeVice Independent) prodotto dalla compilazione dei sorgenti. Il formato pdf ha diversi pregi; primo fra tutti è la portabilità (non a caso l’estensione è l’acronimo di Portable Document Format); esistono infatti visualizzatori gratuiti disponibili per la quasi totalità delle TM piattaforme (palmari compresi), primo fra tutti Adobe Reader , sviluppato dai creatori del formato stesso. Il documento incorpora fonti PostScript, quindi scalabili; tuttavia è consigliabile, per una piacevole lettura a video, attivare nel programma di visualizzazione la funzione di smoothing dei caratteri. Una interessante comodità che incoraggia la consultazione a video è la presenza di link attivi in corrispondenza dei riferimenti interni (figure, equazioni, indici, . . . ) ed esterni (come gli URL in questa pagina). Le figure sono disegnate con il potente pacchetto PStricks (Timothy Van Zandt), che consente di creare macro PostScript con semplici comandi; esse sono quindi contenute nel codice sorgente e vengono disegnate “on the fly” da dvips; questo modo di procedere consente di avere figure dinamiche, dipendenti da parametri (modificabili facilmente in fase di compilazione) e di non dover allegare alcunché ai file di testo sorgenti; unico svantaggio è non poter compilare direttamente con dvipdfm o pdfTEX (perlomeno non senza qualche limitazione). I circuiti elettrici sono stati disegnati grazie al pacchetto pst-circ, (come si evince dal prefisso si basa su pstricks), di Herbert Voss e Christophe Jorssen. Il pacchetto hyperref (Sebastian Rahtz) è servito per creare i link ipertestuali. Sugli strumenti Questo documento è stato un buon esercizio per acquisire familiarità con LATEX 2ε. LATEX è il modo più comune di accedere al potente linguaggio multipiattaforma di formattazione testi TEX, sviluppato a cavallo degli anni settanta e ottanta dal geniale Dr.Donald E. Knuth, il quale rese disponibile gratuitamente al resto del mondo il suo lavoro. LATEX è un insieme di macro TEX scritte da Leslie Lamport, che consentono di ottenere testi di elevata qualità tipografica occupandosi solo dei contenuti, ben separati dalla forma con cui essi vengono organizzati. Razionalità, qualità, flessibilità, portabilità sono indubbi vantaggi di questo strumento; il fatto di poter di incorporare i comandi in macro sempre più complesse ne estende l’uso a qualunque tipo di applicazione, dalla produzione di slides alla scrittura di musica. Centinaia di pacchetti aggiuntivi sono catalogati e distribuiti da una rete di servers; alcuni di essi costituiscono un mondo a sé nella vasta e caotica galassia di LATEX, nella quale è facile rimanere confusi o quantomeno rischiare di fare un cattivo uso delle estensioni, perdendo di vista la filosofia su cui lo strumento stesso è basato. Il dilagante analfabetismo informatico rende poco diffuso LATEX presso l’utenza media, le cui modeste esigenze, spesso ricorsivamente conseguenti alla mediocre cultura informatica, sono meglio soddisfatte da strumenti più immediati e limitati. Grazie alla gratuità del TEX esistono motori liberamente distribuibili R per tutte le piattaforme, ad esempio MiKTEX per Windows e teTEX (di Thomas Esser) per Unix/Linux. Gli ingressi di questi motori sono dei semplici file di testo; molti editors ne facilitano la creazione, implementando il riconoscimento della sintassi e facilitando l’accesso agli eseguibili dei compilatori. Tra quelli particolarmente specializzati nel supportare la produzione di documenti con LATEX è doveroso citare WinEdt (shareware), un editor R ; molto potente è lo storico molto popolare in ambiente Windows Emacs di Richard Stallman, nato in ambiente libero e parte integrante di ogni distribuzione gnu-Linux. scritto in: LATEX 2ε compilato con: MiKTEX 2.4 PSTricks inside rte Prefazione Pa Un compito essenziale dell’ingegneria è affrontare la complessità della realtà cercando di descriverla secondo le finalità preposte e in modo compatibile con i costi, i tempi e i mezzi a disposizione. Gran parte di questo lavoro è quantificare il peso delle approssimazioni possibili al fine di individuare la descrizione più idonea e, soprattutto, di conoscerne i limiti. Credo che l’argomento di questo lavoro di laurea (non certo il modo in cui esso è svolto) sia un caso esemplare di questa attività. Avere la descrizione di una porzione di realtà significa essenzialmente due cose: poterne prevedere il comportamento e poter progettare qualcosa che si comporti nel modo voluto. Senza di essa non resterebbe altro che fare come gli antichi: cercare di indovinare il futuro, sovradimensionare, e procedere per tentativi. . . II rte Ringraziamenti Questo piccolo lavoro è stato sostenuto nell’azienda Static Control Systems di Verderio inferiore. Vorrei ringraziare sentitamente: " Alberto Riboni per tutto il sostegno K Emanuele Pozzi per la sapiente scelta del momento delle pause Pa H Paolo Mazza per la comprensione e l’appoggio morale % Fausto Molinelli per i preziosi interventi e consigli z prof. Francesco Castelli Dezza , del dipartimento di elettrotecnica del Politecnico di Milano, per la libertà accordata III Pa rte Ai miei genitori Indice 1 rte 1 Introduzione 1.1 Il contesto . . . . . . . . . 1.1.1 Esigenze progettuali . 1.1.2 Nuove tendenze . . . 1.1.3 L’azienda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 3 3 1.2 Lo scopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.1 Tema essenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.2 Le specifiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 4 5 1.3 Il sistema in esame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Prime osservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.2 Prime considerazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 6 8 1.4 Contenuti del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1.4.1 Argomenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1.4.2 Struttura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 12 Pa 2 Sul componente di potenza 2.1 Sulle “valvole statiche” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 2.2 Sull’IGBT . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 Struttura e funzionamento . . . . 2.2.2 Commutazione . . . . . . . . . . 2.2.3 Gli effetti della temperatura . . . 2.2.4 Potenza dissipata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 15 20 24 25 2.3 Moduli di potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 2.3.1 Architettura DCB . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 2.3.2 Caratterizzazione termica dei moduli . . . . . . . . . . . . . 35 3 Trasmissione del calore 38 3.1 Bilancio termico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 3.2 Conduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 V 3.2.1 3.2.2 3.2.3 3.2.4 Legge di Fourier . . . . . . Equazione del calore . . . . . Sistemi monodimensionali . . Modelli a parametri concentrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 41 42 48 3.3 Convezione e irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 3.3.1 Convezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 3.3.2 Irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 4 Trattazione del tema 54 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 54 55 56 4.2 Modelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.1 Caratterizzazione classica . . . . . . . 4.2.2 Modelli numerici . . . . . . . . . . . 4.2.3 Soluzioni analitiche approssimate . . . 4.2.4 Reti resistivo-capacitive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 58 59 59 60 4.3 Approccio al problema . . . 4.3.1 Scelta del modello . . . 4.3.2 Ideazione delle misure . 4.3.3 Identificazione . . . . . 4.3.4 Uso del modello . . . . 4.3.5 Verifica del modello . . rte 4.1 Uno sguardo alla letteratura . . . 4.1.1 Informazioni generiche . . . . 4.1.2 Dentro nei moduli . . . . . . 4.1.3 Tecniche di identificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 67 72 77 82 83 4.4 Sui limiti del modello scelto . 4.4.1 La monodimensionalità . . 4.4.2 La discretizzazione . . . . 4.4.3 La linearità . . . . . . . 4.4.4 Mutuo riscaldamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 84 85 85 87 87 Pa . . . . . . 4.4.5 Calcoli approssimati della dissipazione 5 Implementazione 89 5.1 Software di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 5.2 Ottenimento del modello . . . . . . . . . 5.2.1 Passaggio da rete Foster a Cauer . . . 5.2.2 Determinazione della rete complessiva . 5.2.3 Calcolo della potenza dissipata . . . . 5.2.4 Modello complessivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 90 92 97 104 5.3 Simulazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 VI 6 Il sistema in esame 109 6.1 Sull’apparecchio considerato . . 6.1.1 Funzionamento . . . . . . 6.1.2 L’unità di frenatura ufs15 . 6.1.3 Struttura . . . . . . . . . 6.1.4 Dissipatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 110 110 111 112 rte 6.2 Il modulo Eupec bsm75gb120dlc . . . . . . . . . . . . . . . . 113 6.2.1 Caratteristiche termiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 6.2.2 Caratteristiche elettriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 7 Il sistema di misura 121 7.1 Allestimento di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 7.2 Strumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 7.2.1 Misura delle grandezze elettriche . . . . . . . . . . . . . . . 124 7.2.2 Misure di temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 7.3 Sulla non idealità delle condizioni di misura 7.3.1 Linea di alimentazione . . . . . . . . . . 7.3.2 Sonde elettriche . . . . . . . . . . . . . 7.3.3 Sulle misure di temperatura . . . . . . . 7.3.4 Misura della temperatura di interfaccia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Identificazione e simulazione 130 131 131 131 133 134 8.1 Sulle misure effettuate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 . . . . Pa 8.2 Misure statiche . . . . . . . . . . . . . 8.2.1 Dimensionamento del carico . . . . 8.2.2 Grandezze elettriche . . . . . . . . 8.2.3 Misure statiche di temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 135 135 136 8.3 Identificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 8.3.1 Misura della risposta al gradino . . . . . . . . . . . . . . . . 139 8.3.2 Elaborazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 8.4 Ingresso intermittente . . . . . . . . 8.4.1 Sulla risposta del sistema . . . . 8.4.2 Confronto delle perdite . . . . . 8.4.3 Confronto della temperatura . . 9 Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146 146 149 151 155 9.1 Sviluppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 9.2 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 VII A Ulteriori informazioni 157 A.1 Sulle simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 R A.2 Altri scripts MatLab . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158 A.2.1 Fitting delle curve . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158 A.2.2 Caratteristiche del dispositivo . . . . . . . . . . . . . . . . . 160 A.3 Altre misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 B Applicazioni sviluppate 163 rte B.1 Un segnale di comando . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 B.2 Comunicare con il data logger . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 C Convezione 170 C.1 Le equazioni in gioco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170 C.2 Forma adimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174 C.3 Convezione naturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 C.4 Piastra verticale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180 C.5 Nota conclusiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 184 Bibliografia 188 Pa Elenco delle figure 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 Cause di guasto dei dispositivi elettronici . . . . Rappresentazione black-box del modello cercato Legami tra gli aspetti principali del problema . Bilancio energetico . . . . . . . . . . . . . . . . Schema a blocchi del problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 . 5 . 6 . 9 . 10 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 Campo di applicazione dei dispositivi di potenza Porte elettriche dell’IGBT . . . . . . . . . . . . . Struttura dell’IGBT verticale . . . . . . . . . . . Portatori di carica nell’IGBT . . . . . . . . . . . Caratteristiche esterne dell’IGBT . . . . . . . . . Un circuito equivalente dell’IGBT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VIII 14 15 16 17 18 19 Un altro modello circuitale dell’IGBT . . . . . . . . . . Un IGBT che comanda un carico induttivo . . . . . . . Accensione dell’IGBT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Spegnimento dell’IGBT . . . . . . . . . . . . . . . . . . Commutazione dell’IGBT vista all’oscilloscopio . . . . . Classificazione delle perdite nell’IGBT . . . . . . . . . . Classificazione delle perdite nel diodo di ricircolo . . . . Dissipazione di energia durante lo switching . . . . . . Una stima della potenza istantanea dissipata nell’IGBT Corrente nel diodo allo spegnimento dell’IGBT . . . . . Perdite nel diodo di ricircolo . . . . . . . . . . . . . . . Struttura di un modulo DCB . . . . . . . . . . . . . . . Resistenze termiche in una struttura DCB . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 20 21 22 23 26 26 28 29 31 32 34 36 3.1 3.2 3.3 3.4 Temperature statiche delle pareti di un sistema multistrato Grafico di un integrale dell’equazione del calore . . . . . . Rete equivalente del modello discretizzato . . . . . . . . . Identificazione della rete termica per ispezione . . . . . . . . . . . . . . . 44 47 49 50 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7 4.8 4.9 4.10 4.11 4.12 4.13 4.14 4.15 4.16 4.17 4.18 Sovrapposizione degli effetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Geometria tipica dei sistemi in studio . . . . . . . . . . . . . . Rete Cauer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ispezione del sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rete Foster . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rete Foster giunzione-case . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sistema avente un solo modulo . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esplicitazione di un modello per la parte esterna . . . . . . . . Schema dei calcoli delle dissipazioni . . . . . . . . . . . . . . . Unione della caratterizzazione del modulo e del sistema esterno Esempi di acquisizioni della curva di riscaldamento . . . . . . Rete Cauer della parte esterna . . . . . . . . . . . . . . . . . Modello complessivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rete Foster del modulo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rete foster equivalente del sistema di dissipazione . . . . . . . Fotogramma di una simulazione FEM . . . . . . . . . . . . . . Interazione tra più sorgenti di calore . . . . . . . . . . . . . . Conduttività termica del silicio e temperatura . . . . . . . . . 58 61 63 63 64 69 70 70 71 73 75 75 77 78 78 83 84 86 Pa rte 2.7 2.8 2.9 2.10 2.11 2.12 2.13 2.14 2.15 2.16 2.17 2.18 2.19 5.1 Entrate e delle uscite dello script FosterToCauer.m . . . . . . 90 5.2 Entrate e delle uscite dello script MergeToCauer.m . . . . . . . 92 5.3 Identificazione della rete complessiva . . . . . . . . . . . . . . 97 IX Schema a blocchi del calcolo delle perdite . . . . Grafico delle perdite calcolate per segnali lenti . Particolare delle perdite calcolate . . . . . . . . Grafico delle perdite calcolate per segnali veloci Schema a blocchi del modello complessivo . . . TM Implementazione della rete termica in pspice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 103 103 104 105 108 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5 6.6 6.7 6.8 6.9 6.10 Il circuito di potenza . . . . . . . . . . . . . Interno dell’unità di frenatura . . . . . . . . Dati del dissipatore L8044 . . . . . . . . . . Il modulo Eupec bsm75gb120dlc low-loss . L’interno del bsm75gb120dlc . . . . . . . . Particolare del chip nel bsm75gb120dlc . . Posizione delle sorgenti del calore . . . . . . Struttura del modulo in esame . . . . . . . . Impedenze termiche del bsm75gb120dlc . Caratteristiche del modulo bsm75gb120dlc . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 111 113 113 114 115 115 116 117 120 7.1 7.2 7.3 7.4 7.5 7.6 7.7 7.8 7.9 7.10 7.11 Il sistema di misura . . . . . . . . . . . . . Pilotaggio esterno dell’unità di frenatura . Connessioni al modulo di potenza . . . . . Posizionamento della termocoppia sul case Posizione delle termocoppie . . . . . . . . Coefficienti di Seebeck . . . . . . . . . . . Giunzioni nelle termocoppie . . . . . . . . Giunzioni nelle termocoppie . . . . . . . . Schema interno del nudam 6018 . . . . . . Il moduli nudam . . . . . . . . . . . . . . Rumore sulle termocoppie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 123 124 125 126 127 128 128 130 130 132 8.1 8.2 8.3 8.4 8.5 8.6 8.7 8.8 8.9 8.10 8.11 Circuito di potenza durante la conduzione . . Ripple della potenza persa in conduzione . . . Misure statiche di temperatura . . . . . . . . Percorso case-ambiente . . . . . . . . . . . . . Tratto case-dissipatore . . . . . . . . . . . . . Misure sul dissipatore . . . . . . . . . . . . . . Insieme delle risposte al gradino misurate . . . Errore asintotico nel raffreddamento . . . . . . Riscaldamento del case per un gradino di 48 W Particolare delle elaborazioni . . . . . . . . . . Raffreddamento del case . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 136 137 137 138 139 141 142 144 144 145 Pa rte 5.4 5.5 5.6 5.7 5.8 5.9 X . . . . . . . . . . . Risposta a potenza intermittente . . . . . . . . . Diagramma di Bode della rete . . . . . . . . . . . Temperature misurate con ingresso intermittente . Sovrapposizione delle dinamiche . . . . . . . . . . Grandezze elettriche nel circuito di potenza . . . . Grandezze elettriche in accensione . . . . . . . . . Grandezze elettriche in spegnimento . . . . . . . . Validazione per un riscaldamento pulsante . . . . Particolare del riscaldamento pulsante . . . . . . Validazione per un raffreddamento pulsante . . . Particolare del raffreddamento pulsante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 147 148 148 149 150 151 152 153 154 154 rte 8.12 8.13 8.14 8.15 8.16 8.17 8.18 8.19 8.20 8.21 8.22 A.1 Misure ad ingresso pulsante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 A.2 Grandezze elettriche con carico induttivo . . . . . . . . . . . . 162 A.3 Misure di temperatura in alta tensione . . . . . . . . . . . . . 162 B.1 xCtrlSet - selezione delle caratteristiche del segnale . . . . . . 165 B.2 xCtrlSet - selezione del pin della porta . . . . . . . . . . . . . 166 B.3 Uno screenshot del “nudam manager” . . . . . . . . . . . . . . 167 Pa C.1 Piastra verticale: profili di velocità e temperatura . . . . . . . 181 C.2 Piastra verticale: velocità e temperature al variare di P r . . . 182 C.3 Numero di Nüsselt al variare del tipo di moto . . . . . . . . . 183 XI Elenco degli acronimi American Standard Code for Information Interchange AN Application Note API Application Programming Interface BJT Bipolar Junction Transistor CFD Computational Fluid Dynamics CJC Cold Junction Correction DCB Direct Copper Bonding EIA Electronic Industries Alliance FEM Finite Element Method IEEE Institute of Electrical and Electronics Engineers Pa rte ASCII IGBT Insulated Gate Bipolar Transistor IPEM Integrated Power Electronics Module JEDEC Joint Electron Device Engineering Council LTI Linear Time Invariant MCM Multi Chip Module MOS Metal Oxide Silicon MOSFET Metal Oxide Silicon Field Effect Transistor NPT Non Punch Through ODE Ordinary Differential Equation XII Partial Differential Equation PT Punch Through PWM Pulse Width Modulation RCCM Resistors Capacitors Component Model RTS Request To Send TRAIT Thermal Resistance Analysis by Induced Transient rte PDE Temperature Sensitive Parameter TTIC Transient Thermal Impedance Curve Pa TSP XIII Capitolo 1 rte Introduzione In questo capitolo viene introdotto il lavoro di laurea presentando il contesto in cui è inserito, il traguardo che si propone e le parti principali che lo compongono, dopo aver descritto sommariamente il sistema in esame e i fenomeni che prendono parte nel problema in questione. 