Egidio Dabbeni a Brescia Laura Micheletti e Luciano Roncai 52 3 Itinerari 1 2 11 4 8 7 10 9 12 5 6 Egidio Dabbeni nasce a Brescia il 27 febbraio 1873. Studia ingegneria a Padova e successivamente si specializza in architettura a Roma. La sua carriera universitaria è molto rapida: si laurea nel 1896 e torna nella città natale, dove collabora come socio corrispondente della “Associazione Artistica fra i cultori di architettura” che gli permette di pubblicare alcuni suoi progetti sulla rivista romana “Architettura italiana”. Partecipa anche alla vita culturale cittadina come membro dell’Ateneo di Brescia e commissario per il riordino della Scuola professionale di arti e mestieri “Moretto”. Durante la sua lunga attività si dimostra un progettista completo: nell’elenco delle sue opere troviamo tutte le tipologie architettoniche, dalle ville residenziali alle case operaie e ai palazzi cittadini, dagli stabilimenti industriali agli impianti sportivi, alle scuole, alle chiese, compresi i monumenti fu- nerari, nonché grandi esempi di applicazioni di ingegneria, dalle derivazioni elettriche per dighe e centrali, a canali e strade. Questa versatilità nell’affrontare una così vasta gamma di tipologie edilizie mette in luce la sua grande professionalità, dimostrata nella continua ricerca e nello studio delle nuove tendenze architettoniche e delle innovative tecniche costruttive, come il cemento armato. La sua attività nel periodo liberty include interessanti opere: Villa Gussalli, Casa Capretti, l’Esposizione Industriale ed in particolare Casa Migliorati, un edificio completamente innovativo in quanto introduce a Brescia sia il linguaggio liberty sia l’uso del cemento armato. Osservando più attentamente la produzione architettonica delle ville e dei palazzi, emerge come Dabbeni non rinnegò mai il passato, rispettando le preesistenze storiche e assecondando le volontà dei suoi committenti. In questo quadro si inserisce la sua lunga attività di collaborazione con la Società di costruzioni Pisa, per la quale progettò diverse tipologie abitative, dalle case d’affitto signorili al villaggio borghese, nonché la ricostruzione di palazzi storici. Anche nella vicenda delle case per i ferrovieri, architetture che più si avvicinano alla tipologia della residenza operaia, Dabbeni curò attentamente tutti i dettagli, studiando la disposizione più funzionale della cellula abitativa. All’inizio del Novecento, Brescia si avviava allo sviluppo industriale e Dabbeni, con la sua notevole preparazione tecnica, si dedicò anche alla progettazione di importanti edifici industriali abbinando la funzionalità tecnologica ad una equilibrata composizione. Nei primi due decenni del secolo, progettò le sedi delle maggiori in- dustrie bresciane: le Officine Metallurgiche Togni, i capannoni per la Franchi Armi, i padiglioni per la Tempini e la S. Eustacchio. Dabbeni, progettista a tuttotondo, palesa la sua grande preparazione anche nella progettazione della centrale idroelettrica di Cedegolo per la Società Elettrica Bresciana con le opere di regimazione e derivazione necessarie per il corretto convogliamento e gestione delle acque. Nel 1918 progettò una linea ferroviaria che doveva correre lungo la sponda occidentale del Lago di Garda, giungendo sino a Riva e da lì fino in Trentino. La fama di abile tecnico e calcolatore viene palesata anche nelle collaborazioni richieste dalla “Società bresciana cementi e costruzioni”. Negli anni Venti, Dabbeni esperimenta con successo la progettazione e realizzazione di ville con giardino nella zona di Porta Venezia che lo affermano nella ricca borghesia industriale alla ricerca di una propria immagine sociale. Egli intervenne con ampliamenti, nuove portinerie e imponenti cancellate a chiusura dei giardini con terrazzamenti per superare i dislivelli naturali del terreno. Molto interessante è Palazzo Bertolotti, un edificio che oltre a caratterizzare lo spazio su cui si affaccia, unisce diverse tipologie: residenza, commercio ed un’officina meccanica. Gli anni Trenta si aprono a Brescia con i lavori per l’intervento piacentiniano di piazza Vittoria. Egidio Dabbeni fu il solo architetto bresciano chiamato ad intervenire con il progetto dell’Albergo Vittoria e del Palazzo delle Industrie Bresciane. Dalla fine degli anni Trenta il figlio