Università degli stUdi di napoli “Federico ii”
dipartimento di architettUra
dottorato di ricerca in progettazione architettonica e ambientale
indirizzo in : progettazione architettonica e tecnologie innovative per la sostenibilità ambientale
XXv ciclo
Mario Zampino
PROCESSI DI INTEGRAZIONE DEL FOTOVOLTAICO NELL’ARCHITETTURA SOSTENIBILE
coordinatore:
prof.ssa Antonietta Piemontese
tutor:
prof. Rolando Scarano
indice
Abstract_____________________________________________________________________7
introduzione________________________________________________________________10
Capitolo I___________________________________________________________________12
scenari energetici attuali______________________________________________________13
distopie e utopie distopiche___________________________________________________ 20
energia per la terra___________________________________________________________26
Capitolo II___________________________________________________________________34
Breve storia del fotovoltaico____________________________________________________35
Funzionamento delle celle e dei moduli fotovoltaici_________________________________46
accumulo e flussi energetici: dalla batteria alla rete_________________________________52
problemi e criticità connessi con l’uso del fotovoltaico_______________________________57
conto energia e il caso italiano__________________________________________________64
i Bipv: il fotovoltaico come materiale costruttivo___________________________________73
i Bipv: un compendio degli impeghi della tecnologia_________________________________78
Capitolo III___________________________________________________________________90
Una premessa all’analisi dei progetti_____________________________________________91
l’integrazione del fotovoltaico: tre grandi architetti_________________________________96
samyn and partners architects & engineers____________________________________96
mario cUcinella architects________________________________________________117
FeildencleggBradley stUdios_______________________________________________131
l’integrazione del fotovoltaico in alcuni edifici sperimentali_________________________139
Fotovoltaico come sopravvivenza: integrazione e innovazione in edifici in aree ostili_____145
il fotovoltaico come segno____________________________________________________151
Bibiografia_________________________________________________________________155
ABSTRACT
Capitolo I
nel primo capitolo si pone una delle premesse necessarie ad affrontare
il tema del fotovoltaico in architettura, si esamina, cioè, lo scenario che ha
obbligato gli architetti a introdurre nel proprio orizzonte – e, si auspica, nel
proprio bagaglio di competenze – i temi della sostenibilità ambientale. l'introduzione chiarisce come le grandi politiche internazionali abbiano fallito,
dimostrando che non si può più attendere l'intervento salvifico di un deus
ex machina e che diviene fondamentale l'azione individuale. la responsabilità, infatti, non può che essere rimessa ai singoli e l'architetto, titolare
della disciplina di trasformazione per antonomasia, risulta investito di un
ruolo esiziale.
si chiariscono, poi, gli attuali scenari energetici e geo-politici, un'analisi
che esclude ogni possibilità di sviluppo che non contempli la preminenza
delle fonti rinnovabili. con gli idrocarburi ancora in auge – e talvolta con
un'ostinazione apparentemente inspiegabile – e i programmi nucleari che,
nonostante Fukushima, sopravvivono in molte nazioni, il destino delle energie rinnovabili sembra, però, comunque meno incerto di dieci anni fa: nel
caso del fotovoltaico, come si rileva nel testo, tale diffusione è stata ascrivibile anche al fiorire dei campi fotovoltaici, una soluzione molto discussa
e dal devastante impatto paesaggistico e ambientale (come si osserverà
nel secondo capitolo), ma che ha certamente determinato una contrazione
dei costi dei pannelli e un sostanziale progresso tecnologico, soprattutto
nell'efficienza delle celle.
si affrontano, infine, due scenari: uno chiaramente distopico, nel quale
si prospettano gli effetti di un bilancio energetico nazionale basato sul nucleare, l'altro, invece, apparentemente utopico, un sistema energetico nazionale, cioè, interamente sostenuto dal fotovoltaico. si chiarirà, in questo
modo, un tema che emergerà con evidenza nel secondo capitolo e, ancora
di più, dall'analisi dei progetti sviluppata nel terzo: il fotovoltaico costituisce una valida e sostanziale integrazione, ma non può essere adottato
come fonte esclusiva e nemmeno prevalente. Qualunque serio progetto di
conversione alle energie pulite, infatti, non può che procedere da un radicale piano di efficientamento energetico, riduzione dei consumi e del fabbisogno e riciclaggio dei materiali.
7
Capitolo II
il secondo capitolo costituirà un focus sul fotovoltaico e sui suoi impieghi,
anche in una prospettiva diacronica. il primo paragrafo, infatti, contiene una
storia dell'innovazione del fotovoltaico, nella quale si evidenziano i tre impieghi che esso ha conosciuto:
- fotovoltaico come centrale energetica: è la prima ipotesi e risponde a
una "logica petrolifera". si tratta dell'impiego di fotovoltaico in campi e centrali. sebbene sia da stigmatizzare, tale uso ha consentito di abbassare i prezzi
e far avanzare rapidamente le tecnologie;
- fotovoltaico come autosufficienza energetica: il fotovoltaico è una tecnologia per l'autosufficienza, consentendo di alimentare luoghi isolati e in
contesti impervi. si tratta di un impiego tuttora molto valido, e da un punto
di vista pratico e da un punto di vista ideologico, è alla base del sistema di telecomunicazioni e di tutte le grandi reti – a cominciare da quella petrolifera –
ma per quanto concerne l'impiego in contesti urbani, esso pone problemi che,
invece, sono stati superati dal fotovoltaico come rete;
- fotovoltaico come rete: al concetto di autosufficienza, questa interpretazione del fotovoltaico affianca quelli di comunità e interconnessione. alcuni
autori, a cominciare da rifkin, hanno individuato in questi modelli energetici
le premesse per una vera democrazia delle risorse in futuro.
nel primo capitolo si chiarisce perché non esistano alternative valide alle
fonti rinnovabili e perché sia necessario guardare soprattutto, per quanto riguarda il fotovoltaico, all'integrazione nei manufatti architettonici. in particolare, seguendo il ragionamento e le analisi di economisti ed ecologisti, si
dimostrerà l'inadeguatezza delle grandi concentrazioni di pannelli, in favore di
una rete di piccoli impianti.in particolare si analizzeranno le potenzialità della
tecnologia e i suoi limiti: tali parametri definiscono anche delle procedure ottimali di impiego della risorsa che, quando disattese, certificano lo scarso interesse del progettista alla sostenibilità dell'edificio. chiarite le caratteristiche
tecniche, i neessari adempimenti e le consdizioni da tenere in considerazione,
si introdurrà il problema dell'applicazione, in primo luogo si condurrà un focus
sul caso italiano, verificando in cosa sia consistito il conto energia e quali modelli
architettonici esso abbia prodotto. i criteri economici, infatti, si sono dimostrati
fortemente condizionanti nell'elaborazione die progetti e alcune ambiguità contenute nel pianto del conto hanno generato impieghi distorti e tendenze anche
preoccupanti. infine verrà affrontato il tema die Bipv, vale a dire del fotovoltaico
integrato in specifici moduli costruttivi. il tema sarà affrontato da un punto di
vista generale, osservando le caratteristiche tecniche, le proiezioni economiche
e gli impieghi ottimali di queste tecnologie. ciò costituirà la necessaria premessa
al terzo capitolo, nel quale si analizzeranno degli esempi di edifici verficando il
grado di integrazione delle varie applicazioni.
8
Capitolo III
nei capitoli precedenti si sono chiarite la natura e le funzioni della tecnologia fotovoltaica, indicando come alcune caratteristiche funzionali impongano severi limiti alle soluzioni formali e, anche, all'integrazione delle
tecnologie. nel capitolo precedente si è introdotto il tema dei Bipv, moduli
fotovoltaici integrati in elementi costruttivi, che, nonostante abbiano prezzi
ancora elevati, perché non contenuti da economia di scala e ampia diffusione,
rappresentano un potenziale veicolo di diffusione del fotovoltaico proprio in
virtù delle maggiori possibilità di integrazione. Questo aspetto ha indotto,
inoltre, alcune nazioni particolarmente interessate a tutelare l'integrità estetica del proprio territorio a elaborare soluzioni legislative ad hoc per favorire
l'impiego di soluzioni integrate. in italia questa intenzione ha assunto la forma
del conto energia ma, come osservato nel capitolo precedente, i risultati prodotti sono stati distanti da quelli attesi, producendo edifici che, sebbene contemplino un'integrazione tecnica dei moduli nel costruito, non esprimono una
reale integrazione architettonica.
l'obiettivo di questo capitolo consiste nel verificare quali soluzioni architettoniche siano state adottate per integrare la tecnologia fotovoltaica nell'architettura, prendendo in considerazione tre categorie generali: edifici ex
novo, ristrutturazioni e interventi sull'antico. si considereranno alcuni esempi,
per ciascuna categoria, relativi alle tipologie di moduli integrati riportate nel
capitolo precendente:
moduli integrati su tetti piani e inclinati
moduli integrati vetro-vetro
moduli integrati a botte
moduli integrati ombreggianti
moduli integrati in facciata
verranno, poi, analizzati esempi significativi di integrazione in due ulteriori categorie, considerate separatamente in virtù della loro natura peculiare.
da una parte si offrirà una rassegna di quelle architetture che hanno assunto
il fotovoltaico come segno, interpretandone più la vocazione ideologica che
l'aspetto tecnologico e funzionale, dall'altra si osserveranno i risultati in un
ambito, quello delle strutture isolate in contesti ostili (come i rifugi alpini), per
il quale l'autosufficienza energetica è una necessità. Questi ultimi edifici sono
particolarmente interessanti e da un punto di vista architettonico, poiché sono
costretti a integrare grandi superfici di pv, e da un punto di vista tecnologico,
poiché, essendo collocati in ambienti difficili, consentono di testare soluzioni
innovative con sollecitazioni estreme, innescando così un circuito virtuoso di
innovazione.
9
INTRODUZIONE
la recente conferenza di varsavia, che ha visto gli ambientalisti
abbandonare il tavolo di confronto indignati dall’orientamento
entusiastico nei confronti del carbone e dello shale gas, ha dimostrato
quanto sia difficile per le nazioni accordarsi su un piano di riduzione dei
consumi e delle emissioni industriali: in altre parole, nonostante la
drammatica cogenza della questione ambientale, resa tragicamente
manifesta dai sempre più frequenti disastri, non sarà la politica
internazionale a risolvere il problema. il fallimento di questo livello ha
rilanciato con forza il tema dell’azione individuale, in questi anni
sostenuto, con solide argomentazioni, da numerosi economisti ed
ecologisti, a cominciare da Jeremy rifkin, il cui più rilevante contributo
consiste proprio nell’aver teorizzato una parcellizzazione del
potenziale di approvvigionamento energetico, con la sostituzione di
micro-centrali domestiche ai grandi impianti centralizzati. tale
orientamento, definito in maniera compiuta in “economia
all’idrogeno”, si riscontra, però, già nel celebre “entropia”, nel quale
l’economista americano mette in guardia dai rischi di uno pseudomutamento: il cambiamento, ammoniva rifkin, non deve riguardare
unicamente la tecnologia adottata ma la logica con cui ad essa si
ricorre; l’atteggiamento quantitativo – che preludeva alla diffusione
dei grandi impianti fotovoltaici – già riscontrabile negli anni in cui il
testo fu pubblicato, evidenziava l’applicazione di una “logica
petrolifera” alle tecnologie alternative. Questa considerazione appare
tristemente corroborata dai recenti scandali sui parchi fotovoltaici nel
nostro paese, occasione di speculazione senza alcun beneficio per
l’ambiente né per le comunità. l’integrazione del fotovoltaico nel
manufatto architettonico e, quindi, il perseguimento dell’autosufficienza
energetica per ogni specifico edificio, rappresenta pertanto l’impiego
più opportuno per questa tecnologia, e da un punto di vista ambientale
e da un punto di vista socio-economico. sono oggi disponibili, e qui se
ne fornirà una rassegna, elementi fotovoltaici che possono essere
installati su ogni genere di superficie o che possono, addirittura,
costituire una superficie, un tetto, una parete: tali innovazioni
implementano le possibilità per l’architetto di progettare un edificio
sostenibile. È importante sottolineare, e non si mancherà di
evidenziarlo nei casi opportuni, come il rischio di applicare una logica
10
petrolifera persista anche ricorrendo al fotovoltaico negli edifici:
affinché sia possibile considerare sostenibile un edificio dal punto di
vista energetico, esso non deve semplicemente produrre più energia
di quella che consuma, ma deve esibire standard di consumo molto
ridotti, privilegiando l’efficienza energetica prima di mirare
all’autosufficienza. tale prescrizione risulta tanto più significativa in
considerazione di alcuni gravi limiti della tecnologia in questione,
relativi alle risorse necessarie a costruire i moduli, i cui processi di
estrazione, assemblaggio e, infine, smaltimento, comportano seri
rischi ambientali. Questa analisi, pertanto, sebbene si concentri
sull’impiego delle tecnologie fotovoltaiche in architettura intende
assumere come prospettiva quella di una coerente pratica della
sostenibilità ambientale, che non trasformi una risorsa in un mero
sigillo morfologico, in un escamotage autoassolutorio né, men che
meno, in un’occasione speculativa. si osserverà, pertanto, l’evoluzione
del fotovoltaico in architettura nell’ultimo ventennio, con attenzione
ovviamente crescente all’ultimo lustro e alle prospettive future indicate
dagli architetti; si cercherà di definirne potenzialità e limiti, ragionando
sugli impieghi opportuni e sugli usi inopportuni di tale tecnologia; si
indicheranno, infine, alcuni progetti particolarmente significativi ed
emblematici di orientamenti futuri.
11
Capitolo 1
SCENARI ENERGETICI ATTUALI
nei termini attuali il tema della sostenibilità ambientale è nato
negli anni settanta, quando il rapporto sui limiti dello sviluppo, o
rapporto meadows, richiamò l’attenzione sul problema dell’esaurimento
delle risorse. Una quindicina di anni dopo, il ministro norvegese
Brundtland, in seno alla commissione ambiente e sviluppo dell’onu,
da lei presieduta, pubblicò una relazione dal titolo “il Futuro di tutti
noi”, meglio nota come rapporto Brundtland, che costituì il manifesto
e la direttrice fondamentale delle intese politiche successive in materia
ambientale: esso conteneva anche una definizione che è diventata di
scuola per definire approcci e obiettivi della politica di questi decenni
nei confronti dell’emergenza ambientale1. le due formulazioni, quella
del ministro norvegese e quella del club di roma, individuano
nell’esaurimento delle risorse, e quindi della ricchezza per le
generazioni venture, il problema: è stato rilevato come tale approccio
sia, ovviamente, riduttivo e rischioso, ma se è bene discuterne le
premesse concettuali, l’approccio quantitativo consente di ragionare
su dati misurabili, un elemento ovviamente indispensabile in una
ricerca che si occupa di energie alternative. concentrarsi sulle risorse,
insomma, consente di conferire una dimensione quantitativa a un
problema vasto e sfuggente, pertanto tale sarà l’approccio adottato
da questo studio, nella consapevolezza, però, dei limiti e dei rischi della
scelta. al fine di contestualizzare debitamente opportunità e problemi
connessi all’uso del fotovoltaico, sarà opportuno premettere un rapido
excursus sugli scenari energetici attuali.
come è stato anticipato, per ragioni eterogenee, alcune di
carattere scientifico, altre politico, si è scelto di identificare la crisi
ambientale con l’incremento della temperatura media del pianeta: a
parte la suggestione di una semplice reductio ad unum che consenta
di fronteggiare un problema complesso, rimettere la questione
all’analisi dei climatologi avrebbe dovuto presentare il vantaggio di
sottrarre il problema alle dispute ideologiche, riconducendolo su un
rigido piano quantitativo. com’è noto così non è stato per molto tempo
sebbene i dati ufficiali, quelli prodotti dall’ipcc (intergovernmental
panel on climate change), abbiano ormai stabilito che il repentino
riscaldamento della terra è dovuto, in massima parte, alle attività
umane; per dare una misura, l’ipcc iv aveva stabilito che la probabilità
13
che l’uomo fosse il principale responsabile del riscaldamento globale
era del 66%, l’ipcc successivo ha elevato tale probabilità oltre il 90%
e gli ultimi sono andati oltre2. i climatologi sono inoltre concordi nel
riconoscere nelle emissioni ghg (i cosiddetti “gas serra”) la fonte
precipua dei processi di riscaldamento, sebbene si tratti di una
valutazione tutt’altro che semplice: gli effetti di feedback positivi e
negativi attivati da variazioni, anche minime, delle condizioni
climatiche, rendono molto complessa l’identificazione delle
meccaniche originarie. È altresì noto che l’incremento delle emissioni
ghg, registrato a partire dalla seconda metà del settecento, è un
effetto diretto dell’economia a combustibili fossili che ha caratterizzato
quei due secoli e mezzo di storia umana, per i quali è stata suggerita la
definizione di antropocene, pertanto è opinione condivisa che solo la
riduzione del consumo di combustibili fossili potrà arginare i devastanti
effetti del riscaldamento globale. se la comunità scientifica ha
raggiunto, faticosamente, un accordo sull’identificazione – parziale, è
bene ripeterlo – del problema, esistono due passaggi critici e ben lungi
dall’essere risolti: il primo riguarda le soluzioni, il secondo, anche più
rilevante, la cooperazione con la politica. come sintetizza daniele
pernigotti, mentre la prospettiva del climatologo, abituato a ragionare
su serie decennali quando non trentennali, è da presbite, quella del
politico, concentrato sull’hic et nunc imposto dalle tornate elettorali,
è da miope, maldisposta a investire risorse e credito personale in
progetti i cui benefici non siano immediatamente percepibili3. l’asse
fra la lobby dei petrolieri statunitensi e l’arabia saudita, partner
economico degli stati Uniti e di alcuni dei suoi presidenti, ha indotto il
senato del principale inquinatore mondiale a ricusare gli accordi di
Kyoto con l’ovvio risultato che molti paesi emergenti, a cominciare
dalla cina, hanno approfittato della facile sponda per sottrarsi anch’essi
ai vincoli – in verità molto poco stretti – proposti. l’arabia saudita ha
addirittura richiesto un risarcimento, in caso di un accordo
internazionale per la conversione ad altre fonti energetiche, poiché ciò
devasterebbe il suo pil, pressoché interamente basato sull’industria
estrattiva4. si tratta di questioni di grande rilevanza, evidenti sin dal
1992, anno della convenzione quadro delle nazioni Unite sul
cambiamento climatico (UnFccc), a rio de Janeiro. il testo chiariva la
responsabilità storica dei paesi sviluppati e precisava che essi
avrebbero dovuto assumersi, per primi, l’onere di ridurre le emissioni
di ghg. la convenzione quadro ha generato il protocollo di Kyoto (Kp),
definito nel 1997 ma ratificato solo nel 2005, sottoscritto da tutti i paesi
14
del mondo con l’eccezione degli stati Uniti, il che, però, di fatto vanifica
la maggior parte degli obiettivi attesi: coerentemente con i principi
espressi dalla convenzione quadro, infatti, l’attuazione della prima fase
del Kp è riservata ai soli paesi sviluppati, tagliando fuori i nuovi grandi
inquinatori il che, in aggiunta all’autoesclusione degli Usa, rende di
fatto il protocollo vincolante solo per l’Ue. dalla parte opposta, la
riduzione delle emissioni è diventata una bandiera politica per i paesi
che patiscono l’ingerenza economica delle potenze industriali, a
cominciare dal venezuela. alla conferenza di copenhagen del 2009, il
presidente venezuelano chavez ha tuonato contro “la presenza
incombente del capitalismo che pervade le sale della conferenza”5,
giocando un’astuta partita su due tavoli: da un lato difensore dei diritti
dell’ambiente e di un continente schiacciato dalle prepotenze
statunitensi, dall’altro detentore di ricchissimi giacimenti petroliferi e
fornitore del vicino colosso industriale. la politica internazionale,
pertanto, ha preso a maneggiare il tema delle riduzioni di ghg come
strumento di propaganda interna ed esterna, il che non induce a
sperare in futuri successi degli accordi internazionali: come si
sottolineava nell’introduzione, la risposta è sempre di più nei
comportamenti individuali, in processi bottom up che, sospinti dalla
rete e dalla diffusione virale promossa dalle nuove tecnologie, vanno
assumendo dimensioni sempre più rilevanti. È in quest’ottica che evo
morales, presidente della Bolivia, ha organizzato a cochabamba, un
anno dopo il fallimento di copenhagen 2009, la prima conferenza
mondiale dei popoli sul cambiamento climatico e sui diritti della madre
terra, dimostrando che l’opinione pubblica sembra avere un’idea molto
più chiara dei governi su quali siano i rischi nel procrastinare ancora
una risoluzione delle questioni ambientali. senza un impegno
condiviso, infatti, gli effetti ipotizzabili sono gravi ed eterogenei.
