www.gliamicidellamusica.net Pubblicato il 11 Febbraio 2017 Successo del nuovo allestimento dell'opera di Rossini a duecento anni dalla prima assoluta Nella Cenerentola rivive Lele Luzzati servizio di Simone Tomei LUCCA - Quando penso a Gioachino Rossini, mi si illuminano gli occhi, si drizzano le orecchie ed il mio cuore impazza di gioia. Da remote letture ho estrapolato una frase per configurare “il pesarese” attraverso queste parole di Stendhal allorché scriveva una prima, ma poco precisa biografia: Vie de Rossini: «Dalla morte di Napoleone ab b iamo trovato un altro uomo di cui si parla tutti i giorni a Mosca come a Napoli, a Londra come a Vienna, a Parigi come a Calcutta. La gloria di quest'uomo non conosce altri confini che quelli della civiltà.» Credo che questo pensiero renda davvero merito alla genialità all’arguzia e alla lungimiranza del compositore trovando in Cenerentola una degna rappresentanza di questi lusinghieri aggettivi. Nel dicembre del 1816 stava formandosi l’idea di una nuova opera da comporre per il Carnevale romano ormai alle porte; il librettista Jacopo Ferretti - nelle sue memorie redatte da Annalisa Bini in Rossini a Roma nel 1830 - ci racconta della genesi, in una fredda sera romana, di questo capolavoro con la narrazione dell’incontro a palazzo Capranica a Roma - davanti la chiesa di Sant’Andrea della Valle - in casa dell’impresario Cartoni; “… Mancavano due soli dì al Natale dell'anno 1816, quando il pacifico impresario Cartoni ed il maestro Rossini m'invitarono ad un congresso innanzi al censore ecclesiastico. Trattavasi di considerevoli modificazioni da operarsi in un lib retto scritto dal Rossi, pel teatro Valle, e che come second'opera del carnevale comporre si doveva dal Rossini. Nel titolo si leggeva: Ninetta alla corte, ma il soggetto ne era Francesca di Foix, una delle meno morali commedie del teatro francese, in un'epoca che incominciava a cangiarsi in una famosa scuola di lib ertinaggio…” e venendo a quella sera dicembrina aggiornando l'incontro a casa del Cartoni, compositore ed impresario chiesero a Ferretti di trovare un nuovo argomento e scrivere subito un libretto e le cose andarono più o meno così: “… Ristrettici in casa del Cantoni a b ere del the in quella sera freddissima, io proposi un venti o trenta soggetti da melodramma, ma uno era valutato troppo serio, e a Roma per carnevale si voleva ridere, un altro troppo complicato. Stanco dal proporre e mezzo cascante dal sonno, sillab ai in mezzo ad uno sb adiglio: Cendrillon. Rossini, che per esser meglio concentrato si era posto in letto, rizzandosi fu come il Farinata dell’Alighieri: “Avresti tu core di scrivermi Cendrillon? mi disse, ed io a lui di rimando: e tu di metterla in musica?”. “Quando mi daresti il programma dell’opera?” “Domani mattina”. “Allora a domani mattina, b uonanotte”. E Rossini si avvolse nelle coperte disponendosi a dormire. Jacopo Ferretti chiese un’altra tazza di the fumante e fissò sub ito con Cartoni la mercede per il suo lavoro su Cenerentola. Lui e l’impresario si strinsero e si scrollarono la mano come si usava nei mercati tra gente d’onore e il poeta se ne usci nella serena, gelida notte romana. Le statue di Sant’Andrea della Valle parevano, più che mai raggelate. “Corsi a casa. Là un b uon caffè di moda rimpiazzò il the della Giamaica, Misurai più volte per largo e per lungo con le b raccia conserte la mia gran camera da letto, e quando Dio volle, e mi vidi innanzi il quadro, scrissi il programma della Cenerentola e all’indomani lo inviai a Rossini.” Sono passati più di duecento anni da quella notte gelida e proprio a Lucca per celebrare questo anniversario ha preso nuovamente vita questo sublime capolavoro di musica, parole ed emozioni. Raccontare di questa visione al Teatro del Giglio di Lucca nella rappresentazione del 10 Febbraio 2017 non è cosa facile, ma comunque entusiasmante. Innanzitutto giova ricordare che quello andao in scena è un