Università degli stUdi di napoli “Federico ii” dipartimento di architettUra dottorato di ricerca in progettazione architettonica e ambientale indirizzo in : progettazione architettonica e tecnologie innovative per la sostenibilità ambientale XXv ciclo Mario Zampino PROCESSI DI INTEGRAZIONE DEL FOTOVOLTAICO NELL’ARCHITETTURA SOSTENIBILE coordinatore: prof.ssa Antonietta Piemontese tutor: prof. Rolando Scarano indice Abstract_____________________________________________________________________7 introduzione________________________________________________________________10 Capitolo I___________________________________________________________________12 scenari energetici attuali______________________________________________________13 distopie e utopie distopiche___________________________________________________ 20 energia per la terra___________________________________________________________26 Capitolo II___________________________________________________________________34 Breve storia del fotovoltaico____________________________________________________35 Funzionamento delle celle e dei moduli fotovoltaici_________________________________46 accumulo e flussi energetici: dalla batteria alla rete_________________________________52 problemi e criticità connessi con l’uso del fotovoltaico_______________________________57 conto energia e il caso italiano__________________________________________________64 i Bipv: il fotovoltaico come materiale costruttivo___________________________________73 i Bipv: un compendio degli impeghi della tecnologia_________________________________78 Capitolo III___________________________________________________________________90 Una premessa all’analisi dei progetti_____________________________________________91 l’integrazione del fotovoltaico: tre grandi architetti_________________________________96 samyn and partners architects & engineers____________________________________96 mario cUcinella architects________________________________________________117 FeildencleggBradley stUdios_______________________________________________131 l’integrazione del fotovoltaico in alcuni edifici sperimentali_________________________139 Fotovoltaico come sopravvivenza: integrazione e innovazione in edifici in aree ostili_____145 il fotovoltaico come segno____________________________________________________151 Bibiografia_________________________________________________________________155 ABSTRACT Capitolo I nel primo capitolo si pone una delle premesse necessarie ad affrontare il tema del fotovoltaico in architettura, si esamina, cioè, lo scenario che ha obbligato gli architetti a introdurre nel proprio orizzonte – e, si auspica, nel proprio bagaglio di competenze – i temi della sostenibilità ambientale. l'introduzione chiarisce come le grandi politiche internazionali abbiano fallito, dimostrando che non si può più attendere l'intervento salvifico di un deus ex machina e che diviene fondamentale l'azione individuale. la responsabilità, infatti, non può che essere rimessa ai singoli e l'architetto, titolare della disciplina di trasformazione per antonomasia, risulta investito di un ruolo esiziale. si chiariscono, poi, gli attuali scenari energetici e geo-politici, un'analisi che esclude ogni possibilità di sviluppo che non contempli la preminenza delle fonti rinnovabili. con gli idrocarburi ancora in auge – e talvolta con un'ostinazione apparentemente inspiegabile – e i programmi nucleari che, nonostante Fukushima, sopravvivono in molte nazioni, il destino delle energie rinnovabili sembra, però, comunque meno incerto di dieci anni fa: nel caso del fotovoltaico, come si rileva nel testo, tale diffusione è stata ascrivibile anche al fiorire dei campi fotovoltaici, una soluzione molto discussa e dal devastante impatto paesaggistico e ambientale (come si osserverà nel secondo capitolo), ma che ha certamente determinato una contrazione dei costi dei pannelli e un sostanziale progresso tecnologico, soprattutto nell'efficienza delle celle. si affrontano, infine, due scenari: uno chiaramente distopico, nel quale si prospettano gli effetti di un bilancio energetico nazionale basato sul nucleare, l'altro, invece, apparentemente utopico, un sistema energetico nazionale, cioè, interamente sostenuto dal fotovoltaico. si chiarirà, in questo modo, un tema che emergerà con evidenza nel secondo capitolo e, ancora di più, dall'analisi dei progetti sviluppata nel terzo: il fotovoltaico costituisce una valida e sostanziale integrazione, ma non può essere adottato come fonte esclusiva e nemmeno prevalente. Qualunque serio progetto di conversione alle energie pulite, infatti, non può che procedere da un radicale piano di efficientamento energetico, riduzione dei consumi e del fabbisogno e riciclaggio dei materiali. 7 Capitolo II il secondo capitolo costituirà un focus sul fotovoltaico e sui suoi impieghi, anche in una prospettiva diacronica. il primo paragrafo, infatti, contiene una storia dell'innovazione del fotovoltaico, nella quale si evidenziano i tre impieghi che esso ha conosciuto: - fotovoltaico come centrale energetica: è la prima ipotesi e risponde a una "logica petrolifera". si tratta dell'impiego di fotovoltaico in campi e centrali. sebbene sia da stigmatizzare, tale uso ha consentito di abbassare i prezzi e far avanzare rapidamente le tecnologie; - fotovoltaico come autosufficienza energetica: il fotovoltaico è una tecnologia per l'autosufficienza, consentendo di alimentare luoghi isolati e in contesti impervi. si tratta di un impiego tuttora molto valido, e da un punto di vista pratico e da un punto di vista ideologico, è alla base del sistema di telecomunicazioni e di tutte le grandi reti – a cominciare da quella petrolifera – ma per quanto concerne l'impiego in contesti urbani, esso pone problemi che, invece, sono stati superati dal fotovoltaico come rete; - fotovoltaico come rete: al concetto di autosufficienza, questa interpretazione del fotovoltaico affianca quelli di comunità e interconnessione. alcuni autori, a cominciare da rifkin, hanno individuato in questi modelli energetici le premesse per una vera democrazia delle risorse in futuro. nel primo capitolo si chiarisce perché non esistano alternative valide alle fonti rinnovabili e perché sia necessario guardare soprattutto, per quanto riguarda il fotovoltaico, all'integrazione nei manufatti architettonici. in particolare, seguendo il ragionamento e le analisi di economisti ed ecologisti, si dimostrerà l'inadeguatezza delle grandi concentrazioni di pannelli, in favore di una rete di piccoli impianti.in particolare si analizzeranno le potenzialità della tecnologia e i suoi limiti: tali parametri definiscono anche delle procedure ottimali di impiego della risorsa che, quando disattese, certificano lo scarso interesse del progettista alla sostenibilità dell'edificio. chiarite le caratteristiche tecniche, i neessari adempimenti e le consdizioni da tenere in considerazione, si introdurrà il problema dell'applicazione, in primo luogo si condurrà un focus sul caso italiano, verificando in cosa sia consistito il conto energia e quali modelli architettonici esso abbia prodotto. i criteri economici, infatti, si sono dimostrati fortemente condizionanti nell'elaborazione die progetti e alcune ambiguità contenute nel pianto del conto hanno generato impieghi distorti e tendenze anche preoccupanti. infine verrà affrontato il tema die Bipv, vale a dire del fotovoltaico integrato in specifici moduli costruttivi. il tema sarà affrontato da un punto di vista generale, osservando le caratteristiche tecniche, le proiezioni economiche e gli impieghi ottimali di queste tecnologie. ciò costituirà la necessaria premessa al terzo capitolo, nel quale si analizzeranno degli esempi di edifici verficando il grado di integrazione delle varie applicazioni. 8 Capitolo III nei capitoli precedenti si sono chiarite la natura e le funzioni della tecnologia fotovoltaica, indicando come alcune caratteristiche funzionali impongano severi limiti alle soluzioni formali e, anche, all'integrazione delle tecnologie. nel capitolo precedente si è introdotto il tema dei Bipv, moduli fotovoltaici integrati in elementi costruttivi, che, nonostante abbiano prezzi ancora elevati, perché non contenuti da economia di scala e ampia diffusione, rappresentano un potenziale veicolo di diffusione del fotovoltaico proprio in virtù delle maggiori possibilità di integrazione. Questo aspetto ha indotto, inoltre, alcune nazioni particolarmente interessate a tutelare l'integrità estetica del proprio territorio a elaborare soluzioni legislative ad hoc per favorire l'impiego di soluzioni integrate. in italia questa intenzione ha assunto la forma del conto energia ma, come osservato nel capitolo precedente, i risultati prodotti sono stati distanti da quelli attesi, producendo edifici che, sebbene contemplino un'integrazione tecnica dei moduli nel costruito, non esprimono una reale integrazione architettonica. l'obiettivo di questo capitolo consiste nel verificare quali soluzioni architettoniche siano state adottate per integrare la tecnologia fotovoltaica nell'architettura, prendendo in considerazione tre categorie generali: edifici ex novo, ristrutturazioni e interventi sull'antico. si considereranno alcuni esempi, per ciascuna categoria, relativi alle tipologie di moduli integrati riportate nel capitolo precendente: moduli integrati su tetti piani e inclinati moduli integrati vetro-vetro moduli integrati a botte moduli integrati ombreggianti moduli integrati in facciata verranno, poi, analizzati esempi significativi di integrazione in due ulteriori categorie, considerate separatamente in virtù della loro natura peculiare. da una parte si offrirà una rassegna di quelle architetture che hanno assunto il fotovoltaico come segno, interpretandone più la vocazione ideologica che l'aspetto tecnologico e funzionale, dall'altra si osserveranno i risultati in un ambito, quello delle strutture isolate in contesti ostili (come i rifugi alpini), per il quale l'autosufficienza energetica è una necessità. Questi ultimi edifici sono particolarmente interessanti e da un punto di vista architettonico, poiché sono costretti a integrare grandi superfici di pv, e da un punto di vista tecnologico, poiché, essendo collocati in ambienti difficili, consentono di testare soluzioni innovative con sollecitazioni estreme, innescando così un circuito virtuoso di innovazione. 9 INTRODUZIONE la recente conferenza di varsavia, che ha visto gli ambientalisti abbandonare il tavolo di confronto indignati dall’orientamento entusiastico nei confronti del carbone e dello shale gas, ha dimostrato quanto sia difficile per le nazioni accordarsi su un piano di riduzione dei consumi e delle emissioni industriali: in altre parole, nonostante la drammatica cogenza della questione ambientale, resa tragicamente manifesta dai sempre più frequenti disastri, non sarà la politica internazionale a risolvere il problema. il fallimento di questo livello ha rilanciato con forza il tema dell’azione individuale, in questi anni sostenuto, con solide argomentazioni, da numerosi economisti ed ecologisti, a cominciare da Jeremy rifkin, il cui più rilevante contributo consiste proprio nell’aver teorizzato una parcellizzazione del potenziale di approvvigionamento energetico, con la sostituzione di micro-centrali domestiche ai grandi impianti centralizzati. tale orientamento, definito in maniera compiuta in “economia all’idrogeno”, si riscontra, però, già nel celebre “entropia”, nel quale l’economista americano mette in guardia dai rischi di uno pseudomutamento: il cambiamento, ammoniva rifkin, non deve riguardare unicamente la tecnologia adottata ma la logica con cui ad essa si ricorre; l’atteggiamento quantitativo – che preludeva alla diffusione dei grandi impianti fotovoltaici – già riscontrabile negli anni in cui il testo fu pubblicato, evidenziava l’applicazione di una “logica petrolifera” alle tecnologie alternative. Questa considerazione appare tristemente corroborata dai recenti scandali sui parchi fotovoltaici nel nostro paese, occasione di speculazione senza alcun beneficio per l’ambiente né per le comunità. l’integrazione del fotovoltaico nel manufatto architettonico e, quindi, il perseguimento dell’autosufficienza energetica per ogni specifico edificio, rappresenta pertanto l’impiego più opportuno per questa tecnologia, e da un punto di vista ambientale e da un punto di vista socio-economico. sono oggi disponibili, e qui se ne fornirà una rassegna, elementi fotovoltaici che possono essere installati su ogni genere di superficie o che possono, addirittura, costituire una superficie, un tetto, una parete: tali innovazioni implementano le possibilità per l’architetto di progettare un edificio sostenibile. È importante sottolineare, e non si mancherà di evidenziarlo nei casi opportuni, come il rischio di applicare una logica 10 petrolifera persista anche ricorrendo al fotovoltaico negli edifici: affinché sia possibile considerare sostenibile un edificio dal punto di vista energetico, esso non deve semplicemente produrre più energia di quella che consuma, ma deve esibire standard di consumo molto ridotti, privilegiando l’efficienza energetica prima di mirare all’autosufficienza. tale prescrizione risulta tanto più significativa in considerazione di alcuni gravi limiti della tecnologia in questione, relativi alle risorse necessarie a costruire i moduli, i cui processi di estrazione, assemblaggio e, infine, smaltimento, comportano seri rischi ambientali. Questa analisi, pertanto, sebbene si concentri sull’impiego delle tecnologie fotovoltaiche in architettura intende assumere come prospettiva quella di una coerente pratica della sostenibilità ambientale, che non trasformi una risorsa in un mero sigillo morfologico, in un escamotage autoassolutorio né, men che meno, in un’occasione speculativa. si osserverà, pertanto, l’evoluzione del fotovoltaico in architettura nell’ultimo ventennio, con attenzione ovviamente crescente all’ultimo lustro e alle prospettive future indicate dagli architetti; si cercherà di definirne potenzialità e limiti, ragionando sugli impieghi opportuni e sugli usi inopportuni di tale tecnologia; si indicheranno, infine, alcuni progetti particolarmente significativi ed emblematici di orientamenti futuri. 11 Capitolo 1 SCENARI ENERGETICI ATTUALI nei termini attuali il tema della sostenibilità ambientale è nato negli anni settanta, quando il rapporto sui limiti dello sviluppo, o rapporto meadows, richiamò l’attenzione sul problema dell’esaurimento delle risorse. Una quindicina di anni dopo, il ministro norvegese Brundtland, in seno alla commissione ambiente e sviluppo dell’onu, da lei presieduta, pubblicò una relazione dal titolo “il Futuro di tutti noi”, meglio nota come rapporto Brundtland, che costituì il manifesto e la direttrice fondamentale delle intese politiche successive in materia ambientale: esso conteneva anche una definizione che è diventata di scuola per definire approcci e obiettivi della politica di questi decenni nei confronti dell’emergenza ambientale1. le due formulazioni, quella del ministro norvegese e quella del club di roma, individuano nell’esaurimento delle risorse, e quindi della ricchezza per le generazioni venture, il problema: è stato rilevato come tale approccio sia, ovviamente, riduttivo e rischioso, ma se è bene discuterne le premesse concettuali, l’approccio quantitativo consente di ragionare su dati misurabili, un elemento ovviamente indispensabile in una ricerca che si occupa di energie alternative. concentrarsi sulle risorse, insomma, consente di conferire una dimensione quantitativa a un problema vasto e sfuggente, pertanto tale sarà l’approccio adottato da questo studio, nella consapevolezza, però, dei limiti e dei rischi della scelta. al fine di contestualizzare debitamente opportunità e problemi connessi all’uso del fotovoltaico, sarà opportuno premettere un rapido excursus sugli scenari energetici attuali. come è stato anticipato, per ragioni eterogenee, alcune di carattere scientifico, altre politico, si è scelto di identificare la crisi ambientale con l’incremento della temperatura media del pianeta: a parte la suggestione di una semplice reductio ad unum che consenta di fronteggiare un problema complesso, rimettere la questione all’analisi dei climatologi avrebbe dovuto presentare il vantaggio di sottrarre il problema alle dispute ideologiche, riconducendolo su un rigido piano quantitativo. com’è noto così non è stato per molto tempo sebbene i dati ufficiali, quelli prodotti dall’ipcc (intergovernmental panel on climate change), abbiano ormai stabilito che il repentino riscaldamento della terra è dovuto, in massima parte, alle attività umane; per dare una misura, l’ipcc iv aveva stabilito che la probabilità 13 che l’uomo fosse il principale responsabile del riscaldamento globale era del 66%, l’ipcc successivo ha elevato tale probabilità oltre il 90% e gli ultimi sono andati oltre2. i climatologi sono inoltre concordi nel riconoscere nelle emissioni ghg (i cosiddetti “gas serra”) la fonte precipua dei processi di riscaldamento, sebbene si tratti di una valutazione tutt’altro che semplice: gli effetti di feedback positivi e negativi attivati da variazioni, anche minime, delle condizioni climatiche, rendono molto complessa l’identificazione delle meccaniche originarie. È altresì noto che l’incremento delle emissioni ghg, registrato a partire dalla seconda metà del settecento, è un effetto diretto dell’economia a combustibili fossili che ha caratterizzato quei due secoli e mezzo di storia umana, per i quali è stata suggerita la definizione di antropocene, pertanto è opinione condivisa che solo la riduzione del consumo di combustibili fossili potrà arginare i devastanti effetti del riscaldamento globale. se la comunità scientifica ha raggiunto, faticosamente, un accordo sull’identificazione – parziale, è bene ripeterlo – del problema, esistono due passaggi critici e ben lungi dall’essere risolti: il primo riguarda le soluzioni, il secondo, anche più rilevante, la cooperazione con la politica. come sintetizza daniele pernigotti, mentre la prospettiva del climatologo, abituato a ragionare su serie decennali quando non trentennali, è da presbite, quella del politico, concentrato sull’hic et nunc imposto dalle tornate elettorali, è da miope, maldisposta a investire risorse e credito personale in progetti i cui benefici non siano immediatamente percepibili3. l’asse fra la lobby dei petrolieri statunitensi e l’arabia saudita, partner economico degli stati Uniti e di alcuni dei suoi presidenti, ha indotto il senato del principale inquinatore mondiale a ricusare gli accordi di Kyoto con l’ovvio risultato che molti paesi emergenti, a cominciare dalla cina, hanno approfittato della facile sponda per sottrarsi anch’essi ai vincoli – in verità molto poco stretti – proposti. l’arabia saudita ha addirittura richiesto un risarcimento, in caso di un accordo internazionale per la conversione ad altre fonti energetiche, poiché ciò devasterebbe il suo pil, pressoché interamente basato sull’industria estrattiva4. si tratta di questioni di grande rilevanza, evidenti sin dal 1992, anno della convenzione quadro delle nazioni Unite sul cambiamento climatico (UnFccc), a rio de Janeiro. il testo chiariva la responsabilità storica dei paesi sviluppati e precisava che essi avrebbero dovuto assumersi, per primi, l’onere di ridurre le emissioni di ghg. la convenzione quadro ha generato il protocollo di Kyoto (Kp), definito nel 1997 ma ratificato solo nel 2005, sottoscritto da tutti i paesi 14 del mondo con l’eccezione degli stati Uniti, il che, però, di fatto vanifica la maggior parte degli obiettivi attesi: coerentemente con i principi espressi dalla convenzione quadro, infatti, l’attuazione della prima fase del Kp è riservata ai soli paesi sviluppati, tagliando fuori i nuovi grandi inquinatori il che, in aggiunta all’autoesclusione degli Usa, rende di fatto il protocollo vincolante solo per l’Ue. dalla parte opposta, la riduzione delle emissioni è diventata una bandiera politica per i paesi che patiscono l’ingerenza economica delle potenze industriali, a cominciare dal venezuela. alla conferenza di copenhagen del 2009, il presidente venezuelano chavez ha tuonato contro “la presenza incombente del capitalismo che pervade le sale della conferenza”5, giocando un’astuta partita su due tavoli: da un lato difensore dei diritti dell’ambiente e di un continente schiacciato dalle prepotenze statunitensi, dall’altro detentore di ricchissimi giacimenti petroliferi e fornitore del vicino colosso industriale. la politica internazionale, pertanto, ha preso a maneggiare il tema delle riduzioni di ghg come strumento di propaganda interna ed esterna, il che non induce a sperare in futuri successi degli accordi internazionali: come si sottolineava nell’introduzione, la risposta è sempre di più nei comportamenti individuali, in processi bottom up che, sospinti dalla rete e dalla diffusione virale promossa dalle nuove tecnologie, vanno assumendo dimensioni sempre più rilevanti. È in quest’ottica che evo morales, presidente della Bolivia, ha organizzato a cochabamba, un anno dopo il fallimento di copenhagen 2009, la prima conferenza mondiale dei popoli sul cambiamento climatico e sui diritti della madre terra, dimostrando che l’opinione pubblica sembra avere un’idea molto più chiara dei governi su quali siano i rischi nel procrastinare ancora una risoluzione delle questioni ambientali. senza un impegno condiviso, infatti, gli effetti ipotizzabili sono gravi ed eterogenei. il primo, ovviamente, è di carattere climatologico ed è sottolineato con drammatica cogenza dai maelstrom e dalle alluvioni che in questi anni stanno colpendo la nostra fascia, un tempo definita “temperata”. l’ipcc non è in grado di stabilire con certezza di quanti gradi potrebbe incrementarsi la temperatura del pianeta nei prossimi anni. nel 2007 si stabilì fra 2,5 e 4,8 c° l’incremento entro il 21006, ma solo quattro anni dopo, nel 2011, nuove stime ipotizzavano una soglia di 6 c°; entro i prossimi quarant’anni la temperatura potrebbe aumentare di oltre 3°. il c-roads è un modello di simulazione del clima globale che tiene traccia degli impegni presi a livello nazionale e li usa come input per i calcoli. in altre parole il c-roads valuta l’incremento della temperatura 15 in considerazione delle azioni previste per fronteggiarlo, pertanto gli esiti della sua analisi sono ancora più inquietanti: secondo tale sistema, infatti, gli scenari prodotti dall’applicazione dei sistemi previsti dalle varie nazioni ci condurrebbe non lontani dal peggiore scenario ipotizzato dall’ipcc, con un riscaldamento di 2,5 c° entro il 2050. a fronte della possibilità di produrre vino e frutta in scandinavia, i terreni agricoli, quasi tutti concentrati, oggi, nelle fasce tropicali e temperate, si ridurrebbero drasticamente, dilavate da piogge torrenziali o desertificate. l’innalzamento delle acque, provocato dallo scioglimento dei ghiacciai, sommergerebbe una quota variabile del pil mondiale compresa fra il 10 e il 20%. la società munich re, che si occupa di assicurare le assicurazioni, ha stilato nel 2011 un rapporto dal titolo Severe Weather in North America7, dal quale emerge come gli eventi catastrofici negli stati Uniti si siano quintuplicati negli ultimi 30 anni, con un danno di 1060 miliardi di dollari; la sola compagnia assicurativa allianz ha valutato in 2,2 miliardi di dollari i risarcimenti erogati per eventi connessi ai cambiamenti climatici; l’uragano irene del 2011 ha provocato 5,6 miliardi di danni, un terzo dei quali a carico del governo, la restante parte risarcita dalle assicurazioni; il passaggio di sandy nello stato di new york ha provocato 50 miliardi di dollari di danni. Un sondaggio del 2012 condotto dal carbon disclosure project presso le 405 aziende maggiori al mondo, ha concluso che il 37% di esse patisce già danni dai cambiamenti climatici e l’81% riconosce il rischio8. secondo dag hessen, quando lo scioglimento dei ghiacci avrà diluito il sale nelle acque fra la groenlandia e l’europa, la corrente del golfo, principale mitigatrice del nostro clima, si interromperà, essendo guidata essenzialmente dalle differenze del gradiente di salinità: a quel punto, scrive il biologo, “direi: non avete ancora visto niente”9. negli anni ottanta, nicholas georgescu-roegen10 calcolava una perdita del pil mondiale del 10% all’anno per dieci anni per operare una piena conversione a un’economia verde: è un prezzo che il pianeta sta già reclamando. esiste un altro aspetto rilevante, purtroppo sottovalutato e ridotto a un vuoto mantra: le generazioni future. se, oggi, i paesi in via di sviluppo possono reclamare il proprio diritto all’inquinamento, le generazioni future reclameranno le risorse che quelle precedenti hanno distrutto, a cominciare da quelle alimentari. lo scenario che si configura è quello di uno scontro intergenerazionale fra collettività, come indicato da Karl Wagner in una scheda per l’ultimo report al club di roma di Jorgen randers. la frizione fra immobilismo dei governi e 16 istanze di cambiamento, la disponibilità di comunicazioni in tempo reale fra ogni punto del mondo, la difficoltà di accedere a ruoli di rilievo e, infine, una cultura generazionale basata sulla cooperazione e non su quella che Wagner definisce “l’interpretazione dominante della teoria di darwin, quella secondo cui la vita si è evoluta attraverso la competizione e la sopravvivenza delle specie meglio adattate”, innescheranno una guerra intergenerazionale che da europa e stati Uniti si diffonderà al resto del mondo11. Un saggio di due ricercatori americani, comparso su una nota rivista scientifica statunitense, ammoniva gli studiosi a ricondurre il dibattito sulla crisi ecologica al problema delle risorse e denunciava, invece, l’esplosione di temi collaterali che disperdevano le energie della ricerca. l’approccio è, per la verità, fortemente criticabile, ma riflette l’impostazione del club di roma e l’ispirazione originaria del rapporto Brundtland: preservare risorse per le generazioni future. non v’è dubbio, inoltre, che lo scenario relativo alla disponibilità di beni primari per il futuro sia di centrale rilevanza e, aspetto non secondario, estremamente icastico. il dibattito sulle risorse in questi anni ha riguardato, essenzialmente, quelle energetiche, in massima parte petrolifere, inducendo l’opinione pubblica a dimenticare gli altri beni primari, cibo e acqua in primis. gli ultimi decenni, infatti, hanno abituato gli europei a una tale abbondanza di tali risorse da non poter nemmeno lontanamente dubitare della loro disponibilità in futuro, fino a quando qualche scommessa speculativa sul mercato dei futures della borsa di chicago, nel 2011, ha fatto impennare i prezzi dei cereali: più di un osservatore ha messo in correlazione questo avvenimento con le cosiddette primavere arabe che hanno infiammato il nord africa nel 2012. Uno degli effetti più rilevanti della crisi ambientale consiste nella distruzione delle risorse alimentari, un patrimonio minacciato da molte parti. per quanto riguarda il mare e le risorse ittiche, ad esempio, i pericoli provengono dall’inquinamento delle acque, dalla pesca indiscriminata e dal riscaldamento climatico che altera gli equilibri ecologici, demolendo la piramide alimentare. Un rapporto dell’irepa ha valutato nel 22,9% il calo della pescosità del mediterraneo in appena sette anni, dal 2004 al 2011, con una forte accelerazione a partire dal 200712. il tonno rosso, una delle specie simbolo dei nostri mari, è praticamente scomparso, ridotto a un quarto della popolazione di 40 anni fa. rispetto agli anni sessanta, anche la pescosità dell’atlantico si è ridotta, in media, del 70%, sebbene nel vasto oceano sia 17 sovrasfruttato il 39% degli stock ittici, contro l’88% del mediterraneo13. già molto, inoltre, è stato detto, negli anni scorsi, sulle tecniche di pesca indiscriminate, come quelle a strascico, che arano i fondali devastandoli e con le quali l’80-90% del pescato, privo di valore commerciale, viene ributtato in mare ormai morto. la riduzione selettiva di certe specie, inoltre, ha determinato squilibri ecologici non privi di rilevanza anche per l’uomo: la scomparsa degli squali, vittime di caccia selvaggia, nel golfo del messico ha favorito la proliferazione di altri predatori che hanno distrutto i banchi di gamberi, una delle risorse economiche più rilevanti dell’area; altri pesci, la cui popolazione era tradizionalmente controllata dagli squali, inoltre, sono predatori dei crostacei che costituiscono la barriera corallina: senza più controllo demografico, i pesci divorano troppi granchi, la barriera corallina si sta disgregando e l’effetto delle maree sulle coste sta evidentemente aumentando. i cambiamenti climatici sono lo scenario nel quale avvengono questi processi: sebbene sia difficile, oggi, prevedere quali saranno gli esiti delle alterazioni, fino a oggi l’81% dei cambiamenti registrati si è dimostrato coerente con le previsioni. gli oceani sono un formidabile serbatoio di co2, fungendo da regolatori dell’effetto serra. l’aumento dell’anidride carbonica negli ultimi decenni, però, ha determinato un’acidificazione delle acque, con gravi danni a tutte le specie, come dimostrato dalla ricerca Sensitivities of extant animal taxa to ocean acidification su nature climate change. dallo studio emerge che ciascuna specie marina reagisce in maniera differente all’acidificazione ma che le più vulnerabili sono proprio quelle che costituiscono le barriere coralline, poiché la maggiore acidità delle acque ostacola i processi di sintesi del corallo, a ogni modo, scrivono i ricercatori: “tutti i gruppi di animali che abbiamo considerato sono influenzati negativamente da concentrazioni superiori di anidride carbonica. il pericolo è che stiamo spingendo le cose troppo in fretta e troppo forte verso una crisi evolutiva. siamo al rischio di causare estinzioni. non possiamo dare con certezza l’anno in cui la gente inizierà a riferire di estinzioni dovute ai cambiamenti climatici. dipende da quanto cambiamento di temperatura e concentrazioni di co2 permetteremo. Quando si prendono in considerazione gli effetti dei gas serra, potrebbero accelerare gli effetti negativi, perché la temperatura che una specie può sopportare in condizioni più acide può essere inferiore”14. 18 se le acque sono in sofferenza, non va certo meglio ai suoli. le spettacolari tempeste di sabbia, che hanno funestato gli stati Uniti sin dagli anni trenta, annunciavano l’impoverimento di suoli, tradizionalmente fertilissimi, depauperati da uno sfruttamento troppo intenso. a quello si sono aggiunti innumerevoli problemi, a cominciare dall’acidificazione dei terreni dovuta all’aumento dei gas serra, e dal riscaldamento, che ha inaridito molte aree fertili. a ciò si aggiunge l’esplosione delle colture per l’allevamento animale e per i biocombustibili che hanno sottratto milioni di ettari coltivabili all’alimentazione umana. secondo Jorgen randers nei prossimi quarant’anni la disponibilità di proteine di elevata qualità si ridurrà drasticamente, imponendo ineluttabili variazioni dei costumi alimentari15. david Butcher, autore della scheda “i limiti delle proteine”, ritiene che nei prossimi quarant’anni la disponibilità di proteine rimarrà sostanzialmente identica ma si ridurrà la qualità, ovviamente a beneficio delle proteine vegetali16. agli animali saranno destinate le aree incolte e meno feraci, l’allevamento dei suini, in competizione con gli esseri umani per carboidrati e proteine, si ridimensionerà drasticamente, aumenteranno gli allevamenti di pollame che vanta un bilancio energetico migliore della carne rossa: per ogni chilo di carne rossa sono necessari 7-10 kg di grano17, ne bastano due per un chilo di carne di pollo. persino l’acqua potabile, emblema delle risorse gratuite, sta diventando un bene sempre più raro: la Francia, uno dei paesi europei più ricchi di acque, patisce un livello di inquinamento delle acque dolci sempre più elevato. nelle zone centrali del paese, dove non può essere utilizzata l’acqua di mare, grosse masse d’acqua provenienti dai fiumi sono state impiegate per il raffreddamento dei reattori, con grave compromissione della potabilità dell’intero sistema idrico. Queste brevi, e insufficienti, considerazioni, servono solo a chiarire che nessuna iniziativa, nessuna tecnologia, può rappresentare una soluzione soddisfacente se non inserita in una complessa riorganizzazione dei valori fondamentali della società e dell’economia. gli scenari energetici che verranno di seguito delineati, lo dimostrano con efficacia. in particolare verranno proposte una distopia e un’utopia e si dimostrerà come il confine fra le due opzioni sia tutt’altro che chiaro e certo. 19 DISTOPIE E UTOPIE DISTOPICHE esplosione a Fukushima, 2011. esplosione a chernobyl, 1986. l’11 marzo 2011 uno spaventoso terremoto, seguito da un ancor più devastante tsunami, ha danneggiato i sistemi di raffreddamento della centrale nucleare a sei reattori di Fukushima. molto è stato scritto sull’incidente, attribuendone la responsabilità a sistemi obsoleti, ma il nodo fondamentale risiede nel fatto che un reattore nucleare una volta avviato non può essere fermato, continua a produrre calore – le centrali producono energia termo-nucleare – e continua a dover essere raffreddato. Qualunque evento impedisca il raffreddamento non può che scatenare disastri analoghi a quello giapponese. gli enormi interessi delle lobby del nucleare hanno inizialmente sminuito l’incidente, classificato di livello 3 nella scala ines (international nuclear and radiological event scale), oggi innalzato al livello 7, lo stesso di chernobyl (1986). l’iniziale sottovalutazione ha limitato l’efficacia degli interventi: il tentativo di spegnere le fiamme con i cannoni ad acqua, ad esempio, ha comportato un forte sversamento di materiale radioattivo nell’oceano. l’evento ha liberato, entro il primo mese dopo l’incidente, una quantità di sostanze radioattive pari al 10% di quelle liberate dall’esplosione di chernobyl, sebbene le stime siano della tepco, la società responsabile della gestione dell’impianto, e quindi poco attendibili. Quel che è certo è che l’area di evacuazione è stata estesa dagli iniziali 3 a 30 km intorno alla centrale, 80.000 persone sono state evacuate e gli esperti sono concordi nel ritenere che solo fra qualche decennio sarà possibile misurare il reale impatto della contaminazione. alcuni elementi radioattivi, come i (iodio) e cs (cesio), sono stati rilevati praticamente in tutto il mondo. mentre il primo ha un’emivita di appena 8 giorni, il secondo impiega 30 anni a dimezzare il suo potenziale radioattivo18. Quali danni comporterà quest’incidente? È una stima difficilissima se si considera che nemmeno per l’incidente di chernobyl si può fare affidamento su una casistica attendibile. secondo l’Unscear (United nations scientific committee on the effects of atomic radiation), un ente teoricamente indipendente ma, ovviamente, pesantemente foraggiato dai produttori di energia nucleare, il numero delle vittime sarà compreso tra 65 e 4000 negli ottant’anni successivi all’incidente, ma altre stime, sovietiche e statunitensi, parlano di oltre un milione di morti; greenpeace addirittura di sei milioni19. ai morti vanno aggiunti i danni: interi 20 territori devastati, alimenti contaminati a migliaia di chilometri di distanza, economie complesse spazzate via: le prime stime sui danni economici parlano di 200 miliardi di euro, quanto basterebbe a costruire 30-50 centrali nucleari; la maxi-multa imposta dal governo americano alla British petroleum, per la fuoriuscita di greggio dalla piattaforma deepwater horizon nel 2010, è stata di 20 miliardi di dollari, meno di un decimo. i danni economici sono, inoltre, a più livelli e su scala internazionale: l’ondata di sdegno e preoccupazione che ha attraversato il paese, ancora fortemente traumatizzato dagli impieghi militari del nucleare, ha indotto il governo a procedere allo spegnimento dei due terzi dei reattori; essendo stato colto impreparato dallo switch off, il sistema industriale ha rallentato, rinfocolando la crisi economica che la potenza orientale affronta da un decennio. naturalmente è crollata la domanda di combustibile nucleare, soprattutto del mox, una miscela di uranio e plutonio ricavata dall’arricchimento del combustibile esausto. il mox è più instabile e pericoloso dell’uranio, ma molto più economico, e Francia e regno Unito avevano investito sulla sua diffusione, realizzando nuovi impianti di produzione. il crollo della domanda ha vanificato l’investimento, e a sellafield, sulla costa del mare d’irlanda, sorge un costosissimo e mai utilizzato impianto di produzione. come osservano nicola armaroli e vincenzo Balzani, Fukushima ha confermato che gli effetti di un incidente nucleare non possono essere circoscritti a un’area ma, al contempo, che gli esiti più rilevanti sono limitati alle pertinenze del luogo dell’incidente, il che indebolisce uno degli argomenti classici dei sostenitori del nucleare italiano, la prossimità alle centrali francesi che fa sì che il nostro paese sia già esposto a minaccia nucleare. l’atteggiamento del governo nei confronti della tepco, in un paese che ha sempre costituito un modello di rigore e di serietà, ha dimostrato, inoltre, che al cospetto di interessi miliardari non esistono controllori affidabili. poteva un evento come Fukushima non avere ripercussioni sul piano finanziario? naturalmente no. l’agenzia di rating moody’s ha ammonito che la costruzione di una nuova centrale nucleare può aumentare il profilo di rischio dell’azienda costruttrice, e quindi ribassarne il rating. si tratta non di una previsione ma del riconoscimento di uno status quo: il nucleare è una tecnologia in crisi in tutto il mondo, a cominciare dai due paesi leader, stati Uniti e Francia. ciò nondimeno, i profeti dell’atomo continuano a ricorrere ad argomenti ormai smentiti, a cominciare da quello che vorrebbe il nucleare in espansione in tutto il mondo. gli oltre 100 reattori 21 americani sono ormai obsoleti ma l’amministrazione non è in grado di sostenere un piano di rifinanziamento e non esiste impianto nucleare al mondo che possa essere avviato senza sovvenzioni goverantive: gli enormi investimenti richiesti, infatti, non produrrebbero nemmeno un rientro minimo prima di dieci anni dall’avvio del progetto, spesso molto di più, come è capitato al progetto areva. la società francese, interessata a rilanciare il nucleare in europa, ha avviato un progetto per una centrale moderna in Finlandia ma la