1.1 1.1.1 Il contesto Esigenze progettuali Pa Negli ultimi decenni i dispositivi a semiconduttore hanno rivoluzionato le aree degli azionamenti elettrici e della conversione dell’energia; il rapido sviluppo tecnologico ha progressivamente realizzato prodotti in grado di soddisfare le crescenti esigenze applicative. Se da un lato questi dispositivi hanno permesso di raggiungere traguardi tecnologici notevoli, dall’altro hanno complicato non poco i sistemi da studiare: una loro pesante non linearità deriva dal fastidioso legame del loro comportamento elettrico con la temperatura, circostanza che ha accentuato il bisogno di descrivere il comportamento termico del sistema per poter prevedere in modo accurato quello elettrico. Per poter tenere in conto degli effetti dell’autoriscaldamento nella simulazione elettrica è necessario basarsi su strumenti di simulazione termica in grado di interfacciarsi in modo veloce ai simulatori circuitali, oppure addirittura mettere in condizioni questi ultimi di gestire autonomamente il modello termico del sistema. Esiste anche un’esigenza meno accademica che motiva questo tipo di studi 1 Introduzione - 1.1. Il contesto 2 (e questo lavoro): la temperatura del dispositivo non ha solo il potere di alterarne il comportamento, ma anche quello di distruggerlo. La massima potenza trasferibile dai convertitori elettronici è limitata da quanto calore è possibile dissipare mantenendo la temperatura di funzionamento entro valori accettabili: gli effetti nefasti della temperatura sul tempo di vita dei dispositivi sono ampiamente provati e documentati in diversi studi1 , come quelli illustrati in figura 1.1. rte Temperatura 55% Umidità 19% Sporcizia 6% Vibrazioni 20% Figura 1.1: Principali cause di guasto dei dispositivi elettronici di potenza Pa (fonte: USA Air Force Avionics Integrity Program) In proposito ai guasti dovuti alla temperatura non bisogna pensare solo al cambiamento radicale della chimica dei materiali ed alla conseguente alterazione irreversibile delle caratteristiche fisiche e meccaniche (bruciatura, fusione), ma anche semplicemente alla modificazione reversibile del comportamento elettrico che porta ad un funzionamento al di fuori dalle specifiche di progetto; dannose sono inoltre le variazioni di temperatura, indipendentemente dal valore assoluto: i cicli di riscaldamento-raffreddamento causano stress meccanici dovuti ai differenti coefficienti di espansione termica dei materiali costituenti il componente; queste sollecitazioni possono dare luogo a rotture in seguito alla diffusione e raggruppamento dei difetti, danneggiando le connessioni elettriche o termiche. Ben nota è la legge empirica che lega la vita del dispositivo alla temperatura di funzionamento: un esponenziale decrescente. 1 Introduzione - 1.1. Il contesto 3 Per l’utilizzatore di questi dispositivi diventa quindi fondamentale capire quando essi corrono seri rischi di guasto a causa del riscaldamento eccessivo; formulando il concetto con termini più appropriati questo si traduce nella capacità di tracciare le zone di funzionamento dove il dispositivo è in grado di funzionare in modo continuativo senza guastarsi, e nel quantificare la robustezza e l’affidabilità nelle condizioni di esercizio più gravose. 1.1.2 Nuove tendenze Pa rte La temperatura è quindi la grandezza principale che limita la modalità di impiego dei dispositivi elettronici e che influisce sulla robustezza a lungo termine; questo comporta che nella realizzazione dei componenti elettronici di potenza, ma anche nella progettazione degli apparecchi che ne fanno uso, è fondamentale fornire un adeguato canale di dissipazione termica in modo da limitare il riscaldamento dovuto alla potenza dispersa internamente; questa necessità progettuale aggiunge ulteriormente importanza lo studio termico del sistema. L’attuale tendenza nell’elettronica di potenza è avere grandi capacità di conversione in dimensioni sempre più piccole e componenti sempre più complessi, composti da più dispositivi integrati nello stesso modulo. Questo aumento della densità di potenza ha accresciuto la temperatura di esercizio influenzando negativamente la probabilità di guasti: per non compromettere l’affidabilità dei prodotti i margini di progettazione termica devono assottigliarsi, rendendo necessario l’uso di modelli più accurati che nel passato. Questa necessità si trasferisce dai produttori dei componenti a chi li utilizza nei propri apparecchi; ciò motiva il fiorire di studi, trattazioni e prodotti hardware e software riguardanti la caratterizzazione termica dei sistemi elettronici di potenza. 1.1.3 L’azienda Questo lavoro è stato svolto all’interno dell’azienda Static Control Systems di Verderio inferiore. scs opera nel settore degli azionamenti elettronici dal 1977, inizialmente nella progettazione e realizzazione di quadri elettrici per l’automazione di macchine ed impianti, poi nella produzione di convertitori in corrente continua e nella distribuzione e assistenza tecnica dei convertitori di frequenza ed AC servo Mitsubishi Electric. La produzione comprende azionamenti per motori sincroni a magneti permanenti e unità di frenatura. Il cuore di questi prodotti è costituito dai moduli che contengono i dispositivi a semiconduttore realizzati dalle grandi aziende Introduzione - 1.2. Lo scopo rte mondiali del silicio; in particolare per queste applicazioni di media potenza ( 10 ÷ 100Kw ) sono utilizzati gli Insulated Gate Bipolar Transistors (IGBTs). scs, in quanto utilizzatore di questi componenti, ha l’esigenza di studiare il comportamento termico dei suoi apparecchi e di migliorare l’accuratezza del modello precedentemente adottato. Una stima della temperatura nei moduli è importante non solo in fase progettuale, nella scelta dei componenti e del sistema di dissipazione, ma anche per caratterizzare il prodotto finito valutandone il livello di affidabilità e definendo i regimi e le condizioni di funzionamento ottimali; questa caratterizzazione è inoltre utile per quanto riguarda il supporto agli utenti del prodotto, i quali spesso domandano di stimare le condizioni di pericolo relative ad eventuali manovre anomale, il che presuppone una descrizione precisa dei fenomeni in gioco. Oltre a questo non è da sottovalutare la possibilità di un impiego on-line del modello: se esso fosse riducibile ad un’equazione alle differenze ed elaborabile in tempi opportuni da un microprocessore, sarebbe possibile implementare una protezione software direttamente a livello della logica di comando dei dispositivi, aumentando la robustezza del prodotto. 4 1.2 1.2.1 Lo scopo Tema essenziale Pa Il tema essenziale di questo lavoro è l’indagine del legame tra la modalità di funzionamento di un convertitore switching e la sua temperatura operativa; in particolare verranno considerati apparecchi basati su moduli di potenza contenenti dispositivi IGBT, che coprono ormai la quasi totalità delle applicazioni di media potenza. Con la consapevolezza di essere ben lungi dal trattare in modo esauriente questo vasto argomento, in questo lavoro si cerca di individuare la metodologia più opportuna per caratterizzare dal punto di vista termico, a livello di utilizzatore, un sistema di conversione statica che fa uso di moduli di potenza. In altre parole, ciò che motiva questo lavoro è la definizione di un percorso adeguato al contesto di applicazione appena descritto che consenta di individuare una descrizione degli apparecchi in produzione che incorporano moduli elettronici di potenza, al fine di stimare con una ragionevole accuratezza la temperatura del dispositivo note le grandezze elettriche di funzionamento. Volendo rappresentare il problema con gli schemi a blocchi dei sistemisti, si tratta di individuare il contenuto della scatola nera in figura 1.2. Introduzione - 1.2. Lo scopo Tji rte Sistema elettrico esterno Pilotaggio 5 Figura 1.2: Rappresentazione black-box del modello cercato 1.2.2 Le specifiche Il modello cercato, perché possa dirsi appropriato nel contesto di utilizzo descritto, e quindi essere realmente utile a qualcuno, deve possedere dei requisiti ben precisi: • In primo luogo, considerazione che appare banale, il modello deve essere identificabile con gli strumenti a disposizione, che in sostanza sono un normale oscilloscopio e delle termocoppie. Pa • Il modello non deve essere identificato per ogni singolo apparecchio ma deve essere rappresentativo dell’insieme di apparecchi dello stesso tipo. • Il modello non deve richiedere ulteriori misure al variare della marca o della serie del modulo di potenza usato. • Il modello deve essere identificabile attraverso un processo ben definito e il più possibile automatizzato. • Il modello deve essere correlato in modo noto alla topologia del sistema in modo da facilitare la fase progettuale e l’ottimizzazione del dissipatore. • Il modello deve essere possibilmente scalabile, ovvero poter essere facilmente ridotto in forme semplificate e implementabili per elaborazioni in tempo reale. Una considerazione su queste specifiche: rappresentare il comportamento di un insieme di oggetti significa prevedere un margine di pessimismo che comprenda fattori aleatori che influenzano le uscite del sistema, come Introduzione - 1.3. Il sistema in esame rte ad esempio il differente tipo di pasta termica usata in diversi lotti di produzione, le tolleranze sulla pressione di fissaggio del modulo al dissipatore, oppure semplicemente le differenti condizioni ambientali di funzionamento; questo comporta una necessità meno stringente sull’accuratezza del modello da adottare, a sua volta in qualche modo legata alla tipologia di strumenti di misura a disposizione per l’identificazione. Specifiche del modello, strumenti a disposizione e accuratezza del modello sono tre aspetti che devono essere perfettamente bilanciati affinché non si abbia spreco di risorse o risultati senza alcun valore: la figura 1.3 vorrebbe rappresentare i legami tra questi aspetti; in un mondo ideale gli strumenti e il tempo a disposizione non sarebbero imposti ma dipenderebbero solo dal modello da identificare scelto in base alle specifiche. 6 Strumenti, tempo Specifiche Modello Figura 1.3: Legami tra gli aspetti principali del problema Il sistema in esame Pa 1.3 Descriviamo in modo discorsivo i fenomeni in gioco, con il duplice intendimento di tratteggiare una prima descrizione del problema e sviscerare i punti principali dello studio, compresi i possibili punti critici. 1.3.1 Prime osservazioni Consideriamo un generico convertitore switching: esso è costituito da una certa configurazione di interruttori controllati, tipicamente transistori di potenza integrati in uno o più moduli, comandati secondo un opportuno criterio di funzionamento da una logica di controllo e un circuito di comando (driving). Introduzione - 1.3. Il sistema in esame 7 rte Una parte del substrato di silicio che realizza i transistori sarà sede di una densità di corrente che per gli effetti resistivi provocherà un riscaldamento, perturbando il campo di temperatura1 altrimenti uniforme. Per ogni componente ciò che interessa è il campo di temperatura all’interno del silicio, ed in particolare un suo valore rappresentativo2 , che chiameremo Tj , temperatura di giunzione; è a questo valore che in genera fanno riferimento i modelli elettrici che tengono conto della temperatura, ma l’aspetto più importante in questo ambito è il fatto che il buon funzionamento del dispositivo è garantito per Tj al di sotto di una soglia critica. Pa Il campo di temperatura nel silicio dipenderà da quanto calore viene generato e da come esso si trasferisce al resto del sistema. Il calore generato dipenderà dalle condizioni di utilizzo del dispositivo, che comprendono il sistema elettrico esterno al quale è collegato, la logica di pilotaggio, il segnale di comando; esso sarà anche strettamente legato ai meccanismi di conduzione elettrica nel semiconduttore, e poiché questi sono fortemente influenzati dalla temperatura, ecco una fastidiosa non linearità3 , che potrà essere ignorata per badare all’essenziale, ma che non dovrà essere dimenticata. Il calore generato provocherà un riscaldamento del silicio e fluirà attraverso fenomeni di conduzione verso le zone adiacenti, seguendo prevalentemente il percorso termicamente più favorevole, espandendo il fronte della perturbazione di temperatura verso le zone più lontane del sistema. Le regioni attive del chip, dove viene prodotto il calore, saranno caratterizzate dalle dinamiche più veloci della temperatura, anche per la piccola energia termica che sono in grado di assorbire, con costanti di tempo al di sotto del millisecondo; via via allontanandosi il tempo di variazione si dilata, arrivando a costanti di tempo di decine di minuti del dissipatore. È da osservare che le caratteristiche termiche del silicio, da buon semiconduttore, sono fortemente dipendenti dalla temperatura; sarà quindi opportuno perlomeno non dimenticarsi di questa non linearità. Il calore quindi diffonde per conduzione alle regioni adiacenti il silicio addensandosi per la via più conduttiva, costituita dagli strati di rame e dal substrato ceramico, attraverso le resine epossidiche collanti fino alla base metallica (baseplate) dell’involucro (case), e poi tramite la pasta termica di interfaccia al dissipatore (heatsink). Naturalmente si sta considerando il volume occupato dal sistema. Ad esempio il valore massimo. 3 Questa dipendenza motiva i diversi modelli elettrotermici proposti in letteratura per i vari dispositivi a semiconduttore, rafforzando la necessità di uno studio termico per caratterizzare in modo accurato il comportamento elettrico di questi dispositivi. 1 2 Introduzione - 1.3. Il sistema in esame rte Una piccola parte del calore riscalderà le connessioni elettriche esterne, il gel siliconico di riempimento e l’involucro plastico del modulo. Sulla superficie che delimita il volume occupato dal sistema, principalmente la superfice del dissipatore, il calore è trasmesso all’ambiente circostante attraverso fenomeni piuttosto complessi e fortemente non lineari. L’aria a contatto con la superficie si riscalderà per conduzione; alla locale diminuzione di densità corrisponderà, a causa del campo gravitazionale, una forza di galleggiamento (buoyancy) che darà luogo ad un moto convettivo tanto più vigoroso quanto è maggiore il salto di temperatura; grazie a questo moto il calore scambiato è ordini di grandezza maggiore di quello che si avrebbe unicamente per conduzione. Oltre al fenomeno convettivo parte dell’energia sarà ceduta all’ambiente per irraggiamento: la superficie calda emetterà onde elettromagnetiche aventi energia maggiore rispetto quelle ricevute dall’ambiente. 8 1.3.2 Prime considerazioni Il sistema scambia energia col mondo esterno non solo attraverso le sue porte elettriche, ma anche attraverso gli scambi termici al suo contorno; in ogni istante deve valere l’equazione di bilancio energetico, che con la convenzione degli utilizzatori si scrive: energia incremento calore elettrica = energia + (1.1) uscente entrante interna Pa Il bilancio espresso nell’equazione (1.1) è rappresentato, in termini di potenza, dalla figura 1.4, nella quale sono ben visibili i tre aspetti da sviluppare per affrontare il problema: quantificare la potenza elettrica scambiata con l’esterno, quantificare quanta energia viene accumulata dal sistema e in che modo essa fluisce all’esterno. Con un po’ di fantasia si possono immaginare le principali forme di accumulo di energia nel dispositivo: una elettrostatica, legata alle capacità interne, una magnetica dovuta alle induttanze parassite e una termica legata alla capacità termica dell’oggetto. Quest’ultima è esprimibile nel seguente modo, una volta definito il contorno del sistema: energia Z termica = ρcT dV (1.2) V immagazzinata Dove V è il volume interessato e ρ , c , T rispettivamente i campi di densità, calore specifico e temperatura definiti in esso. Introduzione - 1.4. Contenuti del lavoro 9 Qu Pe dW dt rte Figura 1.4: Bilancio energetico Può essere sensato ritenere che la parte preponderante dell’energia accumulata sia termica; in tal caso il bilancio energetico del nostro sistema, in termini di potenze, si scrive così: Z d dQu ρ c T dV + (1.3) Pe = dt V dt È proprio grazie al fenomeno conservativo espresso dalla (1.3) che il sistema può assorbire picchi di potenza entrante senza per questo subire un sensibile innalzamento della temperatura, ed è per questo che di solito i moduli di potenza sono progettati in modo da avere una adeguata capacità di immagazzinare energia termica. Contenuti del lavoro Pa 1.4 1.4.1 Argomenti Dalle precedenti considerazioni emerge che il problema in questione è scomponibile in due parti principali: la determinazione della sorgente del calore e lo studio su come esso influenza il campo di temperatura del sistema. Volendo rappresentare con uno schema a blocchi la struttura del problema si potrebbe disegnare qualcosa di simile alla figura 1.5. Le caselle blu corrispondono agli argomenti da sviluppare per poter descrivere opportunamente il problema. La parte che ha a che fare con la determinazione della sorgente del calore sottintende lo studio del legame tra le grandezze elettriche ai morsetti esterni del dispositivo e le condizioni di funzionamento, ovvero la politica di pilotaggio del dispositivo e le caratteristiche del sistema elettrico nel quale è inserito, in particolare il comportamento del carico. Introduzione - 1.4. Contenuti del lavoro 10 Riscaldamento Trasmissione del calore Proprietà termiche dei materiali Modalità di funzionamento • logica di pilotaggio • circuito esterno Tamb Sistema termico Grandezze elettriche sulle porte del dispositivo Pe • struttura del modulo • dissipatore rte • alimentazione Tj Modello del carico Segnale di comando: azionamenti pwm Modello elettrico del dispositivo Figura 1.5: Schema a blocchi del problema La parte primaria dello studio, che ha a che fare più direttamente con l’aspetto termico consiste nell’indagine dei meccanismi di trasmissione del calore del sistema e come siano influenzati dalla sua geometria. 1.4.2 Struttura Pa Il lavoro si struttura in una prima parte generale, il cui fine è, senza alcuna velleità di completezza, fornire un compendio nozionistico riguardante i due aspetti principali del problema: ci occuperemo anzitutto di calcolare la potenza dissipata nei moduli di potenza, per poi esaminare le leggi che regolano la conduzione del calore; infine verranno presi in considerazione i sistemi elettronici di potenza, per i quali, dopo una rapida panoramica degli studi riguardanti lo studio termico, verrà proposta una strada possibile per ottenere una descrizione adeguata in questo contesto applicativo. Nella seconda parte verrà reso in considerazione un sistema reale, sul quale verificare la bontà delle considerazioni teoriche. In definitiva il lavoro è così strutturato: • Generalità sull’IGBT e sui moduli di potenza • Generalità sulla trasmissione del calore Introduzione - 1.4. Contenuti del lavoro • Approccio al problema 11 · Letteratura · Individuazione del modello più opportuno · Individuazione del metodo di identificazione • Implementazione del processo di ottenimento del modello ( · Descrizione dell’apparecchio • Un sistema concreto · Descrizione del sistema di misura · Misure statiche rte • Misure e simulazione · Risposta al gradino e identificazione · Ingresso intermittente: simulazione e meta-validazione Pa • Conclusione Capitolo 2 rte Sul componente di potenza In questo capitolo viene descritto il protagonista di questo studio, l’IGBT, fornendo nozioni generali sulla sua struttura e funzionamento, ed anche sull’architettura dei moduli di potenza che li contengono. Pa Con interruttore si intende un bipolo ideale, lineare, tempovariante, e bistabile, caratterizzato cioè dal presentare due diverse caratteristiche elettriche a seconda del suo stato, e in grado di passare da uno stato all’altro in un tempo nullo. Allo stato di interdizione, corrisponde la caratteristica elettrica di un generatore di corrente nulla (circuito aperto o resistenza infinita); nell’altro stato, detto di conduzione, l’interruttore esibisce il comportamento di un generatore di tensione nulla (corto circuito o resistenza nulla). L’utilità di questa astrazione si chiarisce nella sezione seguente. 2.1 Sulle “valvole statiche” Il principio di funzionamento della maggior parte dei convertitori elettrici di energia, dagli alimentatori agli azionamenti elettrici, è basato su configurazioni di interruttori1 , in grado di aprire e chiudere il circuito a frequenze molto alte. Il ruolo principale dei dispositivi elettronici di potenza è proprio quello di interruttore2 in queste applicazioni, dette di tipo switching; è quindi possibile svolgere alcune considerazioni generali a prescindere dalla loro strutO più propriamente valvole, perché di solito consentono sempre il passaggio di corrente in un senso. 