Mario, laureato a Roma, collabora con il padre; la sua influenza è evidente nelle ultime opere che mostrano un linguaggio che si avvicina al Razionalismo, come il Palazzo Uffici Togni. Negli ultimi anni di attività partecipa e vince il concorso per lo stadio velodromo di Bordeaux con un progetto di pensiline sporgenti 22 metri che evidenziano ancora una volta le sue grandi capacità tecniche. Egidio Dabbeni muore a Brescia nel 1964. Bibliografia F. Robecchi, Il liberty e Brescia, Grafo, Brescia, 1981; F. Campana, Egidio Dabbeni Architetto a Brescia tra Ottocento e Novecento, (tesi di laurea, relatore prof. C. Perogalli, arch. G. Villari, a.a. 1987-88); V. Terraroli, La grande decorazione a Brescia tra Otto e Novecento, Banca Credito Agrario Bresciano, Grafo, Brescia, 1990; P. Ventura, Itinerari di Brescia moderna, Alinea, Firenze, 1992; L. Micheletti, Egidio Dabbeni (1873-1964) vita e opere, (tesi di laurea, relatore prof. L. Roncai, a.a. 2000-01). 1. Casa Migliorati, 1898 Brescia via Trento 2. Esposizione Industriale Provinciale, 1904 Brescia Castello 3. Villa Gussalli, 1905-12 Brescia via Montesuello 4. Palazzi Pisa, ex-Di Bagno, 1907-12 Brescia corso Magenta, angolo via Crispi 1. Sin dalle prime realizzazioni Dabbeni dimostra tutte le sue conoscenze, sia tecniche che artistiche: questa palazzina è uno dei primi esempi di edificio con struttura in c.a. ed allo stesso tempo è decorata da un pregevole fregio che segna l’ingresso del linguaggio liberty nell’ambito cittadino, collocandosi tra i primi anche sulla scena italiana. Il prospetto principale assume un aspetto severo e classico nel suo complesso sia per la scelta del rivestimento in pietra grezza che per il grande portone centrale sormontato da un balcone decorato: caratteristiche che richiamano volutamente i materiali e la tipologia degli antichi palazzi cittadini. L’ultimo piano si distingue dal resto dell’edificio trattato a bugnato per il magnifico fregio liberty che, con le finestre binate, lo alleggerisce e lo avvicina a una loggia. Nel prospetto principale il decoro è inserito tra le finestre ed è scandito dal ritmo dei travetti della copertura che danno la misura agli elementi verticali del disegno; nella porzione d’angolo, invece, la composizione assume maggiore unitarietà e il disegno coinvolge anche la trabeazione delle finestre. L’utilizzo di linee più elastiche e sinuose su uno sfondo floreale lascia trasparire la conoscenza non solo delle influenze francesi, ma anche del Secessionismo viennese. I rosoni applicati al cornicione, anche se di ascendenza più classica, completano il coronamento dell’edificio. L’edificio si sviluppa in quattro piani fuori terra e un sotterraneo. La destinazione d’uso prevede negozi e magazzini al piano terreno e sotterraneo ed abitazioni ai piani superiori. 2. Per la città e la provincia di Brescia l’Esposizione fu l’occasione per dimostrare i livelli di produzione raggiunti in poco più di tre decenni di sviluppo industriale: fu collocata nella struttura storica della rocca sul Colle Cidneo che per l’occasione fu sottoposta a lavori di restauro. Il progetto comprendeva la sistemazione di tutta la superficie libera all’interno della cinta del Castello: il percorso si snodava tra padiglioni e giardini con chioschi e fontane decorative, il tutto accomunato dall’impronta liberty. L’esempio del modernismo parigino del 1900 era stato ormai confermato dall’Esposizione di Torino del 1902, dove aveva trionfato il Liberty di D’Aronco che era ormai conosciuto come lo stile della finzione e dell’effimero e quindi adatto per le esposizioni, dove tutto era ideato per esistere per un periodo di tempo limitato. Il padiglione principale era costituito da un salone circolare di 20 m di diametro coperto da una cupola e da due grandi gallerie (80 x 13 m), disposte lungo il ciglio della rocca. La struttura, nel complesso monumentale, con grandi archi, torri e torricelle, cupole e merlature era visibile anche da grandi distanze e formava una sorta di nuova cinta per il colle, in questo caso senza nessuna funzione difensiva, ma di divertimento. Altri padiglioni riprendevano la tipologia del capannone industriale con pilastri e travature di metallo o con struttura a tre cerniere, ma le facciate degli ingressi erano decorate con fregi con linee a colpo di frusta. È interessante notare come Dabbeni sia riuscito ad adattare in modo flessibile la compostezza strutturale del capannone alla bizzarria formale e decorativa del padiglione espositivo. 