il primo, ovviamente, è di carattere climatologico ed è sottolineato
con drammatica cogenza dai maelstrom e dalle alluvioni che in questi
anni stanno colpendo la nostra fascia, un tempo definita “temperata”.
l’ipcc non è in grado di stabilire con certezza di quanti gradi potrebbe
incrementarsi la temperatura del pianeta nei prossimi anni. nel 2007
si stabilì fra 2,5 e 4,8 c° l’incremento entro il 21006, ma solo quattro
anni dopo, nel 2011, nuove stime ipotizzavano una soglia di 6 c°; entro
i prossimi quarant’anni la temperatura potrebbe aumentare di oltre
3°. il c-roads è un modello di simulazione del clima globale che tiene
traccia degli impegni presi a livello nazionale e li usa come input per i
calcoli. in altre parole il c-roads valuta l’incremento della temperatura
15
in considerazione delle azioni previste per fronteggiarlo, pertanto gli
esiti della sua analisi sono ancora più inquietanti: secondo tale sistema,
infatti, gli scenari prodotti dall’applicazione dei sistemi previsti dalle
varie nazioni ci condurrebbe non lontani dal peggiore scenario
ipotizzato dall’ipcc, con un riscaldamento di 2,5 c° entro il 2050. a
fronte della possibilità di produrre vino e frutta in scandinavia, i terreni
agricoli, quasi tutti concentrati, oggi, nelle fasce tropicali e temperate,
si ridurrebbero drasticamente, dilavate da piogge torrenziali o
desertificate. l’innalzamento delle acque, provocato dallo
scioglimento dei ghiacciai, sommergerebbe una quota variabile del pil
mondiale compresa fra il 10 e il 20%. la società munich re, che si
occupa di assicurare le assicurazioni, ha stilato nel 2011 un rapporto
dal titolo Severe Weather in North America7, dal quale emerge come gli
eventi catastrofici negli stati Uniti si siano quintuplicati negli ultimi 30
anni, con un danno di 1060 miliardi di dollari; la sola compagnia
assicurativa allianz ha valutato in 2,2 miliardi di dollari i risarcimenti
erogati per eventi connessi ai cambiamenti climatici; l’uragano irene
del 2011 ha provocato 5,6 miliardi di danni, un terzo dei quali a carico
del governo, la restante parte risarcita dalle assicurazioni; il passaggio
di sandy nello stato di new york ha provocato 50 miliardi di dollari di
danni. Un sondaggio del 2012 condotto dal carbon disclosure project
presso le 405 aziende maggiori al mondo, ha concluso che il 37% di
esse patisce già danni dai cambiamenti climatici e l’81% riconosce il
rischio8. secondo dag hessen, quando lo scioglimento dei ghiacci avrà
diluito il sale nelle acque fra la groenlandia e l’europa, la corrente del
golfo, principale mitigatrice del nostro clima, si interromperà, essendo
guidata essenzialmente dalle differenze del gradiente di salinità: a quel
punto, scrive il biologo, “direi: non avete ancora visto niente”9. negli
anni ottanta, nicholas georgescu-roegen10 calcolava una perdita del
pil mondiale del 10% all’anno per dieci anni per operare una piena
conversione a un’economia verde: è un prezzo che il pianeta sta già
reclamando.
esiste un altro aspetto rilevante, purtroppo sottovalutato e ridotto
a un vuoto mantra: le generazioni future. se, oggi, i paesi in via di
sviluppo possono reclamare il proprio diritto all’inquinamento, le
generazioni future reclameranno le risorse che quelle precedenti
hanno distrutto, a cominciare da quelle alimentari. lo scenario che si
configura è quello di uno scontro intergenerazionale fra collettività,
come indicato da Karl Wagner in una scheda per l’ultimo report al club
di roma di Jorgen randers. la frizione fra immobilismo dei governi e
16
istanze di cambiamento, la disponibilità di comunicazioni in tempo
reale fra ogni punto del mondo, la difficoltà di accedere a ruoli di rilievo
e, infine, una cultura generazionale basata sulla cooperazione e non
su quella che Wagner definisce “l’interpretazione dominante della
teoria di darwin, quella secondo cui la vita si è evoluta attraverso la
competizione e la sopravvivenza delle specie meglio adattate”,
innescheranno una guerra intergenerazionale che da europa e stati
Uniti si diffonderà al resto del mondo11.
Un saggio di due ricercatori americani, comparso su una nota
rivista scientifica statunitense, ammoniva gli studiosi a ricondurre il
dibattito sulla crisi ecologica al problema delle risorse e denunciava,
invece, l’esplosione di temi collaterali che disperdevano le energie
della ricerca. l’approccio è, per la verità, fortemente criticabile, ma
riflette l’impostazione del club di roma e l’ispirazione originaria del
rapporto Brundtland: preservare risorse per le generazioni future.
non v’è dubbio, inoltre, che lo scenario relativo alla disponibilità di
beni primari per il futuro sia di centrale rilevanza e, aspetto non
secondario, estremamente icastico. il dibattito sulle risorse in questi
anni ha riguardato, essenzialmente, quelle energetiche, in massima
parte petrolifere, inducendo l’opinione pubblica a dimenticare gli altri
beni primari, cibo e acqua in primis. gli ultimi decenni, infatti, hanno
abituato gli europei a una tale abbondanza di tali risorse da non poter
nemmeno lontanamente dubitare della loro disponibilità in futuro,
fino a quando qualche scommessa speculativa sul mercato dei futures
della borsa di chicago, nel 2011, ha fatto impennare i prezzi dei
cereali: più di un osservatore ha messo in correlazione questo
avvenimento con le cosiddette primavere arabe che hanno
infiammato il nord africa nel 2012.
Uno degli effetti più rilevanti della crisi ambientale consiste nella
distruzione delle risorse alimentari, un patrimonio minacciato da molte
parti. per quanto riguarda il mare e le risorse ittiche, ad esempio, i
pericoli provengono dall’inquinamento delle acque, dalla pesca
indiscriminata e dal riscaldamento climatico che altera gli equilibri
ecologici, demolendo la piramide alimentare. Un rapporto dell’irepa
ha valutato nel 22,9% il calo della pescosità del mediterraneo in appena
sette anni, dal 2004 al 2011, con una forte accelerazione a partire dal
200712. il tonno rosso, una delle specie simbolo dei nostri mari, è
praticamente scomparso, ridotto a un quarto della popolazione di 40
anni fa. rispetto agli anni sessanta, anche la pescosità dell’atlantico si
è ridotta, in media, del 70%, sebbene nel vasto oceano sia
17
sovrasfruttato il 39% degli stock ittici, contro l’88% del
mediterraneo13. già molto, inoltre, è stato detto, negli anni scorsi,
sulle tecniche di pesca indiscriminate, come quelle a strascico, che
arano i fondali devastandoli e con le quali l’80-90% del pescato, privo
di valore commerciale, viene ributtato in mare ormai morto. la
riduzione selettiva di certe specie, inoltre, ha determinato squilibri
ecologici non privi di rilevanza anche per l’uomo: la scomparsa degli
squali, vittime di caccia selvaggia, nel golfo del messico ha favorito
la proliferazione di altri predatori che hanno distrutto i banchi di
gamberi, una delle risorse economiche più rilevanti dell’area; altri
pesci, la cui popolazione era tradizionalmente controllata dagli
squali, inoltre, sono predatori dei crostacei che costituiscono la
barriera corallina: senza più controllo demografico, i pesci divorano
troppi granchi, la barriera corallina si sta disgregando e l’effetto delle
maree sulle coste sta evidentemente aumentando. i cambiamenti
climatici sono lo scenario nel quale avvengono questi processi:
sebbene sia difficile, oggi, prevedere quali saranno gli esiti delle
alterazioni, fino a oggi l’81% dei cambiamenti registrati si è
dimostrato coerente con le previsioni. gli oceani sono un formidabile
serbatoio di co2, fungendo da regolatori dell’effetto serra.
l’aumento dell’anidride carbonica negli ultimi decenni, però, ha
determinato un’acidificazione delle acque, con gravi danni a tutte le
specie, come dimostrato dalla ricerca Sensitivities of extant animal
taxa to ocean acidification su nature climate change. dallo studio
emerge che ciascuna specie marina reagisce in maniera differente
all’acidificazione ma che le più vulnerabili sono proprio quelle che
costituiscono le barriere coralline, poiché la maggiore acidità delle
acque ostacola i processi di sintesi del corallo, a ogni modo, scrivono
i ricercatori:
“tutti i gruppi di animali che abbiamo considerato sono influenzati
negativamente da concentrazioni superiori di anidride carbonica. il
pericolo è che stiamo spingendo le cose troppo in fretta e troppo forte
verso una crisi evolutiva. siamo al rischio di causare estinzioni. non
possiamo dare con certezza l’anno in cui la gente inizierà a riferire di
estinzioni dovute ai cambiamenti climatici. dipende da quanto
cambiamento di temperatura e concentrazioni di co2 permetteremo.
Quando si prendono in considerazione gli effetti dei gas serra,
potrebbero accelerare gli effetti negativi, perché la temperatura che
una specie può sopportare in condizioni più acide può essere
inferiore”14.
18
se le acque sono in sofferenza, non va certo meglio ai suoli. le
spettacolari tempeste di sabbia, che hanno funestato gli stati Uniti sin
dagli anni trenta, annunciavano l’impoverimento di suoli,
tradizionalmente fertilissimi, depauperati da uno sfruttamento troppo
intenso. a quello si sono aggiunti innumerevoli problemi, a cominciare
dall’acidificazione dei terreni dovuta all’aumento dei gas serra, e dal
riscaldamento, che ha inaridito molte aree fertili. a ciò si aggiunge
l’esplosione delle colture per l’allevamento animale e per i
biocombustibili che hanno sottratto milioni di ettari coltivabili
all’alimentazione umana. secondo Jorgen randers nei prossimi
quarant’anni la disponibilità di proteine di elevata qualità si ridurrà
drasticamente, imponendo ineluttabili variazioni dei costumi
alimentari15. david Butcher, autore della scheda “i limiti delle proteine”,
ritiene che nei prossimi quarant’anni la disponibilità di proteine rimarrà
sostanzialmente identica ma si ridurrà la qualità, ovviamente a
beneficio delle proteine vegetali16. agli animali saranno destinate le
aree incolte e meno feraci, l’allevamento dei suini, in competizione con
gli esseri umani per carboidrati e proteine, si ridimensionerà
drasticamente, aumenteranno gli allevamenti di pollame che vanta un
bilancio energetico migliore della carne rossa: per ogni chilo di carne
rossa sono necessari 7-10 kg di grano17, ne bastano due per un chilo di
carne di pollo.
persino l’acqua potabile, emblema delle risorse gratuite, sta
diventando un bene sempre più raro: la Francia, uno dei paesi europei
più ricchi di acque, patisce un livello di inquinamento delle acque dolci
sempre più elevato. nelle zone centrali del paese, dove non può essere
utilizzata l’acqua di mare, grosse masse d’acqua provenienti dai fiumi
sono state impiegate per il raffreddamento dei reattori, con grave
compromissione della potabilità dell’intero sistema idrico.
Queste brevi, e insufficienti, considerazioni, servono solo a chiarire
che nessuna iniziativa, nessuna tecnologia, può rappresentare una
soluzione soddisfacente se non inserita in una complessa
riorganizzazione dei valori fondamentali della società e dell’economia.
gli scenari energetici che verranno di seguito delineati, lo dimostrano
con efficacia. in particolare verranno proposte una distopia e un’utopia
e si dimostrerà come il confine fra le due opzioni sia tutt’altro che
chiaro e certo.
19
DISTOPIE E UTOPIE DISTOPICHE
esplosione a Fukushima, 2011.
esplosione a chernobyl, 1986.
l’11 marzo 2011 uno spaventoso terremoto, seguito da un ancor
più devastante tsunami, ha danneggiato i sistemi di raffreddamento
della centrale nucleare a sei reattori di Fukushima. molto è stato scritto
sull’incidente, attribuendone la responsabilità a sistemi obsoleti, ma il
nodo fondamentale risiede nel fatto che un reattore nucleare una volta
avviato non può essere fermato, continua a produrre calore – le centrali
producono energia termo-nucleare – e continua a dover essere
raffreddato. Qualunque evento impedisca il raffreddamento non può
che scatenare disastri analoghi a quello giapponese. gli enormi
interessi delle lobby del nucleare hanno inizialmente sminuito
l’incidente, classificato di livello 3 nella scala ines (international
nuclear and radiological event scale), oggi innalzato al livello 7, lo
stesso di chernobyl (1986). l’iniziale sottovalutazione ha limitato
l’efficacia degli interventi: il tentativo di spegnere le fiamme con i
cannoni ad acqua, ad esempio, ha comportato un forte sversamento
di materiale radioattivo nell’oceano. l’evento ha liberato, entro il primo
mese dopo l’incidente, una quantità di sostanze radioattive pari al 10%
di quelle liberate dall’esplosione di chernobyl, sebbene le stime siano
della tepco, la società responsabile della gestione dell’impianto, e
quindi poco attendibili. Quel che è certo è che l’area di evacuazione è
stata estesa dagli iniziali 3 a 30 km intorno alla centrale, 80.000 persone
sono state evacuate e gli esperti sono concordi nel ritenere che solo
fra qualche decennio sarà possibile misurare il reale impatto della
contaminazione. alcuni elementi radioattivi, come i (iodio) e cs (cesio),
sono stati rilevati praticamente in tutto il mondo. mentre il primo ha
un’emivita di appena 8 giorni, il secondo impiega 30 anni a dimezzare
il suo potenziale radioattivo18. Quali danni comporterà quest’incidente?
È una stima difficilissima se si considera che nemmeno per l’incidente
di chernobyl si può fare affidamento su una casistica attendibile.
secondo l’Unscear (United nations scientific committee on the
effects of atomic radiation), un ente teoricamente indipendente ma,
ovviamente, pesantemente foraggiato dai produttori di energia
nucleare, il numero delle vittime sarà compreso tra 65 e 4000 negli
ottant’anni successivi all’incidente, ma altre stime, sovietiche e
statunitensi, parlano di oltre un milione di morti; greenpeace
addirittura di sei milioni19. ai morti vanno aggiunti i danni: interi
20
territori devastati, alimenti contaminati a migliaia di chilometri di
distanza, economie complesse spazzate via: le prime stime sui danni
economici parlano di 200 miliardi di euro, quanto basterebbe a
costruire 30-50 centrali nucleari; la maxi-multa imposta dal governo
americano alla British petroleum, per la fuoriuscita di greggio dalla
piattaforma deepwater horizon nel 2010, è stata di 20 miliardi di
dollari, meno di un decimo. i danni economici sono, inoltre, a più livelli
e su scala internazionale: l’ondata di sdegno e preoccupazione che ha
attraversato il paese, ancora fortemente traumatizzato dagli impieghi
militari del nucleare, ha indotto il governo a procedere allo
spegnimento dei due terzi dei reattori; essendo stato colto
impreparato dallo switch off, il sistema industriale ha rallentato,
rinfocolando la crisi economica che la potenza orientale affronta da un
decennio. naturalmente è crollata la domanda di combustibile
nucleare, soprattutto del mox, una miscela di uranio e plutonio ricavata
dall’arricchimento del combustibile esausto. il mox è più instabile e
pericoloso dell’uranio, ma molto più economico, e Francia e regno
Unito avevano investito sulla sua diffusione, realizzando nuovi impianti
di produzione. il crollo della domanda ha vanificato l’investimento, e
a sellafield, sulla costa del mare d’irlanda, sorge un costosissimo e mai
utilizzato impianto di produzione. come osservano nicola armaroli e
vincenzo Balzani, Fukushima ha confermato che gli effetti di un
incidente nucleare non possono essere circoscritti a un’area ma, al
contempo, che gli esiti più rilevanti sono limitati alle pertinenze del
luogo dell’incidente, il che indebolisce uno degli argomenti classici dei
sostenitori del nucleare italiano, la prossimità alle centrali francesi che
fa sì che il nostro paese sia già esposto a minaccia nucleare.
