SPETTACOLI
MERCOLEDÌ 9 MARZO 2011
&TELEVISIONE
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Debutta il 16 al Regio di Torino (e il 18 alla presenza del presidente Napolitano) un allestimento dell’opera che farà discutere
Celebra i 150 anni dell’unità con in scena le bare dei giudici uccisi dalla mafia, le papi girl e il ritratto di un paese dominato dalla telecrazia
L’attentato
Il 23 maggio 1992,
per un attentato
mafioso, a pochi
chilometri da Palermo,
vicino allo svincolo di
Capaci, perdono la
vita il magistrato
antimafia Giovanni
Falcone, sua moglie
Francesca Morvillo tre
agenti della scorta,
Vito Schifani, Rocco
Dicillo, Antonio
Montinaro
LO CHOC
Un’immagine dai “Vespri
siciliani” di Verdi in scena
al Regio di Torino
Vespri a Capaci
CLARA CAROLI
TORINO
ul palcoscenico del Regio incombe, muto e
austero, il Palazzo di
Giustizia di Palermo.
Poi le quinte scorrono e
il teatro si apre sulla strage di Capaci, con l’auto del giudice Giovanni Falcone sventrata dal tritolo. «Capaci è il nostro gound zero,
è il luogo sacro della memoria collettiva e Falcone e Borsellino gli
eroi moderni il cui sacrificio costituisce la ragione per la quale la
Sicilia è una terra da adorare», dice il regista Davide Livermore davanti al secondo atto dei Vespri siciliani («O tu Palermo, terra adorata») cantato dal patriota Giovanni da Procida appena sbarcato sull’isola.
L’attentato mafioso non è il solo elemento di shock di questi Vespri sicilianidi Verdi che il 16 marzo al Regio aprirà a Torino le celebrazioni di Italia 150, con serata
d’onore il 18 alla presenza del Presidente Napolitano e la diretta Rai
— che certamente farà discutere.
Nello spettacolo con protagonisti
Gregory Kunde (Arrigo), Ildar Abdrazakov (Giovanni da Procida),
Franco Vassallo (Guido di
Monforte), c’è, per esempio, un
parlamento popolato di «facce di
gomma» («uomini privi di dignità», chiosa Livermore), c’è un
coro di ragazze in minigonna che
più che all’Olgettina sembra rimandare al «Drive In», all’anno
zero della telecrazia «delle tette e
dei culi che ci ha trasformati tutti
— dice ancora il regista — da cittadini a telespettatori». Ci sono
schermi televisivi, auto blu e funerali di stato in diretta, con il discorso della vedova Schifani nel
Duomo di Palermo riprodotto in
scena mentre la duchessa Elena
S
“Così Verdi canta l’Italia ferita di oggi”
Davide Livermore
Trasgressione
Non c’è nessuna
provocazione, ma la
voglia di raccontare
come fece Verdi, la
contemporaneità
Gianandrea Noseda
Reazioni
Urterà la sensibilità di
qualcuno? Pazienza.
Basta con le ipocrisie.
Lo scandalo vero è
la realtà
(il soprano americano Sondra
Radvanovsky) canta la cabaletta
sul feretro del fratello morto. «C’è
un’Italia dominata non dallo
straniero ma dall’uso arbitrario
dei media, vittima di quel potere
che Pasolini profeticamente definiva «fascismo mediatico» —
spiega Livermore — È vero, ci sono le veline, ma questa è una regia
per Verdi, non contro Berlusconi,
sarebbe troppo facile».
Il kolossal dei Vespri — grand
opéra in cinque atti — manca da
Torino dal 1973: andò in scena
per l’apertura del teatro ricostruito da Mollino dopo l’incendio,
con l’unica regia di Maria Callas,
che vent’anni prima era stata Elena alla Scala. Il nuovo allestimento di oggi, coprodotto con i teatri
d’opera di Oslo, Bilbao e Lisbona,
e il sostegno di Compagnia di San
Paolo, Intesa San Paolo e Asi, «è
stato concepito due anni fa,
quando certi scandali erano solo
all’orizzonte — racconta Gianandrea Noseda, il direttore d’orchestra — Lo spettacolo urterà la sensibilità di qualcuno? Pazienza.
Basta con le ipocrisie e i perbenismi. Lo scandalo vero, in questo
paese, è lo spettacolo che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi».
Non una celebrazione del passato, dunque ma una riflessione
sul presente per festeggiare i 150
anni dell’unità nazionale. «Verdi
scelse una vicenda lontana, ambientata sei secoli prima, per aggirare la censura e raccontare l’Italia del suo tempo — spiega Noseda — E nonostante questo i Vespri furono censurati. Oggi certi
veti sono più sottili. I media, che
dovrebbero garantire la massima
libertà di espressione, diventano
strumento di controllo e di consenso». L’opera verdiana musicalmente segna una svolta. «Dopo la trilogia popolare, Rigoletto,
Trovatore e Traviata, Verdi nel
1855 si trovò ad un bivio. Deluso
dopo il fallimento del progetto rivoluzionario del ‘48, non volendo
abbandonare la composizione
come aveva fatto Rossini, sentì
che era necessaria una svolta. Così si lasciò alle spalle il belcanto e
scelse da quel momento di cimentarsi nel dramma storico, ma
liberando i personaggi dalla loro
fissità di archetipi e rendendoli
umani. Imperfetti, deboli, fallibili. Insomma, italiani».
E Livermore: «Mi sono permesso, spero il più felliniamente
possibile, di fare un ritratto dell’I-
REPUBBLICA.IT
“Tutti al mare”
la commedia
malinconica
firmata dai
Cerami
talia contemporanea. Niente di
pretestuoso, nessuna provocazione fine a se stessa, solo la volontà di spiegare, come fu nelle
intenzioni dell’autore, la contemporaneità. E comunque l’afflato patriottico, lo slancio democratico, il respiro verdiano sopravvive, nella mia regia, nel finale, quando nel parlamento di facce di gomma i coristi si tolgono la
maschera e ritrovano la dignità,
mentre sopra gli scranni compare l’articolo uno della Costituzione. Un finale che spero piacerà
anche ai nostri concittadini, non
soltanto al presidente Napolitano».
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