nuovo allestimento del Teatro del Giglio di Lucca in coproduzione con il Teatro Alighieri di Ravenna, la Fondazione Teatri di Piacenza, con la collaborazione di Teatro Comunale "A. Rendano" di Cosenza, e con l'Ente Luglio Musicale Trapanese. Qualche tempo fa dopo una mia recensione in cui avevo espresso delle perplessità in merito ad una messinscena, uno degli autori della stessa, in un suo commento sul social Facebook, mi rivolse un’ambascia che conteneva tanti “se”: se il critico sapesse, se il critico avesse visto, se il critico fosse stato; non mi sento di dare torto a questo suo discorso anche perché quando è possibile ho sempre cercato di “entrare” dietro le quinte fisiche e non, di uno spettacolo per poterne carpire al meglio i molteplici aspetti, ma in quell’occasione non fu possibile; posso assicurarvi che in questa esperienza lucchese, ho avuto modo di poter vivere appieno tanti aspetti e tanti momenti della fase preparatoria ed ho visto crescere piano piano, ma con determinazione, questa produzione: qualcuno potrà asserire che non vi sia obiettività nel giudizio e quindi leggere questa recensione come una semplice cronaca; io credo invece che l’occhio critico si sviluppi maggiormente e riesca a riportare con più sincerità e realtà di quello che accade sul palcoscenico: in fin dei conti il compito del critico è sì, quello di giudicare lo spettacolo nella sua forma suprema che si esplica nella “recita”, ma lo può fare ancor con maggiore cognizione di causa, laddove abbia materiale ed informazioni da poter elaborare e tradurre sulla carta, in modo da riuscire ad esplicitare al meglio tutte le facce che compongono il poliedrico mondo del palco e retropalco. Proprio per dare ancor più voce a tutto ciò che fa parte di questo mondo fatato, ma non troppo di Cenerentola, ho voluto alla fine del mio scritto, cedere la penna per far sì che ciascun artista potesse esplicitare un pensiero i merito a questa suggestione proposta: La mia Cenerentola lucchese; ognuno in poche righe ha elaborato un pensiero scaturito dal cuore, dalle emozioni e dalla propria sensibilità, per rendere ancor più empatico questo racconto nel quale oltre alla mia obiettività entrano in gioco - come è normale che sia - anche aspetti emozionali. Un allestimento, quello lucchese, che porta la firma proprio del direttore artistico del Teatro del Giglio, il M° Aldo Tarabella che si è avvalso della collaborazione di Enrico Musenich, dei costumi di Lele Luzzati, delle luci di Marco Minghetti e delle coreografie di Monica Bocci. Ho citato cinque personaggi per la parte visuale, ma risulta doveroso prima di tutto rendere omaggio, con un approfondimento particolare, al nome più altisonante del quale celebriamo il decennale della sua scomparsa: Lele Luzzati; dal racconto di Tarabella, che ci ha narrato in conferenza stampa la genesi dell’idea, ci siamo trovati ad ammirare un capolavoro di sartoria che risale al 1978 allorché il compianto Luzzati disegnò scene e abiti per l’edizione genovese al Teatro Margherita; quei costumi, ritrovati proprio a due passi da Lucca in proprietà della Sartoria Cerratelli di Pisa, oggi Fondazione, hanno ripreso vita - solo perché stavano dormendo e non perché erano morti come ha detto Florinda Benedettini della Fondazione stessa - grazie ad un sapiente e minuzioso lavoro di restauro e di riadattamento alla scena; hanno ritrovato vita ed anima, proprio sul palcoscenico del teatro lucchese in tutto il loro splendore e in tutta la loro magnificenza di sgargianti colori e di preziosi tessuti che sotto le sapienti luci brillavano del fascino ritrovato. Le scenografie dell’originario allestimento purtroppo sono andate perdute, ma la sapiente firma di Enrico Musenich, grande e fidato collaboratore di Luzzati, e con l’abile mano dello scenografo-costruttore Elio Sanzogni, cui dobbiamo lo stile luzzatiano nella realizzazione pittorica, ha ricostruito con gusto gli immaginifici castelli