l’atteggiamento del governo nei confronti della tepco, in un paese che
ha sempre costituito un modello di rigore e di serietà, ha dimostrato,
inoltre, che al cospetto di interessi miliardari non esistono controllori
affidabili. poteva un evento come Fukushima non avere ripercussioni
sul piano finanziario? naturalmente no. l’agenzia di rating moody’s ha
ammonito che la costruzione di una nuova centrale nucleare può
aumentare il profilo di rischio dell’azienda costruttrice, e quindi
ribassarne il rating. si tratta non di una previsione ma del
riconoscimento di uno status quo: il nucleare è una tecnologia in crisi
in tutto il mondo, a cominciare dai due paesi leader, stati Uniti e
Francia. ciò nondimeno, i profeti dell’atomo continuano a ricorrere ad
argomenti ormai smentiti, a cominciare da quello che vorrebbe il
nucleare in espansione in tutto il mondo. gli oltre 100 reattori
21
americani sono ormai obsoleti ma l’amministrazione non è in grado di
sostenere un piano di rifinanziamento e non esiste impianto nucleare
al mondo che possa essere avviato senza sovvenzioni goverantive: gli
enormi investimenti richiesti, infatti, non produrrebbero nemmeno un
rientro minimo prima di dieci anni dall’avvio del progetto, spesso molto
di più, come è capitato al progetto areva. la società francese,
interessata a rilanciare il nucleare in europa, ha avviato un progetto
per una centrale moderna in Finlandia ma la realizzazione, prevista per
il 2009, è slittata a data da definirsi e il costo è raddoppiato20.
nonostante queste difficoltà, però, il rischio distopico di un futuro
fondato sulle energie nucleari pare tutt’altro che distante se lo stesso
Barack obama, un po’ prematuramente eletto paladino delle energie
pulite, ha più volte dichiarato che in avvenire gli stati Uniti saranno
sempre più liberi dalla dipendenza energetica grazie al nucleare. in
italia, il merito del plebiscito che ha condannato il ritorno al nucleare è
stato ascritto alla coincidenza con il disastro giapponese, il che ha
offerto il destro, ai fautori di questa opzione, per valutarlo come una
reazione emotiva a un evento catastrofico ed estremamente
improbabile. si tratta di una valutazione che non rende giustizia alle
argomentazioni dispiegate da chi, invece, ha contestato la scelta per
questioni di strategia energetica ed economica, e non per paura. Forse
è opportuno, qui, ricostruire brevemente le ragioni per le quali una
distopia nucleare sarebbe inutilmente pericolosa. la prima ragione è
che l’italia non ha bisogno di ulteriore energia. con una potenza
elettrica disponibile di 105 gW e un fabbisogno di appena 53 gW di
picco, per poche ore all’anno, l’energia nucleare dovrebbe essere molto
conveniente da un punto di vista economico, per giustificare un
investimento miliardario in uno scenario simile; così non è, come è
evidente, perciò i potenziali investitori avevano chiesto assicurazione
al governo di una legge che garantisse il consumo prioritario di energia
da fonte nucleare. È certo, però, che i 105 gW disponibili sono prodotti,
in larga misura, con combustibili fossili per i quali l’italia è dipendente
dai paesi produttori e, soprattutto, dalle grandi compagnie
petrolifere21. il problema, però, è che con l’uranio la situazione sarebbe
anche peggiore. i grandi giacimenti africani di questo minerale, infatti,
sono quasi tutto sotto diretto controllo cinese, mentre quelli iraniani
sono appannaggio di cina e russia; i russi, inoltre, controllano
pressoché il 100% delle attività di arricchimento del minerale, un
procedimento necessario a renderlo impiegabile come combustibile
nucleare: in altre parole si tratterebbe, semplicemente, di
22
sottomettersi all’arbitrio di altri fornitori. Un’altra obiezione generale
riguarda l’effetto sui cambiamenti climatici. la vulgata, infatti,
vorrebbe il nucleare un’energia rischiosa ma pulita. Una centrale
nucleare, però, richiede circa 10.000 tonnellate di cemento armato, 30
tonnellate di combustibile, che va estratto e arricchito con macchinari
alimentati dal petrolio, e poi va bonificata e, infine, smantellate: sono
attività dall’impronta ambientale gravosissima, probabilmente le più
gravose che si possa immaginare, e senza affrontare il tema dello
stoccaggio delle scorie. il problema, infatti, è tutt’altro che risolto. il
grande deposito progettato negli stati Uniti, nelle yucca mountain, è
stato abbandonato quando si è scoperto che le falde sottostanti,
lontane chilometri dalla superficie, risultavano contaminate. non
esiste, allo stato attuale una soluzione per lo smaltimento delle scorie
nucleari, è ragionevole ritenere che essa non possa essere trovata in
una nazione che ha difficoltà a gestire i rifiuti normali. Fin qui si tratta
di argomenti riguardanti il nucleare come tecnologia, pertanto validi
ovunque. a questi vanno aggiunte due questioni peculiari del sistema
italiano: l’italia è un paese sismico, con poche acque, e con esigue
superfici pianeggianti disponibili, questo dovrebbe essere sufficiente
a chiudere la questione. l’altro nodo risiede nel rilancio che il
23
luna park di Kalkar, germania.
nucleare dovrebbe fornire all’economia nazionale. cento industriali
italiani membri del Kyoto club hanno, invece, calcolato che la
distrazione di risorse per finanziare l’operazione sarebbe il colpo di
grazia all’incipiente economia verde che, nonostante le difficoltà e il
totale disinteresse di praticamente tutti i governi, ha già cominciato
a creare ricchezza e lavoro. secondo Jonathan porritt, nel 2052 solo
due paesi, cina e Francia, staranno ancora producendo elettricità con
il nucleare ed entrambi avranno disposto piani per smettere,
definitivamente, nel 206522.
Una valutazione analoga si sta facendo strada in tutti i paesi
avanzati. la soluzione ai problemi energetici procede dall’efficienza e
non dai mastodontici impianti centralizzati. l’emblema del fallimento
del nucleare è la grande centrale di Kalkar, in germania, costata 3,5
miliardi di euro, chiusa e riaperta come luna park. non sarà così facile
il recupero di quei siti che, invece, sono stati avviati, anche per pochi
anni. Quand’anche l’umanità rinunciasse, per sempre, alla distopia
nucleare, questa risoluzione tardiva ha già gravato le generazioni
future di rischi che non siamo in grado di gestire.
veniamo ora a una delle possibili utopie, una società che si
approvvigioni di energia solo attraverso le tecnologie fotovoltaiche.
l’energia del sole è eterna, almeno su scala umana, e molto
abbondante: in un’ora la terra viene irradiata con più energia di quanta
ne consumi l’umanità in un intero anno, con una densità di potenza di
170 W/mq. si tratta di un valore molto superiore a quello richiesto da
un’abitazione, che necessità di 20-100 W/mq, ma molto inferiore al
fabbisogno di un’acciaieria, che richiede fino a 900 W/mq. l’energia
solare, è, inoltre discontinua, perché la sua disponibilità dipende dalle
condizioni meteorologiche e dall’alternanza notte/dì: un’economia a
energia solare non potrebbe, allo stato attuale, prevedere i grandi
opifici, attivi tutto il giorno. ai tempi di entropia, il celebre saggio di
Jeremy rifkin, l’economista americano calcolava che per alimentare
manhattan e i suoi uffici sempre in attività, sarebbe stata necessaria
una superficie estesa quanto l’intero quartiere; l’efficienza dei pannelli,
in questi anni, è fortemente migliorata e così l’impatto sul territorio si
è drasticamente ridotto. ipotizzando un’efficienza del 10%, già oggi
superata, meno dell’1% di copertura del territorio nazionale fornirebbe
l’energia equivalente al fabbisogno di elettricità italiano, basterebbe
l’1,7% per la germania, lo 0,3% per i paesi iberici. la percentuale,
ovviamente, cresce per i paesi più piccoli, come i paesi Bassi, molto
avanzati e con una ridotta superficie nazionale. naturalmente tali
24
valori, apparentemente piccoli, non lo sono affatto: una centrale
fotovoltaica in grado di liberare una potenza tale da alimentare il
consumo di elettricità in italia occuperebbe, infatti, una superficie pari
alla provincia di piacenza il che, in un territorio densamente
urbanizzato e con esigua disponibilità di superfici piane, come il nostro
paese, avrebbe un fortissimo impatto ambientale, e il consumo di suoli
costituisce una delle principali questioni aperte sulla diffusione del
fotovoltaico. si tratta di un argomento pretestuoso perché esiste una
grande quantità di aree dismesse che potrebbero essere efficacemente
recuperate con l’utilizzo del fotovoltaico, ma il tema ha una validità
sotto vari punti di vista:
- la produttività di un impianto dipende molto dalla sua
localizzazione e dalle condizioni meteorologiche, parcellizzare le
grandi concentrazioni consente di ridurre i rischi legati al clima;
- esattamente come per le centrali termoelettriche, l’energia
prodotta e accumulata dai grandi impianti dovrebbe essere trasferita
alle singole abitazioni lungo le reti elettriche. È stato dimostrato che
ciò comporti una perdita anche del 90% dell’energia, uno spreco
assolutamente ridicolo e immorale in un mondo che combatte guerre
per la disponibilità di energia a buon mercato;
- le grandi concentrazioni di fotovoltaico sono interventi urbanistici
in piena regola, esigono infrastrutture per essere raggiunti, costosi
lavori di installazione, vaste pertinenze per alloggiare i servizi connessi;
- l’ultimo, e probabilmente più rilevante, argomento, riguarda la
proprietà dell’energia e la responsabilità del suo impiego: gli impianti
centralizzati annichiliscono uno dei risvolti più affascinanti del
fotovoltaico, vale a dire quella commistione fra autosufficienza
energetica e rete che esso consente di creare. tale aspetto verrà
approfondito in seguito e costituirà uno degli oggetti di indagine del
secondo capitolo, ma è un tema cardinale, poiché in esso risiede il
potenziale per mutare le logiche di consumo dell’energia in una
direzione finalmente sostenibile.
sebbene, come si dimostrerà in seguito, i problemi relativi alla
filiera del fotovoltaico siano stati ampiamente esagerati, l’attuale
tecnologia al silicio pone questioni ancora aperte relative al
reperimento del materiale e al suo smaltimento. senza modificare gli
attuali trend e i comportamenti energetici – e la declinazione delle
tecnologie fotovoltaiche in termini di maxi installazioni non
contribuisce certo a questa evoluzione – l’utopia di un’economia
alimentata unicamente dal sole è destinata a mutarsi in una distopia23.
25
ENERGIA PER LA TERRA
ogni secondo l’umanità consuma 1000 barili di petrolio (160.000
litri), 100.000 metri cubi di gas e 222 tonnellate di carbone. sono i
numeri dell’economia al petrolio, costituiscono una parte molto
rilevante dell’impronta ambientale della nostra specie e sono
disegualmente distribuiti, così che, come è noto, un cittadino
americano consuma energia come due europei, 4 cinesi e 240 etiopi.
tale disomogeneità non è, inoltre, connessa alla distribuzione naturale
delle risorse poiché, se è vero che gli Usa sono il terzo produttore di
petrolio e il primo di gas e carbone, è altresì vero che essi importano il
62% del petrolio e il 9% del gas naturale; l’italia, poverissima di risorse
fossili, è costretta a importare il 94% del petrolio e il 90% del gas.
Questi numeri rappresentano molto più di barili e metri cubi di
combustibili estratti, venduti e bruciati, sono una rappresentazione
della nostra società. siamo abituati ad attribuire un valore economico
ai beni, ai servizi, persino al nostro tempo ma – ammoniva odum –
l’energia è una misura molto più attendibile e sicura, e ciò è oggi tanto
più vero, poiché c’è del petrolio in qualunque attività umana, a
cominciare dall’agricoltura24: gli ortaggi in serra hanno un’energia
grigia (vale a dire il complesso di risorse necessari a produrli) 50 volte
superiore a quella che essi erogheranno a coloro che se ne ciberanno;
1 kg di carne di vitello (circa mille calorie) richiede 7 kg di petrolio (circa
70.000 calorie) per essere prodotta.
l’energia necessaria alle attività umane è prodotta, più o meno,
secondo questi rapporti: oltre l’80% da fonti fossili (33% petrolio, 27%
carbone, 21% gas naturale), circa il 10% da biomasse, un 6% scarso dal
nucleare, poco più del 2% dalle centrali idroelettriche e lo 0,7% dalle
rinnovabili25. non è importante stabilire con certezza se il picco
dell’estrazione petrolifera sia già stato raggiunto, come ritengono
molti, fra il 2005 e il 2010, o se esso verrà raggiunto fra dieci, venti o
trent’anni, quello che è certo è che grandi giacimenti di petrolio non si
trovano più da decenni e che il costo dell’estrazione del petrolio da
piattaforme off-shore è dieci volte superiore a quello del greggio
estratto nel deserto saudita. il problema non è quanto petrolio
contenga ancora il ventre della terra, ma quanto può esserne estratto
a costi sostenibili. È drasticamente aumentato, di rimando, il consumo,
e quindi l’estrazione, del gas, anche in questo caso, però, la risorsa non
26
processo di estrazione del combustibile con la tecnica del fracking.
estrazione in texas.
è inesauribile e già adesso è necessario ottenere la gran parte del
combustibile con la tecnica del fracking, iniezioni di acqua e solventi
ad altissima pressione sottoterra, in grado di frantumare le rocce e
liberare gli idrocarburi in esse imprigionati. È una tecnica
enormemente invasiva e inquinante, oltre che sempre meno redditizia:
sebbene manchino totalmente conferme, è stata avanzata
l’inquietante ipotesi che le cavità sotterranee create con il fracking nella
pianura padana abbiano reso devastante il sisma del 2012. la
disponibilità di giacimenti significativi è concentrata in pochi paesi che,
pertanto, determinano il mercato della più rilevante risorsa strategica,
potendo operare significativi condizionamenti dell’economia
mondiale. infine, estrarre, trasportare e bruciare combustibili fossili è
una delle attività più inquinanti operate dall’uomo e, a oggi, non vi è
modo di ridurne l’impatto. le fole sul cosiddetto “carbone pulito” in
particolare, sono pericolosa fantascienza: fantascienza perché le
tecnologie per realizzare il progetto non saranno disponibili se non
nell’arco di due o tre decenni, pericolosa perché si tratta, in realtà, di
immagazzinare l’anidride carbonica prodotta dalla combustione
sottoterra. come è già stato detto, ciò acidificherebbe irrimediabilmente
i terreni e gli effetti collaterali imprevisti potrebbero essere molti altri
e molto più gravi26.
a prescindere, quindi, dall’abbondanza o esiguità delle scorte, il
futuro non potrà essere alimentato a risorse fossili ma sarà necessario
elaborare un nuovo sistema di comportamenti e di fruizione
dell’energia, nel quale il ruolo più rilevante non potrà che essere quello
27
probabili danni da fracking nella
pianura padana, 2012.
delle fonti rinnovabili. per definire, sommariamente, che tipo di
modello esso sarà, è necessario disaggregare i consumi totali di
energia, forniti all’inizio di questo paragrafo, secondo i settori di
impiego.
circa il 37% dell’energia totale è utilizzata dall’industria e dalle
attività produttive, ben il 20% è impiegato nel trasporto di uomini e
merci, mentre il riscaldamento domestico, l’illuminazione, e l’utilizzo
di elettrodomestici sfruttano circa l’11%; appena il 5% è consumato dal
settore dei servizi, quindi da uffici, commercio e attività analoghe27.
Un rapido calcolo consentirà di rilevare che al totale manca quasi
il 30%, il 27%, per l’esattezza. si tratta dell’energia impiegata per
produrre e trasportare energia. con un’efficienza che oscilla fra il 40 e
il 50%, per ogni tW di energia utilizzata è necessario produrne 2,228,
negli stati Uniti il 56% dell’energia primaria prodotta va perduto. non
è l’unico spreco: per gli effetti perversi del paradosso di Jevons29,
l’inedita – nella storia umana – disponibilità di risorse ha determinato
una distruzione delle stesse che minaccia di divenire irrimediabile. tali
contraddizioni sono, com’è noto, massimamente evidenti nel modello
americano: gli spazi continuamente dilatati da una frontiera elastica e
da un’industria edile aggressiva, hanno sparpagliato i 311 milioni di
americani su una superficie vastissima, così che oggi il 7% dell’energia
primaria mondiale serve ad alimentare le sole autovetture private
statunitensi, circa 850 per mille abitanti.
dal problema dei consumi e dell’efficienza energetica passano,
quindi, le sole soluzioni praticabili per uno scenario futuro sostenibile
e ciò ripropone, con forza, il ruolo delle scienze del comportamento e,
naturalmente, dell’architettura e dell’urbanistica che ai comportamenti
danno una forma e un luogo.
il primo rapporto nazionale sull’energia ha indicato, anche per
l’italia, il tema dell’efficienza e del risparmio come propedeutico a ogni
altro intervento e ha riconosciuto nel trasferimento dell’energia uno
dei nodi cruciali30. il rapporto è una miniera di informazioni anche
indirette. nel definire le direttrici per una road map dello sviluppo
sostenibile, gli estensori non hanno dubbi sugli interventi per il
risparmio ma, dopo un generico auspicio per uno sviluppo delle energie
rinnovabili, essi manifestano numerose riserve sull’impiego delle
singole tecnologie. si esprime forte perplessità nei confronti delle
centrali a biomasse e, addirittura, una moratoria sulle installazioni di
pale eoliche; anche l’energia solare è oggetto di riserve: la soluzione
migliore, secondo gli autori del rapporto, consisterebbe nello sviluppo
28
del solare termodinamico a sali fusi per riconvertire le vecchie centrali
termoelettriche31. si tratta, certamente, di considerazioni che
procedono da una valutazione specifica del caso italiano, connotato,
come si è detto, da una forte urbanizzazione e, molto spesso, da
contesti di pregio, minacciati da interventi speculativi che, troppo
frequentemente, non sono oggetto dei debiti controlli. esistono, però,
delle ipotesi di scenario, fondate su scrupolose analisi quantitative, che
consentono di ipotizzare un progetto di sostenibilità fondato su solide
premesse scientifiche. È bene precisare che si indicherà, qui, una
possibilità fra le molteplici, operando, di fatto, un’adesione ideologica:
come si sottolineava in apertura di capitolo, infatti, una prassi
operativa non può prescindere da una convinta scelta ideologica. il
modello a cui si è scelto di fare riferimento è quello del “Fattore 4, 5,
10” elaborato da hunter ed amory lovins, anime del rocky mountain
institute, sulla scorta delle ricerche di robert ayres32. la persuasione
di ayres e dei lovins è che esistano già oggi le tecnologie per ridurre
gli input del processo produttivo di almeno il 75%: i numeri del
“fattore”, infatti, indicano la frazione alla quale si vorrebbe ridurre
l’impiego di energia e materie prime, mantenendo lo stesso livello di
produttività. in “capitalismo naturale”, uno dei testi capitali della
green economy, si calcola che l’efficienza media reale dei processi
industriali, calcolando energia e materie prime, è di circa il 10%,
addirittura inferiore negli stati Uniti. essa, inoltre, secondo robert
ayres, si sarebbe ridotta da prima della guerra a oggi, proprio per
effetto del paradosso di Jevons33. l’esempio della lattina di coca-cola,
riferito nello stesso libro, e recentemente ripreso da Fred pearce nel
fortunato “confessioni di un eco-peccatore”34, mostra come l’attuale
modello di sviluppo ignori, per pochi centesimi, ovvie considerazioni
di buon senso: come direbbe odum, è l’esito ovvio di una società che
misura il valore delle cose con il danaro e non con l’energia che è servita
a produrle. con questo semplice rivolgimento culturale, e con i precetti
del lean thinking, i lovins ritengono che sia realizzabile una riduzione
degli input del 75-80% (fattore 4 e 5) nei prossimi vent’anni, con un
obiettivo finale del fattore 10, vale a dire una riduzione del 90%
dell’impronta ecologica dei processi industriali. secondo i lovins la
soluzione sta, essenzialmente, in una riorganizzazione e nella
decentralizzazione ragionata dei processi e delle attività, a cominciare
dalla produzione di energia. il fotovoltaico gioca un ruolo focale in
questo processo, eliminando le inefficienti reti elettriche e inducendo
il consumatore a confrontarsi direttamente con i propri consumi,
29
regolandoli in relazione alle disponibilità e ai bisogni. per gunter pauli,
fautore della Blue economy e recente protagonista di un fortunato
ciclo di conferenze in giro per il mondo, la riduzione degli input è in
relazione biunivoca con l’incremento del capitale sociale, oggi
schiacciato dalla logica del profitto: l’autore suggerisce un approccio
biomimetico, che mutui tecnologie e modelli organizzativi dalla
natura. l’idea portante consiste nel superamento del concetto di
“rifiuto”, sviluppando una serie di cicli chiusi che riutilizzino di volta in
volta gli scarti. in questa maniera ogni attività economica diviene un
ecostistema. seguendo questa direttrice, l’idea di edifici organici, dei
quali le tecnologie attive e passive costituiscano non solo elementi
tecnologici, ma parti vitali integranti, non può che incoraggiare una
riflessione nuova sul fotovoltaico e sulle sue risorse, che non può che
condurre a una nuova formulazione del concetto di integrazione. nei
capitoli successivi verranno discusse alcune caratteristiche della
tecnologia fotovoltaico e verranno presentati alcuni impieghi: si
evidenzierà come, fino ad oggi, il fotovoltaico sia stato declinato come
una giustapposizione con vocazione eminentemente economica e
speculativa o come sigillo verde in un progetto ispirato da altri obiettivi.
la grande sfida lanciata dal contingente all’architettura, invece, esige
che si persegua la direzione non già della sostenibilità ma della ecocompatibilità, e questa traslazione culturale non può che essere
rimessa alla consapevolezza degli architetti.
ciclo chiuso vda.