realizzazione, prevista per il 2009, è slittata a data da definirsi e il costo è raddoppiato20. nonostante queste difficoltà, però, il rischio distopico di un futuro fondato sulle energie nucleari pare tutt’altro che distante se lo stesso Barack obama, un po’ prematuramente eletto paladino delle energie pulite, ha più volte dichiarato che in avvenire gli stati Uniti saranno sempre più liberi dalla dipendenza energetica grazie al nucleare. in italia, il merito del plebiscito che ha condannato il ritorno al nucleare è stato ascritto alla coincidenza con il disastro giapponese, il che ha offerto il destro, ai fautori di questa opzione, per valutarlo come una reazione emotiva a un evento catastrofico ed estremamente improbabile. si tratta di una valutazione che non rende giustizia alle argomentazioni dispiegate da chi, invece, ha contestato la scelta per questioni di strategia energetica ed economica, e non per paura. Forse è opportuno, qui, ricostruire brevemente le ragioni per le quali una distopia nucleare sarebbe inutilmente pericolosa. la prima ragione è che l’italia non ha bisogno di ulteriore energia. con una potenza elettrica disponibile di 105 gW e un fabbisogno di appena 53 gW di picco, per poche ore all’anno, l’energia nucleare dovrebbe essere molto conveniente da un punto di vista economico, per giustificare un investimento miliardario in uno scenario simile; così non è, come è evidente, perciò i potenziali investitori avevano chiesto assicurazione al governo di una legge che garantisse il consumo prioritario di energia da fonte nucleare. È certo, però, che i 105 gW disponibili sono prodotti, in larga misura, con combustibili fossili per i quali l’italia è dipendente dai paesi produttori e, soprattutto, dalle grandi compagnie petrolifere21. il problema, però, è che con l’uranio la situazione sarebbe anche peggiore. i grandi giacimenti africani di questo minerale, infatti, sono quasi tutto sotto diretto controllo cinese, mentre quelli iraniani sono appannaggio di cina e russia; i russi, inoltre, controllano pressoché il 100% delle attività di arricchimento del minerale, un procedimento necessario a renderlo impiegabile come combustibile nucleare: in altre parole si tratterebbe, semplicemente, di 22 sottomettersi all’arbitrio di altri fornitori. Un’altra obiezione generale riguarda l’effetto sui cambiamenti climatici. la vulgata, infatti, vorrebbe il nucleare un’energia rischiosa ma pulita. Una centrale nucleare, però, richiede circa 10.000 tonnellate di cemento armato, 30 tonnellate di combustibile, che va estratto e arricchito con macchinari alimentati dal petrolio, e poi va bonificata e, infine, smantellate: sono attività dall’impronta ambientale gravosissima, probabilmente le più gravose che si possa immaginare, e senza affrontare il tema dello stoccaggio delle scorie. il problema, infatti, è tutt’altro che risolto. il grande deposito progettato negli stati Uniti, nelle yucca mountain, è stato abbandonato quando si è scoperto che le falde sottostanti, lontane chilometri dalla superficie, risultavano contaminate. non esiste, allo stato attuale una soluzione per lo smaltimento delle scorie nucleari, è ragionevole ritenere che essa non possa essere trovata in una nazione che ha difficoltà a gestire i rifiuti normali. Fin qui si tratta di argomenti riguardanti il nucleare come tecnologia, pertanto validi ovunque. a questi vanno aggiunte due questioni peculiari del sistema italiano: l’italia è un paese sismico, con poche acque, e con esigue superfici pianeggianti disponibili, questo dovrebbe essere sufficiente a chiudere la questione. l’altro nodo risiede nel rilancio che il 23 luna park di Kalkar, germania. nucleare dovrebbe fornire all’economia nazionale. cento industriali italiani membri del Kyoto club hanno, invece, calcolato che la distrazione di risorse per finanziare l’operazione sarebbe il colpo di grazia all’incipiente economia verde che, nonostante le difficoltà e il totale disinteresse di praticamente tutti i governi, ha già cominciato a creare ricchezza e lavoro. secondo Jonathan porritt, nel 2052 solo due paesi, cina e Francia, staranno ancora producendo elettricità con il nucleare ed entrambi avranno disposto piani per smettere, definitivamente, nel 206522. Una valutazione analoga si sta facendo strada in tutti i paesi avanzati. la soluzione ai problemi energetici procede dall’efficienza e non dai mastodontici impianti centralizzati. l’emblema del fallimento del nucleare è la grande centrale di Kalkar, in germania, costata 3,5 miliardi di euro, chiusa e riaperta come luna park. non sarà così facile il recupero di quei siti che, invece, sono stati avviati, anche per pochi anni. Quand’anche l’umanità rinunciasse, per sempre, alla distopia nucleare, questa risoluzione tardiva ha già gravato le generazioni future di rischi che non siamo in grado di gestire. veniamo ora a una delle possibili utopie, una società che si approvvigioni di energia solo attraverso le tecnologie fotovoltaiche. l’energia del sole è eterna, almeno su scala umana, e molto abbondante: in un’ora la terra viene irradiata con più energia di quanta ne consumi l’umanità in un intero anno, con una densità di potenza di 170 W/mq. si tratta di un valore molto superiore a quello richiesto da un’abitazione, che necessità di 20-100 W/mq, ma molto inferiore al fabbisogno di un’acciaieria, che richiede fino a 900 W/mq. l’energia solare, è, inoltre discontinua, perché la sua disponibilità dipende dalle condizioni meteorologiche e dall’alternanza notte/dì: un’economia a energia solare non potrebbe, allo stato attuale, prevedere i grandi opifici, attivi tutto il giorno. ai tempi di entropia, il celebre saggio di Jeremy rifkin, l’economista americano calcolava che per alimentare manhattan e i suoi uffici sempre in attività, sarebbe stata necessaria una superficie estesa quanto l’intero quartiere; l’efficienza dei pannelli, in questi anni, è fortemente migliorata e così l’impatto sul territorio si è drasticamente ridotto. ipotizzando un’efficienza del 10%, già oggi superata, meno dell’1% di copertura del territorio nazionale fornirebbe l’energia equivalente al fabbisogno di elettricità italiano, basterebbe l’1,7% per la germania, lo 0,3% per i paesi iberici. la percentuale, ovviamente, cresce per i paesi più piccoli, come i paesi Bassi, molto avanzati e con una ridotta superficie nazionale. naturalmente tali 24 valori, apparentemente piccoli, non lo sono affatto: una centrale fotovoltaica in grado di liberare una potenza tale da alimentare il consumo di elettricità in italia occuperebbe, infatti, una superficie pari alla provincia di piacenza il che, in un territorio densamente urbanizzato e con esigua disponibilità di superfici piane, come il nostro paese, avrebbe un fortissimo impatto ambientale, e il consumo di suoli costituisce una delle principali questioni aperte sulla diffusione del fotovoltaico. si tratta di un argomento pretestuoso perché esiste una grande quantità di aree dismesse che potrebbero essere efficacemente recuperate con l’utilizzo del fotovoltaico, ma il tema ha una validità sotto vari punti di vista: - la produttività di un impianto dipende molto dalla sua localizzazione e dalle condizioni meteorologiche, parcellizzare le grandi concentrazioni consente di ridurre i rischi legati al clima; - esattamente come per le centrali termoelettriche, l’energia prodotta e accumulata dai grandi impianti dovrebbe essere trasferita alle singole abitazioni lungo le reti elettriche. È stato dimostrato che ciò comporti una perdita anche del 90% dell’energia, uno spreco assolutamente ridicolo e immorale in un mondo che combatte guerre per la disponibilità di energia a buon mercato; - le grandi concentrazioni di fotovoltaico sono interventi urbanistici in piena regola, esigono infrastrutture per essere raggiunti, costosi lavori di installazione, vaste pertinenze per alloggiare i servizi connessi; - l’ultimo, e probabilmente più rilevante, argomento, riguarda la proprietà dell’energia e la responsabilità del suo impiego: gli impianti centralizzati annichiliscono uno dei risvolti più affascinanti del fotovoltaico, vale a dire quella commistione fra autosufficienza energetica e rete che esso consente di creare. tale aspetto verrà approfondito in seguito e costituirà uno degli oggetti di indagine del secondo capitolo, ma è un tema cardinale, poiché in esso risiede il potenziale per mutare le logiche di consumo dell’energia in una direzione finalmente sostenibile. sebbene, come si dimostrerà in seguito, i problemi relativi alla filiera del fotovoltaico siano stati ampiamente esagerati, l’attuale tecnologia al silicio pone questioni ancora aperte relative al reperimento del materiale e al suo smaltimento. senza modificare gli attuali trend e i comportamenti energetici – e la declinazione delle tecnologie fotovoltaiche in termini di maxi installazioni non contribuisce certo a questa evoluzione – l’utopia di un’economia alimentata unicamente dal sole è destinata a mutarsi in una distopia23. 25 ENERGIA PER LA TERRA ogni secondo l’umanità consuma 1000 barili di petrolio (160.000 litri), 100.000 metri cubi di gas e 222 tonnellate di carbone. sono i numeri dell’economia al petrolio, costituiscono una parte molto rilevante dell’impronta ambientale della nostra specie e sono disegualmente distribuiti, così che, come è noto, un cittadino americano consuma energia come due europei, 4 cinesi e 240 etiopi. tale disomogeneità non è, inoltre, connessa alla distribuzione naturale delle risorse poiché, se è vero che gli Usa sono il terzo produttore di petrolio e il primo di gas e carbone, è altresì vero che essi importano il 62% del petrolio e il 9% del gas naturale; l’italia, poverissima di risorse fossili, è costretta a importare il 94% del petrolio e il 90% del gas. Questi numeri rappresentano molto più di barili e metri cubi di combustibili estratti, venduti e bruciati, sono una rappresentazione della nostra società. siamo abituati ad attribuire un valore economico ai beni, ai servizi, persino al nostro tempo ma – ammoniva odum – l’energia è una misura molto più attendibile e sicura, e ciò è oggi tanto più vero, poiché c’è del petrolio in qualunque attività umana, a cominciare dall’agricoltura24: gli ortaggi in serra hanno un’energia grigia (vale a dire il complesso di risorse necessari a produrli) 50 volte superiore a quella che essi erogheranno a coloro che se ne ciberanno; 1 kg di carne di vitello (circa mille calorie) richiede 7 kg di petrolio (circa 70.000 calorie) per essere prodotta. l’energia necessaria alle attività umane è prodotta, più o meno, secondo questi rapporti: oltre l’80% da fonti fossili (33% petrolio, 27% carbone, 21% gas naturale), circa il 10% da biomasse, un 6% scarso dal nucleare, poco più del 2% dalle centrali idroelettriche e lo 0,7% dalle rinnovabili25. non è importante stabilire con certezza se il picco dell’estrazione petrolifera sia già stato raggiunto, come ritengono molti, fra il 2005 e il 2010, o se esso verrà raggiunto fra dieci, venti o trent’anni, quello che è certo è che grandi giacimenti di petrolio non si trovano più da decenni e che il costo dell’estrazione del petrolio da piattaforme off-shore è dieci volte superiore a quello del greggio estratto nel deserto saudita. il problema non è quanto petrolio contenga ancora il ventre della terra, ma quanto può esserne estratto a costi sostenibili. È drasticamente aumentato, di rimando, il consumo, e quindi l’estrazione, del gas, anche in questo caso, però, la risorsa non 26 processo di estrazione del combustibile con la tecnica del fracking. estrazione in texas. è inesauribile e già adesso è necessario ottenere la gran parte del combustibile con la tecnica del fracking, iniezioni di acqua e solventi ad altissima pressione sottoterra, in grado di frantumare le rocce e liberare gli idrocarburi in esse imprigionati. È una tecnica enormemente invasiva e inquinante, oltre che sempre meno redditizia: sebbene manchino totalmente conferme, è stata avanzata l’inquietante ipotesi che le cavità sotterranee create con il fracking nella pianura padana abbiano reso devastante il sisma del 2012. la disponibilità di giacimenti significativi è concentrata in pochi paesi che, pertanto, determinano il mercato della più rilevante risorsa strategica, potendo operare significativi condizionamenti dell’economia mondiale. infine, estrarre, trasportare e bruciare combustibili fossili è una delle attività più inquinanti operate dall’uomo e, a oggi, non vi è modo di ridurne l’impatto. le fole sul cosiddetto “carbone pulito” in particolare, sono pericolosa fantascienza: fantascienza perché le tecnologie per realizzare il progetto non saranno disponibili se non nell’arco di due o tre decenni, pericolosa perché si tratta, in realtà, di immagazzinare l’anidride carbonica prodotta dalla combustione sottoterra. come è già stato detto, ciò acidificherebbe irrimediabilmente i terreni e gli effetti collaterali imprevisti potrebbero essere molti altri e molto più gravi26. a prescindere, quindi, dall’abbondanza o esiguità delle scorte, il futuro non potrà essere alimentato a risorse fossili ma sarà necessario elaborare un nuovo sistema di comportamenti e di fruizione dell’energia, nel quale il ruolo più rilevante non potrà che essere quello 27 probabili danni da fracking nella pianura padana, 2012. delle fonti rinnovabili. per definire, sommariamente, che tipo di modello esso sarà, è necessario disaggregare i consumi totali di energia, forniti all’inizio di questo paragrafo, secondo i settori di impiego. circa il 37% dell’energia totale è utilizzata dall’industria e dalle attività produttive, ben il 20% è impiegato nel trasporto di uomini e merci, mentre il riscaldamento domestico, l’illuminazione, e l’utilizzo di elettrodomestici sfruttano circa l’11%; appena il 5% è consumato dal settore dei servizi, quindi da uffici, commercio e attività analoghe27. Un rapido calcolo consentirà di rilevare che al totale manca quasi il 30%, il 27%, per l’esattezza. si tratta dell’energia impiegata per produrre e trasportare energia. con un’efficienza che oscilla fra il 40 e il 50%, per ogni tW di energia utilizzata è necessario produrne 2,228, negli stati Uniti il 56% dell’energia primaria prodotta va perduto. non è l’unico spreco: per gli effetti perversi del paradosso di Jevons29, l’inedita – nella storia umana – disponibilità di risorse ha determinato una distruzione delle stesse che minaccia di divenire irrimediabile. tali contraddizioni sono, com’è noto, massimamente evidenti nel modello americano: gli spazi continuamente dilatati da una frontiera elastica e da un’industria edile aggressiva, hanno sparpagliato i 311 milioni di americani su una superficie vastissima, così che oggi il 7% dell’energia primaria mondiale serve ad alimentare le sole autovetture private statunitensi, circa 850 per mille abitanti. dal problema dei consumi e dell’efficienza energetica passano, quindi, le sole soluzioni praticabili per uno scenario futuro sostenibile e ciò ripropone, con forza, il ruolo delle scienze del comportamento e, naturalmente, dell’architettura e dell’urbanistica che ai comportamenti danno una forma e un luogo. il primo rapporto nazionale sull’energia ha indicato, anche per l’italia, il tema dell’efficienza e del risparmio come propedeutico a ogni altro intervento e ha riconosciuto nel trasferimento dell’energia uno dei nodi cruciali30. il rapporto è una miniera di informazioni anche indirette. nel definire le direttrici per una road map dello sviluppo sostenibile, gli estensori non hanno dubbi sugli interventi per il risparmio ma, dopo un generico auspicio per uno sviluppo delle energie rinnovabili, essi manifestano numerose riserve sull’impiego delle singole tecnologie. si esprime forte perplessità nei confronti delle centrali a biomasse e, addirittura, una moratoria sulle installazioni di pale eoliche; anche l’energia solare è oggetto di riserve: la soluzione migliore, secondo gli autori del rapporto, consisterebbe nello sviluppo 28 del solare termodinamico a sali fusi per riconvertire le vecchie centrali termoelettriche31. si tratta, certamente, di considerazioni che procedono da una valutazione specifica del caso italiano, connotato, come si è detto, da una forte urbanizzazione e, molto spesso, da contesti di pregio, minacciati da interventi speculativi che, troppo frequentemente, non sono oggetto dei debiti controlli. esistono, però, delle ipotesi di scenario, fondate su scrupolose analisi quantitative, che consentono di ipotizzare un progetto di sostenibilità fondato su solide premesse scientifiche. È bene precisare che si indicherà, qui, una possibilità fra le molteplici, operando, di fatto, un’adesione ideologica: come si sottolineava in apertura di capitolo, infatti, una prassi operativa non può prescindere da una convinta scelta ideologica. il modello a cui si è scelto di fare riferimento è quello del “Fattore 4, 5, 10” elaborato da hunter ed amory lovins, anime del rocky mountain institute, sulla scorta delle ricerche di robert ayres32. la persuasione di ayres e dei lovins è che esistano già oggi le tecnologie per ridurre gli input del processo produttivo di almeno il 75%: i numeri del “fattore”, infatti, indicano la frazione alla quale si vorrebbe ridurre l’impiego di energia e materie prime, mantenendo lo stesso livello di produttività. in “capitalismo naturale”, uno dei testi capitali della green economy, si calcola che l’efficienza media reale dei processi industriali, calcolando energia e materie prime, è di circa il 10%, addirittura inferiore negli stati Uniti. essa, inoltre, secondo robert ayres, si sarebbe ridotta da prima della guerra a oggi, proprio per effetto del paradosso di Jevons33. l’esempio della lattina di coca-cola, riferito nello stesso libro, e recentemente ripreso da Fred pearce nel fortunato “confessioni di un eco-peccatore”34, mostra come l’attuale modello di sviluppo ignori, per pochi centesimi, ovvie considerazioni di buon senso: come direbbe odum, è l’esito ovvio di una società che misura il valore delle cose con il danaro e non con l’energia che è servita a produrle. con questo semplice rivolgimento culturale, e con i precetti del lean thinking, i lovins ritengono che sia realizzabile una riduzione degli input del 75-80% (fattore 4 e 5) nei prossimi vent’anni, con un obiettivo finale del fattore 10, vale a dire una riduzione del 90% dell’impronta ecologica dei processi industriali. secondo i lovins la soluzione sta, essenzialmente, in una riorganizzazione e nella decentralizzazione ragionata dei processi e delle attività, a cominciare dalla produzione di energia. il fotovoltaico gioca un ruolo focale in questo processo, eliminando le inefficienti reti elettriche e inducendo il consumatore a confrontarsi direttamente con i propri consumi, 29 regolandoli in relazione alle disponibilità e ai bisogni. per gunter pauli, fautore della Blue economy e recente protagonista di un fortunato ciclo di conferenze in giro per il mondo, la riduzione degli input è in relazione biunivoca con l’incremento del capitale sociale, oggi schiacciato dalla logica del profitto: l’autore suggerisce un approccio biomimetico, che mutui tecnologie e modelli organizzativi dalla natura. l’idea portante consiste nel superamento del concetto di “rifiuto”, sviluppando una serie di cicli chiusi che riutilizzino di volta in volta gli scarti. in questa maniera ogni attività economica diviene un ecostistema. seguendo questa direttrice, l’idea di edifici organici, dei quali le tecnologie attive e passive costituiscano non solo elementi tecnologici, ma parti vitali integranti, non può che incoraggiare una riflessione nuova sul fotovoltaico e sulle sue risorse, che non può che condurre a una nuova formulazione del concetto di integrazione. nei capitoli successivi verranno discusse alcune caratteristiche della tecnologia fotovoltaico e verranno presentati alcuni impieghi: si evidenzierà come, fino ad oggi, il fotovoltaico sia stato declinato come una giustapposizione con vocazione eminentemente economica e speculativa o come sigillo verde in un progetto ispirato da altri obiettivi. la grande sfida lanciata dal contingente all’architettura, invece, esige che si persegua la direzione non già della sostenibilità ma della ecocompatibilità, e questa traslazione culturale non può che essere rimessa alla consapevolezza degli architetti. ciclo chiuso vda. 30 note 1 il principio responsabilità di hans Jonas è ampiamente sovrapponibile alla definizione della Brundtland di sviluppo sostenibile, costituendo il riferimento filosofico di questo orientamento ecologista. cfr: 2 daniele pernigotti, Carbon Footprint, edizioni ambiente, milano, 2011, p. 17. 3 ibidem, p. 28. 4 ibidem, p. 27. 5 ibidem, p. 27. 6 randers Jorgen, Scenari globali per i prossimi quarant’anni. Rapporto al Club di Roma, edizioni ambiente, milano, 2013, p. 71. 7 http://www.munichre.com/en/media_relations/press_releases/2012/2012_ 10_17_press_release.aspx 8 https://www.cdp.net/cdpresults/cdp-global-500-climate-change-report2012.pdf 9 randers Jorgen, op.cit., pp.132-134. 10 nicholas georgescu-roegen, economista rumeno naturalizzato statunitense, è stato l’inventore della bioeconomia e antisegnano dell’economia alternativa fiorita negli ultimi anni. le sue opere, e in particolare Energia e miti economici (cfr. georgescu-roegen nicholas, Energia e miti economici, Bollati Boringhieri, torino, 1998), hanno costituito anche più di un riferimento per Entropia di Jeremy rifkin. 11 ibidem, p. 65-67. 12 irepa onlus. osservatorio economico sulle strutture produttive della pesca marittima in italia (anni2004 e 2011) 13 commissione europea, 30 maggio 2013. comunicato disponibile: http://europa.eu/rapid/press-release_ip-13-487_en.htm 14 Wittmann astrid c., pörtner hans o., Sensitivities of extant animal taxa to ocean acidification, in nature climate change, august 2013. 15 randers Jorgen, op.cit., p. 144. 16 ibidem, p. 145. 17 ibidem, p. 144. 18 armaroli nicola, Balzani vincenzo, Energia per l’astronave terra, Zanichelli, Bologna, 2011, pp. 199-204. 19 ibidem, pp. 203-204. 20 ibidem, pp. 215-217. 31 21 ibidem, pp. 211-212. randers Jorgen, op.cit., pp. 124-126. 23 armaroli, Balzani, op.cit., pp. 151-173. 24 armaroli, Balzani, op.cit., p. 51. 25 armaroli, Balzani, op.cit., p.83. 26 sembra essere, invece, sostanzialmente d’accordo, Jorgen anders, che la ritiene teoricamente una buona soluzione sostanzialmente irrealizzabile. essa richiederebbe, infatti, dai 4000 agli 8000 impianti nei prossimi trent’anni, con costi che saranno insostenibili per almeno altri vent’anni. cfr. randers, op.cit., pp. 128-129. 27 United States Department of Energy - Washington, DC. 28 Coal Facts 2006 Edition, World Coal Institute, settembre 2006 29 il paradosso di Jevons, dal nome dell’economista inglese che per primo intuì certi perversi effetti dei processi produttivi industriali, rappresenta quella combinazione di comportamenti economici e psicologici che può verificarsi quando si riduce il costo unitario di un bene. in questo caso, ammonisce Jevons, può accadere che si faccia ricorso a quel bene senza riguardo, confortati dal costo ridotto. il discorso può essere esteso anche ad altri parametri, a cominciare da quelli ambientali: ad esempio, se una legge per ridurre l’emissioni di anidride carbonica, vieta la circolazione di auto con motori euro 3 e non impone alcun vincolo alle auto con motore euro 5, può capitare che la quantità di anidride carbonica effettivamente emessa sia superiore, perché i chilometri percorsi potrebbero aumentare in maniera proporzionalmente maggiore alla riduzione di emissioni dovuta alla maggiore efficienza dei motori. 30 italia nostra. Quaderni, n. 28, gangemi, roma, pp. 9-11. 31 ibidem, pp. 18-19. 32 ayres robert, Turning Point: The End of the Growth Paradigm, earthscan, london, 1998. 33 hawken paul, amory lovins, hunter lovins, Capitalismo naturale, edizioni ambiente, milano, 2007, pp. 105-107. 34 pierce Fred, Confessioni di un eco-peccatore, edizioni ambiente, milano, 2008. 22 32 Capitolo 2 BREVE STORIA DEL FOTOVOLTAICO parafrasando Joseph schumpeter, la storia di una tecnologia è il passaggio dall’invenzione all’innovazione, o alle innovazioni, poiché è necessario operare una distinzione fra la tecnologia in sé e l’impiego che se ne fa. nel caso del fotovoltaico si tratta di una prospettiva interessante e per la peculiarità degli impieghi e perché essa evidenzia degli aspetti della tecnologia che sono tuttora validi e che, anzi, andrebbero maggiormente considerati. l’idea di ricorrere all’energia del sole è, ovviamente, antica quanto l’uomo e, probabilmente, ha poco senso stabilire quando essa fu impiegata per la prima volta con consapevolezza, per il riscaldamento degli ambienti: il cosiddetto effetto serra era conosciuto, comunque, dai greci e dai romani. l’impiego del sole in luogo del combustibile, ovviamente, non poté mancare di suggestionare i geniali inventori del Xviii e XiX secolo, che concepirono grandi caldaie alimentate da specchi ustori ispirati a quelli di archimede, secondo una logica non troppo distante da quella delle centrali solari ipotizzate ancora nel secolo appena conclusosi. il sole era impiegato come il carbone, riscaldando dell’acqua e producendo vapore che azionava, poi, gli ingranaggi. sebbene il principio fosse interessante, i pionieri della tecnologia solare si trovarono la strada sbarrata da insormontabili limiti tecnologici ed economici, a causa delle grandi dimensioni degli specchi necessari a riscaldare le caldaie. l’abbondanza del carbone e, poi, degli altri combustibili fossili, e il conseguente abbassamento dei prezzi, stroncarono la prima avventura delle tecnologie solari1. nel 1867, durante la posa del cavo telegrafico transoceanico, l’elettricista capo del progetto, l’inglese Willoughby smith, alla ricerca dei materiali ideali per un meccanismo di controllo, ricorse a delle barre di selenio: osservò che esse funzionavano molto bene di notte mentre di giorno producevano piccole quantità di energia elettrica. sottopose, perciò, il materiale a degli esperimenti per sincerarsi che fosse la luce e non il calore a determinare il fenomeno e raccolse le sue osservazioni in studi che ebbero una certa diffusione in inghilterra e che ispirarono le ricerche di due fisici inglesi, adam e day, i quali sottoposero il selenio ad altri test, meno empirici di quelli del geniale elettricista. essi osservarono che il selenio, se sottoposto a irraggiamento, produceva una corrente elettrica, sebbene non ne comprendessero la ragione. il 35 charles Fritts. il primo pannello fotovoltaico. fenomeno fu definito “fotoelettrico” e solo negli anni venti del novecento acquisì l’attuale definizione di fotovoltaico. sulla scorta degli esperimenti dei fisici inglesi, nel 1885 un americano, charles Fritts, realizzò il primo pannello fotovoltaico, che egli chiamò “lastra”. si trattava di un sottile strato di selenio ricoperto da una lamina semitrasparente d’oro: il sistema produceva un flusso di corrente continua, costante e di notevole forza, sia alla luce solare sia a luce indiretta e diffusa. l’esperimento suscitò l’interesse di siemens e maxwell, che pure non furono in grado di spiegarne la ragione, sebbene avessero intutito che il fenomeno era legato alla radiazione luminosa, e di pochi altri: la maggior parte degli scienziati riteneva una fola ai limiti del mestatorio l’idea che si potesse produrre energia senza combustibile e senza evidente degrado di energia termica2. la svolta arrivò sessant’anni dopo ed è indissolubilmente legata alla Bell3, la grande compagnia telefonica che finanziò le ricerche di pearson e Fuller, ideatori, nel 1953, della prima cella al silicio. Fuller, un chimico, preparò una barra di silicio con una piccola percentuale di gallio e la immerse in un bagno caldo di litio. il silicio in contatto con il gallio era positivo, quello nel quale era penetrato il litio, negativo, il 36 punto di giunzione fra le due cariche, chiamato “giunzione p-n”, era, nello specifico, molto vicino alla superficie, in virtù dell’esiguo spessore della barra, così che era sufficiente poca energia, come la luce di una lampada, a generare corrente. nel frattempo, un altro ricercatore della Bell, darryl chapin, stava affrontando un problema che si sarebbe rivelato focale per lo sviluppo della tecnologia: le tradizionali pile a secco impiegate per fornire piccole quantità di energia in luoghi remoti, erano inadeguate a climi caldi e umidi, nei quali si sarebbero presto usurate, pertanto la Bell incaricò chapin di studiare una soluzione ricercando nuovi materiali. come si vedrà in seguito, la possibilità offerta dal fotovoltaico di portare energia ovunque rappresenterà il vero motore della sua sopravvivenza in un mondo dominato dal petrolio, in quegli anni più che mai. il lungimirante ricercatore aveva incluso il fotovoltaico al selenio fra le opzioni da investigare, pearson, però, dopo averlo messo a parte dei suoi esperimenti, gli propose di sperimentare la sua tecnologia al silicio. il primo esperimento diede ottimi risultati, la cella risultò avere un’efficienza del 2,5% e chapin, dopo averne studiato le potenzialità, decise di concentrarsi su di essa; stabilì che, per risultare commercialmente appetibile, doveva raggiungere un’efficienza del 5,7% e si mise al lavoro per migliorarla, lungamente senza esito. il problema risiedeva, in particolare, nei contatti fra il silicio e i metalli conduttori, poiché le tecnologie dell’epoca non consentivano la saldatura diretta e i metalli di rivestimento non aderivano bene al minerale. nemmeno l’intervento di illustri chimici come ohl e Fuller migliorarono significativamente le cose, fino a quando lo stesso chapin non ebbe l’idea di rivestire il minerale con una guaina di plastica trasparente antiriflesso, portando, con grande sorpresa del ricercatore, l’efficienza al 4%. mentre i pionieri del fotovoltaico si dannavano a risolvere il problema della conduzione, il governo americano lanciava il programma atoms for peace, nell’ambito del quale fu presentata la batteria atomica, una cella che utilizzava i fotoni emessi dallo stronzio-90, una letale scoria nucleare, per produrre energia. la batteria era inefficiente e, ovviamente, di micidiale pericolosità, ma fu presentata come miracolosa e molti si sbilanciarono a prevedere un epoca di diffusione capillare di microcentrali a batterie atomiche. la Bell fu costretta a rispondere al colpo e chapin chiese nuovamente l’intervento di Fuller: questi sezionò le celle in sottili bacchette, le arricchì di arsenico e le rivestì di boro (e della guaina di chapin), conseguendo un’efficienza del 6% e dimostrando che l’opzione fotovoltaica era ormai acquisita: nel 1954 i ricercatori 37 Bell solar Battery, 1958. della Bell presentarono la batteria solare, una grande conquista minacciata, adesso, non più dalle difficoltà realizzative ma dal mercato4. Fin qui, dunque, la storia dell’invenzione, ma nel 1954 i ricercatori della Bell si trovavano fra le mani un prodotto potenzialmente rivoluzionario reso di fatto inutilizzabile dai costi elevati, tanto più insostenibili se paragonati all’esiguo costo dei combustibili fossili. Un’inattesa soluzione giunse dalle esplorazioni spaziali, per le quali si manifestò la necessità di disponibilità di energia in un luogo, ovviamente, non servito da reti elettriche: il ricorso al fotovoltaico richiamò l’attenzione sull’impiego di tale tecnologia come batteria portatile e generatore in luoghi isolati e difficilmente raggiungibili, il che spiega come mai i primi grandi acquirenti delle celle fotovoltaiche furono le compagnie petrolifere. Una delle prime applicazioni del fotovoltaico riguardò, infatti, i grandi condotti petroliferi che, attraverso zone desertiche, portavano il combustibile alle raffinerie e ai porti commerciali. la rete esigeva punti di controllo che non potevano essere alimentati se non con generatori in loco e che esigessero poca manutenzione: i pannelli fotovoltaici costituirono la soluzione ideale. Un’altra ovvia applicazione riguardava le piattaforme estrattive off-shore: quelle che ospitavano stabilmente personale e che gestivano il flusso di greggio erano ricchissime di energia, ma quelle deputate alla sola estrazione erano, al contrario, sprovviste di elettricità, pur necessitando, ad esempio, di luci di segnalazione: l’iter che condusse le piattaforme estrattive a munirsi di luci alimentate dal fotovoltaico nasconde una vicenda che merita di essere raccontata in quanto emblematica dell’accidentato percorso di un’innovazione tecnologica5. i responsabili della exxon, proprietaria delle piattaforme al largo delle coste americane, appreso dell’obbligo di luci di segnalazione, ricorsero all’elenco telefonico e contattarono un astuto rappresentante, nathan Jones detto available, disponibile, spiegandogli che necessitavano di generatori portatili che non richiedessero molta manutenzione. naturalmente Jones non aveva idea di come procurarseli ma riuscì a individuare una ditta che produceva batterie atte allo scopo, ne divenne unico rappresentante e presto ebbe il danaro per fondare una sua società, la automatic power, un colosso monopolista del mercato delle batterie e della manutenzione degli impianti. Jones era, come si è detto, un uomo astuto e non tardò a sapere delle batterie solari né a comprendere che gli avrebbero sottratto importanti quote di mercato, pertanto fece il possibile perché non se ne parlasse. Finché la automatic power 38 detenne il monopolio, Jones riuscì nel suo intento ma, quando un gruppo dei suoi ingegneri abbandonò la compagnia per fondarne un’altra, la tideland, la solar power trovò terreno fertile per proporre le sue batterie solari: un reportage fotografico ad hoc, che mostrava le discariche di batterie tradizionali scariche, con il loro carico altamente tossico, completò l’opera indignando l’opinione pubblica americana6. John perlin elenca numerosi altri casi di impiego del fotovoltaico, a cominciare da quello, frutto della tenace e onesta determinazione del capitano lomer, nelle boe di segnalazione della guardia costiera. altri celebri esempi riguardano le linee ferroviarie (che, soprattutto negli stati Uniti, attraversavano luoghi impervi e inaccessibili) e, ovviamente, i satelliti7. l’intera civiltà, per come la conosciamo oggi, vale a dire una ricchezza immateriale molte decine di volte superiore alla ricchezza materiale, è sorretta dai moduli spaziali alimentati dal fotovoltaico. a parte le difficoltà inerenti al frequente bombardamento di minuscoli detriti, gli ingegneri hanno dovuto affrontare due nodi centrali nella progettazione di moduli per lo spazio: la maggiore intensità delle radiazioni solari e gli effetti dell’ossigeno atomico nel caso dei pannelli a bassa quota. le radiazioni solari nello spazio non sono filtrate dall’atmosfera terrestre, inoltre le particelle cariche, provenienti dal sole attraverso il vento solare, e ancora più in generale i raggi cosmici, di natura simile, possono danneggiare i pannelli fotovoltaici molto velocemente, degradandone nel tempo le prestazioni (circa 30% in5 anni). in particolare, la componente ultravioletta della radiazione solare degrada i materiali organici, polimerici e ceramici (vetro), cambiandone le proprietà di assorbimento, la trasparenza ed il colore. È stato necessario, pertanto, uno sviluppo parallelo di diverse discipline, soprattutto della chimica e dell’ingegneria dei materiali, per realizzare celle in grado di sostenere le sollecitazioni della permanenza in orbita, il che ha prodotto un rapido avanzamento delle tecnologie anche nel fotovoltaico per impieghi più ordinari. esattamente come avviene sulla terra, la gamma di soluzioni impiegate nello spazio è numerosissima, e si va dalle enormi vele fotovoltaiche della stazione internazionale, con oltre 16 mila celle per pannello, ai pannelli gonfiabili, meno onerosi da trascinare con i razzi vettore, fino al brevetto recente di un giovane ingegnere italiano, di “pizze” fotovoltaiche low-tech, a basso costo8. la storia dell’impiego del fotovoltaico per portare energia in luoghi remoti e con caratteristiche orografiche, climatiche ed economiche 39 primo satellite con pannelli solari. stazione internazionale, 2014. problematiche per l’installazione di centrali, comincia all’inizio degli anni ottanta, in piena corsa all’atomica. gli esperimenti francesi negli atolli polinesiani avevano gravemente alienato le simpatie dei locali, al punto da imporre un intervento rilevante che mostrasse il lato proficuo della sovranità francese: fu così deciso di dotare alcuni villaggi tradizionali polinesiani di modernissimi impianti fotovoltaici, così da renderli autosufficienti. l’intervento condotto ormai trent’anni fa mostra notevole intelligenza e capacità di pianificazione, molto più di quanto, troppo spesso, accada oggi, e merita, perciò, di essere descritto. pochi mesi prima, un progetto delle nazioni Unite aveva realizzato una centrale fotovoltaica in un villaggio del pacifico del sud, Utirik. l’intervento, ispirato dalla proposta di un esperto che mirava a realizzare 10.000 impianti da 50 Kw, si rivelò un grave insuccesso: l’uso indiscriminato che gli abitanti di Utirik facevano dell’energia “donata” faceva sì che l’impianto non fosse sufficiente e che la centrale andasse spesso in tilt. si evidenzia, qui, una delle tre grandi funzioni rivestite da questa tecnologia nel corso della sua ormai non più breve storia, un impiego che soddisfa quella che rifkin ha definito “logica petrolifera”, vale a dire il ricorso a centrali di fotovoltaico che eroghino massicce quantità di energia esattamente come se fossero centrali termo-elettriche9. Facendo tesoro dell’esperienza, i francesi decisero di non costruire una centrale ma piccoli impianti individuali, costruiti su ogni singola abitazione. Fu deciso, inoltre, di adottare un approccio molto articolato che non si limitava a fornire i moduli fotovoltaici, ma equipaggiava le abitazioni di elettrodomestici a basso consumo: in questo modo non solo si abbattevano i costi, ma si riduceva anche l’impatto estetico dell’impianto sulle abitazioni tradizionali. persuasi i proprietari più facoltosi ad acquistare la tecnologia, presto l’intera comunità si dotò del fotovoltaico francese; delle 3300 installazioni, metà fu acquistata dai proprietari, l’altra metà fu fornita gratuitamente con l’intesa che i proprietari avrebbero pagato un piccolo canone al comune, il che non solo non avvenne, ma gli impianti elargiti gratuitamente, supersfruttati e privi di manutenzione, si guastavano spesso (la gie solar, la compagnia incaricata di fornire gli impianti, era obbligata a riparare