1 12 Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT Pa rte tura interna e dalle particolari soluzioni tecnologiche che ne influenzano le caratteristiche. Gli interruttori elettronici hanno due porte elettriche: una di potenza, dove viene realizzato l’interruttore, e l’altra di bassa potenza, dove viene applicato il segnale di comando; in genere si presentano come dei tripoli. Gli sforzi dei produttori di questi componenti sono volti ad avvicinare il più possibile la caratteristica degli interruttori ideali al fine di diminuire le perdite interne, principale fattore che limita la potenza trasmessa e l’affidabilità. Se nello stato di interdizione la potenza persa è trascurabile, durante la conduzione si avrà una dissipazione dipendente dalla caduta di tensione sulla porta di potenza e dalla corrente richiesta dal carico. È da sottolineare che una parte sostanziale delle perdite ha luogo durante il transitorio di commutazione, il quale, a dispetto delle condizioni ideali, richiede un tempo finito. Nel corso delle fasi di accensione e spegnimento tensione e corrente sulla porta di potenza assumono valori tali da avere picchi di potenza dissipata, limitando così la frequenza operativa dell’interruttore elettronico. Tipicamente migliorare le prestazioni in commutazione significa peggiorare quelle in conduzione: il miglior compromesso tra velocità e potenza dipende dall’applicazione in cui deve essere impiegato il dispositivo. Ormai la maggior parte dei sistemi di conversione, se non quelli di alta potenza, fanno uso di dispositivi basati sulla tecnologia Metal Oxide Silicon (MOS), il cui processo produttivo è ormai consolidato e consente una buona integrazione dei componenti; questi dispositivi sono avvantaggiati della facilità di pilotaggio e del buon comportamento in commutazione. Se le applicazioni caratterizzate da alte frequenze di commutazione (fino ed oltre 500kHz ) e basse potenze sono dominate dai transistori Metal Oxide Silicon Field Effect Transistor (MOSFET), quelle di media potenza sono ormai dominate dagli IGBT, come si può osservare in figura 2.1 nella pagina seguente. 13 2.2 Sull’IGBT Disponibile sul mercato dal 1988, l’IGBT combina la capacità di sostenere alte densità di correnti tipica dei dispositivi bipolari, con un buon comportamento in commutazione e la facilità di pilotaggio proprie dei dispositivi MOS. Spesso gli “elettrici” si riferiscono a questi dispositivi con il termine interruttori statici, distinguendoli così dai congegni meccanici che realizzano lo stesso bipolo. 2 Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 1 GW 14 Thyristor 100 MW GTO/IGCT 10 MW 1 MW IGBT rte 100 kW 10 kW MOSFET 1 kW 100 W 10 Hz 1 kHz 100 kHz 10 MHz Figura 2.1: Panoramica del campo di applicazione dei dispositivi di potenza (fonte: G.Joòs, Power Electronic Systems) Pa Grazie a questo ottimo compromesso, alla facilità di utilizzo in parallelo, ed anche al fatto di condividere con i MOSFET la tecnologia produttiva e i circuiti di pilotaggio, Gli IGBT hanno avuto una grande diffusione sostituendo progressivamente i transistori bipolari (Bipolar Junction Transistor (BJT)) nei sistemi di conversione di media potenza (centinaia di kW ), lavorando con frequenze di commutazione fino a 20kHz (ed oltre in applicazioni softswitching); sono inoltre allo studio sistemi di potenza oltre il 1MW . Questa natura ibrida motiva l’uso di indicare i corrispondenti morsetti di drain e source come collettore ed emettitore; il simbolo circuitale adottato in questo documento (figura 2.2) evidenzia lo stretto legame con il transistore bipolare. Il dispositivo che stiamo considerando è un tripolo, quindi caratterizzato elettricamente, in regime quasistazionario, dalle tensioni e correnti presenti sulle tre porte elettriche; queste sei grandezze sono legate dalle due relazioni di Kirchhoff, quindi si hanno solo due due porte elettriche indipendenti; di solito si considerano quelle rappresentate in figura 2.2, dove si può distinguere la porta di comando e quella di potenza. Esaminiamo ora in modo sommario la struttura ed il funzionamento di questo dispositivo (si veda ad esempio [BGG99], oppure [MUR95]). Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 15 Cb IC b rte G VCE IG VGE b E Figura 2.2: Porte elettriche dell’IGBT 2.2.1 Struttura e funzionamento Per completezza ed a vantaggio del lettore descrivo in modo discorsivo e senza alcuna velleità di completezza la struttura e il principio di funzionamento dell’IGBT, focalizzando l’attenzione sugli aspetti che potrebbero far comprendere meglio alcuni punti di questo documento. Struttura Pa Come si può vedere in figura 2.3 nella pagina successiva la struttura della cella elementare dell’IGBT a canale n ottenuto per diffusione verticale è molto simile a quella del MOSFET, ad eccezione di uno strato p+ posto nella regione di drain. Questo strato forma con lo strato sovrastante la giunzione pn J1 , che inietta portatori minoritari nella regione di drift, dando luogo al fenomeno della modulazione di conduttività, che consente all’IGBT di sopportare delle densità di corrente venti volte maggiori rispetto alla struttura MOSFET equivalente. Lo stato di conduzione e interdizione del dispositivo è controllato, come nel MOSFET, dalla tensione di gate, ossia la differenza di potenziale tra gate e drain. Se questa tensione è minore di una certo valore di soglia non si crea lo strato di inversione e il dispositivo è interdetto; pur applicando una tensione diretta tra collettore ed emettitore fluirà tra essi solo la piccola corrente di dispersione della giunzione J2 inversamente polarizzata. Poiché tutta la 16 rte Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT Figura 2.3: Struttura dell’IGBT verticale (fonte: [MUR95]) Pa tensione applicata cade su di essa, il valore massimo di tensione diretta1 che è possibile bloccare dipende dalla tensione di rottura di questa giunzione ed è quindi strettamente legata alla concentrazione dei droganti nella regione n di deriva: minore è il drogaggio, maggiori sono le dimensioni della zona di svuotamento e quindi la tensione di rottura, e, naturalmente, peggiori le prestazioni in conduzione. In alcuni IGBT, come quello in figura 2.3, detti Punch Through (PT), viene aggiunto uno strato “tampone” n+ (buffer layer) tra la zona p+ del drain e la regione di deriva (drift region), che impedisce alla zona di svuotamento della giunzione J2 di invadere il collettore, consentendo di minimizzare lo spessore della regione di deriva migliorando il comportamento in conduzione ma limitando notevolmente la tensione diretta che è possibile bloccare; inoltre la presenza di questo strato favorisce la ricombinazione dei portatori minoritari durante lo spegnimento, diminuendo il tempo necessario per passare allo 1 forward breakdown voltage Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 17 stato di interdizione. Conduzione rte Applicando una tensione positiva tra il gate e l’emettitore maggiore del valore di soglia si innesca la transizione verso lo stato di conduzione: si forma lo strato di inversione che permette all’emettitore (source) di immettere elettroni nella regione di deriva, mentre il collettore inietta dall’altro lato lacune. Una pregevole rappresentazione del percorso dei portatori di carica è in figura 2.4. Emitter + A´ Gate B´ Emitter + Al SiO2 - + + + n+ d - p- - p+ + + p- + + - p+ - - + + - + + - + + + + - + + + + - + + + + - + + + + - + np+ 2 3 1 B + 1 + 3 np+ 2 A + - Collector - + + Pa Figura 2.4: Percorso dei portatori di carica durante la conduzione (fonte: [SEM]) Questo meccanismo porta ad avere una elevata concentrazione di portatori liberi nella regione di deriva e quindi di esibire un comportamento da conduttore. Il comportamento in conduzione è sintetizzato nel primo quadrante della caratteristica elettrica esterna statica in figura 2.5 nella pagina successiva (a), dove si distinguono due regioni di funzionamento distinte. Per una tensione di gate VGE di poco superiore al valore di soglia, la corrente di collettore IC è indipendente dalla tensione collettore-emettitore VCE ma è legata al valore di VGE con una relazione univoca del tipo riportato in figura 2.5 nella pagina seguente (b), dove si può distinguere la definizione della transconduttanza diretta gf s , in analogia al MOSFET. In queste applicazioni dove si vuole che il dispositivo approssimi la caratteristica di un interruttore bisogna evitare assolutamente il funzionamen- 18 Avalanche-Breakdown IC Active Region Saturation Region Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT IC gfs= rte VGE ∆ IC ∆VGE VCE V < VGE(th)V(BR)CES Forward BlockingGE Characteristic -VCE IGBT without hybride Antiparallel-Diode a) VGE(th) VGE b) IGBT with hybride Antiparallel-Diode I (-I ) F C Figura 2.5: Caratteristiche esterne dell’IGBT (fonte: [SEM]) Pa to in questa regione, detta attiva (active region), date le elevate dissipazioni termiche che comporta; è chiaro però che essa è attraversata durante la commutazione. Lo stato di on dell’interruttore è ben approssimato dalla regione di saturazione (saturation region), dove la caduta di tensione VCE è minima e, tipico dei dispositivi bipolari, poco sensibile alla corrente di collettore, determinata dal circuito esterno; questo regime di funzionamento si raggiunge per tensioni di gate ben oltre la soglia, ed è caratterizzato dal valore della caduta di tensione in saturazione, che per quanto detto è sensibilmente minore di quella del MOSFET. Circuito equivalente e fenomeni parassiti Alcune delle lacune iniettate si ricombineranno nella regione di deriva, ma altre diffonderanno fino all’opposta regione p (➁ in figura 2.4). L’IGBT può quindi essere assimilato ad un transistore bipolare pnp la cui corrente di base è fornita da un MOSFET attraverso la regione di deriva, così i modelli circuitali di questo dispositivo hanno la struttura di figura 2.6 nella pagina successiva, dove oltre al MOSFET e il BJT pnp in configurazione Darlington si Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 19 può notare il transistore parassita npn formato dalla zona n del source, dalla adiacente zona p (body) e dalla regione di deriva. C rte RMOD RBE G Figura 2.6: E E Un circuito equivalente dell’IGBT (fonte: Mitsubishi) La RBE rappresenta la resistenza trasversale della zona p, la cui caduta di tensione può polarizzare direttamente il transistore parassita causando una elevata iniezione di elettroni nella regione p; questo fenomeno, detto latch-up, porta il dispositivo fuori controllo e, probabilmente, alla sua distruzione. Un modello circuitale più preciso e il suo legame con la struttura è riportato in figura 2.7, dove sono evidenziati gli effetti capacitivi di cui parleremo affrontando la commutazione. Gate Emitter Pa Emitter CGE RG C (Collector) Al SiO 2 n+ RW p- CGC p - p+ RD CGC CCE RG G (Gate) CCE np+ a) RD p+ CGE RW np+ Collector (Emitter) E b) Figura 2.7: Un modello circuitale più accurato e la corrispondenza con la struttura (fonte: [SEM]) Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 20 Il transistore npn fa parte del tiristore parassita evidenziato in figura 2.3 a pagina 16; per ridurre il rischio che esso si attivi causando il latch-up si cerca di minimizzare la resistenza trasversale RBE e si usano tecniche di controllo del tempo di vita dei portatori minoritari per ridurre il guadagno del componente parassita. 2.2.2 Commutazione Pa rte Il passaggio tra gli stati di interdizione e conduzione comporta picchi di dissipazione di potenza, come già osservato infatti per tensioni di gate vicine al valore di soglia il dispositivo funziona in zona attiva, dove tensione e corrente della porta di potenza possono essere contemporaneamente elevate. Le perdite in commutazione spesso rappresentano la parte preponderante delle perdite totali, influenzando quindi pesantemente la modalità di lavoro del dispositivo. b Durante la commutazione dell’IGBT si possono distinguere le due diverse dinamiche associate al MOSFET e L al BJT dei quali lo possiamo pensaR re composto. Come ci si può aspettare la parte iniziale dei transitori bc VDC hanno tratti molto simili a quelli dei IC MOSFET. La dinamica più veloce è quella VCE g relativa al segnale di comando, legab ta alle capacità ed alla resistenza di be gate. Dal punto di vista del circuito b V GE di comando l’IGBT appare come una maglia rc alla quale deve essere for- Figura 2.8: Un IGBT che comanda un carico induttivo nita e rimossa nel più breve tempo possibile una certa quantità di carica. Minore è il valore della resistenza, minore sarà il tempo di stabilizzazione della tensione di gate, maggiore la corrente che il circuito di pilotaggio dovrà essere in grado di erogare per caricare e scaricare le capacità. Molte applicazioni richiedono all’IGBT l’apertura e la chiusura forzata (hard switching) di carichi di tipo induttivo (tipicamente motori), aventi costante di tempo molto maggiore del periodo di commutazione del transistore. Descriviamo in queste condizioni le fasi della commutazione di un IGBT, riferendoci alla configurazione di figura 2.8. Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 21 Accensione rte Applicando una tensione positiva2 alla porta di comando gate-emettitore, la tensione di gate sale con un andamento esponenziale che come già anticipato dipende essenzialmente dal valore della resistenza di gate RG e dalla capacità gate-emettitore CGE ; la capacità di Miller CGC è molto piccola a causa degli alti valori di tensione sulla porta di potenza (collettore-emettitore). Quando la tensione di gate raggiunge il valore di soglia (istante t1 in figura 2.9), la corrente tra collettore ed emettitore comincia a salire con un andamento lineare. Se il diodo di ricircolo del carico è ancora polarizzato direttamente, durante questa fase la tensione collettore-emettitore VCE è circa uguale alla tensione di alimentazione VDC . VGth VG IL IC .VDC Pa VCE VCE on t1 t2 t3 t4 Figura 2.9: Grandezze elettriche all’accensione dell’IGBT Quando il diodo si polarizza inversamente la VCE comincia a decrescere (istante t2 in figura 2.9); in questa fase si possono distinguere due intervalli, uno corrispondente al passaggio nella regione attiva e l’altro nella regione ohmica. Mano a mano che la VCE si fa piccola l’effetto della capacità di Miller si fa rilevante; quando essa si scarica completamente la tensione di gate aumenta e l’IGBT entra in saturazione piena (istante t4 in figura 2.9). È importante osservare che il comportamento in commutazione è strettamente legato alla tensione di gate secondo leggi ben definite; questa caratteristica, ereditata dal MOSFET, permette ad esempio di limitare la rapidità 2 Pensiamo a dispositivi a canale n Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 22 di variazione della corrente e della tensione della porta di potenza attraverso una retroazione sulla porta di comando, evitando di aggiungere circuiti limitatori esterni. rte Spegnimento VGth VG IL IC .VDC VCE on VCE t1 t2 t3 t4 Figura 2.10: Grandezze elettriche allo spegnimento dell’IGBT Pa Applicando un segnale di tensione negativo alla porta di comando si osserva che la tensione di gate VGE decresce in modo approssimativamente lineare; quando viene oltrepassata una soglia minima (istante t1 in figura 2.10) il canale tra collettore ed emettitore diverrà meno conduttivo e la relativa caduta di tensione comincerà ad aumentare, anch’essa linearmente. Nel frattempo la corrente di collettore tenderà a mantenersi inalterata a causa dei fenomeni induttivi, fino a quando la tensione VCE non raggiunge la tensione continua di ingresso VDC (istante t2 in figura 2.10). Quando ciò accade il diodo di ricircolo del carico entra in conduzione e IC comincerà a decrescere; anche qui si possono riconoscere due diversi intervalli. Al primo tratto, corrispondente allo spegnimento della parte MOSFET, segue una coda di pendenza minore dovuta alla parte BJT (istante t3 in figura 2.10), corrispondente allo svuotamento della carica dei portatori minoritari nella zona di deriva, che può avvenire solo per ricombinazione. È proprio questa coda, tipica dei dispositivi bipolari, che rende maggiori le perdite di turn off e che limita la frequenza di commutazione del dispositivo. Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT rte In proposito è interessante osservare che rendere minore il tempo di vita dei portatori in eccesso nella zona di deriva significa diminuire il tempo di spegnimento e quindi le perdite di commutazione, aumentando però la caduta di tensione in conduzione e quindi le relative perdite. Questo compromesso spiega la presenza in commercio di IGBT cosiddetti veloci, ottimizzati cioè per lavorare ad alte frequenze di switching, e IGBT low-loss, ottimizzati per applicazioni lente, come quelli usati nelle unità di frenatura. Come già anticipato il tempo di rimozione delle cariche in eccesso può notevolmente essere migliorato grazie ad uno strato aggiuntivo n+ posto sopra il collettore (struttura PT): l’elevato tasso di ricombinazione rispetto l’adiacente zona di deriva provoca un gradiente di densità delle lacune e quindi un flusso di diffusione uscente che migliora notevolmente il tempo di svuotamento. 23 Fenomeni parassiti Pa In figura 2.11 si possono osservare degli andamenti più realistici di VCE e IC durante la commutazione, che testimoniano la presenza di fenomeni parassiti di cui non avevamo tenuto conto. Figura 2.11: Commutazione dell’IGBT vista all’oscilloscopio (fonte: Eupec) La sovraelongazione della corrente di collettore in accensione è dovuta alla corrente di recupero del diodo di ricircolo che si spegne, mentre durante il turn-off si può notare un picco della tensione tra collettore ed emettitore, dovuto al rilascio dell’energia magnetica immagazzinata dalle induttanze parassite. La caduta di tensione sulle induttanze parassite è dipendente dalla rapidi dità di variazione della corrente di collettore ( dt ), che può essere controllata Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT rte attraverso il segnale di comando, in particolare agendo sulla resistenza di gate. Una variazione di corrente troppo rapida ha effetti molto negativi sul buon funzionamento del dispositivo: essa potrebbe dar luogo a sovratensioni sulle induttanze non sopportabili dal dispositivo, inoltre la caduta sull’induttanza parassita comune di emettitore si sovrappone alla tensione di comando, circostanza molto pericolosa; queste sovratensioni possono inoltre avere un cattivo effetto sulla corrente di recupero del diodo in antiparallelo, che a sua volta di si agisce aumentando può causare pericolose sovratensioni. Per limitare dt la resistenza di gate, quindi peggiorando il tempo di commutazione. Il valore della resistenza di gate ha un marcato effetto sulle prestazioni dinamiche dell’IGBT. Se un valore basso consente di caricare e scaricare più velocemente le capacità di gate consentendo di ridurre il tempo di commudi tazione e quindi le perdite, esso può dare luogo a dt troppo elevati ed a oscillazioni tra le induttanze delle connessioni e le capacità in ingresso. La corrente massima di collettore è fissata in modo da evitare il latchup del tiristore parassita, in base alle condizioni dinamiche peggiori; corrispondentemente viene specificato un valore massimo della tensione di gate per limitare le sovracorrenti dovute ai guasti, forzando il funzionamento nella regione attiva dove la corrente si mantiene costante al variare di VCE ; ovviamente questa condizione di funzionamento, caratterizzata da alte dissipazioni, è sopportabile solo per pochi istanti. 