Egidio Dabbeni a Brescia
Laura Micheletti e Luciano Roncai
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Itinerari
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Egidio Dabbeni nasce a Brescia il
27 febbraio 1873. Studia ingegneria a Padova e successivamente si specializza in architettura
a Roma. La sua carriera universitaria è molto rapida: si laurea nel
1896 e torna nella città natale,
dove collabora come socio corrispondente della “Associazione Artistica fra i cultori di architettura”
che gli permette di pubblicare alcuni suoi progetti sulla rivista romana “Architettura italiana”.
Partecipa anche alla vita culturale
cittadina come membro dell’Ateneo di Brescia e commissario per
il riordino della Scuola professionale di arti e mestieri “Moretto”.
Durante la sua lunga attività si dimostra un progettista completo:
nell’elenco delle sue opere troviamo tutte le tipologie architettoniche, dalle ville residenziali alle
case operaie e ai palazzi cittadini,
dagli stabilimenti industriali agli
impianti sportivi, alle scuole, alle
chiese, compresi i monumenti fu-
nerari, nonché grandi esempi di
applicazioni di ingegneria, dalle
derivazioni elettriche per dighe e
centrali, a canali e strade.
Questa versatilità nell’affrontare
una così vasta gamma di tipologie edilizie mette in luce la sua
grande professionalità, dimostrata
nella continua ricerca e nello studio delle nuove tendenze architettoniche e delle innovative tecniche costruttive, come il cemento
armato.
La sua attività nel periodo liberty
include interessanti opere: Villa
Gussalli, Casa Capretti, l’Esposizione Industriale ed in particolare
Casa Migliorati, un edificio completamente innovativo in quanto
introduce a Brescia sia il linguaggio liberty sia l’uso del cemento
armato.
Osservando più attentamente la
produzione architettonica delle
ville e dei palazzi, emerge come
Dabbeni non rinnegò mai il passato, rispettando le preesistenze
storiche e assecondando le volontà dei suoi committenti.
In questo quadro si inserisce la sua
lunga attività di collaborazione
con la Società di costruzioni Pisa,
per la quale progettò diverse tipologie abitative, dalle case d’affitto signorili al villaggio borghese,
nonché la ricostruzione di palazzi
storici.
Anche nella vicenda delle case per
i ferrovieri, architetture che più si
avvicinano alla tipologia della residenza operaia, Dabbeni curò attentamente tutti i dettagli, studiando la disposizione più funzionale della cellula abitativa.
All’inizio del Novecento, Brescia si
avviava allo sviluppo industriale e
Dabbeni, con la sua notevole preparazione tecnica, si dedicò anche
alla progettazione di importanti
edifici industriali abbinando la funzionalità tecnologica ad una equilibrata composizione.
Nei primi due decenni del secolo,
progettò le sedi delle maggiori in-
dustrie bresciane: le Officine Metallurgiche Togni, i capannoni per
la Franchi Armi, i padiglioni per la
Tempini e la S. Eustacchio.
Dabbeni, progettista a tuttotondo,
palesa la sua grande preparazione
anche nella progettazione della
centrale idroelettrica di Cedegolo
per la Società Elettrica Bresciana
con le opere di regimazione e derivazione necessarie per il corretto
convogliamento e gestione delle
acque.
Nel 1918 progettò una linea ferroviaria che doveva correre lungo
la sponda occidentale del Lago di
Garda, giungendo sino a Riva e
da lì fino in Trentino.
La fama di abile tecnico e calcolatore viene palesata anche nelle
collaborazioni richieste dalla “Società bresciana cementi e costruzioni”.
Negli anni Venti, Dabbeni esperimenta con successo la progettazione e realizzazione di ville con
giardino nella zona di Porta Venezia che lo affermano nella ricca
borghesia industriale alla ricerca
di una propria immagine sociale.
Egli intervenne con ampliamenti,
nuove portinerie e imponenti cancellate a chiusura dei giardini con
terrazzamenti per superare i dislivelli naturali del terreno.