gli impianti guasti) e tendevano ad esaurire rapidamente le batterie10. in questo caso, ed è un’altra delle funzioni cui si faceva riferimento all’inizio di questo paragrafo, il fotovoltaico ha un impiego che può essere definito di “sopravvivenza”, esso serve, cioè, a portare energia in luoghi impervi, nei quali sarebbe difficile ricorrere ad altre fonti. al 40 di là del parziale insuccesso, il progetto definiva alcuni princìpi molto importanti e rilevanti per il futuro: - il fotovoltaico era più efficiente se diffuso. le grandi concentrazioni perdevano in efficienza per questioni tecniche – come il trasferimento di energia – ma, soprattutto, per problemi legati a consumi, gestione e manutenzione; - era fondamentale, prima di procurarsi energia, ridurre il dispendio energetico con elettrodomestici a basso consumo e altre soluzioni ad hoc; - la diffusione del fotovoltaico tramite progetti assistenziali risultava fallimentare. il caso del Kenya ribadisce la validità dell’ultimo assunto. la penetrazione delle tecnologie fotovoltaiche nel paese africano è connessa all’iniziativa di un intraprendente ingegnere americano, richard Burris che, per primo, equipaggiò la sua abitazione con sistemi fotovoltaici, attirando l’attenzione del consiglio scolastico di una moderna scuola che aveva pianificato un investimento per acquistare un generatore a diesel: colpiti dall’efficienza del sistema di Burris, i membri del consiglio adottarono la sua soluzione, le famiglie kenyote più agiate li imitarono e Burris cominciò a produrre moduli fotovoltaici da 35 kw destinati alle famiglie: sebbene fossero costosi, essi erano comunque meno onerosi del gasolio o altri combustibili. i moduli oggi in commercio sono da 12 kW e le famiglie kenyote hanno imparato – grazie anche ai corsi di Burris – a manutenerli correttamente e a operare un corretto uso dell’energia: l’elettricità erogata è, infatti, insufficiente a consentire sprechi come quelli ravvisati a Utirik. il passaggio successivo fu l’industrializzazione dei processi, non solo di quello produttivo, dovuta alla grande intuizione di neville Williams, fondatore della selco (solar electric light company): egli comprese che il primo mercato appetibile era proprio quello dei paesi in via di sviluppo, nei quali esistevano gruppi anche molto consistenti di individui con le risorse per acquistare pannelli fotovoltaici e la necessità di affrancarsi da sistemi inefficienti e costosi, ma per aggredire un mercato del genere egli doveva mutuare un sistema di successo e scelse, come riferimento, quello delle automobili. esattamente come il mercato delle autovetture è stato sostenuto dal parallelo sviluppo di servizi, infrastrutture e commercio di pezzi di ricambio, così era necessario, prima di espandere il mercato del fotovoltaico, costruire una rete di assistenza e servizi. lo sviluppo del settore auto, inoltre, era stato consentito dalla possibilità di non pagare tutto il costo della 41 vettura in una sola volta, ma di dilazionarlo: Williams cominciò così una complessa attività, anche di lobbying, per incoraggiare i finanziamenti al settore e consentire agli acquirenti di acquistare moduli fotovoltaici a condizioni vantaggiose. di fatto, con Williams e la selco nasce il moderno mercato del fotovoltaico, una tecnologia proficua sul mediolungo periodo e se rimuove i passaggi intermedi, consentendo la produzione di energia elettrica direttamente all’utilizzatore finale. gli appetiti speculativi delle grandi aziende americane indussero a insistere sulla scelta delle vaste concentrazioni di pannelli in luoghi disabitati, ma un ingegnere svizzero, markus real, dimostrò in maniera incontrovertibile e sperimentale quanto ciò costituisse un nocumento in termini ambientali, di efficacia e di valore economico. real, oltre ad essere un grande esperto di fotovoltaico, conosceva bene la rilevanza del marketing, così la sua società, la alpha real, destinava molte risorse ad attività spettacolari e di grande ricaduta promozionale, come le corse delle auto elettriche, dove trionfò la merceds alimentata dai generatori fotovoltaici alpha real. il progetto più significativo, però, fu il progetto megawatt: real pubblicò un annuncio sui giornali svizzeri dichiarando di essere alla ricerca di “333 proprietari di centrali elettriche”11. l’annuncio richiedeva, come unico requisito, un tetto ben esposto al sole, perché l’idea di markus real consisteva nel distribuire la potenza di una centrale da 1 megawatt su 333 tetti, ciascuno con moduli per 3 Kw. il tetto, spiegava real, era la soluzione più ovvia, semplice ed economica, non richiedeva acquisto o affitto di terreni, non richiedeva la realizzazione di costosi (e inefficienti) collegamenti, di opere di sicurezza, di scavi e colate di cemento per installare i supporti, tutti costi improduttivi che potevano essere evitati parcellizzando i grandi impianti in micro-installazioni: un vantaggio economico che non poteva non conquistare le grandi compagnie americane e che poneva le basi per l’affermazione della terza funzione del fotovoltaico, vale a dire la rete energetica. a real e al suo team di ingegneri non sfuggì, invece, che a quel punto la sfida consisteva nel progettare moduli fotovoltaici che potessero facilmente integrarsi nelle superfici, con rapidità e con il minimo impatto percettivo. Joachim Benneman, ingegnere tedesco della Flachglas, un’azienda vetraria, comprese che la soluzione risiedeva nel concepire il fotovoltaico non più come un’aggiunta ma integrato in altri elementi edili. si trattava, in qualche modo, di una scelta obbligata per l’azienda, che voleva entrare nel mercato del fotovoltaico ma non poteva competere con i grandi produttori: la sorpresa, per Benneman e i suoi 42 collaboratori, fu che per entrare nel mercato non dovevano investire un solo marco, poiché la soluzione era già nella loro disponibilità. impiegando, infatti, una resina brevettata e impiegata per incollare fra loro lastre di vetro, al fine di rendere insonorizzanti, gli ingegneri della Flachglas realizzarono pannelli di fotoltaico su vetro, rivestimenti adattabili a qualunque superficie e apertura, più economici del marmo e della pietra e in grado di produrre energia. nel 1991 un’azienda elettrica inaugurò ad aachen la propria sede, dotata di una facciata fotovoltaica, che presto diventò meta di pellegrinaggio da parte di ecologisti e architetti, al punto che l’azienda fu costretta a organizzare tour guidati condotti da due ingegneri12. la tecnologia fotovoltaica è straordinariamente presente nella vita quotidiana, sebbene in maniera invisibile: le comunicazioni, l’energia, molti dei comportamenti abituali risulterebbero impossibili senza i moduli fotovoltaici. poiché, come si è detto, qui si è cercato di tratteggiare una storia dell’innovazione, piuttosto che dell’invenzione, sarà bene riassumerne i tre passaggi fondamentali, precisando prima che non si tratta di fasi distinte, ciascuna delle quali si conclude con l’abbrivio dell’altra, ma di tre interpretazioni differenti della stessa tecnologia. È anche singolare rilevare come, questa tripartizione, si riproponga oggi sebbene con tecnologie differenti e più evolute. la prima interpretazione della tecnologia fotovoltaica è quella ispirata, per usare le parole di rifkin, da una logica petrolifera: i campi di fotovoltaico come i campi d’estrazione e le raffinerie, devono fornire elevate quantità di energia. si tratta di una soluzione deleteria da un punto di vista ambientale, perché sottrae terreni, adultera pesantemente il paesaggio, interviene sui terreni e sull’assetto idrogeologico; l’energia, inoltre, dovendo essere trasferita dagli impianti verso i centri urbani, è soggetta a dispersione esattamente come quella prodotta da fonti fossili, un fenomeno che può arrivare anche al 90% dell’elettricità prodotta. anche da un punto di vista economico, tale soluzione appare proficua solo se si dispone di ampie estensioni, in considerazione degli elevati costi di installazione. d’altra parte è bene osservare che l’enorme incremento della produzione richiesto da questi impianti su vasta scala ha determinato un miglioramento dell’efficienza dei pannelli e una contrazione dei costi, favorendone, di fatto, l’impiego anche in altri contesti. da questa declinazione estensiva si è passati, sulla scorta dell’esperienza nel settore petrolifero e spaziale, a privilegiare la vocazione all’autosufficienza di questa tecnologia: non richiedendo allacci alla 43 centrale fotovoltaica da 43,5 mW, curbans, Francia. centrale fotovoltaica volkswagen, da 13 mW, tennessee, stati Uniti. centrale fotovoltaica da 20 mW, siviglia, spagna. centrale fotovoltaica da 55 mW, sicilia. rete elettrica, essendo virtualmente inesauribile e di relativamente facile manutenzione, il fotovoltaico consente di alimentare edifici isolati e ubicati in luoghi difficilmente accessibili, satelliti e piattaforme petrolifere, prima, chalet, ville e abitazioni di questo tipo, in seguito. come dimostra l’esperimento francese nel pacifico meridionale, i moduli hanno portato energia a luoghi popolati ma remoti, senza immettere centrali dal devastante impatto ambientale. Quella dell’autosufficienza è, probabilmente, la vocazione naturale del fotovoltaico e ha innescato un circuito virtuoso i cui benefici saranno analizzati diffusamente più avanti e qui sintetizzati: - minore dispersione di energia: l’energia prodotta viene impiegata in loco e non necessita di inefficienti sistemi di trasferimento. È stato calcolato che la dispersione di energia nelle linee elettriche possa arrivare, in molti casi, al 90%; - attenzione al consumo: il fotovoltaico produce energia continua ma a bassa intensità, il che costringe a ridimensionare i consumi. ancora una volta, l’esperimento francese di Utirk è emblematico: prima di installare i pannelli furono progettati e venduti elettrodomestici a basso consumo; in Kenya si registrò, nelle comunità che avevano acquistato i pannelli, una sensibile riduzione dei consumi energetici; - innovazione tecnologica: in questo caso non si è trattato semplicemente di migliorare l’efficienza delle celle e l’appetibilità economica, ma di studiare nuovi materiali per ridurre i consumi e, autoproduzione di energia con pannelli fotovoltaici nel quartiere a2a di Bologna. 44 soprattutto, nuove formule di integrazione del fotovoltaico, avviando quel processo che, come si vedrà, ha trasformato i pannelli da applicazione a elemento costruttivo e configurazionale. Uno dei problemi centrali dell’impiego del fotovoltaico risiede nelle soluzioni per accumulare energia e rilasciarla quando necessario. là dove possibile, vale a dire dove è disponibile una rete elettrica, tale questione è stata risolta utilizzando la rete come accumulatore, il che ha costituito l’abbrivio di una nuova interpretazione non solo di questa tecnologia ma, più in generale, della produzione di energia. il progetto megawatt di real costituisce un esempio, uno dei primi, di energia in rete, ma sarebbe sbagliato limitare i pregi di quest’innovazione a un problema di ordine tecnologico: l’idea di comunità che autoproducono l’energia necessaria ai propri bisogni e immettono il surplus in rete in un circuito di mutuo scambio con comunità analoghe, costituisce l’addentellato di una rivoluzione che gli studiosi definiscono “democrazia energetica”. le reti energetiche mettono in campo questioni di carattere economico, sociale, logistico di grande rilevanza ma, che costituiscano una promettente promessa, è dimostrato dai fondi che l’Unione europea ha stanziato e continua a stanziare: nel 2009 è stato pubblicato il “libro verde”13, un documento che definisce le strategie per lo sviluppo delle reti energetiche, su vasta e su piccola scala, e cerca di sistematizzare, in una strategia energetica, le diverse fonti di approvvigionamento. 45 FUNZIONAmENTO DELLE CELLE E DEI mODULI FOTOVOLTAICI sezione di un modulo in silicio cristallino. 1. cornice in alluminio 2. sigillante 3. vetro 4. riempimento in eva 5. celle Fv cristalline 6. Foglio di tedlar nel precedente paragrafo si è tratteggiata l’evoluzione del fotovoltaico con particolare attenzione alla storia dell’innovazione, più che dell’invenzione. si è fatto solo un rapido accenno, pertanto, alla lunga serie di esperimenti, pionieristicamente condotti da pochi ricercatori, che hanno condotto all’attuale configurazione di ciò che viene definito “modulo fotovoltaico”. si tratta di un insieme di celle fotovoltaiche collegate in serie (più raramente in parallelo), e inserite in un telaio: nel caso del silicio cristallino, le celle sono fragili e sottili e necessitano di un telaio protettivo. il modulo, pertanto, incorniciato da un bordo metallico, generalmente di alluminio, fissato da un sigillante a base di silicone, contiene, in genere, da 36 a 72 celle, inguainate da due sottili fogli di vinil-acetato (eva), opportunamente trattato con anti-ingiallenti: l’eva impedisce un contatto diretto fra le celle e il vetro, rende omogenea la superficie di appoggio delle celle al telaio e isola la parte elettricamente attiva dal resto del laminato. le celle in serie, contenute dai foglie eva, sono appoggiate su un vetro protettivo temperato, con basso tenore in ferro per ottimizzare la trasparenza, mentre sul retro il modulo è chiuso da un foglio di materiale plastico, molto resistente, come il tedlar. Una scatola di giunzione, sul retro o sul fianco, ospita i collegamenti fra le celle e costituisce l’interfaccia elettrica con il resto dell’impianto. oggi sono generalmente adottate scatole stagne dotate di connettori, il che rende più agevoli e rapidi i collegamenti di installazione. tutte le parti sono fondamentali e oggetto di innovazione sebbene, ovviamente, l’anima dell’impianto sia costituita dalle celle. Una cella dal lingotto in silicio al modulo fotovoltaico. 46 fotovoltaica è costituita da due cristalli con una giunzione a semiconduttore. nel modello a silicio, questo minerale tetravalente – cioè con quattro elettroni disponibili a legami – fa da semiconduttore di giunzione fra cristalli, spesso, di Boro e Fosforo. tali materiali, eccitati dalla radiazione luminosa, liberano elettroni polarizzandosi; per effetto del campo elettrico creato dalla giunzione, gli elettroni tendono a migrare verso il polo positivo, generando corrente elettrica. non tutta l’energia della radiazione solare può essere convertita: è necessario che sia sufficientemente potente, inferiore a 1,15 micrometri, da eccitare gli elettroni, inoltre una parte delle radiazioni più potenti si disperde senza generare elettricità. Questo limite teorico, che nel caso del silicio è di circa il 50%, è ulteriormente ridimensionato da inefficienze imputabili alle tecnologie realizzative. Una parte della radiazione, infatti, viene intercettata dall’elettrodo frontale, un silicio non sufficientemente puro, inoltre, non libererà un campo elettrico sufficientemente potente da tenere separate le cariche per generare energia, inoltre esiste una naturale resistenza dell’hardware che trattiene una quota di radiazione ed energia. nel determinare la curva tensione-corrente di una cella – e quindi la sua efficienza – tre parametri hanno particolare rilevanza: - la corrente di corto-circuito; - la tensione a circuito aperto; - tensione e corrente nel punto di massima potenza14. in relazione a questi fattori, l’efficienza di una cella al silicio cristallino è tanto maggiore quanto maggiore è la superficie. Un altro parametro significativo è il cosiddetto Fill Factor (FF), fattore di riempimento, vale a dire il rapporto tra massima potenza e il prodotto della tensione a circuito aperto per la corrente di corto circuito: quanto più rettangolare è la curva tensione-corrente, tanto più efficiente è il Fill Factor, il silicio cristallino ha un FF migliore di quello amorfo15. la tensione a circuito aperto e la tensione e corrente nel punto di massima potenza, infine, sono influenzate dall’aumento della temperatura. esiste, inoltre, una differenza legata alla tipologia del cristallo di silicio: quello monocristallino raggiunge efficienze del 1618%, quello policristallino, ottenuto dalla fusione di più cristalli in un cristallo a forma di parallelepipedo, arriva al 14-15%. le celle in silicio amorfo, infine, sono ottenute vaporizzando il silicio sotto vuoto o in atmosfera controllato su un supporto ultra sottile. impiegano molto meno materiale, sono spesse appena pochi micron, e possono essere applicate su altri materiali. lo svantaggio è legato all’efficienza ridotta, 47 sotto il 10%; molto più efficienti risultano le cellule a eterogiunzione cristallino-amorfa, con risultati che superanno il 20% per la singola cella: un modulo costruito con tale tecnologia può convertire circa il 16-18% dell’energia ricevuta dal sole16. I VARI TIPI DI CELLE FOTOVOLTAICHE il materiale più impiegato nella costruzione delle celle fotovoltaiche è, oggi, il silicio. si tratta di un materiale straordinariamente diffuso, il secondo più diffuso sulla terra dopo l’ossigeno, ma, affinché possa essere impiegato per convertire la radiazione solare in energia elettrica deve essere depurato, un processo tanto più costoso – anche in termini ambientali – quanto più scadente è la qualità del minerale di partenza. Una serie di problemi di carattere geo-politico, economico e ambientale hanno determinato un crescente interesse, da parte dei centri di ricerca, nei confronti di altri materiali, anche organici, ma si tratta di tentativi ancora in fase sperimentale. il silicio viene trasformato in “wafer”, cioè in blocchi di materiale semiconduttore (il minerale raffinato) sui quali vengono applicati circuiti integrati e vari strati di materiali conduttori. di seguito si fornirà un elenco di tipologie di celle in silicio ma anche in altri materiali. Silicio monocristallino: ricavate da un unico cristallo di silicio raffinato, sono le più efficienti rispetto alla radiazione diretta, con una conversione nell’ordine del 16-17%. esse vengono sezionate da lingotti cilindrici, il che comporta un certo spreco di spazio nell’installazione e nella costruzione dei moduli. Silicio policristallino: queste celle sono ricavate da grani cristallini aggregati e ordinati, con un’efficienza, pertanto, inferiore, nell’ordine del 15-16%. sono meno costose di quelle in silicio monocristallino e di più facile installazione. Silicio “ribbon”: in questo caso le celle non vengono tagliate ma colate. il silicio fuso, infatti, viene colato in strati piani sul supporto della cella o sull’intero modulo (che viene successivamente ritagliato con il laser). da un punto di vista economico si tratta di una soluzione estremamente vantaggiosa, ma presenta un limite sostanziale in termini di efficienza, attorno al 14%. Silicio amorfo depositato da fase vapore: queste celle hanno conosciuto un vasto impiego negli ultimi anni, in virtù del costo molto basso e della capacità di assorbire meglio la radiazione silicio monocristallino. silicio policristallino. silicio ribbon. silicio amorfo. 48 diffusa. esse hanno, però, un’efficienza molto bassa, intorno all’8%, che migliora, però, quando il silicio amorfo è combinato con il silicio nano-cristallino: in questo caso le frequenze infrarosse, che l’amorfo non è in grado di recepire, vengono catturate dal silicio nano-cristallino. CIS: i calcogenuri sono composti chimici comprendenti almeno un anione calcogeno (ossigeno, Zolfo, selenio, telluro, polonio) e almeno un elemento elettropositivo. Queste celle sono costruite con strati di calcogenuri, hanno un’efficienza crescente, adesso attestatasi sull’11%, e un costo ancora troppo elevato, ma in prospettiva potrebbero rappresentare una soluzione grazie soprattutto alla possibilità di impiegare materiali di facile reperimento. Celle fotoelettrochimiche: si tratta di celle dotate di pigmenti che reagiscono alla radiazione luminosa, esattamente come avviene nella fotosintesi clorofilliana. rappresentano forse la soluzione migliore per l’integrazione e la flessibilità, e hanno anche costi molto convenienti ma, al momento, hanno efficienza molto bassa e sono soggette a rapido deterioramento. costituiscono, però, una risorsa futura di grande interesse. Cella fotovoltaica ibrida: questa cella combina semiconduttori organici e inorganici. Cella fotovoltaica a concentrazione: si tratta di una delle tecnologie più interessanti e promettenti, sebbene sia, al momento, difficilmente integrabile nell’architettura. È impropriamente inserita in questo gruppo, poiché la peculiarità di tale soluzione non risiede nelle caratteristiche della cella ma nel sistema che ne ottimizza la conversione. alle celle, infatti, è sovrapposta una lente che concentra la radiazione, consentendo rese molto superiori. i modelli migliori, inoltre, hanno moduli inseguitori molto sofisticati, dotati di sensori per l’individuazione continua della radiazione diretta. alcune di queste tecnologie vengono impiegate per realizzare un differente tipo di cella, definita “a film sottile”, e realizzata attraverso la deposizione del semiconduttore su vetro o plastica: quest’ultimo caso è quello dei pannelli flessibili, adattabili a molti e variegati impieghi. Questi pannelli sono meno efficienti ma più economici, anche perché gli sprechi di materiale sono ridotti al minimo. i moduli in film sottile si suddividono in varie categorie a seconda dei materiali semiconduttori depositati su di esso: i più diffusi sono quelli in silici amorfo, con un eroei molto vantaggioso; dei pannelli in cis. celle fotoelettrochimiche. cella fotovoltaica ibrida. cella fotovoltaica a concentrazione. 49 telluro di cadmio e solfuro di cadmio è stata sospesa la produzione a partire dal 2013 a causa dell’elevata tossicità del cadmio, erano prodotti con il sistema dello spray-coating, uno spruzzo di semiconduttore su supporto metallico. i moduli in arseniuro di gallio hanno prestazioni eccezionali, soprattutto rispetto alla radiazione diretta, ma sono molto costosi e sono perciò impiegati in apparecchiature sofisticatissime di committenza pubblica e nicchie di mercato come armamenti ed esplorazione spaziale. a queste vanno aggiunte le celle a eterogiunzione, molto efficienti e resistenti, che impiegano uno strato di silicio monocristallino come sostegno di uno o più strati di amorfo, così da intercettare la maggior parte possibile della radiazione. molto rilevanti, inoltre, le celle in silicio microsferico, nelle quali il semiconduttore è ridotto in sfere applicate a un sostrato di alluminio. la struttura di alluminio è flessibile il che rende questa tecnologia adattabile a quasi qualunque forma. la potenza dei moduli si misura in watt di picco (W o Wp): essa dipende dal numero di celle installate, dalla loro tipologia e dimensione. Un pannello a 36 celle in silicio cristallino libererà una potenza attesa di 60-90 Wp, mentre un pannello con 72 celle arriverà a 160-190 Wp. la necessità di perseguire la massima esposizione fa sì che un modulo fotovoltaico sia tipicamente installato all’aperto, in luoghi non protetti dalle intemperie, ciò impone un rigoroso protocollo di test, al fine di assicurare una vita minima di 20 anni. tale prescrizione, però, è valida solo per alcuni impianti: le installazioni superiori a 3kW, riconosciute aderenti alle tipologie per l’integrazione architettonica, possono includere anche moduli non certificati. Fino a pochi anni fa il collegamento tra pannelli costituiva un aspetto fondamentale perché, a causa della ridotta potenza delle celle e dei moduli, erano necessari molti collegamenti e gli inverter non erano in grado di effettuare il parallelo delle stringhe. al progredire dell’efficienza dei moduli, non ha fatto seguito una significativa innovazione dei collegamenti e, sebbene molti pannelli siano prodotti con allacci predisposti, è bene valutare caso per caso le soluzioni ideali17. in primo luogo è necessario che i moduli abbiano uguali collegamenti e che essi realizzino una matrice (array), con n moduli in serie, ciascuna delle quali si definisce stringa, e m stringhe in parallelo. al fine di perseguire la massima efficienza, è importante che i vari array 50 siano di marca, tipologia, orientamento e condizioni identici: stringmismatch, vale a dire perdite di funzionalità, sono inevitabili ma possono diventare molto considerevoli se non si ottempera a tali adempimenti. il collegamento in serie dei moduli è molto semplice, più complesso quello in parallelo, sebbene molti costruttori predispongano il collegamento in parallelo all’interno del convertitore. Qualora i pannelli non lo prevedano, tali collegamenti vengono ospitati in una cassetta esterna che accoglie anche i dispositivi di protezione delle stringhe, vale a dire un interruttore di manovra-sezionatore e gli scaricatori di sovratensioni: in particolari casi, infatti, può accadere che una stringa abbia una tensione talmente bassa da ricevere corrente dalle altre stringhe, il che può comportare sovraccarichi – e surriscaldamenti – tali da distruggere celle, collegamenti e moduli. l’installazione di dispositivi di protezione è molto semplice nel caso di un massimo di tre stringhe collegate in parallelo; collegare un numero maggiore di stringhe, un caso ricorrente nei grandi impianti che prevedono anche centinaia di arrays, richiede un doppio collegamento per ogni gruppo di stringhe18. tutti questi problemi riguardano la conversione di energia e preludono a uno degli aspetti veramente critici della tecnologia fotovoltaica, il controllo e l’accumulo dell’energia prodotta. 51 ACCUmULO E FLUSSI ENERGETICI: DALLA BATTERIA ALLA RETE l’energia solare è, ovviamente, discontinua, non solo perché soggetta alle condizioni meteorologiche ma, soprattutto, perché dipendente dall’alternanza giorno-notte. tutti gli impianti, quindi, a prescindere dalle dimensioni, necessitano di un regolatore di carica, che bilanci i flussi di energia fra i moduli generatori, le batterie e il carico. nel caso dei grandi impianti, inoltre, è frequente un sistema di cogenerazione, che associ, nelle ore notturne, un’altra fonte energetica. sono attualmente in fase di sperimentazione delle minireti in corrente alternata, con tutti i generatori collegati in parallelo e controllati da un inverter bidirezionale. gli impianti che sfruttano accumulatori elettrochimici, cioè le batterie, devono naturalmente prevedere le infrastrutture adeguate ad accoglierli. senza scendere nel dettaglio, esistono principalmente due tipi di batterie, quelle vla e quelle vrla. le seconde, in grado di ricombinare l’idrogeno e l’ossigeno che si generano durante i processi e quindi bisognose di minore manutenzione, sono tuttavia più sensibili ai sovraccarichi19. gli impianti che adottano questo tipo di soluzione, necessitano di un regolatore di carica, per regolare i flussi di energia, che altrimenti si disperderebbe o danneggerebbe l’impianto (per un sovraccarico, nel caso di batteria troppo carica e generatore ancora attivo, per solfatazione degli elettrodi in caso contrario): monitorando il funzionamento del sistema, un regolatore efficiente può preservare l’impianto e allungarne la vita media. il regolatore può configurarsi, di fatto, come l’elemento precipuo della gestione dell’impianto, poiché esso può ospitare, oltre ai collegamenti fra generatore, accumulo e carichi, sensori di segnale, temperatura, timer, monitoraggio remoto e altro. i regolatori sono di potenza variabile, superiore ai 100 a per i grandi impianti, e differiscono anche in tecnologie e funzioni. i pWm (pulse Width modulation) sono regolatori a commutazione elettronica la cui peculiarità risiede nel graduale distacco del generatore all’avvicinarsi della tensione di fine carica della batteria; i regolatori mppt (maximum power point tracker) servono a conseguire le massime prestazioni nel punto di massima potenza della curva tensione-corrente, pertanto sono destinati a impianti di grandi dimensioni e dai quali sono attesi grandi rendimenti; la tecnologia lvd (low voltage disconnector) ha la funzione precipua di impedire lo 52 scarico completo della batteria20. nei piccoli impianti le batterie sono sufficienti a stabilizzare la tensione: in considerazione di questo ulteriore onere, esse sono progettate per sostenere sbalzi di tensione piuttosto sostenuti. negli impianti più potenti, però, non è più possibile limitarsi agli accumulatori, e nel caso delle grandi installazioni deputate a fornire energia alle reti elettriche, è assolutamente necessario impiegare un elemento che converta il flusso di corrente continua alternandolo alle condizioni della rete: un cavo conduttore sufficientemente grande per trasferire l’energia degli impianti in forma continua, dovrebbe, infatti, essere enorme. gli inverter servono a convertire la corrente continua prodotta dall’impianto alle condizioni di tensione e frequenza della monofase (230 v e 50 hz) e della trifase (400 v e 50 hz). Fino a pochi anni fa gli inverter avevano un contenuto di armoniche molto alto, il che interferiva con altre apparecchiature elettriche, oggi, però, la tecnologia pWm ha ridotto tale componente al di sotto del 5%. più in generale, la diffusione dei motori elettrici – ad esempio nel settore automobilistico – ha innescato un’evoluzione degli inverter che sono diventati più efficienti ed economici. l’importanza centrale dell’inverter nel funzionamento dell’impianto fotovoltaico, impone al progettista alcune attenzioni: - l’apparecchiatura deve essere il più possibile vicina al pannello: prima di essere convertita dall’inverter, infatti, l’energia è continua e i collegamenti in corrente continua sono di difficile gestione, anche perché di grosse dimensioni, costosi e soggetti a perdite di energia. - l’inverter è attraversato da forti flussi elettrici e tende al surriscaldamento, è necessario, pertanto, preservarlo dal sole diretto, soprattutto in estate, quando il calore eccessivo potrebbe causare l’attivazione dei sistemi di raffreddamento e, nei casi più gravi, danni permanenti all’impianto. - È altresì importante che il luogo deputato a ospitare l’inverter non sia soggetto a forti sbalzi termici, onde evitare fenomeni di condensa, soprattutto se l’inverter non è completamente stagno. - il progettista non potrà non tenere conto della rumorosità di certe ventole di raffreddamento, necessarie soprattutto nel caso di inverter che gestiscono stringhe21. Un’indicazione interessante viene dai grandi impianti, per i quali è necessario decidere se optare per un sistema con un solo inverter o con più inverter: la prima soluzione risulta apparentemente più economica ma anche molto più problematica. in primo luogo, diviene più semplice 53 componentistica elettrica di un impianto fotovoltaico dal 3 kw. effettuare la manutenzione, la riparazione e la sostituzione; in caso di guasti, si minimizza la possibilità che il danno interessi molti moduli; infine, e soprattutto, la presenza di più inverter consente maggiore flessibilità di configurazione, permettendo di variare assetto, orientamento, collegamenti, il che consente, ad esempio, di installare moduli anche in spazi con differenti condizioni orografiche e/o di ombreggiamento. Queste osservazioni valgono a chiarire, una volta di più, come i grandi impianti (e per grandi impianti si intendono anche quelli da poche serie), presentino numerose criticità che verranno meglio esplicitate nei paragrafi successivi. parcellizzando le concentrazioni in impianti più piccoli, diviene invece possibile sfruttare al meglio la risorsa fotovoltaica, affrontando con maggiore efficacia operativa le difficoltà connesse a questa tecnologia. Questa premessa sulle caratteristiche tecniche e costruttive del pannello, vale a introdurre il tema, decisamente più interessante per l’architetto, della realizzazione degli impianti e della loro localizzazione più opportuna. il primo parametro di cui tenere conto riguarda, certamente, le condizioni meteorologiche: l’abbondante flusso di energia proveniente dal sole, infatti, viene in larga parte filtrato e respinto dall’atmosfera, le radiazioni si riducono e quelle che arrivano al suolo sono ulteriormente scremate da nubi, particolati sospesi, o elementi ombreggianti, come rilievi, edifici, alberi. nella progettazione dell’impianto, pertanto, l’architetto dovrà tenere conto di una combinazione di fattori e mettere in condizione i moduli di produrre il massimo dell’energia e di affrontare, così, i periodi nei quali è massimo il divario fra risorsa solare e consumo. tale obiettivo può essere perseguito secondo due strategie principali: con la disponibilità di efficaci sistemi di accumulo o di connessione alla rete, è possibile cercare la produzione media migliore e più elevata, al fine di accumulare energia o credito energetico per i periodi critici; diversamente si possono impiegare particolari orientamenti, o sistemi come gli inseguitori solari, per produrre energia in quasi ogni momento. in italia si è calcolato, ad esempio, che un orientamento sui 30° garantisce la massima produzione nel corso dell’anno, mentre un inclinazione sui 60° ottimizza la produzione nei periodi sfavorevoli. a seconda dei luoghi è stata calcolata la radiazione globale g e il suo angolo di incidenza sulla superficie terrestre: la radiazione g è costituita da radiazione diretta, diffusa e albedo, e ciascuna cella fotovoltaica è progettata per beneficiare particolarmente di una delle 54 tre componenti. nonostante siano disponibili tabelle con le radiazioni per ogni singola località, è compito del progettista verificare se le condizioni ambientali consentono l’apporto che viene calcolato oppure no, valutando, con una simulazione al computer o un’ispezione, se il profilo delle ombre non risulti troppo penalizzante; è necessario tenere conto anche dell’ombreggiamento che ciascuna fila di pannelli può proiettare su quella successiva, qualora i moduli siano installati in file parallele su cavalletti. nell’effettuare la valutazione, bisogna considerare che le ombre ridimensionano particolarmente la radiazione diretta, ma sono quasi irrilevanti per quella diffusa che, in inverno, costituisce il 50% della radiazione globale. È bene ricordare, inoltre, che basse inclinazioni del pannello sull’orizzonte massimizzeranno la conversione di energia nei mesi più soleggiati, beneficiando della perpendicolarità dei raggi, ma ridurranno drasticamente la produzione nei mesi più nuvolosi; è particolarmente opportuno, nel caso di utenze isolate, verificare che il percorso del sole, soprattutto nei mesi invernali, non sia interciso da elementi che possono proiettare ombre, e, infine, mentre per piccoli impianti è sufficiente verificare l’ombreggiatura in un unico punto, per i grandi impianti è necessario monitorare con attenzione tutta l’estensione dell’installazione: i rischi connessi a un calcolo sbagliato, infatti, non riguardano solo un deficit di produzione, ma possono tradursi in gravi danneggiamenti dell’impianto, poiché le celle ombreggiate, che quindi non producono energia, potrebbero essere attraversate dall’energia prodotta da altre celle – con rischio di sovraccarichi e danni molto onerosi – o potrebbe lesionarsi il vetro protettivo del pannello, a causa dello shock termico22. Un discorso analogo vale per la temperatura, un parametro molto importante, poiché le celle funzionano in maniera ottimale solo in precisi intervalli. anche in questo caso, un errore di progettazione potrebbe danneggiare gravemente l’infrastruttura: un’implicazione importante di questa considerazione riguarda le applicazioni dei pannelli, sempre più spesso direttamente giustapposti sulle superfici. si tratta di un impiego pericoloso, poiché buona parte della radiazione solare attirata dal pannello non viene convertita in energia elettrica e rimane come energia termica, determinando un severo surriscaldamento del pannello con l’esigenza di un sistema di raffreddamento passivo; incollare il pannello a una superficie impedisce il passaggio d’aria necessario a ridurra la temperatura. È infine opportuno dedicare qualche considerazione alle problematiche relative ai fenomeni meteorologici. la necessità di installare gli 55 danni da schock termico su un modulo fotovoltaico. impianti in condizioni di massima esposizione, per ottimizzare la conversione di energia, espone i pannelli alle intemperie, a cominciare dai fulmini. nel caso di questi fenomeni, eventi di tipo impulsivo, costituiti dal passaggio di cariche elettriche tra le nuvole e il suolo, il rischio per l’impianto è sostanzialmente legato al livello di rischio dell’edificio, che non è inficiato dalla presenza dei moduli: nel caso di edifici a rischio, però, è fondamentale che gli impianti non siano installati in assenza di sistemi lps (lightning protection system) e che, in presenza di tali sistemi, siano inclusi nell’area protetta, poiché i danni provocati dall’impatto dei fulmini sarebbero irrimediabili. È necessario che l’impianto sia preservato anche dai campi elettromagnetici generati dall’impatto di fulmini nelle vicinanze, tramite impianti spd (surge protection device)23. 