e palazzi marmorei che all’uopo si trasformano e ci portano negli ambienti narrati dal Ferretti; mi sono trovato in un via vai di armadi, di librerie che si trasformano in guardaroba e poi in carrozze, di scatole, di credenze - mobile lucchese nel quale si ricoverano oggetti di uso quotidiano - di portantine e di un grande camino centrale che rappresenta il fulcro di tutta la storia: è il luogo in cui la protagonista vive la sua quotidianità come una “covacenere”, ma diventa anche il luogo in cui si incontra per la prima volta con il Principe, luogo per il quale vi è l’ingresso di Alidoro e la fuga per il riscatto da una vita di affanni come ci ricorda nella sua ultima aria. Il tutto dominato da una miriade di colori che alla fine del primo atto sembrano quasi portarmi alla memoria le pitture del Tiziano o del Tintoretto. Le luci hanno espresso una loro magicità nell’economia dello spettacolo con una punta di diamante nel “drammatico” quintetto Nel volto estatico dove l’improvvisa stasi drammaturgica trova la sua personalità proprio in uno stacco forte che diventa quasi catartico. Anche l’approccio coreografico, che ha visto in movimento, quattro personaggi nel ruolo dei “servi di scena” ha trovato ottima amalgama con la musica e con le intenzioni librettistiche fornendo quel giusto completamento alla resa di uno spettacolo che per mano del regista è riuscito a dare una particolare caratterizzazione a tutti i personaggi; Aldo Tarabella ha creato squadra, ha creato amalgama tra gli interpreti e ha creato con suprema sagacità i caratteri dei personaggi; proprio lui nelle sue note di regia ci parla di questo: «… Cenerentola è la favola di un giorno, ma soprattutto è l’opera dei travestimenti: il servo Dandini si traveste da principe, il filosofo Alidoro da mendicante, Cenerentola da sguattera e poi da principessa, e il principe Ramiro da servo, per andare alla ricerca del vero amore. Anche Don Magnifico e le due sorellastre camb iano, e da malvagi che sono si “travestono” da finti generosi e gentili: la loro cattiveria contrasta terrib ilmente con la b ontà di Cenerentola, l’unico personaggio che alla fine uscir à dal proprio travestimento diventando la sposa del principe, dunque una vera principessa, definitivamente e finalmente lib erata dal maniglio, simb olo di schiavitù. L’opera è densa di tentativi falliti, di rivalsa sociale, di ricerca di amore povero, di colpevoli che non meritano il perdono e poi dei valori della b ontà e della profonda umanità, che alla fine vinceranno. Nell’opera di Rossini musica e drammaturgia sono in continua tensione tra dramma e commedia, tra leggerezza e comicità, sotto la cupa cappa del rifiuto all’interno del nucleo familiare. In fondo, tutti noi aspiriamo ad avere davanti casa una carrozza come quella di Cenerentola, nella quale entrare per realizzare un sogno o, più semplicemente, per uscirne ricaricati e più fiduciosi nella vita.» Ed il sogno c’è stato e voglio riviverlo un’altra volta proprio perché in questi travestimenti e contrasti della vita siamo sempre immersi; andare a teatro e vedere questo allestimento, mi ha reso ancor più consapevole di questa forte dimensione della vita, in cui la sofferenza talvolta sembra prevalere e dalla quale - parlo per esperienza personale - sembra non riuscire a sfuggirne, ma poi alla fine Trionfa la b ontà ; forse questo è un pensiero “sempliciotto e semplicistico”, ma mi sento di esternarlo ugualmente, perché fa parte di un percorso di vita che sto facendo e dal quale sto imparando molto. Se alla prima esecuzione assoluta del 25 gennaio 1817 il successo non fu clamoroso, dopo duecento anni, nella "piccola Salisbugo italiana" - come mi piace immaginare Lucca nel futuro - il successo è stato unanime e le parole del compositore, di fronte all’allora insuccesso, riflettono l’epilogo che ha avuto quest’opera nel tempo: «Sciocco! Non si terminerà il carnevale senza che tutti se ne innamorino; non