Molto interessante è Palazzo Bertolotti, un edificio che oltre a caratterizzare lo spazio su cui si affaccia, unisce diverse tipologie: residenza, commercio ed un’officina
meccanica.
Gli anni Trenta si aprono a Brescia
con i lavori per l’intervento piacentiniano di piazza Vittoria. Egidio Dabbeni fu il solo architetto
bresciano chiamato ad intervenire
con il progetto dell’Albergo Vittoria e del Palazzo delle Industrie
Bresciane.
Dalla fine degli anni Trenta il figlio
Mario, laureato a Roma, collabora
con il padre; la sua influenza è evidente nelle ultime opere che mostrano un linguaggio che si avvicina al Razionalismo, come il Palazzo Uffici Togni.
Negli ultimi anni di attività partecipa e vince il concorso per lo stadio velodromo di Bordeaux con
un progetto di pensiline sporgenti
22 metri che evidenziano ancora
una volta le sue grandi capacità
tecniche.
Egidio Dabbeni muore a Brescia
nel 1964.
Bibliografia
F. Robecchi, Il liberty e Brescia,
Grafo, Brescia, 1981;
F. Campana, Egidio Dabbeni Architetto a Brescia tra Ottocento e
Novecento, (tesi di laurea, relatore
prof. C. Perogalli, arch. G. Villari,
a.a. 1987-88);
V. Terraroli, La grande decorazione
a Brescia tra Otto e Novecento,
Banca Credito Agrario Bresciano,
Grafo, Brescia, 1990;
P. Ventura, Itinerari di Brescia moderna, Alinea, Firenze, 1992;
L. Micheletti, Egidio Dabbeni
(1873-1964) vita e opere, (tesi di
laurea, relatore prof. L. Roncai,
a.a. 2000-01).
1. Casa Migliorati,
1898
Brescia
via Trento
2. Esposizione Industriale
Provinciale,
1904
Brescia
Castello
3. Villa Gussalli,
1905-12
Brescia
via Montesuello
4. Palazzi Pisa,
ex-Di Bagno,
1907-12
Brescia
corso Magenta,
angolo via Crispi
1. Sin dalle prime realizzazioni Dabbeni dimostra tutte le sue conoscenze,
sia tecniche che artistiche: questa palazzina è uno dei primi esempi di edificio con struttura in c.a. ed allo stesso
tempo è decorata da un pregevole
fregio che segna l’ingresso del linguaggio liberty nell’ambito cittadino,
collocandosi tra i primi anche sulla
scena italiana.
Il prospetto principale assume un
aspetto severo e classico nel suo complesso sia per la scelta del rivestimento
in pietra grezza che per il grande portone centrale sormontato da un balcone decorato: caratteristiche che richiamano volutamente i materiali e
la tipologia degli antichi palazzi cittadini.
L’ultimo piano si distingue dal resto
dell’edificio trattato a bugnato per il
magnifico fregio liberty che, con le
finestre binate, lo alleggerisce e lo avvicina a una loggia. Nel prospetto
principale il decoro è inserito tra le finestre ed è scandito dal ritmo dei travetti della copertura che danno la misura agli elementi verticali del disegno; nella porzione d’angolo, invece,
la composizione assume maggiore
unitarietà e il disegno coinvolge anche
la trabeazione delle finestre. L’utilizzo
di linee più elastiche e sinuose su uno
sfondo floreale lascia trasparire la conoscenza non solo delle influenze
francesi, ma anche del Secessionismo
viennese. I rosoni applicati al cornicione, anche se di ascendenza più
classica, completano il coronamento
dell’edificio.
L’edificio si sviluppa in quattro piani
fuori terra e un sotterraneo. La destinazione d’uso prevede negozi e
magazzini al piano terreno e sotterraneo ed abitazioni ai piani superiori.
