Organismi partecipati: il decreto di riforma della legge Madia Federica Caponi Firenze – 1 marzo 2016 Raccolta Prassi di Federica Caponi Firenze – 1 marzo 2016 La pubblicazione del presente Volume avviene per gentile concessione di: Federica Caponi. 2 Organismi partecipati: il decreto di riforma della legge Madia Federica Caponi Firenze – 1 marzo 2016 3 INDICE Legge stabilità 2016: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati Legge 208 del 28 dicembre 2015 (Legge Stabilità 2016) Pag. 6 Società partecipate: le novità contenute nel decreto di riforma Madia Pag. 7 La mancata vigilanza sulle partecipazioni societarie si configura come danno erariale Pag. 8 Il recesso degli enti locali dalle società di capitali a cura di Studio Commerciale Associato Boldrini Rimini Dott. Roberto Camporesi, Dott.ssa Annalisa Galanti Pag. 10 Società: illegittime l’avanzamento di carriera se l’ente socio dispone il blocco delle assunzioni Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale, Sicilia, sentenza n. 244/2015 Pag. 21 Società consortile: il sindaco non può essere presidente con deleghe gestionali dirette Pag. 23 Riforma Madia: le norme di interesse per gli enti locali Legge 7 agosto 2015, n. 124 Pag. 25 Legge stabilità 2015: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati Legge 190 del 23 dicembre 2014 (Legge Stabilità 2015) Pag. 30 Società pubbliche: in caso di nuove assunzioni è competente il Pag. 35 giudice del lavoro Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5944 del 1° dicembre 2014 In house: legittimi gli affidamenti diretti di servizi, sia pubblici che strumentali Tar Puglia - Lecce, sez. II, sentenza 2986/2014 Pag. 36 La riscossione dei tributi è un servizio pubblico locale Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5284 del 27 ottobre 2014 Pag. 38 Società: è lo statuto che determina se è qualificabile come in house e quindi assoggettata alla Corte dei Conti Corte di Cassazione, S.U. civili, sentenza 24 ottobre n. 22609 Pag. 40 Decreto PA: le novità di interesse per enti locali e società partecipate Legge 114/2014, di conversione del d.l. 90/2014 Pag. 42 Società: i vincoli assunzionali a seguito della legge di conversione del d.l. 66/2014 Pag. 55 4 Le società pubbliche possono fallire Tribunale Pescara, Decreto 14 gennaio 2014 Pag. 57 Il consigliere non può accedere agli atti della partecipata in piccola quota Pag. 59 Società pubbliche: se svolgono attività d’impresa non sono soggette alla Corte dei Conti Corte dei conti, III sez. giur. centrale d'appello, sent. 546/2013 Pag. 59 Scioglimento consorzio e personale: non è automatico il reinserimento negli organici della p.a. Corte dei Conti, sez. controllo Piemonte, deliberazione. 295/2013 Pag. 61 Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea Quotidiano del Sole24ore Entilocali & Pa L'agenzia regionale non può assorbire il personale della società in house Quotidiano del Sole24ore Entilocali & Pa Partecipate: la revoca dei vertici non è un atto amministrativo Sole24Ore 26 gennaio 2015 Competenza del giudice amministrativo in caso di nuove assunzioni Azienditalia 6-14 Il Comune non può costituire una fondazione per ricerca di finanziamenti Azienditalia 6-14 La Spa può diventare azienda speciale Sole24Ore 3 febbraio 2014 Società pubbliche revoca del Cda Diritto e Pratica amministrativa 11/12-13 La mancata fiducia non è giusta causa per revocare il Cda Sole24Ore 11 novembre 2013 Revoca del consiglio di amministrazione delle società pubbliche Azieditalia 12-13 ALL. I ALL. II ALL. III ALL. IV ALL. V ALL. VI ALL. VII ALL. VIII ALL. IX 5 Legge stabilità 2016: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati Legge 208 del 28 dicembre 2015 (Legge Stabilità 2016) di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti La Legge di stabilità 2016, legge n. 208/2015, pubblicata sulla G.U. n. 302 del 30 dicembre 2015, ha previsto numerose novità in materia di: Organismi partecipati Commi 672/674 – Limiti ai compensi delle società a controllo pubblico Entro il 30 aprile 2016, il Ministro dell’economia e delle finanze dovrà definire, con proprio decreto, indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle società direttamente o indirettamente controllate dallo Stato e dalle p.a. di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (tra cui regioni, province e comuni), ad esclusione delle società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate. Per ciascuna fascia sarà determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi erogabili agli amministratori, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario (tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni). Il rispetto di tale limite dovrà essere verificato da parte dei consigli di amministrazione delle società. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal nuovo decreto. Fino all’entrata in vigore delle nuove regole, restano validi i tetti attuali previsti dal D.M. 24 dicembre 2013, n. 166 (Regolamento relativo ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 23-bis del decreti-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 241). Una volta adottato il nuovo decreto, devono ritenersi abrogati i commi 5-bis e 5-ter dell’articolo 23-bis del d.l. 201/2011. Commi 675/676 – Obblighi di informazione a carico delle società controllate Le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato e dalle p.a. di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (tra cui regioni, province e comuni), nonché le società in regime di amministrazione straordinaria, ad esclusione delle società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate devono pubblicare – in caso di conferimento di incarichi di collaborazione o di consulenza o professionali – il tipo di procedura seguito per la selezione del contraente e il numero di partecipanti alla procedura. Dovranno essere pubblicate, entro 30 giorni dal conferimento dell’incarico e fino ai due anni successivi alla cessazione, le seguenti informazioni: a) gli estremi dell'atto di conferimento dell'incarico, l'oggetto della prestazione, la ragione dell'incarico e la durata; 6 b) il curriculum vitae; c) i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di consulenza o di collaborazione, nonché agli incarichi professionali, inclusi quelli arbitrali; d) il tipo di procedura seguita per la selezione del contraente e il numero di partecipanti alla procedura. La pubblicazioni di tali informazioni è condizione di efficacia per il pagamento del relativo compenso. In caso di omessa o parziale pubblicazione, il soggetto responsabile della pubblicazione ed il soggetto che ha effettuato il pagamento sono soggetti ad una sanzione pari alla somma corrisposta. __________________________ Società partecipate: le novità contenute nel decreto di riforma Madia E’ stato pubblicato lo schema di decreto discusso dal Consiglio dei Ministri negli scorsi giorni in materia di società partecipate. Numerose le novità per gli enti locali che detengono partecipazioni in società di capitali, tra cui l’obbligo di sottoporre a forme di consultazione pubblica lo schema di deliberazione consiliare in caso di acquisizione di nuove partecipazioni e di inviare tale atto alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti. L’articolo 5 dello schema di decreto prevede, infatti, esempio che nel caso in cui l’ente locale intenda acquisire una nuova partecipazione societaria, debba prima dell’approvazione non solo sottoporre lo schema dell’atto a forme di consultazione pubblica, ma inviarlo anche alla Corte dei Conti, sez. controllo, che potrà formulare rilievi o richieste di chiarimenti. La delibera consiliare dovrà quindi indicare gli eventuali rilievi presentati dalla Corte e conseguentemente fornire motivazioni in merito. All’articolo 20 sono state dettate le regole per la dismissione delle partecipazioni in essere, prevedendo che gli enti debbano annualmente (entro il 31 dicembre di ciascun anno) predisporre un piano di riassetto delle loro partecipazioni per la razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione. I piani di razionalizzazione, corredati da un'apposita relazione tecnica, con indicazione di modalità e tempi di attuazione, devono essere adottati laddove l’ente abbia partecipazioni societarie che, tra l’altro: non svolgano servizi di interesse generale, né siano strettamente connessi alle finalità istituzionali; siano prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali; nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro; siano diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio di interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti. 7 Inoltre, lo schema prevede che gli amministratori delle partecipate siano soggetti alla legislazione del giudice ordinario “salvo il caso di danno erariale”. Il danno erariale (è specificato) è solo quello subito dagli enti partecipanti. In pratica, i magistrati contabili potranno chiedere all'amministratore infedele di risarcire le finanze pubbliche quando i suoi comportamenti causino danno direttamente ai bilanci degli enti proprietari, mentre le vigenti disposizioni, anche in base alla giurisprudenza della Cassazione, prevedono che le società pubbliche titolari di affidamenti diretti siano trattate come p.a. perché gestiscono soldi pubblici e quindi sono automaticamente soggette agli stessi controlli. ___________________________ La mancata vigilanza sulle partecipazioni societarie si configura come danno erariale I comuni sono tenuti a provvedere, indipendentemente dalla consistenza più o meno ampia della propria partecipazione azionaria, ad un effettivo monitoraggio sull’andamento delle società partecipate, al fine di prevenire fenomeni patologici e ricadute negative sul bilancio dell’ente. Si ricorda, infatti, che per consolidato orientamento della giurisprudenza contabile, dalla trasgressione di questi obblighi e dal perdurare di scelte del tutto irrazionali e antieconomiche, può scaturire una responsabilità per danno erariale dei pubblici amministratori. Questo quanto evidenziato dalla Corte dei Conti, sez. Veneto, nella deliberazione n. 529 depositata il 20 novembre 2015. Il legislatore nazionale, nel corso degli ultimi anni, ha introdotto vari vincoli ed obblighi in materia di società partecipate, al fine di limitare le ricadute negative sui bilanci pubblici derivanti dalle perdite, talvolta reiterate, registrate dalle società partecipate da enti pubblici. In tale orizzonte normativo si pongono varie disposizioni, tra le quali l’articolo 3, commi 27, 28, 29 della legge 244/2007 e l’articolo 1, comma 569, della legge 147/2013 (oltre ad altre, poi abrogate dalla legge 147/2013). Da ultimo, l’articolo 1, comma 611, della legge 190/2014 (legge di stabilità per il 2015), ha introdotto nuove disposizioni in materia di società partecipate. Nello specifico è stato imposto l’avvio di un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, tale da consentire, entro il 31 dicembre 2015, la riduzione degli oneri, il miglioramento in termini di economicità ed efficienza, ovvero la cessione di quelle non coerenti con il perseguimento delle finalità dell’ente interessato. Il richiamato iter di razionalizzazione deve tener conto, in base alla norma, di predeterminati criteri, ovvero: a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione; b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici 8 strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni; d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica; e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni. A chiusura del processo di razionalizzazione, i legali rappresentanti degli enti dovranno predisporre, entro il 31 marzo 2016, una relazione sui risultati conseguiti, che dovrà poi essere trasmessa alla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, nonché pubblicata nel sito internet dell’amministrazione interessata. Ciò a ribadire che l’intera durata della partecipazione deve essere accompagnata dal diligente esercizio di quei compiti di vigilanza (es., sul corretto funzionamento degli organi, sull'adempimento degli obblighi contrattuali), d’indirizzo (es., attraverso la determinazione degli obiettivi di fondo e delle scelte strategiche) e di controllo (es., sotto l'aspetto dell'analisi economico finanziaria dei documenti di bilancio) che la natura pubblica del servizio (e delle correlate risorse), e la qualità di socio comportano. La partecipazione legittima in organismi societari, che svolgono attività “strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”, richiede, in sostanza, una valutazione in ordine alla stretta strumentalità del negozio societario rispetto ai fini istituzionali dell’ente. Inoltre, in occasione della delibera ricognitiva delle partecipazioni, l’amministrazione deve valutare non solo i presupposti di legge per il mantenimento delle stesse, bensì anche verificare se l’andamento complessivo della gestione sia conforme ai criteri di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa condotta secondo schemi di diritto civile. In definitiva, l’ente è tenuto ad effettuare approfondite valutazioni in merito alla coerenza dell’attività societaria. Ciò, rispetto: - alla missione istituzionale dell’ente; - all’effettiva produzione di servizi di interesse generale, nonché in merito a relativi costi/benefici; - all’appropriatezza del modulo gestionale; - alla comparazione con i vantaggio/svantaggi e con i risparmi/costi/risultati offerti da possibili moduli alternativi; - alla capacità della gestione di perseguire in modo efficace, economico e efficiente, in un’ottica di lungo periodo, i risultati assegnati, anche in termini di promozione economica e sociale. Soprattutto in presenza di gestioni connotate da risultati negativi, l’ente è tenuto a mantenere un costante, attento e prudente monitoraggio sull’andamento economico della società, anche al fine di valutare la permanenza di quelle condizioni di natura tecnica e/o economica nonché di sostenibilità politico-sociale che giustificano a monte la scelta di svolgere il servizio e di farlo attraverso moduli privatistici. La decisione partecipativa, dalla prima assunzione alle successive scelte strategiche, presuppone in capo all’ente locale una prodromica valutazione in termini di efficacia ed economicità, quali corollari del buon andamento dell’azione amministrativa ex articolo 97 della Costituzione. 9 Non si può inoltre prescindere da un costante e attento monitoraggio in ordine all'effettiva permanenza dei presupposti valutativi che hanno determinato la scelta partecipativa iniziale, nonché da tempestivi interventi correttivi in relazione ad eventuali mutamenti che interessino, nel corso della vita della società, gli elementi valutati in origine. Emergono, quindi, per le amministrazioni pubbliche controllanti importanti obblighi e adempimenti per mettere a punto idonei strumenti di corporate governance. A tal fine, come evidenziato dai magistrati contabili, è necessario prestare particolare attenzione allo sviluppo di strutture organizzative e di professionalità interne capaci di supportare efficacemente gli organi di governo nel monitoraggio delle società partecipate. _______________________________ Il recesso degli enti locali dalle società di capitali a cura di Studio Commerciale Associato Boldrini Rimini Dott. Roberto Camporesi, Dott.ssa Annalisa Galanti 1. L’istituto del recesso societario previsto per le società di capitali dal Codice Civile dopo la riforma del 2003 Il diritto di recesso del socio è un istituto generale previsto dal Codice Civile che si sostanza in un atto unilaterale recettizio tramite il quale un socio esercita il proprio diritto in merito allo scioglimento del rapporto sociale. Tale potere si esercita mediante una dichiarazione negoziale che tuttavia non ha autonoma efficacia, ma è appunto recettizia, ovvero deve pervenire all’altra parte al fine di produrre i propri effetti1. La ratio dell’istituto, profondamente riformato ad opera del D. Lgs. 6/2003, può essere ravvisata nella tutela della minoranza societaria. Essendo infatti l’azione deliberativa della società permeata sul principio maggioritario, si delinea un’inevitabile prevalenza dell’interesse del gruppo rispetto all’interesse del singolo azionista. Il favor legislativo, mediante l’adozione delle deliberazioni a maggioranza, ha difatti privilegiato la stabilità societaria, nonchè l’efficienza ed il funzionamento dell’organo assembleare, determinando tuttavia al contempo una penalizzazione per i soci di minoranza. Pertanto, in tale contesto normativo, il diritto di recesso del socio può essere interpretato come un istituto posto a tutela della minoranza della compagine sociale che, in presenza di particolari delibere modificative o di peculiari situazioni in cui versa la società, può esercitare il proprio diritto relativamente allo scioglimento del rapporto sociale e alla conseguente liquidazione della propria quota o azioni. 2. Le cause di recesso: cenni I confini del diritto di recesso sono stati notevolmente ampliati dalla riforma del 2003. La previgente disciplina prevedeva infatti solamente tre cause di recesso, ovvero il cambiamento dell’oggetto sociale, la trasformazione e il trasferimento della sede sociale all’estero. L’articolo 2437 del C.C. per le S.p.a. e l’articolo 2473 C.C. per le S.r.l. espandono il novero delle circostanze che consentono il recesso, che possono ora essere Tribunale di Milano 5.3.2007 “Il recesso del socio rappresenta l'esercizio di un atto unilaterale recettizio e, come tale, non è revocabile, né assoggettabile a condizione (nella fattispecie: la condizione che la quota del socio sia liquidata ad un determinato prezzo), sia perché l'oggetto economico dell'atto di recesso non è soggetto a trattativa, sia perché la valutazione della quota va effettuata secondo un criterio predeterminato, rapportato al valore del patrimonio e alle prospettive reddituali dell'impresa gestita dalla società”. 1 10 suddivise in cause legali inderogabili, cause legali derogabili per espressa previsione statutaria e cause convenzionali espressamente stabilite dallo statuto. Tipologia Soggetti che Derogabilità societaria possono recedere 1. Ipotesi di recesso a seguito di decisioni prese dai soci tramite delibera assembleare Modifica della clausola dell’oggetto sociale quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società Trasformazione della società Trasferimento della sede sociale S.p.a.; S.a.p.a.; all’estero Inderogabile S.r.l. Revoca dello stato di liquidazione Eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo statuto, in aggiunta a quelle disposte per legge Introduzione o soppressione di clausole compromissorie Modifica dei criteri di determinazione del valore Soci dissenzienti, dell’azione in caso di recesso assenti o astenuti Inderogabile dalla delibera che Modificazioni dello statuto fa sorgere il diritto concernenti i diritti di voto o di S.p.a.; S.a.p.a.; di recesso partecipazione Cause di recesso Proroga del termine di durata della società Introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari Delibera di fusione o scissione della società Compimento di operazioni che comportano una sostanziale modifica dei diritti particolari attribuiti ai soci riguardanti Solo S.r.l. l’amministrazione o la distribuzione degli utili Compimento di operazioni che comportano una sostanziale modifica dei diritti particolari attribuiti ai soci riguardanti Derogabile dallo statuto Inderogabile 11 l’amministrazione o la distribuzione degli utili Delibere particolari per le Società soggette società soggette ad attività di ad attività di Inderogabile direzione e coordinamento direzione e coordinamento 2. Ipotesi di recesso previste dall’atto costitutivo Cause di recesso previste dallo Solo società che statuto non fanno ricorso al / mercato del capitale di rischio 3. Situazioni relative alla società Società con durata Solo società non indeterminata o non specificata Inderogabile quotate Conferimento di beni in natura o crediti e in sede di revisione della relazione di stima risulta S.p.a.; S.a.p.a.; che il loro valore è inferiore di oltre 1/5 a quello per cui avviene il conferimento Inderogabile Socio che si trova nelle situazioni descritte dallo statuto Ogni socio con un preavviso di 180 giorni Socio conferente 3. La procedura di recesso per le società per azioni e per quelle a responsabilità limitata Nelle società per azioni, la volontà del socio di sciogliere il rapporto sociale deve essere comunicata, mediante lettera raccomandata alla società, entro 15 giorni dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese, qualora il recesso sia legittimato da una delibera assembleare ed entro 30 giorni dalla sua conoscenza da parte del socio in tutti gli altri casi 2 . Se, infine, il recesso avviene a seguito di costituzione a tempo indeterminato della società, tale diritto può essere esercitato con un preavviso di 180 giorni purché la società non sia quotata in un mercato regolamentato. Per la corretta osservazione di tali termini temporali, l’art 2437 bis riformulato, sancisce espressamente che si deve fare riferimento alla data di spedizione della raccomandata e non a quella del ricevimento della stessa da parte della società. Il perfezionamento del diritto di recesso si ha, invece, con la ricezione da parte della società della suddetta comunicazione, essendo infatti la dichiarazione di recesso un atto unilaterale recettizio, è solamente a seguito dell’avvenuta conoscenza della volontà del socio recedente ad opera della controparte che si producono gli effetti giuridici. Pertanto, da tale momento, le azioni recedute divengono incedibili e devono essere depositate presso la sede sociale, tuttavia, il socio, anche se receduto, non perde Si segnala tuttavia che in deroga a quanto stabilito nell’art. 2437 bis, il termine per l’esercizio del diritto di recesso in caso di deliberazione che introduca una clausola compromissoria statutaria è di 90 giorni. 2 12 immediatamente la sua qualifica e rimane tale fino a che la società non porta a compimento l’operazione di liquidazione delle azioni. La società diviene dunque obbligata al rimborso delle azioni al quale può sottrarsi solo ed unicamente se revoca la delibera che legittima il recesso entro novanta giorni dal suo perfezionamento. Affinché gli effetti del recesso si producano anche nei confronti dei terzi, sarà necessario che il recesso sia reso pubblico mediante iscrizione della delibera presso il registro delle imprese. Solamente da tale momento infatti, il socio receduto non risponderà più delle obbligazioni sociali verso i terzi. La procedura di recesso per le società a responsabilità limitata è invece caratterizzata da un silenzio normativo in merito alle modalità ed ai termini da osservare. Autorevole dottrina 3 ha dunque ritenuto che ci si debba rifare alle disposizioni statutarie, formulate secondo la disciplina delle S.p.a. alla quale si ricorre in via analogica. L’unica norma di carattere procedurale prevista dall’art. 2473 del C.C. riguarda il termine entro il quale deve essere effettuato il rimborso delle partecipazioni per le quali è stato esercitato il diritto di recesso che viene stabilito in centottanta giorni, decorrenti dalla comunicazione di recesso del socio. Le azioni o quote del socio che recede devono essere innanzitutto offerte in opzione agli altri soci in proporzione alla loro partecipazione al capitale sociale. Se nessuno dei soci è interessato all’acquisto, per le S.p.a., le azioni non acquistate potranno essere collocate sul mercato, mentre per le S.r.l. le quote potranno essere offerte ad un terzo concordemente individuato dai soci medesimi. Se neppure la procedura di collocamento presso terzi ha esito favorevole, sarà la stessa società a doversi fare carico delle azioni o quote recedute secondo una procedura che differisce in base alla tipologia societaria considerata. Per le S.p.a., le azioni saranno acquistate dalla società medesima, rispettando il limite delle riserve disponibili e degli utili disponibili, in assenza dei quali sarà necessario convocare l’assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società. Per le S.r.l., invece, poiché per tale fattispecie societaria vige un divieto assoluto in merito all’acquisto di azioni proprie, il rimborso delle quote recedute verrà effettuato utilizzando riserve disponibili. L’immediata conseguenza sarà quindi un proporzionale accrescimento delle quote dei soci superstiti (si delinea, quindi, un risultato assimilabile all’acquisto proporzionale della quota da parte dei soci medesimi). In mancanza di riserve disponibili si dovrà inevitabilmente procedere alla riduzione del capitale sociale o allo scioglimento della società. 4. Criteri per la determinazione del valore delle azioni o quote recedute La riforma del 2003 ha apportato sostanziali modifiche anche alla determinazione del valore delle azioni o quote per le quali è stato esercitato il diritto di recesso. Per le S.p.a. non quotate, tale valore non viene più quantificato sulla base del patrimonio netto risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio, ma viene determinato dagli amministratori, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni, purchè lo statuto non abbia disposto diversamente. Questa riformulazione dell’art 2437 ter, come enunciato nella relazione accompagnatoria del D. Lgs. 3/2006, ha quindi determinato 3 Massima del Comitato Notarile del Triveneto 2004 I.H.2 13 la “non vincolabilità dei dati contabili ponendo l’accento sulle prospettive reddituali come elemento correttivo della situazione patrimoniale”. Dalla lettura dell’art. 2437 ter emergono, in particolare, tre differenti ed alternativi criteri di valutazione ai quali gli amministratori dovranno obbligatoriamente attenersi nel seguente ordine: innanzitutto un criterio statutario, se infatti lo statuto preveda esplicite modalità di determinazione del valore delle azioni in caso di recesso bisognerà osservare tali disposizioni statutarie nel determinare il valore delle azioni da rimborsare; in assenza di espresse previsioni dello statuto, ci si dovrà rifare al criterio legale enunciato nell’art. 2437 ter il quale tiene conto tanto della consistenza patrimoniale della società quanto delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni4. In caso di disaccordo in merito al valore così determinato sarà necessario ricorrere al terzo ed ultimo criterio fondato sull’arbitrium boni viri di un esperto nominato dal Tribunale. Gli amministratori, una volta quantificato il valore delle azioni da rimborsare, hanno l’obbligo di chiedere un parere in merito ai criteri di valutazione al collegio sindacale e al soggetto incaricato della revisione legale dei conti. Tuttavia, tale parere non è vincolante in quanto gli amministratori possono non osservarlo dandone adeguata motivazione nella relazione informativa che devono obbligatoriamente redigere al fine di esporre le modalità di determinazione del valore delle quote da liquidare. In caso di mancata informativa ai soci, difatti, è possibile ravvisare un difetto di procedimento della deliberazione che pertanto diviene annullabile5. Il valore delle azioni recedute deve essere comunicato, almeno 15 giorni prima dell’assemblea relativa alla delibera di recesso, ai soci recedenti i quali possono, in caso di disaccordo, contestare il valore di liquidazione che verrà così determinato da una relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale. Nelle società con azioni quotate, invece, fino alla modifica introdotta dall’art. 20 comma 3 del D.L. 91/2014, il valore di liquidazione delle azioni recedute veniva determinato facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la convocazione dell’assemblea. A seguito della novità legislativa, si prevede che il valore di liquidazione possa essere determinato, oltre che sulla base della previgente disposizione normativa, anche secondo il criterio statutario o legale sopra descritti, purché, dall’applicazione di questi ultimi, non emerga un valore inferiore rispetto a quello che si avrebbe calcolando la media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi precedenti. Infine, per le S.r.l. il valore di liquidazione viene determinato, ex art. 2473, in proporzione al valore di mercato del patrimonio sociale al momento della dichiarazione di recesso. La prassi prevede quindi che gli amministratori redigano una situazione patrimoniale straordinaria dalla quale deve emergere il valore di mercato del patrimonio riferito al momento della comunicazione del recesso. Quest’ultimo verrà determinato sulla base dei criteri di valutazione previsti dalla dottrina aziendale ed, in particolare, utilizzando il modello valutativo che risulterà più idoneo rispetto alle caratteristiche della società, al settore in cui essa opera ed alla composizione del Il valore di mercato delle azioni potrà essere desunto, qualora vi siano state transazioni recenti, dal prezzo di cessione delle suddette azioni o, in alternativa, dal valore di mercato di imprese con caratteristiche analoghe ed operati nel medesimo settore. 5 Tribunale di Milano 30.4.2008 4 14 suo patrimonio 6 . In caso di disaccordo la relazione viene redatta da un esperto nominato dal Tribunale. La valutazione della quota da liquidare si basa dunque sul valore effettivo della società e non su quello legale risultante dal bilancio di esercizio, facendo sì che il valore di liquidazione della partecipazione risulti il più aderente possibile al suo valore di mercato. Tali conclusioni devono tuttavia essere verificate per la liquidazione delle quote di partecipazioni di società degli enti locali in quanto la formazione del patrimonio sociale può essere avvenuta con contributi o finanziamenti pubblici o con conferimenti di reti, impianti e dotazioni patrimoniali del demanio comunale o comunque asserviti a pubblico servizio come in appresso precisato. 5. La dismissione delle società a partecipazione locale Molteplici e frammentari sono stati i recenti interventi legislativi volti a regolare il fenomeno delle società partecipate dagli enti pubblici, finalizzati al perseguimento di una progressiva riduzione di tali partecipazioni societarie. In tal senso opera infatti l’art. 3 della legge 244/2007 che testualmente recita: “27. Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ne' assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E' sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e l'assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell'ambito dei rispettivi livelli di competenza. 28. L'assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall'organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27. La delibera di cui al presente comma è trasmessa alla sezione competente della Corte dei conti. 29. Entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 27. (…)” La ratio della norma è chiaramente desumibile dalla sentenza n. 148/2009 della Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla norma per presunta eccezione di incostituzionalità richiesta da una Regione: “lo scopo delle norme censurate, le quali, in considerazione del loro contenuto, sono appunto dirette ad evitare che soggetti dotati di privilegi svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero per la produzione di servizi di interesse generale (casi compiutamente identificati dal citato art. 3, comma 27), al fine di eliminare eventuali distorsioni della concorrenza, quindi sono preordinate a scongiurare una commistione 6 Fondazione Nazionale Dottori Commercialisti, “La valutazione della partecipazione del socio recedente” 15 che il legislatore statale ha reputato pregiudizievole della concorrenza (sentenza n. 326 del 2008). Sulla base del più recente arresto giurisprudenziale si deduce che: “ l’art. 3 comma 27 della legge 244/2007, che non si limita a regolare le società strumentali, o a ricondurle nello schema dell’affidamento in house, ma vieta agli enti pubblici di assumere o conservare partecipazioni azionarie quando le stesse non siano strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali. Così impostata, la norma ha un’estensione molto ampia, e può essere riferita a tutte le società partecipate, comprese quelle che si occupano di servizi di interesse generale (ossia di servizi pubblici). La specificazione che segue immediatamente, ossia l’inciso sull’ammissibilità delle partecipazioni in società che producono servizi di interesse generale, individua una facoltà, non un obbligo. In altri termini, la norma pone un principio (la tendenziale coincidenza tra partecipazioni azionarie e funzioni istituzionali), ma quando si tratta di servizi pubblici lascia alle singole amministrazioni ogni valutazione circa l’estensione dei rispettivi interessi istituzionali, con il solo limite che non vengano superati i livelli di competenza stabiliti dalla legge” (TAR Lombardia sezione Brescia sez. I, 13/10/2015 n. 1305). Si deve concludere che le amministrazioni locali sono legittimate a detenere partecipazioni in società di capitali unicamente nel caso in cui queste abbiano ad oggetto: (i) la produzione di beni servizi strettamente necessari al perseguimento del fine istituzionale dell’ente stesso; (ii) nel caso in cui la società abbia ad oggetto la produzione di servizi di interesse generale e nei livelli di competenza degli enti locali (rectius servizi pubblici locali). Per servizi pubblici di interesse generale deve intendersi l’attività che, per le sue caratteristiche oggettive, riguarda un interesse diffuso nella collettività alla continuità di tali prestazioni, alla loro effettività ed alla loro qualità minima. Nella categoria dei servizi pubblici di interesse generale vi rientrano i servizi pubblici locali (cfr., da ultimo, Corte dei Conti, sez. Lombardia, parere n. 506 del 27 novembre 2012). Sul punto, inoltre, si osserva che l’art. 1 della direttiva 2006/123/CE e l’art. 14 del TFUE rimettono agli Stati membri il compito di definire, in conformità del diritto comunitario, quali essi ritengano essere servizi d’interesse economico generale ed in che modo essi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle regole sugli aiuti concessi dagli Stati, ed a quali obblighi specifici essi debbano essere soggetti. L’espressione “servizi di interesse generale” non è presente nel trattato, ma è derivata nella prassi comunitaria dall’espressione “servizi di interesse economico generale” che invece è utilizzata nel trattato. E’ un’espressione più ampia di “servizi di interesse economico generale” e riguarda sia i servizi di mercato che quelli non di mercato che le autorità pubbliche considerano di interesse generale e assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico. (cfr. Libro Verde sui servizi di interesse generale, Commissione della Comunità Europea COM/2003/270)7. 7 Le nuove discipline dei servizi pubblici - Libro dell'anno del Diritto 2013 (2013) di Giuseppe Caia Nella materia dei servizi pubblici si registra una costante attenzione delle istituzioni comunitarie. Sul piano nazionale si segnala la scelta del legislatore italiano di consolidare la regolazione attribuendo le relative competenze ad apposite Autorità ma anche una persistente incertezza sulla disciplina dei servizi pubblici locali (nonostante gli sforzi del legislatore). (……) 1. La ricognizione Le novità intervenute e da registrare riguardano gli atti europei, le nuove norme nazionali e le posizioni della giurisprudenza sui servizi pubblici. 1.1 I servizi di interesse generale negli atti comunitari La locuzione «servizi pubblici» e l’istituto giuridico che essa identifica sono tipici dell’ordinamento italiano ed oggetto di ripetuti approfondimenti e di un dibattito non ancora pervenuto a risultati stabili1. Nel diritto 16 Per quanto attiene invece la definizione di servizi strumentali si deve fare riferimento a due concetti distinti: da un lato un rapporto bilaterale fra il Comune e la società che si connatura come un rapporto di appalto e non di concessione e dall’altro lato la configurazione della società, e non del singolo servizio svolto, come strumentale. In tale senso: “….. le società strumentali costituiscono una longa manus delle amministrazioni pubbliche, operando essenzialmente per queste ultime e non già per la collettività, il che spiega la deroga ai principi di concorrenza, non discriminazione e trasparenza, poiché il divieto di cui all'art. 13 in parola discende non tanto dalla partecipazione delle amministrazioni pubbliche al capitale delle società predette, ma dall'elemento oggettivo della strumentalità, che fa di questo tipo di persone giuridiche null'altro che una naturale proiezione delle amministrazioni costituenti o partecipanti (Cons. Stato, V, 10 settembre 2010, n. 6527; id., 5 marzo 2010, n. 1282; id., 22 febbraio 2010, n. 1037; id., 16 gennaio 2009, n. 215; id., 14 aprile 2008, n. 1600). Ciò posto e ricordato ancora che la qualificazione differenziale tra attività strumentale e gestione dei servizi pubblici deve essere riferita non all'oggetto della gara, bensì all'oggetto sociale delle imprese partecipanti ad essa, atteso che il divieto di fornire prestazioni a enti terzi, infatti, colpisce le società pubbliche strumentali alle amministrazioni regionali o locali, che esercitano attività amministrativa in forma privatistica, non anche le società destinate a gestire servizi pubblici locali che esercitano attività d'impresa di enti pubblici (Cons. St., sez. V, 29 dicembre 2011, n. 6974), le stesse deduzioni dell’appellante, secondo cui Te. Am. Teramo Ambiente S.p.A. svolge effettivamente anche servizi pubblici (come del resto confermata anche dalla certificazione della Camera di Commercio), esclude in radice che essa possa essere considerata una mera società strumentale del Comune di Teramo e che possa svolgere attività solo per comunitario, viene impiegata la più ampia locuzione «servizi di interesse generale»2; in particolare, le istituzioni europee, muovendo dall’art. 14 del TFUE3 hanno formulato i seguenti concetti base, ricavabili soprattutto dalle comunicazioni della Commissione: Servizi di interesse generale (SIG): i SIG sono servizi che le Autorità pubbliche degli Stati membri considerano di interesse generale e pertanto sono oggetto di specifici obblighi di servizio pubblico (OSP). Il termine riguarda sia le attività economiche che i servizi non economici. Questi ultimi non sono soggetti ad una normativa UE specifica né alle norme del Trattato in materia di mercato interno e concorrenza. Servizi di interesse economico generale (SIEG): i SIEG sono attività economiche i cui risultati contribuiscono all’interesse pubblico generale e che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento statale o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di qualità, sicurezza, accessibilità economica, parità di trattamento o accesso universale. Servizi sociali di interesse generale (SSIG): comprendono i regimi di sicurezza sociale che coprono i rischi fondamentali dell’esistenza e una gamma di altri servizi essenziali forniti direttamente al cittadino con un ruolo preventivo e di coesione/inclusione sociale. Obbligo di servizio universale (OSU): gli OSU sono un tipo di OSP con i quali si stabiliscono le condizioni per assicurare che taluni servizi vengano messi a disposizioni di tutti i consumatori e utenti di uno Stato membro, a prescindere dalla loro localizzazione geografica, a un determinato livello di qualità e, tenendo conto delle circostanze nazionali, ad un prezzo abbordabile. La definizione di OSU specifici è stabilita a livello europeo come componente essenziale della liberalizzazione del mercato nel settore dei servizi, quali le telecomunicazioni, i servizi postali e i trasporti. Servizio pubblico: a livello europeo si ritiene che questa locuzione presenti ambiguità. Pertanto, si ritiene preferibile utilizzare la terminologia “servizio di interesse generale” e “servizio di interesse economico generale”, che peraltro ricomprendono il servizio pubblico in senso proprio. Da segnalare la Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale 2012/C 8/02 dell’11.1.2012. Taluni SIEG possono essere forniti da imprese pubbliche o private senza ricevere un sostegno finanziario specifico dalle Autorità degli Stati membri; altri servizi possono invece essere prestati solo se le Autorità offrono una compensazione finanziaria al gestore. In assenza di norme specifiche dell’Unione, gli Stati membri hanno in genere la facoltà di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento dei loro SIEG. In relazione a ciò, la Comunicazione delinea le condizioni da rispettare affinché le compensazioni degli obblighi di servizio pubblico non costituiscano aiuti di Stato. É poi in corso l’esame della nuova proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’aggiudicazione dei contratti di concessione del 20.12.2011 - COM (2011)897 def. Si disciplinano i presupposti e le procedure per le concessioni di servizi e i limiti in cui sono ammesse le gestioni in house providing. Nulla si prevede per il modello del partenariato pubblico privato (società miste), lasciando dunque aperto il problema della identità o meno di regime rispetto alle concessioni. 17 quest’ultimo ente, circostanza che sola avrebbe potuto determinare l’illegittimità della sua partecipazione per violazione della normativa invocata. (CDS sez. V sent n. 257/2015). Il dato che è emerso con chiarezza è che nonostante gli enti locali abbiano provveduto nel termine del 31.12.2010 ad effettuare la ricognizione delle società detenibili, con riferimento alle società ritenute non più detenibili, le procedure di evidenza pubblica per la vendita hanno dato esiti del tutto infausti. Né gli altri istituti propri del diritto commerciale per ottenere l’exit del socio privato si sono rilevati efficaci: si fa riferimento al recesso e all’anticipato scioglimento del contratto sociale. La norma è rimasta, nella maggior parte dei casi, inapplicabile. Per ovviare a questo stato di empasse, il legislatore è intervenuto con una serie di norme al fine di agevolare o favorire la fuoriuscita dalla società del socio ente locale. 6. Il regime speciale di exit dalle società a partecipazione pubblica locale La prima norma emanata dal legislatore è stata il comma 569 bis dell’art. 1 della legge 147/2013, introdotto con il D.L. 78/2015 che recita: “569. Il termine di trentasei mesi fissato dal comma 29 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e' prorogato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, decorsi i quali la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto; entro dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile.“ Con tale norma si è introdotto un nuovo regime di exit dalla società a partecipazione pubblica che solo marginalmente può essere associato al diritto di recesso. In primo luogo si sono riaperti i termini per effettuare la ricognizione delle società partecipate discriminando la detenibilità secondo il disposto dell’art. 3 comma 27 della legge 244/2007: termine portato al 31.12.2014. Entro tale data l’ente locale poteva deliberare la detenibilità o meno della partecipazione in società. Emerge un doppio effetto: da un lato la riapertura del termine ha avuto valenza di “sanatoria” a chi non avesse adempiuto nei termini originari e dall’altro lato ha determinato la possibilità di rivedere anche decisioni già assunte. La procedura indicata dalla legge prevede poi che entro il termine riaperto debba procedersi anche al tentativo di vendita, con forme di evidenza pubblica, come stabilisce anche lo stesso art. 3 comma 27 della legge 244/2007 (fase, peraltro, ritenuta indefettibile dalla Corte dei Conti sezione per il controllo Marche 16/04/2014 deliberazione n. 25/2014/PAR). Vale la pena evidenziare che se la delibera di dismissione della partecipazione fosse già stata assunta a suo tempo e anche la procedura di vendita infruttuosa fosse anch’essa già stata esperita allora i presupposti per l’applicazione della portata della norma sono già perfezionati ora per allora. Trattandosi di norma di carattere eccezionale, in quanto introduce un regime speciale di exit dalla società, risulta necessario il rispetto della procedura presupposta per rendere efficace la portata della norma stessa. E’ l’effetto della norma che è del tutto innovativo in quanto si afferma che la “partecipazione cessa ad ogni effetto” introducendo la cessazione automatica della condizione di socio di società a fronte del quale, a compensazione della automatica perdita di tutti i diritti di socio, rimane unicamente il diritto di credito alla liquidazione della quota di partecipazione. 18 Liquidazione che deve avvenire secondo i criteri “stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile.“, unico punto di contatto con il recesso del codice civile e dal quale invece si discosta sia per la procedura che soprattutto per l’effetto. Infatti nel recesso previsto dal codice civile non vi è una cessazione ex lege della partecipazione ma un articolato procedimento, fra l’altro revocabile rimuovendo da parte degli altri soci la causa che ha dato luogo al diritto di recesso, scandito da tempi e compiti fra organi societari diversi ed infine con un esito differenziato ai fini patrimoniali. Infatti il recesso può essere attuato con la vendita delle partecipazioni ai soci o terzi ovvero riduzione di riserva ed infine riduzione di capitale. L’elemento critico della norma è l’avere attribuito un automatismo alla cessazione “ad ogni effetto”, come se decorso il termine di legge (31.12.2014), avendo esperito la procedura di cui si è detto, anche contro la volontà dello stesso socio ente locale, egli perde ( cessa ) la partecipazione senza più potere eccepire. Parimenti gli altri soci, la società e gli amministratori della società sono del tutto impossibilitati ad intervenire nel procedimento, se si esclude la determinazione del valore da liquidare, stante l’automatismo di cui si è detto. In merito alla norma, autorevole dottrina ha rilevato che la cessazione ad ogni effetto significa che: “ l'amministrazione pubblica cessa di essere socia fin dal 31 dicembre 2014: scaduto il termine finale, essa è ipso iure estromessa dall'organizzazione societaria e, medio tempore, in attesa della liquidazione della quota, non conserva affatto i diritti sociali e le eventuali prerogative attribuite dall'atto costitutivo (diversamente da quel che accade al socio receduto). Per contro, scattano subito gli adempimenti pubblicitari che caratterizzano le variazioni della compagine societaria: occorrerà procedere, per le Spa, all'annotazione a libro soci e, per le Srl, all'iscrizione nel registro delle imprese della cessazione della partecipazione ex articolo 1, comma 569 della legge 147/2013). La società, entro un anno dalla cessazione (quindi entro il 31 dicembre 2015), deve procedere alla liquidazione della partecipazione «cessata» e, ai fini della determinazione del valore, dovrà attenersi ai criteri indicati dall'articolo 2437-ter, comma 2 del Codice civile (quindi in funzione della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali nonché dell'eventuale valore di mercato) da applicarsi – stabilisce il comma 569 – sia alle Spa sia alle Srl.” ( Davide Di Russo - “Partecipate contra legem, così i rimborsi all’ente socio dopo la “cessazione” in il Quotidiano enti locali PA de il sole 24 ore del 18/2/2015). Tale norma ha subito recentemente un intervento legislativo avente portata di norma di interpretazione autentica. E’ stato introdotto il comma 569 bis, da parte dell’art. 7 comma che recita: “569-bis. Le disposizioni di cui al comma 569, relativamente alla cessazione della partecipazione societaria non alienata entro il termine ivi indicato, si interpretano nel senso che esse non si applicano agli enti che, ai sensi dell'articolo 1, commi 611 e 612, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, abbiano mantenuto la propria partecipazione, mediante approvazione di apposito piano operativo di razionalizzazione, in società ed altri organismi aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche solo limitatamente ad alcune attività o rami d'impresa, e che la competenza relativa all'approvazione del provvedimento di cessazione della partecipazione societaria appartiene, in ogni caso, all'assemblea dei soci. Qualunque delibera degli organi amministrativi e di controllo interni alle società oggetto di partecipazione che si ponga in contrasto con le determinazioni assunte e contenute nel piano operativo di razionalizzazione e' nulla ed inefficace.” 19 In prima lettura si evidenzia che si tratta di norma di interpretazione autentica e quindi con efficacia retroattiva, vale a dire a valere dal 1/01/2015 e cioè dal momento in cui la norma avrebbe esplicato gli effetti dell’exit del socio privato . In merito alla cessazione ex lege della partecipazione, si rileva che essa è stata eliminata in quanto: - non opera quando l’ente locale abbia deciso, nel piano di razionalizzazione delle società partecipate, di mantenere la partecipazione in società ed altri organismi aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche solo limitatamente ad alcune attività o rami d'impresa; - è necessaria l’approvazione del provvedimento di cessazione da parte dell’assemblea dei soci. Non sfugge che diventa dirimente comprendere la portata della locuzione “approvazione da parte dell’assemblea”. Soffermandosi al tenore letterale sembra che l’assemblea debba esprimersi con le maggioranze statutarie perché deve assumere un atto di volontà e non meramente di ratifica o di ricognizione. Essa dunque ha potere di sindacare il merito della richiesta di recedere. Potrà pertanto sindacare la corretta applicazione dell’art. 3 comma 27 L.F. 2008 nel senso che potrà eventualmente eccepire che l’oggetto della società è conforma alla disposizione di legge e quindi non può trovare applicazione la procedura speciale di exit prevista dalla norma in discussione, fatto salvo l’eventuale exit secondo l’ordinaria disciplina del recesso previsto per legge e per statuto. L’assemblea potrebbe anche eccepire la scadenza dei termini o vizi di procedura. Su altro piano si pone invece la valutazione degli effetti patrimoniali del recesso quando eseguibile unicamente con la riduzione del capitale della società, allorché ciò possa configurare un danno indiretto agli altri soci. In questo caso si verrebbe a scontrare il diritto di recedere con il diritto degli altri soci a mantenere inalterato il patrimonio sociale: la questione non può che trovare un giusto contemperamento nella determinazione del valore economico della quota da liquidare . Ne consegue quindi che solamente a seguito di opportuna delibera assembleare, la partecipazione potrà considerarsi cessata ed il Comune recedente avrà diritto alla liquidazione del valore delle azioni. 7. Primi arresti giurisprudenziali Si registra il primo arresto giurisprudenziale sull’art. 1 comma 569 della Legge 147/2013 ed è del TAR Lombardia sezione Brescia sez. I, 13/10/2015 n. 1305 poiché la società alla quale era stata rivolta la richiesta di recesso ha impugnato la deliberazione del consiglio dell’ente che aveva stabilito che la partecipazione non era più detenibile e quindi procedeva ad uscire dalla compagine invocando la norma in discussione. Deve precisarsi però che il giudicato non ha tenuto conto della sopravvenuta disposizione dell’art. 1 comma 569 bis la cui portata invece appare, come precisato precedentemente, elemento decisivo. Tuttavia sono da tenere presente alcune precisazioni del giudice amministrativo di prime cure. In primo luogo si afferma che la disposizione di carattere speciale in discussione contenuta nell’art. 1 comma 569 si applica alle società a totale partecipazione pubblica ed anche quelle ove partecipano privati. 20 In secondo luogo il giudice rileva che se il legislatore statale non impone direttamente l'uscita degli enti pubblici dalle società che gestiscono servizi pubblici, non esprime nemmeno una qualche opposizione a tale ipotesi, e certamente non costringe le pp.aa. a rimanere prigioniere delle società partecipate. Una volta che l'ente pubblico, esercitando la propria discrezionalità, abbia qualificato come non più strategica la presenza nel capitale di società affidatarie di servizi pubblici, si verifica una situazione equivalente al divieto di conservare partecipazioni azionarie estranee alle finalità istituzionali. Tale affermazione del giudice andrebbe ora rivista alla luce degli effetti dell’approvazione del provvedimento del recesso da parte dell’assemblea dei soci. In terzo luogo il fatto che nell'art. 1 commi 611 e 612 della l.190/2014, che contiene la disciplina dei piani di razionalizzazione delle società a partecipazione locale, non sia richiamata la facoltà di recedere, e di ottenere così la liquidazione delle azioni, non sembra costituire un ostacolo all'estensione di questo strumento in via interpretativa. A tal riguardo non sfugge che la determinazione del valore della quota da liquidare in denaro non può seguire i normali criteri enunciati ai paragrafi precedenti. Infatti il recesso prevede la liquidazione della quota in denaro e nel caso si debba procedere con la riduzione delle riserve o del capitale sociale, attraverso il reperimento delle relative risorse finanziarie da parte della società, diversamente dall’anticipato scioglimento del contratto sociale ove invece è prevedibile anche l’assegnazione del capitale sociale in natura ai soci. In questo caso la società deve quindi rendere liquido il proprio patrimonio. Inoltre si deve considerare che nelle società a partecipazione locale, soprattutto quelle che svolgono servizi pubblici locali, il patrimonio sociale è stato costituito attraverso finanziamenti o contributi pubblici erogati anche da soggetti non soci e comunque a destinazione vincolato. Come peraltro non è infrequente che il patrimonio sociale sia stato costituito con conferimento di beni mobili o immobili del demanio comunale (in vigenza l’art. 113 comma 13 del Tuel) ovvero asserviti a pubblico servizio. Da ciò discende che nella determinazione del patrimonio sociale per la liquidazione della quota del socio i cespiti suddetti non potranno essere considerati in quanto: - da un lato non oggetto di contributi o di finanziamenti del socio recedente; - dall’altro lato segregati alla funzione strumentale per l’esercizio di pubblico servizio. In questo caso particolare attenzione andrà posta alla liquidazione del patrimonio quando l’ente locale recedente revoca alla società anche il servizio pubblico di cui è titolare. ______________________________ Società: illegittime l’avanzamento di carriera se l’ente socio dispone il blocco delle assunzioni Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale, Sicilia, sentenza n. 244/2015 di Federica Caponi L’inquadramento stabile di un dipendente nel livello contrattuale superiore, in presenza di limiti a nuove assunzioni posti dall’ente locale socio, integra una condotta obiettivamente censurabile, perché in violazione di una direttiva del socio, ma ha compromesso, in modo irrimediabile, anche la soluzione organizzativa realizzata dalla società con contestuale danno erariale. 21 Se infatti a seguito di tali avanzamenti di carriera la società non dimostra di aver fornito prestazioni più altamente qualificate, questi non possono che essere considerati strumento inidoneo per il miglioramento delle attività, quindi, solo causa di maggiori costi. Questo il principio sancito dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizione della Sicilia, nella sentenza in commento con la quale ha condanno gli amministratori di una società a rifondere il danno arrecato alla stessa per aver attuato progressioni verticali di alcuni dipendenti, nonostante l’ente socio avesse imposto il blocco delle assunzioni e un limite al costo del personale. Nel caso di specie, la Regione aveva costituito, unitamente alle aziende sanitarie provinciali e le aziende ospedaliere e ospedaliero-universitarie una società interamente pubblica, quale «strumento operativo» dei soci per l’erogazione del servizio di trasporto per l'emergenza-urgenza. Il Consiglio di Gestione della società dopo un anno aveva disposto in via definitiva l’inquadramento di alcuni dipendenti nel livello contrattuale superiore. La Procura della Corte ha ritenuto che tali avanzamenti di carriera fossero stati illegittimamente conferiti e che i maggiori emolumenti corrisposti al personale, beneficiario di un inquadramento più elevato di quello riconosciuto in sede di assunzione, per un importo pari a € 455.236,01, integrassero per la società un danno erariale e ha invitato a dedurre i membri dell’organo esecutivo. Gli interessati hanno sostenuto, preliminarmente, il difetto di giurisdizione della corte dei conti. In merito alla giurisdizione contabile in materia di responsabilità degli amministratori o degli organi di controllo delle società partecipate da enti pubblici, è necessario ricordare quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, S.U. nella sentenza 5491/2014. La Corte ha ribadito il principio secondo cui è competente il giudice ordinario, in ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, se la società è totalmente autonoma nell’effettuare le proprie scelte strategiche e gestionali e non ha un rapporto di servizio con l'ente pubblico titolare della partecipazione. Sussiste invece la giurisdizione della Corte dei Conti, quando il danno sia stato prodotto dal rappresentante dell'ente socio, lo stesso ente pubblico abbia il potere decisionale e abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, pregiudicando il valore della partecipazione. La Corte dei conti quindi ha giurisdizione sull'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società partecipata quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società “in house”, cioè costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici. Pertanto, nel caso di una società totalmente pubblica, costituita per lo svolgimento di servizi in favore dei soci, non ci sono dubbi in merito alla competenza della Corte dei Conti in merito al giudizio di responsabilità degli amministratori. 22 Sul merito delle questioni sollevate dalla Procura, i giudici contabili hanno chiarito che il ricorso a delle “progressioni verticali”, in presenza di precetti dell’ente socio di maggioranza, che ne precludevano l’effettuazione, integra una condotta obiettivamente censurabile, che ha tra l’altro determinato stabilmente una modifica organizzativa della società. La Corte ha inoltre rilevato che nel caso di specie, tale nuovo assetto organizzativo, più costoso, non ha rappresentato lo strumento essenziale ed irrinunciabile per assicurare l’operatività della società, anzi. A seguito di tale modifica “l’oggetto sociale è stato perseguito non diversamente da come avvenuto prima dei conferimenti delle più elevate qualifiche (…) dunque, quelle progressioni non si ponevano come mezzo condizionante lo svolgimento di attività altrimenti non realizzabili, tant’è che sia a monte che a valle del periodo in cui la società si è avvalsa dei dipendenti meglio inquadrati, i servizi aziendali sono stati resi con immutata quantità e qualità”. Tra l’altro, la Procura ha rilevato che quello della violazione del blocco delle assunzioni non ha costituito l’unico scostamento dall’alveo della corretta gestione, segnalando altri aspetti della sequenza procedimentale in contrasto con precetti di riferimento. Le progressioni di carriera sono risultate svincolate: da qualsiasi pianificazione; da qualsiasi regolamentazione interna. I giudici hanno chiarito infine che a prescindere dalle censurabili modalità con le quali sono stati realizzati tali avanzamenti di carriera, si trattava di misure organizzative precluse dall’ente socio e in quanto vietate, non avrebbero dovuto essere compiute e, anche laddove fossero state poste in essere con modalità proceduralmente corrette, avrebbero mantenuto intatto il loro disvalore ed immutata l’attitudine a cagionare un danno erariale per l’ente socio. I profili di illegittimità che investono i conferimenti di inquadramenti più elevati sono stati causati dalle condotte poste in essere dai rappresentanti nominati dagli enti soci negli organi di gestione, con colpa grave. I giudici hanno infatti rilevato che il divieto imposto dall’ente socio era inequivocabile i soggetti coinvolti che dovevano darvi esecuzione avevano una qualificazione professionale di livello elevato, considerato che erano stati chiamati a ricoprire uffici apicali nell’ambito di una società neocostituita, con una cospicua dotazione organica (oltre 3200 unità di personale) ed impegnata nella gestione di un servizio pubblico essenziale che presentava rilevanti criticità da gestire (fra cui l’esubero di oltre 650 unità di personale). Pertanto, il ricorso alla soluzione organizzativa degli avanzamenti di carriera disposto in violazione di vincoli e limiti posti chiaramente dal socio è espressione di una grave colpevolezza degli agenti, esponenti aziendali di livello apicale provvisti di elevati requisiti di professionalità. _______________________________ Società consortile: il sindaco non può essere presidente con deleghe gestionali dirette Un Sindaco ha chiesto all’Anac chiarimenti circa la possibilità di assumere l’incarico di Presidente all’interno del CdA di una Società Consortile a responsabilità limitata il cui comune insieme ad altri Comuni e Enti pubblici fa parte. 