56 PROBLEmI E CRITICITà CONNESSI CON L’USO DEL FOTOVOLTAICO l’energia è, probabilmente, il nodo centrale delle questioni dell’umanità e il sogno dell’autosufficienza energetica realizzata dal fotovoltaico ha alimentato, com’è ovvio, forti aspettative, suggerendo la possibilità di un futuro confortevole e sicuro con energie pulite. il forte business ventilato da produttori e governi ha incoraggiato una campagna apologetica che, se ha costruito un’incipiente sensibilità ambientalista presso cospicui strati della popolazione, non ha però informato, promuovendo una serie di persuasioni fallaci i cui esiti si riscontrano oggi in molti impianti. di contro, altre lobby e altri orientamenti culturali hanno sostenuto una campagna denigratoria che stigmatizzava alcune caratteristiche del fotovoltaico, soprattutto la filiera, spesso senza fondamento. si cercherà qui di ricostruire il complesso di problemi connessi all’uso del fotovoltaico, procedendo dalla scala minima della cella e del modulo a quella più generale connessa al reale impatto ambientale che il fotovoltaico e la sua produzione comportano. Uno dei temi centrali relativi alla corretta installazione del pannello, riguarda la temperatura. mentre in un impianto solare più alte sono le temperature migliore è la resa, le tecnologie fotovoltaiche patiscono l’eccesso di temperatura con una riduzione dell’efficienza. mentre il 1015% dell’energia espressa dalla radiazione solare viene convertito in energia elettrica, la rimanente parte si disperde sotto forma di calore. le celle in silicone cristallino lavorano bene a una temperatura ambientale di 25 c°, temperature superiori riducono la conversione anche di uno 0,5%/c°24, il che fa sì che la resa di un pannello in germania sia analoga a quella di un pannello collocato all’equatore. la temperatura non riguarda, però, solo la resa ottimale. anche con una temperatura di 25 c° il retro del pannello raggiunge una temperatura di 50-60 c°, fino a 75 c°, in estate25, e che possono diventare molto superiori in caso di malfunzionamento di una o più celle. in questo caso non è marginale il rischio che si sviluppi un incendio, evenienza che si è verificata molto spesso. il surriscaldamento delle celle, inoltre, le danneggia e può danneggiare anche altri componenti del modulo o addirittura dell’impianto. per prevenire il rischio di incendi e di danneggiamento dell’impianto per surriscaldamento, è necessario dotare l’impianto di sensori di temperatura, sottoporlo a termografie 57 malfunzionamento delle celle fotovoltaiche rilevato con la termocamera. incendio provocato dal surriscaldamento dei moduli fotovoltaici. polvere depositata sui moduli fotovoltaici. regolari e, soprattutto, evitare le installazioni a contatto, vale a dire senza un intervallo di almeno 5-6 cm fra il pannello e la superficie di appoggio. È necessario, infatti, che il retro del pannello sia opportunamente ventilato per contenere l’incremento delle temperature, ed è altresì fondamentale che la superficie sottostante sia di un materiale termoresistente, per non fondersi, dilatarsi o danneggiarsi26. tale prescrizione, tuttavia, non è rispettata in molti impianti, con il fotovoltaico applicato direttamente sulle superfici, senza gli opportuni varchi per l’aerazione. gli impianti “integrati” su coperture piane, ad esempio, adottano delle guaine impermeabili applicate appena sotto il modulo e soggette, pertanto, alle elevate temperature liberate dal pannello. si tratta di un grave problema che comporta elevati costi di riparazione e manutenzione, non giustificati nemmeno dai benefici del conto energia. le temperature elevate e gli sbalzi termici possono danneggiare anche altre parti del modulo, a cominciare dal vetro: come si è anticipato prima, l’ombreggiamento di una parte dell’impianto non comporta solo un calo dei rendimenti ma può determinare un passaggio di corrrente dalle altre celle – con conseguenti danni alla cella in ombra – o una frattura del vetro a causa del differenziale di temperatura fra la parte esposta e la parte in ombra. Un altro problema riguarda il materiale delle celle, visto che silicio monocristallino, policristallino e amorfo hanno rendimenti differenti a seconda delle temperature: in particolare, i moduli più moderni in silicio amorfo a tripla giunzione sembrano rispondere meglio alle temperature elevate, sebbene non vi sia accordo sulla questione. esiste, infine, un problema legato alla condizione dei vetri, alla rapidità con la quale essi si sporcano e ai rischi di danneggiamento ai quali sono soggetti. affinché 58 avvenga il processo di conversione della radiazione luminosa in energia elettrica, è necessario, infatti, che lo strato di vetro sulle celle sia trasparente e non arresti la corsa dei fotoni. essendo, ovviamente, disposti all’esterno, però, i moduli si sporcano rapidamente, rendendo necessarie pulizie anche molto frequenti. la necessità di disporre molti pannelli in spazi contenuti, però, ricorrente soprattutto presso abitazioni private, induce i progettisti a non prevedere intervalli che, invece risulterebbero molto utili a effettuare operazioni di manutenzione e pulizia; un altro errore frequente consiste nel prevedere passaggi di accesso alla prima e all’ultima fila, trascurando quelle centrali che divengono, di fatto, irraggiungibili se non con impegnativi e onerosi interventi con attrezzature specifiche. nel caso di grandi impianti si è diffuso il ricorso a robot in grado di pulire grosse superfici in poco tempo. È importante sottolineare, ancora una volta, che queste problematiche non limitano semplicemente l’efficienza del pannello, ma comportano rischi di danneggiamento per l’intero impianto. inoltre, ragionando in termini di investimento economico, inefficienze e danneggiamenti procrastinano il break even point rendendo, di fatto, non più conveniente l’installazione dell’impianto. le riparazioni di alcune componenti, infatti, e una manutenzione resa più ardua da una disposizione non funzionale, possono far lievitare i costi di gestione in maniera indefinita, assorbendo i benefici provenienti dal risparmio, dal conto energia e da eventuali surplus venduti27. su una scala più ampia si collocano i problemi relativi agli impianti, vale a dire quelle criticità connesse al complesso dei moduli. Una prima questione riguarda il peso degli impianti, un tema di grande importanza nel caso di installazioni su tetti e coperture. Un modulo fotovoltaico ha un peso di 10-12 kg/mq, sebbene esistano modelli di alta gamma con un peso anche doppio; al peso del modulo e delle strumentazioni connesse, è necessario aggiungere, soprattutto in caso di coperture piane, il peso delle strutture di sostegno, generalmente traversine di alluminio, e delle zavorre, necessarie a scongiurare l’effetto vela. in una zona a media ventosità, pertanto, il peso di un impianto raggiunge un carico di 40/50 kg/mq, un carico minimo, tutto sommato, ma che necessita comunque della consulenza di uno strutturista, un onere che molti proprietari, che procedono a un’installazione sul costruito, non intendono sostenere. particolari condizioni di ventosità, o impianti di taglia media e grande, muniti di pesanti inverter, impongono sfide più impegnative, in tutti casi, 59 sistema di pulizia dei moduli fotovoltaici. Zavorre per la stabilità dei moduli fotovoltaici. strutture di sostegno di un impianto fotovoltaico. problemi all’impianto fotovoltaico connessi alla neve. riscaldatore per modulo fotovoltaico in caso di neve. comunque, è necessario che i carichi siano opportunamente distribuiti sulle strutture portanti. nelle zone fredde, indipendentemente dalle latitudini, esiste un problema legato alle precipitazioni nevose: a prescindere dall’inclinazione ideale, infatti, i pannelli vanno disposti tenendo conto della necessità di far scivolare via la neve, acciocché essa non si depositi e non gravi ulteriormente sulla struttura. se si considera che più alte sono le latitudini minore è l’inclinazione del pannello, si comprenderà che ciò può compromettere seriamente la resa degli impianti. per concludere la questione relativa al peso, infine, sarà bene osservare che alcune grandi architetture che integrano vasti impianti fotovoltaici in facciata o in copertura, non tengono conto del peso di grandi pannelli, talvolta costruiti appositamente. tale peso non comporta solo problemi strutturali, peraltro facilmente risolvibili, ma aumenta di molto la complessità e i costi delle operazioni di manutenzione, pulizia e sostituzione28. esiste, poi, un problema legato alla qualità delle reti elettriche, che coinvolge, ovviamente, gli impianti grid connected. esistono due problemi principali, il primo relativo all’approvvigionamento dalla rete degli impianti che effettuano lo scambio sul posto: in primo luogo l’impianto per la transazione è a carico del proprietario dell’impianto, con un onere non marginale nel caso di un impianto isolato; in secondo luogo, in molte aree, soprattutto in italia, i lavori risultano complicati dall’inefficienza della rete elettrica e dalla vetustà degli impianti e degli accessi, senza considerare che molte porzioni del territorio nazionale rimangono tuttora non servite dalla rete elettrica. Un secondo problema riguarda la capacità stessa della rete, inadeguata a sostenere i carichi elettrici che possono provenire dagli impianti nelle ore di maggiore irraggiamento: il rischio di sovraccarichi, con consenguenti black-out e perdite di energia è, in molte regioni, tutt’altro che remoto. per quanto concerne la disposizione e l’installazione degli impianti, soprattutto nell’ottica dell’integrazione nell’architettura, il nodo centrale risiede però nelle divergenze funzionali fra il fotovoltaico e altre componenti, un tema che si manifesta con particolare evidenza in italia. la logica dell’impiego del fotovoltaico, infatti, prevede la massima esposizione al sole, nelle aree più soleggiate saranno privilegiati l’orientamento e l’inclinazione più indicati a intercettare i raggi perpendicolari del meriggio estivo. ciò, di fatto, non solo impedisce il ricorso a serre fotovoltaiche e infissi con vetri fotovoltaici, ma consente l’applicazione dei moduli solo su strutture massive e termoresistenti, come le spesse mura perimetrali: soluzioni più leggere 60 – e di più facile integrazione – possono trovare, pertanto, impiego solo a più elevate latitudini. tutte le problematiche esaminate riguardano i limiti economici e tecnici dell’impiego del fotovoltaico ma non inficiano la validità della tecnologia come alternativa sostenibile ad altre fonti di approvvigionamento energetico, come i combustibili fossili. tuttavia la sostenibilità del fotovoltaico è tutt’altro che acquisita e presenta, invece, numerose aree oscure, alcune delle quali artatamente proiettate dalla propaganda di potenti lobby. Uno degli argomenti principali dei detrattori del fotovoltaico riguarda la filiera, cui viene attribuito un devastante impatto ambientale. si tratta di una falsità e da più di un punto di vista. la vulgata vuole, ad esempio, che la produzione di un pannello costi molta energia, più di quanta esso ne converta: mentre il payback time è di sette anni, però, il costo in energia, convenzionalmente indicato come energia grigia, viene recuperato in appena due anni, meno del 10% della vita media del pannello, poiché calcoli recenti indicano un consumo di 250 kwh per 1 mq di pannello in silicio cristallino. altre indagini indicano in 20-60 g di co2 per kWh il costo in anidride carbonica della produzione di energia elettrica da fotovoltaico, una quantità oltre dieci volte inferiore (molto di più nell’europa mediterranea e in nord africa) a quella prodotta dai combustibili fossili29. per quanto riguarda la realizzazione dell’hardware, si è suggerito che la filiera di produzione sia altamente inquinante. le celle fotovoltaiche sono costituite essenzialmente di silicio, un minerale che è anche il secondo elemento più abbondante sulla terra. il silicio utile a costruire i pannelli deve essere purissimo, almeno al 98%, il che richiede un processo di raffinazione: il metodo oggi impiegato è il processo siemens, un sistema che ha una serie di vantaggi, a cominciare dalla possibilità di convertire il minerale, più volte, in diverse condizioni di purezza; il problema principale, da un punto di vista ambientale, è legato all’uso di acido cloridrico, un acido forte necessario a innescare le reazioni per purificare la sostanza. naturalmente si tratta di un processo inquinante, soprattutto se condotto in assenza di accurati monitoraggi: è stato stimato che negli stati Uniti il rilascio totale (in aria, nell’acqua, nel sottosuolo, ecc.) di acido cloridrico ammonti a più di 270 milioni di chilogrammi all’anno30. sempre secondo la stessa fonte, la maggior parte dell’acido cloridrico rilasciato (circa l’88,5%) riguarda i servizi elettrici31. È possibile, anzi, è necessario, ribaltare il ragionamento: i pannelli fotovoltaici sono un prodotto industriale e non ha senso considerarli diversamente; il silicio 61 il silicio si ottiene tramite il lavaggio chimico della sabbia quarzosa seguito da un processo di fusione. e gli altri minerali – impiegati in tipologie differenti di moduli – sono sostanze adottate in tutti i prodotti elettrici, e l’elevato impatto ambientale della tecnologia fotovoltaica è in realtà analogo a quello di tutti gli altri prodotti similari; tale impatto non è solo ridimensionato dall’impiego dei pannelli per produrre energia “pulita”, ma, da un punto di vista della filiera, risulta contenuto dalla possibilità di riciclare la grande maggioranza dei componenti, che l’incremento dei costi di molte materie prime ha reso oggi più appetibili che mai. Un problema reale è rappresentato, invece, dalla disponibilità della materia prima: nonostante il silicio sia straordinariamente abbondante, grandi corporations si sono mosse, già negli anni ottanta, per rilevare tutti i siti di più facile ed economica estrazione e oggi gestiscono un sostanziale monopolio32. si faceva riferimento, prima, all’inadeguatezza delle reti elettriche: oltre ai problemi già individuati, esiste un grave rischio ambientale connesso a questa condizione. la difficoltà di praticare lo scambio sul posto e, più in generale, di raccordare gli impianti alla rete, ha infatti riproposto il ricorso agli accumulatori elettrochimici, le batterie tradizionali, sui quali si stanno polarizzando grossi investimenti di potenti lobby. nonostante la ricerca stia conducendo ad accumulatori sempre più longevi e potenti, rimane il fatto che le pericolosissime sostanze impiegate nella loro realizzazione non possono essere recuperate e riciclate dopo l’esaurimento ed esistono fortissimi rischi di dispersione nell’ambiente. È significativo rammentare come siano state proprio le immagini di enormi discariche di batterie a segnare un punto di svolta, nell’opinione pubblica, a favore del fotovoltaico, tecnologia in grado di portare l’energia dove non potevano arrivare reti elettriche e generatori a diesel. i grossi interessi economici che si stanno concentrando sugli accumulatori sono preoccupanti non tanto nell’immediato, quanto perché essi potrebbero, in un futuro prossimo, condizionare anche gli interventi legislativi e le nuove forme di incentivi. Un ulteriore nodo riguarda le installazioni a terra. numerose segnalazioni di associazioni ambientaliste hanno evidenziato una forte mortalità di piccoli animali nelle aree limitrofe agli impianti fotovoltaici. esistono anche alcune inchieste, avviate da magistrature italiane, per approfondire la questione, ma è probabile che la responsabilità ricada, principalmente, sui potenti diserbanti irrorati nei campi per impedire la proliferazione della vegetazione. non esistono evidenze, invece, che indichino la contaminazione dei terreni a causa dei metalli pesanti 62 contenuti nei pannelli. i danni arrecati da questi impianti ai suoli, però, non sono solo di tale natura: la propaganda a favore di queste installazioni, a vocazione fortemente speculativa, propugnava la garanzia che, trascorsi i termini del contratto e smantellati gli impianti, il terreno sarebbe tornato pienamente coltivabile. ciò non è vero, e perché i terreni, soggetti a continui trattamenti diserbanti molto potenti, assumono connotati bio-chimici inadeguati all’agricoltura,e perché l’impianto a terra non è costituito solo dai moduli, ma da infrastrutture di sostegno, di connessione, canaline di cemento per alloggiare i cavi, i sensori, gli inverter, strutture di gestione e altri elementi di difficile rimozione. scaduto il contratto di noleggio del suolo, pertanto, ciò che viene restituito all’agricoltore è, normalmente, un terreno distrutto. non sorprende, pertanto, che in un mercato che ha fortemente rallentato a seguito della sospensione – a tempo indefinito – del conto energia, molte aziende installatrici si siano riconvertite ad attività di manutenzione e implementazione degli impianti esistenti, specializzandosi negli interventi relativi alle numerose criticità qui evidenziate33. 63 CONTO ENERGIA E IL CASO ITALIANO nella scelta di installare un impianto fotovoltaico rivestono un ruolo sostanziale, certamente, le motivazioni etiche, ma il progettista dovrà conferire congruità economica a un simile investimento: il perseguimento della sostenibilità economica, infatti, è una condizione fondamentale anche per la diffusione e sistematizzazione del ricorso a questa tecnologia. da un punto di vista economico, un impianti fotovoltaico può essere gestito come un vero e proprio investimento, con un cash-flow valutabile ogni anno, nella quale i costi di manutenzione, pari all’1% nel caso degli impianti in rete, e al 3-5% nel caso di impianti isolati, corrispondono agli oneri di investimento, e i rendimenti possono essere valutati: - a moneta costante, cioè senza tenere conto di inflazione e tasso di interesse. si tratta della soluzione ideale per operare analisi indipendenti dallo scenario; - a moneta corrente, vale a dire computando l’inflazione, il che consente di elaborare serie statistiche con validità proiettiva, adatte, cioè, a misurare l’opportunità di investimenti futuri; - a valore attualizzato, che include, oltre all’inflazione, il tasso di interesse, misura ideale per comparare e sommare investimenti avvenuti in epoca differente. i costi da sostenere per l’installazione di un impianto fotovoltaico sono così sintetizzabili: - costo dell’ingegneria (spese per lo studio di fattibilità e progetto esecutivo); - costo per l’acquisizione del terreno, qualora applicabile; - costo per l’edilizia, che include, naturalmente, anche gli interventi necessari a predisporre il sito ad accogliere le strumentazioni collaterali, non incluse nei moduli ma necessarie al loro funzionamento; - costo dei materiali, macchine e attrezzature; - costo del montaggio; - costo di beni immateriali (brevetti, concessioni, licenze etc.)34. esistono inoltre dei costi finanziari, soprattutto nel caso di impianti installati non presso privati ma presso aziende. in questo caso sarà necessario prevedere i costi per gli interessi passivi, il costo del capitale circolante e, ovviamente, i costi legati al personale e ai collaudi. alcune 64 costo di un impianto fotovoltaico. di queste voci sono una tantum, altre vanno affrontate in un dato periodo, e riguardano le spese vive, la manutenzione, e i deficit dovuti alle inefficienze. È stato calcolato che il rientro medio dell’investimento, per un privato, ammonta a 7,3 anni, un tempo lungo ma sostenibile, considerato che la vita media di un pannello è di circa 20 anni. l’italia ha scelto di incentivare il ricorso al fotovoltaico incentivando la valorizzazione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili: il conto energia, introdotto nel 2005, riguardava non solo la produzione di energia ma l’intero iter, includendo l’autoconsumo, la vendita e lo scambio sul posto. l’energia prodotta da un impianto in conto energia viene misurata all’uscita dall’inverter e, moltiplicata per la tariffa incentivante, costituisce il conto energia: rc = energia prodotta x tariffa incentivante Quella quota di energia che viene consumata dal produttore genera un risparmio che ha un valore economico, e l’energia rimanente deve essere venduta, procurando un ulteriore valore economico pari alla quantità di energia per il prezzo di vendita. in generale, pertanto, la remunerazione complessiva prodotta da un impianto fotovoltaico corrisponde alla somma di rc (conto energia) + ra (energia autoconsumata) + rv (energia venduta). nel caso di impianti con una potenza inferiori ai 20 Kwp, è possibile accedere al regime di scambio sul posto, nel quale l’energia prodotta viene considerata tutta autoconsumata. Uno degli aspetti più rilevanti del conto energia italiano consiste 65 nel fatto che esso introduce il tema dell’integrazione degli impianti nell’architettura, premiando, con tariffe incentivanti più generose, gli impianti che vengono giudicati integrati nei manufatti architettonici, in base a una classificazione in tre livelli: non integrato, parzialmente integrato e integrato. ai fini della classificazione è stato elaborato un sistema di valutazione che risulta di grande interesse per questa trattazione. sono considerati parzialmente integrati quegli impianti che: - siano installati su tetti piani e terrazzi degli edifici. Qualora sia presente una balaustra, è previsto che l’asse mediano dei moduli non sia a una quota superiore dell’altezza minima della balaustra; - siano installati su tetti, coperture, facciate, balaustre o parapetti, in maniera complanare alla superficie ma senza sostituire i materiali; - siano installato su elementi di arredo urbano, conformemente a quanto detto prima, vale a dire senza che ciò comporti una sostituzione dei materiali del manufatto di supporto. in altre parole, la giustapposizione di elementi fotovoltaici su manufatti architettonici viene giudicata una parziale integrazione, affinché, invece, l’intervento sia giudicato integrato, è necessario ottemperare una delle seguenti condizioni: - che i moduli fotovoltaici a rivestimento di tetti, coperture e facciate sostituiscano i materiali e siano orientati allo stesso modo dei materiali originali, con la medesima funzionalità architettonica; - che essi costituiscano la struttura di pensiline, pergole e tettoie; che i moduli sostituiscano il materiale trasparente delle coperture di edifici, atto a permettere l’illuminazione naturale; - che i moduli fotovoltaici sostituiscano parte dei pannelli fonoassorbenti delle barriere acustiche; - che i moduli fotovoltaici siano inseriti nella parte esposta al sole di elementi di illuminazione; - che i pannelli costituiscano la struttura di frangisole, persiane e la copertura di balaustre e parapetti; - che i moduli fotovoltaici sostituiscano o integrino le superfici vetrate delle finestre. più in generale, gli interventi che prevedono una sostituzione dei pannelli ai materiali originali, o l’aderenza del materiale fotovoltaico al materiale di supporto, vengono considerati integrati. si tratta di un criterio che, ovviamente, molto poco a che vedere ha con il concetto di integrazione in architettura. sebbene la relazione con l’architettura costituisca oggetto 66 schema a blocchi di un piccolo impianto fotovoltaico connesso alla rete. specifico del capitolo successivo, è importante anticipare che le caratteristiche del conto energia hanno fortemente informato la progettazione con il fotovoltaico in questi anni, non sempre in maniera proficua, come si vedrà; le pressioni di importanti interessi finanziari, inoltre, hanno di fatto mutato lo spirito dell’intervento, poiché, ad esempio, sono state previste tariffe incentivanti incrementate del 5% per impianti maggiori di 3kW, non integrati architettonicamente, i cui soggetti responsabili impieghino l’energia prodotta in modo tale da conseguire il titolo di autoproduttori; agevolazioni analoghe spettano a quei grandi impianti dei quali siano responsabili scuole e strutture sanitarie pubbliche, o comuni sotto i 5000 abitanti; tariffe agevolate, infine, anche per quegli impianti che sostituiscono coperture in eternit. con l’entrata in vigore del conto energia si evidenziò, quasi subito, una grave difficoltà a identificare gli impianti, un problema che poteva scoraggiare nuovi investimenti: si è deciso, pertanto, di applicare il conto energia non più all’intero impianto, ma a sezioni di impianto, così da poter combinare elementi integrati ed elementi non integrati, purché ciascuna sezione risponda a una – e una sola – tipologia di integrazione. la stessa disposizione regolava anche lo scambio sul posto, un servizio applicabile a impianti di potenza nominale inferiore a 200 kW ed erogato dal gse. lo scambio sul posto impiega la rete elettrica come un accumulatore, discernendo l’attività di produzione da quella di consumo e consentendo, quindi, un uso abbondante anche nelle ore non produttive. gli scambiatori possono essere allacciati anche a più impianti, purché ciascuno di essi ottemperi ai requisiti richiesti. allo stato attuale, il calcolo compensativo avviene ex post: il produttore paga tutta l’energia che preleva dalla rete, il gse, unico soggetto intermediario, gli riconosce un canone per quella prodotta e 67 venduta. l’energia immessa in rete viene valutata secondo parametri che tengono conto, ad esempio, dell’orario di produzione, il che rende ancora più vantaggioso lo scambio, poiché l’orario di massimo consumo è, spesso, anche l’orario di maggiore conversione. Qualora l’impianto sia di proprietà dei comuni, inoltre, è consentito che i punti di immissione dell’energia in rete, e i punti di prelievo, non coincidano. dal 2005 al 2013 si sono susseguiti cinque conti di energia, ciascuno dei quali a emendare o ridefinire quelli precedenti. nel luglio 2013 si è concluso il quinto conto energia, senza prospettive di rinnovo e senza incentivi sostanziali, eccezion fatta per degli sgravi fiscali sugli impianti. il bilancio sull’efficacia dei provvedimenti è, però, contraddittorio. certamente esso ha liberato grandi risorse e ha fortemente incrementato il mercato del fotovoltaico in italia: tra 2008 e 2013 sono stati allacciati alla rete oltre mezzo milione di impianti, per circa 17 gW di potenza complessiva, con evidenti benefici per produttori, distributori, installatori e con il nascere di una piccola ma florida economia di scala, oggi messa in crisi dall’esaurimento degli incentivi35. Questa spinta è stata però caratterizzata da un approccio probabilmente troppo superficiale nell’analisi delle problematiche connesse all’impatto degli impianti sul contesto e sul paesaggio e gli incentivi destinati ai grandi impianti hanno attirato capitali, anche di molto dubbia origine, impiegati in speculazioni finanziarie come quelle cui si è fatto riferimento nel capitolo precedente. il quinto conto energia ha cercato di correre ai ripari, imponendo severi limiti all’utilizzo di superfici agricole per le installazioni di fotovoltaico ma, di fatto, il fiorire dei grandi impianti si è arrestato solo con la conclusione del conto energia e con le incertezze sui provvedimenti futuri. le prescrizioni inerenti all’integrazione della tecnologia negli edifici, prima elencate, dimostrano quanto superficiale sia stato l’approccio in materia architettonica: si è attribuito un connotato inappropriato alla mera sostituzione di un materiale con superfici fotovoltaiche, una prassi che ha determinato i seguenti esiti negativi: - non ha incoraggiato una riflessione sul concetto di integrazione, sulle variazioni linguistiche che il fotovoltaico può e deve introdurre nell’architettura; - non ha promosso un approccio integrato con l’obiettivo dell’efficienza energetica, ricompensando la sola installazione di impianti di conversione energetica; - ha spesso promosso installazioni inefficienti e problematiche, come si evidenzierà nel paragrafo successivo. 68 il conto energia, infine, ha posto un problema di etica fiscale, poiché gli incentivi sono stati finanziati dagli aggravi in bolletta a tutti gli utenti della rete elettrica, una procedura che, nonostante abbia avuto impatto contenuto sulle finanze degli utenti, ha però alimentato diffidenze nei confronti delle energie rinnovabili. gli incentivi addebitati in bolletta, infatti, ammontano a circa 2.7 miliardi per il 2010, una cifra corrispondente a meno della metà di quanto addebitato per altri oneri, tra cui lo smantellamento delle centrali nucleari che costa ancora 400 milioni di euro all’anno, e, soprattutto, le “fonti assimilate” (1.2 miliardi all’anno): si tratta di fonti energetiche terribilmente inquinanti che impiegano, fra le altre cose, le raffinerie di petrolio e la combustione dei rifiuti. i seguenti esempi sono tratti da un documento ufficiale del gse che li indica come “impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative”: è bene chiarire subito che il documento fa riferimento al v conto energia, ed è aggiornato all’agosto 2012, quindi compendia la gran parte dei risultati dell’ultimo intervento. Questa disamina dimostrerà come incompetenza, sciatteria e intenti speculativi abbiano sciupato una preziosa occasione e molti milioni di euro. le tipologie individuate dal catalogo operano una distinzione fra moduli flessibili e moduli rigidi, questi ultimi ancora ripartiti in moduli a film sottile, tegole fotovoltaiche e moduli trasparenti36. - Locorotondo. Questo intervento dispone due array di moduli fotovoltaici flessibili su una copertura piana. l’installatore, per raggiungere i 6 kWp, ha disposto i moduli in maniera irregolare, stendendo una fila di quattro pannelli sopra una di tre e allineandone un’altra stringa in un’altra zona del terrazzo. la qualità dei raccordi elettrici, inoltre, dà la cifra esatta di quanto approssimativo sia stato l’intervento che pure ha meritato una menzione sul catalogo degli impianti innovativi e integrati. locorotonto, Bari. - Argenta. molte aziende si sono specializzate, in questi anni, nella produzione di elementi di copertura in alluminio con fotovoltaico integrato. l’esistenza di questi elementi prefabbricati rende più facile l’integrazione nei grandi capannoni industriali, grazie argenta, Ferrara. 69 anche alla modularità delle strutture. il progettista non ha previsto delle passerelle per la manutenzione e la pulizia degli impianti. - Conegliano, Piovene Rocchetta. Questi due esempi di edifici produttivi con pv in copertura, dimostrano, però, come l’esistenza di moduli prefabbricati non garantisca un’integrazione almeno composta. nel primo caso, è possibile discutere l’estetica degli elementi fissanti color mattone ma anche la collocazione dei pannelli fotovoltaici che risultano sempre parzialmente ombreggiati. nel secondo caso si evidenzia l’impatto percettivo preminente delle traversine in alluminio. conegliano, treviso. - Putignano. il dettaglio evidenzia un grave errore di installazione. i contatti elettrici sono parti cruciali dell’impianto, devono essere preservate dal surriscaldamento – a maggior ragione nell’assolata puglia – e dagli agenti atmosferici. come si è evidenziato nella prima parte di questo capitolo, il malfunzionamento di un singolo modulo può avere gravi ripercussioni sull’intera stringa e sui sistemi di controllo. piovene rocchetta, vicenza. - Valdieri. Questo intervento evidenzia uno dei comportamenti più frequenti nell’impiego di fotovoltaico: la copertura viene rivestita di pannelli ma non integralmente, perché magari si è raggiunta la potenza richiesta o perché lo spazio residuo non è sufficiente a installare un altro pannello. in questo caso l’errore è duplice, perché non solo non si è valutato l’impatto dell’intervento, ma non si è pensato di distribuire diversamente i pannelli, magari disponendoli alle estremità, lasciando libera una fascia centrale che consentisse uno spazio per eventuali interventi. putignano, Bari. - Roma. esistono diversi tipi di tegole fotovoltaiche. alcune di esse, molto scure, imitano l’ardesia e le altre pietre utilizzate per le coperture nell’europa centrale: in questi casi l’integrazione con il fotovoltaico è più semplice, poiché non c’è uno scarto cromatico eccessivo valdieri, cuneo. 70 fra le celle e il supporto. esistono, però, anche tegole rosse che recano una cella fotovoltaica giustapposta nella parte piana, con il risultato evidente in questo intervento. si tratta di una soluzione esteticamente discutibile ma, soprattutto, inefficiente, perché i moltissimi collegamenti polverizzano la funzionalità dell’impianto, i moduli costituiscono il ricovero ideale per lo sporco trasportato dalla pioggia e dal vento, e i colmi delle tegole sovrastanti ombreggiano i pannelli delle file successive. rma. - Ascoli Piceno. Questo intervento è ancora peggiore sia perché la rilevanza percettiva del modulo è, qui, maggiore, sia perché le tegole fotovoltaiche appaiono disposte irregolarmente. da un punto di vista funzionale, queste tegole non hanno il modulo sopraelevato, con minori problemi di accumulo dello sporco. le tegole recano moduli fotovoltaici sul colmo, risulteranno perciò forate per contenere i cavi di collegamento. - Porretta Terme. anche assumendo che l’orientamento segua un criterio di qualche tipo, è evidente che questi interventi non hanno alcuna logica progettuale e sono stati condotti senza alcun riguardo per l’estetica degli edifici. ascoli piceno. - Lavis. Questo esempio mostra quanto possa essere complessa l’integrazione di moduli su tetti relativamente semplici. i problemi legati al dimensionamento dei pannelli, alla necessità di prevedere spazi per le connessioni, eventualmente percorsi per la manutenzione, e, nel caso di applicazione su edifici preesistenti, la necessità di includere elementi come comignoli o lucernari che comportanto gravi problemi di adattamento dei moduli. porretta terme, Bologna. - Selva di Val Gardena, San Lazzaro. esempi di cattiva integrazione e cattivo montaggio. nell’esempio relativo a selva di val gardena, a parte l’impatto sgradevole del binario in alluminio, la guaina impermeabile sottostante è destinata a una vita media molto ridotta, perché le lavis, trento. 71 temperature raggiunte dai pannelli ne accelereranno il deterioramento. - Bisaquino. Questa installazione è in provincia di palermo. la nota afferma che i pannelli impermeabilizzano la copertura, sarebbe interessante misurare le temperature dei vani sottostanti nei torridi mesi estivi siciliani. come si è cercato di chiarire in questo capitolo, infatti, gran parte della radiazione luminosa che colpisce i pannelli va dispersa come energia termica ed è ragionevole ritenere che questo edificio nella campagna siciliana, privo di ombreggiamenti, intercetti nei mesi più caldi ragguardevoli quantità di luce e calore. selva di val gardena, Bolzano. san lazzaro, Bologna. Questa breve carrellata di esempi – molti altri possono essere rinvenuti direttamente sul catalogo – mostra come ci sia stato un grave deficit di progettazione architettonica negli interventi finanziati dal programma. È singolare rilevare, infatti, come la presenza di architetti fra gli installatori di moduli fotovoltaici sia praticamente nulla, sebbene vada rilevato che anche l’aspetto ingegneristico appare trascurato in molti casi. più in generale, si voleva qui rilevare come la “patente” di impianto integrato sia stata assegnata senza alcun riguardo per l’effettiva integrazione estetica, rimettendola unicamente a una valutazione relativa alla tecnologia impiegata. si tratta di un approccio ovviamente insoddisfacente e anche ingiustificato. come si vedrà nel capitolo successivo, infatti, sono molte le indicazioni, provenienti dai grandi architetti, di integrazioni gradevoli, funzionali ed economiche. Bisaquino, palermo. 72 I BIPV: IL FOTOVOLTAICO COmE mATERIALE COSTRUTTIVO il conto energia italiano – e gli omologhi di altre nazioni che hanno adottato la stessa strategia di incentivazione – premia gli elementi costruttivi con fotovoltaico integrato, vale a dire quei moduli che possono essere impiegati per sostituire direttamente i materiali costruttivi. indicati come Bipv (acronimo di Building integrated photovoltaics), essi possono essere impiegati come elementi strutturali in coperture e superfici, anche non piane. photon international ha descritto i Bipv come prodotti “specificamente costruiti per l’integrazione negli edifici” e, in una recente ricerca, ha verificato che solo il 5% degli oltre 5.000 moduli in commercio è ascrivibile a tale categoria. la stessa rivista, però, aggiunge che vanno intesi come Bipv anche i moduli semi-integrati che richiedono, cioè, un sostegno minimo per l’installazione. per questa ragione è opportuno classificare i Bipv come prodotti multifunzione, elementi costruttivi e impianti di conversione di energia solare37. i Bipv sono preferibilmente impiegati in edifici nuovi ma possono essere adattati anche a strutture già esistenti e costituiscono un segmento in forte espansione soprattutto negli stati Uniti e in cina, vale a dire in paesi che, paradossalmente, hanno minori problemi di integrazione nel costruito rispetto all’europa. la spiegazione è meramente economica: ricorrere ai moduli integrati in luogo degli impianti ex-post consente, infatti, di risparmiare i costi di materiali (coperture, superfici, vetri) che sono sostituiti dai Bipv. l’impiego globale dei Bipv è ridotto in comparazione al fotovoltaico tradizionale. secondo alcune stime la capacità complessiva installata di Bipv assomma a 250-300 mW alla fine del 2009, circa l’1% della capacità complessiva del fotovoltaico. ciò per ragioni di prezzo, ovviamente, ma anche per questioni di carattere qualitativo. Un primo nodo è relativo all’aspetto estetico: è fuor di dubbio che uno dei vantaggi principali dei Bipv consiste nella maggiore adattabilità di questa tecnologia alle esigenze estetiche di progettisti e utenti. sebbene siano stati fatti alcuni tentativi, è difficile quantificare il valore, in termini economici, che gli utenti sono disposti ad attribuire all’aspetto estetico, ma una recente ricerca ha indicato come, non solo l’aspetto estetico rivesta una rilevanza significativa per gli utilizzatori di tecnologie pv, ma sia percepito come un potenziale elemento di 73 penetrazione e diffusione della tecnologia stessa38. parallelamente alla progettazione di moduli Bipv sempre più assimilabili a elementi costruttivi, l’industria del fotovoltaico ha investito grosse risorse in un design esteticamente più accattivante dei pannelli tradizionali il che ridimensiona il vantaggio dei moduli integrati ma indica anche, senza dubbio, che il tema dell’impatto percettivo ha assunto una rilevanza tale da giustificare prezzi mediamente più alti. Una criticità connessa ai Bipv riguarda la codificazione e gli standard di qualità: la flessibilità di forme, materiali, tecnologie, rende più difficile garantire standard comparabili al fotovoltaico tradizionale, il che costituisce un deterrente soprattutto nel caso dei grandi edifici pubblici. naturalmente un ruolo centrale nella diffusione dei Bipv è rivestito dalle leggi e dai dispositivi normativi: i moduli integrati, ad esempio, sono molto diffusi in svizzera dove una legge della confederazione impedisce il ricorso a celle fotovoltaiche non integrate, per garantire la salvaguardia dell’architettura tradizionale elvetica. i Bipv, pertanto, troverebbero applicazione ideale in tutta europa, ove sussiste il problema di recuperare i centri storici, e soprattutto nell’europa mediterranea che vanta un irraggiamento tale da annichilire eventuali piccoli scarti di rendimento. come si è anticipato, però, i moduli integrati sono impiegati soprattutto in stati Uniti e cina e per ragioni di carattere economico. lungi dall’essere avulso dall’architettura, il problema dei prezzi e della redditività dell’investimento nel fotovoltaico costituisce un tema centrale e il vettore precipuo di una tecnologia che comporta ragguardevoli benefici per la collettività. negli stati Uniti, gli elementi integrati hanno cominciato a diffondersi a partire dagli anni ‘70, con moduli integrati nei pannelli di alluminio, e a partire dagli anni ‘90 essi divennero disponibili sul mercato39. Un report recente dello U.s. national renewable energy laboratory indica in questa applicazione l’occasione per una diffusione globale del fotovoltaico anche nei contesti per i quali i pannnelli tradizionali risultano inadeguati40. sarà quindi necessario, prima di passare in rassegna le tipologie di Bipv e di moduli integrati e semiintegrati, considerare quali siano i benefici e i deficiti economici ad essi connessi, soprattutto in comparazione con il pv tradizionale. Uno dei vantaggi attesi dall’impiego dei moduli integrati riguarda la flessibilità di impiego e la possibilità di installarli anche su superfici ristrette o, addirittura, verticali: i Bipv possono accrescere la superficie fotovoltaica disponibile sugli edifici. Uno studio dell’iea (international energy agency) ha stimato che l’impiego dei moduli integrati potrebbe aumentare del 35% lo spazio destinato alla conversione di energia solare41. meno facile è il calcolo relativo alla conversione effettiva di energia, che dipende, 74 ovviamente, dall’efficienza dei Bipv sulle superfici. esistono, a questo scopo, alcuni studi statunitensi che provano a quantificare il potenziale tecnico dei moduli integrati: nel 2010 l’efficienza media delle tecnologie pv più diffuse era del 14.5%, mentre è possibile calcolare in 13.8% l’efficienza media dei Bipv (considerati anche fattori critici come l’immissione in contesti e orientamenti non ottimali), il che conduce a calcolare che, nei soli Usa, la potenza disponibile su tetti e superfici grazie ai Bipv oscillerebbe fra i 675 gW e gli oltre 900 gW42. dallo stesso studio emerge, però, che l’efficienza dei Bipv sulle superfici è sensibilmente inferiore a quella degli stessi moduli in copertura: da uno studio meteorologico su oltre 1000 siti, è emerso che dove i moduli su copertura sono orientati a 25°, i moduli in superficie, orientati sui 90°, perdono oltre il 35% di efficienza. si tratta di un parametro molto rilevante, anche perché la condizione di riferimento (quindi l’orientamento in un range compreso attorno ai 25°) è molto diffusa negli Usa43. dal punto di vista del marketing di prodotto, è opportuno trattare i Bipv come un’occasione di segmentazione del mercato con più di una criticità, dal prezzo alla minore adattabilità e facilità di trasporto. in molti contesti, però, essi costituiscono la soluzione ottimale o l’unica soluzione, ma la minore diffusione e la difficoltà di produrli in serie ne condizionano il prezzo e, quindi, la quota di mercato. il tema centrale, relativo ai Bipv, è legato alla fattibilità economica. come si è detto, se essi hanno trovato diffusione negli stati Uniti e in cina, ove esiste una cospicua produzione edilizia ex novo, ciò dipende da alcuni peculiari benefici, ma il tema dei costi e, più in generale, del bilancio economico dei Bipv, merita di essere meglio dettagliato, a partire dai costi. È possibile individuare quattro categorie di costi sulle quali comparare i Bipv e il pv tradizionale: costi di installaZione: i costi di installazione di moduli integrati tendono a essere più bassi di quelli di un impianto tradizionale, soprattutto in virtù dell’eliminazione delle strutture di sostegno e dei costi del lavoro connessi. secondo uno studio del 2010, i tempi di installazione del fotovoltaico integrato sono inferiori del 65% a quelli del fotovoltaico tradizionale. allo stato attuale, pertanto, è possibile evidenziare che i Bipv hanno costi di installazione inferiori ai pannelli tradizionali, sebbene questo margine non sia garantito per il futuro: i produttori di pannelli, infatti, sono interessati a nuovi sistemi di sostegno più economici e di più rapida installazione, così come i produttori di moduli integrati continuano a investire nella ricerca di collegamenti elettrici più veloci ed efficienti. 