2. Per la città e la provincia di Brescia
l’Esposizione fu l’occasione per dimostrare i livelli di produzione raggiunti in poco più di tre decenni di
sviluppo industriale: fu collocata nella
struttura storica della rocca sul Colle
Cidneo che per l’occasione fu sottoposta a lavori di restauro.
Il progetto comprendeva la sistemazione di tutta la superficie libera all’interno della cinta del Castello: il
percorso si snodava tra padiglioni e
giardini con chioschi e fontane decorative, il tutto accomunato dall’impronta liberty. L’esempio del modernismo parigino del 1900 era stato
ormai confermato dall’Esposizione di
Torino del 1902, dove aveva trionfato il Liberty di D’Aronco che era
ormai conosciuto come lo stile della
finzione e dell’effimero e quindi adatto
per le esposizioni, dove tutto era
ideato per esistere per un periodo di
tempo limitato. Il padiglione principale era costituito da un salone circolare di 20 m di diametro coperto
da una cupola e da due grandi gallerie (80 x 13 m), disposte lungo il ciglio della rocca. La struttura, nel complesso monumentale, con grandi archi,
torri e torricelle, cupole e merlature
era visibile anche da grandi distanze
e formava una sorta di nuova cinta
per il colle, in questo caso senza nessuna funzione difensiva, ma di divertimento. Altri padiglioni riprendevano la tipologia del capannone industriale con pilastri e travature di
metallo o con struttura a tre cerniere,
ma le facciate degli ingressi erano decorate con fregi con linee a colpo di
frusta. È interessante notare come
Dabbeni sia riuscito ad adattare in
modo flessibile la compostezza strutturale del capannone alla bizzarria
formale e decorativa del padiglione
espositivo.
3. La villa è situata nella zona settentrionale della città lungo una delle
direttrici che si ramificano verso l’esterno partendo dal centro storico.
Queste aree, insieme con quelle ricavate dall’abbattimento delle mura
venete, furono le prime ad essere lottizzate all’inizio del secolo e vi si trovano tutt’ora esempi eterogenei di
abitazioni realizzate in quegli anni: si
passa dal palazzetto e dalla villetta
singola nelle zone a nord e ad ovest,
al tentativo di creare una vera e propria città giardino nella zona a sudest.
La realizzazione appartiene alla tipologia del villino che si sviluppa all’inizio del Novecento come ibridazione
tra la villa di campagna e la palazzina
cittadina, in questo caso ispirata ad
un linguaggio neomedioevale, liberamente interpretato nel gioco dei
volumi e delle aperture che sdrammatizzano l’aspetto severo che le
viene conferito dal bugnato rustico.
Le facciate presentano avanzamenti
e arretramenti, il profilo si sviluppa
su diverse altezze e le numerose finestre assumono le forme e le dimensioni più svariate: dalle piccole
bucature della portineria alla grande
apertura ad “omega”, cui si sovrappongono due trifore in corrispondenza del vano scale.
Numerose decorazioni pittoriche a
motivi geometrici sono inserite nelle
facciate nel cornicione, sotto le finestre o negli archi della loggia.
La portineria annessa riprende le caratteristiche compositive della villa:
pur essendo interamente rivestita
dallo stesso bugnato rustico ha un
tono dimesso con il volume più compatto e una maggiore semplicità di
forme. È collegata all’abitazione principale da un portico colonnato con
tre archi a tutto sesto, sormontato da
una terrazza che funge da passaggio
al primo piano.
4. I Palazzi Pisa si trovano nel centro
storico cittadino, lungo una delle principali direttrici che si diramano verso
le antiche porte. Il progetto parte dalla
ricostruzione di alcune vecchie case
ormai fatiscenti che dovevano essere
demolite per la rettificazione del Corso,
voluta dal piano di risanamento del
1887. I due nuovi edifici affiancati
continuano la cortina edilizia della via
e si presentano su strada con uniformità di volume, altezza e partizione
orizzontale, mentre mostrano differenti scelte e soluzioni nei materiali
utilizzati.