23 In particolare, secondo l’istante detta società non sarebbe identificabile negli “Enti di diritto privato in controllo pubblico”, ai sensi dell’articolo 1, comma 2 d.lgs. 39/2013, atteso che non ricorrono le condizioni di soggetto sottoposto a controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. La disposizione citata definisce “enti di diritto privato in controllo pubblico”, le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle p.a. o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell'articolo 2359 c.c. da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle p.a., anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi. L’Anac con il parere rif. UPAG/ AG 23/15/AC del 1° aprile 2015 ha chiarito che sussiste una situazione di inconferibilità, ai sensi dell’art. 7, comma 2 lettera d) del d.lgs. 39/2013, nel caso di attribuzione della carica di Presidente, con deleghe gestionali dirette, di una società consortile in mano pubblica di livello locale a colui che rivesta il ruolo di Sindaco di un comune della medesima regione, socio della citata società. Sul punto l’Autorità si era in precedenza pronunciata con l’orientamento 19/2014 secondo cui “Ai fini dell’applicazione del d.lgs. n. 39/2013, le società consortili per azioni, costituite ai sensi dell’art. 2615 ter del codice civile e dell’art. 22, comma 3, lett. e) della l. n. 142/1990, oggi trasfuso negli artt. 112 e 113 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), sono ricomprese nella categoria degli enti di diritto privato in controllo pubblico, in quanto esercitano attività di gestione di servizi pubblici e sono sottoposte a controllo da parte di diverse amministrazioni pubbliche” e, da ultimo, con l’orientamento 79/2014 in base al quale “Ai fini dell’applicazione del d.lgs. n. 39/2013, sono annoverabili nella categoria degli “enti di diritto privato in controllo pubblico” le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano le funzioni elencate nell’art. 1, comma 2, lettera c) del citato decreto e in cui, alternativamente, le pubbliche amministrazioni esercitano un controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. oppure hanno il potere di influire fortemente sull’attività dell’ente, attraverso il potere di nomina dei vertici o dei componenti degli organi dell’ente”. Le disposizioni richiamate fondano, quindi, la sussistenza dell’annoverabilità di tale società consortile nella categoria dell’ente di diritto privato in controllo pubblico di cui all’art. 1, comma 2 lettera c) del d.lgs. 39/2013, dal momento che secondo lo statuto la società esercita funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore di pubbliche amministrazioni e i soci (soggetti pubblici al 98% della Società) hanno poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi della medesima Società. Relativamente all’incarico di Presidente della società che comporti deleghe gestionali dirette, ai sensi del citato articolo 1, comma 2 lettera l) del d.lgs. 39/2013 , l’Autorità ha chiarito che la definizione di tale figura si riferisce alla carica ricoperta dal Presidente a cui sono state conferite le suddette deleghe direttamente dal consiglio di amministrazione dell’ente, salvo quanto previsto dallo Statuto (orientamento 106/2014) e che sussiste inconferibilità tra l’incarico politico e quello Presidente con deleghe gestionali dirette qualora sia attribuita la rappresentanza in giudizio dell’ente (orientamento 128/2014). Previsione, nel caso di specie, contemplata dallo statuto della società, il quale attribuisce la rappresentanza legale della società di fronte a qualunque autorità 24 giudiziaria e amministrativa e di fronte a terzi, nonché la firma sociale, al Presidente che, ove autorizzato, può nominare procuratori speciali e mandatari per determinati atti o categorie di atti e nominare procuratori alle liti. Quanto al requisito previsto dall’articolo 7, comma 2 del d.lgs. n. 39/2013 consistente nell’esser stato, nell’anno precedente, componente della giunta di un amministrazione locale, nel caso di specie, rilevava il fatto che l’istante fosse sindaco in carica e quindi che, in prima battuta, poteva ritenersi non applicabile l’ipotesi prospettata. Tuttavia, considerato che la finalità della norma è quella di garantire la massima imparzialità e la mancanza di una situazione di conflitti di interesse in capo a coloro che ricoprono o saranno chiamati a ricoprire incarichi “amministrativi”, qualora si aderisse ad un’interpretazione letterale della stessa, nel senso di limitare l’inconferibilità solo a coloro che nell’anno precedente erano titolari di cariche politiche, tale finalità verrebbe ad essere elusa. Per tale ragione la corretta interpretazione, già assunta in casi analoghi dall’Autorità, è quella di equiparare, ai fini dell’applicabilità di tali situazioni di inconferibilità, coloro che attualmente rivestono una carica politica a coloro che nell’anno precedente o nei due anni precedenti ricoprivano tale cariche nelle amministrazioni locali che conferiscono l’incarico. Circa, infine, il presupposto “dell’amministrazione locale che conferisce l’incarico”, previsto dall’art. 7, comma 2 del d.lgs. 39/2013, l’Autorità ha chiarito che sussiste inconferibilità anche nel caso in cui l’incarico di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni aventi la medesima popolazione, sia stato conferito da un organo dell’ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una regione, di una provincia o di un comune e non direttamente dall’ente locale (orientamento n. 100 del 21 ottobre 2014). __________________________________ Riforma Madia: le norme di interesse per gli enti locali Legge 7 agosto 2015, n. 124 di Federica Caponi E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 187 del 13 agosto 2015, la legge 124/2015 concernente “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, entrata in vigore il 28 agosto 2015. Deleghe per la semplificazione normativa Art. 16 - Procedure e criteri comuni per l'esercizio di deleghe legislative di semplificazione Saranno adottati decreti legislativi di semplificazione dei seguenti settori, secondo quanto previsto nei successivi artt. 17-19: lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di organizzazione amministrativa; partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche; servizi pubblici locali di interesse economico generale. 25 Inoltre, è stata prevista anche l’adozione di appositi d.p.r. di attuazione dei decreti legislativi Art. 17 - Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche I decreti legislativi per il riordino della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di organizzazione amministrativa dovranno essere adottati entro diciotto mesi, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: previsione nelle procedure concorsuali pubbliche di meccanismi di valutazione finalizzati a valorizzare l'esperienza professionale acquisita da coloro che hanno avuto rapporti di lavoro flessibile con le amministrazioni pubbliche, con esclusione, in ogni caso, dei servizi prestati presso uffici di diretta collaborazione degli organi politici e ferma restando, comunque, la garanzia di un adeguato accesso dall'esterno; previsione di prove concorsuali che privilegino l'accertamento della capacità dei candidati di utilizzare e applicare a problemi specifici e casi concreti nozioni teoriche; svolgimento dei concorsi, per tutte le amministrazioni pubbliche, in forma centralizzata o aggregata; gestione dei concorsi per il reclutamento del personale degli enti locali a livello provinciale; definizione di limiti assoluti e percentuali, in relazione al numero dei posti banditi, per gli idonei non vincitori; riduzione dei termini di validità delle graduatorie; per le amministrazioni pubbliche e aventi graduatorie in vigore alla data di approvazione dello schema di decreto legislativo, introduzione di norme transitorie finalizzate esclusivamente all'assunzione dei vincitori di concorsi pubblici; soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la partecipazione ai concorsi per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni; previsione dell'accertamento della conoscenza della lingua inglese e di altre lingue, quale requisito di partecipazione al concorso o titolo di merito valutabile dalle commissioni giudicatrici; valorizzazione del titolo di dottore di ricerca; introduzione di un sistema informativo nazionale, finalizzato alla formulazione di indirizzi generali e di parametri di riferimento in grado di orientare la programmazione delle assunzioni; rilevazione delle competenze dei lavoratori pubblici; riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici; definizione di obiettivi di contenimento delle assunzioni, differenziati in base agli effettivi fabbisogni; istituzione di una Consulta nazionale per garantire un'efficace integrazione nell'ambiente di lavoro delle persone con disabilità 26 disciplina delle forme di lavoro flessibile, con individuazione di limitate e tassative fattispecie, caratterizzate dalla compatibilità con la peculiarità del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e con le esigenze organizzative e funzionali di queste ultime, anche al fine di prevenire il precariato; previsione della facoltà, per le amministrazioni pubbliche, di promuovere il ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile dell'orario di lavoro e della retribuzione del personale in procinto di essere collocato a riposo, garantendo, attraverso la contribuzione volontaria, la possibilità di conseguire l'invarianza della contribuzione previdenziale, consentendo nel contempo, l'assunzione anticipata di nuovo personale, nel rispetto della normativa vigente in materia di vincoli assunzionali; progressivo superamento della dotazione organica come limite alle assunzioni, fermi restando i limiti di spesa anche al fine di facilitare i processi di mobilità; semplificazione delle norme in materia di valutazione dei dipendenti pubblici; riduzione degli adempimenti in materia di programmazione anche attraverso una maggiore integrazione con il ciclo di bilancio; coordinamento della disciplina in materia di valutazione e controlli interni; introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare; rafforzamento del principio di separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione e del conseguente regime di responsabilità dei dirigenti, attraverso l'esclusiva imputabilità agli stessi della responsabilità amministrativo-contabile per l'attività gestionale; razionalizzazione dei flussi informativi dalle amministrazioni pubbliche alle amministrazioni centrali e concentrazione degli stessi in ambiti temporali definiti; riconoscimento alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano della potestà legislativa in materia di lavoro del proprio personale dipendente; previsione della nomina di un responsabile dei processi di inserimento dei disabili, da parte delle amministrazioni pubbliche con più di 200 dipendenti, senza maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse disponibili. E’ stato modificato il comma 9 dell’articolo 5 del d.l. 95/2012, stabilendo che è fatto divieto alle p.a. inserite nel conto economico consolidato pubblicato dall’Istat, nonché alle autorità indipendenti di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. A tali amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle p.a. e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione interessata. 27 Art. 18. Riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche sarà adottato al fine prioritario di assicurare la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione della concorrenza, prevedendo, tra l’altro: la distinzione tra tipi di società in relazione alle attività svolte, agli interessi pubblici di riferimento, alla misura e qualità della partecipazione e alla sua natura diretta o indiretta, alla modalità diretta o mediante procedura di evidenza pubblica dell'affidamento; ai fini della razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche, la ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di società, l'assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte delle p.a.; la precisa definizione del regime delle responsabilità degli amministratori delle amministrazioni partecipanti nonché dei dipendenti e degli organi di gestione e di controllo delle società partecipate; la definizione della corretta gestione delle risorse e della salvaguardia dell'immagine del socio pubblico; la razionalizzazione dei criteri pubblicistici per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive, finalizzati al contenimento dei costi; promozione della trasparenza e dell'efficienza attraverso l'unificazione, la completezza e la massima intelligibilità dei dati economico-patrimoniali e dei principali indicatori di efficienza, nonché la loro pubblicità e accessibilità; attuazione del consolidamento dei bilanci delle partecipazioni coi bilanci degli enti proprietari; possibilità di piani di rientro per le società con bilanci in disavanzo con eventuale commissariamento; regolazione dei flussi finanziari, sotto qualsiasi forma, tra amministrazione pubblica e società partecipate secondo i criteri di parità di trattamento tra imprese pubbliche e private e operatore di mercato; con riferimento alle società partecipate dagli enti locali: 1) per le società che gestiscono servizi strumentali e funzioni amministrative, definizione di criteri e procedure per la scelta del modello societario; 2) per le società che gestiscono servizi pubblici di interesse economico generale, individuazione di un numero massimo di esercizi con perdite di bilancio che comportino obblighi di liquidazione delle società; 3) rafforzamento delle misure volte a garantire il raggiungimento di obiettivi di qualità, efficienza, efficacia ed economicità, anche attraverso la riduzione dell'entità e del numero delle partecipazioni e l'incentivazione dei processi di aggregazione; 4) promozione della trasparenza mediante pubblicazione, nel sito internet degli enti locali e delle società partecipate interessati, dei dati economico-patrimoniali e degli indicatori di efficienza; 28 5) introduzione di un sistema sanzionatorio per la mancata attuazione dei princìpi di razionalizzazione e riduzione, basato anche sulla riduzione dei trasferimenti dello Stato alle amministrazioni che non ottemperano alle disposizioni in materia; 6) introduzione di strumenti, anche contrattuali, volti a favorire la tutela dei livelli occupazionali nei processi di ristrutturazione e privatizzazione relativi alle società partecipate; 7) revisione degli obblighi di trasparenza e di rendicontazione delle società partecipate nei confronti degli enti locali soci, attraverso specifici flussi informativi che rendano analizzabili e confrontabili i dati economici e industriali del servizio. Art. 19. Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di servizi pubblici locali di interesse economico generale sarà adottato nel rispetto dei seguenti princìpi: individuazione da parte degli enti locali, quale propria funzione fondamentale, delle attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione dei bisogni degli appartenenti alle comunità locali; soppressione dei regimi di esclusiva non conformi ai princìpi generali in materia di concorrenza; individuazione della disciplina generale in materia di regolazione e organizzazione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale; definizione dei criteri per l'organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; individuazione, anche per tutti i casi in cui non sussistano i presupposti della concorrenza nel mercato, delle modalità di gestione o di conferimento della gestione dei servizi; introduzione di incentivi e meccanismi di premialità o di riequilibrio economicofinanziario nei rapporti con i gestori per gli enti locali che favoriscono l'aggregazione delle attività e delle gestioni secondo criteri di economicità ed efficienza; individuazione dei criteri per la definizione dei regimi tariffari; revisione delle discipline settoriali ai fini della loro armonizzazione e coordinamento con la disciplina generale in materia di modalità di affidamento dei servizi; previsione di una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le funzioni di gestione dei servizi; revisione della disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti; definizione del regime delle sanzioni e degli interventi sostitutivi, in caso di violazione della disciplina in materia; definizione di strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei contratti di servizio, relativi a servizi pubblici locali di interesse economico generale, da parte degli enti affidanti anche attraverso la definizione di contratti di servizio tipo per ciascun servizio pubblico locale di interesse economico generale. 29 _____________________________ Legge stabilità 2015: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati Legge 190 del 23 dicembre 2014 (Legge Stabilità 2015) di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 300 del 29 dicembre 2014 la legge di stabilità 2015 (legge 190/2014) che ha modificato numerose disposizioni in materia di: Organismi partecipati Comma 609 – Ato dei servizi pubblici locali a rete Al fine di promuovere processi di aggregazione e di rafforzare la gestione industriale dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica (acqua, gas e rifiuti) la legge di stabilità ha modificato il comma 1 –bis dell'articolo 3-bis del d.l. 138/2011. La novellata disposizione prevede che spettano unicamente agli enti di governo degli ATO (ambiti territoriali ottimali e omogenei), cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente, le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica (compresi i rifiuti urbani), di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe, di affidamento della gestione e relativo controllo. Qualora gli enti locali non aderiscano a tali enti entro il 1º marzo 2015 o entro sessanta giorni dall'istituzione o designazione dell'ente di governo (ex comma 2, art. 13 d.l. 150/2013), il Presidente della regione dovrà esercitare i poteri sostitutivi, previa diffida all'ente locale ad adempiere entro trenta giorni. Gli enti di governo degli ATO dovranno pubblicare la relazione che dia conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisca i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico, indicando le compensazioni economiche se previste (ex comma 20, art. 34 d.l. 179/2012). La relazione dovrà essere allegata alla deliberazione con cui verrà disposto l’affidamento, senza necessità di ulteriori deliberazioni (né preventive, né successive), da parte degli enti locali aderenti. Al fine di assicurare la realizzazione degli interventi infrastrutturali necessari da parte del soggetto affidatario, la relazione dovrà comprendere un piano economico-finanziario che contenga anche la proiezione, per il periodo di durata dell'affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, con la specificazione, nell'ipotesi di affidamento in house, dell'assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell'ammontare dell'indebitamento da aggiornare ogni triennio. Il piano economico-finanziario dovrà essere asseverato da un istituto di credito o da società di servizi costituite dall'istituto di credito stesso e iscritte nell'albo degli intermediari finanziari o da una società di revisione. Nel caso di affidamento in house, gli enti locali proprietari procederanno, contestualmente all'affidamento, all’accantonamento pro quota nel primo bilancio utile, e successivamente ogni triennio, di una somma pari all'impegno finanziario corrispondente al capitale proprio previsto per il triennio nonché a redigere il bilancio consolidato con il soggetto affidatario in house. 30 E’ stato anche inserito il comma 2-bis al citato articolo 3-bis del d.l. 138/2011. La nuova disposizione stabilisce che l’operatore economico, che subentri al concessionario iniziale, a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, prosegue nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste. In tale ipotesi, anche su istanza motivata del gestore, il soggetto competente dovrà accertare la persistenza dei criteri qualitativi e la permanenza delle condizioni di equilibrio economico-finanziario al fine di procedere, ove necessario, alla loro rideterminazione, anche tramite l'aggiornamento del termine di scadenza di tutte o di alcune delle concessioni in essere, previa verifica del rendimento della concessione, del prezzo e dei rischi connessi alle condizione del mercato (ex art. 143, comma 8, d.lgs. 163/2006), oltre che facendo riferimento al programma degli interventi definito a livello di ATO. Inoltre, è stato novellato il comma 4 della stessa disposizione. La nuova norma stabilisce che i finanziamenti relativi ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, concessi a qualsiasi titolo, saranno attribuiti agli enti di governo degli ATO o ai relativi gestori del servizio a condizione che tali risorse siano aggiuntive o a garanzia dei piani di investimento approvati. Tali risorse saranno prioritariamente assegnate ai gestori selezionati tramite procedura di gara ad evidenza pubblica o di cui comunque l’ATO attesti l'efficienza gestionale e la qualità del servizio reso sulla base dei parametri stabiliti o che abbiano deliberato operazioni di aggregazione societaria. E’ stato aggiunto il comma 4-bis, che prevede che le spese in conto capitale, ad eccezione di quelle per l’acquisto di partecipazioni, effettuate dagli enti locali con i proventi derivanti dalla dismissione totale o parziale, anche a seguito di quotazione, di partecipazioni in società, individuati nei codici del SIOPE E4121 e E4122 (alienazione di partecipazioni societarie e alienazione di titoli di Stato) e i medesimi proventi sono esclusi dal patto di stabilità interno. Infine, è stato aggiunto il comma 6-bis, il quale stabilisce che si applicano anche al settore dei rifiuti urbani e ai settori sottoposti alla regolazione ad opera di un'autorità indipendente le norme contenute nell’articolo 3-bis e le altre disposizioni, comprese quelle di carattere speciale, in materia di servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. Comma 610 – Cooperative sociali di tipo b) E’ stato modificato il comma 1 dell'articolo 5 della legge 381/1991. Tale disposizione disciplina la possibilità per gli enti pubblici (compresi quelli economici), e le società partecipate di stipulare convenzioni con le cooperative sociali di tipo b) [ex art. 1, comma 1, lett. b), legge 381/1991] per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, di importo inferiore a € 207.000, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate. La legge di stabilità ha previsto che tali convenzioni possano essere stipulate “previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei princìpi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza”. E’ opportuno ricordare che la disciplina contenuta nel citato articolo 5 è stato considerato dalla giurisprudenza maggioritaria avente “carattere assolutamente 31 eccezionale” e il rinvio allo strumento della convenzione “non può consentire una completa deroga al generale obbligo di confronto concorrenziale in caso di utilizzo di risorse pubbliche per l'individuazione di un soggetto privato cui affidare lo svolgimento di servizi pubblici, per cui occorre il ricorso ad un confronto nel rispetto dei principi generali della trasparenza e della par condicio” (Tar Lazio, sez. III quater, sent. 11093/2008). Infine, è opportuno ricordare che anche l’Avcp è intervenuta più volte, e in particolare con la determinazione n. 3 del 1° agosto 2012, concernente “Linee guida per gli affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991”, in cui ha dettato indicazioni operative sugli affidamenti alle cooperative sociali di tipo b), alla luce di una sempre maggiore volontà, a livello nazionale ed europeo, di dare attenzione all’integrazione di aspetti sociali nella contrattualistica pubblica. Commi 611/614 – Piano di razionalizzazione delle società La norma, preliminarmente, ha ribadito che gli enti locali (ex art. 3, commi 27-29, legge 244/2007 e art. 1, comma 569, legge 147/2013): possono mantenere o costituire società partecipate esclusivamente per lo svolgimento di attività di produzione di beni e di servizi strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali; devono autorizzare l’assunzione di nuove partecipazioni con delibera consiliare che deve essere inviata alla competente sez. reg. di controllo della corte dei conti; dovevano autorizzare, sempre con delibera consiliare, il mantenimento delle partecipazioni in essere entro il 31 dicembre 2010 e poi nuovamente entro il 31 dicembre 2014, atto da inviarsi anch’esso alla competente sez. reg. di controllo della corte dei conti; dovevano deliberare entro il 31 dicembre 2014 la cessione a terzi delle società e delle partecipazioni vietate. Decorso tale termine, la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto ed entro il 31 dicembre 2015 la società liquiderà in denaro il valore della quota del socio cessato, considerato il valore di liquidazione determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni (ex art. 2437-ter, comma 2, c.c.). In base a tale premesse, la disposizione in commento ha stabilito che gli enti locali (e le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di istruzione universitaria pubblici e le autorità portuali) dal 1º gennaio 2015, devono avviare un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell'azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato. Tali interventi di razionalizzazione devono portare a una la riduzione delle società entro il 31 dicembre 2015, anche tenendo conto dei seguenti criteri: 32 a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione; b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni; d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica; e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni. Il comma 612 ha stabilito che spetta ai presidenti delle regioni, ai presidenti delle province e ai sindaci definire e approvare, entro il 31 marzo 2015, un piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie, le modalità e i tempi di attuazione, nonché l'esposizione in dettaglio dei risparmi da conseguire. Tale piano, corredato da una relazione tecnica, dovrà essere trasmesso alla competente sezione regionale di controllo della corte dei conti e pubblicato nel sito internet istituzionale dell’ente. Entro il 31 marzo 2016, i presidenti e i sindaci coinvolti dovranno predisporre una relazione sui risultati conseguiti e anche questa relazione dovrà essere trasmessa alla competente sezione regionale di controllo della corte dei conti e pubblicata nel sito dell’ente. Il legislatore ha precisato che la pubblicazione del piano e della relazione costituisce obbligo di pubblicità ai sensi del d.lgs. 33/2013. Il comma 613 ha stabilito che le deliberazioni di scioglimento, di liquidazione e gli atti di dismissione di società costituite o di partecipazioni societarie acquistate per espressa previsione normativa sono disciplinati unicamente dalle disposizioni del codice civile e, in quanto incidenti sul rapporto societario, non richiedono né l'abrogazione né la modifica della previsione normativa originaria. Il comma 614 ha previsto che per quanto riguarda le decisione in merito alla razionalizzazione delle società, definite nei piani operativi, si dovrà tener conto delle disposizioni che disciplinano la mobilità del personale tra società (ex art. 1, commi 563568-ter, legge 147/2013), e lo speciale regime fiscale per le operazioni di scioglimento e alienazione. Nell’attuazione dei piani di razionalizzazione deliberati entro il 31 dicembre 2015 si applica la disciplina contenuta nel comma 568-bis dell'articolo 1 della legge 147/2013. Tale disposizione ha stabilito che gli enti locali e le società controllate possono procedere: a) allo scioglimento di società o aziende speciali. Se lo scioglimento è deliberato non oltre il 31 dicembre 2015, gli atti e le operazioni posti in essere sono esenti da imposizione fiscale, incluse le imposte sui redditi e l’imposta regionale sulle attività produttive, ad eccezione dell’imposta sul valore aggiunto. Le imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa. In tal caso, i dipendenti in organico 33 al 31 dicembre 2013 sono ammessi di diritto alle procedure di mobilità tra società previste di cui ai commi da 563 a 568 della legge di stabilità 2014. Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi; b) all’alienazione delle partecipazioni detenute, a condizione che questa avvenga con procedura a evidenza pubblica e alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1º gennaio. In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30% deve essere riconosciuto il diritto di prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi. Comma 615 – Affidamento diretto del servizio idrico E’ stato novellato il secondo periodo del comma 1 dell'articolo 149-bis del d.lgs. 152/2006. La nuova disposizione stabilisce che l’ATO, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unicità della gestione, deve deliberare la forma di gestione fra quelle previste dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. L’affidamento diretto del servizio idrico, pertanto, può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ambito. Comma 616 – Scioglimento società e aziende speciali Come già in precedenza anticipato, è stato modificato il comma 568-bis dell’articolo 1 della legge di stabilità 2014. La nuova disposizione stabilisce che gli enti locali e le società da esse controllate direttamente o indirettamente possono procedere: a) allo scioglimento delle società o aziende speciali controllate. Se lo scioglimento è deliberato non oltre il 31 dicembre 2015, gli atti e le operazioni posti in essere in seguito allo scioglimento sono esenti da imposizione fiscale, incluse le imposte sui redditi e l’imposta regionale sulle attività produttive, ad eccezione dell’iva. Le imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa. In tal caso, i dipendenti in servizio al 31 dicembre 2013 sono ammessi di diritto alle procedure di mobilità per le società disciplinate dai commi 563-568 della citata legge 147/2013. Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi; 34 b) all’alienazione delle partecipazioni, a condizione che questa avvenga con procedura a evidenza pubblica e alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1º gennaio 2014. In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30% deve essere riconosciuto il diritto di prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi. Società pubbliche: in caso di nuove assunzioni è competente il giudice del lavoro Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5944 del 1° dicembre 2014 Le società di capitali, benché interamente pubbliche, seppure soggette a discipline particolari per determinati aspetti e a determinati fini per tutelare interessi di natura pubblica, sono assoggettate alla disciplina privatistica del diritto societario. Pertanto, le società interamente partecipate dagli enti locali restano pur sempre società di capitali, anche se fortemente caratterizzate da peculiari aspetti. Nel caso in cui una società interamente pubblica attui una procedura pubblica per l’assunzione di nuovo personale non sussiste la riserva della giurisdizione del giudice amministrativo. La competenza del giudice amministrativo “in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, di cui all’articolo 63, comma 4, d.lgs. 165/2001, sussiste solo nel caso in cui le procedure sia attuate da una p.a. di cui all’articolo 1, comma 2, del citato decreto. L’obbligo di adottare “criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi”, di cui all’articolo 18, comma 2, d.l. 112/2008, si inserisce pur sempre nell’agire jure privatorum della società, senza comportare esercizi di pubbliche potestà e senza incidere sulla giurisdizione. Questi i principi ribaditi dal Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento, con la quale ha rigettato il ricorso promosso da una signora per l’annullamento della sentenza del Tar Lazio che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in merito all’impugnazione dell’avviso pubblico con cui una società di capitali, interamente partecipata da un comune, aveva indetto una selezione per l’assunzione di nuovi dipendenti. E’ necessario, infatti, ricordare che la riserva della giurisdizione del giudice amministrativo in materia di procedure concorsuali, ex articolo 63, comma 4, d.lgs. 165/2001, presuppone l’instaurazione di un rapporto di lavoro pubblico, seppure contrattualizzato, alle dipendenze di una p.a., fattispecie che non può configurarsi in presenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze di una società di capitali, benché il capitale sia interamente pubblico. Il Consiglio di Stato ha ribadito il principio sancito dalla Corte dei Cassazione, S.U. nella sentenza 28329/2011. Alle società di capitali, non essendo qualificabili come organismi di diritto pubblico, non è applicabile il d.lgs. 165/2001 e, pertanto, in merito alle procedure selettive da queste indette sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. I magistrati amministrativi hanno chiarito che: 35 le società di capitali, benché interamente partecipate dagli enti locali, hanno natura privata e non sono annoverabili tra le p.a. cui all’articolo 1, comma 2, del citato d.lgs. 165/2001; la giurisdizione del giudice amministrativo, ex art. 7, comma 2, c.p.a. presuppone in ogni caso la riconducibilità dell’atto, del provvedimento o del comportamento, all’esercizio di un potere pubblico, che non è configurabile quando una società di capitali assume nuovo personale, anche se attua procedure selettive che rispettano i principi di trasparenza e imparzialità tipiche di una p.a.; il vincolo disciplinato dall’art. 18, comma 2, del d.l. 112/2008, che impone alle società a partecipazione pubblica totale o di controllo di adottare “con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di natura comunitaria, di trasparenza, pubblicità ed imparzialità”, si inserisce in ogni caso nell’agire jure privatorum delle società (essendo espressione dei più generali principi di comportamento secondo buona fede, oggettiva e soggettiva), senza necessariamente comportare esercizio di pubbliche potestà e senza incidere direttamente sulla giurisdizione; la giurisdizione del giudice amministrativo presuppone la finalità dell’instaurazione di un rapporto di lavoro pubblico, seppure contrattualizzato, alle dipendenze di una pubblica amministrazione e non può neppure ipotizzarsi in relazione all’insorgenza di un rapporto di lavoro privato alle dipendenze di una società privata. la natura di organismo di diritto delle società interamente pubbliche è rilevante ai soli fini dell’aggiudicazione degli appalti pubblici. __________________________ In house: legittimi gli affidamenti diretti di servizi, sia pubblici che strumentali Tar Puglia - Lecce, sez. II, sentenza 2986/2014 di Federica Caponi Il vincolo dell’affidamento di servizi strumentali tramite gara, disciplinato dall’articolo 4, comma 7, del d.l. 95/2012, è derogabile in quanto l'affidamento diretto può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house. Questo il principio sancito dal Tar Puglia nella pronuncia in commento, con la quale ha respinto il ricorso presentato da una società che aveva impugnato l’atto del Direttore Generale di una Asl, con il quale era stato disposto l’affidamento diretto a una società in house della gestione del servizio di pulizia e sanificazione di tutte le strutture della azienda sanitaria. La ricorrente aveva sostenuto l’illegittimità di tale scelta gestionale in ragione del (supposto) divieto di costituzione di società strumentali in house introdotto dall'articolo 4 del d.l. 95/2012 e del divieto disciplinato dal comma 7 del citato articolo 4 che impone l’affidamento dei servizi strumentali tramite gara dal 1° gennaio 2014. I giudici amministrativi hanno precisato che l’articolo 4 del d.l. 95/2012, dispone che al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, dal 1° gennaio 2014 le p.a., le stazioni appaltanti, gli enti aggiudicatori e i soggetti aggiudicatori di cui al d.lgs. 163/2006, devono acquisire 36 sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali. La norma, che enuncia il principio dell’evidenza pubblica, è tuttavia derogata dal successivo comma 8, secondo cui “A decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house”. Il Tar ha chiarito che le p.a. possono ricorrere al modello dell’in house per la gestione dei propri servizi strumentali anche dopo la sentenza della Corte costituzionale 229/2013 che ha reso inapplicabile alle Regioni a statuto ordinario il comma 8 dell'articolo 4 del d.l. 95/2012. L’immediata applicabilità erga omnes delle sentenze della Corte di giustizia, infatti, con riguardo all’affermazione dei principi e all’interpretazione, rende pleonastica tale norma, poiché quanto dalla stessa disposto sarebbe stato egualmente desumibile, pure in sua assenza, dai principi comunitari in materia. Infine, il Tar ha chiarito, nel caso di affidamento a un nuovo gestore del servizio, è legittima la decisione della p.a. di prevedere l'assunzione a tempo indeterminato del personale utilizzato dai precedenti gestori del servizio. La Corte Costituzionale, con la sentenza 68/2011, ha chiarito che in tale fattispecie, l’assunzione a tempo indeterminato non può riguardare in modo automatico e generalizzato tutti i lavoratori transitati, compresi quelli assunti con contratto a termine, ma solo quelli già assunti a tempo indeterminato dal precedente gestore, non creando nuovi diritti, ma conservando solo quelli esistenti. In tal caso, inoltre, secondo il Tar non c’è violazione dei principi del pubblico concorso e del buon andamento, ma mero rispetto delle garanzie dei diritti dei lavoratori previste dalla legge e dai contratti collettivi per le ipotesi di subentro nell’appalto e di trasferimento d’azienda. La clausola sociale, anche nota come clausola di «protezione» o di «salvaguardia» sociale o «clausola sociale di assorbimento», è un istituto previsto dalla contrattazione collettiva e da specifiche disposizioni legislative statali, quali ad es. l’articolo 69 del d.lgs. 163/2006, che opera nell’ipotesi di cessazione d’appalto e subentro di imprese o società appaltatrici e risponde all’esigenza di assicurare la continuità del servizio e dell’occupazione, nel caso di discontinuità dell’affidatario. La conservazione dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda è prevista dalla Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE e dall’articolo 2112 c.c., la cui applicabilità, ricorrendo determinate condizioni, è stata estesa dalla giurisprudenza ai casi in cui il trasferimento derivi non da un contratto fra cedente e cessionario, ma da un atto autoritativo della p.a., come chiarito anche dalla Corte di Cassazione, sez. lav., nelle sentenze 21023/2007, 5708/2009 e 21278/2010). Infine, il Tar ha precisato che l’istituto dell’in house, più che un’eccezione al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni, è espressione di un principio generale riconosciuto sia dal diritto dell’Unione, che dall’ordinamento nazionale, cioè quello dell'auto-organizzazione amministrativa o di autonomia istituzionale, in forza del quale gli enti pubblici possono organizzarsi nel modo ritenuto più opportuno per offrire i loro servizi o per reperire le prestazioni necessarie alle loro finalità istituzionali. 37 L’affidamento diretto, “in house, lungi dal configurarsi come un’ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locali costituisce invece una delle (tre) normali forme organizzative delle stesse, con la conseguenza che la decisione di un ente in ordine alla concreta gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dell’affidamento diretto, in house (sempre che ne ricorrano tutti i requisiti così come sopra ricordati e delineatisi per effetto della normativa comunitaria e della relativa giurisprudenza), costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza, irrazionalità ed arbitrarietà ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti” (Cons. St., sez. V, 4599/2014; Cons. St., sez. V, 4832/2013; Cons. St., sez. VI, 762/2013). Tali principi, benché riferiti alla materia dei servizi pubblici locali, secondo il Tar, ben possono essere estesi anche ai servizi strumentali, in quanto siamo sempre di fronte alla scelta di una p.a. di autoprodurre servizi strettamente necessari al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, considerato che il modello dell’in house providing nasce a livello comunitario proprio come alternativa all’appalto di servizi (Corte di Giustizia, sentenza Teckal del 18 novembre 1999, causa C-107/98). Pertanto, anche nel caso di specie, l’opzione tra in house providing e outsourcing costituisce una scelta discrezionale fra modelli organizzativi alternativi, che l’azienda è chiamata a operare entro margini di autonomia pienamente riconosciuti dall’ordinamento comunitario e la motivazione addotta dalla Asl, a fondamento della propria scelta gestionale (maggiore convenienza economica della gestione in house rispetto all’acquisizione del servizio sul mercato, con un risparmio previsto di circa 300.000 euro) è stata ritenuta dal Tar logica, razionale e adeguata. Infine, la mancata contestualità tra scelta della gestione in house e l’approvazione del disciplinare non appare idonea a determinare l’illegittimità dell’atto impugnato, in quanto la decisione dell’Azienda di differire l’adozione del disciplinare in prossimità del concreto affidamento del servizio appare, nella specie, giustificata dal processo di riorganizzazione in atto. Pertanto, il Tar ha respinto il ricorso presentato dalla società e ha dichiarata legittimo l’atto del direttore generale che aveva disposto l’affidamento diretto di alcuni servizi strumentali alla società in house dell’azienda sanitaria. ______________________ La riscossione dei tributi è un servizio pubblico locale Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5284 del 27 ottobre 2014 di Federica Caponi La riscossione dei tributi locali costituisce svolgimento di un'attività di servizio pubblico, pertanto, la decisione in merito alla modalità di gestione è di competenza del Consiglio Comunale, afferendo alla materia dell’organizzazione di un servizio pubblico ex art. 42, comma 2, lett. e) del d.lgs. 267/2000. Questo il principio sancito dal Consiglio di Stato nella pronuncia in commento, con la quale ha respinto il ricorso presentato da un Comune avverso la decisione del Tar che 38 aveva riconosciuto la titolarità della società già concessionaria del servizio di riscossione alla prosecuzione diretta del rapporto concessorio con l'ente locale. Nel caso di specie, un Comune aveva deliberato l’esternalizzazione della gestione delle proprie entrate mediante affidamento del servizio di riscossione a mezzo ruolo, a una società per azioni. Dopo l’entrata in vigore della legge 248/2005, l’ente aveva preso atto del trasferimento da parte della società del ramo d'azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto dei comuni e del possesso in capo alla cessionaria del necessario requisito di iscrizione all'apposito albo e aveva affidato la gestione della riscossione volontaria e coattiva delle proprie entrate a quest'ultima. Successivamente, con la deliberazione consiliare era stato approvato il Regolamento per la disciplina generale delle entrate comunali, in cui era tra l'altro previsto che l'esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale dei tributi fosse riservato al funzionario responsabile di ciascun tributo, designato dalla Giunta comunale. In applicazione di tali disposizioni e in assenza di un'espressa deliberazione del Consiglio in ordine alla modifica della modalità di gestione del servizio di accertamento e riscossione con il passaggio al modello della gestione diretta, il funzionario responsabile del Servizio finanziario con determinazione aveva indetto una procedura di selezione per l'affidamento del servizio triennale di riscossione delle entrate comunali ad un soggetto terzo. Avverso tale decisione l’uscente concessionaria aveva proposto ricorso al Tar che lo aveva accolto. Il Comune ha quindi impugnato la pronuncia di fronte al Consiglio di Stato. L’articolo 3, comma 24, della legge 248/2005, nel riformare il sistema di riscossione dei tributi statali attraverso la creazione di una società a totale capitale pubblico (Riscossione s.p.a. in seguito denominata Equitalia s.p.a.), ha disciplinato il periodo transitorio prevedendo che “fino al momento dell'eventuale cessione (…) del proprio capitale sociale alla Riscossione s.p.a. (…) le aziende concessionarie possono trasferire ad altre società il ramo d'azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali, nonché a quelle di cui all'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446. In questo caso: a) fino al 31 dicembre 2010 ed in mancanza di diversa determinazione degli enti stessi, le predette attività sono gestite dalle società cessionarie del predetto ramo d'azienda, se queste ultime possiedono i requisiti per l'iscrizione all'albo di cui al medesimo articolo 53, comma uno, del decreto legislativo n. 446 del 1997, in presenza dei quali tale iscrizione avviene di diritto”. Alla stregua di tale disciplina transitoria, quindi, nel caso di trasferimento del ramo d'azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per gli enti locali o di scissione di una società già concessionaria del servizio di riscossione, le società cessionarie o risultanti da tale scissione societaria sono titolate ex lege alla prosecuzione diretta del rapporto concessorio con l'ente locale, salvo che quest'ultimo non adotti al riguardo una specifica “diversa determinazione”. Il Consiglio di Stato ha chiarito che la dizione “diversa determinazione” richiamata dalla norma debba esplicarsi in una delibera di natura regolamentare assunta dall'organo consiliare e non in un atto di carattere gestionale adottato da un suo organo burocratico, come sostenuto dal Comune. 39 Il termine “determinazione” usato dal legislatore ha una valenza oggettivamente neutra e, pertanto, non è di per sé dirimente. Con tale espressione vengono comunemente indicati sia gli atti propri degli organi burocratici dell'Ente comunale, sia quelli emessi dai suoi organi elettivi. L’articolo 42 del Tuel prevede la competenza consiliare relativamente all'adozione, tra gli altri, dei seguenti atti: “organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione” (lett. e); “appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nell'ordinaria amministrazione e funzione servizi di competenza della giunta del segretario o di altri funzionari” (lett. l). I magistrati amministrativi hanno inoltre richiamato un consolidato orientamento della giurisprudenza secondo cui la riscossione dei tributi locali costituisce svolgimento di un'attività di servizio pubblico (Cons. Stato, sez. V, sent. 3672/2005). In particolare, la decisione circa la modalità di gestione del servizio di riscossione delle entrate comunali, nonché la conseguente determinazione di indire una procedura negoziata per la scelta del soggetto incaricato del servizio stesso, costituiscono una scelta di organizzazione del servizio pubblico di riscossione che rientra nell'ambito di applicazione del comma 2, lett. e), dell’art. 42 del Tuel. Secondo il Consiglio di Stato, quindi, il provvedimento con cui sono state effettuate scelte organizzative del servizio avrebbe dovuto essere adottato dal Consiglio comunale e non dal Dirigente del settore finanziario, trattandosi di atto di natura regolamentare preordinato a fissare specifiche disposizioni organizzative dell'ente. _____________________________ Società: è lo statuto che determina se è qualificabile come in house e quindi assoggettata alla Corte dei Conti Corte di Cassazione, S.U. civili, sentenza 24 ottobre n. 22609 di Federica Caponi La verifica in ordine alla ricorrenza dei requisiti propri della società “in house”, da cui discende la giurisdizione della Corte dei Conti sui componenti degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio della società, deve essere realizzata in base alle previsioni contenute nello statuto in vigore al momento in cui è stata realizzata la condotta. La società in house, infatti, non è un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, ma una longa manus dello stesso, che ne dispone come di una propria articolazione interna. L’in house non può ritenersi terzo rispetto al Comune socio, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa. Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in commento, con la quale ha accolto il ricorso presentato dall’amministratore di una società per azioni, partecipata interamente da comuni, con funzioni di servizio pubblico, avverso la sentenza della prima sezione giurisdizionale della Corte dei Conti che lo aveva condannato al pagamento di euro 50.000 per il danno all'immagine della società 40 causato dall'accertamento di un delitto di corruzione ex art. 319 c.p., commesso in qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione. La Corte dei Conti aveva ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte dei Conti, in quanto la società sarebbe stata un vero e proprio organo dei comuni partecipanti, attraverso la quale essi perseguivano le loro finalità pubblicistiche, gestendo risorse pubbliche. Pertanto, la società avrebbe avuto un fine sostanzialmente pubblico, a tutela del quale può esercitarsi l'azione di responsabilità della Procura della Corte dei Conti. La Corte di Cassazione ha invece ritenuto insussistente la giurisdizione contabile, perché la società non rispetta i requisiti dell’in house. Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 26283/2013, avevano già chiarito che la Corte dei Conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità quando è diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house. Sono qualificabili come tali le società costituite da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che statutariamente esplichino la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici. La società può essere definita “in house” quando vi sia contemporaneamente il rispetto di tre requisiti: 1. il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni a privati; 2. la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l'eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; 3. la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità dì comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile (Cass. sent. 5491/2014). La presenza di tali condizioni fa si che la società non possa essere considerata un’entità al di fuori dell'ente pubblico, in quanto essa non è altro che una longa manus della p.a., al punto che l'affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte Cost. 46/2013). La società in house non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa. “L'uso del vocabolo società qui serve solo a significare che, ove manchino più specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario; ma di una società di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è più possibile parlare” (Cass. S.U. sent. 26283/2014). Le società in house hanno della società solo la forma esteriore, mentre in realtà costituiscono delle articolazioni della p.a. da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi. 41 Gli organi di tali società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla p.a., sono preposti ad una struttura corrispondente ad un'articolazione interna dell’ente pubblico socio, cui sono personalmente legati da un vero e proprio rapporto di servizio, come accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente pubblico. La verifica in ordine all’esistenza di tali condizioni deve essere svolta riguardo alle previsioni contenute nello statuto della società al momento in cui risale la condotta ipotizzata come illecita e non a quelle, eventualmente differenti, esistenti al momento in cui risulti proposta la domanda di responsabilità alla Corte dei Conti. Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto non sussistenti i requisiti dell’in house, in quanto dallo statuto vigente all’epoca dei fatti contestati emerge l'assenza: del primo requisito, relativo al capitale interamente pubblico, poiché è previsto che i soci fondatori, di diritto pubblico, dovessero detenere la maggioranza assoluta del capitale, restando possibile la sottoscrizione delle azioni ordinarie da parte di persone fisiche o giuridiche; della clausola dell’attività svolta prevalentemente in favore degli enti partecipanti, atteso che l'oggetto sociale prevede la possibilità di svolgere un vastissimo spettro di attività, non necessariamente riconducibili a servizi pubblici (quali ad esempio la commercializzazione di acque minerali e derivati) in proprio o per conto terzi - non meglio precisati - per il tramite di società controllate o collegate; di alcuna forma di controllo analogo a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici, in quanto l’unico controllo previsto è quello attribuito al Collegio sindacale in materia contabile. Alla luce di tali verifiche, la Corte ha ritenuto non sussistente il controllo della Corte dei Conti. _______________________________ Decreto PA: le novità di interesse per enti locali e società partecipate Legge 114/2014, di conversione del d.l. 90/2014 di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 190 del 18 agosto 2014 la legge 114/2014 di conversione del decreto-legge 90/2014 concernente “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”, in vigore dal 19 agosto 2014. Il provvedimento contiene rilevanti novità in materia di personale, società partecipate e appalti. Personale e società partecipate Articolo 1 - Disposizioni per il ricambio generazionale nelle p.a. La disposizione in commento abroga le disposizioni che consentivano il trattenimento in servizio dei dipendenti che avessero raggiunto i requisiti per il pensionamento. In particolare sono abrogati: 42 - l'art. 16 del D.Lgs. n. 503/1992, che prevedeva la possibilità per i dipendenti che avessero maturato i limiti di età per il collocamento a riposo di richiedere all’amministrazione di appartenenza la permanenza in servizio per un ulteriore biennio; - i commi 8, 9 e 10 dell'art. 72 del decreto legge n. 112/2008, che stabilivano la facoltà per le amministrazioni, sulla base dell'esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti e in funzione dell'efficiente andamento dei servizi, di accogliere l'istanza di trattenimento in servizio; - il comma 31 dell'art. 9 del decreto legge n. 78/2010, che aveva ulteriormente limitato l’istituto, riconducendo i trattenimenti in servizio nel contesto dei limiti alle facoltà assunzionali. I trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto (25 giugno 2014) sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore. I trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, tra cui rientrano gli enti locali, e non ancora efficaci alla data di entrata in vigore del presente decreto sono revocati. Fanno eccezione a quanto sopra indicato, al fine di salvaguardare la funzionalità degli uffici giudiziari, i trattenimenti in servizio dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari nonché degli avvocati dello Stato, i quali restano validi fino al 31 dicembre 2015 o alla loro scadenza se prevista in data anteriore. Dette disposizioni non trovano applicazione con riferimento ai richiami in servizio del personale militare di cui agli articoli 992 e 993 del d.lgs. 66/2010, fino al 31 dicembre 2015. E’ stato novellato il comma 11 dell’articolo 72 del d.l. 112/2008 il quale stabilisce che le p.a., con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l'accesso al pensionamento, come rideterminato a decorrere dal 1° gennaio 2012, dall'articolo 24, commi 10 e 12, del d.l. 201/2011, possono risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un'età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale ai sensi del citato comma 10 dell'articolo 24. Le disposizioni del presente comma non si applicano al personale di magistratura, ai professori universitari e ai responsabili di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale e si applicano, non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, ai dirigenti medici e del ruolo sanitario. Le medesime disposizioni del presente comma si applicano altresì ai soggetti che abbiano beneficiato dell'articolo 3, comma 57, della legge 350/2003 e s.m.i. ossia del prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego per un periodo corrispondente alla sospensione ingiustamente subita e al periodo di servizio non espletato per l'anticipato collocamento in quiescenza in pendenza di procedimento penale conclusosi con l’assoluzione. 43 Articolo 3 - Semplificazione e flessibilità nel turn over Per le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, le agenzie e gli enti pubblici non economici ivi compresi quelli di cui all'articolo 70, comma 4, del d.lgs. 165/2001, sono fissati i seguenti limiti di spesa alle nuove assunzioni a tempo indeterminato: anno 2014, pari al 20% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente anno 2015, pari al 40% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente anno 2016, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente anno 2017, pari all'80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente dall’anno 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente. Ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al comparto Scuola e alle Università si applica la normativa di settore. Per gli enti di ricerca, la cui spesa per il personale di ruolo del singolo ente non superi l'80% delle proprie entrate correnti complessive, come risultanti dal bilancio consuntivo dell'anno precedente, è possibile procedere ad assunzioni di personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel rispetto dei seguenti limiti di spesa: anno 2014 e 2015, pari al 50% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente. anno 2016, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente anno 2017 pari all'80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente dall’anno 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente. Dette assunzioni sono autorizzate con il decreto e le procedure di cui all'articolo 35, comma 4, del d.lgs. 165/2001, previa richiesta delle amministrazioni interessate, predisposta sulla base della programmazione del fabbisogno, corredata da analitica dimostrazione delle cessazioni avvenute nell'anno precedente e delle conseguenti economie e dall'individuazione delle unità da assumere e dei correlati oneri. Il Dipartimento della funzione pubblica e la Ragioneria generale dello Stato opereranno annualmente un monitoraggio sull'andamento delle assunzioni e dei livelli occupazionali che si determinano per effetto delle suddette disposizioni. Nel caso in cui dal monitoraggio si rilevino incrementi di spesa che possono compromettere gli obiettivi e gli equilibri di finanza pubblica, con apposito decreto saranno adottate misure correttive volte a neutralizzare l'incidenza del maturato economico del personale cessato nel calcolo delle economie da destinare alle assunzioni previste dal regime vigente. Per le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno, sono fissati i seguenti limiti di spesa alle nuove assunzioni a tempo indeterminato: 44 2014 e 2015, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nel 2013 e 2014; 2016 e 2017, pari al 80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nel 2015 e 2016; dal 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato dal 2017 in poi. Gli enti dovranno continuare a rispettare i vincoli previsti dall'articolo l, commi 557, 557-bis e 557-ter della legge 296/2006 (finanziaria 2007). A decorrere dal 2014 è consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale non superiore a tre anni (2011-2013), nel rispetto della programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile. L’articolo 76, comma 7, del d.l. 112/2008 è abrogato, pertanto, gli enti locali per effettuare nuove assunzioni non dovranno più verificare che l’incidenza della spesa di personale rispetto a quella di parte corrente sia inferiore al 50%. Inoltre, non dovrà più essere considerata a tal fine la spesa degli organismi partecipati. Le Regioni e enti locali dovranno coordinare le politiche assunzionali dei soggetti di cui all’articolo 18, comma 2-bis del citato d.l. 112/2008 (aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo) al fine di garantire anche per i medesimi soggetti una graduale riduzione della percentuale tra spese di personale e spese correnti, fermo restando quanto previsto dal medesimo articolo 18, comma 2-bis. Resta fermo il divieto di assunzioni a tempo determinato disposto per le province dall’articolo 16, comma 9, del d.l. 95/2012. E’ stato introdotto nella legge 296/2006 (legge finanziaria 2007) il comma 557-quater, il quale ha previsto che a decorrere dal 2014, per l’applicazione del comma 557 gli enti assicurano, nell'ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio precedente alla data di entrata in vigore della presente disposizione (2011-2013). Le regioni e gli enti locali applicano i principi di cui all'art. 4, comma 3, del d.l. 101/2013 secondo il quale l'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del D.Lgs. n. 165/2001, è subordinato alla verifica dell’esaurimento delle graduatorie, in particolare: a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate; b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1° gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza. Nel rispetto dei vincoli generali sulla spesa di personale, le regioni e gli enti locali (gli enti indicati al comma 5), la cui incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente sia pari o inferiore al 25%, possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, a decorrere dal 1° gennaio 2014, nel limite dell'80 per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell'anno precedente e nel limite del 100% a decorrere dall'anno 2015. 45 I limiti di cui al presente articolo non si applicano alle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette ai fini della copertura delle quote d'obbligo. I contratti di lavoro a tempo determinato delle province prorogati fino al 31 dicembre 2014, ai sensi dell'art. 4, comma 9, del d.l. 101/2013, possono essere ulteriormente prorogati, alle medesime finalità e condizioni, fino all'insediamento dei nuovi soggetti istituzionali, così come previsto dalla legge 56/2014. Dall'attuazione della suddetta disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Sono state introdotte modifiche all'articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010 (le più rilevanti sono indicate al successivo articolo 11) attraverso la previsione di una deroga ai limiti al ricorso al lavoro flessibile prevedendone la non applicabilità qualora il costo del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell’Unione europea. Nell’ipotesi di cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla sola quota finanziata da altri soggetti. Tale disposizione vale anche con riferimento ai lavori socialmente utili, ai lavori di pubblica utilità e ai cantieri di lavoro. Il rispetto degli adempimenti e delle prescrizioni di cui all’articolo 3 del decreto in commento da parte degli Enti locali deve essere certificato dai revisori dei conti nella relazione di accompagnamento alla delibera di approvazione del bilancio annuale dell’ente. In caso di mancato adempimento, il Prefetto presenta una relazione al Ministero dell’interno. Articolo 4 - Mobilità obbligatoria e volontaria La disposizione in commento ha novellato l'articolo 30 del d.lgs. 165/2001 prevedendo che “le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell'amministrazione di appartenenza”. Le amministrazioni fissano preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a 30 giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere. Il novellato articolo 30 ha stabilito ESCLUSIVAMENTE per il trasferimento tra le sedi centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali che ”in via sperimentale e fino all’introduzione di nuove procedure per la determinazione dei fabbisogni standard di personale non è richiesto l'assenso dell'amministrazione di appartenenza, la quale dispone il trasferimento entro due mesi dalla richiesta dell'amministrazione di destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore all'amministrazione di appartenenza”. Per agevolare le procedure di mobilità la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica istituisce un portale finalizzato all'incontro tra la domanda e l'offerta di mobilità. 