30
note
1
il principio responsabilità di hans Jonas è ampiamente sovrapponibile alla
definizione della Brundtland di sviluppo sostenibile, costituendo il
riferimento filosofico di questo orientamento ecologista. cfr:
2
daniele pernigotti, Carbon Footprint, edizioni ambiente, milano, 2011, p. 17.
3
ibidem, p. 28.
4
ibidem, p. 27.
5
ibidem, p. 27.
6
randers Jorgen, Scenari globali per i prossimi quarant’anni. Rapporto al Club
di Roma, edizioni ambiente, milano, 2013, p. 71.
7
http://www.munichre.com/en/media_relations/press_releases/2012/2012_
10_17_press_release.aspx
8
https://www.cdp.net/cdpresults/cdp-global-500-climate-change-report2012.pdf
9
randers Jorgen, op.cit., pp.132-134.
10
nicholas georgescu-roegen, economista rumeno naturalizzato
statunitense, è stato l’inventore della bioeconomia e antisegnano
dell’economia alternativa fiorita negli ultimi anni. le sue opere, e in particolare
Energia e miti economici (cfr. georgescu-roegen nicholas, Energia e miti
economici, Bollati Boringhieri, torino, 1998), hanno costituito anche più di un
riferimento per Entropia di Jeremy rifkin.
11
ibidem, p. 65-67.
12
irepa onlus. osservatorio economico sulle strutture produttive della pesca
marittima in italia (anni2004 e 2011)
13
commissione europea, 30 maggio 2013. comunicato disponibile:
http://europa.eu/rapid/press-release_ip-13-487_en.htm
14
Wittmann astrid c., pörtner hans o., Sensitivities of extant animal taxa to
ocean acidification, in nature climate change, august 2013.
15
randers Jorgen, op.cit., p. 144.
16
ibidem, p. 145.
17
ibidem, p. 144.
18
armaroli nicola, Balzani vincenzo, Energia per l’astronave terra, Zanichelli,
Bologna, 2011, pp. 199-204.
19
ibidem, pp. 203-204.
20
ibidem, pp. 215-217.
31
21
ibidem, pp. 211-212.
randers Jorgen, op.cit., pp. 124-126.
23
armaroli, Balzani, op.cit., pp. 151-173.
24
armaroli, Balzani, op.cit., p. 51.
25
armaroli, Balzani, op.cit., p.83.
26
sembra essere, invece, sostanzialmente d’accordo, Jorgen anders, che la
ritiene teoricamente una buona soluzione sostanzialmente irrealizzabile. essa
richiederebbe, infatti, dai 4000 agli 8000 impianti nei prossimi trent’anni, con
costi che saranno insostenibili per almeno altri vent’anni. cfr. randers, op.cit.,
pp. 128-129.
27
United States Department of Energy - Washington, DC.
28
Coal Facts 2006 Edition, World Coal Institute, settembre 2006
29
il paradosso di Jevons, dal nome dell’economista inglese che per primo intuì
certi perversi effetti dei processi produttivi industriali, rappresenta quella
combinazione di comportamenti economici e psicologici che può verificarsi
quando si riduce il costo unitario di un bene. in questo caso, ammonisce
Jevons, può accadere che si faccia ricorso a quel bene senza riguardo,
confortati dal costo ridotto. il discorso può essere esteso anche ad altri
parametri, a cominciare da quelli ambientali: ad esempio, se una legge per
ridurre l’emissioni di anidride carbonica, vieta la circolazione di auto con
motori euro 3 e non impone alcun vincolo alle auto con motore euro 5, può
capitare che la quantità di anidride carbonica effettivamente emessa sia
superiore, perché i chilometri percorsi potrebbero aumentare in maniera
proporzionalmente maggiore alla riduzione di emissioni dovuta alla maggiore
efficienza dei motori.
30
italia nostra. Quaderni, n. 28, gangemi, roma, pp. 9-11.
31
ibidem, pp. 18-19.
32
ayres robert, Turning Point: The End of the Growth Paradigm, earthscan,
london, 1998.
33
hawken paul, amory lovins, hunter lovins, Capitalismo naturale, edizioni
ambiente, milano, 2007, pp. 105-107.
34
pierce Fred, Confessioni di un eco-peccatore, edizioni ambiente, milano,
2008.
22
32
Capitolo 2
BREVE STORIA DEL FOTOVOLTAICO
parafrasando Joseph schumpeter, la storia di una tecnologia è il
passaggio dall’invenzione all’innovazione, o alle innovazioni, poiché è
necessario operare una distinzione fra la tecnologia in sé e l’impiego
che se ne fa. nel caso del fotovoltaico si tratta di una prospettiva
interessante e per la peculiarità degli impieghi e perché essa evidenzia
degli aspetti della tecnologia che sono tuttora validi e che, anzi,
andrebbero maggiormente considerati.
l’idea di ricorrere all’energia del sole è, ovviamente, antica quanto
l’uomo e, probabilmente, ha poco senso stabilire quando essa fu
impiegata per la prima volta con consapevolezza, per il riscaldamento
degli ambienti: il cosiddetto effetto serra era conosciuto, comunque,
dai greci e dai romani. l’impiego del sole in luogo del combustibile,
ovviamente, non poté mancare di suggestionare i geniali inventori del
Xviii e XiX secolo, che concepirono grandi caldaie alimentate da
specchi ustori ispirati a quelli di archimede, secondo una logica non
troppo distante da quella delle centrali solari ipotizzate ancora nel
secolo appena conclusosi. il sole era impiegato come il carbone,
riscaldando dell’acqua e producendo vapore che azionava, poi, gli
ingranaggi. sebbene il principio fosse interessante, i pionieri della
tecnologia solare si trovarono la strada sbarrata da insormontabili limiti
tecnologici ed economici, a causa delle grandi dimensioni degli specchi
necessari a riscaldare le caldaie. l’abbondanza del carbone e, poi, degli
altri combustibili fossili, e il conseguente abbassamento dei prezzi,
stroncarono la prima avventura delle tecnologie solari1.
nel 1867, durante la posa del cavo telegrafico transoceanico,
l’elettricista capo del progetto, l’inglese Willoughby smith, alla ricerca
dei materiali ideali per un meccanismo di controllo, ricorse a delle barre
di selenio: osservò che esse funzionavano molto bene di notte mentre
di giorno producevano piccole quantità di energia elettrica. sottopose,
perciò, il materiale a degli esperimenti per sincerarsi che fosse la luce
e non il calore a determinare il fenomeno e raccolse le sue osservazioni
in studi che ebbero una certa diffusione in inghilterra e che ispirarono
le ricerche di due fisici inglesi, adam e day, i quali sottoposero il selenio
ad altri test, meno empirici di quelli del geniale elettricista. essi
osservarono che il selenio, se sottoposto a irraggiamento, produceva
una corrente elettrica, sebbene non ne comprendessero la ragione. il
35
charles Fritts. il primo pannello fotovoltaico.
fenomeno fu definito “fotoelettrico” e solo negli anni venti del
novecento acquisì l’attuale definizione di fotovoltaico. sulla scorta
degli esperimenti dei fisici inglesi, nel 1885 un americano, charles
Fritts, realizzò il primo pannello fotovoltaico, che egli chiamò “lastra”.
si trattava di un sottile strato di selenio ricoperto da una lamina
semitrasparente d’oro: il sistema produceva un flusso di corrente
continua, costante e di notevole forza, sia alla luce solare sia a luce
indiretta e diffusa. l’esperimento suscitò l’interesse di siemens e
maxwell, che pure non furono in grado di spiegarne la ragione,
sebbene avessero intutito che il fenomeno era legato alla radiazione
luminosa, e di pochi altri: la maggior parte degli scienziati riteneva una
fola ai limiti del mestatorio l’idea che si potesse produrre energia senza
combustibile e senza evidente degrado di energia termica2.
la svolta arrivò sessant’anni dopo ed è indissolubilmente legata
alla Bell3, la grande compagnia telefonica che finanziò le ricerche di
pearson e Fuller, ideatori, nel 1953, della prima cella al silicio. Fuller,
un chimico, preparò una barra di silicio con una piccola percentuale di
gallio e la immerse in un bagno caldo di litio. il silicio in contatto con il
gallio era positivo, quello nel quale era penetrato il litio, negativo, il
36
punto di giunzione fra le due cariche, chiamato “giunzione p-n”, era,
nello specifico, molto vicino alla superficie, in virtù dell’esiguo spessore
della barra, così che era sufficiente poca energia, come la luce di una
lampada, a generare corrente. nel frattempo, un altro ricercatore della
Bell, darryl chapin, stava affrontando un problema che si sarebbe
rivelato focale per lo sviluppo della tecnologia: le tradizionali pile a
secco impiegate per fornire piccole quantità di energia in luoghi remoti,
erano inadeguate a climi caldi e umidi, nei quali si sarebbero presto
usurate, pertanto la Bell incaricò chapin di studiare una soluzione
ricercando nuovi materiali. come si vedrà in seguito, la possibilità
offerta dal fotovoltaico di portare energia ovunque rappresenterà il
vero motore della sua sopravvivenza in un mondo dominato dal
petrolio, in quegli anni più che mai. il lungimirante ricercatore aveva
incluso il fotovoltaico al selenio fra le opzioni da investigare, pearson,
però, dopo averlo messo a parte dei suoi esperimenti, gli propose di
sperimentare la sua tecnologia al silicio. il primo esperimento diede
ottimi risultati, la cella risultò avere un’efficienza del 2,5% e chapin,
dopo averne studiato le potenzialità, decise di concentrarsi su di essa;
stabilì che, per risultare commercialmente appetibile, doveva
raggiungere un’efficienza del 5,7% e si mise al lavoro per migliorarla,
lungamente senza esito. il problema risiedeva, in particolare, nei
contatti fra il silicio e i metalli conduttori, poiché le tecnologie
dell’epoca non consentivano la saldatura diretta e i metalli di
rivestimento non aderivano bene al minerale. nemmeno l’intervento
di illustri chimici come ohl e Fuller migliorarono significativamente le
cose, fino a quando lo stesso chapin non ebbe l’idea di rivestire il
minerale con una guaina di plastica trasparente antiriflesso, portando,
con grande sorpresa del ricercatore, l’efficienza al 4%. mentre i pionieri
del fotovoltaico si dannavano a risolvere il problema della conduzione,
il governo americano lanciava il programma atoms for peace,
nell’ambito del quale fu presentata la batteria atomica, una cella che
utilizzava i fotoni emessi dallo stronzio-90, una letale scoria nucleare,
per produrre energia. la batteria era inefficiente e, ovviamente, di
micidiale pericolosità, ma fu presentata come miracolosa e molti si
sbilanciarono a prevedere un epoca di diffusione capillare di microcentrali a batterie atomiche. la Bell fu costretta a rispondere al colpo
e chapin chiese nuovamente l’intervento di Fuller: questi sezionò le
celle in sottili bacchette, le arricchì di arsenico e le rivestì di boro (e della
guaina di chapin), conseguendo un’efficienza del 6% e dimostrando
che l’opzione fotovoltaica era ormai acquisita: nel 1954 i ricercatori
37
Bell solar Battery, 1958.
della Bell presentarono la batteria solare, una grande conquista
minacciata, adesso, non più dalle difficoltà realizzative ma dal
mercato4. Fin qui, dunque, la storia dell’invenzione, ma nel 1954 i
ricercatori della Bell si trovavano fra le mani un prodotto
potenzialmente rivoluzionario reso di fatto inutilizzabile dai costi
elevati, tanto più insostenibili se paragonati all’esiguo costo dei
combustibili fossili. Un’inattesa soluzione giunse dalle esplorazioni
spaziali, per le quali si manifestò la necessità di disponibilità di energia
in un luogo, ovviamente, non servito da reti elettriche: il ricorso al
fotovoltaico richiamò l’attenzione sull’impiego di tale tecnologia come
batteria portatile e generatore in luoghi isolati e difficilmente
raggiungibili, il che spiega come mai i primi grandi acquirenti delle celle
fotovoltaiche furono le compagnie petrolifere. Una delle prime
applicazioni del fotovoltaico riguardò, infatti, i grandi condotti
petroliferi che, attraverso zone desertiche, portavano il combustibile
alle raffinerie e ai porti commerciali. la rete esigeva punti di controllo
che non potevano essere alimentati se non con generatori in loco e che
esigessero poca manutenzione: i pannelli fotovoltaici costituirono la
soluzione ideale. Un’altra ovvia applicazione riguardava le piattaforme
estrattive off-shore: quelle che ospitavano stabilmente personale e che
gestivano il flusso di greggio erano ricchissime di energia, ma quelle
deputate alla sola estrazione erano, al contrario, sprovviste di
elettricità, pur necessitando, ad esempio, di luci di segnalazione: l’iter
che condusse le piattaforme estrattive a munirsi di luci alimentate dal
fotovoltaico nasconde una vicenda che merita di essere raccontata in
quanto emblematica dell’accidentato percorso di un’innovazione
tecnologica5. i responsabili della exxon, proprietaria delle piattaforme
al largo delle coste americane, appreso dell’obbligo di luci di
segnalazione, ricorsero all’elenco telefonico e contattarono un astuto
rappresentante, nathan Jones detto available, disponibile,
spiegandogli che necessitavano di generatori portatili che non
richiedessero molta manutenzione. naturalmente Jones non aveva
idea di come procurarseli ma riuscì a individuare una ditta che
produceva batterie atte allo scopo, ne divenne unico rappresentante
e presto ebbe il danaro per fondare una sua società, la automatic
power, un colosso monopolista del mercato delle batterie e della
manutenzione degli impianti. Jones era, come si è detto, un uomo
astuto e non tardò a sapere delle batterie solari né a comprendere che
gli avrebbero sottratto importanti quote di mercato, pertanto fece il
possibile perché non se ne parlasse. Finché la automatic power
38
detenne il monopolio, Jones riuscì nel suo intento ma, quando un
gruppo dei suoi ingegneri abbandonò la compagnia per fondarne
un’altra, la tideland, la solar power trovò terreno fertile per proporre
le sue batterie solari: un reportage fotografico ad hoc, che mostrava
le discariche di batterie tradizionali scariche, con il loro carico
altamente tossico, completò l’opera indignando l’opinione pubblica
americana6.