Il primo palazzo, ispirato alle forme
del Rinascimento, ha un’austera facciata suddivisa in tre fasce orizzontali: l’alto basamento in bugnato rustico in pietra di Rezzato, la fascia
centrale, corrispondente al piano nobile e al secondo piano in pietra di
medolo, una fascia di coronamento
a modo di loggetta con decorazioni
pittoriche. L’accesso all’edificio avviene direttamente dalla strada tramite il portone centrale, che immette
in un ampio androne affrescato che
conduce fino al cortile.
Il secondo edificio è caratterizzato da
un portico ad archi a tutto sesto scandito da paraste verticali e dall’ultimo
piano, pensato ancora come una loggia, con un numero maggiore di aperture binate alternate a cornici dipinte
a marmi policromi.
I cortili dei due fabbricati si affiancano formandone uno solo abbellito
da aiole con una piccola fontana; le
facciate interne sono trattate più semplicemente rispetto all’esterno: a mattoni a vista per il primo edificio e ad
intonaco liscio per il secondo, con
cornici semplici alle finestre.
Itinerari
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5. Casa d’affitto Pisa,
1911-15
Brescia
via Solferino,
angolo via Ferramola
6. Case dei ferrovieri,
1912
Brescia
via Verona
7. Edifici industriali,
1915
Brescia
via Milano
8. Sede della Banca
San Paolo, 1922
(ora Banco di Brescia)
Brescia
corso Martiri della Libertà
7. Dabbeni, date le sue notevoli conoscenze tecniche, fu tra i principali
progettisti dell’area industriale di via
Milano, un importante complesso costituito da capannoni che si sviluppano per 15.000 mq su un unico
piano, con struttura in cemento armato.
Tra i primi capannoni realizzati spicca
lo stabilimento per la produzione di
condotte forzate di Giulio Togni con
le particolari aperture ad “omega”
che segnano l’introduzione delle forme
liberty anche nell’architettura industriale.
Nei capannoni in via Fiume Grande,
realizzati nel 1915, la copertura a
falde con capriate in legno è occultata da un paramento in mattoni con
la parte centrale più alta raccordata
con gradini alle due porzioni laterali.
La diffusione delle strutture in cemento armato favorì sempre più l’utilizzo di coperture a shed in metallo
e vetro, al punto da farle divenire, insieme alla ciminiera, l’emblema dell’edificio industriale.
L’ingegner Dabbeni collaborò assiduamente anche con la Società Elettrica Bresciana per la quale realizzò
la sede centrale degli uffici in via Leonardo da Vinci, nonché numerose
opere di ingegneria idraulica: la derivazione di fiumi e torrenti e la realizzazione della Centrale idroelettrica
di Cedegolo, in Val Camonica.
L’edificio appare uniforme e unitario
su tutti i lati: i muri perimetrali sono
scanditi da grandi pilastri che emergono dal piano della facciata vetrata;
su di essi si regge la copertura della
sala macchine, lunga 15 metri e costituita da un solaio incrociato a cassettoni chiusi per poter sostenere il
peso di turbine e alternatori.
8. All’inizio degli anni Venti, l’amministrazione della Banca San Paolo acquistò il settecentesco palazzo Martinengo Villagana per adibirlo a sede
centrale di Brescia. Dabbeni elaborò
un intervento che fosse completamente rispettoso dell’edificio storico,
apportando piccole modifiche interne
e lasciando inalterati i prospetti su
strada.
La soluzione proposta venne così commentata dall’architetto Gustavo Giovannoni: “una ingegnosa soluzione
(…) che nel suo progetto di adattamento intenderebbe inserire nel vasto
cortile una sala ovale ad un piano soltanto, la quale occuperebbe tre delle
cinque arcate aperte nel lato maggiore e lascerebbe nel secondo piano
spaziare le visuali per tutto il perimetro originario”.