46 L'amministrazione di destinazione provvede alla riqualificazione dei dipendenti la cui domanda di trasferimento sia accolta, eventualmente avvalendosi, ove sia necessario predisporre percorsi specifici o settoriali di formazione, della Scuola nazionale dell'amministrazione. Nell'ambito dei rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, i dipendenti possono essere trasferiti all'interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a 50 chilometri dalla sede cui sono adibiti. Ai fini del presente comma non si applica il terzo periodo del primo comma dell'art. 2103 del codice civile con la conseguenza che: - per attuare un trasferimento non è necessario che il provvedimento di trasferimento sia motivato da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”; - è eliminato il riferimento all'unità produttiva. Con decreto del ministero per la semplificazione e la pa. potranno essere fissati criteri per realizzare passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo accordo, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico. Tali disposizioni si applicano ai dipendenti con figli di età inferiore a tre anni, che hanno diritto al congedo parentale, e ai lavoratori che assistono persone con handicap in situazione di gravità ex articolo 33, comma 3, della legge 104/1992, con il consenso degli stessi alla prestazione della propria attività lavorativa in un'altra sede. Eventuali accordi, atti o clausole dei contratti collettivi in contrasto con tali nuovi vincoli sono nulli. E' stato abrogato l'articolo 1, comma 29, del d.l. 138/2011, che stabiliva che i dipendenti delle p.a. di cui all'articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, esclusi i magistrati, su richiesta del datore di lavoro, potevano essere obbligati a effettuare la prestazione in luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e produttive con riferimento ai piani della performance o ai piani di razionalizzazione, secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto. Dovrà essere adottato entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in commento (al massimo entro il 23 ottobre 2014) il decreto (ex art. 29-bis d.lgs. 165/2001) finalizzato alla definizione dell’equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi dei diversi comparti,. Decorso tale termine, la tabella di equiparazione sarà adottata con decreto del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Articolo 5 - Assegnazione di nuove mansioni La disposizione in commento ha modificato l'articolo 34 del d.lgs. 165/2001, concernente la gestione del personale in disponibilità. E’ stato introdotto il comma 3-bis che ha previsto l’obbligo di pubblicazione degli elenchi del personale in disponibilità sui siti istituzionali delle amministrazioni competenti. Il comma 4 è stato integrato con la previsione della possibilità per i lavoratori, nei sei mesi antecedenti la scadenza del periodo di collocamento in disponibilità, di 47 presentare istanza di ricollocazione, alle amministrazioni competenti alla tenuta degli elenchi, in deroga all'articolo 2103 del codice civile, nell'ambito dei posti vacanti in organico, anche in una qualifica inferiore o in posizione economica inferiore della stessa o di inferiore area o categoria di un solo livello per ciascuna delle suddette fattispecie, al fine di ampliare le occasioni di ricollocazione. In tal caso, la ricollocazione non potrà avvenire prima dei 30 giorni anteriori alla data di scadenza del termine di collocamento in disponibilità di cui all'articolo 33, comma 8. Il personale ricollocato non ha diritto all'indennità di cui all'articolo 33, comma 8 riconosciuta al personale collocato in disponibilità, e mantiene il diritto di essere successivamente ricollocato nella propria originaria qualifica e categoria di inquadramento, anche attraverso le procedure di mobilità volontaria di cui all'articolo 30 del d.lgs. 165/2001. In sede di contrattazione collettiva con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative possono essere stabiliti criteri generali per l'applicazione delle disposizioni relative alla procedura di ricollocazione. Il successivo comma 6 ha previsto per le p.a., che prevederanno nel programma triennale del personale, procedure concorsuali e nuove assunzioni a tempo indeterminato o determinato per un periodo superiore a 12 mesi, l’obbligo di verificare preliminarmente l’impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto nell'apposito elenco. I dipendenti iscritti negli elenchi potranno essere assegnati, nell'ambito dei posti vacanti in organico, in posizione di comando presso amministrazioni che ne facciano richiesta o presso quelle individuate dal Dipartimento della Funzione Pubblica ai sensi dell'articolo 34-bis, comma 5-bis. Gli stessi dipendenti potranno, altresì, avvalersi della disposizione di cui all'articolo 23bis che disciplina la mobilità tra pubblico e privato per dirigenti statali, diplomatici e magistrati. Durante il periodo in cui i dipendenti saranno utilizzati con rapporto di lavoro a tempo determinato o in posizione di comando presso altre amministrazioni pubbliche o si avvarranno dell'articolo 23-bis, il termine di 24 mesi per la percezione dell’80% della retribuzione di cui all'articolo 33 comma 8 resta sospeso e l'onere retributivo è a carico dall'amministrazione o dell'ente che utilizza il dipendente. E’ stato, infine, introdotto il comma 567-bis alla legge 147/2013 (legge di stabilità 2014), con la previsione del termine di 60 giorni per le procedure di ricollocazione, da parte dell’ente controllante o della società, del personale eccedentario nell’ambito della stessa società ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti strumentali. Inoltre, è stato previsto il termine di 90 giorni dall’avvio, per la conclusione degli accordi collettivi con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative finalizzati alla realizzazione di forme di trasferimento in mobilità dei dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo operanti anche al di fuori del territorio della regione ove hanno sede le società interessate da eccedenze di personale. Entro 15 giorni dalla conclusione delle suddette procedure, il personale potrà presentare istanza alla società di cui è dipendente o all'amministrazione controllante 48 per una ricollocazione, in via subordinata, in una qualifica inferiore nella stessa società o in altra società. Articolo 6 - Divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza E’ stata estesa la portata del divieto ex articolo 5, comma 9 del d.l. 95/2012 applicabile alle amministrazioni, di cui all’articolo 1 comma 2 del d.lgs. 165/2001 e per quelle inserite nel conto economico consolidato. Dette amministrazioni non possono conferire incarichi dirigenziali o direttivi o in organi di governo delle amministrazioni e degli enti e società da esse controllati ai soggetti già lavoratori, privati o pubblici, collocati in quiescenza. Tale divieto non si applica ai componenti delle giunte degli enti territoriali e ai componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del d.l. 101/2013 (ordini, collegi professionali e relativi organismi nazionali; enti aventi natura associativa). Incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno, non prorogabile ne' rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione interessata, devono essere rendicontati. Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell'ambito della propria autonomia. Tali modifiche trovano applicazione relativamente agli incarichi conferiti a decorrere dal 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto). Articolo 7 - Prerogative sindacali nelle p.a. Dal 1° settembre 2014 i contingenti complessivi dei distacchi, aspettative e permessi sindacali, già attribuiti al personale delle p.a. (ex artt. l, comma 2, e 3 d.lgs. 165/2001), sono ridotti del 50% per ciascuna associazione sindacale. Per ciascuna associazione sindacale, la rideterminazione dei distacchi è operata con arrotondamento delle eventuali frazioni all'unità superiore e non opera nei casi di assegnazione di un solo distacco. La ripartizione dei contingenti ridefiniti tra le associazioni sindacali può essere modificata con le procedure contrattuali e negoziali previste dai rispettivi ordinamenti. In tale ambito e' possibile definire, con invarianza di spesa, forme di utilizzo compensativo tra distacchi e permessi sindacali. In merito alle modalità applicative si segnala la Circolare della Funzione Pubblica n. 5 del 20 agosto 2014. Articolo 9 - Riforma degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici In sede di conversione la disposizione in commento è stata oggetto di integrale riformulazione. I compensi professionali corrisposti dalle p.a. di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo di cui all'articolo 23-ter del d.l. 201/2011 (il cui parametro massimo di 49 riferimento è individuato nel trattamento economico del primo Presidente della Corte di Cassazione). E’ stato abrogato il comma 457 dell’articolo l della legge 147/2013 e il comma 3 dell'articolo 21 del r.d. 1611/1933, ridefinendo la disciplina degli onorari per l’avvocatura pubblica. Secondo la nuova disciplina, nei casi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e in sede di contrattazione collettiva. La parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell’amministrazione. Un regime differente è previsto per gli avvocati e i procuratori dello Stato. I regolamenti e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro della puntualità negli adempimenti processuali. In tale sede devono inoltre essere disciplinati i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare possibilmente attraverso sistemi informatici, secondo princìpi di parità di trattamento e di specializzazione professionale. In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni (sentenze successive al 25 giugno 2014), e nei giudizi in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali, ai dipendenti sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013. In ogni caso a ciascun avvocato possono essere attribuiti compensi professionali globalmente non superiori al rispettivo trattamento economico complessivo. L’adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi deve avvenire entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione (19 novembre 2014). In assenza di adeguamento, a decorrere dal 1° gennaio 2015, non sarà possibile corrispondere compensi professionali ai legali interni. Articolo 10 - Abrogazione dei diritti di rogito del segretario comunale e provinciale e abrogazione della ripartizione del provento annuale dei diritti di segreteria La disposizione in commento ha abrogato i diritti di rogito riconosciuti al segretario comunale e provinciale (ex articolo 41, comma 4, legge 312/1980). Inoltre, è stato novellato l’articolo 30, comma 2, della legge 734/1973, stabilendo che i proventi annuali dei diritti di segreteria saranno attribuiti integralmente al comune o alla provincia. In sede di conversione sono stati introdotti i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater. Negli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una quota del provento annuale spettante al comune, é attribuita al segretario comunale rogante, in misura non superiore a 1/5 dello stipendio in godimento, per i seguenti atti: 1) Avvisi d'asta per alienazioni, locazioni, appalti di cose e di opere, concessioni di qualsiasi natura 50 2) Verbali relativi ai procedimenti degli incanti e delle licitazioni private riguardanti gli oggetti di cui al numero 1 3) Contratti relativi agli oggetti di cui al n. 1, anche se stipulati a seguito di licitazioni o trattativa privata e se vi sia intervento di terzi garantiti o cauzionanti 4) Scritturazione degli atti originali contemplati ai numeri 2 e 3 e per le copie degli atti estratti dall'archivio (Tabella D allegata alla legge 604/1962 e smi). Le norme di cui al presente articolo non si applicano per le quote già maturate alla data di entrata in vigore del presente decreto (25 giugno 2014). E’ stato modificato l'articolo 97, comma 4, lettera c), del Tuel: Il Segretario “roga, su richiesta dell'ente, i contratti nei quali l'ente é parte e autentica scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente”. La modifica ha previsto che l’attività rogatoria svolta dai segretari comunali e provinciali, quando richiesta dall’Amministrazione, è obbligatoria e non più facoltativa come nel testo previgente. Articolo 11 - Disposizioni sul personale delle regioni e degli enti locali E’ stato novellato il comma 1 dell’articolo 110 del Tuel. Gli enti locali dal 25 giugno 2014 possono prevedere, nel regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, avvenga mediante contratto a tempo determinato in misura non superiore al 30% dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e, comunque, per almeno n. 1 unità. Tali incarichi devono essere conferiti previa selezione pubblica volta ad accertare, in capo ai soggetti in possesso dei requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, la comprovata esperienza pluriennale e la specifica professionalità nelle materie oggetto dell'incarico. La legge di conversione ha ulteriormente modificato il comma 5 dell’articolo 110 Tuel, con estensione all’incarico di direttore generale, di cui all'articolo 108 Tuel, del trattamento previsto per i dipendenti delle p.a. con incarichi a tempo determinato di responsabile di servizio, in dotazione organica o extra dotazione (di cui ai commi 1 e 2), ossia il collocamento in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità di servizio. Nel testo originario, in vigore fino al 24 giugno 2014, era prevista la risoluzione del rapporto di pubblico impiego nel caso in cui il dipendente fosse stato incaricato ai sensi del comma 2 (disposizione disattesa nella maggior parte dei casi). In sede di conversione è stato nuovamente introdotto l’articolo 19, comma 6-quater, del d.lgs. 165/2001, che ha esteso la possibilità di conferire incarichi dirigenziali di prima e seconda fascia per gli enti di ricerca di cui all'articolo 8 del dpcm. 593/1993. Resta confermata l’abrogazione operata dal d.l. 90/2014 della disciplina precedentemente prevista per gli enti locali dal comma citato 6-quater. Per la dirigenza regionale e la dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, il limite dei posti di dotazione organica attribuibili tramite assunzioni a tempo determinato, nonché ai sensi di 51 disposizioni normative di settore riguardanti incarichi della medesima natura, previa selezione pubblica ai sensi dell'articolo 110, comma 1, del Tuel, è fissato nel 10%. E’ stato inserito il comma 3-bis all'articolo 90 del Tuel, utilizzando una “frase sibillina” che di fatto consente la possibilità di affidare incarichi di staff degli organi politici indipendentemente dal titolo di studio richiesto per l’inquadramento nella categoria contrattuale individuata. Il nuovo comma 3-bis stabilisce infatti “Resta fermo il divieto di effettuazione di attività gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale”. Pertanto, in modo quasi “mascherato” si stabilisce che: gli incarichi affidati ex art. 90 del tuel possono prevedere un compenso “parametrato a quello dirigenziale”, anche se l’incaricato non può svolgere attività gestionale, ma lo stipendio può essere di tale livello; l’inquadramento in una determinata categoria prevista dal ccnl. enti locali non rileva in quanto si possono affidare incarichi a chiunque, prevedendo stipendi anche molto elevati (nel rispetto comunque dei limiti di spesa ex art. 1, commi 557 e ss legge 296/2006 e/o ex art. 9, comma 28 d.l. 78/2010) senza preoccuparsi del titolo di studio posseduto dall’interessato. E’stato modificato l’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010 con la previsione secondo cui “Le limitazioni previste dal presente comma non si applicano agli enti locali in regola con l'obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente”. Pertanto, in base alla nuova disciplina del comma 28, gli enti locali, rispettosi dell’obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell’art. 1 della legge 296/2006 (Legge finanziaria 2007) potranno effettuare assunzioni a tempo determinato oltre il limite previsto del 50% della spesa utilizzata per le stesse finalità nell’anno 2009. Ai fini del rispetto dell’obbligo di riduzione della spesa sopra citato, la legge di conversione con l’introduzione del comma 557-quater alla legge 296/2006 ha previsto che ai fini dell’applicazione del comma 557, a decorrere dall’anno 2014 gli enti dovranno assicurare, nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio precedente la data di entrata in vigore della disposizione, ossia 2011-2013 All'articolo 16 del d.l. 138/2011, è stato aggiunto il comma 31-bis, con la previsione che restano escluse dal limite di cui al citato comma 557 le assunzioni a tempo determinato effettuate dai comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti per le sole spese di personale stagionale strettamente necessarie a garantire l’esercizio delle funzioni di polizia locale in ragione di motivate caratteristiche socio-economiche e territoriali connesse a significative presenze di turisti. Articolo 12 - Copertura assicurativa dei soggetti beneficiari difforme di integrazione e sostegno del reddito coinvolti in attività di volontariato a fini di utilità sociale Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha istituito, in via sperimentale per il biennio 2014-2015, un Fondo finalizzato a reintegrare l'INAIL dell'onere relativo alla copertura assicurativa in favore dei soggetti beneficiari di ammortizzatori e di altre 52 forme di integrazione e sostegno del reddito previste dalla normativa vigente, coinvolti in attività di volontariato a fini di utilità sociale in favore di Comuni o enti locali. Al fine di promuovere la prestazione di attività di volontariato da parte dei suddetti soggetti, i Comuni e gli altri enti locali interessati, promuovono le opportune iniziative informative e pubblicitarie finalizzate a rendere noti i progetti di utilità sociale in corso con le associazioni di volontariato. L'INPS, su richiesta di Comuni o degli altri enti locali, verifica la sussistenza del requisito soggettivo degli interessati alla prestazione di dette attività. Con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali saranno stabiliti modalità e criteri per la valorizzazione, ai fini della certificazione dei crediti formativi, dell'attività prestata per le predette finalità. Articolo 13 - Abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 92 del d.lgs. 163/2006, in materia di incentivi per la progettazione La disposizione in commento ha abrogato i commi 5 e 6 dell’art. 92 del d.Lgs. n. 163/2006, relativi agli incentivi per la progettazione al personale interno alle Amministrazioni. Articolo 13-bis Fondi per la progettazione e l’innovazione L’art. 13-bis, introdotto in sede di conversione del decreto legge, regola i fondi per la progettazione e l'innovazione, destinati in parte ad incentivare le attività connesse alla progettazione delle opere pubbliche svolte da personale interno all'Amministrazione, e in parte all'investimento in innovazione. La norma interviene sull’articolo 93 del d.lgs. 163/2006, al quale, dopo il comma 7, aggiunge i commi da 7-bis a 7-quinquies. Le amministrazioni pubbliche destinano al fondo per la progettazione e l’innovazione risorse finanziarie in misura non superiore al 2% degli importi posti a base di gara di ciascuna opera o lavoro. Un importo pari all’80% delle risorse finanziarie del fondo per la progettazione e l’innovazione è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, con le modalità e i criteri stabiliti nel regolamento adottato dall’Ente e previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa, tra il RUP e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori; gli importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione. Il regolamento deve stabilire: - la percentuale effettiva delle risorse finanziarie, entro il limite del 2%, in rapporto all’entità e alla complessità dell’opera da realizzare; - i criteri di riparto delle risorse del fondo, tenendo conto delle responsabilità connesse alle specifiche prestazioni da svolgere, con particolare riferimento a quelle effettivamente assunte e non rientranti nella qualifica funzionale ricoperta, della complessità delle opere, escludendo le attività manutentive, e dell’effettivo rispetto, in fase di realizzazione dell’opera, dei tempi e dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo; - i criteri e le modalità per la riduzione delle risorse finanziarie connesse alla singola opera o lavoro a fronte di eventuali incrementi dei tempi o dei costi 53 previsti dal quadro economico del progetto esecutivo, depurato del ribasso d’asta offerto. Non devono essere considerate ai fini della decurtazione i ritardi connessi alle varianti dovute (ex art. 132, comma 1, d.lgs. 163/2006) a: sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari (lett. a); cause impreviste e imprevedibili o per migliorie tecnologiche o di materiali (lett. b); eventi inerenti la natura dei beni (lett. c); cause geologiche, idriche e simili non previste. La corresponsione dell’incentivo è disposta dal dirigente o dal responsabile previo accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti (privi di qualifica dirigenziale) interessati. Ciascun dipendente non può percepire a titolo di incentivi, anche da parte di più amministrazioni, un importo superiore al 50% del trattamento economico complessivo annuo lordo. Le quote parti dell’incentivo che non possono essere erogate al personale, in quanto corrispondenti prestazioni affidate all'esterno costituiscono economie. In caso di mancata verifica da parte del dirigente o il responsabile del servizio, le corrispondenti risorse non possono essere erogate e costituiscono, di conseguenza, economie. Il restante 20% delle risorse finanziarie del fondo per la progettazione e l’innovazione è destinato a finanziare l'investimento in innovazione, attraverso l’acquisto di beni, strumentazioni e tecnologie funzionali a progetti di innovazione, di implementazione delle banche dati per il controllo e il miglioramento della capacità di spesa per centri di costo nonché all’ammodernamento e all’accrescimento dell’efficienza dell’ente e dei servizi ai cittadini. Gli organismi di diritto pubblico e le società partecipate [ex art. 32, comma 1, lett. b) e c)] possono adottare con proprio provvedimento criteri analoghi a quelli sopra indicati. Articolo 16 – Nomina dei dipendenti nelle società partecipate La disposizione in commento ha apportato alcune modifiche all’articolo 4, commi 4 e 5, del d.l. 95/2012 relativo alla composizione del Cda delle società. Anche la legge di conversione ha confermato l’eliminazione dell’obbligo di nominare dipendenti dell'amministrazione socia nei consigli di amministrazione delle società partecipate. Il novellato comma 4 disciplina le modalità di nomina dei consigli di amministrazione di società partecipate dagli enti pubblici (ex art. 1, comma 2 d.lgs. 165/2001), che abbiano conseguito nel 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di p.a. superiore al 90% dell'intero fatturato. La norma conferma che tali consigli non possono essere composti da più di tre membri nel rispetto dei vincoli in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi di cui al d.lgs. 39/2013. La legge di conversione ha imposto a tali organismi dal 1°gennaio 2015 di diminuire del 20% il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori, ivi compresa la 54 remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, rispetto al costo complessivamente sostenuto nel 2013. La norma consente ancora di poter nominare dipendenti dell'ente socio, stabilendo il “diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese documentate”, nel rispetto del limite di spesa dell’80% del 2013 e l’obbligo per i dipendenti nominati di riversare i relativi compensi all'ente datore di lavoro. E’ stato nuovamente novellato anche il comma 5, il quale stabilisce che i consigli di amministrazione delle società che nel 2011 hanno avuto un fatturato da prestazione di servizi a favore di p.a. inferiore o pari al 90% dell'intero fatturato possono essere composti da tre o da cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità delle attività svolte. Anche tali società devono ridurre del 20% il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, rispetto al costo complessivamente sostenuto nel 2013. Infine, anche per tali organismi è stato confermato che possono nominare dipendenti dell'ente socio, fatto salvo il “diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese documentate”, nel rispetto del limite di spesa dell’80% del 2013 e l’obbligo per i dipendenti nominati di riversare i relativi compensi all'ente datore di lavoro. Le nuove regole si applicano dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo al 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del d.l. 90/2014). Articolo 17, comma 4 - Ricognizione degli enti pubblici e unificazione delle banche dati delle società partecipale Tale disposizione prevede che, dal 1° gennaio 2015, il Ministero dell’economia e delle finanze debba acquisire le informazioni relative alle partecipazioni in società ed enti di diritto pubblico e di diritto privato, detenute direttamente o indirettamente dalle p.a. individuate dall'Istat ex lege 196/2009, attraverso: l’utilizzo di banche dati esistenti; la richiesta di comunicazioni da parte delle amministrazioni pubbliche ovvero da parte delle società da esse partecipate. Tali informazioni saranno rese disponibili nella banca dati delle p.a. di cui all'articolo 13 della legge 196/2009 (banca dati ISTAT). Entro il 17 novembre (90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 90/2014), il Ministro dell'economia e delle finanze dovrà adottare un decreto contenente le informazioni che le amministrazioni dovranno comunicare, nonché le modalità tecniche di attuazione. Sul sito istituzionale del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze e su quello del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sarà pubblicato l'elenco delle amministrazioni adempienti e di quelle non adempienti all'obbligo di comunicazione. _________________________ Società: i vincoli assunzionali a seguito della legge di conversione del d.l. 66/2014 Dal 24 giugno 2014 le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo devono attenersi al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale. 55 A tal fine, spetta all’ente controllante definire con proprio atto di indirizzo, tenuto anche conto dei propri divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, per ciascun organismo partecipato, specifici criteri e modalità di attuazione del principio di contenimento dei costi del personale, tenendo conto del settore in cui ciascun organismo opera. Questa la novità introdotta dalla legge di conversione del d.l. 66/2014 che ha inserito all’articolo 4 il comma 12-bis. Tale disposizione ha novellato nuovamente il comma 2-bis dell’articolo 18 del d.l. 112/2008 che, nella formulazione precedente, disponeva l’estensione automatica dei divieti e delle limitazioni alle assunzioni di personale previste dalla normativa vigente per le amministrazioni pubbliche anche in capo alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo. Allo stato attuale, pertanto, alle società da ultimo citate, i vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive trovano applicazione mediante la mediazione dell’ente controllante di riferimento. Le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo dovranno adottare tali indirizzi con propri provvedimenti e, laddove l’ente controllante disponga indicazioni in materia di contenimento degli oneri contrattuali, questi dovranno essere recepiti nella contrattazione di secondo livello adottata dalla società, fermo restando il contratto nazionale in vigore al 1º gennaio 2014. Per le società che gestiscono servizi pubblici locali, occorre però ricordare che l’art. 3bis del d.l. 138/2011, così come modificato dalla legge di stabilità 2014, ha stabilito che le stesse devono adottare, “con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del d.lgs. 165/2001, nonché i vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive stabiliti dall'ente locale controllante, ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis, del d.l. 112/2008”. Le società che gestiscono servizi pubblici a rilevanza economica, quindi, devono approvare un atto interno (anche avente natura di atto di indirizzo oppure quale atto integrativo del regolamento in cui sono disciplinate le procedure assunzionali e di affidamento di incarichi a professionisti esterni) in cui devono essere previsti criteri di contenimento della spesa di personale ed eventuali limitazioni per le nuove assunzioni stabiliti dagli enti pubblici soci. Atto necessario e propedeutico affinché le società si dotino di atti di programmazione per il contenimento dei costi del personale è l’atto di indirizzo dell’ente socio. A seguito dell’approvazione di tale atto del socio pubblico, le società in house potranno adottare atti di pianificazione e programmazione del personale adeguati a darne attuazione. Le società dovranno inoltre approvare un atto organizzativo, in cui dovranno essere indicate le risorse umane necessarie, sia da un punto di vista quantitativo, che qualitativo, per l’erogazione dei servizi affidati in quel momento. A tal proposito, appare utile richiamare quanto precisato dalla Corte dei Conti, sez. contr. Veneto, nella deliberazione 212/2012, ai fini di fornire concrete indicazioni alle società per l’attuazione di tale vincolo. 