passerà un anno che sarà cantatadal Lilib eo alla Dora…». Ne son passati ben duecento ed ovunque, nel mondo, questo capolavoro ha trovato meritata accoglienza. Ma gli artisti? Beh per presentarli in toto voglio usare una frase pronunciata proprio dal regista in conferenza stampa: «Se dovessi scegliere una compagnia stab ile per realizzare il repertorio rossiniano, non potrei che scegliere questi interpreti; essi rappresentano la nuova generazione dei cantanti rossiniani e sono felice di avere a disposizione un cast di siffatta levatura.» Ho citato questa frase perché la condivido appieno; tutti gli interpreti hanno dato prova di aver maturato vocalmente e scenicamente i personaggi e lo spirito di affiatamento che si è creato durante le prove ha trovato una sua esternazione piena in un’esecuzione direi quasi ad incastro perfetto di tutte le movenze e di tutte le intenzioni vocali. Come ho annunciato prima, ognuno di essi, ha dedicato ai lettori un pensiero su questo allestimento che potrete leggere al termine dei questo mio articolo; adesso esprimo, in qualità del ruolo che investo in questa sede, un mio giudizio sulla loro interpretazione. Dalla terra partenopea, il contralto Teresa Iervolino nel ruolo di Angelina, come sotto nome di Cenerentola ; è dotata di un timbro corposo, generoso e mai scontato con il quale è riuscita a trovare sempre una giusta intesa con il rigo musicale; le spigliate agilità e le solide note centrali sono sempre state snocciolate con gran sicumera, assieme alle dinamiche sonore che hanno saputo ben caratterizzare il personaggio dal punto di vista delle emozioni e degli stati d’animo; non è mancato lo stupore nell’aria finale Nacqui nell’affanno… non più mesta dove l’indole e la verve rossiniane trovano il loro naturale sfogo, nelle quali la nostra interprete ha sguazzato in maniera veramente eccellente con un grande senso musicale e con un’ottima capacità di legato e di virtuosismo nelle agilità della cabaletta. Giulia Perusi nel ruolo di Clorinda - unico soprano dell’opera - è stata al pari della sorellastra, un quadro visuale di bravura e di simpatia; ha messo in campo un timbro vocale molto particolare ed accattivante tale da caratterizzare il personaggio in maniera ancor più pregnante; mai sopra le righe, ma abbastanza ridicola e goffa da renderla grottesca, ma non volgare, con una vocalità che non ha fatto fatica a distinguersi nei meravigliosi concertati. Anche Tisb e - l’altra sorellastra - ha trovato nel mezzosoprano Isabel De Paoli una validissima interprete; rispetto alla goffaggine e ridicolezza di Clorinda, la caratterizzazione di Tisbe ha puntato più sull’aspetto vanesio e mondano del personaggio; di pregio anche la sua vocalità che in contrasto con quella dell’altra sorellastra ha trovato sempre un’ottima amalgama sia nelle civettuole esternazione, sia nei momenti di assieme. Entrambe sono state una bomba di simpatia e ilarità fino agli ultimi momenti dell’opera dove ci hanno donato delle espressioni facciali da manuale. La voce più acuta vede nel tenore Pietro Adaini un brillante Ramiro principe di Salerno ; di per sé il personaggio è sempre stato caratterizzato da una superficialità piuttosto marcata, ma anche qui l’intento del regista ha voluto metterci mano trovando, oltre che nella voce, quei giusti atteggiamenti e quegli attenti sguardi e movenze che lo elevano dalla sua “mediocrità”; vocalmente il nostro interprete possiede un ottimo metallo nella voce e specialmente nella zona acuta riesce a regalare una chiara e proiettata emissione curata nel fraseggio e nelle dinamiche; anche nella zona più centrale non cede in un canto spoggiato, ma pondera bene ogni suono sì da rendere l’intenzione musicale in linea con quella scenica. Scendendo nella corda baritonale in qualità di Barone di Montefiascone nonché Don Magnifico , Marco Filippo Romano; già l’indossare il costume che fu di Sesto Bruscantini oltre ad essere un grande