La forma ovale risultava l’unica possibile, considerata la forma irregolare
del cortile e la necessità di raccordarsi
con l’edificio preesistente. Per quanto
riguarda la composizione del prospetto esterno e dell’apparato decorativo interno della sala, Dabbeni reinterpretò il linguaggio barocco, prendendo ad esempio il prospetto principale del palazzo settecentesco. Nella
copertura della sala, Dabbeni inserì
l’unico elemento moderno di tutto
l’intervento: si tratta di una cupola in
muratura e vetro dove, tra i costoloni
barocchi, sono inserite delle magnifiche vetrate liberty. La cupola a base
ovale si appoggia su un alto tamburo
che all’esterno si innalza per nasconderne tutto il volume.
Sotto il cortile si trova il grande caveau. Il lavoro di scavo per il sotterraneo raggiunse la profondità di 7
metri; contemporaneamente vennero
rinforzate le murature perimetrali dell’edificio e si realizzò un vespaio per
la posa di tutti gli impianti tecnici.
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5. La Casa d’affitto Pisa, situata all’angolo di un nuovo isolato disegnato
dal piano regolatore all’esterno dell’antica cerchia delle mura, ha due
affacci su strada ed è composta da
tre edifici affiancati che formano una
cortina edilizia continua. Pur costituendo un unico blocco, i corpi di
fabbrica sono autonomi e si differenziano sul piano compositivo, sia
per quanto riguarda l’apparato decorativo sia per la distribuzione stessa.
Tutti hanno cinque piani fuori terra
e la stessa altezza totale, l’interpiano
e le aperture hanno le medesime dimensioni, ma soprattutto, sono accomunati dalla fascia marcapiano tra
il secondo e il terzo piano che delinea uno stacco tra il basamento e la
parte superiore dell’edificio.
Ogni fabbricato ha l’ingresso principale su strada, collocato centralmente
in facciata, con portone monumentale a doppia altezza. La facciata dimostra una grande capacità compositiva e decorativa, ma nella complessa
e rigogliosa articolazione dei rilievi in
cemento non si ritrova traccia degli
stilemi liberty.
Le finestre hanno cornici con timpani
sia triangolari che curvi, le balaustre
sono indifferentemente in cemento
o in ferro, gli architravi dei portoni
sono sorretti da colonne o da cariatidi.
Il prospetto è composto simmetricamente ed è ricco di decorazioni: il secondo e il terzo piano sono scanditi
da un ordine gigante di lesene che
contengono piccole logge curve che
fuoriescono dal piano principale della
facciata; l’ultimo piano è decorato
ancora più fastosamente con le finestre sagomate con grandi volute
sormontate da un oculo; il coronamento è completato dalle mensole
che sorreggono il cornicione, con volute e teste sporgenti.
6. Le Case dei ferrovieri furono commissionate dall’Amministrazione ferroviaria che voleva offrire abitazioni
economiche ai propri dipendenti. Il
progetto si avvicina più alla tipologia
dell’abitazione operaia piuttosto che
alla residenza borghese in quanto veniva richiesta la realizzazione di mini
appartamenti per un totale di circa
cento locali in un lotto di forma regolare con il lato lungo rivolto a sud.
Dabbeni progettò due corpi di fabbrica allineati sul ciglio stradale composti dalla ripetizione, raddoppiata e
triplicata, di un modulo di dimensioni
di 10,5 x 12 m contenente il corpo
scale e due alloggi per ogni piano.
Gli alloggi sono bilocali e trilocali, con
cantina e legnaia nel sotterraneo, disposti in modo che le camere si affaccino su strada mentre le cucine, i
servizi e il vano scale sul cortile.