56 I magistrati contabili hanno chiarito che in relazione alle disposizioni finalizzate al rispetto di principi giuslavoristici che prevedono dei necessari adempimenti, deve essere realizzata dagli organismi interessati: la valutazione periodica, almeno triennale della consistenza ed eventuale variazione delle dotazioni organiche, previa verifica degli effettivi fabbisogni; la programmazione triennale del fabbisogno di personale, in linea con gli strumenti di programmazione economico-finanziaria pluriennale. Difatti quest’ultimo nell'esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo dovrà stabilire le modalità con cui verranno applicati i citati vincoli, modalità che verranno adottate con propri provvedimenti. ______________________________ Le società pubbliche possono fallire Tribunale Pescara, Decreto 14 gennaio 2014 di Federica Caponi Una società di capitali, partecipata della p.a., non muta la propria natura di diritto privato solo perché gli enti pubblici ne posseggono le azioni, la stessa infatti opera nell'esercizio della propria autonomia negoziale. Il contemperamento fra tutela dei creditori e necessità di un’efficiente gestione del servizio non consente l’applicazione di istituti di privilegio, tipicamente previsti per enti pubblici, come l’esenzione dal fallimento. Pertanto, una società di capitali, di cui un comune detenga la maggioranza del capitale può essere ammessa al concordato fallimentare come una qualsiasi altra società. Questo il principio sancito dal Tribunale di Pescara, nel Decreto 14 gennaio 2014, con cui ha ammesso al concordato una società, a maggioranza pubblica, che svolgeva servizi a favore dello stesso socio pubblico. Il Tribunale ha preliminarmente chiarito alcuni elementi in ordine alla tematica della fallibilità delle società a partecipazione pubblica, ricordando che si sono contrapposte due impostazioni di fondo, volte rispettivamente ad affermare e a negare la soggezione a procedure concorsuali di tali società. Una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene possibile estendere l’applicazione del comma 1 dell’articolo 1 della legge fallimentare. Una primo orientamento ha aderito alla tradizionale teoria degli indici sintomatici della pubblicità, in forza della quale la qualificazione, ai fini della disciplina applicabile, in senso privatistico o pubblicistico, di un ente, pur formalmente definito società per azioni, va operata caso per caso, dando prevalenza alla sostanza sulla forma e avendo riguardo al carattere strumentale o meno dell'ente societario rispetto al perseguimento di finalità pubblicistiche e all'esistenza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario. Pertanto, l’applicazione analogica del citato articolo 1 ad un ente formalmente privato avviene sulla base di una riqualificazione pubblicistica operata in via interpretativa, secondo i c.d. indici esteriori sintomatici della pubblicità, individuati, ad esempio nella costituzione ad iniziativa pubblica, nella nomina o designazione pubblica degli organi, nello scioglimento ad iniziativa pubblica, nella sottoposizione ad amministrazione 57 straordinaria, nel controllo pubblico sul bilancio preventivo e sul conto consuntivo, o sullo statuto, nel finanziamento pubblico e nella titolarità dell'ente di potestà pubblicistiche. Tale interpretazione si scontra con il principio stabilito dalla legge 70/1975, che, nel prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge, richiede che la qualità di ente pubblico, se non attribuita da una espressa disposizione di legge, debba desumersi da un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco. La seconda impostazione ritiene applicabili le disposizioni di diritto pubblico, qualora espressamente previste, e di diritto privato, in assenza di diverse previsioni, quando non vi sia ragione di derogare ad esse in considerazione degli interessi protetti. In questa prospettiva, l'esenzione dal fallimento viene considerata una norma posta a garanzia della continuità di una determinata funzione, come tale suscettibile di applicazione analogica nei confronti di società per azioni, allorquando queste ultime siano destinate allo svolgimento di attività che abbiano rilievo pubblicistico. Tale posizione presuppone una lacuna nell'ordinamento che comporterebbe la “necessità di tutelare l'interesse pubblico mediante l'esenzione dal fallimento”. L’applicazione della procedura fallimentare potrebbe comportare la lesione di interessi meritevoli di tutela, in tutti i casi in cui l'esistenza della società sia considerata necessaria dall'ente territoriale di riferimento. La necessità viene ancorata al dato dell'erogazione di un servizio pubblico essenziale, rispetto al quale, se intervenisse la dichiarazione di fallimento, si avrebbe un'inammissibile, sostituzione dell'autorità giudiziaria ordinaria a quella amministrativa nell'esercizio di poteri e facoltà di carattere pubblicistico, quali la decisione in ordine alla continuità o meno nella gestione del servizio. Si sostiene che la procedura fallimentare lederebbe interessi pubblici, ponendo problemi di compatibilità con i principi costituzionali che regolano l'agire amministrativo. Tale interpretazione, però, potrebbe prospettare l’esclusione dal fallimento anche per soggetti privati che erogano, ad esempio in forza di una concessione, un servizio pubblico. Per quanto riguarda le società in house, qualunque sia l'indirizzo interpretativo che si intenda seguire in ordine alla qualificabilità di una società quale ente pubblico, alcuna conseguenza ne deriverebbe rispetto all'applicazione della legge fallimentare. La natura del rapporto funzionale con l'ente proprietario non si riflette nei rapporti con i terzi, né sulla disciplina normativa applicabile all'organizzazione societaria, che rimane quella ordinaria stabilita dal codice civile. Questo è vero anche nel caso in cui la società sia interamente partecipata da soci pubblici e in quanto tale debba essere considerata espressione organica dell'ente pubblico. Il Tribunale ha chiarito che le società di capitali con partecipazione pubblica non mutano la loro natura di soggetto di diritto privato solo perché vi sono soci pubblici che ne posseggono le azioni. Non assume rilievo la persona dell'azionista, dato che tale società, quale persona giuridica privata, opera nell'esercizio della propria autonomia negoziale e gli strumenti utilizzati per regolare il rapporto tra società ed ente locale non possono essere quelli 58 autoritativi di diritto pubblico, ma l'ente può avvalersi unicamente degli strumenti propri del diritto societario. La legge non prevede “alcuna apprezzabile deviazione, rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, per le società miste incaricate della gestione di servizi pubblici istituiti dall'ente locale. La posizione del Comune all'interno della società è unicamente quella di socio di maggioranza, derivante dalla prevalenza del capitale da esso conferito; e soltanto in tale veste l'ente pubblico potrà influire sul funzionamento della società avvalendosi non già dei poteri pubblicistici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società” (Corte Cass., sez. civ., sent. 7799/2005). Pertanto, il contemperamento fra la tutela dei creditori e la necessità di un’efficiente gestione del servizio non ammette l’applicazione di istituti di privilegio che operano sul piano dell'attività, quale l’esenzione dal fallimento. Alla luce delle considerazioni evidenziate, il Tribunale di Pescara ha ritenuto che, in base alla concreta situazione patrimoniale e finanziaria emergente dalla documentazione contabile, fosse opportuno disporre la nomina di un commissario giudiziale, fissando un termine per il deposito della proposta di concordato preventivo, del piano e della documentazione richiesta dalla legge fallimentare o di una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione. ___________________________ Il consigliere non può accedere agli atti della partecipata in piccola quota I Consiglieri non hanno diritto di accedere agli atti di una società mista, se il Comune possiede una limitata quota del capitale sociale. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 4403 del 4 settembre 2013. Nel caso di specie un consigliere comunale aveva chiesto di accedere agli atti di una società partecipata dal Comune, accesso negato dalla società e successivamente accolto dal Tar. La società ha proposto appello al consiglio di Stato ritenendo, tra l’altro, non ammissibile l’accesso non potendo essere assoggettata a controllo da parte del Comune a fronte dell’esigua partecipazione in essa detenuta. Il consiglio di Stato ha accolto il ricorso della società sulla base dell’interpretazione dell’articolo 43 Tuel che riferisce il diritto di accesso dei consiglieri comunali agli atti e documenti delle aziende ed enti dipendenti dal Comune, nonché dello statuto comunale che prevedeva tale diritto solo nei confronti di società di cui il Comune doveva avere il controllo. _____________________________ Società pubbliche: se svolgono attività d’impresa non sono soggette alla Corte dei Conti Corte dei conti, III sez. giur. centrale d'appello, sent. 546/2013 di Federica Caponi Se la società controllata da un ente pubblico svolge attività commerciale, d’impresa, non è assoggettata alla giurisdizione della Corte dei Conti. 59 La giurisdizione della Corte dei Conti infatti sussiste per responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica, quando sia ravvisabile contemporaneamente l’intero capitale pubblico, la società operi per statuto in via esclusiva o prevalente in favore dell’ente socio e vi sia un reale controllo analogo da parte dell’ente pubblico o una forma di direzione e controllo sulla gestione societaria da parte della p.a. Questo il principio sancito dalla Corte dei Conti, sezione III giurisdizionale d’appello nella sentenza in commento, con la quale ha dichiarato la competenza del giudice ordinario in merito ad una società che svolge attività economica sul mercato, benché il capitale sia interamente pubblico. Nel caso di specie, la Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Lazio aveva condannato i membri del consiglio di amministrazione di una società a totale partecipazione pubblica, sottoposta a poteri di vigilanza del Ministero dei beni culturali in quanto aveva ritenuto tali soggetti responsabili del danno cagionato alla società a causa della costituzione di una società per azioni di gestione del risparmio (SGR), istituita con finalità di associare capitale privato. Il carattere pubblicistico della società, secondo la Corte sarebbe dimostrato dal capitale interamente pubblico e dallo statuto, che prevedeva poteri incisivi di direttiva e di indirizzo riconosciuti al Ministero quale socio unico, tra cui il fatto che la società è totalmente finanziata con danaro pubblico, è inserita funzionalmente nell'ambito delle politiche statali nel settore di riferimento ed è assoggettata a poteri di vigilanza da parte del Ministero che nomina i componenti degli organi societari. I consiglieri di amministrazione hanno rilevato che il danno contestato si sostanzierebbe in una diminuzione diretta del patrimonio della società per azioni con capitale totalmente pubblico (e non invece in un pregiudizio per l’erario) e che, di conseguenza, andrebbe esclusa la giurisdizione della Corte dei Conti secondo quanto statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 26806/2009. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti quando non sussiste tra la società e l’ente socio un rapporto di servizio, né un danno direttamente arrecato alla p.a. Sussiste invece la giurisdizione dei magistrati contabili quando il rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere ha colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero sono stati realizzati comportamenti tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o quando si sia realizzato direttamente un danno al patrimonio pubblico. E’ escluso che sussista un idoneo collegamento, per radicare la giurisdizione contabile nei confronti degli amministratori di una società per azioni, per il solo fatto che vi sia la totale o maggioritaria partecipazione societaria dell'ente pubblico, mentre è necessario verificare se la società sia “un soggetto non solo formalmente, ma anche sostanzialmente privato” (giurisdizione del giudice ordinario) o, invece, rappresenti un “mero modello organizzatorio utilizzato dalla p.a. al fine di perseguire le proprie finalità” (Cass. SS.UU. sent. 10063/2011). 60 La giurisdizione della Corte dei Conti sussiste anche in ragione della natura sostanzialmente pubblica delle società e della loro “specialità” ravvisabile in uno specifico e differenziato statuto giuridico o, ancora, in una specifica disposizione legislativa che prevede, come oggetto sociale esclusivo della società per azioni, la produzione di beni e servizi strumentali all'attività delle amministrazioni (regionali e locali). In merito al caso di specie, la Corte dei Conti ha ritenuto non sussistente la propria competenza in quanto la società, nonostante sia totalmente a partecipazione pubblica e assoggettata a un pregnante controllo da parte della p.a.: a) non opera “in via esclusiva o prevalente in favore dell'ente pubblico socio; b) non svolge attività “amministrativa”; c) svolge attività di impresa, commerciale vera e propria, improntata a parametri di concorrenza non astratta (in quanto riferibile ad un segmento di mercato) e di economicità. Inoltre, il danno contestato agli amministratori della società è stato individuato nel pregiudizio sofferto dalla stessa e non dalla p.a. socia, come conseguenza di una fallimentare iniziativa. Infine, la società avendo creato una nuova società di gestione del risparmio, ha realizzato sostanzialmente attività di impresa, certamente non qualificabile come attività amministrativa. La Corte dei Conti ha così chiarito che in merito all’accertamento della responsabilità degli amministratori per i danni cagionati alla società pubblica in ragione di scelte imprenditoriali connesse alla creazione di una società per la gestione del risparmio, spetta al giudice ordinario. _____________________________ Scioglimento consorzio e personale: non è automatico il reinserimento negli organici della p.a. Corte dei Conti, sez. controllo Piemonte, deliberazione. 295/2013 di Federica Caponi In caso di messa in liquidazione di un organismo partecipato, per il personale trasferito dall’ente pubblico socio l’obbligo di riassunzione da parte della p.a. di provenienza sussiste in caso di rispetto dei vincoli assunzioni, di regolamentazione al momento del trasferimento del reintegro nel ruolo del comune e di reinternalizzazione dei servizi e delle attività precedentemente esternalizzate. A tal fine, inoltre, è necessario che l’ente pubblico abbia una carenza organica nei ruoli e per le funzioni di competenza dei dipendenti già trasferiti presso l’organismo esterno, la disponibilità di risorse economiche per sostenere gli oneri connessi al reinquadramento, e che intenda procedere alla copertura dei posti scoperti mediante la riammissione dei dipendenti, i quali devono essere inquadrati nella medesima posizione giuridico – economica rivestita anteriormente al trasferimento. Questi i principi ribaditi dalla Corte dei Conti, sezione controllo del Piemonte, con la deliberazione 295/2013, con cui ha risposto alla richiesta di chiarimenti di un ente che intendeva sciogliere un consorzio di cui faceva parte unitamente ad altri due comuni. 61 In particolare, l’ente aveva chiesto se era possibile derogare ai vincoli in tema di spesa di personale (riduzione tendenziale della spesa ex art. 1, comma 557, legge 296/2006; incidenza della spesa di personale sulla spesa corrente ex art. 76 del d.l. 112/2008) a seguito del riassorbimento da parte dell’ente del personale dipendente dal consorzio. I magistrati contabili hanno chiarito che la disciplina vincolistica in materia di spesa di personale deve essere riferita non solo al singolo ente locale, ma anche a tutte quelle forme di cooperazione e di esternalizzazione, che tendono a disarticolarne l’unità in più centri giuridici (di diritto pubblico o privato), dotati di propria soggettività e competenze, su cui l’ente, tuttavia, mantiene il controllo gestionale dall’esterno, quali le unioni di comuni, ma anche i consorzi e le società interamente partecipate o controllate dall’ente locale. Pertanto, la spesa di personale deve essere valutata in senso sostanziale, sommando alla spesa di personale propria di ciascun comune la quota parte di quella sostenuta da un organismo partecipato, ancorché questo sia formalmente un soggetto terzo, secondo un principio valevole per tutte le forme di esternalizzazione. In caso di trasferimento di personale, a qualsiasi titolo, fra comuni e le varie tipologie di organismi partecipati, in entrambe le direzioni, si deve tenere conto della somma complessiva delle spese, calcolata sommando i dati degli enti locali che costituiscono l’ente terzo e quelli di quest’ultimo soggetto. La Corte ha ricordato infatti che attraverso l’utilizzo da parte degli enti locali di tali forme organizzative non devono essere attuate operazioni elusive dei vincoli posti dal legislatore. Il dato relativo alla spesa per il personale transitato alla società partecipata (o all’unione, al consorzio, etc.) e ritrasferito ad un ente partecipante, pertanto, deve essere consolidato al dato della spesa del comune presso il quale fa rientro. Tale modalità di calcolo deve essere attuata anche per individuare le spese di personale sostenute nell’esercizio precedente, imputabili al comune, quale parametro di riferimento per l’applicazione dell’obbligo di riduzione tendenziale della spesa ex art. 1, comma 557, della legge 296/2006. La spesa di personale degli organismi partecipati, dovendo essere conteggiata in quella complessiva per il personale dei comuni, nell’annualità in cui si verifica il rientro dei dipendenti, soggiace ai parametri di contenimento previsti dalla legge al momento della riassunzione negli enti di provenienza e alle relative conseguenze in caso di violazione. In merito al reinserimento nell’organico dell’ente locale dei dipendenti a seguito della reinternalizzazione di un servizio, già svolto da un soggetto esterno, i magistrati contabili del Piemonte hanno richiamato quanto chiarito dalle Sezioni riunite con la deliberazione 8/2010, che hanno definito alcune condizioni necessarie. In particolare, nella citata delibera, i magistrati contabili hanno precisato che i requisiti che consentono il reinserimento di personale negli organici delle p.a. sono i seguenti: la persistenza di una carenza organica nei ruoli e per le funzioni di competenza dei dipendenti già trasferiti presso l’organismo esterno; la disponibilità di risorse economiche per sostenere gli oneri connessi al reinquadramento; l’espressa volontà dell’amministrazione di procedere alla copertura dei posti scoperti mediante la riammissione dei dipendenti; 62 l’inquadramento dei dipendenti nella medesima posizione giuridico – economica rivestita anteriormente al trasferimento. Infine, la Corte dei Conti del Piemonte, ha ricordato che in caso di soppressione dei consorzi di funzione [ex art. 2, comma 186, lett. e), legge 191/2009] sono fatti salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti, con assunzione da parte dei comuni delle funzioni già esercitate dai consorzi soppressi e delle relative risorse e con successione dei comuni agli stessi consorzi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto. In base al citato comma 186, tutto il personale del consorzio ha diritto al mantenimento dell’impiego e in sede di scioglimento dell’organo associativo, i comuni devono accordarsi in ordine al trasferimento di tutto il personale e, in particolare, all’individuazione degli enti di destinazione di ciascun dipendente. In ogni caso, i magistrati contabili del Piemonte hanno chiarito che i merito al riassorbimento di personale proveniente da un consorzio disciolto i relativi trasferimenti dovranno sottostare alle regole generali che disciplinano la materia e, in particolare, a quelle finanziario-contabili in materia di contenimento delle spese di personale. Per quanto riguarda il personale delle società in house, l’ente locale, in caso di reinternalizzazione di servizi precedentemente affidati a soggetti esterni, non può derogare alle norme introdotte dal legislatore statale in materia di contenimento della spesa, trattandosi di disposizioni, di natura cogente, che rispondono a imprescindibili esigenze di riequilibrio della finanza pubblica per ragioni di coordinamento finanziario, connesse ad obiettivi nazionali ancorati al rispetto di rigidi obblighi comunitari (Corte dei Conti, sez. riunite, del. 26/2012). 63 2/2/2016 Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea Stampa Chiudi 02 Feb 2016 Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea di Federica Caponi L'ente locale che ha deliberato la dismissione di una partecipata senza essere riuscito a vendere le quote, ha diritto a essere liquidato dalla società, ma la decisione deve essere discussa dall'assemblea della società, che dovrà adottare misure idonee a garantirne l'attuazione. Il legislatore ha disciplinato una forma di liquidazione peculiare rispetto ai presupposti stabiliti nel Codice civile per il recesso, introducendo un'ipotesi speciale valida solo per le società partecipate da enti pubblici, disciplinata dal comma 569 della legge 147/2013, ulteriore rispetto a quelle ordinarie contemplate dall'articolo 2437 del Codice civile; ma le decisioni assunte dall'ente pubblico non vincolano automaticamente la società, essendo rimessa all'assemblea della partecipata la valutazione sulle modalità attuative più idonee della decisione espressa dal socio. La vicenda Questi gli interessanti chiarimenti forniti dalla Corte dei conti, sezione di controllo Friuli Venezia Giulia, nella deliberazione 158/2015 (su cui si veda anche Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 25 gennaio), con cui ha risposto a una società in house, interamente controllata da enti pubblici territoriali; uno degli enti partecipanti, per reperire risorse finanziarie per ripristinare i propri equilibri di bilancio, aveva manifestato l'intenzione di dismettere una parte delle azioni in suo possesso. In particolare, la società aveva chiesto se era obbligata a liquidare la quota dell'ente socio, che non aveva trovato un acquirente terzo, o se fosse possibile a fronte di legittime e oggettive ragioni opporsi alla richiesta, anche per evitare la riduzione delle partecipazioni dei soci a mere quote simboliche, utili solo al mantenimento dell'affidamento in house. Le regole «speciali» La problematica sottoposta ai magistrati contabili riguarda l'acquisizione di quote sociali dismesse da un ente partecipante al capitale di una società in house, materia che è stata oggetto di numerosi interventi legislativi negli ultimi anni, oltre che dello schema del decreto attuativo della legge 124/2015, appena approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri. L'articolo 2357 del Codice civile stabilisce che «la società non può acquistare azioni proprie se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato. (…) L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea, la quale ne fissa le modalità, indicando in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non superiore ai diciotto mesi, per la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo». Nel caso delle società pubbliche, però, questa disciplina, vincolante per le società di diritto comune, è integrata da un'ulteriore serie di previsioni. Per ridurre il peso delle partecipazioni societarie degli enti locali, il legislatore ha previsto che, una volta che l'ente pubblico socio abbia qualificato come non più strettamente indispensabile la http://www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/print/ABPzOD6/0 1/2 2/2/2016 Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea presenza nel capitale di società estranee alle proprie finalità istituzionali, se per qualsiasi causa non sia riuscito a dismetterle, possa farsi liquidare dalla società il valore del suo investimento ex articolo 2437­ter, comma 2, del Codice civile. In base al rinvio a questa disposizione, il socio pubblico ha diritto alla liquidazione delle azioni secondo un valore determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni. In base a quanto previsto dall'articolo 2437­ter, comma 5, i soci hanno diritto di conoscere la determinazione del valore di liquidazione e a presentare eventuali contestazioni. La disciplina introdotta dal comma 569 non può essere completamente assimilata al recesso codicistico, ma secondo i magistrati contabili è corretta una lettura più ampia, individuando in essa un'ipotesi di recesso sui generis, conseguente alla mancata individuazione di un acquirente. L'intento del legislatore, infatti, con la previsione del comma 569, è proprio quello di superare le difficoltà di cessione a terzi. Il passaggio in assemblea «Quando è ammesso il recesso, infatti, la liquidazione è certa, trattandosi di un diritto del socio riconosciuto e regolato dal Codice civile, e viene conseguita indipendentemente dalla composizione sociale e dalla quota detenuta – altrimenti verrebbe vanificato ­ l'obiettivo fissato dal legislatore e in definitiva costringerebbe l'ente pubblico a rimanere associato a un rischio di impresa che non corrisponde più alle proprie finalità istituzionali. Di conseguenza, il recesso appare come l'elemento che riporta in equilibrio la procedura di abbandono delle partecipazioni azionarie non strategiche», come chiarito anche dal Tar Brescia con la sentenza 1305/2015. La Corte dei conti ha però rilevato che un aspetto problematico della normativa è costituito dall'assemblea dei soci, cui compete l'approvazione del provvedimento di cessazione della partecipazione societaria. La natura discrezionale della scelta di strategicità, che appartiene all'ente pubblico partecipante al capitale, non "elimina" o riduce il ruolo dell'assemblea dei soci, che deve essere convocata per formalizzare la decisione, facendola recepire agli altri soci, e definirne le modalità attuative. L'assemblea potrà eventualmente individuare forme alternative al recesso dell'ente pubblico, procedendo (ad esempio) al riacquisto di azioni proprie, qualora ricorrano le condizioni previste dall'articolo 2357 del Codice civile (acquisto esclusivamente di azioni interamente liberate nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato) o disporre misure diverse. I magistrati contabili hanno infine precisato che in coerenza con le generali regole in tema di giurisdizione, la società potrebbe anche contestare la dismissione e gli altri soci potrebbero eventualmente rivolgersi al giudice competente territorialmente e per materia con riguardo a vizi eventualmente ravvisati nella regolarità del procedimento di dismissione. P.I. 00777910159 ­ Copyright Il Sole 24 Ore ­ All rights reserved http://www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/print/ABPzOD6/0 2/2 L'agenzia regionale non può assorbire il personale della società in house 1 di 2 http://www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/print/ABoGIYU/0 Stampa Chiudi 11 Feb 2015 di Federica Caponi È illegittima costituzionalmente la legge regionale che sopprime una propria società in house e, assegnando le funzioni a un'agenzia regionale, dispone il trasferimento del personale della partecipata alla costituenda agenzia regionale. Non conta che la neo-costituita agenzia regionale, cui sono state affidate tutte le funzioni che prima erano della società in house, abbia la necessità di risorse umane per operare. Non è possibile disattendere il principio del concorso pubblico, perché tale fattispecie non configura una peculiare e straordinaria esigenza di interesse pubblico. La decisione Questo il principio sancito dalla Corte costituzionale nella sentenza 7/2015, con la quale ha dichiarato illegittimo l'articolo 13, comma 3 della legge della Regione autonoma Sardegna 15 gennaio 2014, n. 4, concernente «Istituzione dell'Agenzia regionale per la bonifica e l'esercizio delle attività residuali delle aree minerarie dismesse o in via di dismissione – Arbam» La norma in questione disponeva il trasferimento del personale a tempo indeterminato della società in house della Regione, contestualmente soppressa, alla neocostituita agenzia regionale per la bonifica e l'esercizio delle attività residuali delle aree minerarie dismesse o in via di dismissione. La Presidenza del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale per violazione degli articoli 97 e 117 della Costituzione. Le motivazioni La Corte ha ribadito che il pubblico concorso è forma generale e ordinaria di reclutamento del personale della pubblica amministrazione, cui si può derogare solo in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico, che devono essere funzionali al buon andamento dell'amministrazione. Il principio del pubblico concorso ad esempio non è incompatibile, nella logica dell'agevolazione del buon andamento della Pa, con la previsione per legge di condizioni di accesso che consentano il consolidamento di pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione, ma non è ammissibile, salvo circostanze del tutto eccezionali, la riserva integrale dei posti disponibili in favore di personale interno. La Corte ha più volte ritenuto illegittimo il mancato ricorso al concorso pubblico in relazione a norme regionali di generale ed automatico reinquadramento del personale di enti di diritto privato nei ruoli di regioni o enti pubblici regionali, «perché un simile trasferimento si risolve in un privilegio indebito per i soggetti beneficiari di un siffatto meccanismo», in violazione dell'articolo 97 Cost. (sentenza 134/2014). Il caso Secondo i magistrati costituzionali, anche nel caso in cui vi sia il passaggio di attività da uno a un altro soggetto, con conseguente trasferimento anche del personale addetto consente di prescindere dal concorso e dall'esigenza di pari condizioni di accesso di tutti i cittadini e di selezione dei migliori. In tal caso, infatti, la prosecuzione del rapporto di lavoro con una p.a. non può che risolversi nell'insorgenza di un rapporto di impiego pubblico alle dipendenze di quest'ultima. La corte ha rilevato che è legittima la deroga al pubblico concorso quando lo 11/02/2015 16:02 L'agenzia regionale non può assorbire il personale della società in house 2 di 2 http://www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/print/ABoGIYU/0 scostarsi da tale principio «si riveli maggiormente funzionale al buon andamento dell'amministrazione e ricorrano straordinarie esigenze d'interesse pubblico». I giudici della consulta hanno però ritenuto che la necessità della neo-costituita agenzia di garantire l'immediata operatività, essendole state assegnate le stesse funzioni della soppressa società in house, con la conseguente, primaria esigenza di dotarsi di personale idoneo, non costituisce valido motivo per disattendere il principio del concorso pubblico, non potendo qualificarsi tale condizione come una «peculiare e straordinaria esigenza di interesse pubblico». Le conseguenze La pronuncia della Corte si ritiene dovrebbe imporre alcune riflessioni se consideriamo che: • le società in house da diversi anni devono assumere nuovo personale nel rispetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 3 del d.lgs. 165/2001 (ex art. 18, d.l. 112/2008), ma formalmente sia ha pubblico concorso solo quando la selezione è svolta da una Pa in senso stretto; • le società sono considerate, ormai di fatto, pubbliche amministrazioni, non rilevando nella maggioranza dei casi la loro natura di soggetti privati se non in rarissime "eccezioni"; • si dovrebbe aprire presto il tema della razionalizzazione e riorganizzazione di tali organismi e la problematica del personale costituisce un aspetto rilevantissimo, anche alla luce della crisi