3. La villa è situata nella zona settentrionale della città lungo una delle direttrici che si ramificano verso l’esterno partendo dal centro storico. Queste aree, insieme con quelle ricavate dall’abbattimento delle mura venete, furono le prime ad essere lottizzate all’inizio del secolo e vi si trovano tutt’ora esempi eterogenei di abitazioni realizzate in quegli anni: si passa dal palazzetto e dalla villetta singola nelle zone a nord e ad ovest, al tentativo di creare una vera e propria città giardino nella zona a sudest. La realizzazione appartiene alla tipologia del villino che si sviluppa all’inizio del Novecento come ibridazione tra la villa di campagna e la palazzina cittadina, in questo caso ispirata ad un linguaggio neomedioevale, liberamente interpretato nel gioco dei volumi e delle aperture che sdrammatizzano l’aspetto severo che le viene conferito dal bugnato rustico. Le facciate presentano avanzamenti e arretramenti, il profilo si sviluppa su diverse altezze e le numerose finestre assumono le forme e le dimensioni più svariate: dalle piccole bucature della portineria alla grande apertura ad “omega”, cui si sovrappongono due trifore in corrispondenza del vano scale. Numerose decorazioni pittoriche a motivi geometrici sono inserite nelle facciate nel cornicione, sotto le finestre o negli archi della loggia. La portineria annessa riprende le caratteristiche compositive della villa: pur essendo interamente rivestita dallo stesso bugnato rustico ha un tono dimesso con il volume più compatto e una maggiore semplicità di forme. È collegata all’abitazione principale da un portico colonnato con tre archi a tutto sesto, sormontato da una terrazza che funge da passaggio al primo piano. 4. I Palazzi Pisa si trovano nel centro storico cittadino, lungo una delle principali direttrici che si diramano verso le antiche porte. Il progetto parte dalla ricostruzione di alcune vecchie case ormai fatiscenti che dovevano essere demolite per la rettificazione del Corso, voluta dal piano di risanamento del 1887. I due nuovi edifici affiancati continuano la cortina edilizia della via e si presentano su strada con uniformità di volume, altezza e partizione orizzontale, mentre mostrano differenti scelte e soluzioni nei materiali utilizzati. Il primo palazzo, ispirato alle forme del Rinascimento, ha un’austera facciata suddivisa in tre fasce orizzontali: l’alto basamento in bugnato rustico in pietra di Rezzato, la fascia centrale, corrispondente al piano nobile e al secondo piano in pietra di medolo, una fascia di coronamento a modo di loggetta con decorazioni pittoriche. L’accesso all’edificio avviene direttamente dalla strada tramite il portone centrale, che immette in un ampio androne affrescato che conduce fino al cortile. Il secondo edificio è caratterizzato da un portico ad archi a tutto sesto scandito da paraste verticali e dall’ultimo piano, pensato ancora come una loggia, con un numero maggiore di aperture binate alternate a cornici dipinte a marmi policromi. I cortili dei due fabbricati si affiancano formandone uno solo abbellito da aiole con una piccola fontana; le facciate interne sono trattate più semplicemente rispetto all’esterno: a mattoni a vista per il primo edificio e ad intonaco liscio per il secondo, con cornici semplici alle finestre. Itinerari 53 5. Casa d’affitto Pisa, 1911-15 Brescia via Solferino, angolo via Ferramola 6. Case dei ferrovieri, 1912 Brescia via Verona 7. Edifici industriali, 1915 Brescia via Milano 8. Sede della Banca San Paolo, 1922 (ora Banco di Brescia) Brescia corso Martiri della Libertà 7. Dabbeni, date le sue notevoli conoscenze tecniche, fu tra i principali progettisti dell’area industriale di via Milano, un importante complesso costituito da capannoni che si sviluppano per 15.000 mq su un unico piano, con struttura in cemento armato. Tra i primi capannoni realizzati spicca lo stabilimento per la produzione di condotte forzate di Giulio Togni con le particolari aperture ad “omega” che segnano l’introduzione delle forme liberty anche nell’architettura industriale. Nei capannoni in via Fiume Grande, realizzati nel 1915, la