John perlin elenca numerosi altri casi di impiego del fotovoltaico,
a cominciare da quello, frutto della tenace e onesta determinazione
del capitano lomer, nelle boe di segnalazione della guardia costiera.
altri celebri esempi riguardano le linee ferroviarie (che, soprattutto
negli stati Uniti, attraversavano luoghi impervi e inaccessibili) e,
ovviamente, i satelliti7. l’intera civiltà, per come la conosciamo oggi,
vale a dire una ricchezza immateriale molte decine di volte superiore
alla ricchezza materiale, è sorretta dai moduli spaziali alimentati dal
fotovoltaico. a parte le difficoltà inerenti al frequente bombardamento
di minuscoli detriti, gli ingegneri hanno dovuto affrontare due nodi
centrali nella progettazione di moduli per lo spazio: la maggiore
intensità delle radiazioni solari e gli effetti dell’ossigeno atomico nel
caso dei pannelli a bassa quota. le radiazioni solari nello spazio non
sono filtrate dall’atmosfera terrestre, inoltre le particelle cariche,
provenienti dal sole attraverso il vento solare, e ancora più in generale
i raggi cosmici, di natura simile, possono danneggiare i pannelli
fotovoltaici molto velocemente, degradandone nel tempo le
prestazioni (circa 30% in5 anni). in particolare, la componente
ultravioletta della radiazione solare degrada i materiali organici,
polimerici e ceramici (vetro), cambiandone le proprietà di
assorbimento, la trasparenza ed il colore. È stato necessario, pertanto,
uno sviluppo parallelo di diverse discipline, soprattutto della chimica
e dell’ingegneria dei materiali, per realizzare celle in grado di sostenere
le sollecitazioni della permanenza in orbita, il che ha prodotto un
rapido avanzamento delle tecnologie anche nel fotovoltaico per
impieghi più ordinari. esattamente come avviene sulla terra, la gamma
di soluzioni impiegate nello spazio è numerosissima, e si va dalle
enormi vele fotovoltaiche della stazione internazionale, con oltre 16
mila celle per pannello, ai pannelli gonfiabili, meno onerosi da
trascinare con i razzi vettore, fino al brevetto recente di un giovane
ingegnere italiano, di “pizze” fotovoltaiche low-tech, a basso costo8.
la storia dell’impiego del fotovoltaico per portare energia in luoghi
remoti e con caratteristiche orografiche, climatiche ed economiche
39
primo satellite con pannelli solari.
stazione internazionale, 2014.
problematiche per l’installazione di centrali, comincia all’inizio degli
anni ottanta, in piena corsa all’atomica. gli esperimenti francesi negli
atolli polinesiani avevano gravemente alienato le simpatie dei locali,
al punto da imporre un intervento rilevante che mostrasse il lato
proficuo della sovranità francese: fu così deciso di dotare alcuni villaggi
tradizionali polinesiani di modernissimi impianti fotovoltaici, così da
renderli autosufficienti. l’intervento condotto ormai trent’anni fa
mostra notevole intelligenza e capacità di pianificazione, molto più
di quanto, troppo spesso, accada oggi, e merita, perciò, di essere
descritto. pochi mesi prima, un progetto delle nazioni Unite aveva
realizzato una centrale fotovoltaica in un villaggio del pacifico del
sud, Utirik. l’intervento, ispirato dalla proposta di un esperto che
mirava a realizzare 10.000 impianti da 50 Kw, si rivelò un grave
insuccesso: l’uso indiscriminato che gli abitanti di Utirik facevano
dell’energia “donata” faceva sì che l’impianto non fosse sufficiente e
che la centrale andasse spesso in tilt. si evidenzia, qui, una delle tre
grandi funzioni rivestite da questa tecnologia nel corso della sua
ormai non più breve storia, un impiego che soddisfa quella che rifkin
ha definito “logica petrolifera”, vale a dire il ricorso a centrali di
fotovoltaico che eroghino massicce quantità di energia esattamente
come se fossero centrali termo-elettriche9.
Facendo tesoro dell’esperienza, i francesi decisero di non costruire
una centrale ma piccoli impianti individuali, costruiti su ogni singola
abitazione. Fu deciso, inoltre, di adottare un approccio molto articolato
che non si limitava a fornire i moduli fotovoltaici, ma equipaggiava le
abitazioni di elettrodomestici a basso consumo: in questo modo non
solo si abbattevano i costi, ma si riduceva anche l’impatto estetico
dell’impianto sulle abitazioni tradizionali. persuasi i proprietari più
facoltosi ad acquistare la tecnologia, presto l’intera comunità si dotò
del fotovoltaico francese; delle 3300 installazioni, metà fu acquistata
dai proprietari, l’altra metà fu fornita gratuitamente con l’intesa che i
proprietari avrebbero pagato un piccolo canone al comune, il che non
solo non avvenne, ma gli impianti elargiti gratuitamente, supersfruttati e privi di manutenzione, si guastavano spesso (la gie solar, la
compagnia incaricata di fornire gli impianti, era obbligata a riparare gli
impianti guasti) e tendevano ad esaurire rapidamente le batterie10. in
questo caso, ed è un’altra delle funzioni cui si faceva riferimento
all’inizio di questo paragrafo, il fotovoltaico ha un impiego che può
essere definito di “sopravvivenza”, esso serve, cioè, a portare energia
in luoghi impervi, nei quali sarebbe difficile ricorrere ad altre fonti. al
40
di là del parziale insuccesso, il progetto definiva alcuni princìpi molto
importanti e rilevanti per il futuro:
- il fotovoltaico era più efficiente se diffuso. le grandi
concentrazioni perdevano in efficienza per questioni tecniche – come
il trasferimento di energia – ma, soprattutto, per problemi legati a
consumi, gestione e manutenzione;
- era fondamentale, prima di procurarsi energia, ridurre il
dispendio energetico con elettrodomestici a basso consumo e altre
soluzioni ad hoc;
- la diffusione del fotovoltaico tramite progetti assistenziali
risultava fallimentare.
il caso del Kenya ribadisce la validità dell’ultimo assunto. la
penetrazione delle tecnologie fotovoltaiche nel paese africano è
connessa all’iniziativa di un intraprendente ingegnere americano,
richard Burris che, per primo, equipaggiò la sua abitazione con sistemi
fotovoltaici, attirando l’attenzione del consiglio scolastico di una
moderna scuola che aveva pianificato un investimento per acquistare
un generatore a diesel: colpiti dall’efficienza del sistema di Burris, i
membri del consiglio adottarono la sua soluzione, le famiglie kenyote
più agiate li imitarono e Burris cominciò a produrre moduli fotovoltaici
da 35 kw destinati alle famiglie: sebbene fossero costosi, essi erano
comunque meno onerosi del gasolio o altri combustibili. i moduli oggi
in commercio sono da 12 kW e le famiglie kenyote hanno imparato –
grazie anche ai corsi di Burris – a manutenerli correttamente e a
operare un corretto uso dell’energia: l’elettricità erogata è, infatti,
insufficiente a consentire sprechi come quelli ravvisati a Utirik. il
passaggio successivo fu l’industrializzazione dei processi, non solo di
quello produttivo, dovuta alla grande intuizione di neville Williams,
fondatore della selco (solar electric light company): egli comprese
che il primo mercato appetibile era proprio quello dei paesi in via di
sviluppo, nei quali esistevano gruppi anche molto consistenti di
individui con le risorse per acquistare pannelli fotovoltaici e la necessità
di affrancarsi da sistemi inefficienti e costosi, ma per aggredire un
mercato del genere egli doveva mutuare un sistema di successo e
scelse, come riferimento, quello delle automobili. esattamente come
il mercato delle autovetture è stato sostenuto dal parallelo sviluppo di
servizi, infrastrutture e commercio di pezzi di ricambio, così era
necessario, prima di espandere il mercato del fotovoltaico, costruire
una rete di assistenza e servizi. lo sviluppo del settore auto, inoltre,
era stato consentito dalla possibilità di non pagare tutto il costo della
41
vettura in una sola volta, ma di dilazionarlo: Williams cominciò così una
complessa attività, anche di lobbying, per incoraggiare i finanziamenti
al settore e consentire agli acquirenti di acquistare moduli fotovoltaici
a condizioni vantaggiose. di fatto, con Williams e la selco nasce il
moderno mercato del fotovoltaico, una tecnologia proficua sul mediolungo periodo e se rimuove i passaggi intermedi, consentendo la
produzione di energia elettrica direttamente all’utilizzatore finale. gli
appetiti speculativi delle grandi aziende americane indussero a
insistere sulla scelta delle vaste concentrazioni di pannelli in luoghi
disabitati, ma un ingegnere svizzero, markus real, dimostrò in maniera
incontrovertibile e sperimentale quanto ciò costituisse un nocumento
in termini ambientali, di efficacia e di valore economico. real, oltre ad
essere un grande esperto di fotovoltaico, conosceva bene la rilevanza
del marketing, così la sua società, la alpha real, destinava molte risorse
ad attività spettacolari e di grande ricaduta promozionale, come le
corse delle auto elettriche, dove trionfò la merceds alimentata dai
generatori fotovoltaici alpha real. il progetto più significativo, però,
fu il progetto megawatt: real pubblicò un annuncio sui giornali svizzeri
dichiarando di essere alla ricerca di “333 proprietari di centrali
elettriche”11. l’annuncio richiedeva, come unico requisito, un tetto ben
esposto al sole, perché l’idea di markus real consisteva nel distribuire
la potenza di una centrale da 1 megawatt su 333 tetti, ciascuno con
moduli per 3 Kw. il tetto, spiegava real, era la soluzione più ovvia,
semplice ed economica, non richiedeva acquisto o affitto di terreni,
non richiedeva la realizzazione di costosi (e inefficienti) collegamenti,
di opere di sicurezza, di scavi e colate di cemento per installare i
supporti, tutti costi improduttivi che potevano essere evitati
parcellizzando i grandi impianti in micro-installazioni: un vantaggio
economico che non poteva non conquistare le grandi compagnie
americane e che poneva le basi per l’affermazione della terza funzione
del fotovoltaico, vale a dire la rete energetica. a real e al suo team di
ingegneri non sfuggì, invece, che a quel punto la sfida consisteva nel
progettare moduli fotovoltaici che potessero facilmente integrarsi
nelle superfici, con rapidità e con il minimo impatto percettivo.
Joachim Benneman, ingegnere tedesco della Flachglas, un’azienda
vetraria, comprese che la soluzione risiedeva nel concepire il
fotovoltaico non più come un’aggiunta ma integrato in altri elementi
edili. si trattava, in qualche modo, di una scelta obbligata per l’azienda,
che voleva entrare nel mercato del fotovoltaico ma non poteva
competere con i grandi produttori: la sorpresa, per Benneman e i suoi
42
collaboratori, fu che per entrare nel mercato non dovevano investire
un solo marco, poiché la soluzione era già nella loro disponibilità.
impiegando, infatti, una resina brevettata e impiegata per incollare fra
loro lastre di vetro, al fine di rendere insonorizzanti, gli ingegneri della
Flachglas realizzarono pannelli di fotoltaico su vetro, rivestimenti
adattabili a qualunque superficie e apertura, più economici del marmo
e della pietra e in grado di produrre energia. nel 1991 un’azienda
elettrica inaugurò ad aachen la propria sede, dotata di una facciata
fotovoltaica, che presto diventò meta di pellegrinaggio da parte di
ecologisti e architetti, al punto che l’azienda fu costretta a organizzare
tour guidati condotti da due ingegneri12.
la tecnologia fotovoltaica è straordinariamente presente nella vita
quotidiana, sebbene in maniera invisibile: le comunicazioni, l’energia,
molti dei comportamenti abituali risulterebbero impossibili senza i
moduli fotovoltaici. poiché, come si è detto, qui si è cercato di
tratteggiare una storia dell’innovazione, piuttosto che dell’invenzione,
sarà bene riassumerne i tre passaggi fondamentali, precisando prima
che non si tratta di fasi distinte, ciascuna delle quali si conclude con
l’abbrivio dell’altra, ma di tre interpretazioni differenti della stessa
tecnologia. È anche singolare rilevare come, questa tripartizione, si
riproponga oggi sebbene con tecnologie differenti e più evolute. la
prima interpretazione della tecnologia fotovoltaica è quella ispirata,
per usare le parole di rifkin, da una logica petrolifera: i campi di
fotovoltaico come i campi d’estrazione e le raffinerie, devono fornire
elevate quantità di energia. si tratta di una soluzione deleteria da un
punto di vista ambientale, perché sottrae terreni, adultera
pesantemente il paesaggio, interviene sui terreni e sull’assetto
idrogeologico; l’energia, inoltre, dovendo essere trasferita dagli
impianti verso i centri urbani, è soggetta a dispersione esattamente
come quella prodotta da fonti fossili, un fenomeno che può arrivare
anche al 90% dell’elettricità prodotta. anche da un punto di vista
economico, tale soluzione appare proficua solo se si dispone di ampie
estensioni, in considerazione degli elevati costi di installazione. d’altra
parte è bene osservare che l’enorme incremento della produzione
richiesto da questi impianti su vasta scala ha determinato un
miglioramento dell’efficienza dei pannelli e una contrazione dei costi,
favorendone, di fatto, l’impiego anche in altri contesti. da questa
declinazione estensiva si è passati, sulla scorta dell’esperienza nel
settore petrolifero e spaziale, a privilegiare la vocazione
all’autosufficienza di questa tecnologia: non richiedendo allacci alla
43
centrale fotovoltaica da 43,5 mW,
curbans, Francia.
centrale fotovoltaica volkswagen,
da 13 mW, tennessee, stati Uniti.
centrale fotovoltaica da 20 mW, siviglia, spagna.
centrale fotovoltaica da 55 mW,
sicilia.
rete elettrica, essendo virtualmente inesauribile e di relativamente
facile manutenzione, il fotovoltaico consente di alimentare edifici
isolati e ubicati in luoghi difficilmente accessibili, satelliti e piattaforme
petrolifere, prima, chalet, ville e abitazioni di questo tipo, in seguito.
come dimostra l’esperimento francese nel pacifico meridionale, i
moduli hanno portato energia a luoghi popolati ma remoti, senza
immettere centrali dal devastante impatto ambientale. Quella
dell’autosufficienza è, probabilmente, la vocazione naturale del
fotovoltaico e ha innescato un circuito virtuoso i cui benefici saranno
analizzati diffusamente più avanti e qui sintetizzati:
- minore dispersione di energia: l’energia prodotta viene impiegata
in loco e non necessita di inefficienti sistemi di trasferimento. È stato
calcolato che la dispersione di energia nelle linee elettriche possa
arrivare, in molti casi, al 90%;
- attenzione al consumo: il fotovoltaico produce energia continua
ma a bassa intensità, il che costringe a ridimensionare i consumi.
ancora una volta, l’esperimento francese di Utirk è emblematico: prima
di installare i pannelli furono progettati e venduti elettrodomestici a
basso consumo; in Kenya si registrò, nelle comunità che avevano
acquistato i pannelli, una sensibile riduzione dei consumi energetici;
- innovazione tecnologica: in questo caso non si è trattato
semplicemente di migliorare l’efficienza delle celle e l’appetibilità
economica, ma di studiare nuovi materiali per ridurre i consumi e,
autoproduzione di energia con
pannelli fotovoltaici nel quartiere
a2a di Bologna.
44
soprattutto, nuove formule di integrazione del fotovoltaico, avviando
quel processo che, come si vedrà, ha trasformato i pannelli da
applicazione a elemento costruttivo e configurazionale.
Uno dei problemi centrali dell’impiego del fotovoltaico risiede nelle
soluzioni per accumulare energia e rilasciarla quando necessario. là
dove possibile, vale a dire dove è disponibile una rete elettrica, tale
questione è stata risolta utilizzando la rete come accumulatore, il che
ha costituito l’abbrivio di una nuova interpretazione non solo di questa
tecnologia ma, più in generale, della produzione di energia. il progetto
megawatt di real costituisce un esempio, uno dei primi, di energia in
rete, ma sarebbe sbagliato limitare i pregi di quest’innovazione a un
problema di ordine tecnologico: l’idea di comunità che autoproducono
l’energia necessaria ai propri bisogni e immettono il surplus in rete in
un circuito di mutuo scambio con comunità analoghe, costituisce
l’addentellato di una rivoluzione che gli studiosi definiscono
“democrazia energetica”. le reti energetiche mettono in campo
questioni di carattere economico, sociale, logistico di grande rilevanza
ma, che costituiscano una promettente promessa, è dimostrato dai
fondi che l’Unione europea ha stanziato e continua a stanziare: nel
2009 è stato pubblicato il “libro verde”13, un documento che definisce
le strategie per lo sviluppo delle reti energetiche, su vasta e su piccola
scala, e cerca di sistematizzare, in una strategia energetica, le diverse
fonti di approvvigionamento.
45
FUNZIONAmENTO DELLE CELLE E DEI mODULI FOTOVOLTAICI
sezione di un modulo in silicio cristallino.
1. cornice in alluminio
2. sigillante
3. vetro
4. riempimento in eva
5. celle Fv cristalline
6. Foglio di tedlar
nel precedente paragrafo si è tratteggiata l’evoluzione del
fotovoltaico con particolare attenzione alla storia dell’innovazione, più
che dell’invenzione. si è fatto solo un rapido accenno, pertanto, alla
lunga serie di esperimenti, pionieristicamente condotti da pochi
ricercatori, che hanno condotto all’attuale configurazione di ciò che
viene definito “modulo fotovoltaico”. si tratta di un insieme di celle
fotovoltaiche collegate in serie (più raramente in parallelo), e inserite
in un telaio: nel caso del silicio cristallino, le celle sono fragili e sottili e
necessitano di un telaio protettivo. il modulo, pertanto, incorniciato
da un bordo metallico, generalmente di alluminio, fissato da un
sigillante a base di silicone, contiene, in genere, da 36 a 72 celle,
inguainate da due sottili fogli di vinil-acetato (eva), opportunamente
trattato con anti-ingiallenti: l’eva impedisce un contatto diretto fra le
celle e il vetro, rende omogenea la superficie di appoggio delle celle al
telaio e isola la parte elettricamente attiva dal resto del laminato. le
celle in serie, contenute dai foglie eva, sono appoggiate su un vetro
protettivo temperato, con basso tenore in ferro per ottimizzare la
trasparenza, mentre sul retro il modulo è chiuso da un foglio di
materiale plastico, molto resistente, come il tedlar. Una scatola di
giunzione, sul retro o sul fianco, ospita i collegamenti fra le celle e
costituisce l’interfaccia elettrica con il resto dell’impianto. oggi sono
generalmente adottate scatole stagne dotate di connettori, il che
rende più agevoli e rapidi i collegamenti di installazione.
tutte le parti sono fondamentali e oggetto di innovazione sebbene,
ovviamente, l’anima dell’impianto sia costituita dalle celle. Una cella
dal lingotto in silicio al modulo fotovoltaico.
46
fotovoltaica è costituita da due cristalli con una giunzione a
semiconduttore. nel modello a silicio, questo minerale tetravalente –
cioè con quattro elettroni disponibili a legami – fa da semiconduttore
di giunzione fra cristalli, spesso, di Boro e Fosforo. tali materiali,
eccitati dalla radiazione luminosa, liberano elettroni polarizzandosi;
per effetto del campo elettrico creato dalla giunzione, gli elettroni
tendono a migrare verso il polo positivo, generando corrente elettrica.
non tutta l’energia della radiazione solare può essere convertita:
è necessario che sia sufficientemente potente, inferiore a 1,15
micrometri, da eccitare gli elettroni, inoltre una parte delle radiazioni
più potenti si disperde senza generare elettricità. Questo limite teorico,
che nel caso del silicio è di circa il 50%, è ulteriormente ridimensionato
da inefficienze imputabili alle tecnologie realizzative. Una parte della
radiazione, infatti, viene intercettata dall’elettrodo frontale, un silicio
non sufficientemente puro, inoltre, non libererà un campo elettrico
sufficientemente potente da tenere separate le cariche per generare
energia, inoltre esiste una naturale resistenza dell’hardware che
trattiene una quota di radiazione ed energia.
nel determinare la curva tensione-corrente di una cella – e quindi
la sua efficienza – tre parametri hanno particolare rilevanza:
- la corrente di corto-circuito;
- la tensione a circuito aperto;
- tensione e corrente nel punto di massima potenza14.
in relazione a questi fattori, l’efficienza di una cella al silicio
cristallino è tanto maggiore quanto maggiore è la superficie. Un altro
parametro significativo è il cosiddetto Fill Factor (FF), fattore di
riempimento, vale a dire il rapporto tra massima potenza e il prodotto
della tensione a circuito aperto per la corrente di corto circuito: quanto
più rettangolare è la curva tensione-corrente, tanto più efficiente è il
Fill Factor, il silicio cristallino ha un FF migliore di quello amorfo15.
la tensione a circuito aperto e la tensione e corrente nel punto di
massima potenza, infine, sono influenzate dall’aumento della
temperatura. esiste, inoltre, una differenza legata alla tipologia del
cristallo di silicio: quello monocristallino raggiunge efficienze del 1618%, quello policristallino, ottenuto dalla fusione di più cristalli in un
cristallo a forma di parallelepipedo, arriva al 14-15%. le celle in silicio
amorfo, infine, sono ottenute vaporizzando il silicio sotto vuoto o in
atmosfera controllato su un supporto ultra sottile. impiegano molto
meno materiale, sono spesse appena pochi micron, e possono essere
applicate su altri materiali. lo svantaggio è legato all’efficienza ridotta,
47
sotto il 10%; molto più efficienti risultano le cellule a eterogiunzione
cristallino-amorfa, con risultati che superanno il 20% per la singola
cella: un modulo costruito con tale tecnologia può convertire circa il
16-18% dell’energia ricevuta dal sole16.