24 2.2.3 Gli effetti della temperatura Pa La temperatura influenza pesantemente il comportamento elettrico dei semiconduttori. Come già accennato i dispositivi a conduttore cessano di funzionare nel modo preordinato se la temperatura di funzionamento è troppo elevata; in [SWF98] si è osservato che la temperatura di giunzione operativa per IGBTs PT, anche se dipendente dalle condizioni di lavoro, si può collocare nell’intervallo 115 ÷ 170◦ C , mentre per quelli di tipo Non Punch Through (NPT), termicamente più stabili, può superare i 200◦ C . Senza considerare valori tali da pregiudicare totalmente il funzionamento, gli effetti dell’incremento di temperatura di giunzione nei transistori IGBT si traduce in un generale peggioramento delle prestazioni. La caduta di tensione diretta e quindi le perdite in conduzione crescono negli IGBT di tipo NPT in modo proporzionale alla temperatura (mentre decrescono nei PT), circostanza che evita il rischio di fughe termiche nell’esercizio in parallelo di più dispositivi. Con la temperatura aumenta il tempo necessario alla commutazione, in particolare le perdite in fase di spegnimento possono aumentare in modo Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 25 rte significativo a causa dell’accentuamento della coda finale di corrente (tailing effect), così come avviene nei BJT; questo significa avere una grave instabilità termica per dispositivi spinti alle frequenze di funzionamento limite. Un altro effetto pericoloso dell’aumento di temperatura è la diminuzione della tensione di soglia di accensione (e anche della transconduttanza che lega la tensione di comando alla corrente di collettore), facendo aumentare il rischio di accensioni non volute. Tipicamente per evitare questi rischi i produttori raccomandano una temperatura di funzionamento massima di 125 ÷ 150◦ C . 2.2.4 Potenza dissipata Il fine ultimo che motiva queste considerazioni sul dispositivo di potenza è il calcolo di quanta potenza esso assorbe, degradandola in calore al suo interno. Con le convenzioni della figura 2.2 la potenza elettrica entrante nel dispositivo è data da: Pe = VGE IG + VCE IC ≃ VCE IC (2.1) Pa La potenza scambiata attraverso il gate ha un valore relativamente piccolo e la trascuriamo; bastano quindi le grandezze elettriche sulla porta di potenza per caratterizzare lo scambio di potenza elettrica col mondo esterno. Lo schema di figura 2.12 suddivide le perdite nel dispositivo in base allo stato di funzionamento, ricordando il fatto che oltre alla potenza necessaria al comando anche la corrente inversa nello stato di interdizione è in genere trascurabile. Questa classificazione evidenzia i due principali termini che compongono le perdite nel chip dell’IGBT: conduzione e commutazione. La potenza persa nel diodo di ricircolo in parallelo all’IGBT (free-wheeling diode) può essere scomposta nei termini visualizzati nello schema di figura 2.13. Anche per il diodo si possono ritenere trascurabili le perdite nello stato di interdizione3 ; le perdite in fase di spegnimento (che ha luogo quando l’IGBT si accende) sono dovute al processo di svuotamento delle cariche, che comporta l’assorbimento di una corrente di recupero; nei diodi veloci spesso è possibile trascurare questo termine. È da puntualizzare che questo potrebbe non essere vero per i diodi Schottky, la cui corrente inversa è fortemente dipendente dalla temperatura. 3 Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT Statiche (static losses) Perdite IGBT Pilotaggio (driving losses) (IGBT losses) Conduzione (on-state losses) Interdizione (blocking losses) Accensione (turn-on losses) rte Commutazione (switching losses) 26 Spegnimento (turn-off losses) Figura 2.12: Classificazione delle perdite nell’IGBT Statiche (static losses) Conduzione (on-state losses) Interdizione (blocking losses) Perdite diodo (diode losses) Pa Dinamiche (switching losses) Accensione (turn-on losses) Recupero (recovery losses) Figura 2.13: Classificazione delle perdite nel diodo di ricircolo Perdite in conduzione Le perdite di conduzione dell’IGBT e del diodo sono date dal prodotto della caduta di tensione diretta del dispositivo per la corrente assorbita dal carico. Visto che le cadute di tensione diretta dell’IGBT e del diodo sono in genere piccole rispetto la tensione sul carico, la corrente che li attraversa dipende ben poco dal loro comportamento elettrico ed è in sostanza fissata dalla linea di alimentazione e dal carico stesso. Grazie alla modulazione di conduttività la caduta di tensione diretta di Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT rte questi dispositivi varia meno che linearmente al crescere della corrente (figura 2.5 a pagina 18), tanto da approssimarla costante in calcoli di massima che riguardano variazioni limitate di corrente4 . La caratteristica di uscita VCE (IC ) oltre che dipendere dalla tensione di comando VGE è influenzata dalla temperatura di giunzione, ma questa dipendenza è raramente messa in conto negli usuali calcoli, anche perché solitamente i produttori nel fornire questi dati considerano un solo valore di temperatura corrispondente alla condizione peggiore di funzionamento (di norma 125◦ C ). Riassumendo il calcolo della potenza dissipata durante la conduzione comporta la determinazione della corrente del carico e la conoscenza del primo quadrante della caratteristica di uscita VCE (IC ) , corrispondente alla tensione di comando dell’IGBT. Poiché durante la conduzione dell’IGBT il diodo è interdetto, la potenza persa in esso è trascurabile. 27 Perdite in commutazione Pa Per visualizzare invece cosa accade durante la commutazione è illuminante osservare il grafico di figura 2.14 nella pagina successiva, che visualizzato il prodotto tra tensione e corrente durante l’accensione e lo spegnimento di un carico induttivo, e dove tra l’altro è visibile la usuale definizione dell’intervallo di commutazione. In esso si possono notare i picchi di potenza dissipata durante i transitori rispetto il valore ben più basso durante la conduzione; l’area di questi picchi corrisponde all’energia assorbita. Per prevedere cosa accade durante questi transitori non serve solo un modello dettagliato del dispositivo, ma anche la conoscenza del sistema elettrico esterno; in genere l’unica via ragionevole per quantificare queste perdite è affidarsi a misure dirette, oppure, quando questo non è possibile, alle misure effettuate dal produttore stesso del modulo che tipicamente fornisce i valori di energia persa durante l’accensione e lo spegnimento dell’IGBT ( Eon , Eof f ), e l’energia di spegnimento o di recovery del diodo di ricircolo integrato nel modulo ( Erec ); in genere questi valori sono forniti al variare della corrente di collettore e della resistenza di gate, per un valore fissato della tensione di alimentazione e della temperatura di giunzione. Di solito per riportare il valore dell’energia persa per tensioni di alimentazione diverse da quella relativa alle curve riportate si usa un legame Nell’IGBT considerato in questo lavoro VCE varia di un volt e mezzo per correnti di collettore da 25A a 125A . 4 Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 28 IC n VCE d 10% 10% 10% 10% rte ESW(off) ESW(on) P = IC X VCE Figura 2.14: Dissipazione di energia durante lo switching (fonte: Mitsubishi) lineare: VDC = ElossV ) DC DCN VDCN Eloss(V (2.2) Note queste energie, la potenza dissipata media di commutazione durante un regime intermittente di frequenza fc è stimabile con: Pon/of f = fc Eon/of f (2.3) Pa In mancanza di questi dati sperimentali forniti dal produttore è possibile effettuare una stima in prima approssimazione dell’energia persa in commutazione nell’IGBT a partire dai valori della tensione tra collettore ed emettitore durante lo stato di off ( VDC ) e la corrente assorbita dal carico durante lo stato di on ( IL ), azzardando un valore del tempo di commutazione e ipotizzando degli andamenti lineari: Eon/of f = VDC IL ton/of f 2 Ovviamente se è necessaria una stima della potenza istantanea occorre unire all’informazione riguardante l’energia persa quella relativa ai tempi di commutazione. I produttori indicano i tempi di commutazione in condizioni standard5 fornendo addirittura i tempi relativi alle dinamiche veloci (quelle legate al MOSFET) e lente. Carico induttivo, pilotaggio consigliato, tensione di alimentazione e corrente di collettore nominali, temperatura di giunzione a 25◦ C e a 125◦C . 5 Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 29 rte In particolare vengono indicati i tempi di “reazione” al segnale di comando, definiti come l’intervallo di tempo tra quando la tensione di gate ha raggiunto il 90% del valore di regime e la tensione tra collettore ed emettitore è cambiata del 10% del valore precedente; questi tempi si indicano di solito con tdon (turn-on delay time) e tdof f (turn-off delay time). Le dinamiche lente sono invece individuate dai tempi tr (rise time) e tf (fall time), che indicano i tempi in cui la IC completa la transizione, passando nel primo caso dal 10% al 90% del valore finale e nel secondo caso dal 90% al 10% del valore iniziale. I tempi totali di commutazione possono essere stimati sommando questi parametri: ton = tdon + tr tof f = tdof f + tf L’ordine di grandezza dei valori dei tempi di commutazione è attorno ai decimi di microsecondo. Perdite nell’IGBT Con queste informazioni siamo in grado di rappresentare in qualche modo la potenza istantanea dissipata dall’IGBT, ad esempio assumendo il profilo rettificato illustrato in figura 2.15. P max Pof f Pa max Pon Eon ton Pcond Eof f tof f t Figura 2.15: Una stima della potenza istantanea dissipata nell’IGBT In tal caso, volendo esprimere in linguaggio matematico la potenza du- Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT rante il turn-on (il turn off è speculare) si può scrivere: max Pon ∆t , 0 < ∆t < tonr tonr Pon (t) = P max − Pcond − on (∆t − ton ) + Pcond , tonr < ∆t < ton tonf 30 (2.4) Dove la potenza in conduzione e il picco in commutazione sono date da: , max Pon = 2 Eon − Pcond ton ton (2.5) rte Pcond = VCE(I) IC In questa stima si è pensato di poter distinguere nel tempo di commutazione ton l’intervallo di salita tonr e di discesa tonf della potenza; senza affliggersi troppo sul loro effettivo valore, questi potrebbero ad esempio essere assunti identici. Naturalmente il calcolo si può perfezionare adottando un profilo più realistico, usando ad esempio una funzione esponenziale per il fronte di discesa; tuttavia è bene non dimenticare qual è il livello di approssimazione di questi calcoli. È da osservare che questo tipo di considerazioni, che si risolvono nel fissare a priori l’andamento della potenza dissipata, perdono di senso se gli intervalli tra le commutazioni sono minori dei tempi di commutazione stessi; del resto una condizione di esercizio simile sarebbe a dir poco irragionevole. Perdite nel diodo Pa Le perdite nel diodo hanno luogo durante le fasi transitorie che seguono la commutazione dell’IGBT. A seguito del turn on dell’IGBT il diodo si spegne e assorbe una potenza stimabile in modo analogo alle potenze di commutazione dell’IGBT dal valore dell’energia di recovery Erec e da una stima del tempo di recovery trec , anche se il peso sul bilancio energetico di queste perdite è in genere molto più piccolo di quelle dell’IGBT; il comportamento del diodo in turn off è importante soprattutto per quanto riguarda il valore delle sovratensioni innescate dalla brusca variazione di corrente. Nella fase che segue il turn off dell’IGBT il diodo conduce la corrente alimentata dall’induttanza del carico; la potenza istantanea dissipata sarà data dal prodotto della caduta di tensione diretta sul diodo per la corrente che lo attraversa, data dalla differenza tra la corrente di ricircolo del carico e la coda di corrente assorbita dall’IGBT in fase di spegnimento: PDcond = VDF (I) IDF = VDF (I) (IL − IC ) (2.6) Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 31 Mentre la caduta di tensione diretta può essere stimata usando la caratteristica di uscita del diodo fornita dal produttore, la corrente dipenderà dalle caratteristiche del carico (volendo essere precisi, della maglia che forma con il diodo). L’andamento della corrente nel carico induttivo nella fase successiva lo spegnimento non sarà tanto lontano da un’esponenziale decrescente, la cui costante di tempo è data dalla resistenza e induttanza della maglia diodocarico, in genere approssimabili a quelle relative al solo carico: t IL = IL e− τ rte Dove IL è la corrente di regime. La corrente che attraversa il collettore dell’IGBT durante lo spegnimento può essere assunta, sulla spinta delle approssimazioni fatte, come una retta decrescente: t IC = IL −1 tof f Le correnti così calcolate e la loro differenza sono rappresentate nel grafico in figura 2.16. I b IL b Pa tof f t Figura 2.16: Corrente che attraversa il diodo durante lo spegnimento dell’IGBT In definitiva le perdite nel diodo sono stimabili se si conosce l’energia di recupero e la caratteristica di uscita del diodo, e la costante di tempo del carico. Analogamente a quanto visto per l’IGBT, esse possono essere calcolate come in figura 2.17 nella pagina successiva. Una nota sulle misure dirette In virtù dell’equazione (2.1), la potenza dissipata nel dispositivo potrebbe essere sperimentalmente determinata misurando con un oscilloscopio tensione e corrente tra collettore ed emettitore e facendo il prodotto dei due andamenti. Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT P 32 b Erec b b on 4 ÷ 5 τL t rte trec off Figura 2.17: Perdite nel diodo di ricircolo Pa Il verbo è coniugato nel modo congiuntivo perché la tensione e la corrente effettive ai capi dell’IGBT non sono accessibili fisicamente a causa degli elementi parassiti: è chiaro quindi che la potenza misurata comprende anche la potenza che questi elementi conservativi palleggiano con l’esterno. Se quindi il valore istantaneo della potenza misurata non coincide con quello della potenza dissipata, è da osservare che ipotizzando un regime periodico, per la conservazione dell’energia, le media temporali dovranno essere le stesse. D’altra parte, se è noto il comportamento termico statico del sistema, è possibile stimare la potenza dissipata media attraverso misure di temperatura all’equilibrio termico: TAB Pe = Rth AB(T) In questo lavoro sono utilizzati entrambe le strade come verifica della bontà delle stime effettuate con i dati del produttore. Sul componente di potenza - 2.3. Moduli di potenza 2.3 33 Moduli di potenza Pa rte Le prestazioni e la robustezza dei componenti elettronici di potenza dipendono strettamente da come vengono fornite loro l’isolamento e le connessioni elettriche, il supporto meccanico, la protezione dall’esterno, il canale per smaltire il calore: in una parola, dal packaging del componente. In un modulo di potenza (IPEM) uno o più dispositivi a semiconduttore sono integrati su un supporto comune unito ad una piastra metallica di dissipazione elettricamente isolata e protetto da un involucro plastico. I moduli di potenza sono prodotti pensati per essere usati in produzioni di massa, e perciò dovrebbero essere caratterizzati da una lunga vita, buona affidabilità ed un basso costo. L’affidabilità è intimamente legata alle prestazioni termiche; queste si quantificano misurando la temperatura del die di silicio, data una certa potenza dissipata: minore è la temperatura, migliore è il modulo. Nonostante lo svantaggio di avere solo un lato a disposizione per la dissipazione termica, i moduli di potenza sono sempre più utilizzati per i numerosi vantaggi che offrono, come la facilità di utilizzo, grazie al fatto che il dissipatore è elettricamente isolato, e la flessibilità delle funzionalità implementate, nulla vieta infatti di integrare nello stesso modulo i circuiti di protezione e di controllo (smart modules); non bisogna sottovalutare poi i bassi costi dovuti alla produzione di massa. C’è da dire che le prime produzioni di moduli avevano seri problemi di affidabilità principalmente dovuti alla qualità della realizzazione dell’interfaccia di saldatura tra i vari materiali, messe alla prova dagli stress meccanici dovuti ai cicli termici. Le tipiche ragioni di guasto sono il formarsi di intercapedini d’aria nel canale di dissipazione termica, che causano dannosi surriscaldamenti locali, oppure il distaccamento dei fili di Alluminio usati per le connessioni elettriche sui chip. L’uso di materiali aventi coefficienti di espansione termica vicini ha migliorato di molto le cose; grandi passi sono stati fatti nella direzione dell’affidabilità a lungo termine dei moduli plastici, e la ricerca continua. 2.3.1 Architettura DCB La struttura interna dei moduli di potenza deve equilibrare esigenze di diversa natura, ad esempio dal punto di vista elettrico è necessario minimizzare le induttanze parassite delle connessioni interne, causa di pericolose sovratensioni durante lo spegnimento; allo stesso tempo deve essere assicurato un adeguato isolamento tra i conduttori; dal punto di vista termico le Sul componente di potenza - 2.3. Moduli di potenza 34 rte zone attive devono essere il più congiunte possibile al dissipatore; dal punto di vista meccanico serve una protezione dall’esterno e inoltre sarebbe ideale che non ci esistessero sforzi interni alla struttura. Una tecnologia costruttiva di grande impatto sulla robustezza e tempo di vita dei moduli è l’architettura Direct Copper Bonding (DCB). Attraverso un processo ad alta temperatura e pressione vengono fissate delle lamine di rame ad uno strato isolante ceramico ( Al2 O3 o AlN ): il fissaggio è così saldo da permettere sforzi interni tali che i due materiali saranno soggetti alla stessa espansione termica. Gli spessori di queste lamine sono dell’ordine di 300 µm . Su un lato del substrato così ottenuto sono saldati i chips di silicio, mentre l’altro lato viene unito mediante un materiale di saldatura eutettico alla piastra metallica di smaltimento del calore baseplate) del case, tipicamente costituita da uno spesso strato di Rame. Questa tecnica combina una buona conduttanza termica verso l’esterno ed una alta tensione di isolamento. Diode Chip IGBT Chip Bonding Wire Rame Chip Solder Al2 O3 DCB Rame solder substrate Baseplate Pa Figura 2.18: Struttura di un modulo DCB Il silicio è quindi saldato allo strato metallizzato del substrato isolante, che oltre fornire l’isolamento elettrico dalla piastra metallica esterna costituisce la via principale per lo smaltimento del calore. Le connessioni elettriche interne sono fornite dallo strato metallizzato e da filamenti metallici (bonding wires) saldati sul lato superiore dei chips, annegati in un gel siliconico termicamente conduttivo. Questo sandwich di materiali differenti comporta diversi problemi di “convivenza”, ad esempio stress meccanici dovuti al differente coefficiente di espansione termica: cicli di riscaldamento-raffreddamento ripetuti possono causare la separazione localizzata del substrato ceramico dalla base metallica, causando vuoti che ostacolano il flusso di calore verso l’esterno e che quindi possono portare al danneggiamento definitivo del modulo; in proposito sono eloquenti le immagini ottenute con l’ecografia ad ultrasuoni in [GSH97]. Sul componente di potenza - 2.3. Moduli di potenza 2.3.2 35 Caratterizzazione termica dei moduli Vediamo come i produttori quantificano la qualità del canale di dissipazione termica dei moduli di potenza. Resistenza termica rte Le prestazioni termiche dei moduli sono in genere quantificate con il rapporto all’equilibrio termico del il salto di temperatura tra tra le parti attive del chip (giunzione) e la parte del modulo a contatto con l’esterno (case) con la potenza dissipata costante che lo genera; questa quantità è chiamata resistenza termica giunzione-case ( Rth jc ). Tj − Tc (2.7) Pe L’uso di questa grandezza è un modo grossolano ed estremamente pratico (quindi diffuso ed abusato) per descrivere il comportamento termico statico dei moduli; è bene osservare che esso sottintende una precisa modellizzazione del sistema in cui si suppone che il calore fluisca dal chip all’ambiente attraverso un’unica via, ipotesi non sempre rappresentativa delle condizioni reali. Affinché la resistenza termica possa fungere da termine di confronto delle performances termiche dei moduli di potenza è inoltre importante che essa sia rilevata nelle stesse condizioni di misura, magari seguendo gli standard proposti a livello internazionale1 . La misura della resistenza termica è un concetto semplice in teoria ma complicato in pratica, perché comporta la difficile rilevazione della temperatura di giunzione. Uno dei fattori che più influenzano la resistenza termica è l’area del chip, ovvero la dimensione della prima zona di diffusione del calore generato negli hot spot del die. Come già accennato la struttura DCB offre una buona performance termica, ma ci si può chiedere quale sia il collo di bottiglia tra gli strati costituenti la struttura. La figura 2.19, presa da una pubblicazione di Semikron, dà un’idea di come si distribuisce il salto di temperatura statico sui