copertura a falde con capriate in legno è occultata da un paramento in mattoni con la parte centrale più alta raccordata con gradini alle due porzioni laterali. La diffusione delle strutture in cemento armato favorì sempre più l’utilizzo di coperture a shed in metallo e vetro, al punto da farle divenire, insieme alla ciminiera, l’emblema dell’edificio industriale. L’ingegner Dabbeni collaborò assiduamente anche con la Società Elettrica Bresciana per la quale realizzò la sede centrale degli uffici in via Leonardo da Vinci, nonché numerose opere di ingegneria idraulica: la derivazione di fiumi e torrenti e la realizzazione della Centrale idroelettrica di Cedegolo, in Val Camonica. L’edificio appare uniforme e unitario su tutti i lati: i muri perimetrali sono scanditi da grandi pilastri che emergono dal piano della facciata vetrata; su di essi si regge la copertura della sala macchine, lunga 15 metri e costituita da un solaio incrociato a cassettoni chiusi per poter sostenere il peso di turbine e alternatori. 8. All’inizio degli anni Venti, l’amministrazione della Banca San Paolo acquistò il settecentesco palazzo Martinengo Villagana per adibirlo a sede centrale di Brescia. Dabbeni elaborò un intervento che fosse completamente rispettoso dell’edificio storico, apportando piccole modifiche interne e lasciando inalterati i prospetti su strada. La soluzione proposta venne così commentata dall’architetto Gustavo Giovannoni: “una ingegnosa soluzione (…) che nel suo progetto di adattamento intenderebbe inserire nel vasto cortile una sala ovale ad un piano soltanto, la quale occuperebbe tre delle cinque arcate aperte nel lato maggiore e lascerebbe nel secondo piano spaziare le visuali per tutto il perimetro originario”. La forma ovale risultava l’unica possibile, considerata la forma irregolare del cortile e la necessità di raccordarsi con l’edificio preesistente. Per quanto riguarda la composizione del prospetto esterno e dell’apparato decorativo interno della sala, Dabbeni reinterpretò il linguaggio barocco, prendendo ad esempio il prospetto principale del palazzo settecentesco. Nella copertura della sala, Dabbeni inserì l’unico elemento moderno di tutto l’intervento: si tratta di una cupola in muratura e vetro dove, tra i costoloni barocchi, sono inserite delle magnifiche vetrate liberty. La cupola a base ovale si appoggia su un alto tamburo che all’esterno si innalza per nasconderne tutto il volume. Sotto il cortile si trova il grande caveau. Il lavoro di scavo per il sotterraneo raggiunse la profondità di 7 metri; contemporaneamente vennero rinforzate le murature perimetrali dell’edificio e si realizzò un vespaio per la posa di tutti gli impianti tecnici. Itinerari 54 5. La Casa d’affitto Pisa, situata all’angolo di un nuovo isolato disegnato dal piano regolatore all’esterno dell’antica cerchia delle mura, ha due affacci su strada ed è composta da tre edifici affiancati che formano una cortina edilizia continua. Pur costituendo un unico blocco, i corpi di fabbrica sono autonomi e si differenziano sul piano compositivo, sia per quanto riguarda l’apparato decorativo sia per la distribuzione stessa. Tutti hanno cinque piani fuori terra e la stessa altezza totale, l’interpiano e le aperture hanno le medesime dimensioni, ma soprattutto, sono accomunati dalla fascia marcapiano tra il secondo e il terzo piano che delinea uno stacco tra il basamento e la parte superiore dell’edificio. Ogni fabbricato ha l’ingresso principale su strada, collocato centralmente in facciata, con portone monumentale a doppia altezza. La facciata dimostra una grande capacità compositiva e decorativa, ma nella complessa e rigogliosa articolazione dei rilievi in cemento non si ritrova traccia degli stilemi liberty. Le finestre hanno cornici con timpani sia triangolari che curvi, le balaustre sono indifferentemente in cemento o in ferro, gli architravi dei portoni sono sorretti da colonne o da cariatidi. Il prospetto è composto simmetricamente ed è ricco di decorazioni: il secondo e il terzo piano sono scanditi da un ordine gigante di lesene che contengono piccole logge curve che fuoriescono dal piano principale della facciata; l’ultimo piano è decorato ancora più fastosamente con le finestre sagomate con grandi volute sormontate da un oculo; il coronamento è completato dalle mensole che sorreggono il cornicione, con volute e teste sporgenti. 