I VARI TIPI DI CELLE FOTOVOLTAICHE
il materiale più impiegato nella costruzione delle celle
fotovoltaiche è, oggi, il silicio. si tratta di un materiale
straordinariamente diffuso, il secondo più diffuso sulla terra
dopo l’ossigeno, ma, affinché possa essere impiegato per
convertire la radiazione solare in energia elettrica deve essere
depurato, un processo tanto più costoso – anche in termini
ambientali – quanto più scadente è la qualità del minerale di
partenza.
Una serie di problemi di carattere geo-politico, economico e
ambientale hanno determinato un crescente interesse, da parte
dei centri di ricerca, nei confronti di altri materiali, anche
organici, ma si tratta di tentativi ancora in fase sperimentale.
il silicio viene trasformato in “wafer”, cioè in blocchi di materiale
semiconduttore (il minerale raffinato) sui quali vengono
applicati circuiti integrati e vari strati di materiali conduttori. di
seguito si fornirà un elenco di tipologie di celle in silicio ma
anche in altri materiali.
Silicio monocristallino: ricavate da un unico cristallo di silicio
raffinato, sono le più efficienti rispetto alla radiazione diretta,
con una conversione nell’ordine del 16-17%. esse vengono
sezionate da lingotti cilindrici, il che comporta un certo spreco
di spazio nell’installazione e nella costruzione dei moduli.
Silicio policristallino: queste celle sono ricavate da grani
cristallini aggregati e ordinati, con un’efficienza, pertanto,
inferiore, nell’ordine del 15-16%. sono meno costose di quelle
in silicio monocristallino e di più facile installazione.
Silicio “ribbon”: in questo caso le celle non vengono tagliate
ma colate. il silicio fuso, infatti, viene colato in strati piani sul
supporto della cella o sull’intero modulo (che viene
successivamente ritagliato con il laser). da un punto di vista
economico si tratta di una soluzione estremamente
vantaggiosa, ma presenta un limite sostanziale in termini di
efficienza, attorno al 14%.
Silicio amorfo depositato da fase vapore: queste celle hanno
conosciuto un vasto impiego negli ultimi anni, in virtù del costo
molto basso e della capacità di assorbire meglio la radiazione
silicio monocristallino.
silicio policristallino.
silicio ribbon.
silicio amorfo.
48
diffusa. esse hanno, però, un’efficienza molto bassa, intorno
all’8%, che migliora, però, quando il silicio amorfo è combinato
con il silicio nano-cristallino: in questo caso le frequenze
infrarosse, che l’amorfo non è in grado di recepire, vengono
catturate dal silicio nano-cristallino.
CIS: i calcogenuri sono composti chimici comprendenti almeno
un anione calcogeno (ossigeno, Zolfo, selenio, telluro, polonio)
e almeno un elemento elettropositivo. Queste celle sono
costruite con strati di calcogenuri, hanno un’efficienza
crescente, adesso attestatasi sull’11%, e un costo ancora troppo
elevato, ma in prospettiva potrebbero rappresentare una
soluzione grazie soprattutto alla possibilità di impiegare
materiali di facile reperimento.
Celle fotoelettrochimiche: si tratta di celle dotate di pigmenti
che reagiscono alla radiazione luminosa, esattamente come
avviene nella fotosintesi clorofilliana. rappresentano forse la
soluzione migliore per l’integrazione e la flessibilità, e hanno
anche costi molto convenienti ma, al momento, hanno
efficienza molto bassa e sono soggette a rapido
deterioramento. costituiscono, però, una risorsa futura di
grande interesse.
Cella fotovoltaica ibrida: questa cella combina semiconduttori
organici e inorganici.
Cella fotovoltaica a concentrazione: si tratta di una delle
tecnologie più interessanti e promettenti, sebbene sia, al
momento, difficilmente integrabile nell’architettura. È
impropriamente inserita in questo gruppo, poiché la peculiarità
di tale soluzione non risiede nelle caratteristiche della cella ma
nel sistema che ne ottimizza la conversione. alle celle, infatti, è
sovrapposta una lente che concentra la radiazione,
consentendo rese molto superiori. i modelli migliori, inoltre,
hanno moduli inseguitori molto sofisticati, dotati di sensori per
l’individuazione continua della radiazione diretta.
alcune di queste tecnologie vengono impiegate per realizzare
un differente tipo di cella, definita “a film sottile”, e realizzata
attraverso la deposizione del semiconduttore su vetro o
plastica: quest’ultimo caso è quello dei pannelli flessibili,
adattabili a molti e variegati impieghi. Questi pannelli sono
meno efficienti ma più economici, anche perché gli sprechi di
materiale sono ridotti al minimo. i moduli in film sottile si
suddividono in varie categorie a seconda dei materiali
semiconduttori depositati su di esso: i più diffusi sono quelli in
silici amorfo, con un eroei molto vantaggioso; dei pannelli in
cis.
celle fotoelettrochimiche.
cella fotovoltaica ibrida.
cella fotovoltaica a concentrazione.
49
telluro di cadmio e solfuro di cadmio è stata sospesa la
produzione a partire dal 2013 a causa dell’elevata tossicità del
cadmio, erano prodotti con il sistema dello spray-coating, uno
spruzzo di semiconduttore su supporto metallico. i moduli in
arseniuro di gallio hanno prestazioni eccezionali, soprattutto
rispetto alla radiazione diretta, ma sono molto costosi e sono
perciò impiegati in apparecchiature sofisticatissime di
committenza pubblica e nicchie di mercato come armamenti
ed esplorazione spaziale.
a queste vanno aggiunte le celle a eterogiunzione, molto
efficienti e resistenti, che impiegano uno strato di silicio
monocristallino come sostegno di uno o più strati di amorfo,
così da intercettare la maggior parte possibile della radiazione.
molto rilevanti, inoltre, le celle in silicio microsferico, nelle quali
il semiconduttore è ridotto in sfere applicate a un sostrato di
alluminio. la struttura di alluminio è flessibile il che rende
questa tecnologia adattabile a quasi qualunque forma.
la potenza dei moduli si misura in watt di picco (W o Wp): essa
dipende dal numero di celle installate, dalla loro tipologia e
dimensione. Un pannello a 36 celle in silicio cristallino libererà una
potenza attesa di 60-90 Wp, mentre un pannello con 72 celle arriverà
a 160-190 Wp.
la necessità di perseguire la massima esposizione fa sì che un
modulo fotovoltaico sia tipicamente installato all’aperto, in luoghi non
protetti dalle intemperie, ciò impone un rigoroso protocollo di test, al
fine di assicurare una vita minima di 20 anni. tale prescrizione, però, è
valida solo per alcuni impianti: le installazioni superiori a 3kW,
riconosciute aderenti alle tipologie per l’integrazione architettonica,
possono includere anche moduli non certificati. Fino a pochi anni fa il
collegamento tra pannelli costituiva un aspetto fondamentale perché,
a causa della ridotta potenza delle celle e dei moduli, erano necessari
molti collegamenti e gli inverter non erano in grado di effettuare il
parallelo delle stringhe. al progredire dell’efficienza dei moduli, non
ha fatto seguito una significativa innovazione dei collegamenti e,
sebbene molti pannelli siano prodotti con allacci predisposti, è bene
valutare caso per caso le soluzioni ideali17.
in primo luogo è necessario che i moduli abbiano uguali
collegamenti e che essi realizzino una matrice (array), con n moduli in
serie, ciascuna delle quali si definisce stringa, e m stringhe in parallelo.
al fine di perseguire la massima efficienza, è importante che i vari array
50
siano di marca, tipologia, orientamento e condizioni identici: stringmismatch, vale a dire perdite di funzionalità, sono inevitabili ma
possono diventare molto considerevoli se non si ottempera a tali
adempimenti.
il collegamento in serie dei moduli è molto semplice, più complesso
quello in parallelo, sebbene molti costruttori predispongano il
collegamento in parallelo all’interno del convertitore. Qualora i pannelli
non lo prevedano, tali collegamenti vengono ospitati in una cassetta
esterna che accoglie anche i dispositivi di protezione delle stringhe,
vale a dire un interruttore di manovra-sezionatore e gli scaricatori di
sovratensioni: in particolari casi, infatti, può accadere che una stringa
abbia una tensione talmente bassa da ricevere corrente dalle altre
stringhe, il che può comportare sovraccarichi – e surriscaldamenti – tali
da distruggere celle, collegamenti e moduli. l’installazione di
dispositivi di protezione è molto semplice nel caso di un massimo di
tre stringhe collegate in parallelo; collegare un numero maggiore di
stringhe, un caso ricorrente nei grandi impianti che prevedono anche
centinaia di arrays, richiede un doppio collegamento per ogni gruppo
di stringhe18. tutti questi problemi riguardano la conversione di energia
e preludono a uno degli aspetti veramente critici della tecnologia
fotovoltaica, il controllo e l’accumulo dell’energia prodotta.
51
ACCUmULO E FLUSSI ENERGETICI: DALLA BATTERIA ALLA RETE
l’energia solare è, ovviamente, discontinua, non solo perché
soggetta alle condizioni meteorologiche ma, soprattutto, perché
dipendente dall’alternanza giorno-notte. tutti gli impianti, quindi, a
prescindere dalle dimensioni, necessitano di un regolatore di carica,
che bilanci i flussi di energia fra i moduli generatori, le batterie e il
carico. nel caso dei grandi impianti, inoltre, è frequente un sistema di
cogenerazione, che associ, nelle ore notturne, un’altra fonte
energetica. sono attualmente in fase di sperimentazione delle minireti in corrente alternata, con tutti i generatori collegati in parallelo e
controllati da un inverter bidirezionale.
gli impianti che sfruttano accumulatori elettrochimici, cioè le
batterie, devono naturalmente prevedere le infrastrutture adeguate
ad accoglierli. senza scendere nel dettaglio, esistono principalmente
due tipi di batterie, quelle vla e quelle vrla. le seconde, in grado di
ricombinare l’idrogeno e l’ossigeno che si generano durante i processi
e quindi bisognose di minore manutenzione, sono tuttavia più sensibili
ai sovraccarichi19. gli impianti che adottano questo tipo di soluzione,
necessitano di un regolatore di carica, per regolare i flussi di energia,
che altrimenti si disperderebbe o danneggerebbe l’impianto (per un
sovraccarico, nel caso di batteria troppo carica e generatore ancora
attivo, per solfatazione degli elettrodi in caso contrario): monitorando
il funzionamento del sistema, un regolatore efficiente può preservare
l’impianto e allungarne la vita media. il regolatore può configurarsi, di
fatto, come l’elemento precipuo della gestione dell’impianto, poiché
esso può ospitare, oltre ai collegamenti fra generatore, accumulo e
carichi, sensori di segnale, temperatura, timer, monitoraggio remoto
e altro. i regolatori sono di potenza variabile, superiore ai 100 a per i
grandi impianti, e differiscono anche in tecnologie e funzioni. i pWm
(pulse Width modulation) sono regolatori a commutazione elettronica
la cui peculiarità risiede nel graduale distacco del generatore
all’avvicinarsi della tensione di fine carica della batteria; i regolatori
mppt (maximum power point tracker) servono a conseguire le
massime prestazioni nel punto di massima potenza della curva
tensione-corrente, pertanto sono destinati a impianti di grandi
dimensioni e dai quali sono attesi grandi rendimenti; la tecnologia lvd
(low voltage disconnector) ha la funzione precipua di impedire lo
52
scarico completo della batteria20.
nei piccoli impianti le batterie sono sufficienti a stabilizzare la
tensione: in considerazione di questo ulteriore onere, esse sono
progettate per sostenere sbalzi di tensione piuttosto sostenuti. negli
impianti più potenti, però, non è più possibile limitarsi agli
accumulatori, e nel caso delle grandi installazioni deputate a fornire
energia alle reti elettriche, è assolutamente necessario impiegare un
elemento che converta il flusso di corrente continua alternandolo alle
condizioni della rete: un cavo conduttore sufficientemente grande per
trasferire l’energia degli impianti in forma continua, dovrebbe, infatti,
essere enorme. gli inverter servono a convertire la corrente continua
prodotta dall’impianto alle condizioni di tensione e frequenza della
monofase (230 v e 50 hz) e della trifase (400 v e 50 hz). Fino a pochi
anni fa gli inverter avevano un contenuto di armoniche molto alto, il
che interferiva con altre apparecchiature elettriche, oggi, però, la
tecnologia pWm ha ridotto tale componente al di sotto del 5%. più in
generale, la diffusione dei motori elettrici – ad esempio nel settore
automobilistico – ha innescato un’evoluzione degli inverter che sono
diventati più efficienti ed economici.
l’importanza centrale dell’inverter nel funzionamento
dell’impianto fotovoltaico, impone al progettista alcune attenzioni:
- l’apparecchiatura deve essere il più possibile vicina al pannello:
prima di essere convertita dall’inverter, infatti, l’energia è continua e i
collegamenti in corrente continua sono di difficile gestione, anche
perché di grosse dimensioni, costosi e soggetti a perdite di energia.
- l’inverter è attraversato da forti flussi elettrici e tende al
surriscaldamento, è necessario, pertanto, preservarlo dal sole diretto,
soprattutto in estate, quando il calore eccessivo potrebbe causare
l’attivazione dei sistemi di raffreddamento e, nei casi più gravi, danni
permanenti all’impianto.
- È altresì importante che il luogo deputato a ospitare l’inverter non
sia soggetto a forti sbalzi termici, onde evitare fenomeni di condensa,
soprattutto se l’inverter non è completamente stagno.
- il progettista non potrà non tenere conto della rumorosità di certe
ventole di raffreddamento, necessarie soprattutto nel caso di inverter
che gestiscono stringhe21.
Un’indicazione interessante viene dai grandi impianti, per i quali è
necessario decidere se optare per un sistema con un solo inverter o con
più inverter: la prima soluzione risulta apparentemente più economica
ma anche molto più problematica. in primo luogo, diviene più semplice
53
componentistica elettrica di un
impianto fotovoltaico dal 3 kw.
effettuare la manutenzione, la riparazione e la sostituzione; in caso di
guasti, si minimizza la possibilità che il danno interessi molti moduli;
infine, e soprattutto, la presenza di più inverter consente maggiore
flessibilità di configurazione, permettendo di variare assetto,
orientamento, collegamenti, il che consente, ad esempio, di installare
moduli anche in spazi con differenti condizioni orografiche e/o di
ombreggiamento.
Queste osservazioni valgono a chiarire, una volta di più, come i
grandi impianti (e per grandi impianti si intendono anche quelli da
poche serie), presentino numerose criticità che verranno meglio
esplicitate nei paragrafi successivi. parcellizzando le concentrazioni in
impianti più piccoli, diviene invece possibile sfruttare al meglio la
risorsa fotovoltaica, affrontando con maggiore efficacia operativa le
difficoltà connesse a questa tecnologia.
Questa premessa sulle caratteristiche tecniche e costruttive del
pannello, vale a introdurre il tema, decisamente più interessante per
l’architetto, della realizzazione degli impianti e della loro localizzazione
più opportuna. il primo parametro di cui tenere conto riguarda,
certamente, le condizioni meteorologiche: l’abbondante flusso di
energia proveniente dal sole, infatti, viene in larga parte filtrato e
respinto dall’atmosfera, le radiazioni si riducono e quelle che arrivano
al suolo sono ulteriormente scremate da nubi, particolati sospesi, o
elementi ombreggianti, come rilievi, edifici, alberi. nella progettazione
dell’impianto, pertanto, l’architetto dovrà tenere conto di una
combinazione di fattori e mettere in condizione i moduli di produrre il
massimo dell’energia e di affrontare, così, i periodi nei quali è massimo
il divario fra risorsa solare e consumo. tale obiettivo può essere
perseguito secondo due strategie principali: con la disponibilità di
efficaci sistemi di accumulo o di connessione alla rete, è possibile
cercare la produzione media migliore e più elevata, al fine di
accumulare energia o credito energetico per i periodi critici;
diversamente si possono impiegare particolari orientamenti, o sistemi
come gli inseguitori solari, per produrre energia in quasi ogni
momento. in italia si è calcolato, ad esempio, che un orientamento sui
30° garantisce la massima produzione nel corso dell’anno, mentre un
inclinazione sui 60° ottimizza la produzione nei periodi sfavorevoli. a
seconda dei luoghi è stata calcolata la radiazione globale g e il suo
angolo di incidenza sulla superficie terrestre: la radiazione g è
costituita da radiazione diretta, diffusa e albedo, e ciascuna cella
fotovoltaica è progettata per beneficiare particolarmente di una delle
54
tre componenti. nonostante siano disponibili tabelle con le radiazioni
per ogni singola località, è compito del progettista verificare se le
condizioni ambientali consentono l’apporto che viene calcolato oppure
no, valutando, con una simulazione al computer o un’ispezione, se il
profilo delle ombre non risulti troppo penalizzante; è necessario tenere
conto anche dell’ombreggiamento che ciascuna fila di pannelli può
proiettare su quella successiva, qualora i moduli siano installati in file
parallele su cavalletti. nell’effettuare la valutazione, bisogna
considerare che le ombre ridimensionano particolarmente la
radiazione diretta, ma sono quasi irrilevanti per quella diffusa che, in
inverno, costituisce il 50% della radiazione globale. È bene ricordare,
inoltre, che basse inclinazioni del pannello sull’orizzonte
massimizzeranno la conversione di energia nei mesi più soleggiati,
beneficiando della perpendicolarità dei raggi, ma ridurranno
drasticamente la produzione nei mesi più nuvolosi; è particolarmente
opportuno, nel caso di utenze isolate, verificare che il percorso del sole,
soprattutto nei mesi invernali, non sia interciso da elementi che
possono proiettare ombre, e, infine, mentre per piccoli impianti è
sufficiente verificare l’ombreggiatura in un unico punto, per i grandi
impianti è necessario monitorare con attenzione tutta l’estensione
dell’installazione: i rischi connessi a un calcolo sbagliato, infatti, non
riguardano solo un deficit di produzione, ma possono tradursi in gravi
danneggiamenti dell’impianto, poiché le celle ombreggiate, che quindi
non producono energia, potrebbero essere attraversate dall’energia
prodotta da altre celle – con rischio di sovraccarichi e danni molto
onerosi – o potrebbe lesionarsi il vetro protettivo del pannello, a causa
dello shock termico22. Un discorso analogo vale per la temperatura, un
parametro molto importante, poiché le celle funzionano in maniera
ottimale solo in precisi intervalli. anche in questo caso, un errore di
progettazione potrebbe danneggiare gravemente l’infrastruttura:
un’implicazione importante di questa considerazione riguarda le
applicazioni dei pannelli, sempre più spesso direttamente giustapposti
sulle superfici. si tratta di un impiego pericoloso, poiché buona parte
della radiazione solare attirata dal pannello non viene convertita in
energia elettrica e rimane come energia termica, determinando un
severo surriscaldamento del pannello con l’esigenza di un sistema di
raffreddamento passivo; incollare il pannello a una superficie
impedisce il passaggio d’aria necessario a ridurra la temperatura. È
infine opportuno dedicare qualche considerazione alle problematiche
relative ai fenomeni meteorologici. la necessità di installare gli
55
danni da schock termico su un
modulo fotovoltaico.
impianti in condizioni di massima esposizione, per ottimizzare la
conversione di energia, espone i pannelli alle intemperie, a cominciare
dai fulmini. nel caso di questi fenomeni, eventi di tipo impulsivo,
costituiti dal passaggio di cariche elettriche tra le nuvole e il suolo, il
rischio per l’impianto è sostanzialmente legato al livello di rischio
dell’edificio, che non è inficiato dalla presenza dei moduli: nel caso di
edifici a rischio, però, è fondamentale che gli impianti non siano
installati in assenza di sistemi lps (lightning protection system) e che,
in presenza di tali sistemi, siano inclusi nell’area protetta, poiché i danni
provocati dall’impatto dei fulmini sarebbero irrimediabili. È necessario
che l’impianto sia preservato anche dai campi elettromagnetici
generati dall’impatto di fulmini nelle vicinanze, tramite impianti spd
(surge protection device)23.