economica. P.I. 00777910159 - Copyright Il Sole 24 Ore - All rights reserved 11/02/2015 16:02 Il Sole 24 Ore del Lunedì http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola... NORME E TRIBUTI Il Sole 24 Ore lunedì 26 GENNAIO 2015 Giurisdizione. Competenza del giudice ordinario e non del Tar L’atto del presidente di una provincia che dispone la revoca dell’amministratore di una società interamente partecipata dall’ente non è un atto amministrativo in quanto la fattispecie difetta del potere pubblicistico. Pertanto, in caso di controversia è competente solo il giudice ordinario, al quale è rimessa la verifica della vicenda e anche quella dell’eventuale profilo risarcitorio. L’atto è addirittura inesistente come atto amministrativo. È questo il principio sancito dal Tar Calabria, sezione di Reggio Calabria, che, nella sentenza 4 del 15 gennaio scorso, ha dichiarato il difetto di giurisdizione e la competenza del giudice ordinario. Al Tar si era rivolto l’ex amministratore di una società, interamente partecipata da una provincia, che aveva impugnato il decreto con il quale il presidente dell’ente locale lo aveva revocato dalla carica. L’interessato aveva anche proposto domanda risarcitoria per ottenere la condanna dell’amministrazione provinciale al ristoro di tutti i pregiudizi patrimoniali (individuati nell’ammontare dei compensi non percepiti a causa della revoca anticipata, ritenuta illegittima) e non patrimoniali. Il Tar ha chiarito che tra le società a capitale interamente pubblico devono differenziarsi quelle che svolgono attività di impresa da quelle che esercitano attività amministrativa. Le prime sono assoggettate, in linea di principio, allo statuto privatistico dell’imprenditore, le seconde soggiacciono allo statuto pubblicistico della pubblica amministrazione. Per stabilire quando ricorre la prima o la seconda fattispecie occorre aver riguardo: alle modalità di costituzione; alla fase dell’organizzazione; alla natura dell’attività svolta e al fine perseguito. Il che significa applicare il principio sancito dalla sentenza 326/2008 della Corte costituzionale, la quale ha distinto tra attività amministrativa in forma privatistica e attività di impresa di enti pubblici. I giudici amministrativi, relativamente al caso esaminato, hanno precisato che: ?la società è stata costituita per iniziativa della provincia, che è socio totalitario al 100 per cento; ?l’organo amministrativo, a regime, è composto da un consiglio di amministrazione di tre membri, dei quali uno nominato dal socio unico, gli altri due nominati dal consiglio provinciale, uno per la maggioranza e uno per la minoranza a maggioranza semplice e con votazione separata; ?la società ha a oggetto una serie di molteplici attività anche di natura economica; ?il finanziamento dell’ente, oltre che dal capitale sociale ovvero dai finanziamenti del socio unico, viene ritratto dai proventi e dagli introiti derivanti dall’esercizio delle attività conferite secondo una logica corrispettiva; ?nello statuto non è disciplinata espressamente la revoca dell’organo amministrativo. Alla luce di queste considerazioni, dall’analisi delle scritture contabili e del bilancio la società ha natura privatistica, nonostante abbia un’indubbia caratterizzazione pubblicistica. La società è qualificabile, secondo i giudici amministrativi, come un organismo esercente attività di impresa, seppur di rilievo pubblicistico. Pertanto, la società per quanto riguarda gli istituti della nomina e della revoca degli amministratori è assoggettata al diritto societario, alle prescrizioni statutarie e alle disposizioni organizzative derivanti dall’applicazione delle regole di diritto privato. Secondo il Tar, quindi, il presidente della Provincia difettava di un potere pubblicistico di revoca e il ricorrente è titolare di un diritto soggettivo dinanzi all’esercizio di una revoca (privatistica) di competenza del giudice ordinario, al quale spetta anche la verifica in merito al conseguente ed eventuale risarcimento. Manca infatti una norma che riconosca questo potere a una Pa; quindi, più che di nullità dell’atto, dovrebbe parlarsi di inesistenza dello stesso come atto autoritativo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Federica Caponi 1 di 1 09/02/2015 11:26 ..................... FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. In primo piano .................................................................................................. ............................................................................................................................................................................................................................. Aziende speciali e assunzioni di personale Competenza del giudice amministrativo in caso di nuove assunzioni di Federica Caponi Consulente di enti locali ............................................................................................................................................................................................................................. L’azienda speciale è una forma peculiare di articolazione del comune di riferimento, quindi, in caso di nuove assunzioni vige il principio del concorso pubblico, tramite procedure in tutto e per tutto assimilabili alle procedure selettive dell’ente pubblico. Pertanto, il regime giuridico pubblico, che deve essere rispettato in caso di nuove assunzioni effettuate dagli organismi partecipati, impone il rispetto del principio di imparzialità amministrativa, e non la logica imprenditoriale, determinando la competenza del Giudice amministrativo Premessa Le aziende speciali, cosı̀ come le società in house, possono essere considerate enti che rappresentano delle vere e proprie articolazioni della p.a., atteso che gli organi di queste sono assoggettate a vincoli gerarchici facenti capo all’ente locale di riferimento. Pertanto, i dipendenti di tali organismi sono legati al comune da un rapporto di servizio come avviene per i dirigenti preposti ai servizi direttamente erogati dall’ente pubblico. L’art. 7, comma 2, del c.p.a. stabilisce espressamente che ‘‘Per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti a esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo’’, quindi, tale norma è già di per sé idonea a radicare la giurisdizione del G.A. in relazione ad atti di soggetti che, pur avendo una natura privatistica, come nel caso delle aziende speciali e degli enti pubblici economici in generale, sono tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo. Questo il principio sancito dal Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza n. 820 del 20 febbraio 2014, con la quale ha accolto il ricorso presentato da una dipendente di un’azienda speciale avverso il provvedimento di approvazione degli atti della selezione comparativa per la scelta del direttore generale dell’azienda. Il Tar, in primo grado, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in favore del giudice ordinario. Secondo il Tribunale, sarebbero di competenza del giudice ordinario le controversie relative al rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici economici, tra cui sono annoverabili anche le aziende speciali. Gli interessati avrebbero dovuto adire il giudice del lavoro anche in caso di procedura concorsuale, in quanto la discrezionalità di un ente pubblico economico che permea la fase selettiva non è espressione di una potestà pubblica di autorganizzazione, ma sempre esercizio di capacità e poteri di matrice privatistica. Pertanto, vi sarebbe la competenza del giudice ordinario sia sotto il profilo del rispetto delle disposizioni normative e contrattuali, che sotto quello dell’osservanza dei principi generali di correttezza, di tutela dell’affidamento legittimo e di divieto dell’abuso del diritto. Tale pronuncia è stata impugnata di fronte al Consiglio di Stato. I giudici amministrativi hanno chiarito che le aziende speciali in quanto enti strumentali del comune, devono essere considerate alla stregua di una p.a. Inoltre, ai sensi dell’art. 1, comma 1-ter, della legge n. 241/1990, ulteriormente rafforzato dalla legge n. 190/2012, ‘‘I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1’’, ovvero dei principi del procedimento amministrativo. 6/2014 ................ ........................ 323 ..................... FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. In primo piano .................................................................................................. L’azienda speciale, quindi, anche se qualificabile formalmente come soggetto privato, in quanto preposta (anche) all’esercizio di attività amministrative, è un organismo assoggettato al rispetto di tali principi. Le peculiarità dell’azienda speciale L’azienda speciale è qualificabile come ente pubblico economico e in quanto tale è vincolata, oltre all’iscrizione nel registro delle imprese, alla disciplina di diritto privato per quanto attiene al profilo dell’impresa e per i rapporti di lavoro dei dipendenti (come confermato anche dalla Corte di cassazione, sez. un., sentenza n. 12654/1997 e dal Tar Liguria, sez. II, sentenza n. 272/1995). I contratti collettivi di lavoro non sono quelli del settore pubblico, ma quelli stabiliti dalle parti in riferimento al settore merceologico di appartenenza. La giurisprudenza amministrativa ha escluso anche che i dipendenti di un’azienda speciale possano invocare l’applicazione del testo unico sul pubblico impiego, in quanto gli enti pubblici economici non rientrano nella nozione di amministrazione pubblica (Cons. Stato, sez. V, n. 641/2012). L’azienda speciale, inoltre operando come una qualsiasi impresa commerciale, soggiace al regime fiscale proprio delle società di diritto privato e, quindi, è soggetto passivo di imposta distinto dall’ente locale, ai fini del pagamento di Iva, Ires e Irap (Cass., sez. V, sent. n. 7906/2005). Tale organismo però, in quanto ente strumentale del comune, è un elemento del sistema ‘‘ente locale’’, che nel proprio agire deve conciliare il rispetto dell’autonomia decisionale che, in astratto, consente all’azienda speciale stessa di effettuare scelte di tipo imprenditoriale, e l’essere sostanzialmente parte della p.a. I connotati caratteristici dell’azienda speciale, come espressamente previsto dall’art. 114 del Tuel, sono la strumentalità, la personalità giuridica e l’autonomia imprenditoriale. L’attribuzione alle aziende speciali della personalità giuridica e dell’autonomia imprenditoriale rappresenta, indubbiamente, il punto di arrivo di un lungo processo normativo teso ad avvicinare sempre più le aziende al modello organizzativo dell’ente pubblico economico. In sostanza, la personalità giuridica, l’autonomia imprenditoriale e la strumentalità dell’azienda speciale, rispetto all’ente locale conferente, evidenziano come la scelta del legislatore sia ricaduta, per quanto attiene al modello astratto di gestione, senza dubbio sul cd. ‘‘modello aziendale’’ rispetto al più arcaico sistema delle ‘‘municipalizzate’’. ........................ ................ 324 6/2014 L’azienda speciale, quindi, non è più vista come un organo di esecuzione delle determinazioni dell’ente locale, ma è un’impresa retta da principi pubblicistici alla quale si applica, sostanzialmente, la disciplina del Codice civile. Non vi è alcun dubbio in ordine all’ascrivibilità delle aziende speciali alla categoria degli enti pubblici economici. A tal proposito, è necessario ricordare infatti che sono enti pubblici quegli organismi: — la cui personalità giuridica è riconosciuta direttamente dalla legge, secondo norme di diritto pubblico; — diversi dallo Stato; — strumentali alla p.a. di riferimento che svolge attraverso questi la propria funzione amministrativa; — idonei a essere titolari di poteri amministrativi; — svolgono una funzione di pubblico interesse. Si ricorda che secondo quanto chiarito dall’Istituto nazionale di statistica (Istat), nella ‘‘Classificazione delle forme giuridiche delle unità legali’’, che ha classificato le forme giuridiche disciplinate dal diritto privato e dal diritto pubblico (1) in 16 divisioni e 62 classi, attribuendo a ciascun organismo un codice a quattro cifre, dove la prima cifra individua la sezione, la seconda la divisione e le ultime due la classe, le aziende speciali sono state inserite nella sezione 1.6 - Ente pubblico economico, azienda speciale e azienda pubblica di servizi (2). Per quanto riguarda le aziende speciali, in dottrina e in giurisprudenza, negli anni si è consolidato l’orientamento secondo il quale queste sono ‘‘enti che, operando nel campo della produzione di beni e servizi e svolgendo attività prevalentemente o esclusivamente economiche, informano la propria attività al criterio della obiettiva economicità, intesa Note: (1) Le fonti giuridiche prese in considerazione per la realizzazione della classificazione sono la Costituzione della Repubblica, il Codice civile e la legislazione speciale. Inoltre, per cogliere alcuni fenomeni non riconducibili alle forme giuridiche tipiche l’Istat ha fatto riferimento alla giurisprudenza. (2) 1.6.10 - Ente pubblico economico Gli enti pubblici economici pur essendo regolati da norme di legge, possiedono un accentuato grado di autonomia finanziaria patrimoniale amministrativa e contabile: personalità giuridica e patrimonio proprio, propri organi di gestione e controllo, bilanci propri (ma vi era anche un controllo esterno, contabile e di gestione, affidato alla Corte dei conti). 1.6.20 - L’azienda speciale è ai sensi dell’art. 114 del D.Lgs. n. 267/2000. È un ente di gestione di pubblici servizi locali, dotato di autonomia imprenditoriale nonché statutaria. Tale modalità di gestione è stata prevista quando lo svolgimento dei servizi pubblici locali implica un’attività imprenditoriale caratterizzata dalla snellezza, managerialità. Rappresenta una delle forme con cui gli enti locali possono provvedere alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali. ..................... FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. In primo piano .................................................................................................. quest’ultima come necessità minima di copertura dei costi dei fattori di produzione attraverso i ricavi’’ (Cass., sez. unite, sent. 15 dicembre 1997, n. 12654; Cass. sez. unite, sent. n. 7639/2008). È principio consolidato in giurisprudenza che ‘‘non è l’oggetto dell’attività che determina il discrimine tra ente pubblico non economico, ente pubblico economico e azienda speciale, ma la struttura giuridica e il modo in cui l’ente esercita la propria attività’’ (Cass. sez. unite, sent. n. 15661/2006). A riprova della qualità di ente pubblico economico, l’art. 114 comma 4 del Tuel statuisce che l’azienda ha l’obbligo del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i trasferimenti. Strumentalità La qualificazione dell’azienda speciale quale ente strumentale dell’ente locale rivela l’esistenza di un collegamento inscindibile tra l’azienda e il comune. Il principio di strumentalità dell’attività di gestione deve essere inteso come identificazione dello scopo sociale nella cura degli interessi della comunità locale, perseguibili attraverso l’attività di gestione funzionalmente svolta dall’azienda nei settori dei servizi pubblici per i quali la stessa è stata costituita (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 4586/2001). L’ente locale ‘‘si serve’’ dell’azienda speciale per lo svolgimento di un servizio e, quindi, per soddisfare un’esigenza della collettività. In quest’ottica, spetta all’ente locale esclusivamente la fase ‘‘politica’’ della determinazione degli obiettivi e della vigilanza sul perseguimento e raggiungimento di questi. La strumentalità dell’azienda speciale e il regime normativo vigente in materia pretendono, in definitiva, un collegamento molto saldo, seppur di natura ‘‘funzionale’’, tra l’attività dell’azienda e le esigenze della collettività stanziata sul territorio dell’ente che l’ha costituita. I vincoli che legano l’azienda speciale al comune sono pertanto molto stretti sia sul piano della formazione degli organi, che su quella degli indirizzi, dei controlli e della vigilanza, da farla ritenere ‘‘elemento del sistema amministrativo facente capo allo stesso ente territoriale’’ (Corte cost., sent. n. 28/1996). Personalità giuridica L’attribuzione della personalità giuridica, ai sensi del citato art. 114 del Tuel, rende l’azienda speciale un soggetto a sé stante rispetto all’ente locale di riferimento che l’ha costituita. L’azienda dunque non è più un organo dell’ente locale a legittimazione separata, come era l’azienda municipalizzata prevista dal R.D. n. 2578/1925. L’attribuzione della personalità giuridica però non ha mutato la natura pubblica e non ha trasformato l’azienda in un soggetto privato, ma l’ha solo configurata come un nuovo centro di imputazione di situazioni e rapporti giuridici, distinto dal comune, con una propria autonomia decisionale. Tale riconoscimento ha reso necessario che l’azienda effettui autonome scelte di tipo imprenditoriale e organizzative, connesse ai fattori della produzione, secondo modelli propri dell’impresa privata, compatibilmente però con i fini sociali dell’ente titolare, per il conseguimento di un maggiore grado di efficacia, efficienza e economicità del servizio. L’azienda speciale è soggetto istituzionalmente dipendente dall’ente locale ed è legata a questo da stretti vincoli (sul piano della formazione degli organi, degli indirizzi, dei controlli e della vigilanza), al punto da farla ritenere un elemento del sistema amministrativo facente capo allo stesso ente territoriale, ovvero, pur con l’accentuata autonomia derivante dall’attribuzione della personalità giuridica, anche parte dell’apparato amministrativo del comune (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4850/2000; sent. n. 2735/2000; sent. 4586/2001; Corte cost., sent. n. 28/1996). Il riconoscimento della personalità giuridica all’azienda speciale comporta, oltre l’iscrizione nel registro delle imprese, alla sua assoggettabilità al regime fiscale proprio delle aziende private (Cons. Stato, sez. III, sent. 18 maggio 1993, n. 405) e alla disciplina di diritto privato per quanto attiene al profilo dell’impresa e per i rapporti di lavoro dei dipendenti (Tribunale di Milano, sez. lavoro, sent. n. 4776/2011; Tribunale di Ragusa, sez. lavoro, sent. n. 711/2013; Tar Liguria, sez. II, sent. 24 maggio 1995, n. 272). Autonomia imprenditoriale Con il riconoscimento dell’autonomia imprenditoriale il legislatore ha voluto evidenziare che l’azienda non deve essere vista come un organo di esecuzione delle determinazioni dell’ente locale, ma come un’impresa alla quale si applica, salvo eccezioni, la disciplina del Codice civile. La capacità imprenditoriale non va oltre tali confini, anzi subisce restrizioni. È sufficiente a rilevarlo il fatto che spetta al comune la fissazione delle tariffe dei servizi prodotti dall’azienda speciale. L’azienda speciale, comunque anche nella sua nuova configurazione, resta un soggetto pubblico e la 6/2014 ................ ........................ 325 ..................... FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. In primo piano .................................................................................................. sua azione è regolata dal diritto pubblico e si esprime con atti amministrativi autoritativi. Per l’azienda speciale, come per tutti i soggetti pubblici, anche la negoziazione privatistica è regolata da procedure di diritto pubblico, da atti amministrativi e deliberazioni, attraverso i quali si concretizza in forma procedimentale la volontà dell’ente che precede la conclusione del negozio (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4850/2000 e sez. V, sent. n. 2735/2000). Il patrimonio delle aziende speciali è sottoposto al regime della proprietà privata e il rapporto di lavoro con i dipendenti rientra nella contrattazione collettiva di diritto privato. L’economicità della gestione, non riconducibile a un fine di lucro, pretende come per tutti gli enti economici la copertura dei costi corrispondenti alla remunerazione dei fattori della produzione impiegati. L’autonomia imprenditoriale esclude che gli enti locali possano sostituirsi alle aziende nelle scelte di espletamento dei servizi loro affidati, fatta eccezione per i poteri di indirizzo, controllo e vigilanza riconosciuti all’ente di appartenenza, che ne approva il bilancio e tutti gli atti fondamentali. Vincoli e limiti L’azienda speciale deve informare la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità e ha l’obbligo del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i trasferimenti. Nell’ambito della legge, l’ordinamento e il funzionamento delle aziende speciali è disciplinato dallo statuto e dai regolamenti. Dal 2013, le aziende speciali e le istituzioni devono iscriversi e depositare i propri bilanci al registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economico-amministrative della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura del proprio territorio entro il 31 maggio di ciascun anno. Le aziende speciali inoltre devono rispettare le disposizioni del D.Lgs. n. 163/2006 e le disposizioni che stabiliscono, a carico degli enti locali di riferimento, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenza anche degli amministratori, oltre agli obblighi e limiti alla partecipazione societaria degli enti locali. Spetta agli enti locali conferenti vigilare sull’osservanza di tali vincoli e prevedere eventuali deroghe a favore delle aziende che gestiscono servizi socioassistenziali ed educativi, servizi scolastici e per l’infanzia, culturali e farmacie. ........................ ................ 326 6/2014 Inoltre, tutte le aziende speciali, in quanto enti strumentali dell’ente locale, sono assoggettate a un vincolo di territorialità per quanto riguarda la possibilità di svolgere attività a favore di enti diversi rispetto a quello di appartenenza. Tale limite sussiste nel caso in cui l’azienda intenda acquisire direttamente l’affidamento di uno o più servizi da parte di un soggetto diverso dall’ente conferente. L’art. 5 del D.P.R. n. 902/1986 ha previsto che ‘‘il comune può deliberare (...) l’estensione dell’attività della propria azienda di servizi al territorio di altri enti locali, previa intesa con i medesimi, sulla base di preventivi d’impianto e d’esercizio formulati dall’azienda stessa. Con lo stesso atto deliberativo è approvato lo schema di convenzione per la disciplina del servizio e per la regolazione dei conseguenti rapporti economico-finanziari, fermo restando che nessun onere aggiuntivo dovrà gravare sull’ente gestore del servizio’’. A tal proposito, è necessario ricordare che il Consiglio di Stato, in numerose sentenze (tra cui, n. 6325/2004; n. 4586/2001; n. 475/1998) ha chiarito che l’estensione dell’attività delle aziende speciali al di fuori del territorio dell’ente che le ha costituite, richiede il rispetto delle regole procedimentali e dei limiti sostanziali posti dalle norme positive e presuppone l’interesse della collettività dell’ente confinante. La giurisprudenza infatti ha ribadito più volte che l’azienda speciale può svolgere attività esclusivamente per l’ente locale di riferimento. Nel caso in cui il comune sottoscriva accordi con altri enti confinanti per lo svolgimento di servizi di interesse per i propri cittadini, gestiti dall’azienda speciale, è possibile, previo accordo tra gli enti, che l’azienda sia affidataria da parte del proprio comune, dello svolgimento delle attività anche a favore dei cittadini degli enti aderenti all’accordo. La giurisprudenza ha infatti da sempre richiesto un collegamento funzionale tra il servizio eccedente l’ambito locale e le necessità della collettività locale (3). L’azienda speciale di un comune, infatti, ‘‘può anNota: (3) Il Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 23 aprile 1998, n. 475, ha chiarito che l’estensione dell’attività delle aziende speciali comunali al di fuori del territorio dell’ente locale che le ha costituite presuppone comunque un collegamento funzionale - che non può essere ridotto al puro dato dell’interesse imprenditoriale - tra il servizio eccedente l’ambito locale e le necessità della collettività locale. Tale collegamento funzionale sussiste, ad esempio, nel caso dell’integrazione funzionale della propria attività con quella del comune confinante, sicché vengono in tal modo soddisfatte anche le esigenze della collettività stanziata sul territorio dell’ente che l’ha costituita. ..................... FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. In primo piano .................................................................................................. che estendere il proprio servizio in un altro comune, ma a patto che ciò realizzi un’integrazione funzionale della propria attività con quella del comune vicino’’. L’azienda speciale, quindi, può esercitare attività al di fuori del territorio dell’ente costituente sulla base di specifiche convenzioni tra enti locali, nell’ambito delle quali i comuni possono disporre l’affidamento di taluni servizi all’azienda speciale. Il Consiglio di Stato ha precisato che tali limiti e possibilità per le aziende speciali derivano dall’elemento della strumentalità e sono le stesse norme a indicare il nesso eziologico che necessariamente deve sussistere tra le funzioni, che è chiamata ad assolvere l’azienda, quale ente strumentale del comune che l’ha costituita, e la tutela degli interessi di cui sono portatori i cittadini residenti nel comune stesso. L’azienda pertanto può realizzare la propria attività verso l’esterno, oltre la stretta dimensione locale dell’ente di riferimento, solo nei casi e con le modalità previste dalle speciali disposizioni in tema di convenzioni (ed eventualmente di consorzi), ai sensi degli artt. 30 e 31 del Tuel e dell’art. 5 del D.P.R. n. 902/1986 (4). Al contrario, al di fuori degli speciali moduli convenzionali e consorziali tra enti locali previsti dalle norme di legge e regolamentari, le aziende speciali non sono legittimate a partecipare alle gare per l’appalto di pubblici servizi da svolgersi presso altri enti locali (5), in concorrenza con altri soggetti privati e alla stregua di una qualsiasi impresa operante sul mercato. L’eventuale convenzione sottoscritta tra gli enti locali dovrà disciplinare le modalità attuative e i rapporti economici tra gli enti. Una tale scelta organizzativa potrà essere adottata dal comune tramite delibera del consiglio comunale che, oltre ad approvare lo schema convenzionale, potrà disporre l’affidamento del servizio alla propria azienda speciale. Le procedure assunzionali Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento (6), ha chiarito che le procedure selettive per l’assunzione di dipendenti di un’azienda speciale, considerato che questa è qualificabile come una p.a. per la quale vige il principio del concorso pubblico, sono in tutto e per tutto assimilabili alle procedure concorsuali di un ente locale, di cui l’azienda speciale è ente strumentale. Il Consiglio di Stato ha ricordato che per pubbliche amministrazioni, secondo il Codice amministrativo, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo. Inoltre, l’art. 1, comma 1-ter, della legge n. 241/ 1990 stabilisce che ‘‘i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1’’, pertanto, secondo i giudici amministrativi ‘‘è altrettanto indubbio che un’azienda speciale, anche se qualificabile come soggetto privato, è preposto (anche) all’esercizio di attività amministrative’’. Sotto il profilo sostanziale, le aziende speciali, cosı̀ come le società in house, come di recente affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza 25 novembre 2013, n. 26283, ribadito con ordinanza 2 dicembre 2013, n. 26936), possono essere considerate come enti che rappresentano delle vere e proprie articolazioni della p.a. Gli organi di tali organismi sono assoggettati a vincoli gerarchici nei confronti delle p.a., i cui componenti sono legati a quest’ultima da un rapporto di servizio, come avviene per i dirigenti preposti ai servizi direttamente erogati dall’ente pubblico (per le aziende speciali, qualificate espressamente quali enti strumentali dei comuni, Cass., sez. un. civili, sent. n. 14101/2006). Gli organismi controllati dalle p.a., tra cui rientrano le aziende speciali, altro non sono che forme peculiari di articolazione della stessa p.a. Pertanto, anche per quanto riguarda le procedure assunzionali poste in essere dalle aziende speciali, in quanto hanno la stessa natura delle procedure selettive per l’assunzione dei dipendenti pubblici, è competente il giudice amministrativo. Infine, è necessario ricordare che l’art. 18 del D.L. n. 112/2008, modificato dalla legge n. 147/2013 Note: (4) Il Consiglio di Stato, sez. V, n. 2360 del 27 aprile 2010, ha chiarito che un comune può legittimamente avvalersi dell’azienda speciale di altro comune per la gestione di un proprio servizio, a seguito di convenzione stipulata nel contesto della normativa di cui al D.P.R. n. 902/1986, in quanto, sulla base del combinato disposto dell’art. 5 del D.P.R. n. 902 cit. e dell’art. 24 della legge n. 142/ 1990, può delinearsi un modello procedimentale tipizzato (conclusione di un’intesa disciplinante aspetti predeterminati, deliberazione con maggioranza qualificata dell’estensione dell’attività dell’azienda speciale al territorio dell’altro ente locale) per l’adozione di una formula organizzatoria alternativa alla conclusione di contratti con imprese in concorrenza tra loro. Rispetto a tale modulo convenzionale rimane interdetta anche l’applicazione della disciplina comunitaria in tema di procedure di appalto, posta a tutela del mercato e della concorrenza (Riforma della sentenza del Tar Lombardia - Milano, sez. III, n. 1905/ 1997). In tal senso, Tar Lazio Roma, sez. II, sent. n. 11799/2006. (5) Il Tar Sicilia, Palermo, sez. II, con la sentenza n. 331/2005 ha ribadito che un’azienda speciale non può partecipare a una gara per l’affidamento della gestione di un servizio pubblico al di fuori del proprio territorio, tranne che nei casi di avvenuta stipula di apposite convenzioni. (6) Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 820/2014. 6/2014 ................ ........................ 327 ..................... FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. In primo piano .................................................................................................. (legge stabilità 2014) ha previsto che gli organismi che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, sono obbligati a dotarsi, mediante ‘‘propri provvedimenti’’, di criteri e modalità per il reclutamento del personale conformi ai principi richiamati dall’art. 35, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001 in materia di reclutamento del personale. Il legislatore ha inteso introdurre, a carico di tali enti vincoli di trasparenza, imparzialità, pubblicità ed economicità in particolare per il reclutamento del personale che l’art. 97 della Costituzione impone per le p.a. e gli enti pubblici strettamente intesi. ........................ ................ 