6. Le Case dei ferrovieri furono commissionate dall’Amministrazione ferroviaria che voleva offrire abitazioni economiche ai propri dipendenti. Il progetto si avvicina più alla tipologia dell’abitazione operaia piuttosto che alla residenza borghese in quanto veniva richiesta la realizzazione di mini appartamenti per un totale di circa cento locali in un lotto di forma regolare con il lato lungo rivolto a sud. Dabbeni progettò due corpi di fabbrica allineati sul ciglio stradale composti dalla ripetizione, raddoppiata e triplicata, di un modulo di dimensioni di 10,5 x 12 m contenente il corpo scale e due alloggi per ogni piano. Gli alloggi sono bilocali e trilocali, con cantina e legnaia nel sotterraneo, disposti in modo che le camere si affaccino su strada mentre le cucine, i servizi e il vano scale sul cortile. Il fabbricato si presenta esternamente come una lunga cortina edilizia alta quattro piani e chiusa verso la strada: l’unica apertura è costituita dal portico che collega i due corpi di fabbrica. Il fronte principale è ornato da fasce graffite e da schematici bassorilievi in cemento che riflettono l’attenzione per le influenze europee e la conoscenza del movimento della Secessione. L’intonaco nella parte bassa è rigato orizzontalmente per ottenere l’effetto dello zoccolo bugnato, mentre ai piani superiori è lasciato liscio. La facciata è inoltre modulata da piccole superfici cilindriche che terminano in alto con loggette chiuse dal parapetto in muratura. L’ultimo piano è percorso da una grande fascia orizzontale con una decorazione a motivi geometrici. 9. Villa de Rosmini, 1924 (ora Bettinelli) Brescia via Ragazzoni 10. Palazzo Bertolotti, 1926-27 Brescia viale Venezia 11. Albergo Vittoria e Palazzo delle Industrie bresciane, 1930-37 Brescia via X Giornate 12. Palazzo uffici Togni, 1930 Brescia via Vittorio Emanuele II 9. La villa è situata nella zona collinare ad est della città in un lotto di forma rettangolare che si allunga secondo il declinare del terreno con l’abitazione collocata a monte. Arrivando dalla strada, colpisce il volume ricurvo dell’ingresso che fuoriesce dal piano della facciata. È costituito da un loggiato convesso che si innesta sulla concavità del prospetto, formando un ampio portico a pianta ovale sormontato da un terrazzo, collegato alla strada da una scenografica doppia rampa ellittica. La facciata si caratterizza per la composizione rigorosamente simmetrica, terminante con due timpani che riprendono un linguaggio classico, liberamente interpretato in tutto l’apparato decorativo della villa. Il prospetto sud ha la stessa importanza del prospetto principale: il piano della facciata è animato da due logge laterali che si proiettano verso il giardino con la stessa curvatura del portico dell’ingresso e con lo stesso trattamento della balaustra e della trabeazione. La parte centrale, tra le due logge, è arretrata rispetto al piano della facciata ed è interamente occupata da due grandi trifore che alleggeriscono tutto l’insieme. La villa, di pianta quadrata, è organizzata su tre livelli, di cui uno seminterrato; tutti i piani hanno i locali disposti attorno al disimpegno centrale. Il giardino si estende per più della metà del lotto ed è stato disegnato simmetricamente con linee prospettiche che hanno come punto di fuga l’edificio. L’area è ripartita in tre zone: quella centrale occupata da una fontana e le due laterali con due pergolati gemelli. La vasca d’acqua centrale si snoda lungo la pendenza del terreno con sei livelli degradanti che terminano in una vasca circolare. 10. Palazzo Bertolotti è situato ai margini del centro urbano proponendo, con il suo volume concavo, una sistemazione monumentale del piazzale antistante. Il complesso edificio racchiude la concessionaria Fiat e negozi al piano terra, officine meccaniche nel sotterraneo e appartamenti signorili ai piani superiori. Si sviluppa per cinque piani fuori terra con un grande cortile centrale situato al primo piano sulla copertura del garage stesso, utilizzato come terrazza. I prospetti esterni sono composti secondo lo schema più volte sperimentato dal Dabbeni. Si tratta di fasce sovrapposte che riprendono la partizione classica: il basamento in bugnato liscio (piano terra e