56
PROBLEmI E CRITICITà CONNESSI CON L’USO DEL FOTOVOLTAICO
l’energia è, probabilmente, il nodo centrale delle questioni
dell’umanità e il sogno dell’autosufficienza energetica realizzata dal
fotovoltaico ha alimentato, com’è ovvio, forti aspettative, suggerendo
la possibilità di un futuro confortevole e sicuro con energie pulite. il
forte business ventilato da produttori e governi ha incoraggiato una
campagna apologetica che, se ha costruito un’incipiente sensibilità
ambientalista presso cospicui strati della popolazione, non ha però
informato, promuovendo una serie di persuasioni fallaci i cui esiti si
riscontrano oggi in molti impianti. di contro, altre lobby e altri
orientamenti culturali hanno sostenuto una campagna denigratoria
che stigmatizzava alcune caratteristiche del fotovoltaico, soprattutto
la filiera, spesso senza fondamento. si cercherà qui di ricostruire il
complesso di problemi connessi all’uso del fotovoltaico, procedendo
dalla scala minima della cella e del modulo a quella più generale
connessa al reale impatto ambientale che il fotovoltaico e la sua
produzione comportano.
Uno dei temi centrali relativi alla corretta installazione del pannello,
riguarda la temperatura. mentre in un impianto solare più alte sono le
temperature migliore è la resa, le tecnologie fotovoltaiche patiscono
l’eccesso di temperatura con una riduzione dell’efficienza. mentre il 1015% dell’energia espressa dalla radiazione solare viene convertito in
energia elettrica, la rimanente parte si disperde sotto forma di calore.
le celle in silicone cristallino lavorano bene a una temperatura
ambientale di 25 c°, temperature superiori riducono la conversione
anche di uno 0,5%/c°24, il che fa sì che la resa di un pannello in
germania sia analoga a quella di un pannello collocato all’equatore. la
temperatura non riguarda, però, solo la resa ottimale. anche con una
temperatura di 25 c° il retro del pannello raggiunge una temperatura
di 50-60 c°, fino a 75 c°, in estate25, e che possono diventare molto
superiori in caso di malfunzionamento di una o più celle. in questo caso
non è marginale il rischio che si sviluppi un incendio, evenienza che si
è verificata molto spesso. il surriscaldamento delle celle, inoltre, le
danneggia e può danneggiare anche altri componenti del modulo o
addirittura dell’impianto. per prevenire il rischio di incendi e di
danneggiamento dell’impianto per surriscaldamento, è necessario
dotare l’impianto di sensori di temperatura, sottoporlo a termografie
57
malfunzionamento delle celle fotovoltaiche rilevato con la termocamera.
incendio provocato dal surriscaldamento dei moduli fotovoltaici.
polvere depositata sui moduli fotovoltaici.
regolari e, soprattutto, evitare le installazioni a contatto, vale a dire
senza un intervallo di almeno 5-6 cm fra il pannello e la superficie di
appoggio. È necessario, infatti, che il retro del pannello sia
opportunamente ventilato per contenere l’incremento delle
temperature, ed è altresì fondamentale che la superficie sottostante
sia di un materiale termoresistente, per non fondersi, dilatarsi o
danneggiarsi26. tale prescrizione, tuttavia, non è rispettata in molti
impianti, con il fotovoltaico applicato direttamente sulle superfici,
senza gli opportuni varchi per l’aerazione. gli impianti “integrati” su
coperture piane, ad esempio, adottano delle guaine impermeabili
applicate appena sotto il modulo e soggette, pertanto, alle elevate
temperature liberate dal pannello. si tratta di un grave problema che
comporta elevati costi di riparazione e manutenzione, non giustificati
nemmeno dai benefici del conto energia.
le temperature elevate e gli sbalzi termici possono danneggiare
anche altre parti del modulo, a cominciare dal vetro: come si è
anticipato prima, l’ombreggiamento di una parte dell’impianto non
comporta solo un calo dei rendimenti ma può determinare un
passaggio di corrrente dalle altre celle – con conseguenti danni alla
cella in ombra – o una frattura del vetro a causa del differenziale di
temperatura fra la parte esposta e la parte in ombra. Un altro problema
riguarda il materiale delle celle, visto che silicio monocristallino,
policristallino e amorfo hanno rendimenti differenti a seconda delle
temperature: in particolare, i moduli più moderni in silicio amorfo a
tripla giunzione sembrano rispondere meglio alle temperature elevate,
sebbene non vi sia accordo sulla questione. esiste, infine, un problema
legato alla condizione dei vetri, alla rapidità con la quale essi si
sporcano e ai rischi di danneggiamento ai quali sono soggetti. affinché
58
avvenga il processo di conversione della radiazione luminosa in energia
elettrica, è necessario, infatti, che lo strato di vetro sulle celle sia
trasparente e non arresti la corsa dei fotoni. essendo, ovviamente,
disposti all’esterno, però, i moduli si sporcano rapidamente, rendendo
necessarie pulizie anche molto frequenti. la necessità di disporre molti
pannelli in spazi contenuti, però, ricorrente soprattutto presso
abitazioni private, induce i progettisti a non prevedere intervalli che,
invece risulterebbero molto utili a effettuare operazioni di
manutenzione e pulizia; un altro errore frequente consiste nel
prevedere passaggi di accesso alla prima e all’ultima fila, trascurando
quelle centrali che divengono, di fatto, irraggiungibili se non con
impegnativi e onerosi interventi con attrezzature specifiche. nel caso
di grandi impianti si è diffuso il ricorso a robot in grado di pulire grosse
superfici in poco tempo. È importante sottolineare, ancora una volta,
che queste problematiche non limitano semplicemente l’efficienza del
pannello, ma comportano rischi di danneggiamento per l’intero
impianto. inoltre, ragionando in termini di investimento economico,
inefficienze e danneggiamenti procrastinano il break even point
rendendo, di fatto, non più conveniente l’installazione dell’impianto.
le riparazioni di alcune componenti, infatti, e una manutenzione resa
più ardua da una disposizione non funzionale, possono far lievitare i
costi di gestione in maniera indefinita, assorbendo i benefici
provenienti dal risparmio, dal conto energia e da eventuali surplus
venduti27.
su una scala più ampia si collocano i problemi relativi agli impianti,
vale a dire quelle criticità connesse al complesso dei moduli. Una prima
questione riguarda il peso degli impianti, un tema di grande
importanza nel caso di installazioni su tetti e coperture. Un modulo
fotovoltaico ha un peso di 10-12 kg/mq, sebbene esistano modelli di
alta gamma con un peso anche doppio; al peso del modulo e delle
strumentazioni connesse, è necessario aggiungere, soprattutto in caso
di coperture piane, il peso delle strutture di sostegno, generalmente
traversine di alluminio, e delle zavorre, necessarie a scongiurare
l’effetto vela. in una zona a media ventosità, pertanto, il peso di un
impianto raggiunge un carico di 40/50 kg/mq, un carico minimo, tutto
sommato, ma che necessita comunque della consulenza di uno
strutturista, un onere che molti proprietari, che procedono a
un’installazione sul costruito, non intendono sostenere. particolari
condizioni di ventosità, o impianti di taglia media e grande, muniti di
pesanti inverter, impongono sfide più impegnative, in tutti casi,
59
sistema di pulizia dei moduli fotovoltaici.
Zavorre per la stabilità dei moduli
fotovoltaici.
strutture di sostegno di un impianto fotovoltaico.
problemi all’impianto fotovoltaico
connessi alla neve.
riscaldatore per modulo fotovoltaico in caso di neve.
comunque, è necessario che i carichi siano opportunamente distribuiti
sulle strutture portanti. nelle zone fredde, indipendentemente dalle
latitudini, esiste un problema legato alle precipitazioni nevose: a
prescindere dall’inclinazione ideale, infatti, i pannelli vanno disposti
tenendo conto della necessità di far scivolare via la neve, acciocché
essa non si depositi e non gravi ulteriormente sulla struttura. se si
considera che più alte sono le latitudini minore è l’inclinazione del
pannello, si comprenderà che ciò può compromettere seriamente la
resa degli impianti. per concludere la questione relativa al peso, infine,
sarà bene osservare che alcune grandi architetture che integrano vasti
impianti fotovoltaici in facciata o in copertura, non tengono conto del
peso di grandi pannelli, talvolta costruiti appositamente. tale peso non
comporta solo problemi strutturali, peraltro facilmente risolvibili, ma
aumenta di molto la complessità e i costi delle operazioni di
manutenzione, pulizia e sostituzione28.
esiste, poi, un problema legato alla qualità delle reti elettriche, che
coinvolge, ovviamente, gli impianti grid connected. esistono due
problemi principali, il primo relativo all’approvvigionamento dalla rete
degli impianti che effettuano lo scambio sul posto: in primo luogo
l’impianto per la transazione è a carico del proprietario dell’impianto,
con un onere non marginale nel caso di un impianto isolato; in secondo
luogo, in molte aree, soprattutto in italia, i lavori risultano complicati
dall’inefficienza della rete elettrica e dalla vetustà degli impianti e degli
accessi, senza considerare che molte porzioni del territorio nazionale
rimangono tuttora non servite dalla rete elettrica. Un secondo
problema riguarda la capacità stessa della rete, inadeguata a sostenere
i carichi elettrici che possono provenire dagli impianti nelle ore di
maggiore irraggiamento: il rischio di sovraccarichi, con consenguenti
black-out e perdite di energia è, in molte regioni, tutt’altro che remoto.
per quanto concerne la disposizione e l’installazione degli impianti,
soprattutto nell’ottica dell’integrazione nell’architettura, il nodo
centrale risiede però nelle divergenze funzionali fra il fotovoltaico e
altre componenti, un tema che si manifesta con particolare evidenza
in italia. la logica dell’impiego del fotovoltaico, infatti, prevede la
massima esposizione al sole, nelle aree più soleggiate saranno
privilegiati l’orientamento e l’inclinazione più indicati a intercettare i
raggi perpendicolari del meriggio estivo. ciò, di fatto, non solo
impedisce il ricorso a serre fotovoltaiche e infissi con vetri fotovoltaici,
ma consente l’applicazione dei moduli solo su strutture massive e
termoresistenti, come le spesse mura perimetrali: soluzioni più leggere
60
– e di più facile integrazione – possono trovare, pertanto, impiego solo
a più elevate latitudini.
tutte le problematiche esaminate riguardano i limiti economici e
tecnici dell’impiego del fotovoltaico ma non inficiano la validità della
tecnologia come alternativa sostenibile ad altre fonti di
approvvigionamento energetico, come i combustibili fossili. tuttavia
la sostenibilità del fotovoltaico è tutt’altro che acquisita e presenta,
invece, numerose aree oscure, alcune delle quali artatamente
proiettate dalla propaganda di potenti lobby. Uno degli argomenti
principali dei detrattori del fotovoltaico riguarda la filiera, cui viene
attribuito un devastante impatto ambientale. si tratta di una falsità e
da più di un punto di vista. la vulgata vuole, ad esempio, che la
produzione di un pannello costi molta energia, più di quanta esso ne
converta: mentre il payback time è di sette anni, però, il costo in
energia, convenzionalmente indicato come energia grigia, viene
recuperato in appena due anni, meno del 10% della vita media del
pannello, poiché calcoli recenti indicano un consumo di 250 kwh per 1
mq di pannello in silicio cristallino. altre indagini indicano in 20-60 g di
co2 per kWh il costo in anidride carbonica della produzione di energia
elettrica da fotovoltaico, una quantità oltre dieci volte inferiore (molto
di più nell’europa mediterranea e in nord africa) a quella prodotta dai
combustibili fossili29. per quanto riguarda la realizzazione dell’hardware,
si è suggerito che la filiera di produzione sia altamente inquinante. le
celle fotovoltaiche sono costituite essenzialmente di silicio, un
minerale che è anche il secondo elemento più abbondante sulla terra.
il silicio utile a costruire i pannelli deve essere purissimo, almeno al
98%, il che richiede un processo di raffinazione: il metodo oggi
impiegato è il processo siemens, un sistema che ha una serie di
vantaggi, a cominciare dalla possibilità di convertire il minerale, più
volte, in diverse condizioni di purezza; il problema principale, da un
punto di vista ambientale, è legato all’uso di acido cloridrico, un acido
forte necessario a innescare le reazioni per purificare la sostanza.
naturalmente si tratta di un processo inquinante, soprattutto se
condotto in assenza di accurati monitoraggi: è stato stimato che negli
stati Uniti il rilascio totale (in aria, nell’acqua, nel sottosuolo, ecc.) di
acido cloridrico ammonti a più di 270 milioni di chilogrammi all’anno30.
sempre secondo la stessa fonte, la maggior parte dell’acido cloridrico
rilasciato (circa l’88,5%) riguarda i servizi elettrici31. È possibile, anzi, è
necessario, ribaltare il ragionamento: i pannelli fotovoltaici sono un
prodotto industriale e non ha senso considerarli diversamente; il silicio
61
il silicio si ottiene tramite il lavaggio chimico della sabbia quarzosa
seguito da un processo di fusione.
e gli altri minerali – impiegati in tipologie differenti di moduli – sono
sostanze adottate in tutti i prodotti elettrici, e l’elevato impatto
ambientale della tecnologia fotovoltaica è in realtà analogo a quello
di tutti gli altri prodotti similari; tale impatto non è solo ridimensionato
dall’impiego dei pannelli per produrre energia “pulita”, ma, da un punto
di vista della filiera, risulta contenuto dalla possibilità di riciclare la
grande maggioranza dei componenti, che l’incremento dei costi di
molte materie prime ha reso oggi più appetibili che mai. Un problema
reale è rappresentato, invece, dalla disponibilità della materia prima:
nonostante il silicio sia straordinariamente abbondante, grandi
corporations si sono mosse, già negli anni ottanta, per rilevare tutti i
siti di più facile ed economica estrazione e oggi gestiscono un
sostanziale monopolio32.
si faceva riferimento, prima, all’inadeguatezza delle reti elettriche:
oltre ai problemi già individuati, esiste un grave rischio ambientale
connesso a questa condizione. la difficoltà di praticare lo scambio sul
posto e, più in generale, di raccordare gli impianti alla rete, ha infatti
riproposto il ricorso agli accumulatori elettrochimici, le batterie
tradizionali, sui quali si stanno polarizzando grossi investimenti di
potenti lobby. nonostante la ricerca stia conducendo ad accumulatori
sempre più longevi e potenti, rimane il fatto che le pericolosissime
sostanze impiegate nella loro realizzazione non possono essere
recuperate e riciclate dopo l’esaurimento ed esistono fortissimi rischi
di dispersione nell’ambiente. È significativo rammentare come siano
state proprio le immagini di enormi discariche di batterie a segnare un
punto di svolta, nell’opinione pubblica, a favore del fotovoltaico,
tecnologia in grado di portare l’energia dove non potevano arrivare reti
elettriche e generatori a diesel. i grossi interessi economici che si
stanno concentrando sugli accumulatori sono preoccupanti non tanto
nell’immediato, quanto perché essi potrebbero, in un futuro prossimo,
condizionare anche gli interventi legislativi e le nuove forme di
incentivi.
Un ulteriore nodo riguarda le installazioni a terra. numerose
segnalazioni di associazioni ambientaliste hanno evidenziato una forte
mortalità di piccoli animali nelle aree limitrofe agli impianti fotovoltaici.
esistono anche alcune inchieste, avviate da magistrature italiane, per
approfondire la questione, ma è probabile che la responsabilità ricada,
principalmente, sui potenti diserbanti irrorati nei campi per impedire
la proliferazione della vegetazione. non esistono evidenze, invece, che
indichino la contaminazione dei terreni a causa dei metalli pesanti
62
contenuti nei pannelli. i danni arrecati da questi impianti ai suoli, però,
non sono solo di tale natura: la propaganda a favore di queste
installazioni, a vocazione fortemente speculativa, propugnava la
garanzia che, trascorsi i termini del contratto e smantellati gli impianti,
il terreno sarebbe tornato pienamente coltivabile. ciò non è vero, e
perché i terreni, soggetti a continui trattamenti diserbanti molto
potenti, assumono connotati bio-chimici inadeguati all’agricoltura,e
perché l’impianto a terra non è costituito solo dai moduli, ma da
infrastrutture di sostegno, di connessione, canaline di cemento per
alloggiare i cavi, i sensori, gli inverter, strutture di gestione e altri
elementi di difficile rimozione. scaduto il contratto di noleggio del
suolo, pertanto, ciò che viene restituito all’agricoltore è, normalmente,
un terreno distrutto. non sorprende, pertanto, che in un mercato che
ha fortemente rallentato a seguito della sospensione – a tempo
indefinito – del conto energia, molte aziende installatrici si siano
riconvertite ad attività di manutenzione e implementazione degli
impianti esistenti, specializzandosi negli interventi relativi alle
numerose criticità qui evidenziate33.