Il fabbricato si presenta esternamente
come una lunga cortina edilizia alta
quattro piani e chiusa verso la strada:
l’unica apertura è costituita dal portico che collega i due corpi di fabbrica. Il fronte principale è ornato da
fasce graffite e da schematici bassorilievi in cemento che riflettono l’attenzione per le influenze europee e
la conoscenza del movimento della
Secessione. L’intonaco nella parte
bassa è rigato orizzontalmente per
ottenere l’effetto dello zoccolo bugnato, mentre ai piani superiori è lasciato liscio. La facciata è inoltre modulata da piccole superfici cilindriche
che terminano in alto con loggette
chiuse dal parapetto in muratura. L’ultimo piano è percorso da una grande
fascia orizzontale con una decorazione a motivi geometrici.
9. Villa de Rosmini,
1924 (ora Bettinelli)
Brescia
via Ragazzoni
10. Palazzo Bertolotti,
1926-27
Brescia
viale Venezia
11. Albergo Vittoria
e Palazzo
delle Industrie bresciane,
1930-37
Brescia
via X Giornate
12. Palazzo uffici Togni,
1930
Brescia
via Vittorio Emanuele II
9. La villa è situata nella zona collinare ad est della città in un lotto di
forma rettangolare che si allunga secondo il declinare del terreno con l’abitazione collocata a monte. Arrivando dalla strada, colpisce il volume
ricurvo dell’ingresso che fuoriesce dal
piano della facciata. È costituito da
un loggiato convesso che si innesta
sulla concavità del prospetto, formando un ampio portico a pianta
ovale sormontato da un terrazzo, collegato alla strada da una scenografica doppia rampa ellittica. La facciata
si caratterizza per la composizione rigorosamente simmetrica, terminante
con due timpani che riprendono un
linguaggio classico, liberamente interpretato in tutto l’apparato decorativo della villa.
Il prospetto sud ha la stessa importanza del prospetto principale: il piano
della facciata è animato da due logge
laterali che si proiettano verso il giardino con la stessa curvatura del portico dell’ingresso e con lo stesso trattamento della balaustra e della trabeazione. La parte centrale, tra le due
logge, è arretrata rispetto al piano
della facciata ed è interamente occupata da due grandi trifore che alleggeriscono tutto l’insieme. La villa,
di pianta quadrata, è organizzata su
tre livelli, di cui uno seminterrato; tutti
i piani hanno i locali disposti attorno
al disimpegno centrale.
Il giardino si estende per più della
metà del lotto ed è stato disegnato
simmetricamente con linee prospettiche che hanno come punto di fuga
l’edificio. L’area è ripartita in tre zone:
quella centrale occupata da una fontana e le due laterali con due pergolati gemelli. La vasca d’acqua centrale
si snoda lungo la pendenza del terreno con sei livelli degradanti che terminano in una vasca circolare.
10. Palazzo Bertolotti è situato ai margini del centro urbano proponendo,
con il suo volume concavo, una sistemazione monumentale del piazzale antistante. Il complesso edificio
racchiude la concessionaria Fiat e negozi al piano terra, officine meccaniche nel sotterraneo e appartamenti
signorili ai piani superiori. Si sviluppa
per cinque piani fuori terra con un
grande cortile centrale situato al primo
piano sulla copertura del garage stesso,
utilizzato come terrazza.
I prospetti esterni sono composti secondo lo schema più volte sperimentato dal Dabbeni. Si tratta di fasce
sovrapposte che riprendono la partizione classica: il basamento in bugnato liscio (piano terra e primo piano),
il corpo dell’edificio (secondo e terzo
piano) suddiviso da lesene giganti e
il coronamento che si contraddistingue per un elemento unico in tutta
Brescia (l’originale cornicione a volta
rovesciata e aggettante che sottende
archi a tutto sesto con balaustre formate da colonnine di cemento).
Il carattere monumentale dell’intero
edificio deriva dalla magnifica facciata concava che si affaccia sul piazzale ad ovest dove tutto assume proporzioni gigantesche: il portone, alto
due piani, d’ingresso al garage è sormontato dal volume convesso del balcone porticato con due colonne dell’ordine gigante. Esse sorreggono
un’altana coronata da un timpano
che si eleva sopra il volume di tutto
l’edificio.