primo piano), il corpo dell’edificio (secondo e terzo piano) suddiviso da lesene giganti e il coronamento che si contraddistingue per un elemento unico in tutta Brescia (l’originale cornicione a volta rovesciata e aggettante che sottende archi a tutto sesto con balaustre formate da colonnine di cemento). Il carattere monumentale dell’intero edificio deriva dalla magnifica facciata concava che si affaccia sul piazzale ad ovest dove tutto assume proporzioni gigantesche: il portone, alto due piani, d’ingresso al garage è sormontato dal volume convesso del balcone porticato con due colonne dell’ordine gigante. Esse sorreggono un’altana coronata da un timpano che si eleva sopra il volume di tutto l’edificio. Tutti gli appartamenti sono studiati per raggiungere il massimo livello di comfort e funzionalità: hanno stanze molto ampie e ben illuminate, doppio affaccio, impianto centrale di riscaldamento con termosifoni e una stanza per la domestica con relativi servizi igienici. Itinerari 55 11. I due edifici si affacciano ad est, sulla zona del centro interessata dall’intervento di piazza della Vittoria, realizzato da Marcello Piacentini a partire dal 1930. L’architetto aveva redatto un piano di massima nel quale erano indicati i volumi, le altezze massime degli edifici, le zone destinate a gallerie e passaggi coperti. Per quanto riguarda l’Albergo Vittoria, che sarebbe diventato l’albergo più prestigioso di tutta Brescia, l’intervento di Dabbeni si limitò alla sola distribuzione interna. Il piano terra è occupato per quasi la metà da una spaziosa galleria – che corre lungo tutto il fronte su strada attraversando l’intero isolato – sulla quale si affacciano, oltre all’ingresso dell’albergo, un ristorante, una pasticceria ed un caffè, mentre ai quattro piani superiori si trovano le 64 camere, ognuna con bagno, quattro saloni e l’appartamento del direttore. Il Palazzo delle Industrie bresciane è situato nel lotto dell’angolo nord-est di piazza della Vittoria, a fianco del Palazzo delle Poste. L’edificio si sviluppa per tre piani sopra le Sale commerciali e con il suo volume crea una corte con un’ampia terrazza centrale che le illumina attraverso un grande lucernario. I prospetti furono disegnati da Dabbeni, sotto lo stretto controllo di Piacentini, soprattutto per quanto riguarda la facciata verso piazza della Vittoria che risulta priva del coronamento e si uniforma al disegno generale della piazza. La facciata verso via X Giornate è scandita da sei grosse colonne aggettanti alte due piani, tra le quali si aprono le porte delle Sale commerciali sovrastate da cinque bassorilievi. 12. L’imponente Palazzo Togni sorge ai margini del centro storico, nel luogo dove si trovava il bastione di S. Nazzaro, all’incrocio tra due strade. Dabbeni concepì il palazzo come un blocco monolitico, inattaccabile, a base trapezoidale e senza alcuna sporgenza, che si innalza per sei piani fuori terra. Il rivestimento in bugnato rustico è esteso a tutto il prospetto: la pietra bianca ricopre l’edificio in tutta la sua altezza, senza nessuna modulazione, con l’apparato decorativo ridotto al minimo. L’ingresso principale risulta ancora più austero in quanto è preceduto da un portale in porfido nero di Darfo formato da due grandi pilastri a base quadrata sporgenti dal piano della facciata. Il suo volume complessivo è formato da un blocco compatto di quattro piani sormontato da un blocco più piccolo di due piani che risultano arretrati sui tre fronti che si affacciano su strada. In questo modo dalla via si ha la sensazione che il fabbricato sia alto solo 18 m, contro l’altezza reale di 27,50 metri. I due piani superiori sono ancora rivestiti in bugnato rustico e il prospetto che si affaccia verso il piazzale è risolto con un loggiato dell’ordine gigante con quattro pilastri scanalati in cemento. Il coronamento è costituito dal cornicione sormontato da una fascia muraria alta due metri, anch’essa rivestita da blocchi di pietra grezza, che nasconde il tetto a falde. La pianta dell’edificio è simmetrica, impostata sull’asse dell’angolo formato dalle due strade; si creano così due corpi di fabbrica identici organizzati secondo un corridoio centrale; nella testa dell’edificio che s’impone sul piazzale, è collocato l’ingresso principale con lo scalone che conduce al primo piano.