onore, pesa sulle spalle come un enorme onere; posso dire che l’anima di Bruscantini ancora vive in quel costume e sicuramente è risultata foriera, per il nostro interprete, di buon auspicio; è stato impeccabile scenicamente regalandoci un’interpretazione grottesca, ma al contempo curata nel minimo dettaglio; la mimica facciale è stata un susseguirsi di ilarità e simpatia, senza farci mancare anche l’aspetto più truce e sadico del patrigno padrone; la sua voce è andata di pari passo con l’ars scenica e ha messo in rilievo un’ottima uniformità sia nella zona grave che acuta, non mancando di sfoderare una grande facilità nella agilità e nei numerosi scioglilingua, unitamente ad una straordinaria eleganza e signorilità nel porgere note. Voce di gran pregio e suadente timbro, quella del baritono Pablo Ruiz nel ruolo di Dandini servo di Ramiro ; il costume verde di rara bellezza, con cui si presenta in scena e la camminata piuttosto ridicola, lo rendono un personaggio enormemente pacchiano, ma con quel guizzo di carattere che lo fa vivere di luce propria; drammaturgicamente più caratterizzato del suo padrone ha una sua individualità vocale che si esprime in una impegnativa aria d’entrata e in numerosi impegni sia nei recitativi che nei concertati; nella sua esibizione ha dato modo di essere un gran mattatore della scena e di saper trovare le giuste intenzioni vocali; dotato di una robusta cavata e di una morbidezza nell’emissione ha affrontato con ottimo gusto sia le note più cantabili che quelle dotate di maggiore virtuosismo. Nella favola da cui è tratto il libretto prende corpo l’anima buona della fata che in questo contesto è invece sostituito dal deus ex machina di tutta l’azione; le physique dû röle di Matteo D’Apolito e una vocalità tonda ed elegante hanno reso molto elegiaco e direi quasi ieratico, il personaggio del filosofo Alidoro; una figura che ispira fiducia, sicurezza, compassione, deve accompagnare le sue peculiarità anche nell’emissione vocale; l’inizio in sordina per questo ruolo non deve trarre in inganno; è proprio a lui che nel 1821, quando l'interprete di Alidoro al teatro Apollo di Roma doveva essere il baritono Carlo Moncada, ammirato da Rossini, il compositore sostituì l'aria di Agolini "Vasto teatro è il mondo" con un nuovo esteso pezzo di bravura, Là del ciel nell'arcano profondo ; proprio in quest’aria ha trovato ampio sfoggio. a Lucca, la voce di D’Apolito regalandoci una pagina di sublime nobiltà, di suadente legato e di morbido fraseggio con grande cura delle dinamiche e delle intenzioni. Un tantino più sotto tono la resa del Coro Melodi Cantores diretto da Elena Sartori; è mancata un po’ di uniformità nel canto e, soprattutto nella zona tenorile, ho notato una tendenza ad un suono piuttosto forzato e poco naturale; forse un canto più incline al falsetto, avrebbe reso meglio certi passaggi in cui non son mancate lievi stonature. Erina Yashima - assistente di Riccardo Muti alla Chicago Symphony Orchestra - ha guidato l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini; un gesto molto morbido ha accompagnato la sua direzione; ha cercato di trovare sempre un giusto raccordo tra palco e buca, ma nonostante una minuziosa attenzione all’equilibrio dinamico, in alcuni momenti, gli strumentisti non hanno saputo cogliere appieno le intenzioni della bacchetta “tirando” un po’ indietro con i tempi sì da creare qualche scollamento negli intricati e rocamboleschi concertati; sono dell’idea che l'ensemble sia ancora piuttosto acerbo per la maturità musicale necessaria in questa difficilissima opera del periodo d’oro di Gioachino Rossini. Ottimo e molto pertinente l’accompagnamento al fortepiano dei recitativi secchi per mano del M° Laura Pasqualetti. Un sold-out annunciato da giorni ha visto un Teatro gremito in ogni ordine e grado con un’accoglienza sentita e calorosa che ha visto più chiamate alla ribalta di tutti gli artisti, del regista e dello