diversi strati costituenti un modulo DCB con IGBT da 1200V , con substrato ceramico in Allumina e piastra in Rame. Come si può notare il contributo maggiore alla resistenza termica è dato dal substrato ceramico, la cui presenza è fondamentale per assicurare l’isolamento elettrico con la piastra del case. Pa Rth jc = 1 Queste misure sono standardizzate da JEDEC nella serie di documenti EIA/JESD 51. Sul componente di potenza - 2.3. Moduli di potenza 36 10% 20% Solder 8% Baseplate Cu rte 6% Si Al2O3 56% Figura 2.19: Distribuzione del salto di temperatura in un modulo DCB ( Al2 O3 e base di rame) da 1200V , area chip 9mm × 9mm (fonte: [SEM]) Impedenza termica Pa La resistenza termica fornisce informazioni solo sul comportamento statico del sistema; solitamente i produttori forniscono anche una misura del comportamento termico dinamico del modulo attraverso la curva di impedenza termica (Transient Thermal Impedance Curve (TTIC)), che riproduce la risposta temporale del salto di temperatura giunzione-case all’applicazione di un gradino unitario di potenza dissipata, mantenendo il case a temperatura costante. Con impedenza termica ( Zth (t) ) si intende in effetti il rapporto tra il salto di temperatura e la potenza fluente in regime transitorio; essa quindi definita come: Tj (t) − Tc Zth jc(t) = (2.8) Pe(t) È da osservare che le curve di impedenza termica pubblicate nei datasheets sono in genere maggiorate rispetto quelle effettive per tenere conto di eventuali variazioni dovute al processo produttivo o al tempo. Queste informazioni riguardano solo il percorso termico tra chip e case; uno studio a livello di sistema complessivo deve essere svolto unendo le informazioni che riguardano il sistema di dissipazione esterno al modulo, in genere dipendente anche da fattori poco prevedibili come la resistenza termica dell’interfaccia case-dissipatore. Sul componente di potenza - 2.3. Moduli di potenza 37 La misura della temperatura di giunzione Pa rte La misura della temperatura di giunzione è non è affatto semplice a causa della difficile raggiungibilità del punto di misura e alla sua particolare sensibilità alle perturbazioni esterne a fronte della piccola capacità termica. La misura diretta deve quindi essere svolta con sensori poco invasivi ed elettricamente isolati, come i sensori ad infrarossi. Più frequentemente la temperatura viene rilevata attraverso misure indirette, sfruttando la sua influenza sul comportamento elettrico del dispositivo: individuato un parametro elettrico facilmente misurabile e dipendente dalla temperatura (Temperature Sensitive Parameter (TSP)), si procede alla rilevazione della relazione che lo lega allo stato termico attraverso delle misure svolte portando il dispositivo a temperature note (calibrazione). Il parametro più comunemente usato è la tensione ai capi di una giunzione pn polarizzata direttamente con una piccola corrente; nel caso di transistori di potenza si utilizza la caduta di tensione diretta VCE o la tensione gateemettitore. Uno dei vantaggi di questo metodo è che una volta eseguita la calibrazione esso non richiede nessuna speciale modifica al dispositivo; lo svantaggio è che il legame tra parametro elettrico e temperatura varia da dispositivo a dispositivo e deve essere ogni volta determinato. Capitolo 3 rte Trasmissione del calore In questo capitolo vengono illustrate alcune considerazioni teoriche sulla trasmissione del calore, in particolare sul fenomeno della conduzione termica. Pa Il calore si trasmette attraverso tre meccanismi: per mezzo di onde elettromagnetiche, per mezzo di trasporto macroscopico di materia, e per mezzo dell’interazione tra atomi o molecole che consente la diffusione dell’agitazione termica. I primi due modi coinvolgono fenomeni fortemente non lineari la cui trattazione teorica non è affatto semplice, e di cui nella maggioranza dei casi si tiene conto solo attraverso risultati empirici, quando non vengono brutalmente linearizzati come in questo lavoro; grande importanza ha il terzo meccanismo, che rappresenta l’unico modo di trasmissione tra le parti calde e la superficie esterna del sistema. 3.1 Bilancio termico Per scrivere le equazioni differenziali che governano la trasmissione del calore e per meglio comprendere il significato delle grandezze termiche caratteristiche dei materiali, è utile partire scrivendo il bilancio energetico del generico sistema delimitato da una superficie chiusa S che racchiude un volume V , nel quale è definito un campo scalare di densità di massa1 ρ , che rende conto della materia che costituisce il sistema. 1 Kg · m−3 38 Trasmissione del calore - 3.1. Bilancio termico 39 Definito un campo scalare di densità di energia interna per unità di massa2 w , l’energia interna complessivamente immagazzinata sarà: Z W = ρ w dV (3.1) V rte Se il sistema non è isolato la sua energia interna può variare in seguito a scambi termici attraverso la frontiera; questi scambi possono essere descritti con una grandezza che renda conto di quanto calore passa attraverso una superficie in un certo tempo, rappresentata da un campo vettoriale della densità di flusso di potenza3 q ; introdotto questo campo, se S è la superficie di frontiera, l’energia accumulata dovrà diminuire nel tempo in conseguenza al flusso di calore uscente dal volume: Z Z d ρ w dV = − q · n dS (3.2) dt V S L’energia interna inoltre può variare in seguito a conversione di energie esterne all’interno del volume, rappresentabili da una densità volumetrica di energia4 j sovente indicata come “sorgente” di calore; aggiungendo questo termine alla (3.2) il bilancio termico del sistema è completo: Z Z Z d ρ w dV = j dV − q · n dS (3.3) dt V V S | {z } | {z } | {z } energia interna sorgente interna potenza termica uscente Pa La (3.3) si può porre facilmente in forma locale ricordando che il flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie chiusa è calcolabile integrando nel volume la divergenza del campo: Z Z Z d (ρw) dV = j dV − ∇·q dV (3.4) dt V V V E quindi, in forma locale: d (ρw) = j − ∇·q dt (3.5) Per avere una descrizione completa bisogna poter quantificare in qualche modo la densità di energia interna w e il calore fluente q . J · Kg −1 3 −2 W · m−3 4 J ·m 2 Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 40 L’energia termica interna è ovviamente legata allo stato termico del corpo, individuato dal campo di temperatura T ; di solito si esplicita questo legame nel modo seguente: w = cT (3.6) rte Dove il coefficiente c , in generale dipendente dalla temperatura, è una proprietà caratteristica del materiale detta calore specifico5 , misurata attraverso prove sperimentali. In molti materiali, per variazioni di temperatura non elevate, c si può considerare con buona approssimazione costante, quindi si può ritenere l’energia proporzionale alla temperatura. Possiamo quindi scrivere il bilancio energetico per sistemi che accumulano energia termica: d (ρcT ) = j − ∇·q (3.7) dt Per quanto riguarda il calore fluente q , esso dipenderà dal meccanismo di trasmissione del calore; spendiamo qualche parola su questi meccanismi. 3.2 3.2.1 Conduzione Legge di Fourier Pa I tipici esperimenti riguardanti il passaggio di calore nei solidi sono effettuati con lastre di materiale le cui pareti sono mantenute a temperature differenti; questa infatti è la tipica configurazione che per simmetria è riconducibile ad un sistema unidimensionale. Fourier mostrò che approssimativamente esiste una semplice relazione di proporzionalità tra la potenza termica passante e il salto di temperatura tra le pareti1 : la costante di proporzionalità rappresenta la facilità con cui il sistema conduce il calore e quindi è detta conducibilità termica, la cui parte indipendente dalle dimensioni del sistema rappresenta la capacità intrinseca del materiale a condurre il calore, ed è detta conduttanza termica2 k : dQ S = k ∆T (3.8) dt l J · Kg −1 · K −1 1 Proprio per questi studi sulla trasmissione del calore elaborò la teoria della scomposizione in serie in seni e coseni delle funzioni continue periodiche. 2 W · m−1 · K −1 5 Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 41 In modo più generale e in forma locale questa legge si esprime così3 : q = − k ∇T 3.2.2 (3.9) Equazione del calore rte Unendo questa informazione al bilancio di potenza del sistema (3.7) otteniamo: d (ρcT) = j − ∇·(−k ∇T) (3.10) dt In una regione dove la conducibilità non dipende dalle coordinate spaziali e si possano ritenere densità e calore specifico costanti nel tempo si può scrivere: dT ρc = j + k ∇2T (3.11) dt Dalla (3.11) si ottiene la forma con cui di solito si scrive l’equazione di diffusione termica nei solidi, chiamata anche equazione del calore, nelle zone esterne alle sorgenti4 ( j = 0 ): dT = k ∇2T dt dT ∂2T ∂2T ∂2T 2 = κ∇ T = κ + 2 + 2 dt ∂x2 ∂y ∂z ρc (3.12) Pa k , che Dove si è introdotto il coefficiente di diffusività termica5 κ = ρc riassume le caratteristiche termiche del materiale. L’equazione (3.12) consente di determinare il campo di temperatura lontano dalle sorgenti in un sistema dove il calore fluisce per conduzione, date delle opportune condizioni al contorno; è questa equazione che viene integrata con metodi numerici dai simulatori 3d. Le condizioni che individuano le soluzioni della (3.12) possono essere di tre tipi: può essere data ad esempio la condizione iniziale del campo di temperatura: T(x ,y,z ,0 ) = f(x,y,z) Come si può notare è del tutto analoga alla legge di Ohm, che lega campo elettrico e densità di corrente attraverso la conduttività elettrica: 3 j = σe = −σ∇v Nel caso dei sistemi in esame il termine sorgente j è non nullo solo nelle regioni attive del Silicio, 2 quindi in una parte molto piccola del volume del sistema. 5 m · s−1 4 Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione Il valore di temperatura alla frontiera del sistema: T(x ,y,z ,t) = f(x,y,z,t) (x,y,z)∈S 42 (3.13) (x,y,z)∈S rte Oppure il calore scambiato alla frontiera, tipicamente usata per specificare le pareti adiabatiche: ∂T(x ,y,z ,t) = qn (3.14) −k ∂n (x,y,z)∈S Le non linearità della (3.12) sono dovute alla dipendenza dalla temperatura dei parametri termici, tuttavia per molti solidi questo effetto è contenuto tanto che spesso non è un grave errore considerare costante la loro diffusività termica. È da notare che questa approssimazione può essere troppo grossolana per materiali semiconduttori, a causa della marcata dipendenza della loro conduttività termica con la temperatura. Notiamo infine che le soluzioni stazionarie della (3.12) sono date dall’equazione di Laplace: ∇2T = 0 (3.15) Le cui soluzioni sono indipendenti dalle caratteristiche termiche del sistema e dipendono solo dalle condizioni sulla frontiera. 3.2.3 Sistemi monodimensionali Pa I sistemi aventi simmetria assiale nei quali le isoterme, ossia le superficie equipotenziali del campo di temperatura, coincidono con i piano normali all’asse di simmetria, sono descrivibili con una sola coordinata spaziale perché il gradiente di temperatura è esprimibile come: ∇T = ∂T i ∂x In questo caso l’equazione (3.12) diventa: dT ∂2T = κ 2 dt ∂x (3.16) Possono essere ricondotti a questa trattazione monodimensionale sistemi modellizzabili con lastre indefinite, o con cilindri aventi pareti adiabatiche, entrambi ovviamente composti da materiale omogeneo. Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 43 Soluzioni stazionarie: resistenza termica Le soluzioni stazionarie della (3.16) sono date da: ∂2T = 0 ∂x2 ⇒ T = Ax + B rte Quindi si ha un profilo di temperatura lungo la coordinata spaziale rettilineo. Vediamo una soluzione particolare immaginando il problema definito da una lastra omogenea di spessore L nella cui parete sinistra x = 0 venga iniettata una potenza costante Pe e la cui parete destra sia mantenuta a temperatura costante Ta ; se S è la superficie delle pareti laterali queste condizioni al contorno si esprimono così: ∂T = PSe −k ∂x x=0 T(L) = Ta Quindi la soluzione è data da: T(x ) = Pe 1 (L − x) + Ta kS Pa Come si può notare, il salto di temperatura tra le pareti della lastra dipende dalla potenza iniettata secondo una relazione piuttosto familiare a noi elettrici6 : 1L Pe kS Ecco quindi che scopriamo in forma integrale la similarità descrittiva che accomuna i fenomeni della conduzione del calore e della conduzione elettrica. Il coefficiente di proporzionalità tra la potenza fluente e il salto di temperatura è chiamato, in analogia ai fenomeni elettrici, resistenza termica. Se fossimo interessati solamente al valore di temperatura in prossimità delle pareti basterebbe la conoscenza della resistenza termica per caratterizzare staticamente il comportamento termico del sistema. T(0 ) − T(L) = 6 Chi non conosce la relazione costitutiva di un conduttore ohmico? L ∆V = ρ I = RI S Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 44 Alla luce di queste osservazioni è facile constatare che le temperature sulle pareti in un sistema multistrato costituito da più lastre sovrapposte corrispondono alle tensioni ai capi delle resistenze termiche poste in serie perché attraversate dalla stessa potenza fluente (figura 3.1). R1 R2 R3 rte Pe ∆T1 ∆T2 ∆T3 Figura 3.1: Temperature statiche delle pareti di un sistema multistrato Soluzioni non stazionarie Senza voler appesantire eccessivamente la trattazione, esploriamo in quale forma si presentano le soluzioni non stazionarie della (3.16). Ipotizzando a priori che il campo di temperatura sia esprimibile nella forma: T(x ,t) = X(x) Γ(t) Pa Riservandoci di tornare su questa assunzione nel caso non esistano soluzioni, sostituendo la forma della temperatura nella (3.16) otteniamo: 1 dΓ(t) 1 dX = X dx κ Γ dt Se il materiale è omogeneo e ha un comportamento termico indipendente dalla temperatura, la diffusività κ è uniforme e costante, quindi esprimibile con una costante reale. In tal caso l’equazione si può integrare col metodo di separazione delle variabili, infatti l’unica condizione affinché l’uguaglianza dei due membri sia sempre verificata è che entrambi siano costanti: 1 d2 X = −ω 2 X dx2 dΓ(t) 1 = −ω 2 κ Γ dt Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 45 La scelta di indicare la costante con la bizzarra forma −ω 2 è motivata dal significato fisico che assume; questo spiega anche perché la pensiamo reale. L’equazione alle derivate parziali si è quindi divisa in due equazioni differenziali ordinarie (ODE), le cui soluzioni sono ben note a qualsiasi ingegnere: X(x) = A′ cos ωx + B ′ sin ωx Γ(t) = C e−ω 2κ t rte Quindi la forma generale di un integrale della (3.16) è: T(x ,t) = ( A cos ωx + B sin ωx) e−ω 2κ t (3.17) Per mostrare come si possa ricavare in modo analitico una soluzione non stazionaria della (3.16), consideriamo un semplice problema omogeneo. Pensiamo ad una lastra di materiale, di spessore L le cui restanti dimensioni sono indefinite e immaginiamo che essa sia a temperatura uniforme T . Vediamo cosa succede se nell’istante t = 0 forziamo entrambe le pareti ad avere temperatura nulla7 . Questo problema corrisponde al problema di Dirichlet omogeneo, espresso dalle condizioni: T(x ,0 ) = T (profilo iniziale) (3.18) T(0 ,t) = T(L,t) = 0 (condizioni al contorno) Pa Le condizioni al contorno nulle consentono di avere un problema omogeneo e quindi semplice da trattare: applicandole alla (3.17) si ottiene che A deve essere nullo e il semi-periodo del seno deve essere un sottomultiplo dello spessore della lastra L , affinché sulle pareti la temperatura sia sempre nulla, condizione che si esprime nel seguente modo: n π = L ω ⇒ ωn = π n L , n = 1, 2, 3, . . . (3.19) Quindi esistono infinite soluzioni indipendenti della (3.17), ognuna associata ad un numero naturale n : 2 Tn(x ,t) = ( Bn sin ωn x) e−ωn κ t 7 (3.20) Il problema formulato potrebbe trovare applicazione nella tempra di lastre d’acciaio. Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 46 Ogni soluzione possibile è quindi esprimibile, per il principio di sovrapposizione degli effetti, come combinazione lineare delle (3.20): Tn(x ,t) = ∞ X Bn sin n=1 πn πn 2 x e−( L ) κ t L (3.21) Le costanti Bn sono fissate dalla condizione iniziale: Bn sin n=1 L πnx L rte T(x ,0 ) = T = ∞ X Bn = 2 L Z 0 T sin πnx L dx Come si può notare l’espressione coincide con lo sviluppo in serie di Fourier del profilo iniziale. Nel nostro caso i coefficienti sono pari a: ( , per n pari 0 2T h πnx iL Bn = − cos = 4T πn L 0 , per n dispari πn Quindi la soluzione del nostro problema è infine: ∞ 2 2i+1 4T X 1 2i + 1 sin πx e−( L π) κ t T(x ,t) = π i=0 2i + 1 L (3.22) Pa Questa soluzione è rappresentata graficamente dalla superficie in figura 3.2, dove si vede il progressivo livellamento col passare del tempo del profilo di temperatura nella lastra, inizialmente rettangolare. Abbiamo quindi visto come si ottiene la soluzione al problema di Dirichlet omogeneo dell’equazione del calore; con un procedimento molto simile si può arrivare alla soluzione del problema omogeneo di Neumann, le cui condizioni al contorno consentono di specificare il flusso di calore scambiato attraverso l’interfaccia col mondo esterno (è chiaro che problema omogeneo significa avere pareti adiabatiche); in genere è molto più frequente avere a che fare con questo tipo di condizione. Questo tipo di problemi sono i più semplici immaginabili; problemi poco più complessi richiedono metodi di integrazione molto più pesanti, rendendo allettante la strada dell’integrazione numerica o l’uso di descrizioni semplificate. L’equazione (3.22) mostra la forma della soluzione per il problema di Dirichlet omogeneo, nella quale si può distinguere la dipendenza temporale costituita dalla somma di infiniti esponenziali, aventi costanti di tempo Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione rte 47 Figura 3.2: Soluzione dell’equazione del calore per una lastra con frontiera a temperatura nulla; l’asse temporale è uscente dal foglio progressivamente più piccole: T(x ,t) = ∞ X Ai(x) e−( 2 2i+1 π κt L ) i=0 Pa Poiché i coefficienti Ai(x) decrescono all’aumentare di i , gli esponenziali più lenti hanno il peso maggiore. Se si dovesse approssimare questo sistema di ordine infinito con un primo ordine, sarebbe quindi opportuno considerare solo l’esponenziale più lento, corrispondente a i = 0 : 2 −( 2i+1 π) κ t L e i=0 − = e t L2 2 π κ t = e− τ La cui costante di tempo ha la forma: τ ∝ L2 L2 ρc S ρcSL = = = Rth Cth κ k S k LS Riconosciamo la resistenza termica della lastra, incontrata ispezionando le soluzioni stazionarie del sistema, e la capacità termica del volume di materiale della lastra. Supponendo ancora di essere interessati solo alla temperatura sulle pareti della lastra, abbiamo di fronte un transitorio relativo ad una rete elettrica rc del primo ordine. Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 48 Questo ragionamento, a dire la verità un po’ tirato per i capelli, può far intuire il percorso che porta alle descrizioni semplificate dei sistemi termici caratterizzate da equazioni formalmente identiche a quelle relative a reti costituite da resistori e condensatori. È da sottolineare che la discretizzazione della equazione del calore non si applica solo a sistemi monodimensionali. 