75 costo dei modUli: è difficile stimarlo, data la grande variabilità di moduli e materiali, ma in generale si può assumere che un modulo Bipv costi circa il 10% in più dell’equivalente in pv. Questo costo include anche i materiali necessari a coibentare il tetto nel caso di installazioni su coperture. costi dei modUli FlessiBili: è un tema aperto, oggetto di un dibattito tuttora in corso, ma si tratta di un tema, quello della flessibilità, meno rilevante per i Bipv, maggiormente adattabili per concezione, che per i pannelli tradizionali. lo dimostra il fatto che la gran parte dei moduli integrati è rigida e sfrutta la tecnologia del silicio cristallino. esistono, tuttavia, dei segmenti di mercato nei quali dei moduli flessibili integrati possono trovare in piego, vale a dire in certe coperture flessibili o addirittura rimovibili, come le installazioni commerciali, o settori di nicchia, come tende militari o edifici con coperture in fibra di vetro, come l’aeroporto di denver. l’integrazione del film sottile nei moduli Bipv, finora condotta a livello più sperimentale che commerciale, ha dato, però, eccellenti risultati: i moduli flessibili pesano il 90% in meno di quelli in vetro, con la relativa riduzione dei costi di installazione e di trasporto; possono essere installati senza supporti strutturali o quasi e hanno anche una discreta efficienza. tuttavia sono molto più costosi e hanno una scarsa tolleranza, sul lungo termine, alle radiazioni ultraviolette, con alterazioni della trasmissività, scollamento della pellicola e danneggiamento dei materiali di supporto44. risparmio sUi costi dei materiali edili: si tratta di un aspetto peculiare dei Bipv impiegati in edifici appena costruiti, poiché la sostituzione dei materiali edili con moduli fotovoltaici può comportare un significativo risparmio. È altresì vero che i materiali edili devono durare molto di più del ciclo di vita garantito per i moduli fotovoltaici, pertanto la grande sfida che si pone ai progettisti di Bipv consiste o nella ricerca di materiali più durevoli o, più facilmente, nell’elaborazione di moduli e sistemi di installazione che rendano più facile la rimozione e sostituzione dei sistemi usurati. nel caso degli stati Uniti la gran parte dei tetti, circa il 50%, è ricoperta da asfalto, un materiale che ha una durevolezza che assomma a 17-20 anni (quindi non dissimile dai moduli fotovoltaici), con un costo che varia dai 18 ai 32 dollari a mq45, altre coperture, come le tegole d’argilla, hanno una durata superiore ai 50 anni ma costi più elevati anche di cinque volte. il paradosso, se si limita il discorso al risparmio di materiali, è che gli elementi meno efficienti, con una resa per mq inferiore, hanno un rapporto costo/mq migliore, poiché rivestono superfici maggiori. il computo finale, riferito in un 76 report molto recente, dichiara che il costo complessivo per Watt dei sistemi Bipv sull’edilizia ex novo è del 10% inferiore a quello dei sistemi pv tradizionali. in conclusione, sebbene l’impiego di moduli integrati rimanga limitato, le opportunità rimangono promettenti. si tratta di una tecnologia con più di un interesse, soprattutto per il caso europeo, ma essa non può contare sull’effetto trainante del quale hanno beneficiato i pannelli tradizionali grazie ai campi di fotovoltaico. i Bipv non possono contare su un’analoga produzione di massa, pertanto un ruolo strategico è rimesso alle politiche di incentivi all’integrazione che, offrendo un incoraggiamento all’acquisto, potrebbero innescare un circuito virtuoso di riduzione dei prezzi. al momento, però, tolto il caso americano, la capacità di penetrazione dei Bipv è legata essenzialmente a qualità estetiche e alle maggiori possibilità di integrazione, oltre che a particolari condizioni normative. le opportunità di crescita del mercato dei moduli integrati possono essere così sintetizzate: ridUZione nei costi di installaZione - eliminazione delle strutture di sostegno e appoggio, maggiore ricorso a materiali e tecniche tradizionali nei lavori di copertura, più in generale minore costo di tutta la parte esterna al modulo; - risparmio dei costi dei materiali costruttivi tradizionali; - minori costi della filiera relativi al trasporto e allo stoccaggio dei materiali. estetica migliorata - disponibilità da parte dei consumatori a pagare un valore aggiunto in termini di estetica e integrazione; - maggiore sensibilità nella progettazione di moduli destinati all’edilizia residenziale. maggiore potenZiale tecnico - aumento delle superfici disponibili sugli edifici interesse dell’indUstria - elevata crescita potenziale; - possibilità di segmentare il mercato; - possibile riduzione dei costi e nuovi canali di vendita. sostegni e incentivi - conservazione della configurazione architettonica tradizionale; - incentivi specifici per i Bipv sui singoli mercati internazionali. 77 I BIPV: UN COmPENDIO DEGLI ImPIEGHI DELLA TECNOLOGIA Questa evoluzione del fotovoltaico ha determinato l’immissione della tecnologia nell’ambito del linguaggio architettonico, seguendo la direttrice segnata da quelle aziende interessate a promuovere ed evidenziare la propria sensibilità ambientale. tale approccio esibisce una certa coerenza ideologica con la vocazione diffusa degli impianti energetici e presenta numerosi vantaggi teorici. da un punto di vista pratico, però, i Bipv sono di difficile integrazione e scontano l’aporia funzionale fra elemento costruttivo e modulo fotovoltaico, un problema che verrà sviluppato nei paragrafi successivi. la superficie disponibile, fra tetti e facciate esposte, solo in italia assomma a 570.000.000 di mq, con una produzione teorica, qualora fosse tutta coperta di fotovoltaico, di 130tWh/anno, più che sufficienti per 30 milioni di famiglie. i principali ambiti applicativi sono i seguenti: BIPV RIGIDI SU COPERTURE: è l’applicazione più semplice. si tratta di pannelli fortemente impermeabilizzati, conformati in maniera da far defluire l’acqua fino alle gronde e sovrapposti direttamente a una guaina impermeabile. il gse riconosce a questi impianti uno status speciale che consente loro di non dover accedere al registro dei grandi impianti. la gamma di forme possibili è molto ampia va dai moduli regolari a quelli in forma di tegole, che, però, al vantaggio di un’integrazione relativamente più facile, e all’applicabilità anche in molti centri storici, contrappongono un minore rendimento e un più elevato costo unitario. studi recenti sembrano dimostrare che tali moduli, a differenza di quelli impiegati nelle coperture piane, tutelino il tetto e lo preservino dai raggi ultravioletti, dalla consunzione dovuta all’acqua e dai pericoli derivanti dalla condensa46. BIPV VETRO-VETRO: sono elementi che integrano pellicole di fotovoltaico con silicio amorfo in vetrate di vaste dimensioni, anche 2x3 m, con forme variabili; tali soluzioni lasciano passare la luce e sono pertanto indicati per vetrate, verande o per le facciate trasparenti degli edifici. lo spessore del vetro dipende dalla forma e dalle sollecitazioni previste: si tratta, ovviamente, di un parametro molto rilevante, perché eventuali incrinature nel cristallo sono, in questo caso, estremamente onerose. il vetro frontale non potrà che essere del tipo extra-bianco, 78 mentre il vetro posteriore può essere di differente composizione e colore. i moduli vetro-vetro utilizzano un rivestimento in ossido di stagno sulla superficie interna, per condurre la corrente all’esterno della cella che contiene, invece, ossido di titanio rivestito con un pigmento fotovoltaico. Questi pannelli sfruttano anche la radiazione ultravioletta, oltre a quella infrarossa, e filtrano circa il 50% delle radiazione totale, pertanto sono chiamati anche traslucidi. esistono anche moduli fotovoltaici organici con funzioni analoghe. Questa tecnologia, per quanto affascinante, pone notevoli problemi applicativi, soprattutto alle nostre latitudini. BIPV SU TETTI A BOTTE: si tratta di moduli a film sottile facilmente adattabili alle superfici concave come i tetti dei grandi capannoni industriali. la peculiare disposizione impedisce uno sfruttamento ottimale della radiazione diretta, pertanto questi pannelli sono ottimizzati per la radiazione diffusa: questi moduli compensano il deficit di prestazione nelle ore più luminose con una maggiore continuità e la loro collocazione su superfici generalmente molto ampie garantisce una buona produzione di energia. BIPV OmBREGGIANTI: è possibile impiegare dei moduli fotovoltaici come persiane veneziane. l’orientamento può essere regolato manualmente o automaticamente, con fotosensori o con una programmazione oraria. Questi sistemi sono conosciuti anche come sistemi shadow-voltaic. tali sistemi sono difficilmente applicabili, richiedono elevatissime qualità progettuali, una pianificazione accurata e un cospicuo investimento: i sistemi di qualità mediocre, infatti, si rompono facilmente e richiedono frequenti riparazioni, con un incremento dei costi di riparazione e manutenzione. Uno dei limiti maggiori all’integrazione dei moduli fotovoltaici riguarda, come si è già chiarito, il conflitto fra la necessità di esporre i moduli al massimo irraggiamento e quella di garantire comfort climatico agli edifici. l’applicazione del fotovoltaico in facciata, ad esempio, comporta un serio problema di surriscaldamento che deve essere affrontato con sistemi di doppia pelle o con moduli per l’ombreggiamento. tali sistemi possono essere fissi, regolabili e retraibili e possono essere fissati al rivestimento o direttamente alla struttura dell’edificio. nella progettazione di tali installazioni gioca un ruolo rilevante il vento, che potrebbe divellere i moduli. i sistemi Bms consentono di controllare l’apertura dei pannelli manualmente ma, nel caso di strutture fortemente aggettanti, i sistemi devono essere dotati di sensori che le 79 ritirino automaticamente in caso di vento. gli ombreggianti più ampi e robusti, inoltre, sono dotati di accessi e passaggi percorribili, per consentirne la pulizia e la manutenzione. È relativamente semplice integrare moduli fotovoltaici nei sistemi di ombreggiamento, sebbene sia necessario effettuare alcune considerazioni preventive. laddove sia ipotizzabile una cospicua produzione di energia, è necessario condurre simulazioni con software 3d per evitare che vadano in ombra delle celle durante le ore di massima esposizione. Una soluzione frequentemente adottata consiste nell’impiegare un’unica pensilina in luogo di più moduli di brise soleil, sebbene ciò comporti altri problemi legati alla maggiore superficie offerta al vento e a qualche difficoltà ulteriore nella pulizia. recentemente si è preferito montare i brise soleil a una certa distanza dalla finestra, incorporandoli in un passaggio percorribile per garantirne la manutenzione. alcune coperture incorporano sistemi con sensori per orientare automaticamente la direzione dell’imposta, una funzione che può essere alimentata dall’energia proveniente dal pv e che garantisce la massima resa nelle ore di picco. soprattutto nel caso dei grandi edifici, si adoperano spesso vaste coperture, che interessano un piano intero o anche di più e che si configurano, a tutti gli effetti, come un’ulteriore struttura, quasi un muro a cortina, munita, a sua volta, di infrastrutture di manutenzione e controllo. Un’attenzione ulteriore è richiesta per l’installazione dei cavi necessari a collegare gli array fotovoltaici: essi devono essere preservati dall’acqua e dai danneggiamenti e devono essere il più possibile convogliati insieme, al fine di non dover perforare troppe volte il rivestimento esterno dell’edificio, con conseguenze facilmente prevedibili. BIPV IN FACCIATA: grandi facciate di fotovoltaico sono ipotizzabili, al momento, solo per i grandi edifici, soprattutto privati. come si è detto, tali installazioni comportano enormi problemi tecnologici, spesso si tratta di sistemi a doppia pelle o facciate ventilate con moduli fotovoltaici integrati. da un punto di vista strutturale, possiamo distinguere fra due fondamentali tipi di facciata: - muri esterni portanti - facciate non portanti allo stesso modo, esistono moduli integrati applicabili alle prime strutture e altri applicabili alle seconde: gli schermi anti-pioggia ricadono nel primo gruppo. anche nell’architettura tradizionale, in pietra o mattoni, in climi 80 molto umidi la necessità di preservare gli edifici dalla penetrazione di acqua condusse a realizzare mura cave, che interrompessero il passaggio di acqua e facilitassero il passaggio di aria e, quindi, l’asciugatura. lo stesso effetto si può conseguire con differenti tipi di rivestimento esterno, con funzione antipioggia: si tratta dell’applicazione di una pelle esterna retro-ventilata a un edificio nuovo o da ristrutturare. il sistema è una sorta di costruzione a doppio muro, nella quale la parte esterna protegge dall’umidità, mentre quella interna ha funzioni di isolamento e termo-regolazione, sfruttando l’aria imprigionata nella cavità. la parte esterna traspira come la pelle, quella interna contiene le perdite di energia. la parte strutturale interna può essere un muro di cemento o mattoni, integrato con pellicole antivapore nella parte calda e membrane traspiranti in quella fredda. Questo tipo di facciate sono sempre verticali, perché le giunture fra i pannelli sono aperte per la ventilazione e i muri inclinati lascerebbero entrare l’acqua. si tratta di una superficie ideale, stanti i limiti evidenziati per i pannelli applicati in verticale, per integrare moduli fotovoltaici, che potrebbero essere installati facilmente e senza alterazioni; inoltre, la facciata retro-ventilata garantirebbe un raffreddamento continuo del pannello, con un miglioramento della performance, e fornisce spazio protetto per cavi e allacci. nonostante si tratti di una soluzione apparentemente molto semplice, esistono due varianti di schermo antipioggia: - drenanti e retroventilati - pressurizzati nel primo caso, le file di pannelli non sono sigillate, né sono impermeabilizzate le giunzioni, pertanto l’acqua – e l’aria – penetrano più o meno liberamente e la conformazione interna del pannello provvede a far defluire i liquidi che, poi, si asciugano grazie al passaggio dell’aria. nel secondo sistema, invece, il passaggio di aria e acqua è regolato da otturatori, per mantenere sempre un equilibrio fra la pressione esterna e quella interna. Questo sistema, oltre a ridurre la penetrazione di acqua, impedisce che intere file di pannelli facciano “effetto comignolo” in caso di incendi47.da un punto di vista architettonico, questa soluzione ha principalmente due vantaggi: in edifici nuovi coopera all’aspetto configurazionale e percettivo dell’architettura, poiché i pannelli possono essere colorati e decorati, in edifici da ristrutturare, trattandosi di un elemento applicato, esso può essere impiegato facilmente, senza intaccare le strutture sottostanti, e con costi molto contenuti48, anche di pulizia 81 e manutenzione. in molti edifici moderni, la funzione strutturale è demandata a colonne e pilastri, così che è stato possibile scaricare della funzione di sostegno le facciate dei grandi edifici. È possibile, dunque, ipotizzare un muro applicato alla struttura ma privo di funzioni strutturali indipendenti, che, anzi, per il suo stesso carico grava sulle strutture portanti (con qualche eccezione a seconda dei contesti). Queste strutture, definite “muri tenda”, sono indicate anche con il nome di “facciate calde”, poiché l’isolamento termico è applicato direttamente sulla superficie. esse sono costituite, generalmente, da telai di alluminio o acciaio, con riempimenti in diversi materiali: quelli in vetro, sebbene molto apprezzati per l’affascinante effetto percettivo e perché garantiscono illuminazione naturale all’edificio, comportano però notevoli problemi di termo-regolazione, così sono spesso impiegati pannelli di metallo o di pietra, o in materie plastiche. Queste superfici sono una soluzione economica e possono essere adattate a superfici verticali o inclinate, anche su più livelli. i moduli fotovoltaici possono ricoprire l’intera superficie. dal punto di vista della performance, la mancanza di retro ventilazione, a differenza dei rivestimenti antipioggia, può determinare un calo della resa energetica, ma a tale inconveniente si può ovviare con una facciata a doppia pelle, sebbene si tratti di un sistema più costoso e complesso. esistono due tipologie di muro a cortina: - sistemi a stick, assemblati in loco - sistemi integrati, prefabbricati i sistemi a stick sono molto popolari e sono detti anche sistemi mullion-transom (colonna-traversa), poiché essi consistono in lunghi pezzi verticali, i mullion, raccordati da lunghi pezzi orizzontali, i transom, appunto, a creare un reticolo nel quale vengono inseriti pannelli di vetro, metallo o altri materiali. la lunghezza degli elementi verticali è limitata essenzialmente dal processo industriale di estrusione, che consente di produrre travi di poco più di una decina di metri. di relativamente facile manutenzione, poiché gli elementi di riempimento possono essere agevolmente rimossi e sostituiti, fra i sistemi di copertura sono probabilmente i più economici e funzionali, perché è possibile seguirne la costruzione in fieri, e anche apportare piccole modifiche, essendo i giunti studiati appositamente per conseguire un certo grado di flessibilità; esistono, tuttavia, alcuni problemi legati all’installazione, che richiede una manodopera specializzata in loco, e, essendo condotta all’esterno, risulta soggetta 82 a condizionamenti meteorologici; infine, poiché tali sistemi richiedono delle impalcature per poter essere montati, risulta disagevole l’applicazione su grandi edifici. nel tentativo di incrementare la quota di elementi prefabbricati, si è sviluppato, negli ultimi anni, un sistema che rappresenta una evoluzione di quello stick, definito “stick&cassette”: esso consiste nel costruire il telaio di travi incrociate nella maniera tradizionale, installandovi, però, un quadrato precostituito di finestre superfici opache, così da risparmiare sui tempi di installazione49. le superfici di riempimento, fotovoltaiche o meno, sono generalmente impermeabilizzate da guarnizioni e sigillanti, per ridurre la penetrazione di acqua e umidità, ma la superficie, nel suo complesso, deve essere attraversata dall’aria, per due ragioni: la prima è legata alla necessità di asciugare la condensa e l’umidità che può comunque penetrare, la seconda è connessa al differenziale di pressione che, diversamente, in condizioni di forte vento deformerebbe i pannelli; come si è già osservato in altre occasioni, il passaggio d’aria e la dispersione del calore migliorano anche le prestazioni dei pannelli fotovoltaici eventualmente applicati in superficie. i moduli Bipv possono essere integrati sia in corrispondenza delle finestre, sia negli “spandrel”, vale a dire nelle altre superfici di riempimento. nel caso in cui siano integrati come finestre, essi possono essere trattati esattamente come pannelli di vetro, in questo caso saranno laminati in un vetro portante trasparente che costituirà la superficie esterna di un’unità a doppio vetro e includerà specifici rivestimenti per garantire bassa trasmittanza, isolamento, bassa emissività ed, eventualmente, fotosensibilità. per evitare la rottura dei vetri, dovuta allo shock termico, i vetri dovranno essere temperati e di uno spessore adeguato a sostenere la spinta anche dei venti. se integrati nella zona spandrel, invece, le celle saranno laminate in un vetro opaco o, nel caso delle “shadow box”, semitrasparente. in questo caso, la cavità retrostante deve essere pressurizzata e protetta da un pannello isolante; il vetro, inoltre, deve essere temperato per sostenere le elevate temperature. È possibile, inoltre, applicare il fotovoltaico sulla superficie esterna di pannelli a sandwich: si tratta di due fogli di alluminio – o uno di alluminio e un pannello fotovoltaico - pressati intorno a del materiale isolante50. i sistemi integrati sono stati elaborati proprio in risposta ai problemi posti dalla precedente soluzione sui grandi edifici. si tratta di moduli completi, già assemblati con le strutture e tutti gli elementi previsti, compresi i sistemi di isolamento, quelli antincendio e i pannelli 83 di riempimento. i moduli sono trasportati così dalla fabbrica e possono essere montati dall’interno dell’edificio, rendendo così superflue le impalcature. generalmente essi hanno una larghezza di 1,5 m, e sono alti quanto un livello, sebbene ne esistano anche alti 9m. sono molto utilizzati in architettura, perché si prestano a un impiego su facciate articolate e sono indicati ad accogliere rifiniture in materiali pesanti, come la pietra: un utilizzo tipico è quello dei grandi e prestigiosi edifici commerciali nelle città. il fatto che siano totalmente prefabbricati costituisce un’ottima garanzia per l’installazione dei moduli Bipv, poiché le celle possono essere integrate in fabbrica, sigillate e garantite da processi di controllo di qualità non replicabili in un cantiere. la contropartita di tali benefici è la minore flessibilità che esige un’accuratissima progettazione, poiché risulta difficile intervenire su eventuali errori ex-post. da un punto di vista funzionale, la soluzione ideale è rappresentata dalle facciate a doppia pelle, talvolta definite, in virtù della loro complessità, edifici nell’edificio. Questi sistemi rispondono a un tentativo, avviato negli anni ‘70, di migliorare le performance energetiche delle facciate degli edifici con ampie facciate vetrate, progettando facciate costituite da due “pelli” separate da una cavità ventilata. Fra la parte interna, isolata, e la pelle esterna, vi è una zona cuscinetto ventilata e che può prevedere, se necessario, sistemi di ombreggiamento. l’aria può scorrere attraverso gli appositi passaggi naturalmente o tramite ventilazione forzata, ed è usata per ridimensionare il carico termico dell’edificio: la soluzione più frequente vede una circolazione naturale di aria fresca dalla parte inferiore e aria esausta da quella superiore. la facciata esterna si presta ottimamente a integrare il fotovoltaico, sia in forma di pannelli piani, sia come sistemi ombreggianti, la ventilazione continua, inoltre, raffredda i sistemi garantendone l’efficienza e la durata. i benefici di questa soluzione sono molteplici, poiché è possibile, in pratica, beneficiare di due facciate, con funzioni differenti, integrando tecnologie per la regolazione climatica, isolamento acustico, illuminazione e ventilazione naturale e produzione di energia. la maggior parte dei vantaggi connessi alle doppie facciate è legata alla ventilazione naturale, vale a dire da quel circolo d’aria naturalmente generato da variazioni di temperatura e pressione. l’aria fredda penetra dalle aperture praticate in basso, viene riscaldata attraversando la camera d’aria, ed esce dalle aperture in alto, in estate portando via aria esausta e calda, in inverno, quando la facciata esterna è predisposta a 84 intercettare il massimo della radiazione solare diretta, riscaldandosi e impedendo la dispersione di calore, fungendo da cuscinetto isolante. Quando le condizioni di pressioni e temperatura sono inadeguate a generare il flusso di aria è necessario ricorrere ad appositi sistemi di ventilazione meccanica o ibrida. Un fattore importante per le performance termo-regolatrici delle facciate a doppia pelle riguarda i percorsi che l’aria percorre nella parte cava. in caso di installazione di moduli fotovoltaici, ad esempio, sarà necessario ripartire la facciata su un reticolo corrispondente ai moduli, il che, riducendo l’effetto comignolo, renderà di fatto irrealizzabile una strategia di ventilazione naturale; anche la creazione di passaggi orizzontali sortisce lo stesso effetto. Una soluzione a questo problema può consistere nel creare dei camini e disporre le interruzioni in aree modulari pre-determinate, in maniera tale che sia sempre garantita la ventilazione naturale almeno su una parte della facciata. per quanto riguarda l’applicazione del fotovoltaico, il discorso è esattamente lo stesso fatto per i sistemi a cortina, con bipv applicabili sia in luogo delle finestre sia nelle aree di riempimento. le facciate a doppia pelle sono strutture modulari ma la loro manutenzione deve avvenire prevalentemente dall’esterno: ciò, nel caso di grandi edifici, può comportare qualche difficoltà. da un punto di vista, invece, della conversione di energia, la prestazione migliore è garantita dai moduli integrati in tettoie, tende, elementi aggetanti: mai ombreggiati, vicini all’angolo di inclinazione ottimale, facili da ventilare, l’integrazione in questi elementi è ideale, inoltre, se si desidera impiegare il fotovoltaico senza alterare l’aspetto dell’edificio. il principale problema legato alla progettazione di questi impianti riguarda la gestione dello spazio interno, soprattutto nel caso di un’elevata percentuale di area vetrata: le perdite di calore in inverno e il surriscaldamento estivo sono un rischio considerevole e quasi inevitabile. inoltre, soprattutto nel caso di tetti con piccole inclinazioni, c’è il rischio di condensa, nella parte inferiore del vetro, e di accumulo di sporco nella parte superiore. negli ultimi anni l’industria ha sviluppato una filiera produttiva molto efficiente e capillare per la realizzazione di moduli per facciate di fotovoltaico ed è anche consentita, al progettista, una certa possibilità di scelta che, però, condiziona, inevitabilmente, i tempi di realizzazione. la decisione di adottare pannelli non standard, o di sperimentare configurazioni inconsuete in facciata, comporta il rischio che struttura portante – di qualunque genere essa sia – e pannelli fotovoltaici non si attaglino, con problemi realizzativi molto seri e forte aggravio dei costi. 85 note 1 perlin John, Dal Sole. L’energia solare dalla ricerca spaziale agli usi sulla terra, edizioni ambiente, milano, 2000, p. 18. 2 ibidem, p. 26. 3 Bell telephone laboratories, organizzazione statunitense di ricerca costituita nel 1925 come sussidiaria dell’at&t (american telephone and telegraph) e dal 1996 assorbita dalla lucent technologies. da ricerche (nei campi della fisica, della chimica e dell’elettronica) finalizzate allo sviluppo del sistema di telecomunicazioni degli Usa, estese poi il suo campo di attività anche ad altri settori, con importanti risultati nel campo delle microonde da parte di c.h. townes, realizzando i primi transistori, la prima batteria solare, il laser, il primo satellite per comunicazioni telefoniche telstar, il sistema operativo Unix (inizialmente denominato multics) e il linguaggio di programmazione c. Ben 11 ricercatori, nel corso della loro permanenza presso i B., hanno ricevuto il premio nobel per la fisica. 4 ibidem, pp. 29-35. 5 ibidem, pp. 53-55. 6 ibidem, pp. 57-58. 7 ibidem, pp. 39-44. 8 micheli davide, Il fotovoltaico nelle applicazioni spaziali, pp. 12-13. 9 rifkin Jeremy, entropia, p. 80. 10 perlin John, op.cit., p. 109. 11 ibidem, pp. 126-136: 129-131. 12 ibidem, p. 135. 13 si tratta di un documento prodotto dalla commissione europea e approvato dal parlamento che definisce le strategie energetiche dell’Unione, un tema cruciale nel quale si è ribadito lo sforzo, animato non solo da genuine istanze ambientaliste, di ridurre tramite le rinnovabili la dipendenza da combustibili fossili. 14 groppi Francesco, Il fotovoltaico per tutti, editoriale delfino, milano, 2010, pp. 10-12. 15 ibidem, pp. 14-16. 16 ibidem, pp. 17-18. 17 ibidem, pp. 21-23. 18 ibidem, pp. 26-33. 19 ibidem, pp. 37-38. 86 20 ibidem, pp. 41-43. ibidem, pp. 54-55. 22 roberts simon, guariento nicolò, Building Integrated Photovoltaics. A Handbook, springer, 2009, pp. 32-39. 23 groppi, op.cit., 133-135. 24 roberts, guariento, op.cit., p. 40. 25 ibidem. 26 reil F., Qualification of arcing risks in PV modules, in photovoltaic specialists conference (pvsc), 2012 38th ieee, pp. 727-730. 27 groppi, op.cit., pp. 175-189. 28 spagnolo mauro, Il sole nella città. L’uso del fotovoltaico in architettura, Franco muzzio, roma, 2002, pp. 30-36. 29 vasilis m. FthenaKis, hyUng chUl Kim, eriK alsema, Emission from Photovoltaic life Cycles, http://pubs.acs.org/doi/pdfplus/10.1021/es071763q 30 http://scorecard.goodguide.com/chemical-profiles/rank-industrial sectors. tcl?edf_substance_id=7647-01-0&edf_chem_name=hydrochloric%20 acid&type=mass&category=total_env&modifier=na&fips_state_code=entir e%20United%20states&how_many=100 31 http://scorecard.goodguide.com/chemical-profiles/rank-industrial subsectors.tcl?how_many=100&type=mass&category=total_env&modifier= na&fips_state_code=entire%20United%20states&edf_substance_id=764701-0&edf_chem_name=hydrochloric%20acid&sic_2=49&sic_desc=elec tric%2c%20gas%2c%20and%20sanitary%20services 32 i monopolisti del silicio, ovviamente, osteggiano la diffusione del riciclaggio del minerale anche da pannelli obsoleti, un processo che oggi, infati, è praticato diffusamente solo in cina, dove la disponibilità di manodopera e la preminenza politica consentono di ignorare molte dinamiche di trust internazionali. 33 croce peppe, Tetti fuori controllo, in la nuova ecologia, a. XXXiv, n°1, pp. 15-17. 34 groppi, op.cit., pp. 175-180; cfr.anche spagnolo, op.cit., p. 217. 35 http://www.ilsole24ore.com/art/nuove-energie/2013-12-19/cambiageografia-solare-corrono-cina-giappone-e-usa-male-italia-175553.shtml 36 catalogo impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative, gse, agosto 2012. 37 photon international, “all about modules”, solar power magazine, February, 2011. 38 James ted, goodrich alan, Woodhouse michael, margolis robert , ong sean, Building-Integrated Photovoltaics (BIPV) in the Residential Sector: An Analysis of Installed Rooftop System Prices, nrel (U.s. gov.), 2011. 21 87 39 patrina eiffert, gregory J. Kiss, Building-Integrated Photovoltaic Designs for Commercial and Institutional Structures: A Source Book for Architect, 2000, p.59. 40 James&alii, op.cit. 41 iea, Potential for Building Integrated Photovoltaics, technical report, pvps t7-4. 42 iea, Clean Energy Progress Report. www.iea.org/papers/2011/cem_progress_report.pdf, accessed april 2011. 43 James&alii, op.cit.. 44 Kempe m.d., Ultraviolet light test and evaluation methods for encapsulants of photovoltaic modules, elsevier, 2011. www.elsevier.com/locate/solmat 45 rsmeans, Building Construction Cost Data. norwell, ma: reed construction data, 2010. 46 patrina eiffert, Building-Integrated Photovoltaic Designs for Commercial and Institutional Structures: A Source Book for Architect, 2000, pp.60-61. 47 roberts, guariento, op.cit., p.72 48 roberts, guariento, op.cit., p.70 49 roberts, guariento, op.cit., p. 94. 50 roberts, guariento, op.cit., pp. 92-93. 