scenografo. Gli interpreti raccontano: “La mia Cenerentola lucchese” Marco Filippo Romano - Don Magnifico Premettendo che è la mia terza volta a Lucca e il terzo ruolo buffo dopo Mamma Agata delle Convenienze ed inconveniente teatrali ed il Bartolo nel Barbiere di Siviglia mi preme dire che è sempre una emozione calcare questo palcoscenico. Passando nella fattispecie a Cenerentola come non confessare che questa produzione ha per me tanti motivi per portarla nel cuore. Comincio dai due maestri Erina Yashima ed Aldo Tarabella persone che hanno valorizzato le caratteristiche di ognuno ed hanno creato un clima disteso e creativo. Passo poi ai colleghi che sono bravi, simpatici e con la giusta dose di modestia che serve a creare sinergia e si vede nel lavoro svolto. Il mio personaggio, che a differenza di quello che si crede non è un buffo ma un carattere complesso che deve funambolicamente districarsi fra l'ilare e il serio.. insomma "buffo ma non troppo".. Insomma un artista si nutre di stimoli e qui a Lucca ho fatto una bella scorpacciata. Vorrei però concludere queste mie brevi impressioni sottolineando l'emozione che ho provato nell'indossare i costumi di Luzzati, nei quali hanno sudato e faticato grandi artisti e cito in particolare il grande Sesto Bruscantini fonte di ispirazione per chi come me decide di affrontare questo repertorio. Isabel De Paoli - Tisb e Lucca, è per me la città dei sorrisi, delle scoperte e delle emozioni in Musica. Si girovaga per il mondo e il Teatro diventa la nostra "casa" e dei nuovi incontri, ne fai "famiglia". Con loro trascorri ore ed ore… sulle tavole di legno come attorno ad un calice di vino, smistando emozioni di svariata natura. "La mia Cenerentola" al Teatro del Giglio, mi ha proiettata in una nuova esistenza. Colleghi strepitosi, Artisti poliedrici e di elevata umanità, con la quale avviene costantemente uno scambio. Colleghi amici che ti fanno scoprire molto anche di te stessa, di come aggiungere o smussare al tuo personaggio… una grande crescita. La più grande riconoscenza, va ad Aldo Tarabella e ad Erina Yashima che hanno saputo assemblare un cast davvero "affine e sinergico”. Un lavoro divertente che ha arricchito il mio “viaggio". E si sappia che alla fine...TRIONFA LA BONTÀ! Matteo D’Apolito - Alidoro Interpretare il ruolo del mentore e filosofo: non semplice per un quasi trentenne, ma il M°Tarabella mi ha dato degli input molto interessanti, poi al resto c’ha pensato la potenza drammaturgica della musica di Rossini, grazie anche ad una visione molto briosa del M° Erina Yashima: a me è bastato soltanto mettere insieme le due cose. Sono soddisfatto del lavoro svolto, grazie soprattutto ad un gruppo affiatato, formato da colleghi ed amici straordinari che mi hanno donato la loro arte ma soprattutto tanti, tanti sorrisi, cosa non da poco. Torno a Lucca da professionista, dopo aver frequentato l'opera studio nel 2010 del circuito di tradizione toscano, ed ho ritrovato con piacere una città che adoro, la stessa città che mi ha visto giovanissimo muovere i prima passi in questo straordinario mondo che mi sta dando tanto. Teresa Iervolino - Cenerentola Questa Cenerentola è stato un flusso di energia indomabile come non mi era mai successo prima. La bellezza di questa città, il calore dei colleghi e la voglia di creare di tutti, hanno fatto si che una favola prendesse vita. Ancor più felice di aver potuto donare con libertà e condivisione la malinconia che sento nella mia Angelina, una ragazza maltrattata, che subisce violenza e che sogna di essere amata e nient’altro, e alla fine quando meno se l’aspetta il suo desiderio diventa realtà. Direi un desiderio piuttosto vicino ai nostri giorni, quello di molte ragazze e donne che vivono in un mondo sommerso dalla violenza. Giulia Perusi - Clorinda Dopo aver partecipato l’anno scorso al LTL Opera Studio nella veste di Praskowia ne “La Vedova allegra”, ho avuto l’immenso piacere di essere stata