3.2.4 Modelli a parametri concentrati rte Come si può osservare l’equazione (3.16) è formalmente identica all’equazione della tensione in una linea di trasmissione caratterizzata dai soli8 fenomeni resistivi longitudinali e capacitivi trasversali: ∂v 1 ∂2v = r c ∂x2 ∂t Un buon ingegnere elettrico ricorda come questa equazione viene risolta per separazione delle variabili, e come può essere discretizzata fino addirittura ottenere una semplice rete equivalente a T o a Π . Svolgiamo alcune considerazioni generali in merito a questa analogia formale. La conduzione del calore fa parte della vasta categoria di fenomeni fisici di tipo diffusivo o propagativo i quali, limitandosi al caso lineare, possono essere descritti mediante la forma generale: ∇ u = −z i ∇ i = −y u Pa In queste equazioni si possono distinguere i parametri distribuiti z e y , che possono essere visti in termini elettrici, nel caso monodimensionale, rispettivamente come l’impedenza e l’ammettenza per unità di lunghezza. Queste equazioni ammettono una soluzione rappresentabile tramite l’analogia elettrica e la trasformata di Laplace. Quando la geometria del sistema è così semplice da consentire l’integrazione delle equazioni locali, è possibile ottenere un modello composto da impedenze globali in forma esplicita: queste impedenze si possono esprimere nella forma di funzioni iperboliche (funzioni di Bessel ) e possono essere Considerando anche i fenomeni induttivi longitudinali l (che in realtà sono quelli prevalenti) e le conduttivi trasversali g , l’equazione completa ha la forma: 8 ∂2v ∂2v ∂v = cl 2 + (cr + gl) + gr v 2 ∂x ∂t ∂t Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 49 considerate come funzioni di trasferimento di ordine infinito. Ad esempio, considerando sistemi monodimensionali, l’espressione: r z √ Z = tanh (L z y) y rte rappresenta l’impedenza di una linea di trasmissione elettrica la cui estremità alla coordinata L è cortocircuitata, ma è anche la funzione di trasferimento tra la temperatura e il flusso di calore entrante in una lastra di materiale di spessore L , la cui parete opposta è mantenuta a temperatura nulla. Questi modelli di ordine infinito comportano un onere computazionale troppo elevato per molte applicazioni e spesso sono quindi preferiti dei modelli di ordine ridotto, ottenuti attraverso il troncamento di uno sviluppo in serie della soluzione distribuita, il che si traduce nel far collassare in punti un numero finito di regioni del sistema (si potrebbe definire una discretizzazione spaziale) ottenendo così dei modelli rappresentabili con delle reti elettriche a parametri concentrati. Tornando all’analogia con le equazioni delle linee elettriche, risulta comprensibile come l’equazione del calore in sistemi monodimensionali possa essere rappresentata da una rete rc della forma visualizzata in figura 3.3, qualora vengano discretizzate le dimensioni spaziali del sistema. T1 Rth 1 T2 Rth 2 T3 Rth 3 b Cth 1 b Cth 2 Cth 3 Pa Pi b Tn Rth n b Cth n Tu Figura 3.3: Rete equivalente del modello discretizzato È da osservare che i parametri della rete in figura 3.3 hanno un significato fisico ben preciso perché corrispondono alle resistenze e capacità termiche relative alle regioni discretizzate del sistema termico, e quindi note queste regioni essi possono essere determinati, se la struttura del sistema non è troppo complessa, mediante ispezione. È stato mostrato ([Hef94],[BCCD98]) che la determinazione per ispezione visuale della rete equivalente ha buoni risultati se: • La divisione delle zone avviene in modo da avere costanti di tempo progressivamente più grandi nella direzione del flusso termico Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 50 • Si tiene conto dell’espansione laterale del flusso termico quando l’area da dove proviene il calore è più piccola della sezione trasversale disponibile per la conduzione; di solito per materiali omogenei si considera un angolo di allargamento pari a 40◦ . Per quanto riguarda l’effetto capacitivo bisogna considerare tutto il volume della zona. Questa interessante possibilità di identificazione, è attuabile per strutture semplici, è ben illustrata in una immagine tratta da [MN99], in figura 3.4. rte „ Tj “ Cth1 Cth2 α chip Cth3 P Rth1 A Rth2 l th d Rth3 Cth4 Rth = Rth4 solder Cth5 d λth ⋅ A Rth5 Cth = c ⋅ ρ ⋅ d ⋅ A Cth6 leadframe Rth6 „ Tc “ Figura 3.4: Identificazione della rete termica per ispezione (fonte: [MN99]) Pa Quantificati la sezione ed il volume interessati dal flusso di calore in ogni zona di suddivisione del sistema è possibile determinare le rispettive resistenze e capacità termiche: 1 li ki Si = ci ρi Vi Rth i = Cth i (3.23) (3.24) È da notare che a seguito della discretizzazione del sistema l’energia interna immagazzinata dal sistema espressa dalla (3.1) è ora pari alla sommatoria: X W = Cth i Ti (3.25) i Questa rappresentazione semplificata dell’equazione del calore in sistemi monodimensionali discretizzati rappresenta per un vasto campo applicativo Trasmissione del calore - 3.3. Convezione e irraggiamento 51 un ottimo compromesso tra accuratezza e facilità di calcolo; questa qualità la rende ampiamente utilizzata nello studio termico dei sistemi elettronici di potenza. 3.3 Convezione e irraggiamento rte Sulla superficie esterna del sistema si innescano fenomeni fortemente non lineari che determinano le condizioni al contorno delle soluzioni della equazione del calore definita nel volume. Queste condizioni avranno la forma di Neumann, espresse dalla (3.14), specificanti il flusso di calore scambiato verso l’esterno. I meccanismi di trasmissione che hanno luogo sulla frontiera sono due: convezione e irraggiamento1 ; la condizione al contorno relativa alla superficie interessata si esprime così: ∂T(x ,y,z ,t) = qconv + qrad −k ∂n (x,y,z)∈S Questi meccanismi sono piuttosto complessi; l’approccio teorico fornisce risultati poco fruibili in questo contesto applicativo, per questo le trattazioni dei meccanismi di irraggiamento e convezione sono trascurate a vantaggio della conduzione. 3.3.1 Convezione Pa Un corpo caldo immerso in un fluido riscalda per conduzione il fluido adiacente, il quale, se non è in stato di quiete, sottrae calore attraverso lo spostamento macroscopico di materia. Se il moto è imposto dall’esterno si parla di convezione forzata; in questo caso la velocità caratteristica del sistema è indipendente dal salto termico, e il calore scambiato per unità di superficie è in genere espresso per comodità nella stessa forma della legge di Fourier : qconv = h (T − T∞ ) (3.26) Dove h , corrispettivo della conduttività termica (a parte una lunghezza), è detto coefficiente di avvezione e viene in genere determinato attraverso prove sperimentali. 1 A meno che il sistema non confini con un altro corpo solido. Trasmissione del calore - 3.3. Convezione e irraggiamento rte Se il fluido ha una densità dipendente dalla temperatura, un gradiente termico avente una componente ortogonale al campo gravitazionale genera un moto dovuto alla forza di galleggiamento che agisce sul fluido di densità minore. Se la sola causa del moto è dovuta a questo meccanismo si parla di convezione naturale; in questo caso il moto del fluido dipende dal salto termico e le equazioni che regolano il passaggio del calore sono fortemente non lineari; nonostante questo il calore scambiato viene espresso secondo la forma definita dalla (3.26). Il calore scambiato per convezione dipende fortemente dalle condizioni fisiche del fluido; è stato mostrato che lo stesso apparecchio scalda 20% in più se fatto funzionare a 2500 m rispetto all’esercizio a livello del mare. La temperatura ambiente oltre a determinare il salto termico, che ha un impatto diretto sul calore scambiato, influisce sulle caratteristiche termiche del fluido; è stato mostrato che l’aria scambia calore più efficientemente quando è calda (da 0◦ C a 100◦ C l’efficienza migliora del 20% ). Considerazioni teoriche più approfondite sul meccanismo della convezione sono riportate nell’appendice C per non appesantire inutilmente il documento; questi contenuti possono essere utili per sviluppi futuri. 52 3.3.2 Irraggiamento Pa Sulla frontiera del sistema il calore si trasmette all’esterno anche mediante l’emissione di onde elettromagnetiche. Un radiatore termico ideale, o corpo nero, emette energia proporzionale2 alla quarta potenza della sua temperatura assoluta del corpo e alla superficie interessata. Il bilancio di potenza irradiata e ricevuta dal mondo esterno è dato da: 4 qrad = ǫ σ T 4 − T∞ (3.27) Dove T∞ è la temperatura del mondo esterno, pensato come una superficie lontana avente temperatura costante, mentre il coefficiente ǫ è chiamato emissività ed è introdotto per tener conto che i corpi reali emettono meno di un corpo nero. Il totale calore scambiato sarà pari all’integrale sulla superficie del corpo della equazione (3.27) e dipenderà dalla forma, dall’estensione e dall’emissività della superficie di interesse. 2 Secondo la costante di Stefan-Boltzmann: σ = 5.729 · 10−8 W m2 K 4 Trasmissione del calore - 3.3. Convezione e irraggiamento 53 Pa rte L’irraggiamento assume un peso rilevante in sistemi caratterizzati da alte temperature di esercizio rivestendo un ruolo sostanziale per le applicazioni n assenza di fluidi (come quelle spaziali); esso è in genere trascurabile per sistemi in convezione forzata. Capitolo 9 rte Conclusione In questo capitolo vengono tratte le conclusioni del lavoro e si prospettano i naturali sviluppi futuri. 9.1 Sviluppi Pa Impiego real time Un aspetto non trattato in questo lavoro è la riduzione dell’ordine del modello e la sua discretizzazione nel tempo per ottenere equazioni alle differenze utilizzabili per elaborazioni in tempo reale nel microcontrollore dell’azionamento. La parte più importante e interessante di questa trattazione sarebbe l’implementazione dell’algoritmo di predizione della temperatura nei calcoli ciclici del microcontrollore e la valutazione dell’errore confrontando i risultati per vari regimi di funzionamento del dispositivo. Blocchi della rete e regioni del sistema Un altro aspetto non opportunamente approfondito da questo lavoro è una indagine sulla non unicità delle reti Cauer equivalenti (fissato un ordine) del sistema, esplorando meglio un metodo per stabilire il legame tra i blocchi della rete Cauer ottenuta e le regioni fisiche del sistema. Calcolo delle perdite PWM Non tutti gli strumenti proposti in questo lavoro sono idonei per descrivere in generale qualsiasi convertitore statico. 155 Conclusione - 9.2. Conclusioni 156 L’aver considerato un sistema particolarmente semplice, costituito da un solo interruttore comandato con un segnale pulsante a periodo costante, ha permesso di focalizzare l’attenzione sulla parte termica: lo script del calcolo delle perdite si basa infatti sull’assunzione che gli istanti di commutazione siano equispaziati in modo fisso, permettendo una facile costruzione dell’array della potenza dissipata istantanea. rte Questo lavoro quindi apre la strada allo studio di sistemi più complessi, ai quali potranno essere estesi i risultati ottenuti, benché essi richiederanno un ulteriore approfondimento di aspetti del problema quali la dissipazione di potenza per azionamenti PWM, ed in particolare la modifica dello script del calcolo delle perdite. Analisi FEM Una grave mancanza di questo lavoro è l’impossibilità di validare in modo diretto la temperatura di giunzione dei dispositivi; in merito si potrebbe pensare di colmare, almeno parzialmente, questa lacuna attraverso simulazioni tridimensionali FEM. 9.2 Conclusioni Pa In questo lavoro è stato proposto un metodo system level per ottenere una descrizione termica di convertitori statici basati su moduli di potenza, considerando in particolare la configurazione più semplice, alla base di qualsiasi applicazione switching. La descrizione ottenuta mostra, a livello di predizione della temperatura dell’involucro del modulo, una prestazione accettabile e in linea con il grado di approssimazione preventivato. La facilità della modalità di identificazione, la quale comporta solamente una semplice misura della risposta al gradino della temperatura del case del modulo e la raccolta di alcuni parametri standard disponibili nei datasheets, e la semplicità di implementazione e calcolo, fanno del metodo proposto una strada ragionevole da seguire per la descrizione termica a livello di sistema dei convertitori statici. Appendice A rte Ulteriori informazioni In questa appendice sono raccolti ulteriori dati e informazioni che per questioni di snellezza non hanno trovato spazio nel testo principale. A.1 Sulle simulazioni Le simulazioni effettuate per validare il modello, i cui risultati esposti in questo documento sono in verità solo una piccola parte, sono compiute R con MatLab ed in particolare attraverso la comoda funzione lsim. Lo script attraverso il quale se ne fa uso è il seguente: listato A.1: Simulazione con lsim Pa 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% % [< time >,<Temperature >] = S i m u l a te _ l s i m (<Cauer n e t p a ra m e te rs >, % <time v e c t o r >) , % <i n p u t s matrix >) , % <te m p e ra t u r e i n i t i a l v a l u e s >) ; % % S i m u l a t e s th e Cauer RC th erm a l model b e h a v i o u r % g i v e n power d i s s i p a t i o n and ambient te m p e ra tu r e % % Version : 1.0 % 2005 Matteo G a t t a n i n i % % Example % [ t T ] = S i m u l a te_ l s i m ( Rth , Cth , U, t , T0 ) ; % %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% f u n c t i o n [ t , T ]= S i m u l a t e _ l s i m ( Rth , Cth , U , t , T0 ) 18 19 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−− 20 21 % d e f a u l t o u tp u t 157 R Ulteriori informazioni A.2. Altri scripts MatLab 22 158 T =[]; 23 24 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−− 25 26 % c r e a t i n g LTI model from s t a t e s p a c e e q u a t i o n s . . . 27 28 29 [ A B C D ] = B u i l d S t a t e S p a c e M o d e l ( Rth , Cth ) ; sys = ss ( A , B , C , D ) ; 30 31 % . . . and s i m u l a t i n g it 32 33 34 disp ( ’ ’ ) d i s p ( ’ S o l v i n g model e q u a t i o n . . . ’ ) 35 [ T , t ] = lsim ( sys , U , t , T0 ) ; plot (t , T (: ,5) , ’b ’ ) rte 36 37 38 39 d i s p ( ’ . . . Done ’ ) 40 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−− Questo tipo di sistemi, in cui coesistono dinamiche molto diverse tra loro, devono essere risolti con algoritmi stiff, capaci di scegliere opportunamente il passo di integrazione in modo da limitare il carico computazionale necessario a coprire l’intero intervallo di integrazione. Un problema non da poco è causato dall’array della potenza dissipata in ingresso, poiché i suoi veloci picchi di potenza in corrispondenza delle commutazioni, visibili in figura 5.5, richiederebbero un passo di integrazione costante e molto fitto, che renderebbe assai gravosa, se non impossibile con i mezzi odierni, la simulazione. Per ovviare a questo problema che avrebbe nel migliore dei casi allungato i tempi di simulazione, considerando le osservazioni sottosezione 8.4.1, poiché nelle simulazioni si era solo interessati alla temperatura del case, l’array delle perdite è stato opportunamente filtrato considerando solo il valor medio dei picchi di potenza, sicuri che comunque il loro effetto sarebbe stato comunque pesantemente attenuato dalla dinamica lenta del nodo in questione. Pa 41 A.2 A.2.1 R Altri scripts MatLab Fitting delle curve L’estrazione della funzione composta da somme di esponenziali dalla misura della risposta al gradino può essere svolto facilmente grazie alle primitive R offerte da MatLab , in particolare la funzione fit. L’operazione di fitting, che costituisce il cuore della identificazione del modello, è implementata con la seguente funzione: R Ulteriori informazioni A.2. Altri scripts MatLab 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% % [ f i t r e s , g o o d n es s ] = ExpFit (<time >,<data >,<type >,<o rd e r >) ; % % <type> i s 0 i f i s a c o o l i n g c u r v e % % F i t s a data s e t u s i n g ’ o rd er ’ e x p o n e n t i a l s % % Version : 1.0 % 2005 Matteo G a t t a n i n i % % Example % [ f i t r e s , g o o d n es s ] = ExpFit ( t , T, 1 , 3 ) ; % %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% f u n c t i o n [ fitres , goodness ]= ExpFit ( X , Y , IsRising , order ) rte 13 listato A.2: Adattamento con esponenziali 159 14 15 16 17 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−− 18 19 % settings 20 21 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−− 22 23 % controls 24 25 26 27 28 i f ( nargin < 4 ) d i s p ( ’ Usage : [ f i t r e s , g o o d n e s s ]= ExpFit (X, Y,0 −1 , o r d e r ) ’ ) return end 29 30 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−− 31 32 % preparing f i t t i n g 33 34 35 disp ( ’ ’ ) d i s p ( [ ’ P erf o rm i n g f i t t i n g with ’ num2str ( order ) ’ e x p o n e n t i a l s . . . ’ ] ) 36 37 ok_ = ~( i s n a n ( X ) | i s n a n ( Y ) ) ; 38 i f ( order == 2 ) % two e x p o n e n t i a l s fo_ = fitoptions ( ’ method ’ , ’ N o n l i n e a r L e a s t S q u a r e s ’ , . . . ’ Lower ’ , [ 0 0 0 0 ] ) ; %’ Algorithm ’ , ’ Levenberg −Marquardt ’ , . . . st_ = [ 0 . 1 0 . 1 10 1 0 0 ] ; e l s e i f ( order == 3 ) % t h r e e e x p o n e n t i a l s fo_ = fitoptions ( ’ method ’ , ’ N o n l i n e a r L e a s t S q u a r e s ’ , . . . ’ Lower ’ , [ 0 0 0 0 0 0 ] ) ; st_ = [ 0 . 1 0 . 1 0 . 1 1 10 1 0 0 ] ; else d i s p ( ’ Wrong o r d e r ! ’ ) return end Pa 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 s e t ( fo_ , ’ S t a r t p o i n t ’ , st_ ) ; 54 55 56 57 58 59 60 i f ( IsRising ) i f ( order == 2 ) % two e x p o n e n t i a l s ft_ = fittype ( ’ r1 ∗(1− exp(−x/ t1 ) )+r2 ∗(1− exp(−x/ t2 ) ) ’ , . . . ’ dependent ’ , { ’ y ’ } , ’ i n d e p e n d e n t ’ , { ’ x ’ } , . . . ’ c o e f f i c i e n t s ’ , { ’ r1 ’ , ’ r2 ’ , ’ t1 ’ , ’ t2 ’ } ) ; e l s e i f ( order == 3 ) % t h r e e e x p o n e n t i a l s R Ulteriori informazioni A.2. Altri scripts MatLab ft_ = fittype ( ’ r1 ∗(1− exp(−x/ t1 ) )+r2 ∗(1− exp(−x/ t2 ) )+r3 ∗(1− exp(−x/ t3 ) ) ’ ,... ’ dependent ’ , { ’ y ’ } , ’ i n d e p e n d e n t ’ , { ’ x ’ } , . . . ’ c o e f f i c i e n t s ’ , { ’ r1 ’ , ’ r2 ’ , ’ r3 ’ , ’ t1 ’ , ’ t2 ’ , ’ t3 ’ } ) ; 61 62 63 else 64 d i s p ( ’ Wrong o r d e r ! ’ ) return 65 66 67 68 69 70 71 72 end e l s e % Data a r e d e c l i n i n g i f ( order == 2 ) % two e x p o n e n t i a l s ft_ = fittype ( ’ r1 ∗ exp(−x/ t1 )+r2 ∗ exp(−x / t2 ) ’ , . . . ’ dependent ’ , { ’ y ’ } , ’ i n d e p e n d e n t ’ , { ’ x ’ } , . . . ’ c o e f f i c i e n t s ’ , { ’ r1 ’ , ’ r2 ’ , ’ t1 ’ , ’ t2 ’ } ) ; e l s e i f ( order == 3 ) % t h r e e e x p o n e n t i a l s ft_ = fittype ( ’ r1 ∗ exp(−x/ t1 )+r2 ∗ exp(−x / t2 )+r3 ∗ exp(−x/ t3 ) ’ , . . . ’ dependent ’ , { ’ y ’ } , ’ i n d e p e n d e n t ’ , { ’ x ’ } , . . . ’ c o e f f i c i e n t s ’ , { ’ r1 ’ , ’ r2 ’ , ’ r3 ’ , ’ t1 ’ , ’ t2 ’ , ’ t3 ’ } ) ; else d i s p ( ’ Wrong o r d e r ! ’ ) return end end rte 73 160 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−− 84 85 86 % f i t operation [ fitres , goodness ] = fit ( X ( ok_ ) , Y ( ok_ ) , ft_ , fo_ ) 87 88 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−− A.2.2 Caratteristiche del dispositivo Pa Per poter usare i dati elettrici forniti dal datasheet del modulo nelle simulazioni è comodo estrarre le funzioni interpolanti i dati e implementarle R con script MatLab come il seguente. 1 2 3 4 5 6 7 8 listato A.3: Caratteristica di uscita %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% % v = Vcef ( I c ) % % BSM75GB120DLC OutPut C h a r a c t e r i s t i c Vg=17V , Tj=125◦ C % % %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% f u n c t i o n v=Vcef ( Ic ) 9 10 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−− 11 12 % main c a l c u l a t i o n 13 14 % I c = 1 0 . 8 9 ∗ Vce ^ 2 . 2 2 8 15 16 v = ( Ic / 1 0 . 8 9 ) . ^ ( 1 / 2 . 1 5 ) ; 17 18 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−− Ulteriori informazioni A.3. Altre misure A.3 161 Altre misure Durante la fase di validazione sono state effettuate diverse misurazioni per vari segnali di comando applicati all’IGBT. In figura A.1 si può ammirare una lunga sessione di misure di temperatura corrispondenti alle cinque termocoppie la cui posizione è descritta in figura 7.5; una parte di questa sessione è stata usata per la validazione esibita nella sottosezione 8.4.3. 90 rte 100% 80 50s 70% temperature [°C] 70 40s 40% 60 50 Tc Ths1 Ths2 Ths3 Tamb 40s 10% 40 30 20 0 2000 4000 6000 8000 10000 time [s] 12000 14000 16000 Figura A.1: Misure ad ingresso pulsante Pa È da notare che la configurazione di misura adottata, caratterizzata da un carico prevalentemente resistivo, una bassa tensione di alimentazione e piccolissime frequenze di commutazione, rende la potenza persa in conduzione nell’IGBT praticamente l’unica dissipazione di rilievo nel sistema; essa è pari a 48 W . Altre sessioni di misura, non menzionate nel corpo del documento per questioni di spazio, sono state effettuate aumentando considerevolmente l’induttanza del carico in modo da avere una maggiore potenza persa (altrimenti trascurabile) nel diodo; in figura A.2 nella pagina seguente è possibile osservare le grandezze elettriche acquisite con l’oscilloscopio per questa configurazione. Un lodevole tentativo di effettuare misure in alta tensione (alta si fa per dire, poiché si tratta di circa 350 V ), per verificare le perdite calcolate, si è rivelato ben poco utile dal punto di vista termico a causa delle basse Ulteriori informazioni A.3. Altre misure 162 Vce Ic Pe Id Ir Vpn V [1 V] ; I [1 A] ; Pe [1 W] 60 40 20 0 rte −20 0 0.01 0.02 time [s] 0.03 0.04 0.05 Figura A.2: Grandezze elettriche con carico induttivo correnti e frequenze di commutazione in gioco; come si può osservare nelle misure di temperatura in figura A.3 il dispositivo risulta ben poco stressato termicamente. 