Tutti gli appartamenti sono studiati
per raggiungere il massimo livello di
comfort e funzionalità: hanno stanze
molto ampie e ben illuminate, doppio affaccio, impianto centrale di riscaldamento con termosifoni e una
stanza per la domestica con relativi
servizi igienici.
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11. I due edifici si affacciano ad est,
sulla zona del centro interessata dall’intervento di piazza della Vittoria,
realizzato da Marcello Piacentini a
partire dal 1930. L’architetto aveva
redatto un piano di massima nel quale
erano indicati i volumi, le altezze massime degli edifici, le zone destinate a
gallerie e passaggi coperti.
Per quanto riguarda l’Albergo Vittoria, che sarebbe diventato l’albergo
più prestigioso di tutta Brescia, l’intervento di Dabbeni si limitò alla sola
distribuzione interna. Il piano terra è
occupato per quasi la metà da una
spaziosa galleria – che corre lungo
tutto il fronte su strada attraversando
l’intero isolato – sulla quale si affacciano, oltre all’ingresso dell’albergo,
un ristorante, una pasticceria ed un
caffè, mentre ai quattro piani superiori si trovano le 64 camere, ognuna
con bagno, quattro saloni e l’appartamento del direttore.
Il Palazzo delle Industrie bresciane è
situato nel lotto dell’angolo nord-est
di piazza della Vittoria, a fianco del
Palazzo delle Poste. L’edificio si sviluppa per tre piani sopra le Sale commerciali e con il suo volume crea una
corte con un’ampia terrazza centrale
che le illumina attraverso un grande
lucernario.
I prospetti furono disegnati da Dabbeni, sotto lo stretto controllo di Piacentini, soprattutto per quanto riguarda la facciata verso piazza della
Vittoria che risulta priva del coronamento e si uniforma al disegno generale della piazza. La facciata verso
via X Giornate è scandita da sei grosse
colonne aggettanti alte due piani, tra
le quali si aprono le porte delle Sale
commerciali sovrastate da cinque bassorilievi.
12. L’imponente Palazzo Togni sorge
ai margini del centro storico, nel luogo
dove si trovava il bastione di S. Nazzaro, all’incrocio tra due strade.
Dabbeni concepì il palazzo come un
blocco monolitico, inattaccabile, a
base trapezoidale e senza alcuna sporgenza, che si innalza per sei piani fuori
terra. Il rivestimento in bugnato rustico è esteso a tutto il prospetto: la
pietra bianca ricopre l’edificio in tutta
la sua altezza, senza nessuna modulazione, con l’apparato decorativo ridotto al minimo.
L’ingresso principale risulta ancora più
austero in quanto è preceduto da un
portale in porfido nero di Darfo formato da due grandi pilastri a base quadrata sporgenti dal piano della facciata.
Il suo volume complessivo è formato
da un blocco compatto di quattro
piani sormontato da un blocco più
piccolo di due piani che risultano arretrati sui tre fronti che si affacciano
su strada. In questo modo dalla via
si ha la sensazione che il fabbricato
sia alto solo 18 m, contro l’altezza
reale di 27,50 metri.
I due piani superiori sono ancora rivestiti in bugnato rustico e il prospetto
che si affaccia verso il piazzale è risolto con un loggiato dell’ordine gigante con quattro pilastri scanalati in
cemento. Il coronamento è costituito
dal cornicione sormontato da una fascia muraria alta due metri, anch’essa
rivestita da blocchi di pietra grezza,
che nasconde il tetto a falde.
La pianta dell’edificio è simmetrica,
impostata sull’asse dell’angolo formato dalle due strade; si creano così
due corpi di fabbrica identici organizzati secondo un corridoio centrale;
nella testa dell’edificio che s’impone
sul piazzale, è collocato l’ingresso
principale con lo scalone che conduce al primo piano.