selezionata dal Teatro del Giglio e dagli altri enti teatrali coinvolti per questa produzione. Grazie alla sinergia tra la mia “strampalata” visione, la fantasia del M° Tarabella e la professionalità del M° Yashima siamo riusciti a creare un personaggio sopra le righe, una sorellastra esageratamente viziata, esplosiva, egoista, egocentrica e capricciosa. Nemmeno “il trionfo della bontà” riuscirà a scalfirla, lei rimarrà sempre e solo Clorinda. E’ poco di un anno che ho intrapreso la carriera operistico-teatrale e questa è stata finora l’esperienza più bella. Ho avuto la possibilità di collaborare con un cast fantastico che mi ha permesso di crescere e di esprimere liberamente la mia creatività. Pietro Adaini - Ramiro Beh, sicuramente il clima creatosi è "mite" grazie alla collaborazione di tutti: cast, direttore, regista e tutto quello che le quinte celano. Questa città che offre molto dal punto di vista artistico e culturale incornicia un'altro capolavoro che è proprio La Cenerentola di Rossini . Riflettendo sui personaggi possiamo dedurre che i soggetti sono attuali e che il librettista Jacopo Ferretti assieme al Grande Maestro siano riusciti a creare un chef-d'oeuvre prendendo spunto dal passato e dalla loro contemporaneità. Analizzando i personaggi possiamo scorgere che la maggior parte di loro non sono statici bensì a tutto tondo e lo si può notare pensando al cambiamento che subiscono Don Ramiro, Don Magnifico e le sorellastre; non bisogna poi tralasciare il "deus ex machina" in questo caso interpretato da Alidoro che scioglie l'intreccio permettendo ai due innamorati di incontrarsi per poi sposarsi. Il mio personaggio si trasforma grazie a questo "nodo avviluppato" riuscendo a perdonare la cattiveria e reprimere il desiderio di vendetta nei confronti del barone e dei suoi “rampolli”. Il Principe alla fine si tramuta diventando così una persona migliore, ciò è possibile grazie al "trionfo della bontà" concetto ribadito dal coro davanti alla loro unione. Questa è un'opera piena di spunti riflessivi e che va assolutamente vista, studiata e acquisita facendola rientrate nel nostro bagaglio culturale. Pablo Ruiz - Dandini Sono lieto di partecipare a questo meraviglioso progetto del nuovo allestimento dell'opera La Cenerentola di Rossini, nel bicentenario della sua composizione. Sono inoltre molto onorato di vestire questi meravigliosi costumi disegnati da Lele Luzzati. È per tanto una occasione ideale per vestire di nuovo i panni di Dandini. Lavorare a Lucca, in questa meravigliosa città, in questo bellissimo teatro, con un cast di colleghi straordinari, la simpatia e l'entusiasmo di Aldo Tarabella, la perfezione e la precisione di Erina Yashima, creano una atmosfera ideale per portare in scena Dandini, il principe e cameriere. Questa nuova avventura che è appena iniziata mi porterà a vivere questo sogno indimenticabile: il sogno dell' Ape nei giorni d'aprile e del Nodo avviluppato col talento di Rossini e Luzzati. Aldo Tarabella - Regista Questo nuovo allestimento de La Cenerentola rossiniana è diventato l’opera dell’amicizia, nella quale tutti hanno dato il massimo di loro stessi per citare Luzzati, spinti però anche dal desiderio di andare oltre realizzando un progetto originale fatto di continue sorprese, di palazzi di carta, di scatole magiche, di guardaroba in continuo moto giocoso, di librerie che si trasformano in carrozza… Tutto questo rappresenta un omaggio a Lele Luzzati, al suo mondo di immagini, forme e colori nel quale ci ritroviamo ad affrontare giocosamente e con grande naturalezza il rapporto con il teatro musicale. Crediti fotografici: Andrea Simi per il Teatro del Giglio di Lucca e Simone Tomei Nella miniatura in alto: la protagonista Teresa Iervolino Nella sequenza al centro: Giulia Perusi, Marco Filippo Romano, Isabel De Paoli; Matteo D'Apolito e ancora la Iervolino e Romano Sotto: una panoramica di Andrea Simi con tutti i protagonisti in scena