45 100% 0% 50ms 50% 0% 100ms 50% Tc 35 Ths1 Ths2 30 Ths3 Tamb Pa temperature [°C] 40 25 0 1000 2000 3000 4000 time [s] 5000 6000 7000 Figura A.3: Misure di temperatura in alta tensione 8000 Appendice B rte Applicazioni sviluppate Questo capitolo è dedicato ad una veloce descrizione del software stand-alone creato in supporto alle misure. A dispetto della parte marginale che dedico ad esse in questo documento, buona parte del tempo dedicato a questo lavoro è stato speso nello sviluppo R di due applicazioni Windows , entrambe scritte in C++ con l’ambiente di TM ++ sviluppo Borland C Builder 5. B.1 Un segnale di comando Pa La prima applicazione nasce dalla necessità di creare in modo flessibile e facilmente controllabile un segnale di comando per l’IGBT, che si traduce nel generare un’onda quadra di tensione avente un certo periodo e duty-cycle, selezionabili nel range più vasto possibile. Per creare il segnale si possono sfruttare i pin di controllo di flusso della porta seriale, direttamente comandabili grazie ad una funzione delle AppliR cation Programming Interface (API) di Windows . Si comprende bene che la difficoltà e la sfida in questo genere di necessità è il riprodurre nell’elaboratore una misura temporale più precisa possibile: R è ovvio che un sistema operativo grafico come quello di Windows non è l’ambiente ideale per eseguire processi aventi stringenti esigenze temporali, ed è ovvio che la scelta di questo sistema operativo motivata esclusivamente da questioni di comodità, confidando nelle prestazioni dei moderni processori. R Tipicamente il programmatore Windows a cui serve una temporizzazione utilizza le funzioni offerte dalle API del sistema operativo, usandole in modo diretto o tramite dei wrappers offerti dall’ambiente di programmazione. 163 Applicazioni sviluppate B.1. Un segnale di comando 164 Pa rte R Windows offre dei timers che allo scadere di un certo intervallo temporale generano degli interrupt, e quindi la possibilità di eseguire una funzione. R La granularità minima dichiarata del timer di Windows è di 1 ms , ma in realtà ho avuto modo di constatare sul mio elaboratore che una corretta temporizzazione è garantita solo per intervalli maggiori di 15 ms , subordinatamente all’attuale carico di lavoro del processore. Una simile granularità temporale limita notevolmente la frequenza del segnale ottenibile. Esiste sulle piattaforme pc ormai da diversi anni un contatore a 64 bit che funziona in modo indipendente dal resto del sistema, il cui valore si incrementa in modo regolare con una frequenza considerevole1 . Questo contatore è tipicamente usato per misurare le prestazioni del sistema, ed infatti viene chiamato performance counter; la scoperta della sua esistenza mi ha aperto la possibilità di migliorare il range di frequenze ottenibili tramite il pc. L’unica funzione offerta da questo contatore è la lettura del suo valore, un intero senza segno a 64 bit . L’unico modo per sfruttare questa informazione temporale è creare un thread che legga continuamente il contatore e controlli se il il tempo impostato è scaduto o meno. In questo modo si riesce ad ottenere temporizzazioni il cui limite inferiore si può avvicinare molto alla granularità del performance counter, impostando in modo opportuno la priorità del thread; notevoli risultati si possono ottenere con processori che supportano la tecnologia hyper-threading; in ogni caso R . questa tecnica ha prestazioni migliori del timer di Windows Un grave svantaggio di questa struttura polling, che potrebbe essere parzialmente attenuato, è il considerevole impegno delle risorse di sistema, costantemente occupate nel confrontare il valore del contatore con il tempo di attivazione dell’evento. Ecco la struttura semplificata del thread: listato B.1: Il thread di temporizzazione // − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − void __fastcall T T h r e a d C o u n t e r : : C o u n t W i t h _ P e r f o r m a n c e C o u n t e r ( ) { // Counting t h r e a d k e r n e l , main s t r u c t u r e LARGE_INTEGER x ; Q u e r y P e r f o r m a n c e C o u n t e r (&x ) ; __int64 c = x . QuadPart ; f o r ( ; ; ) { // For e v e r do : // S e t s e l e c t e d pi n t o on Sugli elaboratori odierni la frequenza è di 3579545 counts/s , corrispondente ad una granularità temporale di circa 0.28 µs . 1 Applicazioni sviluppate B.1. Un segnale di comando 165 E s c a p e C o m m F u n c t i o n ( hComm , Set_Pin ) ; // Counter v a l u e s o f e v e n t s Tton = c + Signal . ton ; TT = c + Signal . T ; // Wait f o r t u r n o f f while ( c < Tton ) { Q u e r y P e r f o r m a n c e C o u n t e r (&x ) ; c = x . QuadPart ; } rte // S e t s e l e c t e d pi n t o o f f E s c a p e C o m m F u n c t i o n ( hComm , Clr_Pin ) ; // Check f o r t h r e a d t e r m i n a t i o n i f ( Terminated ) { Signal . cEnd = c ; return ; } // Wait f o r c y c l e end while ( c < TT ) { Q u e r y P e r f o r m a n c e C o u n t e r (&x ) ; c = x . QuadPart ; } } } Pa In questo listato si possono individuare le chiamate alle API che permettono di pilotare il pin seriale selezionato e di leggere il valore del contatore. L’applicazione è stata dotata di una comoda interfaccia grafica che consente di scegliere le caratteristiche del segnale (figura B.1) e di modificare le impostazioni della porta seriale (figura B.2). Figura B.1: xCtrlSet - selezione delle caratteristiche del segnale 166 rte Applicazioni sviluppate B.2. Comunicare con il data logger Figura B.2: xCtrlSet - selezione del pin della porta B.2 Comunicare con il data logger Pa Molto più complessa ed elaborata è l’applicazione sviluppata per gestire il data logger usato per acquisire i segnali delle termocoppie, il nudam 6108 della Adlink. Il grande orgoglio di questo programma è che non dipende da librerie di terze parti sia per quanto riguarda la comunicazione seriale che per la parte grafica di visualizzazione delle acquisizioni. La comunicazione seriale è interamente gestita a basso livello attraverso le API, secondo le preziose indicazioni di un articolo di Allen Denver 1; in particolare è stata implementata sia una comunicazione sincrona che asincrona (overlapped), anche se con questa c’è ancora qualche problema di timeout. La classe che implementa il grafico delle acquisizioni è derivata esclusivamente da un componente visuale fornito con l’ambiente di programmazione, le cui primitive comprendono il tracciamento di linee, la colorazione dei pixels e la scrittura di testi. Particolarmente pregevole è la funzionalità di gestione automatica della griglia e della scala degli assi a seconda dei valori di temperatura misurati. In figura B.3 è riportata una schermata del programma, relativa al tab contenente il grafico delle acquisizioni. Questa applicazione si presta bene ad essere strutturata mediante classi, consentendo una organizzazione del codice particolarmente comoda: ll modulo di acquisizione è gestito mediante un oggetto istanziato da una classe 1 Microsoft Windows Developer Support. 167 rte Applicazioni sviluppate B.2. Comunicare con il data logger Figura B.3: Uno screenshot del “nudam manager” Pa che ingloba tutte le informazioni che lo riguardano e che fornisce dei metodi che permettono l’interazione con gli altri oggetti dell’applicazione. Il modulo comunica con il computer tramite la porta seriale, scambiando messaggi composti da caratteri ASCII in modo passivo secondo lo schema domanda-risposta; il fulcro della classe rappresentante il dispositivo è quindi la parte di creazione dei comandi e di “digestione” delle risposte, che in sostanza si tratta di un rudimentale parser di stringhe. La struttura a oggetti consente di svincolare facilmente l’applicazione dallo specifico dispositivo usato grazie all’ereditarietà e al polimorfismo: se nel codice si interagisce con l’oggetto rappresentante il modulo mediante una interfaccia comune, usando cioè una classe generica che implementi l’interfaccia del generico data logger, esso è svincolato dai dettagli implementativi che si occupano della gestione dello specifico dispositivo, contenuti in classi derivate dalla classe comune. Ecco l’interfaccia usata nell’applicazione per gestire il dispositivo di acquisizione: Applicazioni sviluppate B.2. Comunicare con il data logger listato B.2: Interfaccia della classe che gestisce il data logger 168 //======================== C l a s s D e f i n i t i o n ============================= c l a s s GenericMng { // Generic d e v i c e manager public : GenericMn g ( TSerialPo r t ∗ , TMemo ∗ =0) ; ~GenericMng ( ) ; rte // . . . O pe r at i on s bool Connect ( String ) ; // Port c o n n e c t i o n management bool Disconnect ( ) ; bool R e t r i e v e S t a t u s ( ) ; // F i l l s a l l s e t t i n g par am e t e r s bool Scan ( ) ; // Returns t r u e i f a d e v i c e i s found // . . . C a l i b r a t i o n void __fastcall A D C a l i b r a t i o n ( ) ; // AD c o n v e r t e r c a l i b r a t i o n void __fastcall C J C C a l i b r a t i o n ( double ) ; // C or r e c t CJC o f f s e t e r r o r s // . . . S e t t i n g s bool S e t C o n f i g u r a t i o n ( String , String , String , unsigned char ) ; bool R e a d C o n f i g u r a t i o n ( ) ; // Read t h e c o n f i g u r a t i o n bool R e a d M o d u l e N a m e ( ) ; // Read module name bool R e a d F i r m w a r e V e r s i o n ( ) ; // Read Firmware V e r s i on bool S o f t w a r e R e s e t ( ) ; // Module S o f t w a r e R e s e t // . . . A c q u i r i n g String ReadData ( unsigned char ) ; // Read Analog Data From a Channel bool ReadAllDa t a ( ) ; // Read a l l c h a n n e l s bool C h o o s e C h a n n e l s ( unsigned char ) ; // Enable / D i s a b l e c h a n n e l s bool R e a d C h a n n e l S t a t u s ( ) ; // Read t h e s t a t u s o f c h a n n e l s } ; //===================================================================== //======================== C l a s s D e f i n i t i o n ============================= c l a s s NudamMng : public GenericMng { // NuDAM d e v i c e manager Pa public : TNudamMng ( TSerialPor t ∗ , TMemo ∗ =0) ; // Uses common g e n e r i c i n t e r f a c e protected : // . . . S p e c i f i c commands ( don ’ t u s e f o r p o r t a b i l i t y ) bool R e a d L e a d i n g C o d e S e t t i n g ( ) ; // . . . and h o s t watchdog s t a t u s bool C h a n g e L e a d i n g C o d e S e t t i n g ( String ) ; bool S e t H o s t W a t c h d o g S a f e t y ( bool , String , String ) ; // S e t h o s t watchdog bool R e a d H o s t W a t c h d o g S a f e t y ( ) ; // // Read h o s t watchdog t i m e r bool HostOk ( ) ; // S i g n a l h o s t Ok f o r watchdog } ; //===================================================================== Come si vede la classe NudamMng, che contiene i dettagli che riguardano il nudam, è derivata da una classe generica, che funge da layer verso chi nel programma usufruisce dei servizi offerti dal data logger. La temporizzazione delle acquisizioni è gestita da un apposito thread, che Applicazioni sviluppate B.2. Comunicare con il data logger Pa rte ha il compito di controllare il tempo trascorso e di interrogare il modulo secondo intervalli prestabiliti, memorizzando i dati acquisiti in un file. Il poter sviluppare autonomamente l’applicazione di acquisizione dei dati permette una notevole flessibilità e libertà; ad esempio non è difficile programmare le acquisizioni secondo scale temporali non regolari, come ad esempio scale logaritmiche. Poiché le acquisizioni di temperatura tramite termocoppie non richiedono temporizzazioni spinte, nulla vieterebbe di implementare delle elaborazioni online dei dati; in particolare potrebbe essere utile un criterio di controllo del termine del transitorio, comunicando al generatore di segnale di modificare opportunamente il comando all’IGBT. 169 Appendice C rte Convezione La validità di un risultato si misura anche nella consapevolezza di ciò che si è trascurato per conseguirlo. Qualche nota sui fenomeni convettivi, solo per renderci conto di quanto siano complicati; queste informazioni sono essenzialmente tratte da [Tri77]. C.1 Le equazioni in gioco Pa Le equazioni che concorrono nella descrizione dei fenomeni convettivi derivano essenzialmente dalla legge di conservazione dell’energia: considerando un volume di fluido le variazioni di massa ed energia devono essere bilanciate dagli scambi con il mondo esterno. Esprimiamo ora queste leggi con il linguaggio matematico, nell’ambito della fisica classica e in forma locale1 . Definito il campo scalare della densità di materia ρ e il campo vettoriale di velocità u , la conservazione della massa in ogni punto nella regione occupata dal fluido si esprime così: ∂ρ + ∇ · (ρu) = 0 ∂t (C.1) Questa equazione è anche chiamata equazione di continuità perché formalizza l’assenza di pozzi o sorgenti di materia: pensando di integrarla in un volume si vede come il flusso2 di materia entrante bilanci l’aumento di densità. Considerando cioè un volumetto di fluido piccolo a piacere, tale da confondersi con un punto, in modo tale che in esso le grandezze di interesse sono costanti. 2 L’integrale di volume della divergenza è pari al flusso attraverso la superficie di contorno, secondo le usuali convenzioni matematiche positivo se uscente. 1 170 Convezione C.1. Le equazioni in gioco 171 rte La seconda equazione che si può scrivere rappresenta l’aspetto meccanico della conservazione dell’energia: l’equazione fondamentale della dinamica, che esprime la conservazione della quantità di moto. Definito il campo scalare di pressione p , di viscosità µ e un campo vettoriale di forze esterne distribuite f , si scrive: du = −∇p + µ∇2 u + f (C.2) ρ dt Si può distinguere il termine inerziale al primo membro bilanciato da un termine di pressione, un termine viscoso, e dalla forza esterna. La terza equazione completa il principio di conservazione dell’energia esprimendo il bilancio termico del sistema: l’aumento di energia termica interna è dato unicamente dalla somma del calore entrante ed un eventuale calore distribuito nel volume, generato da interazioni col mondo esterno. Da notare che il primo termine, ossia il calore che passa attraverso la frontiera del volumetto infinitesimo, è scambiato per conduzione. Introdotti i campi scalari di temperatura T , di calore specifico c , di conduttività termica k e di generazione di calore j : ρc dT = k∇2 T + j dt Pa In definitiva il sistema è descritto dalle equazioni: ∂ρ + ∇ · (ρu) = 0 equazione di continuità ∂t du ρ = −∇p + µ∇2 u + f equazione dinamica dt ρc dT = k∇2 T + j bilancio termico dt (C.3) (C.4) Questa descrizione deve ovviamente essere completata dalle relazioni costitutive che caratterizzano i parametri del fluido (coefficiente di espansione termica, conduttività, viscosità e calore specifico); ci si può rendere conto di quanto sia complesso il fenomeno da studiare considerando che questi termini dipendono dai campi di pressione, velocità e temperatura, ossia dalle incognite stesse del problema. Al fine di ottenere un modello trattabile si introducono delle ipotesi semplificative; con Boussinesq supponiamo che le variazioni dei campi di temperatura e pressione nella regione di interesse siano così piccole da non provocare in essa variazioni sensibili delle caratteristiche fisiche del fluido; in virtù Convezione C.1. Le equazioni in gioco Pa rte di questa ipotesi si considerano quindi α (espansione termica3 ), β (compressibilità isoterma4 ), µ (viscosità), k (conduttività termica), c (calore specifico) costanti; per quanto riguarda la densità ρ linearizziamo la sua variazione rispetto la temperatura ρ = ρ0 + ∆ρ introducendo quando possibile l’ipotesi di incomprimibilità ∆ρ ≪ ρ0 . Queste ipotesi vengono sovente formalizzate nel seguente modo: L’espansione dovuta alla temperatu A = αΘ ≪ 1 ra deve essere piccola La lunghezza caratteristica di varia L zione della pressione isoterma deve ≪1 B= essere grande rispetto le dimensioni 1 del sistema gρβ La lunghezza caratteristica di varia zione della temperatura adiabatica deve essere grande rispetto le dimen L sioni del sistema. Questa quantità è C= ≪1 (C.5) dello stesso ordine di grandezza del c rapporto QL1 , tra il lavoro che man gα tiene l’energia cinetica del moto del fluido ed il calore entrante. In aggiunta alle precedenti e non strettamente necessaria; essa è gαT0 strettamente legata a C e rappre c senta il rapporto tra il gradiente ≪1 D= Θ di temperatura adiabatico e quello L imposto; T0 è la temperatura di 172 riferimento. L’approssimazione sul termine A può dare problemi se si ha a che fare con gas oppure con alcuni liquidi come l’acqua, per la quale α ha davvero 3 Il coefficiente di espansione termica del fluido α è dato da: 1 ∂ρ α=− ρ ∂T p 4 Il coefficiente di compressibilità isoterma del fluido β è dato da: 1 ∂ρ β= ρ ∂p T Convezione C.1. Le equazioni in gioco 173 rte uno strano andamento con la temperatura. I termini B e C hanno lo stesso ordine di grandezza e per sistemi di piccola scala sono in genere molto piccoli; solo per sistemi estesi (ad esempio nei modelli meteorologici) è necessario tenere conto degli effetti non previsti da queste approssimazioni (detti quindi effetti non-Boussinesq). Per quanto riguarda D , usualmente è D ≫ C ; se D ≪ 1 non è verificata è necessario considerare una scala di temperatura che tenga conto del profilo di temperatura adiabatico5 : θ = T − (Ta − T0 ) . Applichiamo ora le approssimazioni di Boussinesq alle (C.4); le forze di volume siano dovute al campo gravitazionale g . Nella equazione di continuità introduciamo l’ipotesi di incomprimibilità ponendo ρ ≃ ρ0 , mentre nella equazione dinamica conglobiamo nella pressione il termine idrostatico ponendo: P = p + ρ0 Φ con g = −∇Φ Infine è da osservare che per le ipotesi fatte è: α=− 1 ∂ρ 1 ρ − ρ0 ∆ρ ≈− ⇔ = −α∆T p ρ ∂T ρ0 T − T0 ρ0 (C.6) Pa Quindi è possibile esplicitare in modo semplice l’effetto legato alla temperatura nell’equazione di moto. k Introducendo la viscosità cinematica ν = µρ e la diffusività termica κ = ρc riscriviamo le (C.4) dopo aver applicato ad esse le approssimazioni di Boussinesq: ∇·u=0 1 ∂u + (u · ∇)u = − ∇P + ν∇2 u − gα∆T (C.7) ∂t ρ0 ∂T + u · ∇T = κ∇2 T + j ∂t ρ0 c Nell’equazione di moto è possibile distinguere al primo membro il termine inerziale, bilanciato dal gradiente di pressione, dal termine viscoso6 e da un termine di galleggiamento (Bouyancy) che rappresenta l’elemento di accoppiamento principale con l’equazione termica, nonché l’origine del moto convettivo naturale. Nell’equazione termica si riconosce a primo membro il termine di avvezione, che rappresenta l’accoppiamento con l’equazione di moto, e il termine di conduzione a secondo membro. Per quanto riguarda il termine di produzione Il profilo di temperatura adiabatico è quella distribuzione di temperatura tale per cui un volumetto di fluido, spostandosi nella regione di interesse, non scambia calore pur subendo compressioni ed espansioni. 6 Purtroppo spesso è necessario tenere in conto che la viscosità cinematica ν dipende dalla temperatura. 5 Convezione C.2. Forma adimensionale rte di calore, affinché esso non sia un termine di accoppiamento, non deve dipendere dalle incognite, quindi non deve essere originato da dissipazioni viscose o espansioni adiabatiche. Introducendo opportune approssimazioni abbiamo ottenuto un modello che descrive i sistemi convettivi; questo modello, se propriamente investigato, può fornire utili indizi su fenomeni di grande interesse come la transizione da moto laminare a turbolento, l’onset di instabilità idrodinamiche, la formazione di patterns regolari e il manifestarsi fenomeni di auto-organizzazione. Riscriviamo le (C.7) per le soluzioni stazionarie dei sistemi in studio, dove è possibile trascurare il termine di pressione e non esiste il termine di produzione di calore: ∇·u=0 (u · ∇)u = ν∇2 u − gα∆T (C.8) u · ∇T = κ∇2 T 174 Pa Le (C.8) sono infine le equazioni che danno le soluzioni stazionarie del sistema una volta associate le condizioni al contorno; queste sono equazioni a derivate parziali accoppiate e non lineari, la cui soluzione, degenere e non unica, è fornita da osservazioni sperimentali oppure ottenuta attraverso onerose integrazioni numeriche. Quando si ha a che fare con modelli così complessi (seppur non privi di pesanti approssimazioni) è naturale cercare dei criteri di similitudine tra sistemi, in modo da poter estendere le soluzioni a sistemi tra loro simili. C.2 Forma adimensionale Supponiamo abbia senso introdurre delle quantità caratteristiche che sintetizzino le proprietà del sistema, come una lunghezza caratteristica L , un salto di temperatura caratteristico Θ , una velocità caratteristica1 U . Sebbene da un punto di vista matematico queste quantità siano arbitrarie, esse devono essere scelte in modo oculato affinché abbia senso il confronto tra sistemi geometricamente simili, e le grandezze riscalate siano dell’ordine di grandezza dell’unità. È bene notare che al contrario delle altre due quantità la velocità caratteristica non è in genere un valore impresso dall’esterno e quindi definibile a priori. 