88 Capitolo 3 UNA PREmESSA ALL’ANALISI DEI PROGETTI nel primo capitolo di questa ricerca si è cercato di chiarire quale sia lo scenario con il quale deve confrontarsi l’architetto, in quanto cittadino e professionista: l’architettura, disciplina di trasformazione per antonomasia, non può ignorare le complesse problematiche ambientali che stanno imponendo una riconversione verde di tutte le attività economiche. non è inoltre da sottovalutare il fatto che, la rilevanza di queste tematiche – e i potenti canali di business che esse hanno aperto – hanno indotto il legislatore di tutti i paesi sviluppati a prevedere normative precise, con le quali il professionista è costretto a confrontarsi. il primo capitolo ha chiarito che la tecnologia fotovoltaica non può che assumere un ruolo sempre più rilevante nelle politiche energetiche e, su scala minore, nelle architetture: qualora ce ne fosse la necessità, l’esperienza dei primi quattro conti energia ha dimostrato quanto dannoso sia un approccio “petrolifero” al fotovoltaico, vale a dire quanto pericoloso e controproducente, nell’interesse collettivo, sia lasciare campo libero agli interventi speculativi come i campi fotovoltaici. l’integrazione dei pannelli nell’architettura, pertanto, appare come la migliore via praticabile, sebbene, come visto nel secondo capitolo, gli interventi finanziati dal conto energia non possano dirsi soddisfacenti, da un punto di vista architettonico. sempre nel primo capitolo, infine, si dimostra come la corretta interpretazione di questa tecnologia sia quella di riconoscervi un’integrazione, per quanto importante e sostanziale, di una più vasta strategia energetica che non può che procedere dalla riduzione del fabbisogno energetico: considerazioni di etica ambientale, più prosaiche valutazioni economiche e un pragmatico approccio ecologista impongono la riduzione dei consumi, l’ottimizzazione dell’efficienza energetica e il recupero e il riuso di risorse e materiali. il pannello fotovoltaico, infatti, è un manufatto elettronico dall’elevato impatto ambientale, un impatto molto più ridotto di quanto certe fole anti-fotovoltaiche abbiano voluto insinuare e ulteriormente riducibile con un più organizzato sistema di riciclaggio delle componenti e dei materiali, ma ciò non toglie che se l’incremento costante dei fabbisogni energetici, dovesse essere soddisfatto con il solo fotovoltaico si porrebbero non pochi problemi di inquinamento ma anche di approvvigionamento del minerale, da 91 anni oggetto di un trust sempre più stringente. la breve storia del fotovoltaico, che apre il secondo capitolo, intende dimostrare come si siano evidenziati, nel corso degli anni, tre impieghi principali della tecnologia: più che sulla storia della tecnologia, e quindi dell’invenzione, si è scelto di concentrare l’attenzione sull’innovazione, vale a dire sulle funzioni che tale tecnologia ha rivestito. esse possono essere così schematizzate: - il Fotovoltaico come risorsa energetica, l’approccio dei grandi campi fotovoltaici, il cui obiettivo è produrre la maggiore quantità possibile di energia; - il Fotovoltaico come sopravvivenZa, poiché questa tecnologia ha consentito di portare l’energia in aree ostili e disagevoli come i poli, le vette dei monti, la giungla; - il Fotovoltaico come rete, vale a dire quell’approccio, il più virtuoso, che prevede che ciascun quartiere si trasformi in una comunità dell’energia, nella quale l’energia venga prodotta e consumata in loco, senza trasferimenti, dispersioni e infrastrutture dall’elevato impatto ambientale. Questa ricerca intende concentrarsi sugli ultimi due: il fotovoltaico come rete, in particolare, è qui proposto come la soluzione migliore, più praticabile e opportuna, ma il fotovoltaico come sopravvivenza costituirà oggetto esclusivo di uno dei paragrafi successivi, nei quali verranno analizzate alcune strutture erette in aree difficili – due rifugi alpini e una stazione di studio antartica – e dotate di fotovoltaico. l’analisi di questi interessi presenta due aspetti particolarmente interessanti: - la possibilità di studiare l’approccio adottato dai progettisti in un edificio nel quale il fotovoltaico non costituisce una possibilità o un’opportunità ma un’esigenza insormontabile; - l’aspetto tecnologico, poiché tali manufatti devono resistere – e garantire comfort – in condizioni climatiche terribili. il secondo capitolo contiene indicazioni tecniche sulle celle e sui moduli fotovoltaici, una premessa fondamentale all’analisi sviluppata sugli esempi del terzo capitolo. l’impiego del fotovoltaico, infatti, è sostanzialmente condizionato dalla forma delle celle e dalla forma dei moduli: dopo una fase pionieristica, nella quale le aziende produttrici hanno cercato le indicazioni degli architetti per creare un mercato, lo scenario attuale vede una rigida standardizzazione dei moduli, un vincolo ferreo per l’architetto. le caratteristiche dei moduli devono essere tenute in conto per questioni di funzionalità e sicurezza molto 92 rilevanti; in particolare, l’architetto deve valutare, fra i problemi di orientamento e le questioni configurazionali, i seguenti parametri: - la temperatUra: i pannelli fotovoltaici funzionano in maniera ottimale a una temperatura di 25 c°, temperature superiori ne riducono le prestazioni in maniera cospicua, fino a 0,5% per ogni grado in più. non è l’unico problema da considerare, però: tutta la radiazione solare che non viene convertita in energia elettrica, infatti, si trasforma in energia termica, provocando un surriscaldamento delle celle e della parte posteriore del pannello, che può raggiungere temperature superiori ai 75 c°. gli effetti del surriscaldamento possono essere molto gravi, possono compromettere il funzionamento delle celle – e quindi dell’intero array – possono fondere guaine o altri materiali termosensibili sottostanti e possono addirittura scatenare incendi. - l’omBreggiamento: si ritiene abitualmente che l’ombreggiamento di un modulo comporti semplicemente una perdita di efficienza ma così non è. la riduzione dell’energia in uscita da una cella, infatti, soprattutto in assenza di adeguati dispositivi di controllo, può comportare un trasferimento di energia da altre celle, con sovraccarichi e danni permanenti al sistema; esiste, inoltre, un problema legato al vetro: un’ombra proiettata su un pannello esposto, infatti, può determinare uno shock termico tale da frantumare il vetro. i vetri temperati sono, ovviamente, meno soggetti a questo tipo di problemi ma sono molto costosi e molto pesanti. - QUestioni strUttUrali: i moduli rigidi, soprattutto quelli con vetri temperati, hanno un peso ragguardevole che si incrementa drasticamente con l’aggiunta delle strutture di sostegno e, qualora sia il caso, delle zavorre, fino a raggiungere un peso superiore a 40-50 Kg/mq. sebbene non sia un carico gravoso, esso rende opportuna la consulenza di uno strutturista, soprattutto in zone soggette a precipitazioni nevose. i pannelli in copertura, infatti, trattengono la neve, generando una situazione di sovraccarico. la questione del peso dei pannelli assume, ovviamente, maggiore rilevanza in grandi edifici con facciate fotovoltaiche, con moduli con molte celle e, quindi, molto pesanti. in questi casi il peso dei pannelli è tale da complicare anche le operazioni di installazione, rimozione, manutenzione. - percorsi per la manUtenZione: manutenzione e pulizia vanno erogate con frequenza perché i pannelli, tipicamente esposti all’esterno, si sporcano facilmente. È molto raro, però, che il progettista di un impianto preveda adeguati percorsi per l’accesso ai pannelli o, quantomeno, a tutte le file di pannelli. l’accessibilità ai 93 moduli costituisce, invece, un aspetto molto importante della progettazione di un impianto, poiché ne condizionerà in maniera molto significativa la funzionalità e l’economicità. il paragrafo sul conto energia ha l’obiettivo di dimostrare come il concetto di integrazione sia stato inopportunamente esteso a casi molto discutibili, addirittura indicati come sperimentali. l’ultimo paragrafo del secondo capitolo, infine, introduce il tema dei Bipv (Building integrated photovoltaic), i moduli fotovoltaici integrati nell’architettura. il tema è stato analizzato da un punto di vista tecnico ed economico, poiché l’aspetto economico costituisce un nodo rilevante nella penetrazione di questa tecnologia sul mercato. si sono analizzati i punti di forza e di debolezza di questa soluzione, concludendo che si tratta di un’applicazione molto promettente. si è riscontrato, ad esempio, che sebbene siano naturalmente vocati all’integrazione nei centri storici, essi sono impiegati soprattutto negli stati Uniti e in cina, dove sopravvive un mercato dei grandi edifici ex novo: i Bipv, infatti, nel caso di edifici ex novo sono molto convenienti, poiché consentono di risparmiare sui materiali da costruzione. sono state individuate alcune macro-tipologie di moduli integrati: - moduli integrati rigidi su coperture - moduli integrati vetro-vetro - moduli integrati a botte - moduli integrati ombreggianti - moduli integrati in facciata Questo capitolo tira le fila del ragionamento sviluppato finora e vuole verificare quali soluzioni architettoniche siano state adottate per integrare la tecnologia fotovoltaica nell’architettura. verranno presi in esame quattro gruppi di manufatti, a cominciare dalle opere di tre architetti di rilievo: mario cucinella, philippe samyn e lo studio Feilden clegg Bradley. Questi autori hanno offerto interpretazioni differenti del fotovoltaico ma tutte di grande interesse; dall’analisi delle opere emergerà non solo l’impiego che essi fanno dei moduli integrati, ma soprattutto l’idea che professano di sostenibilità e architettura. nonostante la grande scala di molti degli edifici analizzati, l’importante committenza, i cospicui budget impiegati e le notevoli competenze disponibili, molte soluzioni adottate dai grandi architetti risultano praticabili e replicabili anche nell’architettura quotidiana, fornendo indicazioni preziose. verranno successivamente presi in esame alcuni edifici, significativi per l’impiego dispiegato della tecnologia in esame e di natura 94 sperimentale, nei quali si affrontano questioni relative all’integrazione del fotovoltaico, ma anche dell’efficienza energetica, molto rilevanti. si dedicherà, poi, come anticipato, un paragrafo all’analisi del fotovoltaico di “sopravvivenza”, vale a dire di quegli edifici che hanno necessità imprescindibile di autosufficienza energetica perché isolati in contesti ostili. dall’osservazione di questi esempi emergerà come gli aspetti tecnologici informino in maniera radicale e affascinante la morfogenesi degli edifici, esemplandone la configurazione rispetto al contesto. si dedicherà attenzione, inoltre, agli aspetti tecnologici, di grande interesse in questo caso, e ai metodi costruttivi, un altro problema rilevante in alta quota o a temperature intollerabili. si analizzeranno, infine, quelle architetture che hanno assunto il fotovoltaico come segno, interpretandone più la vocazione ideologica che l’aspetto tecnologico e funzionale: recenti studi, riferiti nel secondo capitolo, attestano che l’estetica costituisce un fattore di penetrazione per il fotovoltaico molto potente, e il mercato del design, più reattivo e dinamico di quello dell’edilizia, potrebbe costituire un vettore di avanzamento e progresso. dall’analisi di questi progetti emergerà uno scenario internazionale che ha già compiuto molti passi in avanti in tema di integrazione della tecnologia e in materia di consapevolezza ambientale. tutti i progetti, infatti, mostrano un approccio integrato alle questioni ecologiche, privilegiando soluzioni passive, ottimizzando i cicli chiusi, spesso estendendo l’attività dell’architetto oltre il manufatto, verso il contesto nel quale l’edificio si immette. esiste, purtroppo, uno scarto fra questa architettura e l’architettura quotidiana, un gap reso più evidente dalla scarsa partecipazione degli architetti alla filiera del fotovoltaico. nonostante negli ultimi anni molte aziende si siano rivolte a designer per concepire pannelli dalle linee più accattivanti, è mancata la consulenza di un architetto nella concezione dei moduli, così come è mancata, agli architetti, per lungo tempo, la volontà di comprendere a fondo la tecnologia per poterne disporre al meglio nel processo di genesi del progetto. i grandi studi professionali, invece, hanno operato all’inverso, inglobando al loro interno – e quindi nell’elaborazione del progetto d’architettura – le competenze ingegneristiche. 95 L’INTEGRAZIONE DEL FOTOVOLTAICO: TRE ARCHITETTI EmBLEmATICI SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS PHILIPPE SAmYN, mARIO CUCINELLA, FEILDENCLEGGBRADLEY STUDIOS philippe samyn1 prevede sempre il fotovoltaico nei suoi progetti, mostrando grande flessibilità nella scelta delle modalità di integrazione. la breve carrellata di progetti dimostrerà come ciò sia dovuto anche alla collaborazione con la issol, una società che produce moduli Bipv di altissima qualità: la forte relazione con questa azienda consente all’architetto di elaborare soluzioni precluse a molti altri, soprattutto per questioni economiche. Una delle caratteristiche dei progetti di samyn, qui evidente soprattutto nella stazione dei pompieri di houten e nel colossale euro space center, consiste nel fatto che egli tende a concepire il complesso come due differenti strutture, concettualmente e funzionalmente autonome, sebbene interconnesse: l’indipendenza delle due compagini è spesso ulteriormente enfatizzata dal ricorso a forme, segni, temi e materiali differenti. generalmente, alla struttura esterna è rimesso il compito di alloggiare i moduli pv e assume spesso forme molto particolari, mentre quella interna ha sovente volumi semplici, involucro massiccio e resistente, e ospita le funzioni principali. anche all’interno della produzione di questo sperimentatore del fotovoltaico, l’edificio sede della issol costituisce un unicum, per la qualità e la quantità delle tecnologie impiegate e per la complessità del progetto che dispiega una serie di accorgimenti bioclimatici che difficilmente si rinvengono in altre opere del progettista belga. il progetto per l’Università di lingua francese di Bruxells, infatti, dimostra come, quando il budget è più contenuto, l’architetto debba riservare i moduli Bipv alle coperture sopraelevate, mentre il grande edificio per il centro operativo di Brutele-voo, sembra suggerire che, in realtà, il fotovoltaico rappresenti più un elemento linguistico e iconico che una soluzione, nella visione dell’autore. Fire station2– hoUten, netherlands 1998-2000 l’autorità municipale di houten ha commissionato a samyn una piccola stazione dei vigili del fuoco, in un sito circondato dal verde. houten dispone di una forza di di vigili del fuoco ibrida, quattro pompieri professionisti e una sessantina di volontari, con sei autopompe, 96 97 SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS delle quali il progettista era obbligato a tenere conto. la direttrice fondamentale della progettazione consiste nella divisione fra la struttura del tetto e l’organizzazione interna: essa rappresenta l’idea del rifugio, l’indipendenza del guscio dalla costruzione stessa. gli interni sono concepiti in relazione alle esigenze del committente, mentre la scelta di una forma parabolica per il tetto è il risultato della ricerca di una linea elegante ma è stata condizionata anche da considerazioni pratiche, ottimizzando, di fatto, i processi produttivi e la resa energetica. l’edificio appare, infatti, costituito da un blocco, in forma di parallelepipedo, massivo e coeso, rivestito dall’onda della copertura. l’area meridionale dell’edificio è uno spazio trasparente, di vetro: qui è conservato l’equipaggiamento dei vigili del fuoco, esibito come in una grande vetrina. Questo vasto spazio, compreso fra il rivestimento trasparente e un massiccio muro di mattoni, riveste anche la funzione di cuscinetto termico, fungendo da isolante in estate e in inverno. tutte le altre funzioni sono state raccolte nell’area settentrionale, delimitata da uno spesso muro portante in mattoni. dai corridoi aperti è possibile vedere le autopompe e accedervi rapidamente. il piano terra ospita le docce e gli spogliatoi – con le attrezzature connesse – e un deposito-officina meccanica; al primo piano sono collocati un bar e una sala conferenze, mentre al SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS secondo piano sono disposti gli uffici e il deposito per l’equipaggiamento tecnico. la stazione sorge in un’area con una composizione sociale problematica, così il comune ha pensato di coinvolgere oltre 2000 bambini delle scuole elementari, per rappresentare su pannelli l’aspetto epico del mestiere del pompiere. i pannelli sono stati installati a rivestimento del muro di mattoni, a sua volta preservato dalla facciata trasparente, come in una sorta di quadro: il coinvolgimento diretto delle famiglie del quartiere nella costruzione e nella configurazione della stazione dovrebbe tutelare l’edificio da atti di vandalismo. la facciata di vetro prevede sei ampie aperture per consentire la rapida uscita dei mezzi dei vigili. la forma complessiva della stazione appare come una moderna variante del tema tradizionale dell’hangar. la disposizione dell’edificio sull’asse est-ovest ha consentito di beneficiare della lunga facciata meridionale, per installare delle celle fotovoltaiche su vetro. i pannelli, semi-trasparenti, installati su telai di alluminio, costituiscono una cortina che segue l’andamento parabolico della facciata, provvedendo anche a schermare una parte della radiazione luminosa, al fine di evitare un surriscaldamento eccessivo in estate. eUro space center at liBin-transinne3 – province de lUXemBoUrg, BelgiUm 2008-09 situato a libin-transinne, lungo la via che collega Bruxells al lussemburgo, lo euro space center si occupa di diffondere la conoscenza relativa all’esplorazione spaziale e alle teecomunicazioni in europa. in aggiunta all’esibizione e alle attrezzature interattive, offre l’opportunità a tutti di familiarizzare con le scienze spaziali, promuovendo la rappresentazione di attività didattiche – di alto livello – il che ha catalizzato l’interesse di investitori attivi nelle tecnologie satellitari per le telecomunicazioni. il progetto prevede un’inclusione di queste funzioni in una sorta di villaggio modulare, consistente in costruzioni di legno, di 2-4 livelli, disposte in una configurazione di geometria evolutiva. Un vasto parallelepipedo (52.80 m di lunghezza, 43.20 m di larghezza e 16.20 m di altezza), concepito come una grande serra, raccoglierà tutto l’insieme sotto un tetto comune. la facciata vetrata lungo la strada è prolungata da una galleria di 120 metri che riveste l’edificio pre-esistente. la hall e la galleria sono ritmate da elementi in sottili tubi d’acciaio da 4.80 m. Quattro piani orizzontali di cavi, distanti l’uno dall’altro 98 99 SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS circa tre metri, connettono i tubi verticali in entrambe le direzioni ortogonali per impedire cedimenti. gli stress indotti dai cavi, come quelli provocati dal vento, sono distribuiti sul perimetro da strutture verticali costituite da due colonne raccordate da barre incrociate e cavi. Questo impianto tridimensionale di barre e cavi costituisce il supporto ideale per i grandi cartelli che segnalano dall’autostrada la presenza del centro. il fotovoltaico è, come in quasi tutte le opere di samyn, uno degli elementi caratterizzanti del progetto. in questo caso l’architetto impiega moduli con funzione di grandi brise-soleil, sulla facciata meridionale e foggia il tetto come una successione di timpani a capanna, le cui falde sono analogamente rivestite di moduli. di fatto, anche in questo progetto, samyn non integra il fotovoltaico nell’edificio, ma concepisce due grandi strutture, separate e indipendenti, differenti per materiali e logica compositiva, e assegna a una il ruolo di guscio interno, all’altra il ruolo di grata esterna e sostegno per il fotovoltaico. da un punto di vista tecnico, è ragionevole ipotizzare che i 5000 mq di fotovoltaico impiegati siano non funzionino a pieno regime, soprattutto è probabile che i brise-soleil in facciata si ombreggino a vicenda. SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS UlB plaine4 – overall BUilding plan and em/stic applied sciences BUilding – campUs de la plaine UlB BrUssels, BelgiUm 2010 la UlB (libera Università di Bruxells, sezione di lingua francese) vuole raccogliere nel campus di la plaine tutte le facoltà che potrebbero costituire un centro di ricerca e innovazione. l’impianto generale del progetto mira a ottimizzare le caratteristiche energetiche e ambientali dell’opera, per elaborare una configurazione razionale e innovativa del sito. in funzione del programma imposto, su un’area coperta di quasi 10 ha, il nuovo progetto prevede oltre centomila metri quadri di aree di nuova costruzione e ne preserva oltre cinquantamila di costruzioni preesistenti, abbattendone circa novemila. i nuovi edifici sono costruiti secondo gli assi cardinali e orientati nella configurazione ottimale per le funzioni. i blocchi residenziali sono disposti sull’asse estovest, fino al confine con la sezione di lingua olandese dell’università. si tratta di un orientamento ideale per le abitazioni e implica, inoltre, che questi blocchi non fronteggiano direttamente gli edifici deputati alla didattica. gli uffici e i laboratori degli istituti sono per la maggior parte orientati sull’asse nord-sud, con l’intento di ottimizzare l’esposizione al sole, secondo le necessità. l’altezza relativamente contenuta degli edifici (da 2 a 6 livelli), fa sì che il sito paia aprirsi verso la città. Una strada collega i due campus e termina in un parco che accoglie i visitatori: si tratta di un focus del progetto, poiché questa è l’area più visibile e simbolica, aperta, anche percettivamente, sia agli studenti sia alla città. il parco e il sentiero sono preclusi al traffico veicolare, fungendo da raccordo fra i vari campus, il centro d’azione laica (cal) e 100 101 SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS soprattutto la biblioteca, forse il più importante e rilevante edificio del complesso. l’impiego del fotovoltaico in questo grande complesso riflette la richiesta della committenza di un progetto rilevante e funzionale ma con un budget limitato. samyn elabora, pertanto, una serie di pensiline e coperture sopraelevate, leggere e aeree, rivestite di moduli Bipv. come gli edifici, anche queste strutture esibiscono le semplici ed essenziali linee che l’architetto ha scelto per comunicare la razionale compostezza dell’edificio e delle attività che esso ospita. l’edificio “em/stic” ospita le sezioni di ingegneria elettromeccanica e di scienze e tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni, e costituisce il primo nucleo di una struttura più grande che, nel progetto complessivo, ospiterà l’intero dipartimento di scienze applicate. il primo intervento copre un’area di 16.710 mq (degli oltre 35.000 totali, quando sarà completato il progetto): la sezione di ingegneria delle strutture e delle costruzioni sarà ospitata nell’estensione meridionale e la parte che ospiterà l’isiB, il collegio degli ingegneri di Bruxells, sarà nella zona nord. Una volta completato, l’edificio rappresenterà circa un terzo delle superfici coperte nel campus. sorgerà sull’asse nord-sud, fra un gruppo di edifici pre-esistenti e il cal. Questa disposizione offre i seguenti vantaggi: l sito sul quale sorge non è costruito ed è libero da impedimenti.la prossimità agli edifici pre-esistenti promuove un’efficiente sinergia, in particolare perché consente di raggruppare tre sezioni afferenti alle tecnologie informatiche. la disposizione nord-sud dell’edificio consente di collocare sullo stesso asse la maggior parte degli uffici e dei laboratori, massimizzando le opportunità di schermatura in estate e di esposizione in inverno. l’edificio ha una facciata meridionale, sulla nuova piazza di accoglienza, della quale costituisce un elemento fondamentale. È inoltre visibile dalla città e appena ci si approssima al sito. È rilevante che tale visibilità sia riservata agli edifici costruiti nella prima fase. la disposizione del nuovo edificio em/stic beneficia della precedente entrata al sito, collocata a nord-ovest, sul Boulevard de la plaine. consente l’accesso al nuovo parcheggio esterno e alle piattaforme di carico delle officine della sezione elettromeccanica. la struttura ha un asse di circolazione interno nord-sud che corrisponde a quello di circolazione del sito, che connette l’entrata principale del campus con la parte del campus corrispondente SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS all’università di lingua olandese. aree cUscinetto le aree collocate fra le differenti ali degli edifici costituiscono dei cortili interni coperti da volte in vetro simili a quelle di una serra e da brise-soleil in facciata: esse costituiscono aree cuscinetto che, in aggiunta ai molti vantaggi come il comfort termico e acustico, la riduzione della spesa energetica, la protezione dal vento, l’illuminazione naturale, creano uno spazio gradevole. i cortili interni, infatti, sono luoghi ideali per incontrare persone, promuovere relazioni e rilassarsi con qualunque condizione meteorologica, rendendo quegli spazi sempre fruibili. il fatto che le coperture di questi spazi siano ricoperte di verde migliora le condizioni ambientali e la vivibilità e offre una piacevole vista alle stanze che da lì traggono la luce solare. modUlaZione degli spaZi e organiZZaZione l’edificio è modulato in una griglia ideale di 3 m. per ragioni economiche, il progetto ha adottato la ripartizione più minuta fra quelle possbili, e ha ripartito gli spazi in due per aumentare la flessibilità e l’adattabilità della struttura. Questa modulazione è estesa a tutto l’edificio, in accordo alla generale disposizione ortogonale. il piano è libero, aperto, con le colnne e i cavi verticali come unici elementi di sostegno fissi. la divisione è effettuata usando pannelli di cartongesso, economici, flessibili e facilmente rimovibili, che non alterano la percezione unitaria dell’ambiente e non precludono trasformazioni successive. adattaBilità e dUrevoleZZa dell’ediFicio l’em/stic è progettato con una spiccata attenzione alla lunga durata delle strutture e dei materiali: Flessibilità: tutte le superfici sono di dimensioni standard, con moduli prefabbricati, i corridoi possono essere orientati in relazione ai bisogni, le ripartizioni interne, con muri prefabbricati leggeri, possono essere rimodulate facilmente, come l’impiantistica. Facilità di uso: tutti i piani sono sullo stesso livello, per assicurare la massima adattabilità alle esigenze didattiche o di ricerca e per consentire accessibilità piena anche a persone con mobilità ridotta. l’architettura minimalista dell’edificio, di carattere industriale e tecnologico, si attaglia perfettamente alla funzione e conferisce un’immagine apppropriata alla facoltà di scienze applicate. i materiali sono semplici, resistenti e standardizzati, in gran parte prefabbricati. le altezze dei piani sono diversificate in accordo alle funzioni di de102 stinazione: le officine sono alte sei metri, al piano terra, i laboratori, al secondo piano, sono alti 3,6 m, gli uffici, al terzo e quarto piano, 2,6 m. lUJiaZhi cUltUral creativy garden ZhoUshan p1-entry oF the site5 – ZhoUshan, china 2010 il governo locale di Zhou shan (est della cina, un arcipelago di isole) ha rimesso a Wang shu la missione di riqualificare il porto e l’area industriale dell’isola di lujiazhi, trasformandola in un sito turistico e culturale, preservando i moli e le attività portuali, a memoria dei trascorsi industriali dell’isola. trasformando il suo incarico in un progetto di architettura contemporanea innovativa, Wang shu ha coinvolto 14 architetti premiati con il global award for sustainable architecture, fra 2007 e 2009. ognuno dei 16 progetti si concentra su un aspetto dell’architettura sostenibile contemporanea. samyn ha dichiarato di aver SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS 103 SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS tratto ispirazione per il progetto dal genius loci, dal percorso del sole e dal clima. Fra le altre caratteristiche del sito, l’attività del porto ha promosso l’acquisizione di talenti nella carpenteria in acciaio, il che ha indotto l’adozione di piastre d’acciaio e tecnologie cantieristiche come elemento caratterizzante del progetto. il contesto architettonico vede la coesistenza di costruzioni vernacolari e industriali, la cultura locale e l’artigianato, infatti, si sono sviluppati insieme, creando un ambiente unico e suggestivo. a samyn è stato affidata la progettazione di una struttura multifunzionale all’ingresso del sito, con parcheggio, una zona ristoro e bar, e una torre. la vegetazione lussureggiante sulla montagna, il clima e la configurazione generale del sito hanno suggerito una soluzione leggera e trasparente che garantisca il massimo spazio a persone e giardini e il minimo spazio alle auto. l’edificio principale segue il lato lungo del parcheggio per oltre 50 metri, con una larghezza di appena 7 metri, mentre si sviluppa in altezza su tre livelli. all’interno, lo spazio è articolato su tre assi longitudinali, uno parzialmente aperto verso le colline, una galleria coperta, interna, a tutta altezza, e un ulteriore spazio che guarda verso i giardini esterni, la pensilina e il mare: una serie di livelli digradanti, tutti coperti dalla stessa alta pensilina, trasformano questo spazio in una sorta di teatro dal quale guardare il porto o il giardino prospiciente. lo spazio esterno, infatti, è abbracciato da una pensilina che provvede a ombreggiare le piante, il giardino e i fruitori dello spazio. i bagni sono collocati a est dell’edificio, in una macchia di profumati arbusti e su un asse nord-sud esposto alla ventilazione diretta. all’ingresso una grande torre di tubolari, con le facciate lunghe rivestite di pannelli colorati, può ospitare 42 auto o spazi addizionali per l’area di ristoro, con una vista sul porto. Zhousan ha un clima subtropicale e monsonico, la temperatura media è di circa 15,3 c° con un’elevatissima piovosità, di circa 1135 mm; il diagramma del percorso del sole, però, ha mostrato che non è richesta una protezione verticale dai raggi sul confine est del sito, mentre ad ovest è la torre a fare da schermo nelle ore più calde del pomeriggio. durante la stagione calda è richiesta un’ombra orizzontale, fornita dalle pensiline in etFe, mentre la brezza marina garantisce la ventilazione naturale e la rimozione dell’aria esausta, con un’intensità favorita dalla differenza di temperatura fra la collina, verde e ombreggiata dagli alberi, e l’acqua del porto, soggetta a rapido riscaldamento. la stessa brezza raffresca il parcheggio, spingendo i gas esausti via dalla città, verso la collina, dove gli alberi catturano l’anidride carbonica per i pro104 cessi di fotosintesi. lungo i balconi è previsto un sistema a doppia cortina, che si svilupperà per tutta la lunghezza, all’esterno e all’interno: ciò consentirà di regolare la temperatura e la qualità dell’aria in relazione ai venti e alla pioggia. i pavimenti sono costituiti da piastre d’acciaio separate da uno strato di 10 mm di un materiale ignifugo e assorbente, in grado di isolare anche acusticamente un piano dall’altro. per provvedere al riscaldamento in inverno saranno inoltre installati collettori solari, sulla copertura della galleria centale e sulle quattro gallerie perpendicolari. la struttura ulta-leggera in acciaio garantisce una superficie di contatto fredda, migliorando il comfort termico e riducendo al minimo l’inerzia termica e il rischio di incendi. È stato inoltre proposto di realizzare ogni pezzo dell’arredamento in acciaio ultra leggero, riducendo a zero il rischio incendi. tutte le coperture del blocco di edifici centrale sono costituite da moduli fotovoltaici semi-trasparenti, attraverso i quali filtrerà l’illuminazione naturale e anche i vivaci colori della torre. issol è una compagnia specializzata nella progettazione e realizzazione di pannelli fotovoltaici con un elevato valore aggiunto, sita nella regione di verviers (Belgio). la crescita continua dellla compagnia ha richiesto un’espansione dell’attuale impianto attraverso la costruzione di una nuova linea di produzione. l’edificio dovrà rivestire anche una funzione dimostrativa e promozionale, attestando la perizia della issol nel settore dei Bipv, per questo motivo l’intero complesso sarà rivestito di fotovoltaico. la forma dell’impianto, un ovoide apparentemente complesso, è il risultato di un processo geometrico in realtà estremamente semplice. gli elementi strutturali fondamentali sono, infatti, un arco di metallo in forma di parabola asimmetrica (così da conferire l’orientamento ideale ai pannelli sulla facciata meridionale, e una maggiore inclinazione a quelli sulla facciata settentrionale), gli archi sono tutti impiantati in piani radianti su asse orizzontale, così da formare un segmento toroide. Questo modo di edificare la struttura, a dispetto della forma ovoidale del complesso, è particolarmente economico, poiché gli archi hanno tutti, rigorosamente, la stessa forma. gli archi hanno un’apertura massima di 30 m e un’altezza di 15 m, sono fatti di travi composite debitamente curvate, con un’altezza di 100 cm, 105 SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS photovoltaic panel prodUction hall6 – rU dU progres 18 dison, BelgiUm 2011-12 SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS con una copertura in vetro fovoltaico impermeabile nella parte superiore, e una pelle isolante nella parte inferiore. nella parte superiore dell’edificio una linea di eliostati cattura e distribuisce la luce naturale all’interno, poiché l’impianto sorge in un’area isolata, non ci sono elementi che proiettino ombra. Uno specchio d’acqua rende possibile incrementare ulteriormente il rendimento delle celle a nord-ovest. Una 106 neW headQUarters oF the chilian social secUrity7 - santiago de chile, chile 1997 il progetto riguarda un edificio che ambisce a diventare un punto di riferimento nella città: in quanto edificio pubblico, l’opera deve comunicare, nella richiesta della committenza, la trasparenza della democrazia e la sua vicinanza alla comunità, evidenziando l’importanza della funzione sociale rivestita dall’ente ai suoi membri e a tutti i citta107 SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS galleria fra uffici e depositi incrocia la nuova area di produzione per arrivare alla sezione che si occupa della spedizione dei prodotti finiti, consentendo non solo la mobilità ottimale all’interno dell’impianto, ma una direttrice per espansioni future. lo spazio ha un’inerzia termica quasi nullae il controllo del clima all’interno avviene quasi completamente attraverso sistemi di ventilazione: filtri ad alta intensità garantiscono la pulizia dell’aria, un requisito fondamentale per i processi produttivi sviluppati nell’impianto. l’aria purificata è in parte raffreddata grazie all’acqua dello specchio d’acqua esterno, che si raffredda molto durante la notte: un serbatoio interrato e isolato termicamente, invece, preserva il calore raccolto dalle superfici esposte al sole. l’intento dei committenti era di rappresentare un approccio complesso al tema dello sviluppo sostenibile, declinando questo indirizzo in vari ambiti. il tema della sostenibilità dei materiali, ad esempio, è stato affrontato prevedendo fondazioni facilmente rimovibili, fatte con “calzini” riempiti di ghiaia, i pavimenti sono fatti con legno riciclato e tutta la struttura è facilmente smontabile e riciclabile. la pelle isolante interna è fatta di pannelli ricoperti di tessuti disegnati dalle manifatture di verviers, conferendo una rilevanza anche sociale al progetto. infine, la copertura totale di fotovoltaico garantisce all’edificio una produzione del 150% del proprio fabbisogno, dimostrando che è possibile conciliare sostenibilità, profitto e qualità architettonica. naturalmente i risultati di questa struttura non sono facilmente replicabili e non solo per le competenze tecniche dispiegate nella progettazione dagli ingegneri della issol: i pannelli necessari a rivestire l’inconsueta struttura esterna, infatti, non sono standard, sono moduli Bipv molto piccoli, praticamente fabbricati su misura dalla stessa issol. ciò è coerente con la vocazione dimostrativa del progetto ma, di fatto, samyn ha potuto qui piegare la tecnologia al disegno, un privilegio raro anche per i grandi architetti. SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS dini cileni. trasparente, integrato nell’ambiente e rispettoso del circostante, l’edificio è disegnato per essere accogliente e aperto ai fruitori e ai visitatori, offrendo a tutti la possibilità di osservare il funzionamento della macchina amministrativa. osservato di fronte, l’edificio appare una piramide con un ampio basamento, ma è in realtà costituito da due parti differenti (a parte i livelli sotterranei): una base, contenente sei livelli, la cui superficie è pari all’estensione dell’intero lotto, e che dall’esterno si percepisce come un sistema di quattro blocchi paralleli, e una torre, dalla forma triangolare, e quindi di ampiezza variabile, anch’essa comprendente sei livelli, sormontata da un’ampia navata di vetro. all’interno la base è ripartita da una navata centrale, a tutta altezza, che ripartisce il sistema in due metà, ciascuna delle quali, come si è detto, comprende quattro ulteriori ripartizioni, ciascuna delle quali illuminata con un lucernario a pozzo, e parzialmente occupata da vestiboli a croce che si aprono sul percorso interno. la torre è divisa, invece, in quattro unità, separate da spazi vuoti che assicurano illuminazione naturale e sono in relazione con il percorso interno vetrato. gli spazi pubblici sono distribuiti sulla strada interna, illuminata con luce naturale e con tre aperture, sulla facciata nord, che lasciano penetrare luce frontale. l’edificio è trasparente il che, a parte le implicazioni sim- 108 109 SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS boliche, migliora il comfort percettivo degli utenti, i quali possono beneficiare della luce naturale e del cielo, come se fossero all’aperto. le aree più illuminate prevedono spazi per le relazioni sociali e gli incontri. la geometria generale dell’edificio deriva, certo, dai vincoli imposti dalle normative cittadine e dal contesto, ma è soprattutto legata alla volontà di illuminare naturalmente tutte le aree utili dell’edificio, e di offrire una circolazione orizzontale e verticale chiara e comprensibile. Un aspetto di interesse riguarda anche l’impianto di condizionamento, che beneficia delle enormi aperture della struttura, pur sfruttandone la massa termica. Una serie di colonne integrate nella configurazione architettonica è sufficiente ad assicurare la stabilità dell’edificio anche in caso di terremoti, e i sostegni, incorporati nella struttura, rendono l’edificio totalmente aperto da un punto di vista percettivo, affrancato da zone opache dovute agli elementi strutturali. le facciate dell’edificio sono progettate con il sistema della doppia pelle, frequentemente utilizzato da samyn and partners. il sistema, che consiste in due fogli di vetro trasparente e un sistema di scuri analogo alle veneziane, consente un ottimale controllo termico, contenendo la dispersione di calore in inverno e il surriscaldamento in estate, grazie all’aria imprigionata fra i due vetri. i servizi igienici possono essere collocati praticamente ovunque, poiché ogni colonna è dotata di una interconnessione con tutti gli impianti e nei muri è presente ovunque un sistema di filtraggio dell’aria a carbone. la configurazione proposta garantisce sufficiente flessibilità all’edificio e può essere adattata a nuove esigenze senza costi gravosi, consentendo all’istituzione di farne altri usi in futuro, o di alienarla. all’ultimo piano, sull’attico, una caffetteria con giardino offre la possibilità di pranzare avendo una splendida vista sulla città e sulla cordigliera andina. Una terrazza, accessibile da una rampa gradonata che risale, con una lieve pendenza, per 24 metri lungo la facciata vetrata, corona il tetto, a 72 metri sul livello della strada. il fotovoltaico è collocato nella pelle esterna della facciata nord e disegna un gioco cromatico con le altre coperture trasparenti. anche in questo caso, samyn ha beneficiato di un rapporto privilegiato con l’industria, utilizzando pannelli ritagliati su misura per una sorta di installazione di land art. i moduli integrati su vetro, infatti, disegnano delle losanghe in corrispondenze delle trombe delle scale lungo l’intera facciata settentrionale. anche la stretta navata di vetro, sulla sommità dell’edificio è costruita in fotovoltaico ma, nonostante le dimensioni ragguardevoli, l’apporto di questa tecnologia al bilancio energetico dell’edificio è decisamente marginale. SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS horiZon toWer8 – BoUlevard pacheco BrUssels, BelgiUm 2007 Questa torre ha oltre quarant’anni e, insieme a quella del ministero della Finanza, recentemente rinnovata, segna l’ingresso al pentagono di Bruxells, dal boulevard pacheco. la disposizione standard di ogni livello è organizzata su una griglia di moduli 3x5. il modulo centrale contiene le principali infrastrutture per la circolazione verticale, mentre i moduli adiacenti sono vuoti per consentire l’aerazione e l’illuminazione naturale. Questo impianto è replicato di ordine in ordine ed è invertito ogni quattro ordini, generando un insieme di ariosi vestiboli completati da volumi angolari della stessa altezza, che punteggiano la facciata in un pattern a zig-zag, come se l’intero edificio fosse un colossale insieme di vuoti e pieni. Uno scheletro di colonne oblique, a losanga, ospita larghi pannelli neri di fotovoltaico, regolarmente intercalati da finestre e da pannelli di vetro. la struttura composta da pannelli rigidi e dalle colonne oblique, di forma tubolare, provvede alla stabilità della facciata. i pannelli fotovoltaici conoscono, qui, il classico impiego di “spandrel”, vale a dire di riempitivi opachi in una cornice nella quale sono alternati ad aperture trasparenti. il colore scuro dei pannelli è qui impiegato dall’architetto per definire un’alternanza cromatica che conferisce movimento e ritmo alle facciate. 