328 6/2014 Tale nuova attenzione posta dal legislatore rende dunque obsoleto e non più condivisibile l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza amministrativa fino ad ora, secondo cui ‘‘appartengono alla cognizione del giudice ordinario le controversie relative al rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici economici, anche se inerenti alla procedura concorsuale che precede la costituzione del suddetto rapporto, in quanto la discrezionalità che permea la fase concorsuale non è espressione di una potestà pubblica di autorganizzazione ma esercizio di capacità e poteri di matrice privatistica’’. ..................... FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Servizi .................................................................................................. ............................................................................................................................................................................................................................. Reperimento risorse per interventi in ambito culturale e sociale Il comune non può costituire una fondazione per ricerca di finanziamenti di Federica Caponi Consulente di enti locali ............................................................................................................................................................................................................................. Non è legittima la costituzione di una fondazione da parte di un comune per il reperimento e la gestione di risorse per attivazione di interventi nel campo della cultura, della solidarietà sociale e del turismo. Tale ‘‘scopo’’ istitutivo è qualificabile come attività di raccolta e di gestione di provvista finanziaria per la realizzazione di politiche di carattere sociale, di diretto interesse comunale, ma data la strumentalità della fondazione rispetto all’ente locale, questa incasserebbe somme in entrata al di fuori delle garanzie e delle procedure prescritte dall’ordinamento, in quanto fattispecie gestionale di carattere atipico Premessa Un comune si è rivolto alla sezione di controllo della Corte dei conti della Sardegna per sapere se sia legittima la costituzione di una fondazione per la raccolta di risorse finanziarie (consistenti in liberalità, donazioni e similari da parte di enti e privati cittadini), per la loro successiva gestione/destinazione da parte della stessa fondazione in favore di specifici eventi culturali e di solidarietà sociale nel territorio del comune. Il comune ha anche precisato che in favore della fondazione avrebbe concesso l’utilizzo gratuito di uno specifico immobile di proprietà comunale con spese di gestione, utenze, pulizia, manutenzione e similari interamente ed esclusivamente a carico della fondazione, che non avrebbe beneficiato di nessun altro ausilio economico da parte dell’ente, né di ‘‘sovvenzionamenti’’ in natura. I magistrati contabili della Sardegna, con la deliberazione n. 19 del 10 aprile 2014, hanno risposto negativamente, ritenendo il reperimento e la gestione di risorse per attivazione di interventi nel campo della cultura, della solidarietà sociale e del turismo, di diretto interesse comunale, attività afferenti esclusivamente alla sfera di intervento proprio del comune. Se tali attività fossero trasferite a una fondazione, ‘‘si concretizzerebbe l’acquisizione di entrate al di fuori delle garanzie e delle procedure prescritte dall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispecie gestionale di carattere atipico.’’. La fondazione al massimo potrebbe essere costituita solo come struttura amministrativa di supporto al comune, cui affidare esclusivamente l’attività amministrativa, propedeutica di back office. Spetta solo all’ente locale preoccuparsi di assolvere i compiti e le funzioni ad esso spettanti attraverso la propria struttura organizzativa. Il reperimento delle risorse per la realizzazione di finalità istituzionali non può essere ‘‘demandato o trasferito’’ a un organismo terzo, esterno al comune, in quanto trattasi di una funzione propria dell’ente locale, cui lo stesso deve far fronte esclusivamente attraverso la propria struttura burocraticoamministrativa, con propri dipendenti. Le fondazioni e gli enti locali La Corte dei conti ha aumentato negli ultimi anni l’attenzione verso le fondazioni costituite da enti locali, non mostrando particolare favore verso tale modello organizzativo. I magistrati contabili hanno sempre posto l’attenzione sulla natura giuridica di tali organismi, quali enti morali riconosciuti, dotati di personalità giuridica, disciplinati dal Codice civile, che hanno quale elemento costitutivo essenziale l’esistenza di un 6/2014 ................ ........................ 445 ..................... FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Servizi .................................................................................................. ‘‘patrimonio’’ destinato alla soddisfazione di uno ‘‘scopo’ di carattere ideale (artt. 14 e segg.). Il ‘‘patrimonio’’ non è solo elemento costitutivo della fondazione, ma ‘‘è la caratteristica che distingue e differenzia questo istituto dall’associazione, che ha quale elemento essenziale la personalità della partecipazione di una pluralità di soggetti, finalizzata al raggiungimento di uno scopo’’, come chiarito anche dalla Corte dei conti, sez. contr. del Piemonte, nella deliberazione n. 24/2012. Le fondazioni, come chiarito anche dalla giurisprudenza costituzionale, hanno natura privata e sono espressione delle ‘‘organizzazioni delle libertà sociali’’, costituendo i cosiddetti corpi intermedi, che si collocano fra Stato e mercato, e che trovano nel principio di sussidiarietà orizzontale, di cui all’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione, un preciso richiamo e presidio rispetto all’intervento pubblico (Corte cost., sentenza n. 300/2003 e n. 301/2003). I magistrati contabili hanno evidenziato che la caratteristica essenziale della fondazione è l’esistenza di un patrimonio che deve consentirle di svolgere l’attività ordinaria. Si tratta di un requisito essenziale, tant’è che, ove il patrimonio non sia sufficiente per raggiungere lo scopo o addirittura venga meno, il Codice civile prevede che la fondazione si estingua (art. 27 Cod. civ.) e che il suo residuo patrimonio sia trasferito a soggetti che abbiano una finalità analoga (art. 31 Cod. civ.), a meno che la competente autorità non provveda alla trasformazione della fondazione in altro ente (art. 28 Cod. civ.). Secondo il modello tradizionale, la fondazione è tenuta a utilizzare il reddito derivante dal patrimonio per lo svolgimento della sua ordinaria attività e proseguire la stessa sino a che il patrimonio non si esaurisca o diminuisca in misura tanto significativa da impedire il regolare svolgimento del compito per lo svolgimento del quale è stata istituita. Nel caso in cui la fondazione sia affidataria di servizi di interesse per la collettività rientranti nelle finalità perseguite dall’ente locale, l’erogazione di un corrispettivo ‘‘non equivale a un depauperamento del patrimonio comunale, a fronte dell’utilità che l’ente locale (e più in generale la collettività di cui è esponenziale) riceve dallo svolgimento del servizio di interesse pubblico effettuato dal soggetto terzo’’ (Corte conti, sez. contr. Lombardia, del. n. 350/2012). Tali vincoli evidenziati dalla magistratura contabile sono stati recepiti dal legislatore con l’art. 4, comma 6 (norma ancora in vigore) del D.L. n. 95/2012. Tale disposizione stabilisce che ‘‘dal 1º gennaio 2013 le p.a. di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 possono acquisire a titolo oneroso ser- ........................ ................ 446 6/2014 vizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli artt. da 13 a 42 del Codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria’’. Gli enti di diritto privato di cui agli artt. 13-42 del Codice civile ‘‘che forniscono servizi a favore dell’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche’’. Sono escluse da tali vincoli, tra gli altri: — le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione tecnologica; — gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni e attività culturali, dell’istruzione e della formazione. A tal proposito, è opportuno evidenziare quanto chiarito dalla Corte dei conti, sez. controllo della Puglia, nella deliberazione n. 97/2012, in risposta a un ente che aveva chiesto chiarimenti sull’applicabilità del citato art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/ 2012 a una fondazione costituita da enti locali e regione per ‘‘valorizzare il territorio soprattutto attraverso la musica popolare e la cultura’’. Nel caso di specie, l’attività essenziale della fondazione si sostanziava nell’organizzazione e gestione di un noto evento musicale e la stessa riceveva dagli enti aderenti quote annuali costituenti il fondo di gestione e, per quanto attiene l’organizzazione dell’evento, contributi finanziari pubblici che coprivano il suo fabbisogno per più del 90%. L’ente aveva chiesto se l’attività svolta dalla fondazione potesse essere qualificata come servizio e se sussistesse la possibilità di mantenere forme di contribuzione a favore della Fondazione ‘‘quantomeno nei limiti delle attività meramente culturali svolte attraverso di essa’’. La Corte dei conti ha fornito interessanti chiarimenti sulla natura ‘‘culturale’’ di un servizio. I magistrati contabili hanno precisato che costituiscono ‘‘indici presuntivi’’ di tale natura il fatto che la fondazione svolga attività di valorizzazione del ‘‘territorio soprattutto attraverso la musica popolare e la cultura’’, che, prima della costituzione della stessa fondazione, tale attività fosse organizzata e gestita dai singoli comuni e contabilizzata tra i ‘‘servizi culturali’’ svolti dagli stessi. Si pone come elemento necessario e sufficiente a dirimere il dubbio ‘‘se un ente sia o meno da ricomprendere nel novero degli ‘‘esclusi’’ (dai vincoli di cui all’art. 4 del D.L. n. 95/2012), il fatto che sia possibile ravvisare, all’interno dello statuto o dell’oggetto sociale dell’ente medesimo, il carattere culturale dell’attività svolta che può estrinsecarsi, tra l’altro, anche come finalità di valorizzare ..................... FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Servizi .................................................................................................. al massimo la realtà culturale del territorio di pertinenza delle amministrazioni che ricevono il servizio’’. Nella misura in cui una fondazione svolga attività di: — approfondimento e valorizzazione di una realtà culturale, anche attraverso l’organizzazione di un evento a ciò deputato; — studio, approfondimento e conservazione delle tradizioni e culture locali; — promozione del territorio ‘‘attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale locale’’, ‘‘difficilmente potrà considerarsi come rientrante nell’ambito applicativo della norma di divieto su menzionata. Al contrario, essa potrà a buon diritto considerarsi compresa nel novero degli enti operanti nel campo dei beni e attività culturali, come tali esenti dal divieto’’. Il tutto, giova ribadirlo, pur sempre nei limiti delle attività prettamente culturali svolte, venendo meno, in tal caso, la ratio che ha indotto il legislatore a fissare l’elenco dei soggetti esenti da divieto e, di conseguenza, non giustificandosi più l’esclusione dal divieto contenuto nel citato art. 4 del D.L. n. 95/2012. Il quesito che è stato presentato alla Corte dei conti, sez. contr. della Sardegna, attiene invece alla verifica dei limiti posti dal legislatore alla facoltà degli enti locali di costituire organismi partecipati. La figura giuridica della fondazione, disciplinata dagli artt. 14 e ss. del Codice civile, è quella di ente avente personalità giuridica di diritto privato, che non persegue scopi di lucro, ma può essere costituita per il perseguimento di fini educativi, culturali, religiosi, sociali o di altri scopi di pubblica utilità. La figura giuridica della fondazione si caratterizza ‘‘in negativo rispetto alla tipologia societaria, per la non lucratività dello scopo sociale, che, conseguentemente, implica l’assenza di distribuzione di utili’’, come chiarito anche dalla Corte dei conti, sez. contr. Lazio, nella deliberazione n. 151/2013. Essa è dotata di una propria organizzazione e di propri organi di governo e utilizza le risorse finanziarie, ‘‘attribuitele con il negozio di dotazione per lo/gli scopo/i indicati dal fondatore nel negozio di fondazione’’ (cit. Corte dei conti, sez. contr. Lazio). È lo statuto a dettare le norme organizzative per il funzionamento dell’organismo, costituendo parte integrante del negozio unilaterale di fondazione. La scarna disciplina del Codice civile è integrata dal D.P.R. n. 361 del 10 febbraio 2000, che all’art. 1, comma 3, richiede che lo scopo ‘‘sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo’’, dizione dalla quale dottrina e giurisprudenza concordemente deducono la neutralità dello schema in esame rispetto alla rilevanza pubblica del fine. Dalla particolare struttura della fondazione, caratterizzata dalla mancanza di un’organizzazione a base personale, cioè di una collettività organizzata per il raggiungimento di un determinato scopo (come nelle associazioni), e dall’inesistenza di una assemblea degli associati che possa esprimere la volontà dell’ente, si deduce l’immodificabilità dell’atto costitutivo e dello statuto, anche da parte dello stesso fondatore (soggetto pubblico o privato che sia), una volta che esso abbia ottenuto il riconoscimento giuridico dall’autorità pubblica regionale. In un’interpretazione evolutiva, è stata anche elaborata la diversa figura della ‘‘fondazione di partecipazione’’, che costituisce un modello atipico di persona giuridica privata, di recente teorizzazione dottrinaria, in cui è sintetizzato l’elemento personale, tipico delle associazioni, e l’elemento patrimoniale, caratteristico delle fondazioni. In entrambi i casi, caratteristica essenziale della fondazione è l’esistenza di un patrimonio che deve consentire all’ente di svolgere la sua attività ordinaria. Si tratta di un requisito essenziale, tant’è che, ove il patrimonio non sia sufficiente per raggiungere lo scopo o addirittura venga meno, il Codice civile prevede che la fondazione si estingua (art. 27 Cod. civ.) e che il suo residuo patrimonio sia trasferito a organi che abbiano una finalità analoga (art. 31 Cod. civ.), a meno che la competente autorità provveda alla trasformazione della fondazione in altro ente (art. 28 Cod. civ.). Secondo il modello tradizionale, la fondazione è tenuta a utilizzare il reddito derivante dal patrimonio per lo svolgimento della sua ordinaria attività e proseguire la stessa sino a che il patrimonio non si esaurisca o diminuisca in misura tanto significativa da impedire il regolare svolgimento del compito per la quale è stata istituita (Corte dei conti, sez. contr. Piemonte, del. n. 24/2012). Secondo la Corte dei conti della Sardegna, le norme che impongono vincoli agli organismi partecipati dagli enti locali ‘‘si devono intendere estensivamente e ricomprendono qualsiasi organismo, comunque denominato, dotato di personalità giuridica, non strettamente societario, ma caratterizzato dalla dominanza pubblica’’. Pertanto, secondo i magistrati contabili, di volta in volta deve essere verificato se l’organismo, indipendentemente dalla natura giuridica, sia legato fin dalla costituzione o in sede organizzativo-finanziaria con l’ente locale e con il suo bilancio. Laddove tali indici siano verificati, a tali organismi si applicano le norme che impongono limiti di spesa e assunzionali nell’ottica del contenimento della finanza pubblica. 6/2014 ................ ........................ 447 ..................... FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Servizi .................................................................................................. I vincoli alla costituzione di nuovi organismi partecipati Il legislatore da alcuni anni ha introdotto vincoli stringenti alla facoltà degli enti locali di costituire società o altri organismi comunque denominati per la gestione di servizi o attività esternalizzate. A partire dalla legge finanziaria per il 2008, in particolare, il legislatore ha introdotto numerose disposizioni dirette a razionalizzare e contenere l’utilizzo dello strumento societario da parte delle Amministrazioni pubbliche. Con l’art. 3, comma 27 della legge n. 244/2007 è stato previsto che ‘‘non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. È sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza’’. Dopo aver previsto in modo esplicito la possibilità di conservare le partecipazioni sociali collegate e inerenti le finalità dell’ente pubblico, il legislatore nel 2010 ha introdotto un ulteriore limite in relazione agli enti locali, riferito alle loro dimensioni, nuovo limite che fino al 31 dicembre 2013 ha concorso con il precedente a definire i casi nei quali i comuni potevano ricorrere allo strumento societario per perseguire le loro finalità. Inoltre, l’art. 4 del D.L. n. 95/2012 aveva previsto altri stringenti vincoli in merito alla possibilità per i comuni di poter mantenere partecipazioni di organismi strumentali. Il quadro legislativo è stato notevolmente modificato dalla legge n. 147/2013 che all’art. 1, comma 561 e comma 562 ha abrogato le disposizioni limitative sopra richiamate. In particolare, il comma 561 ha abrogato il comma 32 dell’art. 14 del D.L. n. 78/2010, mentre il comma 562 ha disposto l’abrogazione di alcune disposizioni del D.L. n. 95/2012 (cosı̀ detto decreto ‘‘spending review’’) che imponevano il divieto di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, esercitanti funzioni fondamentali o amministrative conferite agli enti locali e l’accorpamento o la soppressione di quelli già esistenti per evidenti ragioni di risparmio e razionalizzazione della spesa (art. 9, commi 1-7, D.L. n. 95/2012). Nonostante tale significativa modifica, secondo la Corte dei conti della Sardegna, ‘‘il vigente quadro ........................ ................ 448 6/2014 normativo determina rigorosi parametri operativogestionali espressamente rivolti a condizionare l’istituzione (o la conservazione) delle istituzioni e delle fondazioni, oltreché delle aziende speciali e delle società partecipate, i cui bilanci sono prevalentemente se non esclusivamente alimentati da fondi pubblici’’. La Corte ha precisato infatti che le fondazioni, costituite dagli enti locali, in quanto alimentate da apporti patrimoniali di provenienza pubblica, unitamente a tutti gli altri organismi partecipati dagli enti locali, ‘‘concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità e di efficienza’’, interpretando in maniera estensiva la disciplina contenuta nell’art. 1, comma 553, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014). Inoltre, secondo i magistrati contabili della Sardegna, alle fondazioni sarebbe applicabile anche l’art. 3 comma 27 della legge n. 244/2007, che limita la facoltà degli enti locali di costituire o partecipare a società di capitali. Tale disposizione, in particolare, stabilisce che gli enti non possono mantenere o costituire organismi aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza. La fondazione deve ‘‘intendersi in via interpretativa ricompresa nel genus delle partecipazioni’’ e rispettare i vincoli posti dall’art. 3, commi 27-32 della citata legge n. 244/2007. Secondo i magistrati contabili il reperimento e la gestione di risorse per attivazione di interventi nel campo della cultura, della solidarietà sociale e del turismo, di diretto interesse comunale, rientra nella sfera di intervento proprio del comune. Se tali attività fossero trasferite a una fondazione ‘‘si concretizzerebbe l’acquisizione di entrate al di fuori delle garanzie e delle procedure prescritte dall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispecie gestionale di carattere atipico.’’. La fondazione al massimo potrebbe essere costituita legittimamente per tale scopo solo come struttura amministrativa di supporto al comune, cui affidare esclusivamente attività amministrativa di back office. Spetta solo all’ente locale preoccuparsi di assolvere i compiti e le funzioni ad esso spettanti attraverso la propria struttura organizzativa del comune. ..................... FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Servizi .................................................................................................. Il servizio di reperimento delle risorse finanziarie La Corte dei conti sezione controllo della Sardegna, con la citata deliberazione n. 19/2014, ha chiarito che il reperimento delle risorse per la realizzazione di finalità istituzionali non può essere ‘‘demandato o trasferito’’ a un organismo terzo, esterno al comune, in quanto trattasi di una funzione propria dell’ente locale, che deve essere assolta attraverso la propria struttura burocratico-amministrativa. Considerato infatti che la fondazione è un organismo strumentale del comune, tale specifico scopo si concretizzerebbe nell’acquisizione di entrate al di fuori delle garanzie e delle procedure prescritte dall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispecie gestionale di carattere atipico. Gli organismi, che è consentito di costituire (o conservare), sono solo quelli il cui scopo o attività assicuri aderenza/coincidenza con le finalità istituzionali del comune. L’acquisizione di eventuali liberalità/donazioni di carattere finanziario o patrimoniale provenienti da terzi (enti o cittadini) ‘‘integrano fattispecie di entrate da ricondurre ai moduli procedimentali prescritti a garanzia dell’erario e devono essere assunte direttamente dal comune, a mezzo delle attività intestate ai suoi organi amministrativi, secondo le rispettive competenze e responsabilità, già delineate dall’ordinamento generale’’. Anche l’appostazione nelle scritture e la successiva imputazione a spesa di tali fonti d’entrata deve seguire le regole che presiedono alla predisposizione dei bilanci pubblici. Infine, i magistrati contabili hanno rilevato che la costituzione di una fondazione da parte dell’ente non configura mai un’ipotesi ‘‘a costo zero’’ per il bilancio del comune, in quanto in sede istitutiva della fondazione deve essere assicurata una dotazione patrimoniale (‘‘patrimonio adeguato alla realizzazione dello scopo’’, ex D.P.R. n. 361/2000; art. 14 e seguenti c.c.) e ovviamente una dotazione di personale. 6/2014 ................ ........................ 449 03 Febbraio 2014 Con questo numero AUTONOMIE LOCALI E PA 03 Febbraio 2014 Pagina 1 di 42 Il Sole 24 Ore lunedì Moduli societari. Sì alla «trasformazione eterogenea» La Spa può diventare azienda speciale Federica Caponi La trasformazione eterogenea di una società di capitali che gestisce un servizio pubblico in azienda speciale è compatibile sia con le norme civilistiche, trattandosi di organismi entrambi dotati di patrimonio separato a garanzia dei creditori, sia con le disposizioni pubblicistiche, intese a ricondurre tali organismi a un regime uniforme, quanto al rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Inoltre, dal 1° gennaio 2014 è possibile anche mettere in liquidazione una società di capitali e costituire ex novo un'azienda speciale, grazie all'abrogazione dell'articolo 9, comma 6 del Dl 95/2012. Questi i rilevanti chiarimenti forniti dalla Corte dei conti, sezione delle Autonomie con la deliberazione 2/2014 (su cui si veda anche Il Sole 24 Ore del 25 gennaio), con la quale ha posto fine al dibattito che aveva visto contrapporsi numerose sezioni regionali di controllo in merito alla possibilità applicare estensivamente l'istituto della «Trasformazione eterogenea da società di capitali» (articolo 2500-septies del Codice civile) al passaggio da una società di diritto privato a un ente di diritto pubblico. L'ipotesi di trasformare una società di capitali in un'azienda speciale costituisce oggi per gli enti un'interessante opzione, che potrebbe essere valutata soprattutto per la gestione di servizi sociali, culturali ed educativi, ma non solo. Ovviamente la scelta va adeguatamente motivata, tenuto conto della convenienza economica dell'operazione e di una valutazione prospettica, anche alla luce dell'articolo 153 del Tuel sulla tenuta e sulla salvaguardia degli equilibri finanziari complessivi della gestione e dei vincoli di finanza pubblica. La scelta in merito all'individuazione del modello gestionale più idoneo è sempre ammessa, purché si dimostri che ne conseguiranno risultati migliori dal punto di vista dell'efficienza, efficacia ed economicità della gestione, oltre al mantenimento o implementazione della qualità dei servizi erogati. La qualificazione fornita dal legislatore dell'azienda speciale quale ente strumentale del Comune rivela l'esistenza di un collegamento inscindibile tra l'azienda e l'ente locale. In effetti, "strumentalità" sta a significare che l'ente locale, attraverso l'azienda, realizza sostanzialmente una forma diretta di gestione del servizio. La sezione delle autonomie ha chiarito che proprio per i vincoli posti dal legislatore alle aziende speciali, in ultimo dalla legge di stabilità 2014, questo istituito è sempre più assimilabile alle società di capitali. Si può ritenere allora che l'elemento di continuità debba essere identificato nell'azienda, quale complesso di beni funzionalmente orientato allo svolgimento di un'attività di impresa e che la trasformazione trovi, quindi, la sua giustificazione sistematica nell'esigenza di salvaguardare la continuità dell'organismo produttivo e di evitare la disgregazione del patrimonio aziendale. L'azienda speciale, che risulterebbe dalla trasformazione della società a totale partecipazione pubblica, è dotata di un patrimonio separato a garanzia dei terzi e dei creditori, fermo restando che, sia nell'organismo di partenza sia in quello di arrivo, esistono i necessari raccordi con gli enti pubblici di riferimento. Da un lato, sussiste una società partecipata da enti territoriali, presumibilmente dotata delle caratteristiche dell'in house providing e, quindi, da intendersi come una longa manus degli enti soci, dall'altro, un'azienda speciale, che in quanto ente strumentale del comune è inserita nel sistema amministrativo dell'ente locale. La legge di stabilità 2014, inoltre, se ha escluso l'applicazione diretta del patto nei confronti delle società in house, ha imposto vincoli all'insieme ente territoriale/organismo partecipato, prevedendo il concorso di questi organismi alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Alla luce del quadro legislativo di riferimento, secondo la corte dei conti, non ha ragione di esistere la preoccupazione del possibile impiego dell'istituto dell'azienda speciale a scopi elusivi dei vincoli di finanza pubblica, poiché la relativa normativa prevede misure severe come per le società di capitali. In ogni caso, l'operazione di trasformazione deve essere corredata da un'attività di revisione economica-patrimoniale (due diligence) della società trasformanda, a garanzia dei terzi e dell'ente che istituisce l'azienda speciale. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA MOTIVAZIONE La Sezione delle Autonomie della magistratura contabile sottolinea la continuità tra i due modelli, rafforzata dalla legge di stabilità 11 Novembre 2013 AUTONOMIE LOCALI E PA Pagina 40/41 di 52 11 Novembre 2013 Il Sole 24 Ore lunedì Cassazione. I poteri del socio La mancata fiducia non è giusta causa per revocare il Cda Federica Caponi È illegittima la revoca degli amministratori di una partecipata disposta per aver rotto il rapporto di fiducia non avendo ottemperato a direttive impartite dal Comune e agli indirizzi formulati dall'assemblea, perché queste carenze non determinano necessariamente inadempienze gestionali nella direzione dell'azienda. Per integrare una giusta causa di revoca del mandato, le condotte che violano il rapporto di fiducia sono di per sé irrilevanti se non sono oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse le capacità gestionali degli amministratori. La Corte di Cassazione, con la sentenza 23381/2013, ha ritenuto sancito la non revocabilità per giusta causa dei membri del cda di una società controllata da un Comune che hanno posto in essere condotte che attestavano chiaramente il venir meno del rapporto di fiducia con l'assemblea dei soci. Nel caso, un Comune, socio di maggioranza di una spa di igiene ambientale, aveva chiesto la convocazione dell'assemblea per deliberare la revoca degli amministratori in carica in quanto avevano disatteso, tra l'altro, gli indirizzi approvati dall'assemblea e le direttive del consiglio comunale. L'assemblea ha deliberato la revoca degli amministratori e uno di questi ha chiesto la condanna della società al risarcimento dei danni per l'assenza di giusta causa (articolo 2383, comma 3, del Codice civile). La società ha evidenziato che gli amministratori avevano adottato condotte in contrasto con quanto deliberato dall'ente socio di maggioranza, facendo venir meno il rapporto di fiducia tra assemblea e l'organo gestionale. Gli amministratori avevano, tra l'altro, respinto la richiesta presentata da alcuni consiglieri comunali di accedere agli atti della società, non avevano ottemperato a direttive impartite dal Comune socio di maggioranza, avevano proposto due citazioni in giudizio per crediti vantati dalla società ma contestati dall'ente socio, e non avevano presentato la propria situazione reddituale e la relazione semestrale espressamente indicate nell'atto di affidamento del servizio. La Cassazione ha chiarito che gli amministratori di una partecipata non sono tenuti a derogare alla disciplina dell'accesso agli atti della società o a privilegiare l'interesse del socio pubblico nei rapporti con la società se tali condizioni non sono state previste nello statuto della società. L'inottemperanza agli obblighi derivanti dal bando di incarico o dalle direttive dell'assemblea non producono automaticamente inadempienze nella gestione della società, se non qualificate come tali dagli strumenti di controllo e gestione approvati dagli enti soci. I giudici hanno anche spiegato che l'accertamento della giusta causa di revoca non può riguardare l'eventuale logoramento del rapporto di fiducia derivante da comportamenti ostili posti degli amministratori nei confronti della maggioranza che li ha eletti. Questa valutazione è estranea alla normativa societaria che non riconosce agli amministratori l'obbligo di agire nell'interesse dei singoli soci, ma della società. Secondo la disciplina civilistica, la revoca può avvenire solo quando i fatti contestati siano oggettivamente idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell'amministratore. La Cassazione ha così condannato la società pubblica al risarcimento del danno a favore dell'amministratore revocato. In questo caso, addirittura, il comportamento dell'ente locale potrebbe essere sanzionato anche dalla corte dei conti sotto due aspetti: per la mancata tutela dell'interesse pubblico nell'agire con gli strumenti del diritto societario, e per il danno arrecato alla società derivante dall'obbligo del risarcimento a favore del soggetto revocato. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL PRINCIPIO «Licenziamento» illegittimo se gli amministratori non commettono fatti che mettono in dubbio le loro capacità gestionali