1 Convezione C.2. Forma adimensionale 175 Introducendo nelle (C.8) le grandezze riscalate con le quantità caratteristiche: u t p T ∇′ = L∇ , T ′ = , u′ = , t′ = L , p′ = Θ U ρ0 U 2 U rte Otteniamo il modello nella forma adimensionale, dove abbiamo esplicitato il versore del campo gravitazionale g = gig . ν gαΘL ′ ′ ′ ′ ′2 ′ (u · ∇ )u = + UL ∇ u − U 2 T ig (C.9) κ u′ · ∇′ T ′ = ∇′ 2 T ′ UL Ecco che riferendoci a grandezze riscalate abbiamo evidenziato tre coefficienti adimensionali nei quali sono condensate le proprietà del sistema, e che individuano una famiglia di sistemi tra loro simili. L’approssimazione di Boussinesq sembra introdurre un comodo criterio di similarità, corrispondente all’uguaglianza di questi tre parametri, ma ci si rende facilmente conto che è ben poco utile se non è possibile stimare U , quantità che dipende dalla soluzione del problema stesso. Riscriviamo ora in modo più comodo questi parametri, in modo che la scomoda velocità caratteristica sia confinata in un ben preciso termine. Nel coefficiente del termine viscoso riconosciamo il numero di Reynolds, Numero quantità che rende conto del peso del termine inerziale rispetto quello viscoso: di Rey- Pa (u · ∇)u UL < inerziale > nolds = ∼ Re = 2 < viscoso > ν∇ u ν Quando Re è piccolo è il termine viscoso a dominare il moto, mentre quando Re è grande l’effetto del termine viscoso è confinato nelle zone dove devono essere rispettate le condizioni al contorno introdotte da esso (è il termine col grado maggiore); queste zone sono dette Boundary Layers del moto. Nel coefficiente del termine di conduzione si riconosce l’analogo termico Numero del numero di Reynolds, il numero di Péclet; esso rappresenta il peso del di termine di avvezione rispetto quello di conduzione: < avvezione > u · ∇T UL Pe = = ∼ < conduzione > κ∇2 T κ Quando Re aumenta il Boundary Layer viscoso si fa sempre più sottile e sopraggiunge la possibilità di transizioni turbolente. Lo spessore del Boundary Layer è legato a Re dalla relazione: U U δ 1 U ∼ ν 2 ⇔ ∼ Re− 2 L δ L 1 Péclet Convezione C.2. Forma adimensionale 176 L’ analogia formale con l’equazione di moto porta a fare considerazioni simili alle precedenti: quando P e è piccolo il calore sarà trasmesso nel fluido prevalentemente per conduzione, mentre quando P e è grande prevarrà il termine di avvezione; vicino al contorno a diversa temperatura vi sarà comunque una zona in cui il calore è scambiato per sola conduzione, chiamata Boundary Layer termico2 . Poiché è comodo fare riferimento ad un parametro che dipende solo dalle Numero proprietà del fluido si introduce il numero di Prandtl definito come: ν κ rte Pr = di Prandtl Pa Per cui sovente si esprime il numero di Péclet come P e = ReP r . Il numero di Prandtl evidenzia come l’estensione delle soluzioni da un sistema all’altro sia limitato dalla diversa natura dei fluidi coinvolti. La maggior parte dei liquidi hanno P r maggiore dell’unità (ad esempio H2 O a temperatura ambiente ha P r ≃ 6 ); poiché ν ha un range di variazione molto più ampio di κ , di solito liquidi ad alti numeri di Prandtl sono anche molto viscosi (fanno eccezione i metalli liquidi, caratterizzati da conducibilità termiche molto alte). Spesso i gas hanno numeri di Prandtl poco inferiori all’unità (ad esempio l’aria ha P r ≃ 0.7 ). Particolare importanza ha infine il coefficiente del termine di Bouyancy; Numero questa quantità è chiamata numero di Richardson e dà l’idea del peso della di forza di Bouyancy rispetto il termine inerziale3 . Grashof Poiché esso contiene la scomoda velocità caratteristica, cerchiamo di riconoscere e separare il numero di Reynolds, affinché questa appaia solo in esso: 3 gαΘL gαΘL ν 2 L2 Gr gαΘL ν2 = = 2 2 = 2 2 2 U U ν L Re Re2 , Gr = gαΘL3 ν2 La quantità Gr non contiene la velocità caratteristica ed è detto numero di Grashof ; esso è correlato al rapporto tra il termine di Bouyancy e il termine 2 Analogamente a Re , P e dà l’idea delle dimensioni del Boundary Layer termico: U 3 Θ Θ δ 1 ∼ κ 2 ⇔ ∼ P e− 2 L δ L Il numero di Richardson è definito come: gL2 ∂ρ ρU 2 ∂z Convezione C.3. Convezione naturale rte viscoso, e come vedremo ha un’importanza fondamentale nella convezione naturale. Ecco quindi le equazioni nelle variabili adimensionali riscritte in funzione dei tre parametri introdotti: Gr ′ ′ ′ ′ ′2 ′ (u · ∇ )u = Re ∇ u − Re2 T ig (C.10) ′ 1 2 ′ u · ∇ T′ = ∇′ T ′ P rRe 177 Vedremo che quando è possibile stimare U questi parametri consentono una stima qualitativa del comportamento del sistema sulla base di osservazioni sperimentali effettuate su sistemi simili. Questa rappresentazione suggerisce una classificazione dei sistemi in studio a seconda del peso degli effetti di Bouyancy, che in questa approssimazione rappresentano il solo effetto della temperatura nell’equazione di moto; tutte le considerazioni seguenti sono ben poco utili allorquando non sia possibile introdurre e valutare U . C.3 Convezione naturale Pa Quando Gr ≪ Re2 la temperatura sparisce dall’equazione di moto che risulta così disaccoppiata dall’equazione termica: è possibile introdurre una scala di velocità U indipendente e un criterio di similarità dato dall’uguaglianza di Re e P r . In queste condizioni parliamo di convezione forzata. Quando Gr ≫ Re2 il termine di Bouyancy è la causa predominante del moto: in questo caso il sistema viene detto in convezione libera o naturale, perché permane in quiete in assenza di gradienti di temperatura. Vedremo come il numero di Grashof caratterizzi il comportamento del sistema1 . In regime di convezione libera le equazioni dinamica e termica sono accoppiate tra loro: il campo di velocità dipende dal gradiente di temperatura che a sua volta dipende dal campo di velocità. Non è più possibile introdurre una scala di velocità indipendente, quindi Re e P e non hanno più il ruolo di primo piano che avevano nella convezione forzata. Bisogna fare riferimento alle quantità determinabili dai dati che individuano il problema: esse sono Gr e P r . Convezione forzata e libera sono casi estremi che racchiudono una varietà di situazioni: Quando Gr ∼ Re2 le cose si complicano; è il caso ad esempio della convezione in flussi stratificati o in fluidi rotanti. 1 Convezione C.3. Convezione naturale 178 rte Consideriamo le equazioni adimensionali e facciamo debite considerazioni sulle informazioni che contiene il numero di Grashof : dobbiamo cercare di vedere se e quando è possibile introdurre un criterio di similarità e quindi un modo per stimare la quantità incognita Re (e quindi la velocità caratteristica U ) conoscendo Gr e P r . Guardando l’equazione di moto abbiamo tre termini che si equilibrano: il termine inerziale, viscoso e di Bouyancy, il quale non è mai trascurabile per ipotesi: non possiamo fare molto, se non considerare i due casi estremi di questo equilibrio: Quando il termine viscoso è trascurabile la forza di Bouyancy è equilibrata dal termine inerziale: questo avviene ad alti numeri di Grashof. Re2 (u′ · ∇′ )u′ = 2 − GrT ′ ig Re∇′ u′ L’ipotesi di ritenere trascurabile il termine viscoso è buona ad alti Gr , infatti perché vi sia equilibrio anche Re2 deve essere grande: possiamo quindi trascurare Re rispetto le precedenti quantità. Questo equilibrio suggerisce la seguente scala di velocità: 2 U p < inerzia > |(u · ∇)u| = ∼ L ∼ 1 → U ∼ gαLΘ < buoyancy > |gα∆T | gαΘ Pa Con la quale si valuta il numero di Reynolds: r √ gαLΘL gαΘL3 √ UL ∼ = = Gr Re = ν ν ν2 Per quanto riguarda l’equazione termica: u′ · ∇′ T ′ = 1 P rGr 2 1 2 ∇′ T ′ Come si vede in regime di convezione libera ad alti numeri di Grashof il 1 valore Gr 2 consente di stimare Re , ossia il Boundary Layer di velocità, e quindi consente di fare previsioni sul tipo di moto; analogamente la quantità 1 P rGr 2 consente di stimare P e , quindi il Boundary Layer termico. Consideriamo ora il caso opposto: la forza di Bouyancy è equilibrata unicamente dal termine viscoso, ossia il termine inerziale è trascurabile. Questo avviene a bassi numeri di Grashof. Re2 (u′ · ∇′ )u′ 2 = Re∇′ u′ − GrT ′ ig Convezione C.3. Convezione naturale 179 Il termine inerziale è trascurabile quando Gr è basso: infatti affinché il termine di Bouyancy conservi il suo ordine di grandezza, Re2 deve essere un infinitesimo di ordine superiore rispetto Gr . Questo equilibrio suggerisce la seguente scala di velocità: ν LU2 |ν∇2 u| gαΘL2 < viscoso > = ∼ ∼1 → U ∼ < buoyancy > |gα∆T | gαΘ ν Con la quale si valuta il numero di Reynolds: gαΘL2 L ν gαΘL3 = Gr ν2 rte UL Re = ∼ ν ν = Per quanto riguarda l’equazione termica: u′ · ∇′ T ′ = 1 2 ∇′ T ′ P rGr Pa In regime di convezione libera a bassi numeri di Grashof il valore Gr stesso consente di stimare Re , e quindi P rGr consente di stimare P e . La quantità Ra = P rGr è detta numero di Rayleigh 2 . Questa quantità ha un ruolo di primo piano nello studio del moto convettivo dei layers di fluido orizzontali (celle di Rayleigh-Bénard ). Abbiamo visto che nei sistemi caratterizzati da convezione libera ad alti o bassi numeri di Grashof, la similarità dinamica e termica è assicurata dall’uguaglianza di Gr e P r ; in altre parole l’uguaglianza di questi parametri assicurano la similarità tra due sistemi. Poiché Gr e P r bastano ad identificare il sistema, ogni altro parametro caratteristico sarà funzione di questi: ad esempio abbiamo visto le relazioni Re = f(Gr,P r) e P e = f(Gr,P r) . Il numero di Grashof ha un ruolo affine a quello di Reynolds nella convezione forzata perché indica il tipo di moto da attendersi: Per Gr grandi3 (e P r non troppo piccoli) si ha che le forze d’inerzia ed i fenomeni di avvezione dominano sulle forze viscose e i fenomeni conduttivi; gli effetti di questi ultimi saranno confinati in sottili zone dove devono essere verificate le condizioni al contorno (i Boundary Layers). All’aumentare del numero di Grashof oltre una certa soglia avremo transizioni turbolente. È da puntualizzare che il tipo di moto influenza pesantemente la quantità di calore trasmessa dal fluido: in genere un moto turbolento garantisce un maggior passaggio di calore rispetto ad un moto laminare. Una quantità È molto frequente avere Gr grande: ad esempio, per Θ = 1◦ C e L = 1cm abbiamo Gr ≈ 102 in aria e Gr ≈ 103 in acqua. 3 Numero di Rayleigh Numero di Nüsselt Convezione C.4. Piastra verticale 180 che rende conto del calore che viene trasmesso è il numero di Nüsselt, definito come il rapporto tra il calore totale trasmesso e il calore trasmesso per conduzione. < Qtrasmesso > Nu = < Qconduzione > C.4 Piastra verticale Pa rte Vediamo ora l’esempio più semplice di un sistema in convezione libera, una lastra indefinita verticale1 piana avente uniforme Tp immersa in un fluido fermo ed a temperatura T0 < Tp . Questo sistema può essere un modello di prima approssimazione di un dissipatore metallico in aria. Vicino alla parete il fluido scaldato per conduzione è trascinato verso l’alto dalle forze di Bouyancy, quindi a partire dal bordo inferiore della piastra si instaura un moto ascendente inizialmente laminare, su cui focalizziamo la nostra attenzione. Più in alto, quando il numero di Grashof supera un valore critico, si ha una transizione turbolenta, ed oltre il bordo superiore il fluido continuerà a salire con una piuma. Con l’approssimazione dei Boundary Layers pensiamo al moto confinato all’interno di una sottile regione vicino alla piastra, al di fuori della quale il fluido è con buona approssimazione fermo. Allo stesso modo esisterà un Boundary Layer termico al di fuori del quale il fluido sarà alla temperatura imperturbata T0 . In figura C.1 nella pagina seguente sono riportati a due diverse quote i profili di velocità e temperatura ottenuti per integrazione numerica delle (C.10). Questi profili non si discostano molto da quelli reali finantoché il moto si mantiene laminare. Al crescere di x aumenta la velocità massima; vediamo in che modo. Si definisce ad ogni quota un numero di Grashof locale pari a: Grx = gα(Tp − T0 )x3 ν2 1 Ricordando che se Gr è abbastanza grande è Re ∼ Gr 2 possiamo stimare la velocità caratteristica: U= 1 1 ν ν Rex ∼ Grx2 ∝ x 2 x x Campo gravitazionale uniforme verticale. Data la simmetria il sistema è bidimensionale. 1 Convezione C.4. Piastra verticale x 181 x Pr ≃ 1 umax xcrit gαΘx3crit Grcrit = ∼ 109 ν2 1 u ∆T ′ −1 1 1 δ ∝ x4 rte δ ∝ x Grx 4 ∝ x 4 Tp umax u umax ∝ x 1 2 1 Tp ∆T ′ ∆T ′ = T − T0 ∆T = Θ Tp − T0 T0 < Tp U0 = 0 y y Figura C.1: Piastra verticale calda: profili di velocità e temperatura Ed avremo umax ∝ U . È possibile ora calcolare il flusso di fluido ascendente: Z y 1 3 u(y) dy ∼ Uδ ∝ νGrx4 ∝ x 4 Pa 0 Consideriamo ora un numero di Prandtl non troppo discosto dall’unità (condizione verificata per i fluidi gassosi) il Boundary Layer di temperatura coincide con quello di velocità perché il numero di Reynolds e di Péclet sono uguali. Se pensassimo di aumentare la conducibilità termica del fluido, in modo da diminuire il numero di Prandtl, il calore diffonderebbe più lontano e il Boundary Layer di temperatura assumerebbe dimensioni maggiori; questo comporterebbe un aumento il Boundary Layer di velocità perché il fluido riscaldato per conduzione si muove per effetto della Bouyancy. Se al contrario pensassimo di diminuire la conducibilità termica del fluido, aumentando così P r , il Boundary Layer di temperatura diventa più sottile di quello di velocità: il calore diffonde a breve distanza dalla parete, ma il moto di questo sottile strato caldo trascina anche il fluido attiguo freddo attraverso gli effetti viscosi. Convezione C.4. Piastra verticale 182 rte Una sintesi dell’andamento dei profili di velocità e temperatura al variare di P r è rappresentata dai grafici in figura C.2, dove in ordinata ci sono le grandezze riscalate u′ e T ′ , mentre in ascissa si pone il comodo parametro 1 η = Gr4 x 4 xy . Si può notare come all’aumentare di P r il Boundary Layer di temperatura diminuisca maggiormente rispetto quello di velocità. Figura C.2: Profili delle velocità e temperature nel Boundary Layer al variare del numero di Prandtl Pa Come già anticipato, salendo verso l’alto il flusso laminare diventa instabile e subisce una transizione che dà luogo ad un flusso totalmente turbolento. È estremamente difficile individuare un valore di Gr per il quale ha inizio la questa transizione, in primo luogo perché il moto è visibilmente alterato solo dopo una certa lunghezza da cui essa ha effettivamente inizio, inoltre esso varia con P r ed è molto sensibile ai disturbi. Comunque, per fluidi con P r ∼ 1 , si osserva un flusso sostanzialmente laminare per valori del numero di Grashof minori di 109 . Ci sono due meccanismi per cui il Boundary Layer diviene instabile: il primo è comune ad altri shear-flow ed è legato all’aumento del numero di 3 Reynolds locale, Reδ = Uνδ ∝ x 4 . Il secondo è strettamente legato alla natura delle forze di Bouyancy, che tendono ad accentuare lo spostamento del volumetto di fluido dal suo equilibrio dinamico. Questo secondo tipo di instabilità parte prima, a quote basse (se P r non è troppo piccolo), ma si amplifica lentamente, quindi probabilmente solo il primo tipo dà inizio alla transizione, eccetto forse i casi in cui P r è grande. La transizione turbolenta è chiaramente visibile nel grafico in figura C.3 nella pagina seguente, che rappresenta il legame sperimentale tra il numero Convezione C.4. Piastra verticale 183 rte di Nüsselt locale Nux = Qx ( Q è ovviamente il calore trasmesso per unità kΘ di superficie) in funzione del numero di Rayleigh. Figura C.3: Numero di Nüsselt al variare del tipo di moto Notiamo che quando il flusso è laminare i logaritmi sono tra loro proporzionali, quindi si ha una legge del tipo: Nux ∝ Grxn . Talvolta anche la parte turbolenta viene confusa con una retta (avente pendenza maggiore). Il brusco aumento del numero di Nüsselt per Grx P r ∼ 109 coincide con il passaggio dal regime di moto laminare a quello turbolento. Un’ultima considerazione: riferendoci alla lunghezza totale della piastra, se il moto non subisce transizioni: QT L ∝ GrLn ∝ Θn kΘ Pa NuL = Quindi il calore totale scambiato deve aumentare col salto di temperatura secondo la legge: QT ∝ Θn+1 ; contrariamente alla convezione forzata la legge di Newton2 non è più valida: il calore scambiato aumenta più che linearmente perché la temperatura rende il moto più vigoroso aumentando il calore trasmesso. Dal punto di vista pratico in genere si tiene conto dell’effetto complessivo dei fenomeni convettivi mediante un’espressione analoga alla legge di Newton, introducendo un coefficiente medio di trasmissione, detto di avvezione, h , una superficie di scambio S e un salto di temperatura medio: Q = h S (Ts − Tamb ) La legge di Newton sulla trasmissione del calore esprime la proporzionalità tra calore scambiato e salto di temperatura. 2 Convezione C.5. Nota conclusiva 184 I valori di h possono essere trovati in letteratura per le configurazioni geometriche più semplici, ottenuti attraverso studi empirici. Ad esempio per una superficie piana investita da un flusso di fluido di velocità u∞ , considerando la coordinata x parallela al flusso si trova che: r 1 u∞ x hx x 3 , con Grx = = 0.664 Grx Pr Nux ≡ k ν rte Questa relazione empirica permette di calcolare il coefficiente di avvezione medio nota la superficie di scambio e le caratteristiche del fluido. C.5 Nota conclusiva Pa In questa sezione è possibile apprezzare con quale sforzo e con quali approssimazioni si può costruire un modello teorico che consenta in qualche modo di leggere e riutilizzare le osservazioni riguardanti i fenomeni convettivi. Non c’è da stupirsi se tipicamente a livello ingegneristico si tiene conto di questi fenomeni attraverso modelli piuttosto grossolani, essenzialmente basati sul criterio della situazione peggiore, identificati con misure dirette o attraverso dati standard raccolti in tabelle. Questo approccio è stato storicamente l’unica soluzione possibile quando non esistevano strumenti per l’integrazione numerica, ma per un numeroso sottoinsieme di casi rimane tuttora la soluzione più ragionevole proprio perché affinare il modello comporterebbe un onere computazionale immotivato: a questo sottoinsieme appartiene questo stesso lavoro, in cui considerare la non linearità dovuta ai fenomeni convettivi avrebbe significato stravolgere (e complicare non poco) il percorso ottenuto per ottenere il modello, probabilmente senza ottenere un salto di qualità apprezzabile (perché in esso convivono diverse grosse approssimazioni). Bisogna sottolineare che negli ultimi tempi la crescente necessità di margini progettuali ridotti e la disponibilità di elaboratori elettronici con la necessaria capacità di calcolo hanno dato grande spinta allo sviluppo di prodotti software che consentono di ottenere le soluzioni delle (C.7) anche per sistemi complessi. Questi strumenti sono sempre più perfezionati e il loro uso è sempre più diffuso. Bibliografia rte [BCCD98] Paolo Emilio Bagnoli, Claudio Casarosa, Mario Ciampi, and Enrico Dallago. Thermal resistance analysis by induced transient (TRAIT) method for power electronic devices thermal characterization part i: Fundamentals and theory. IEEE Transactions on Power Electronics, 13(6), November 1998. [BCDN98] Paolo Emilio Bagnoli, Claudio Casarosa, Enrico Dallago, and Marco Nardoni. Thermal resistance analysis by induced transient (TRAIT) method for power electronic devices thermal characterization part ii: Practice and experiments. IEEE Transactions on Power Electronics, 13(6), November 1998. [BGG99] Vítězlav Benda, John Gowar, and Duncan A. Grant. Power Semiconductor Devices - theory and applications. John Wiley & sons, New York, 1999. Pa [BRH+ 03] D. Berning, J. Reichl, A. Hefner, M. Hernández, C. Ellenwood, and J.S. Lai. 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