110 aliBaBa headQUarters9 – shenZhen, china 2011-12 111 SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS l’alibaba group è leader mondiale nell’e-business e la più grande compagnia della cina in questo settore. il gruppo ha la vision di “promuovere una nuova civiltà del business trasparente, aperta, condivisa e responsabile”, e ha richiesto che la sede comunichi questi valori e coinvolga i visitatori e la città in un rapporto di scambio e comprensione della filosofia aziendale. per questa ragione samyn ha scelto di esemplare il progetto sui seguenti principi fondamentali: trasparenza: creare un buon ambiente cooperativo con spazi di lavoro e di ricreazione comuni; disposizione organica: consentire la circolazione naturale dell’aria e delle persone, attraverso spazi aperti e gradevoli; progresso: rappresentare l’idea dell’azienda di un’espansione illimitata e il costante proposito di un futuro migliore; sostenibilità: essere flessibile, sviluppare un grande vantaggio competitivo da sfruttare nel caso di cambiamenti futuri; tradizione e creazione: sviluppare una nuova organizzazione spaziale basata sulla cultura tradizionale cinese. il progetto originale prevedeva due edifici contrapposti, mentre la proposta attuale consiste in un grande guscio unico in forma di spicchio SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS di sfera cava, che si estende dal basso verso l’alto, aprendosi di fronte alla città, come se fosse l’impronta di un dito nella creta. il guscio è stato generato con l’equazione matematica xyz=α³(espressa in m³). l’edificio principale è costituito da due fogli di iperboli tridimensionali; entrambi i gusci, l’interno e l’esterno, sono basati sulla stessa equazione matematica, con un differente parametro”α”. la struttura è sorretta da colonne oblique dello stesso colore della facciata, conferendo l’impressione che il guscio fluttui senza peso sulla strada e sugli ambienti al piano terra. le due facciate che danno sull’angolo della strada sono protette da un reticolo trasparente, cui sono agganciate tramite sostegni obliqui: la peculiare foggia del guscio esterno e il fatto che sia rivestito di bamboo fanno sì che esso ricordi la carena di una nave, e il ritmo conferito dai sostegni, resi evidenti dalla copertura trasparente, trasforma la struttura in una imbarcazione in procinto di salpare, una metafora efficace per l’ambiziosa compagnia. tale forma ha, inoltre, il vantaggio di separare efficacemente le funzioni: a livello della strada, infatti, saranno collocati gli spazi commerciali (quasi 6.000 mq), mentre il guscio ospiterà ben 15 livelli di uffici e centri di business (per un totale di 77.000 mq), compendiando l’intera struttura operativa dell’azienda in cina. la alibaba group vuole proporsi, attraverso la sua sede, come protagonista della vita cittadina, una presenza leggera, così tanto da fluttuare sulla strada, ma anche una tutela e un riferimento, considerata la rilevanza dell’edificio e la protezione, anche bioclimatica, che esso estende sullo spazio urbano contiguo. l’edificio, infatti, protegge dalla pioggia e dal sole anche la strada sottostante, così chi la attraversa beneficia di un’area sicura e fresca, sempre ventilata. il piano terra sembra aperto, poiché definito solo dalle due facciate trasparenti. esso ospita un giardino, illuminato anche dall’alto da nove grandi lucernari che perforano l’intera profondità del guscio. Un sinuoso percorso si sviluppa attraverso tutta la superficie, ponendo in comunicazione la sede del gruppo con la città, e offrendo ai visitatori la sensazione di attraversare un ambiente naturale. i locali commerciali sono qui collocati, con una disposizione apparentmente casuale, al fine di accrescere la percezione degli utenti di attraversare uno spazio spontaneo e, in qualche modo, ecologico. all’angolo nord-ovest della piazza aperta, l’accesso principale all’aula centrale dell’edificio per uffici assume la forma di una scala mobile che parte dall’ingresso. l’edificio ha molte ragioni di interesse anche da un punto di vista tecnologico. esso è costituito da due gusci liberamente espandibili in 112 operation centre For BrUtele-voo10 –aeropole de charleroi goselies, BelgiUm 2012 Brutele voo è un grande operatore delle telecomunicazioni e ha commissionato questo grande progetto per raccogliere le sue attività in un singolo centro operativo, che includa il management, i vari dipartimenti amministrativi, i gruppi tecnici, l’assistenza e il servizio clienti. l’edificio è a 45° rispetto alle strade e ha uno sviluppo che segue il percorso del sole. l’ingresso principale, che garantisce l’accesso al piano terra, è rivolto ad est, fornendo luce a partire dal primo mattino, ma è orientato in maniera tale da non collocare i visitatori in contro-luce. le cinque terazze sul primo piano, rivolte a nord e sud, evitano fastidi alla visuale anche quando il sole è basso sull’orizzonte. il suolo non edificato, intorno all’anello del parcheggio, è stato densamente piantumato, seguendo una geometria finalizzata a raccordare l’edificio con la configurazione del contesto. samyn ha scelto di rendere suggestiva l’area, edificando su un canale circolare, che inscrive la pianta quadrata della struttura che, in questo modo, risulta inclusa fra il disco d’acqua sottostante e l’enorme disco di copertura che sormonta il corpo di fabbrica. il laghetto ornamentale, nel quale l’edificio si riflette, contribui113 SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS rete d’acciaio, su una griglia di quadrati da ±16.8 m, che galleggiano su 56 colonne inclinate, perpendicolari alla superficie. altri 56 perni collegano i gusci nella parte superiore. a ogni livello, travi d’acciaio sostengono il piano, con un reticolo di quadrati da 16,8 m per lato: le travi sono comprese nel pavimento di ogni livello, che ha uno spessore di circa 1,2 m. tredici elementi tensivi (7 sulla facciata meridionale e 6 su quella orientale) collegano diagonalmente 14 delle 56 colonne inclinate fra il piano terra e il guscio. assieme alle altre colonne essi sostengono i carichi orizzontali dell’intera struttura, opponendosi alle sollecitazioni endogene ed esogene. gli schermi vetrati sono assicurati al guscio inferiore delle facciate nord e ovest con cavi e perni. i brise-soleil, passando gradualmente dalla posizione orizzontale, sui fronti nord-sud, a quella verticale, sulle facciate est-ovest, proteggono tutto il complesso dai raggi diretti. mentre la pelle esterna è protetta da uno strato in bamboo e da schermi led sulle superfici a ovest e nord, quella interna, nella porzione est-sudest, è rivestita di fotovoltaico, qui impiegato dall’architetto per ricoprire una superficie concava. SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS sce a un inserimento armonioso nel circostante ma gioca anche un ruolo focale nella termoregolazione dell’area e nel fornire acqua alla struttura. la ricerca, apparentemente contraddittoria, di un edificio molto compatto ma con ampie aperture per l’illuminazione naturale, ha guidato a un progetto a pianta quadrata, con lati di 45,22 m, alto due piani. in questa configurazione, in aggiunta alle finestre sui lati, l’illuminazione naturale dall’alto irradia luce al centro dell’edificio, in sei piccoli atrii a doppia altezza. il corpo di fabbrica ha un aspetto monolitico, accentuato, certamente, dal confronto cromatico fra lo spazio verde circostante e le quattro facciate dell’edificio, omogenee e bianche, perforate da piccole finestre quasi quadrate, protette da scudi di metallo. in realtà, la sede del colosso delle comunicazioni è una struttura molto aperta, e i pannelli metallici che ne rivestono le finestre sono sottili fogli di metallo traforati con ben il 50% della superficie forata: in questo modo, tali scudi sono permeabili all’aria e alla luce, consentono di ammirare il paesaggio dall’interno ma forniscono protezione dalla pioggia e dal vento; uno schermo analogo circonda il parcheggio coperto nel primo sub-livello. il tetto costituisce il quinto lato dell’edificio, con aperture regolari, incorporate in una rete di pannelli solari di vari colori. poiché tutte le aree tecniche sono collocate al primo sub-livello, il tetto è completamente sgombro da impianti ed è sormontato da una una tettoia, costruita con lo stesso foglio di metallo perforato, 114 115 SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS sostenuta da agili colonnine, che accresce il comfort del tetto, e riprende le linee dell’anello del parcheggio. l’interno dell’edificio è molto più movimentato, con quattro strette ali a doppia altezza che abbracciano sei piccoli vestiboli, illuminati con la luce naturale che penetra dai lucernari, un movimento che crea una sorta di “respirazione spaziale”, conferendo ritmo ad un altrimenti monotono spazio aperto. all’incrocio fra le ali, si aprono i percorsi di mobilità verticale, con un ampio scalone a spirale, illuminato dall’alto. al piano terra, una passerella pedonale, in legno, conduce dal parcheggio riservato ai visitatori alla reception. le aperture forniscono luce naturale di alta qualità durante tutto il giorno. l’obiettivo è mgliorare il comfort visivo degli utenti e ridurre il consumo di elettricità per l’illuminazione artificiale, una voce onerosa del bilancio operativo di un edificio così grande: grazie alla disposizione delle finestre e alla qualità dei vetri, l’80% della luce necessaria nel corso di tutte le ore di attività durante l’anno, anche negli uffici più interni, è garantito dal sole. il fotovoltaico è presente nella copertura del corpo di fabbrica, nella veste di pannelli colorati. essi sono stati disposti secondo il disegno di un land artist, marin Kasimir, e sono visibili attraverso i fori della vasta copertura metallica. anche in questo caso, samyn può permettersi di giocare con il fotovoltaico e, in questo progetto più che in altri, risulta evidente come egli attribuisca a questa tecnologia una rilevanza prevalentemente linguistica e iconica. l’enorme superficie della copertura circolare, molto più vasta del tetto dell’edificio, avrebbe potuto ospitare una distesa di moduli integrati ottimamente esposti e non ombreggiati, tale da soddisfare totalmente il fabbisogno energetico della struttura, ma l’architetto ha scelto di confinare il fotovoltaico a un’area ridotta e, per giunta, schermata. SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS note 1 philippe samyn and partners sprl-bvba è stato fondato nel 1980: con le compagnie affiliate ingenieursbureau Jan meiJer, Fti, dae e airsr, lo studio è attivo in tutti i campi dell'architettura e dell'ingegneria delle costruzioni. l'approccio di samyn si basa su quella che egli definisce "metodologia del perché", un approccio aperto a tutte le possibilità e attento alle richieste del cliente. il processo di progettazione è uno sforzo continuo ad assimilare in maniera ottimale un ampio numero di diversi fattori da prendere in considerazione, integrandoli in modo da accrescere la coerenza architettonica del progetto. la progettazione prevede il ricorso alle acquisizioni di molte discipline differenti nell'ambito dei materiali, dell'ecologia, delle strutture. il primo obiettivo di samyn consiste nel rendere chiare le strutture, trasformando la complessità in chiarezza. a questo principio fa seguito il processo realizzativo, pura scienza costruttiva, un processo dinamico che adatta le forme alla ricerca teorica: samyn, infatti, attribuisce enorme rilevanza ai modelli, una pratica che, correttamente, egli fa risalire alle origini rinascimentali dell'architettura. i modelli sono, inoltre, uno strumento appropriato per controllare lo sviluppo tridimensionale del progetto. È importante sottolineare che per modelli samyn non parla di ricostruzioni virtuali, ma veri e proprio plastici dettagliatissimi, strumenti fondamentali per verificare il funzionamento di alcune ardite tecnologie e configurazioni. 2 http://www.samynandpartners.be/en/project/01-373/Fire%20station/21 3 http://www.samynandpartners.be/en/project/01518/eUro%20space%20center%20at%20liBin-transinne/21 4 http://www.samynandpartners.be/en/project/01-570/UlB%20plaine%20– %20overall%20BUilding%20plan%20and%20em/stic%20applied%20sciences%20BUilding/21 5 http://www.samynandpartners.be/en/project/01-574-1a/lUJiaZhi%20cUlt U r a l % 2 0 c r e at i v i t y % 2 0 g a r d e n % 2 0 Z h o U s h a n % 2 0 p 1 entry%20oF%20the%20site/21 6 http://www.samynandpartners.be/en/project/01592/photovoltaic%20panel%20prodUction%20hall/5/21 7 http://www.samynandpartners.be/en/project/01-362/neW%20headQUarters%20oF%20the%20chilian%20social%20secUrity/4/21 8 http://www.samynandpartners.be/en/project/01528/horiZon%20toWer/3/21 9 http://www.samynandpartners.be/en/project/01-588/aliBaBa%20headQUarters%20-%20shenZhen,%20china/4/21 10 http://www.samynandpartners.be/en/project/01-598/operations%20 centre%20For%20BrUtele-voo/4/21 116 casa 100KeUro2 – progetto di ricerca per residenZa a Basso costo la “casa 100k euro” è il risultato di una ricerca sull’edilizia residenziale a basso costo, condotta in collaborazione con un team di sociologi, con l’obiettivo di elaborare soluzioni residenziali di qualità e con elevata efficienza energetica. gli edifici progettati beneficerebbero dell’apporto di varie fonti attive e passive, a cominciare da un sistema a pompa di calore geotermica, in grado di fornire acqua calda anche 117 mARIO CUCINELLA ARCHITECTS l’impiego che mario cucinella1, architetto palermitano, ha fatto del fotovoltaico costituisce motivo di interesse per la sua elevata replicabilità. piuttosto che adattare la configurazione architettonica alla tecnologia, un’operazione che spesso richiede investimenti elevati e risultati tutt’altro che garantiti, cucinella ha scelto di ricorrere a una soluzione semplice, dai costi contenuti e funzionale: nella maggior parte degli edifici progettati negli ultimi anni, infatti, i moduli pv sono integrati in strutture di copertura, con funzioni schermanti, termoprotettive, sui tetti degli edifici. tale applicazione viene declinata in modi differenti a seconda delle caratteristiche dell’edificio, delle disponibilità del committente e del contesto ambientale e climatico, pertanto sarà utile fornire qualche esempio. prima di questa rassegna, però, è importante evidenziare un aspetto centrale dell’opera di questo architetto, vale a dire la complessità della sua idea di sostenibilità. nelle architetture di cucinella, il fotovoltaico è una tecnologia che coopera con altri sistemi di produzione di energia a soddisfare il fabbisogno dell’edificio, il ruolo più rilevante, però, è rimesso a una serie di accorgimenti bioclimatici, di recupero e riuso delle acque, di configurazione e di efficientamento con sistemi passivi, davvero notevole e raro; oltre all’attenzione per questi temi, l’architetto dimostra una spiccata propensione ad affrontarli con soluzioni naturali (come i camini ad aria e i sistemi di fitodepurazione) e, come evidenziato soprattutto dal progetto dell’arpt, a sfruttare le caratteristiche del contesto. mARIO CUCINELLA ARCHITECTS per i riscaldamenti; alcune pale di mini-eolico forniscono, insieme a una caldaia a biomasse, la maggior parte del fabbisogno energetico, ridotto da pareti e coperture ben isolate. percorsi per una mobilità pedonale e spazi per gli orti urbani, completano un progetto complesso e ambizioso proprio per la scala ridotta e l’esiguo budget di realizzazione. da un punto di vista architettonico, l’impiego del fotovoltaico risulta di particolare interesse: i moduli Bipv per superfici piane, sono infatti integrati, qui, in una copertura aggettante, sostenuta da una struttura colorata di alluminio, e con funzioni integrate. da una parte, infatti, essa produce energia con le celle integrate, dall’altra rinfresca la copertura, schermandola, e convoglia le acque piovane, depurate e utilizzate per le abitazioni. la copertura aggettante estende la superficie fotovoltaica disponibile e fornisce ombra ai balconi, intercettando, inoltre, una maggiore quantità di 118 pioggia, e fornisce copertura agli spazi comuni. il fatto che il fotovoltaico sia integrato in una struttura indipendente, inoltre, consente la massima funzionalità ai pannelli orizzontali che beneficiano di un’adeguata retroventilazione, e tutela i materiali della copertura, preservandoli dagli agenti atmosferici e dal surriscaldamento. scUola miraBello3 – ediFici scolastici temporanei Un’impostazione analoga, da “architettura di sopravvivenza” – secondo la formula di yona Friedman – è condivisa dal progetto per edifici scolastici temporanei della scuola di mirabello, realizzato nel 2012 per restituire il servizio scolastico alle aree colpite dal terremoto dell’emilia romagna. anche in questo caso il fotovoltaico risulta integrato nella copertura schermante e sopraelevato, rispetto al tetto, grazie a una struttura di sostegno in acciaio, così da ottimizzare l’effetto protettivo e, al contempo, la conversione di energia. mARIO CUCINELLA ARCHITECTS 119 sieeB4 - sino-italian ecological and energy eFFicient BUilding mARIO CUCINELLA ARCHITECTS il tema della copertura come pensilina è sviluppato in questo edificio cinese, sede del sieeB, un centro di ricerca per l’efficienza energetica sino-italiano. considerata la vocazione dell’edificio, il fotovoltaico gioca un ruolo minoritario nel bilancio energetico, che è in gran parte rimesso a tecnologie passive e bioclimatiche per il risparmio. in primo luogo, la struttura sorge su un vasto giardino, che, avendo forma di ferro di cavallo, essa parzialmente include, con una fondamentale funzione termoregolatrice, in aggiunta a quelle ovvie di comfort climatico e salubrità. l’edificio è protetto da un sistema complesso che integra cortine e doppia pelle, beneficiando di numerose aree cuscinetto, ventilate e non, per accrescere l’efficienza termica della struttura. le pensiline che ritmano la facciata meridionale, sono strutture in acciaio che sostengono pannelli fotovoltaici in silicio cristallino orientati per massimizzare la resa, mentre le altre superfici sono vetrate e schermate da brise-soleil regolabili. le facciate laterali, protette da schermi semi-trasparenti, sono ulteriormente isolate dalla vegetazione, sia pensile sia ad alto fusto. la facciata settentrionale, infine, offre un profilo compatto ed è a doppia pelle, con lo strato esterno in fotovoltaico. 120 a.l.e.r.5 – riQUaliFicaZione e ampliamento del complesso residenZiale il tema della copertura ritorna, in una accezione insolita, anche nel progetto di riqualificazione e ampliamento del complesso residenziale aler, un gruppo di quattro torri, di otto piani ciascuno. in questo caso, cucinella compendia, di fatto, l’intero progetto nella copertura, sfruttando le ampie superfici dei tetti delle torri, per creare dei minivillaggi, dotati di residenze destinate a studenti universitari, giardini e spazi sociali. Queste strutture avranno una funzione termoregolatrice sui complessi edilizi sottostanti, migliorandone il comfort climatico e l’efficienza energetica, oltre a conferire loro un profilo inusitato e affascinante. l’accresciuta altezza degli edifici verrà sfruttata creando dei camini ad aria che generino circolazione naturale, e i villaggi faranno da tappo termico sulle torri, migliorandone l’efficienza bioclimatica. due dei quattro tetti ospitano impianti di mini eolico, sugli altri, invece, coperture fotovoltaiche sopraelevato tutelano gli alloggi dal surriscaldamento e producono energia. in questo caso le coperture non sono piane ma inclinate, un po’ per ottimizzare la conversione energetica, un po’ per impedire l’accumulo di neve. mARIO CUCINELLA ARCHITECTS 121 cUgnaUX6 – polo mUlticUltUrale mARIO CUCINELLA ARCHITECTS Una scala più ampia ma un impiego concettualmente simile si ritrovano nel polo multiculturale di cugnaux, nel quale l’intero grande volume della struttura è rivestito da una copertura fotovoltaica indipendente e multifunzionale: anche in questo caso, infatti, la copertura opaca di pv scherma i raggi del sole, raccoglie le acque piovane e produce energia. aree di fotovoltaico traslucido, invece, in corrispondenza di pozzi di luce, fanno penetrare illuminazione naturale all’interno dell’edificio. la copertura, leggermente spiovente, riprende l’allineamento scomposto dell’edificio, nel quale ogni piano è concepito come una scatola autonoma ed è distaccato rispetto agli altri per enfatizzarne l’indipendenza. 122 3m italia headQUarters7– ediFicio direZionale il discorso è replicabile per l’enorme sede della 3m a milano, un edificio di oltre 10 mila metri quadri, costato circa 17 milioni di euro. Quelle che sono emerse, ormai, come invarianti nei progetti di cucinella sono qui declinate su una scala molto ampia e rese facilmente leggibili dalla linearità della struttura. le facciate sono debitamente ombreggiate e schermate da una struttura brise-soleil in legno e metallo, mentre il fronte sud, più esposto, è disegnato come una successione di terrazze a sbalzo, ciascuna delle quali protegge quella inferiore. l’edificio appare imbrigliato in una struttura reticolare che, oltre a conferire un aspetto percettivamente più aggraziato alla struttura lunga oltre 100 metri, riveste funzione termoregolatrice e, nella parte superiore, quella che riveste la copertura, ospita moduli fotovoltaici, integrati nella copertura piana. la vegetazione è presente sia all’esterno sia all’interno, e contribuisce alla salubrità dell’edificio, mARIO CUCINELLA ARCHITECTS 123 alla regolazione climatica e alla qualità dell’aria. comUne di Bologna8 – nUova sede degli UFFici del comUne di Bologna mARIO CUCINELLA ARCHITECTS il consiglio comunale di Bologna ha commissionato all’architetto la realizzazione di una nuova sede che accolga tutti gli uffici e tutti i dipendenti del comune, riqualificando un’area prossima al centro, alle spalle della stazione, precedentemente adibita a mercato ortofrutticolo. l’enorme progetto ha un’estensione di 33.000 mq, in 3 corpi di fabbrica, ripartiti per competenze e funzioni, con tre altezze differenti. a fare da raccordo una colossale copertura, ripiegata come un origami, che si distenderà sui tre edifici, collegandoli, ombreggiandoli, proteggendo dal sole e dalla pioggia i percorsi di accesso e gli spazi interni. sotto la copertura, inoltre, si sviluppano grandi terrazze panoramiche, destinate ai dipendenti ma anche ai cittadini, al fine di rendere il comune veramente uno spazio pubblico. la grande massa termica degli edifici li protegge dagli sbalzi climatici e la configurazione del sito consente di utilizzare lo spazio interno per la termoregolazione. l’elemento più significativo, però, è la copertura, che segue col suo andamento spezzato lo svilupparsi dell’edificio. da un punto di vista tecnologico essa non è dissimile da quelle già analizzate, riveste le stesse funzioni, e, come le altre, si configura come una struttura autonoma, in questo caso con un’indipenza anche percettiva straordinariamente spiccata. nonostante le dimensioni dei tre corpi di fabbrica, infatti, è chiaramente la copertura, ancora una volta, il focus del progetto. navacchio9 – realiZZaZione UFFici e laBoratori del polo tecnologico di navacchio il tema delle coperture con Bipv viene rivisitato nel progetto per il polo tecnologico di navacchio, a pisa. il complesso è costituito da tre blocchi rettangolari, allineati su un asse pressappoco corrispondente a quello est-ovest, la cui lineare razionalità risponde a precise esigenze funzionali e, anche, economiche. la volontà di tradurre in spazio la cooperazione, l’integrazione e l’incontro di persone e competenze, mission del polo tecnologico, si manifesta nello spazio centrale, che disegna una t fra i tre corpi di fabbrica. l’aspetto più interessante, però, è proprio la copertura, costituita di grandi cornici circolari metalliche che ospitano dischi di fotovoltaico a vetro opaco o traslucido: la struttura conferisce movimento al complesso ma è probabile che, in questo caso, le celle non funzionino al meglio. le cornici, che hanno anche il compito di preservare i vetri da polvere e sporco, proiettano certamente un’ombra sulle celle periferiche ed è improbabile che la mARIO CUCINELLA ARCHITECTS 125 disposizione sia ideale. paris parc10 – progettaZione pierre et marie cUrie dell’ediFicio paris parc per l’UniversitÈ mARIO CUCINELLA ARCHITECTS Questo progetto parigino è grande e complesso, sia funzionalmente sia tecnologicamente. si tratta di un polo di ricerca ma anche incubatore di imprese, su una superficie complessiva di 15 mila mq. gli edifici somigliano a grandi cristalli di quarzo, dal profilo regolare e tagliente, bianchi al buio e quasi immateriali alla luce. il sito beneficia di soluzioni bio-climatiche, soprattutto relativo allo sfruttamento degli spazi verdi interni e ai camini ad aria, gli edifici sono isolati grazie a un sistema a doppia pelle, la cui superficie esterna è rivestita di fotovoltaico. le coperture, ancora una volta, risultano focali nel bilancio energetico dell’edificio e nei suoi aspetti configurazionali: tagliate come cuspidi, esse costituiscono, con le loro ampie superfici, un potente moderatore bioclimatico, fungendo da bocca dei camini ad aria; sono collettori di acqua piovana e ospitano, sulle superfici inclinate, celle fotovoltaiche integrate. le facciate inclinate sono alternate per beneficiare di esposizione per il maggior tempo possibile, ciò nonostante è evidente che la resa energetica di questo impianto non costituisce l’obiettivo precipuo dell’architetto perché la configurazione è ben lungi dall’essere la più efficiente possibile. il verde è distribuito all’interno e all’esterno dell’edificio, a tutti i livelli, e le alte torri di vetro, in inverno, fungono da serre solari per le piante meno resistenti al freddo. 126 arpt11 - nUova sede dell’arpt (aUtorite de regUlation de la poste et des telecommUnications) la sede dell’arpt, sorta nel deserto algerino, è uno degli edifici più rappresentativi dell’attività dell’architetto siciliano. il progetto, infatti, beneficia di una posizione di grande evidenza, immerso fra le dune, dalle quali mutua il profilo, fronteggiato da un vasto parco e al centro di un importante asse viario. la rappresentazione costituisce, pertanto, una delle chiavi di volta di questa architettura che si caratterizza anche per la complessità delle soluzioni adottate. il grande edificio, infatti, è costruito secondo i principi della bioclimatica, sfruttando le tecnologie tradizioni del luogo, come i tu’rat, e la massa termica dell’edificio, convesso a nord, per deviare i venti caldi, e concava verso sud, dove si apre il parco, per accogliere le brezze raffrescate dalla vegetazione. Questa peculiare configurazione si attaglia felicemente anche mARIO CUCINELLA ARCHITECTS 127 mARIO CUCINELLA ARCHITECTS all’impiego del fotovoltaico, che qui conosce un uso più diffuso e differente rispetto agli altri progetti dell’architetto. più nel dettaglio, la logica energetica della costruzione procede dall’esigenza di ridimensionare i consumi di un così vasto corpo di fabbrica. nell’operazione l’architetto ha dimostrato una profonda comprensione delle tecnologie tradizionali e un approccio molto interessante che, in un ambiente ostile, piuttosto che ricercare soluzioni ai problemi, ottimizza i connotati bioclimatici dell’area. il profilo concavo della facciata nord, infatti, intercetta i venti caldi e raccoglie le precipitazioni e la condensa notturna, convogliando le acque in una cisterna sotterranea che le distribuisce ai servizi igienici e ai sistemi di umidificazione. la facciata nord, inoltre, costituisce il perno della struttura, ha elevata efficienza termica, e un’opacità del 50%, consentendo illuminazione naturale agli ambienti interni. la facciata meridionale, invece, convessa, è costituita da 2500 mq di fotovoltaico, ed adagiata su una sorta di enorme camino ad aria, la cui funzione è molteplice: convogliando l’aria fresca proveniente dal parco e l’aria notturna del deserto, il camino la conduce sopra il giardino acquatico interno, deputato anche alla fitodepurazione delle acque reflue, nel quale l’aria si umidifica e comincia la sua ascesa lungo l’iperbole disegnata dal profilo della facciata, raccogliendo l’aria esausta dagli ambienti prospicienti e scaricandola all’esterno. al centro della pelle di fotovoltaico si apre un pozzo di luce, che interseca il percorso del camino ad aria, convogliandovi aria calda, illumina direttamente la reception e fornisce luce agli uffici più interni. il sistema delle acque, un tema critico nel deserto algerino, è concepito secondo i criteri della bio-architettura e del risparmio idrico: le acque piovane e atmosferiche, convogliate nella cisterna sotterranea e utilizzate per gli scarichi, i bagni, e l’umidificazione, vengono raccolte in una cisterna sotterranea che le impiega per irrigare il giardino acquatico interno. Qui esse subiscono un processo di fitodepurazione naturale, nel quale la materia organica viene, progressivamente, decomposta e rimossa, riempiendo un’ultima vasca sotterranea di acqua pulita. i 2500 mq di fotovoltaico a silicio cristallino contribuiscono al bilancio energetico dell’edificio e, nonostante si sia detto che la concavità della facciata meridionale assume precise funzioni bioclimatiche, essa appare anche orientata per ottimizzare la conversione di energia. il sole algerino, infatti, molto alto sulla linea dell’orizzonte, cade perpendicolarmente sulle celle di silicio cristallino e l’eccesso di calore, che certamente le temperature desertiche genereranno, viene disperso dal retrostante 128 camino ad aria. di fatto, pertanto, si tratta di una originale declinazione di facciata a doppia pelle, nella quale la superficie di fotovoltaico in facciata è applicata a un vasto, soprattutto nella parte inferiore, vuoto con funzioni di termoregolazione. il risultato, in termini quantitativi, è un risparmio del 60% sul fabbisogno energetico dell’edificio e del 70% sul consumo idrico, il tutto ottenuto con un’elevata qualità ambientale e architettonica. 129 mARIO CUCINELLA ARCHITECTS si è scelto di illustrare il tema dei Bipv integrati in coperture soprelevate o pensiline con le opere di mario cucinella, perché le sue architetture offrono una gamma articolata di soluzioni. le proposte per edifici residenziali, infatti, sono facilmente replicabili con poca spesa anche da piccoli committenti e si dimostrano, alla prova dei fatti, molto funzionali. la scelta di impiegare i pannelli su strutture indipendenti, infatti, oltre a creare un altro spazio o una zona cuscinetto, garantisce il funzionamento corretto dei moduli, allungandone la vita media. nel caso di installazioni come quelle del sieeB, inoltre, la manutenzione dei pannelli diviene molto facile, anche considerata la vasta scala dell’edificio. gli edifici più importanti e più costosi, dimostrano come il tema della copertura fotovoltaica costituisca un banco di prova suggestivo per il linguaggio architettonico ma è bene osservare, comunque, che, se non si considera la scala dell’intervento, si tratta di soluzioni che privilegiano un approccio pragmatico ed economico: mario cucinella, infatti, non condiziona la forma del pannello, come avviene, ad esempio, per samyn, che può contare sulla collaborazione della issFol, ma idea strutture in grado di integrare la tecnologia nel modo più semplice e funzionale possibile, sovente con un notevole risultato architettonico. edifici come il paris parc o l’arpt, infine, testimoniano la grande perizia tecnica conseguita da cucinella e dal suo team: soprattutto nell’ultimo caso, infatti, colpisce la capacità di sfruttare tecniche tradizionali, bioclimatica e soluzioni hi-tech non già per contenere le asperità di un clima ostile, ma per sfruttarne al meglio i benefici, mostrando, quindi, di considerare l’ambiente una risorsa e non un problema. note 1 mario cucinella è il fondatore di mario cucinella architects (mc a). nato in italia nel 1960, si laurea a genova con giancarlo de carlo nel 1986. dal 1987 al 1992 lavora nello studio di renzo piano a genova e a parigi, come responsabile di progetto. Fonda mario cucinella architects (mca) a parigi nel 1992 e a Bologna nel 1999. dal 1998 al 2006 è professore a contratto del laboratorio di tecnologia dell’architettura della Facoltà di architettura di Ferrara e dal 2004 è honorary professor presso la Università di nottingham, inghilterra. nel 2013 è guest professor in emerging technologies presso la technische Universitat di monaco di Baviera ed è attualmente professore a contratto presso la Facoltà di architettura Federico ii di napoli. 2 http://www.mcarchitects.it/project/la-casa-100k 3 http://www.mcarchitects.it/project/scuola-mirabello 4 http://www.mcarchitects.it/project/sieeb-1 5 http://www.mcarchitects.it/project/aler-1 6 http://www.mcarchitects.it/project/nuovo-polo-multiculturale-cugnaux 7 http://www.mcarchitects.it/project/nuova-sede-della-societa-3m 8 http://www.mcarchitects.it/project/nuova-sede-comunale-di-bologna 9 http://www.mcarchitects.it/project/polo-tecnologico-di-navacchio 10 http://www.mcarchitects.it/project/paris-parc-universite http://www.mcarchitects.it/project/arpt mARIO CUCINELLA ARCHITECTS 11 130 oXstalls campUs2 – edUcation higher oxstalls è un campus commissionato dall’università di gloucestershire nel 1998, su un’area industriale dismessa di 15 acri ai margini del centro cittadino. il complesso prevede un centro studi, la facoltà di scienze motorie e residenze per 175 studenti, alloggiati in edifici a quattro livelli. la committenza ha indicato nella sostenibilità uno dei requisiti chiave del progetto: i sistemi di efficientamento energetico hanno beneficiato di finanziamenti europei e riguardano pompe di calore, termoventilazione e sistemi di illuminazione naturale oltre, naturalmente, al fotovoltaico, installato negli elementi sul tetto della facoltà. Queste strutture a onda sono aperte sul retro, consentendo la penetrazione della luce 131 FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS l’attività progettuale dello studio FeildencleggBradley1 si caratterizza per la ricerca di soluzioni efficaci e articolate ma di facile realizzazione. in luogo del design avveniristico e delle ardite forme elaborate da altri grandi studi, questo gruppo di architetti predilige linee essenziali, volumi regolari, dimostrando sempre una evidente attenzione al contesto, immediatamente percepibile. da un punto di vista tecnologico, Feilden, clegg e Bradley privilegiano le soluzioni passive e l’efficienza energetica, ricorrendo a strutture murarie massive e ulteriormente isolate da coperture in legno o altri materiali naturali. il fotovoltaico è spesso integrato sulle coperture inclinate o, come cortina, sulle facciate, ma l’impiego più interessante riguarda l’applicazione su strutture che integrano le funzioni di camino ad aria, pozzo di luce e supporto per moduli integrati: questo particolare impiego è probabilmente l’apporto più significativo di questo studio alle tecniche di integrazione del fotovoltaico, poiché combina efficacia funzionale, facilità di manutenzione e di installazione e bassi costi, requisiti fondamentali per la diffusione delle tecnologie per la produzione di energia da fonti pulite. solare, dall’altro lato, quello rivolto a sud, montano lunghe strisce di fotovoltaico che risulta così bene integrato sugli elementi di copertura. anche per questa ragione il progetto ha vinto il premio riBa per la sostenibilità nel 2003. one gallions3 – hoUsing private FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS gallions park, nell’east london, è un grande progetto per nuovi quartieri a zero emissioni promossi dall’amministrazione londinese, vinto da un consorzio guidato da Bioregional Quintain, già partner di Bill dunster, uscito sconfitto in questa competizione. Questo lotto prevede la realizzazione di 260 appartamenti di alta qualità, su un’area di 3 acri. Bioregional Quintain è una compagine che vanta un elevatissimo livello di competenze in materia di sostenibilità e che promuove un concetto molto avanzato di architettura ecocompatibile: essi procedono innanzitutto dalla convinzione che spetti all’architetto intervenire sui comportamenti dei fruitori delle architetture, perciò hanno applicato alla progettazione i principi del 132 icon, lime tree sQUare4 – hoUsing private icon è un grande progetto immobiliare promosso da crest nicholson e clark international: sebbene si tratti di un investimento, esso è ispirato dalla volontà di ripristinare uno stile di vita e dell’abitare tradizionale, a misura d’uomo, fortemente orientato alla promozione delle relazioni sociali. icon è una reinterpretazione moderna dei moduli tradizionali, con ampi spazi condivisi e un approccio contemporaneo alla progettazione delle soluzioni abitative che sono di quattro tipi: case a corte, case a schiera, appartamenti e case sub-urbane. gli spazi sono recuperati soprattutto riducendo le superfici destinate alle autovetture, uno dei temi fondamentali del progetto. nonostante sia un nuovo progetto, uno dei cardini di icon consiste nel preservare il paesaggio e alcuni iconemi fondamentali, come i grandi alberi, 133 FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS “one planet living”, un protocollo che prevede radicali misure di contenimento della spesa energetica e delle emissioni, rendendo al contempo la vita della comunità attraente e soddisfacente. i materiali impiegati sono di origine naturale e riciclati, gli edifici vantano un’elevata efficienza energetica ed è previsto un complesso sistema di raccolta, riuso e riciclaggio dei rifiuti in loco. Un sistema di trasporto ciclo-pedonale e spazi per l’agricoltura urbana completano i connotati olistici di un progetto con molti aspetti innovativi. i sistemi in facciata consentono il recupero delle acque piovane che vengono avviate a un sistema di recupero che le rende adatte ad essere impiegate per gli scarichi e l’irrigazione. anche il cibo viene totalmente riciclato e utilizzato per produrre biogas e compost per gli orti urbani. le aree verdi sono abbondantemente distribuite sul sito, fungendo da termoregolatori naturali ma anche da isolanti acustici. i sistemi attivi consistono in una caldaia a biomasse, un’installazione di mini-eolico, sull’edificio più basso, e nei pannelli fotovoltaici installati sulla facciata a cortina della torre. l’applicazione, in questo caso, dimostra la coscienziosa precisione dell’architetto nell’impiego della tecnologia, concepita come efficace integrazione a un fabbisogno energetico sostanzialmente rimesso ad altre fonti (in inghilterra la fonte non fossile più utilizzata è la biomassa): le facciate più esposte dell’edificio, infatti, ospitano pannelli scuri alternati a finestre e “shadow-box”, impiegando i moduli di Bipv per la conversione di energia ma anche per conferire ritmo e movimento alla facciata regolare dell’edificio. FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS impiegati nel ridisegno dell’area per definire i nuovi spazi; anche il preesistente sistema di canalizzazione è stato mantenuto, rinnovato e adattato al complesso compito riservato a un sistema di drenaggio sostenibile: il nuovo sistema di drenaggio è finalizzato al recupero delle acque ma riveste al contempo una funzione di termoregolazione, di caratterizzazione del paesaggio e di produzione di materia organica derivante dal drenaggio dei fanghi. la via principale dell’insediamento, infatti, segue proprio il percorso di un canale fiancheggiato da canne e piante lacustri. gli spazi pubblici sono considerati preminenti rispetto a quelli privati e semi-privati: la contrazione degli spazi destinati alle autovetture private ha consentito di realizzare un circuito ciclopedonale che attraversa l’intera area e la raccorda ad altri percorsi analoghi, gli spazi pubblici aperti sono pieni di verde, e le abitazioni sono concepite per ospitare la maggiore quantità possibile di verde su balconi e terrazze. ogni strada si conclude con una piazza, a sud dell’insediamento si apre lime tree square, la più grande delle piazze del quartiere. l’efficienza termica delle case è perseguita attraverso il rivestimento in legno o in pietra delle facciate più esposte e attraverso la compattezza degli edifici, una contrazione che consente, al contempo, una minore dispersione di calore e il recupero di superfici da destinare a spazi pubblici e al verde. anche la vegetazione, resa più florida dalle ricche acque reflue convogliate in apposite vasche per l’irrigazione, ha una funzione bioclimatica. il fotovoltaico è integrato nelle abitazioni, sulle falde dei tetti, in ampi riquadri, ben inseriti fra le scure tegole, una procedura semplice e corretta. heelis, national trUst5- WorKplaces Questo grande edificio di quasi 7000 mq, su due livelli, costituisce un esempio di grande spazio commerciale sostenibile e innovativo, progettato per minimizzare la spesa energetica garantendo, al 134 FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS contempo, ottime condizioni di lavoro. la forma dell’edificio, immesso nella storica area industriale di swindon, nei pressi della sede centrale della great Western railway, riprende le linee degli edifici industriali vicini, risalenti al diciannovesimo secolo. da un punto di vista delle tecnologie per la sostenibilità, l’edificio presenta soluzioni di semplice efficacia e, perciò, di notevole interesse. l’architetto dimostra di saper bene utilizzare l’alternanza fra volumi pieni e vuoti per creare ventilazione naturale: la grande facciata è protetta da una ampia tettoia con un sistema ombreggiante regolabile che, grazie al differenziale di temperatura, è costantemente ventilata e, quindi, attraversata da aria fresca che penetra negli uffici retrostanti raffrescandoli e trascinando all’esterno l’aria calda; lo stesso effetto è realizzato, negli ambienti interni, grazie all’aria proveniente dai giardini che si aprono nel cuore del complesso. l’aria fuoriesce dalle coperture che adottano un principio simile a quello impiegato nel campus di oxstalls, con alcune significative differenze: in questo caso si tratta di una struttura formata dal disallineamento delle falde del tetto, quella meridionale, infatti, si estende oltre il colmo, coprendo un pezzo della falda nord. al di sotto di questa copertura aggettante, si apre la bocca di un camino ad aria che, oltre a far uscire l’aria calda ed esausta, funge da pozzo di luce, sfruttando la luce da nord che viene considerata la migliore. il prolungamento della facciata meridionale è sfruttato per incrementare la superficie di fotovoltaico, infatti essa è interamente rivestita di Bipv. tutte le coperture sono dotate di camini ad aria-pozzi di luce, ma l’installazione di moduli pv riguarda una linea ogni due, per evitare l’ombreggiamento. con questo espediente – che peraltro riprende la linea dei grandi edifici industriali del secolo scorso – clegg può installare in maniera economica array fotovoltaici orientati a sud e con l’inclinazione ideale, perseguendo al contempo altri effetti benefici, come la ventilazione naturale, l’ombreggiamento, e illuminazione naturale di alta qualità. : : 2.9 :196 1,350squarem Bre environmental oFFice6- WorKplaces .Thep Questo progetto è stato insignito del Breeam, un premio attribuito attraverso un sistema di valutazione molto complesso. il progetto riguarderà un’area di 1.350 metri quadri di uffici e spazi per seminari, con innovazioni significative in tema di efficienza energetica, poiché il design ha un intento dimostrativo e sperimentale, sancendo . , 21 : - - - - - - - 5 - - : 96% - - 135 ,screedsa - 198 - Technologists’OpenAwardfor TechnicalExcellence197 :JohnS : & : :SymondsT : : : : / FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS la collaborazione fra il Bre (Building research establishment) e l’industria, al fine di identificare i parametri ottimali di comfort per gli uffici sostenibili: rispetto ai più efficienti edifici analoghi, questa struttura dovrebbe consumare il 30% di energia in meno. le caratteristiche più rilevanti riguardano: elementi strutturali in cemento a vista: ciò assicura un maggiore controllo sulle temperature di picco in estate, nei livelli inferiori, grazie alla massa termica. sono previste delle aperture per creare percorsi di ventilazione naturale. la base dell’edificio è refrigerata dal passaggio di acqua estratta dai pozzi sottostanti. ampie facciate ombreggiate con brise-soleil per controllare luce e surriscaldamento. ventilazione naturale controllata automaticamente. camini ad aria integrati con moduli solari e ventilatori per implementare la strategia di ventilazione incrociata. la prima installazione nel regno Unito di moduli fluorescenti t5 della philips, totalmente regolabili per conseguire la massima efficienza. il 96% dei materiali, inoltre, è stato riciclato da strutture demolite, riducendo, così, drasticamente l’impatto ambientale della costruzione. la facciata meridionale, sulla quale si elevano i camini ad aria, è caratterizzata anche da una vasta porzione di fotovoltaico installato con un sistema a cortina. lo spazio fra la pelle interna e la cortina fotovoltaica è costituito da listarelle di legno che fanno passare l’aria necessaria a retro-ventilare in maniera ottimale i pannelli. il legno, peraltro tutto riciclato da altre costruzioni, garantisce anche una 136 migliore efficienza termica nei mesi freddi, proteggendo la facciata. shipton ecotoWn7- WorKplaces 137 FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS shipton ecotown è la trasformazione di una cava in una comunità sostenibile. il progetto prevede di sfruttare le caratteristiche dell’area, sia geologiche sia antropiche, sfruttando il contesto e le strutture preesistenti, così, in questa area estrattiva dismessa, nasceranno tremila nuove abitazioni e duemila posti di lavoro, più una gamma di servizi complessi di vario genere e spazi aperti. gli edifici sono raggruppati in compound a media e alta densità, in risposta alla topografia accidentata. Uno dei grandi punti di forza del sito consiste nella presenza di eccellenti infrastrutture di trasporto, come la ferrovia southampton/Birmingham e il canale di oxford. È complicato offrire un ragguaglio delle tecnologie per la sostenibilità dispiegate nel sito, ma alcune soluzioni risultano particolarmente interessanti, come l’uso di tecniche tradizionali di isolamento con zolle di terra erbose applicate sui tetti. Questa particolare versione di green-roof garantisce standard di efficienza molto elevati e una armoniosa integrazione in un contesto caratterizzato dalla prevalenza del verde sul costruito e dall’abbondante ricorso al legno come materiale di rivestimento. le terrazze alberate, uno degli elementi ricorrenti nei progetti di clegg, sono definite da tetti rivestiti di moduli fotovoltaici, installati con una particolare attenzione al cromatismo creato con i rivestimenti. la possibilità di progettare un sito così vasto e variegato ha offerto al progettista di mettere a frutto le tecniche di bioclimatica e termoregolazione naturale sperimentate, su scala minore, negli altri edifici. Un ruolo centrale, ad esempio, giocano gli specchi d’acqua, non solo focus percettivi, ma fulcro di un sistema di recupero e riuso delle acque, nonché giganteschi radiatori naturali. note FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS 1 lo studio Feilden clegg Bradley è stato fondato nel 1978, con uffici a Bath e londra, ed è rapidamente cresciuto, contando oggi 27 partner e oltre 100 dipendenti. oggi vanta una reputazione internazionale per la qualità dei progetti, per le tecniche pionieristiche per la sostenibilità ambientale e per il radicale approccio architettonico. nel 2008 ha vinto il premio stirling per accordia, un progetto che è stato assunto come riferimento per i nuovi quartieri sostenibili in UK: come nell'edilizia residenziale, lo studio vanta una consolidata esperienza nella progettazione di scuole, interventi urbanistici, luoghi d'arte e recupero creativo di edifici storici. i valori umanistici e sociali alla base della fondazione dello studio continuano a sostenere l'attività progettuale di questi architetti, i primi a ricevere il premio della regina per lo sviluppo sostenibile, un riconoscimento ribadito dal sunday times con l'assegnazione del premio "Best companies to Work for". le nuove sfide imposte da una modernità in evoluzione sempre più rapida costituiscono un banco di prova interessante per questo studio che affronta le soluzioni progettuali con un misto fra antichi saperi e tecnologie all'avanguardia. 2 http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=6&ss=2&proj=914# 3 http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=7&ss=4&proj=1349 4 http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=7&ss=4&proj=1249 5 http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=3&ss=&proj=1167 6 http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=3&ss=&proj=808# 7 http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=26&ss=&proj=1353 138 L’INTEGRAZIONE DEL FOTOVOLTAICO IN ALCUNI EDIFICI SPERImENTALI gli edifici raccolti in questa sezione vantano certificazioni avanzatissime da parte dei più attendibili protocolli di valutazione, ma non è questa la ragione per la quale essi sono stati inseriti in questa sezione. l'aspetto interessante, ai fini di questa ricerca, è la declinazione di sostenibilità che essi propongono, a cominciare dall'impiego che essi fanno del fotovoltaico: alcuni di questi edifici, come il med, sono veri e propri esperimenti, tentativi di trasferire una filiera eco-compatibile, ma con problemi di applicabilità nelle regioni mediterranee, alle nostre latitudini; altri sono edifici manifesto, su una scala più piccola e controllabile, come la green lighthouse danese, un edificio efficiente e di grande interesse, o su una scala più grande, come nel caso della Klimahous 8°, monumentale centro didattico tedesco sui cambiamenti climatici sul quale, però, è possibile sollevare più di qualche perplessità. Kroon hall, a yale, e il po.lin.s. di venezia, invece, sono edifici più tradizionali che nascondono, però, notevoli elementi innovativi. nel caso del polo scientifico veneziano, è interessante il ricorso alla massa termica della collinetta artificiale per regolare il comfort climatico interno dell'edificio, e l'uso di Bipv su vetro nella facciata meridionale; Kroon hall, sede della school of Forestry & environmental studies dell'Università di yale, è un bellissimo edificio, che sfrutta i principi della bioclimatica per conseguire un'efficienza energetica notevolissima, giungendo a consumare meno della metà dei più efficienti edifici analoghi; l'attenzione al ciclo di vita dei materiali, il ricorso a legname locale ed etico, una tecnica costruttiva modulare, che consentirà, in futuro, di smantellare e recuperare totalmente i materiali impiegati, sono gli elementi più rilevanti da un punto di vista ambientale. Questi edifici, insomma, contengono un compendio di indicazioni preziose che possono costituire un riferimento importante per una progettazione sostenibile. Kroon hall, Università di yale, hopKins architetti la sede della school of Forestry & environmental studies 139 dell’Università di yale non poteva che essere un edificio a elevata efficienza energetica e carbon neutral, sorto, inoltre, in un’area degradata che è stata così recuperata da un punto di vista sociale e ambientale. solido parallelepipedo orientato sull’asse est-ovest, l’edificio è caratterizzato dalla copertura, una volta a botte a sezione leggermente trilobata. l’edificio gode della certificazione leed platinum, la più alta rilasciata dall’istituto americano, poiché ha un fabbisogno energetico inferiore del 60% ai migliori edifici del suo genere. la facciata settentrionale offre un fronte chiuso, con ristrette aperture, e ben isolato, mentre la facciata meridionale si apre su un giardino, assorbendo aria pulita e massimizzando lo scambio di calore. il calcestruzzo a vista (per il 50% proveniente da scarti di fonderia) incrementa la massa termica dell’edificio, mentre le facciate est-ovest, trasparenti, garantiscono l’illuminazione naturale regolandola con un sistema di frangisole regolati da un sensore. Un vasto lucernario sul colmo della volta garantisce luce dell’alto che penetra, attraverso tutti e tre i livelli, lungo un vano scale trasparente. mentre gli esterni sono in pietra gialla locale e cemento armato a vista, gli interni sono in legno, una soluzione che migliora, anche percettivamente, l’efficienza della struttura. il legno proviene dalle foreste di proprietà dell’istituto, controllate e certificate. l’uso di materiali naturali, inoltre, migliora la salubrità dell’aria, che non trasporta particelle di solventi e materiali tossici. l’edificio, apparentemente semplice, funziona con un complesso sistema di automazione che, ad esempio, ne regola le aperture al fine di consentire una sostenuta ventilazione naturale interna. di grande interesse le soluzioni adottate per gli impianti: quattro sonde nel bosco di sachem, alle spalle dell’edificio, alla profondità di 500 metri estraggono il calore della terra per alimentare 140 delle pompe di calore, mentre la produzione di acqua calda è garantita da quattro pannelli solari in tubi sottovuoto integrati nella facciata meridionale. da un punto di vista anche architettonico, però, l’elemento più rilevante riguarda la copertura, a sezione leggermente trilobata, interamente rivestita di pannelli per una potenza di picco di 100 kW. i pannelli, ad alta efficienza, sono installati in traversine scanalate che consentono una perfetta e facile integrazione anche sul profilo inconsueto della volta. sotto uno spesso strano di elementi in legno e lana di roccia, con funzioni isolanti, si aprono pannelli traforati in alluminio, che consentono la retroventilazione dei pannelli, al fine di preservarli dal surriscaldamento. l’edificio è anche estremamente efficiente dal punto di vista del risparmio idrico, con un consumo di acqua inferiore del 75% a quelli di un edificio analogo: elemento focale, e di grande impatto scenografico, dei sistemi di recupero è il bacino che si apre fa la facciata meridionale e il bosco, un giardino acquatico che funge da efficiente sistema di fito-depurazione e filtraggio naturale delle acque piovane e reflue. green lighthoUse, christensen & co architetcts Questo edificio è al contempo una sede dell’Università danese e una dimostrazione della qualità progettuale raggiunta dai docenti danesi in tema di architettura sostenibile. l’edificio è concepito per sfruttare al massimo l’energia del sole il che, vale la pena ripeterlo, significa solo in parte (e non la più rilevante) utilizzare la radiazione luminosa per produrre energia elettrica. la forma dell’edificio è concepita in relazione al percorso del sole: pareti e finestre ad alta efficienza sono disposte e orientate in maniera tale da captare il massimo della radiazione luminosa riducendo al minimo la dispersione di calore, tutelando, al contempo, l’edificio dal surriscaldamento nella stagione calda. la copertura inclinata ospita 22 collettori solari che riscaldano l’acqua a uso sanitario e per integrare il sistema di riscaldamento radiante. sulla stessa copertura, orientata a sud, sono collocati 44 mq di pannelli fotovoltaici che producono l’energia elettrica per l’illuminazione, la ventilazione forzata e al funzionamento della pompa di calore che, insieme a un sistema geotermico e a un impianto radiante, garantisce il riscaldamento durante il rigido inverno nordico. nelle stagioni più calde, invece, la massa dell’edificio evita il surriscaldamento e l’aria calda ed esausta viene imprigionata nelle 141 controsoffittature ed espulsa grazie all’effetto camino garantito dall’atrio centrale nel quale si aprono anche le scale. i pannelli fotovoltaici integrati nel tetto sono per la maggior parte inserite al livello della copertura, tranne le due strisce sommitali, inclinate per intercettare al meglio la radiazione solare: il generale movimento dell’edificio e l’inclinazione dell’intera copertura, però, fanno sì che questa irregolarità risulti ben inserita nelle dinamiche percettive dell’edificio. med, Università degli studi di roma la sapienza med è un progetto sperimentale dell’Università la sapienza, una casa ad elevata efficienza concepita per i climi caldo-temperati mediterranei. in particolare, il progetto mira a identificare un sistema per impiegare i pannelli prefabbricati di legno anche in zone calde e temperate. il legno, infatti, risulta molto efficiente nelle zone fredde, avendo bassa trasmittanza in regime stazionario ma hanno ridotta capacità termica, risultando pertanto inefficienti in climi caldi e con forti escursioni. la soluzione praticata consiste nel creare pannelli modulari con uno strato esterno di 20 cm di fibra di legno e un cappotto di 10 cm, una coibentazione con elevata capacità di accumulo termico. lo strato interno, invece, è realizzato in tubi di allminio riempiti di sabbia umida, che funzionano da radiatore passivo: in estate, il calore accumulato dalla coibentazione esterna viene in parte rilasciato allo strato interno, viene disperso dalla ventilazione naturale, mentre in inverno riscalda l’ambiente. il comfort è garantito da sistemi in larga misura passivi, in particolare da una pompa di calore aria-acqua, da un sistema radiante a soffitto, un recuperatore di calore e un sistema di trattamento per l’aria. Uno degli aspetti più interessanti riguarda il sistema di accumulo termico ad acqua che sostituisce, nelle intenzioni dei progettisti, gli accumulatori elettro-chimici, preservando gli esuberi di energia prodotta dall’impianto fotovoltaico. si tratta di un parallelepipedo innestato trasversalmente al corpo di fabbrica che ne ricopre un tratto delle facciate est e ovest e un segmento della copertura. la configurazione dell’edificio, sull’asse nord-sud, e questa cintura di fotovoltaico, costituiscono una soluzione interessante: la parte in copertura, infatti, beneficia di piena esposizione, mentre le due cortine a est e ovest intercettano i raggi del sole all’alba e al tramonto. 142 Klimahous 8°, Bremerhaven ost, germania situata all’8° di latitudine est, questo vasto edificio di 10.000 mq in vetro e calcestruzzo, è una colossale nave che idealmente conduce i visitatori in un viaggio attraverso gli effetti dei cambiamenti climatici e le soluzioni disponibili. si tratta, ovviamente, anche di un edificio dimostrativo, perché incorpora complesse tecnologie per la riduzione delle emissioni e del fabbisogno energetico. di base il sistema di riscaldamento e raffrescamento funziona secondo principi termodinamici, con potenti pompe di calore. la grande massa termica dell’edificio lo coibenta efficacemente e rende i costi energetici per il riscaldamento molto contenuti. È interessante la grande copertura vetrata antistante l’edificio, una vela fotovoltaica che, al contempo, produce energia elettrica e provvede a ombreggiare la piazza antistante. po.lin.s, portogrUaro (ve) il polo per l’innovazione strategica dell’Università di venezia è un edificio certificato a+ da casaclima. due grandi arcate in legno lamellare sostengono una pelle di abete, alluminio anodizzato e pannelli fotovoltaici integrati, che nasconde un volume incassato in 143 una collinetta. l’edificio è esposto a sud, il che consente lo sfrutamento ottimale del calore del sole nei mesi freddi, mentre in estate i moduli ombreggianti fotovoltaici impediscono il surriscaldamento. l’efficienza termica dell’edificio è massimizzata dall’inserimento nella collinetta, che preserva proprio la parete settentrionale: le zolle erbose coibentano anche una parte della copertura. le pareti esterne sono costituite da un sistema a doppia pelle ventilata, costituito da uno strato interno di cartongesso e uno esterno di gres nero, ideale per preservare la pelle interna dagli agenti atmosferici. Una pompa di calore geotermica fornisce gran parte del fabbisogno energetico per il riscaldamento, il raffrescamento e l’acqua calda, mentre gli array installati sulla copertura curva ed esposta a nord forniscono l’energia per l’illuminazione e l’impianto elettrico. 144 FOTOVOLTAICO COmE SOPRAVVIVENZA: INTEGRAZIONE E INNOVAZIONE IN EDIFICI IN AREE OSTILI il principale motore della diffusione delle celle fotovoltaiche è stato la possibilità di alimentare dispositivi in luoghi remoti, non raggiungibili da linee elettriche e da rifornimenti. come si è visto, gran parte della civiltà come la conosciamo oggi dipende dai moduli fotovoltaici che sostengono i satelliti, snodi ineludibili della società della comunicazione di massa; anche le piattaforme off-shore e le stazioni nel deserto delle industrie estrattive dipendono dal fotovoltaico. si tratta di un impiego di questa tecnologia che è stato definito “della sopravvivenza” e che conosce un’affascinante applicazione architettonica in grandi strutture isolate in contesti ostili, i rifugi. Una sintetica digressione su queste peculiari architetture tornerà di grande utilità per più ragioni. in questi edifici il fotovoltaico non è un’opzione né una giustapposizione per allinearsi a una tendenza generale, ma una necessità; ed è una necessità che esso funzioni nel miglior modo possibile, poiché non vi è altro modo per garantire il funzionamento della struttura e di quegli impianti che garantiscono la stessa sopravvivenza dei suoi fruitori. Queste grandi strutture in aree con escursioni termiche violentissime, sferzate da venti di centinaia di chilometri orari, soggette a sollecitazioni violente di ogni genere, inoltre, impongono alle aziende di sperimentare materiali innovativi: anche il fotovoltaico, una tecnologia così sensibile, non può che beneficiare di questi test in condizioni estreme. riFUgio alpino di Klein matterhorn1, Zermatt (ch), progetto di peaK architeKten, 2008 Questo rifugio alpino sorge sul monte cervino a 3800 metri sul livello del mare, sferzato da venti che raggiungono i 300 km/h. il rifugio, che ingloba i sistemi di risalita, ospita un ristorante con 150 posti a sedere e camere per 40 posti letto totali e si trova al termine di una galleria che collega i due versanti del ghiacciaio. l’edificio pare incunearsi nel fianco della montagna con la sua massa che non può che essere compatta, per chiare esigenze di efficienza termica. il basamento è in cemento armato gettato in opera e ospita tutti gli 145 impianti, mentre i piani superiori, destinati alle strutture di accoglienza, sono in prefabbricati di legno, con tamponamenti spessi e altamente isolanti. le facciate sono rivestite di metallo e vetro, quella nord-ovest è caratterizzata da aperture molto piccole, per ridurre la dispersione termica garantendo, comunque, l’illuminazione naturale. l’edificio rispetta lo standard energetico svizzero minergie-p, mantenendo i consumi totali sotto i 40 kWh/mqa, tutta l’energia proviene da fonti rinnovabili e a emissioni zero, un risultato sorprendente se si considera che la temperatura esterna può scendere sotto i -30 c° e che, di contro, può surriscaldarsi facilmente, perché il rifugio gode di 2500 ore di sole in un anno, essendo il punto più irradiato della svizzera. le massicce strutture di legno servono, pertanto, sia a evitare la dispersione del calore, sia a isolare gli ambienti interni dal surriscaldamento delle superfici. i 200 mq di moduli fotovoltaici a sud sono collocati su una facciata inclinata a 70° per massimizzare la conversione di energia: i moduli sono integrati nella pelle di vetro e alluminio, saldamente bloccati e al livello degli altri elementi per non offrire elementi di resistenza ai fortissimi venti incanalati nella gola. l’aria tersa, il maggiore irraggiamento e le radiazioni riflesse dai ghiacciai 146 circostanti garantiscono un rendimento superiore dell’80% a quello riscontrabile ad altitudini inferiori, il che consente all’impianto di produrre più energia di quella impiegata per il riscaldamento, la ventilazione interna e le pompe di calore che recuperano il calore dall’aria esausta in uscita. l’acqua deve essere trasportata con la funivia, un sistema oneroso che impone sistemi per il risparmio idrico. in generale, il maggiore sforzo tecnologico e progettuale è stato dispiegato non nelle tecnologie attive ma in quelle passive per il risparmio energetico. le pareti sono isolate da spessori fino a 40 cm di lana di roccia, con trasmittanze inferiori a 0,08 W/mqK per pareti e coperture e di appena 0,78 per le finestre; la struttura di legno, inoltre, impedisce i ponti termici in corrispondenza dei nodi strutturali. la facciata funziona come un collettore solare ad aria e sfrutta il surriscaldamento dei moduli fotovoltaici per riscaldare la gelida aria alpina prima di immetterla nei sistemi di ventilazione: in questo modo, inoltre, le celle sono costantemente raffreddate, ottimizzandone la resa. l’aria, dopo aver circolato per gli ambienti interni, fuoriesce da un camino ad aria, ma prima attraversa degli scambiatori che ne recuperano il calore. anche l’energia termica prodotta dagli impianti viene immagazzinata in uno spesso bacino di cemento e riutilizzata. l’acqua piovana o derivante dai ghiacciai segue un percorso di purificazione per essere poi immessa negli impianti idrici; anche le acque reflue subiscono un processo di depurazione e vengono indirizzate agli scarichi. realizzare un edificio a 3820 m sul livello del mare ha, ovviamente, comportato dei problemi che sono stati affrontati in fase di progettazione. la struttura prefabbricata di legno è costituita da 8 portali con travi di dimensioni 22x70 cm, mentre tre grandi diagonali di legno contengono le spinte laterali. oltre ai venti, la struttura deve sostenere le spinte dei sovraccarichi dovuti alla neve, anche 3,5 tonnellate per mq. i moduli fotovoltaici sono costruiti in vetro temperato ad altissima resistenza: essi devono tollerare escursioni termiche straordinariamente elevate e il loro costo è giustificato dalla necessità ma anche dall’eccezionale rendimento. i pannelli sono installati con grande perizia senza scarti di livello, tutti gli impianti, le connessioni e le intercapedini sono confinate alla parte posteriore per non offrire superfici che possano generare l’effetto vela. in questo caso l’integrazione è perfetta, i moduli costituiscono la facciata insieme ai due ordini di finestre, nastri trasparenti sul compatto profilo dell’edificio. 147 riFUgio alpino monte rosa2, Zermaat - eth stUdio – Bearth&deplaZes architeKten, 2009 costruito a quasi 3000 metri, il rifugio, di proprietà del club alpino svizzero, è il prodotto di un lungo studio condotto dall’Università di Zurigo. come gli altri edifici esso ha una struttura di legno su fondamenta di cemento armato, inchiavardate alla roccia con perni d’acciaio. il rivestimento di alluminio, metallo ideale a garantire la durevolezza dei rivestimenti, conferisce alla forma spezzata e acuta il profilo di un cristallo o degli aguzzi picchi delle vette circostanti. l’edificio contiene un ristorante da 120 coperti, una terrazza panoramica da 60 posti e 18 stanze. la complessa struttura di legno è percepibile anche dall’interno, dove il legno a vista conferisce un senso di calore tipico dei rifugi tradizionali. l’edificio richiede quasi 31 mwh/anno, il 90% dei quali erogati dai moduli solari e da appena 90 mq di pannelli fotovoltaici in silicio monocristallino, collocati a sud, su una facciata inclinata per massimizzarne la resa. i 16 kW di picco fanno funzionare gli impianti elettrici, mentre l’energia in esubero viene accumulata in batterie in grado di garantire disponibilità continua di energia, anche di notte o con il cielo coperto. circa 60 mq di pannelli solari, invece, forniscono acqua calda, integrati da una piccola centrale termica a olio di colza, provvista di un impianto per il recupero dei fumi. 148 anche l’acqua, immagazzinata in un serbatoio di 200 mc durante la stagione del disgelo dei ghiacciai, è oggetto di sistemi di recupero e riuso. Un complesso sistema elettronico, che calcola consumi, parametri meteorologici e screening dell’edificio, consente di gestire i flussi energetici in maniera ottimale, minimizzando i consumi. l’edificio è interamente prefabbricato, eccezion fatta per le fondamenta, ed è composto da molti moduli di piccole dimensioni e peso ridotto, così da poter essere trasportati in quota e installati direttamente con piccoli elicotteri, un sistema che ha consentito di contrarre costi e tempi di realizzazione. staZione princess elisaBeth, regione antartica orientale, international polar FoUndation - samyn and partners architects & engineers – antartica international polar FoUndation – Belgian antartic Base : princess elisaBeth 2007-08 il continente antartico costituisce probabilmente l’area più ostile e inadatta all’antropizzazione della superficie terrestre. Questa stazione di ricerca deve resistere a sollecitazioni termiche terribili e all’isolamento totale, deve pertanto essere totalmente autosufficiente da un punto di vista idrico ed energetico. essa sorge a 190 km dalla costa, a circa 1400 metri di altitudine, in una regione in cui la temperatura spesso scende sotto i -50 c° e priva di luce per sei mesi all’anno, con precipitazioni quasi nulle e un vento che sfiora i 300 km/h. la stazione è sollevata dal suolo ghiacciato tramite pali d’acciaio di 250 149 mm di diametro, ciascuno dei quali è confitto nel terreno per ben sei metri ed è dilatabile e indipendente dagli altri pali, per resistere ai violenti venti catabatici. nel complesso i sostegni hanno richiesto 25 tonnellate di acciaio. la forma compatta della stazione ha come cuore centrale gli impianti, per ottimizzare ogni residuo di energia. a ridosso di questo nucleo caldo, bagni, dispense e locali di servizio fungono da cuscinetto termico, mentre lungo il perimetro esterno sono collocate le camere, le aree di relax e gli ambienti di lavoro. a ovest si apre uno spazio di controllo, un modulo con aperture sui ghiacci. la stazione può ospitare fino a 20 ricercatori. la struttura è un piccolo e compatto guscio, studiato per perseguire la massima efficienza termica: è costruito in moduli prefabbricati di compensato e polistirene espano di 60 cm di spessore su uno scheletro di legno lamellare, materiali con una trasmittanza praticamente nulla. il rivestimento esterno è di acciaio inossidabile e assicura resistenza all’usura e agli urti. i profili dei moduli sono studiati per fendere i forti venti che sospingono, invece, le pale eoliche, producendo abbondante energia elettrica, unica fonte di approvvigionamento (insieme all’energia stoccata durante l’estate) nel lungo inverno artico; una membrana di epdm e serramenti doppi con vetrocamera riempita di krypton impediscono ai venti di penetrare. Quando in estate entrano in funzione anche i moduli solari e fotovoltaici, un sistema di controllo domotico ottimizza i flussi energetici e stocca l’energia in esubero in grandi batterie riposte nel nucleo della struttura. il sistema domotico funziona secondo un preciso regime di priorità: gli impianti di ventilazione forzato e il depuratore dell’acqua hanno la priorità massima, bagni e cucine hanno priorità media, mentre i singoli utenti possono accedere all’energia solo se il sistema lo consente. l’acqua è depurata da due bioreattori, impianti che avviano reazioni di depurazione organica con un piccolo consumo di energia. i moduli fotovoltaici assicurano il 40% del fabbisogno energetico, che è comunque molto ridotto, considerate le dimensioni, l’utenza e le condizioni, circa 45 mwh/anno. i moduli integrati sono disposti sulla facciata meridionale, su un riquadro vicino al profilo occidentale, con robusti telai saldamente agganciati alla struttura ma aperti, per consentire ai venti di passare senza danneggiare le installazioni. alain hubert, direttore del progetto, ha sintetizzato il senso del progetto, e la sua rilevanza, osservando che, se è stato possibile realizzare un edificio del genere nel luogo più difficile della terra, abbiamo la tecnologia, le risorse e le competenze per dare un nuovo indirizzo al mondo. 150 note 1 http://www.peakarchitekten.com/de/page/5 2 http://bearth-deplazes.ch/de/projekte/neue-monte-rosa-huette-zermatt/ 3 http://www.samynandpartners.be/en/project/01-523//21 151 IL FOTOVOLTAICO COmE SEGNO Uno degli obiettivi di questa tesi consisteva nell’individuare soluzioni efficienti e facilmente replicabili per perseguire l’integrazione del fotovoltaico nell’architettura. Questa sezione, nella quale si passeranno in rassegna pochi esempi in un mare magnum di possibilità, sembra apparentemente fuori contesto, ospitando quegli oggetti – architettonici o no – nei quali il fotovoltaico non è una necessità e neppure una scelta di sostenibilità, ma un segno. in realtà, a ben vedere, è solo apparentemente così: questi manufatti dalla foggia avveniristica e suggestiva, infatti, sono sperimentazioni con le quali matureremo una crescente familiarità e l’impiego del fotovoltaico crea un potente vettore di penetrazione per questa tecnologia. da un punto di vista strettamente operativo ed economico, inoltre, questi oggetti godono di un mercato, quello del design, più ricettivo e dinamico di quello dell’edilizia: è facilmente ipotizzabile che, sostenuti da un mercato più incline alla sperimentazione, essi contribuiranno in maniera determinante all’affermazione di un’estetica della progettazione sostenibile. solar tree, artemide, design: ross lovegrove disegnato da ross lovegrove, questo grande albero costituisce un elemento di arredo urbano per l’illuminazione autosufficiente, alimentato dal fotovoltaico. la struttura, che imita quella di un grande e leggiadro fiore alto 5,5 metri, è in realtà costituita da robusti tubi d’acciaio che sostengono celle. l’energia accumulata dalle celle viene stoccata in un accumulatore che la rilascia quando necessario, cioè di notte. le luci sono a led da 1 W l’una, sono protette da una spessa lente trasparente, nella parte inferiore, e da un guscio di alluminio in quella superiore. il guscio ospita le celle, presumibilmente in silicio amorfo. la batteria può sostenere un’illuminazione di tre giorni consecutivi senza sole. l’azienda committente è l’artemide, una società di design italiana, che ha definito il progetto come la “perfetta simbiosi fra un design pionieristico e un’avveniristica tecnologia sostenibile”. 152 e-QUB0, t°red Questo monolite nero, totalmente rivestito di moduli fotovoltaici, segnati da linee spezzate di led, costituisce una struttura polifunzionale e ibrida, a metà fra il modulo per servizi e l’arredo urbano. e-QBo accumula energia attraverso fonti rinnovabili, la restituisce sotto forma di servizi alla città: fornisce illuminazione pubblica, informazioni attraverso il videomapping o altri sistemi di comunicazione, offre una rete wifi gratuita, energia per la ricarica di elementi elettrici ed elettronici. il suo interno può trasformarsi a seconda delle necessità in luogo di ritrovo, connessione, struttura pubblica o privata. e-QBo è un manifesto delle future smart cities: è allo stesso tempo autonomo e connesso, off-grid e integrato nel contesto urbano. naturalmente il rivestimento totale comporta dei problemi di funzionalità dei pannelli, sebbene gli ideatori dichiarino una potenza di per il modulo più grande 15,5 kW/hp: non sono disponibili specifiche tecniche sulle celle, sebbene, visto l’impiego, sia probabile che siano a silicio amorfo sulle pareti e, forse, in silicio cristallino sulla copertura. l’interno del cubo è in legno con uno spesso strato di isolante termico, necessario a impedire il surriscaldamento dell’ambiente. al di là delle specifiche funzionali, e-qub0 rappresenta uno snodo focale nella progettazione prossima ventura, essendo destinato a condizionare, con il suo approccio radicalmente modulare, sia il pubblico sia il privato. 153 lotUs, giancarlo Zema lotus è una postazione di ricarica per veicoli elettrici costituita da un unico elemento tubolare di 14 cm di diametro per 2,6 metri d’altezza, che si slarga in una foglia di loto larga 4 mq, rivestita di fotovoltaico e in grado di produrre 500 W; ne esiste anche una versione più grande, ampia quasi 20 mq, che produce 2,8 kW. oltre a fornire energia ai veicoli, questo impianto è concepito per costituire un riferimento nell’ambiente urbano, esso può fornire illuminazione e riparo dalla pioggia. photosynthesis, aKisa hirata photosynthesis è soprattutto – per non dire esclusivamente – un concept, un manifesto di come la tecnologia fotovoltaica possa assumere configurazioni affascinanti e suggestive. Questa grande struttura in plexiglas e pannelli fotovoltaici non ha, infatti, alcuna funzione se non quella di scultura-albero, dal design organico. eco BiKe design Questo progetto è il vincitore di un concorso promosso da solsonica spa e poli.design, con il patrocinio di adi associazione italiana per il disegno industriale. il tema del concorso riguardava proprio la progettazione di una stazione di ricarica per una bicicletta elettrica e il progetto vincitore, di martina Jimenez, utilizza un sistema di ricarica wireless, a piastre induttive, alimentato da un pannello a moduli cristallini, debitamente orientato. il progetto si distingue per funzionalità, poiché la forma del pannello consente un orientamento ottimale e, quindi, un’ottima resa. la struttura di sostegno, inoltre, un telaio ricavato da una barra d’acciaio curvata, può essere facilmente prodotta e installata. 154 BIBLIOGRAFIA Jeremy rifkin, Entropia. 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