63
CONTO ENERGIA E IL CASO ITALIANO
nella scelta di installare un impianto fotovoltaico rivestono un
ruolo sostanziale, certamente, le motivazioni etiche, ma il progettista
dovrà conferire congruità economica a un simile investimento: il
perseguimento della sostenibilità economica, infatti, è una condizione
fondamentale anche per la diffusione e sistematizzazione del ricorso
a questa tecnologia. da un punto di vista economico, un impianti
fotovoltaico può essere gestito come un vero e proprio investimento,
con un cash-flow valutabile ogni anno, nella quale i costi di
manutenzione, pari all’1% nel caso degli impianti in rete, e al 3-5% nel
caso di impianti isolati, corrispondono agli oneri di investimento, e i
rendimenti possono essere valutati:
- a moneta costante, cioè senza tenere conto di inflazione e tasso
di interesse. si tratta della soluzione ideale per operare analisi
indipendenti dallo scenario;
- a moneta corrente, vale a dire computando l’inflazione, il che
consente di elaborare serie statistiche con validità proiettiva, adatte,
cioè, a misurare l’opportunità di investimenti futuri;
- a valore attualizzato, che include, oltre all’inflazione, il tasso di
interesse, misura ideale per comparare e sommare investimenti
avvenuti in epoca differente.
i costi da sostenere per l’installazione di un impianto fotovoltaico
sono così sintetizzabili:
- costo dell’ingegneria (spese per lo studio di fattibilità e progetto
esecutivo);
- costo per l’acquisizione del terreno, qualora applicabile;
- costo per l’edilizia, che include, naturalmente, anche gli interventi
necessari a predisporre il sito ad accogliere le strumentazioni
collaterali, non incluse nei moduli ma necessarie al loro
funzionamento;
- costo dei materiali, macchine e attrezzature;
- costo del montaggio;
- costo di beni immateriali (brevetti, concessioni, licenze etc.)34.
esistono inoltre dei costi finanziari, soprattutto nel caso di impianti
installati non presso privati ma presso aziende. in questo caso sarà
necessario prevedere i costi per gli interessi passivi, il costo del capitale
circolante e, ovviamente, i costi legati al personale e ai collaudi. alcune
64
costo di un impianto fotovoltaico.
di queste voci sono una tantum, altre vanno affrontate in un dato
periodo, e riguardano le spese vive, la manutenzione, e i deficit dovuti
alle inefficienze. È stato calcolato che il rientro medio
dell’investimento, per un privato, ammonta a 7,3 anni, un tempo lungo
ma sostenibile, considerato che la vita media di un pannello è di circa
20 anni.
l’italia ha scelto di incentivare il ricorso al fotovoltaico incentivando
la valorizzazione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili: il conto
energia, introdotto nel 2005, riguardava non solo la produzione di
energia ma l’intero iter, includendo l’autoconsumo, la vendita e lo
scambio sul posto. l’energia prodotta da un impianto in conto energia
viene misurata all’uscita dall’inverter e, moltiplicata per la tariffa
incentivante, costituisce il conto energia:
rc = energia prodotta x tariffa incentivante
Quella quota di energia che viene consumata dal produttore
genera un risparmio che ha un valore economico, e l’energia rimanente
deve essere venduta, procurando un ulteriore valore economico pari
alla quantità di energia per il prezzo di vendita. in generale, pertanto,
la remunerazione complessiva prodotta da un impianto fotovoltaico
corrisponde alla somma di rc (conto energia) + ra (energia
autoconsumata) + rv (energia venduta). nel caso di impianti con una
potenza inferiori ai 20 Kwp, è possibile accedere al regime di scambio
sul posto, nel quale l’energia prodotta viene considerata tutta
autoconsumata.
Uno degli aspetti più rilevanti del conto energia italiano consiste
65
nel fatto che esso introduce il tema dell’integrazione degli impianti
nell’architettura, premiando, con tariffe incentivanti più generose,
gli impianti che vengono giudicati integrati nei manufatti
architettonici, in base a una classificazione in tre livelli: non
integrato, parzialmente integrato e integrato. ai fini della
classificazione è stato elaborato un sistema di valutazione che risulta
di grande interesse per questa trattazione. sono considerati
parzialmente integrati quegli impianti che:
- siano installati su tetti piani e terrazzi degli edifici. Qualora sia
presente una balaustra, è previsto che l’asse mediano dei moduli non
sia a una quota superiore dell’altezza minima della balaustra;
- siano installati su tetti, coperture, facciate, balaustre o parapetti,
in maniera complanare alla superficie ma senza sostituire i materiali;
- siano installato su elementi di arredo urbano, conformemente a
quanto detto prima, vale a dire senza che ciò comporti una sostituzione
dei materiali del manufatto di supporto.
in altre parole, la giustapposizione di elementi fotovoltaici su
manufatti architettonici viene giudicata una parziale integrazione,
affinché, invece, l’intervento sia giudicato integrato, è necessario
ottemperare una delle seguenti condizioni:
- che i moduli fotovoltaici a rivestimento di tetti, coperture e
facciate sostituiscano i materiali e siano orientati allo stesso modo dei
materiali originali, con la medesima funzionalità architettonica;
- che essi costituiscano la struttura di pensiline, pergole e tettoie;
che i moduli sostituiscano il materiale trasparente delle coperture
di edifici, atto a permettere l’illuminazione naturale;
- che i moduli fotovoltaici sostituiscano parte dei pannelli
fonoassorbenti delle barriere acustiche;
- che i moduli fotovoltaici siano inseriti nella parte esposta al sole
di elementi di illuminazione;
- che i pannelli costituiscano la struttura di frangisole, persiane e la
copertura di balaustre e parapetti;
- che i moduli fotovoltaici sostituiscano o integrino le superfici
vetrate delle finestre.
più in generale, gli interventi che prevedono una sostituzione dei
pannelli ai materiali originali, o l’aderenza del materiale fotovoltaico
al materiale di supporto, vengono considerati integrati. si tratta di un
criterio che, ovviamente, molto poco a che vedere ha con il concetto
di integrazione in architettura.
sebbene la relazione con l’architettura costituisca oggetto
66
schema a blocchi di un piccolo impianto fotovoltaico connesso alla
rete.
specifico del capitolo successivo, è importante anticipare che le
caratteristiche del conto energia hanno fortemente informato la
progettazione con il fotovoltaico in questi anni, non sempre in maniera
proficua, come si vedrà; le pressioni di importanti interessi finanziari,
inoltre, hanno di fatto mutato lo spirito dell’intervento, poiché, ad
esempio, sono state previste tariffe incentivanti incrementate del 5%
per impianti maggiori di 3kW, non integrati architettonicamente, i cui
soggetti responsabili impieghino l’energia prodotta in modo tale da
conseguire il titolo di autoproduttori; agevolazioni analoghe spettano
a quei grandi impianti dei quali siano responsabili scuole e strutture
sanitarie pubbliche, o comuni sotto i 5000 abitanti; tariffe agevolate,
infine, anche per quegli impianti che sostituiscono coperture in eternit.
con l’entrata in vigore del conto energia si evidenziò, quasi subito, una
grave difficoltà a identificare gli impianti, un problema che poteva
scoraggiare nuovi investimenti: si è deciso, pertanto, di applicare il
conto energia non più all’intero impianto, ma a sezioni di impianto,
così da poter combinare elementi integrati ed elementi non integrati,
purché ciascuna sezione risponda a una – e una sola – tipologia di
integrazione. la stessa disposizione regolava anche lo scambio sul
posto, un servizio applicabile a impianti di potenza nominale inferiore
a 200 kW ed erogato dal gse. lo scambio sul posto impiega la rete
elettrica come un accumulatore, discernendo l’attività di produzione
da quella di consumo e consentendo, quindi, un uso abbondante anche
nelle ore non produttive. gli scambiatori possono essere allacciati
anche a più impianti, purché ciascuno di essi ottemperi ai requisiti
richiesti. allo stato attuale, il calcolo compensativo avviene ex post: il
produttore paga tutta l’energia che preleva dalla rete, il gse, unico
soggetto intermediario, gli riconosce un canone per quella prodotta e
67
venduta. l’energia immessa in rete viene valutata secondo parametri
che tengono conto, ad esempio, dell’orario di produzione, il che rende
ancora più vantaggioso lo scambio, poiché l’orario di massimo
consumo è, spesso, anche l’orario di maggiore conversione. Qualora
l’impianto sia di proprietà dei comuni, inoltre, è consentito che i punti
di immissione dell’energia in rete, e i punti di prelievo, non coincidano.
dal 2005 al 2013 si sono susseguiti cinque conti di energia, ciascuno
dei quali a emendare o ridefinire quelli precedenti. nel luglio 2013 si è
concluso il quinto conto energia, senza prospettive di rinnovo e senza
incentivi sostanziali, eccezion fatta per degli sgravi fiscali sugli impianti.
il bilancio sull’efficacia dei provvedimenti è, però, contraddittorio.
certamente esso ha liberato grandi risorse e ha fortemente
incrementato il mercato del fotovoltaico in italia: tra 2008 e 2013 sono
stati allacciati alla rete oltre mezzo milione di impianti, per circa 17 gW
di potenza complessiva, con evidenti benefici per produttori,
distributori, installatori e con il nascere di una piccola ma florida
economia di scala, oggi messa in crisi dall’esaurimento degli incentivi35.
Questa spinta è stata però caratterizzata da un approccio
probabilmente troppo superficiale nell’analisi delle problematiche
connesse all’impatto degli impianti sul contesto e sul paesaggio e gli
incentivi destinati ai grandi impianti hanno attirato capitali, anche di
molto dubbia origine, impiegati in speculazioni finanziarie come quelle
cui si è fatto riferimento nel capitolo precedente. il quinto conto
energia ha cercato di correre ai ripari, imponendo severi limiti
all’utilizzo di superfici agricole per le installazioni di fotovoltaico ma,
di fatto, il fiorire dei grandi impianti si è arrestato solo con la
conclusione del conto energia e con le incertezze sui provvedimenti
futuri. le prescrizioni inerenti all’integrazione della tecnologia negli
edifici, prima elencate, dimostrano quanto superficiale sia stato
l’approccio in materia architettonica: si è attribuito un connotato
inappropriato alla mera sostituzione di un materiale con superfici
fotovoltaiche, una prassi che ha determinato i seguenti esiti negativi:
- non ha incoraggiato una riflessione sul concetto di integrazione,
sulle variazioni linguistiche che il fotovoltaico può e deve introdurre
nell’architettura;
- non ha promosso un approccio integrato con l’obiettivo
dell’efficienza energetica, ricompensando la sola installazione di
impianti di conversione energetica;
- ha spesso promosso installazioni inefficienti e problematiche,
come si evidenzierà nel paragrafo successivo.
68
il conto energia, infine, ha posto un problema di etica fiscale,
poiché gli incentivi sono stati finanziati dagli aggravi in bolletta a tutti
gli utenti della rete elettrica, una procedura che, nonostante abbia
avuto impatto contenuto sulle finanze degli utenti, ha però alimentato
diffidenze nei confronti delle energie rinnovabili. gli incentivi
addebitati in bolletta, infatti, ammontano a circa 2.7 miliardi per il
2010, una cifra corrispondente a meno della metà di quanto addebitato
per altri oneri, tra cui lo smantellamento delle centrali nucleari che
costa ancora 400 milioni di euro all’anno, e, soprattutto, le “fonti
assimilate” (1.2 miliardi all’anno): si tratta di fonti energetiche
terribilmente inquinanti che impiegano, fra le altre cose, le raffinerie
di petrolio e la combustione dei rifiuti.
i seguenti esempi sono tratti da un documento ufficiale del gse
che li indica come “impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche
innovative”: è bene chiarire subito che il documento fa riferimento al
v conto energia, ed è aggiornato all’agosto 2012, quindi compendia la
gran parte dei risultati dell’ultimo intervento. Questa disamina
dimostrerà come incompetenza, sciatteria e intenti speculativi abbiano
sciupato una preziosa occasione e molti milioni di euro.
le tipologie individuate dal catalogo operano una distinzione fra
moduli flessibili e moduli rigidi, questi ultimi ancora ripartiti in moduli
a film sottile, tegole fotovoltaiche e moduli trasparenti36.
- Locorotondo. Questo intervento dispone due array di
moduli fotovoltaici flessibili su una copertura piana.
l’installatore, per raggiungere i 6 kWp, ha disposto i
moduli in maniera irregolare, stendendo una fila di
quattro pannelli sopra una di tre e allineandone un’altra
stringa in un’altra zona del terrazzo. la qualità dei raccordi
elettrici, inoltre, dà la cifra esatta di quanto
approssimativo sia stato l’intervento che pure ha meritato
una menzione sul catalogo degli impianti innovativi e
integrati.
locorotonto, Bari.
- Argenta. molte aziende si sono specializzate, in questi
anni, nella produzione di elementi di copertura in
alluminio con fotovoltaico integrato. l’esistenza di
questi elementi prefabbricati rende più facile
l’integrazione nei grandi capannoni industriali, grazie
argenta, Ferrara.
69
anche alla modularità delle strutture. il progettista non
ha previsto delle passerelle per la manutenzione e la
pulizia degli impianti.
- Conegliano, Piovene Rocchetta. Questi due esempi di
edifici produttivi con pv in copertura, dimostrano, però,
come l’esistenza di moduli prefabbricati non garantisca
un’integrazione almeno composta. nel primo caso, è
possibile discutere l’estetica degli elementi fissanti color
mattone ma anche la collocazione dei pannelli fotovoltaici
che risultano sempre parzialmente ombreggiati. nel
secondo caso si evidenzia l’impatto percettivo
preminente delle traversine in alluminio.
conegliano, treviso.
- Putignano. il dettaglio evidenzia un grave errore di
installazione. i contatti elettrici sono parti cruciali
dell’impianto, devono essere preservate dal
surriscaldamento – a maggior ragione nell’assolata puglia
– e dagli agenti atmosferici. come si è evidenziato nella
prima parte di questo capitolo, il malfunzionamento di un
singolo modulo può avere gravi ripercussioni sull’intera
stringa e sui sistemi di controllo.
piovene rocchetta, vicenza.
- Valdieri. Questo intervento evidenzia uno dei
comportamenti più frequenti nell’impiego di fotovoltaico:
la copertura viene rivestita di pannelli ma non
integralmente, perché magari si è raggiunta la potenza
richiesta o perché lo spazio residuo non è sufficiente a
installare un altro pannello. in questo caso l’errore è
duplice, perché non solo non si è valutato l’impatto
dell’intervento, ma non si è pensato di distribuire
diversamente i pannelli, magari disponendoli alle
estremità, lasciando libera una fascia centrale che
consentisse uno spazio per eventuali interventi.
putignano, Bari.
- Roma. esistono diversi tipi di tegole fotovoltaiche.
alcune di esse, molto scure, imitano l’ardesia e le altre
pietre utilizzate per le coperture nell’europa centrale: in
questi casi l’integrazione con il fotovoltaico è più
semplice, poiché non c’è uno scarto cromatico eccessivo
valdieri, cuneo.
70
fra le celle e il supporto. esistono, però, anche tegole rosse
che recano una cella fotovoltaica giustapposta nella parte
piana, con il risultato evidente in questo intervento. si
tratta di una soluzione esteticamente discutibile ma,
soprattutto, inefficiente, perché i moltissimi collegamenti
polverizzano la funzionalità dell’impianto, i moduli
costituiscono il ricovero ideale per lo sporco trasportato
dalla pioggia e dal vento, e i colmi delle tegole sovrastanti
ombreggiano i pannelli delle file successive.
rma.
- Ascoli Piceno. Questo intervento è ancora peggiore sia
perché la rilevanza percettiva del modulo è, qui,
maggiore, sia perché le tegole fotovoltaiche appaiono
disposte irregolarmente. da un punto di vista funzionale,
queste tegole non hanno il modulo sopraelevato, con
minori problemi di accumulo dello sporco. le tegole
recano moduli fotovoltaici sul colmo, risulteranno perciò
forate per contenere i cavi di collegamento.
- Porretta Terme. anche assumendo che l’orientamento
segua un criterio di qualche tipo, è evidente che questi
interventi non hanno alcuna logica progettuale e sono
stati condotti senza alcun riguardo per l’estetica degli
edifici.
ascoli piceno.
- Lavis. Questo esempio mostra quanto possa essere
complessa l’integrazione di moduli su tetti relativamente
semplici. i problemi legati al dimensionamento dei
pannelli, alla necessità di prevedere spazi per le
connessioni, eventualmente percorsi per la manutenzione,
e, nel caso di applicazione su edifici preesistenti, la
necessità di includere elementi come comignoli o
lucernari che comportanto gravi problemi di adattamento
dei moduli.
porretta terme, Bologna.
- Selva di Val Gardena, San Lazzaro. esempi di cattiva
integrazione e cattivo montaggio. nell’esempio relativo
a selva di val gardena, a parte l’impatto sgradevole del
binario in alluminio, la guaina impermeabile sottostante
è destinata a una vita media molto ridotta, perché le
lavis, trento.
71
temperature raggiunte dai pannelli ne accelereranno il
deterioramento.
- Bisaquino. Questa installazione è in provincia di
palermo. la nota afferma che i pannelli impermeabilizzano
la copertura, sarebbe interessante misurare le
temperature dei vani sottostanti nei torridi mesi estivi
siciliani. come si è cercato di chiarire in questo capitolo,
infatti, gran parte della radiazione luminosa che colpisce
i pannelli va dispersa come energia termica ed è
ragionevole ritenere che questo edificio nella campagna
siciliana, privo di ombreggiamenti, intercetti nei mesi più
caldi ragguardevoli quantità di luce e calore.
selva di val gardena, Bolzano.
san lazzaro, Bologna.
Questa breve carrellata di esempi – molti altri possono essere
rinvenuti direttamente sul catalogo – mostra come ci sia stato un grave
deficit di progettazione architettonica negli interventi finanziati dal
programma. È singolare rilevare, infatti, come la presenza di architetti
fra gli installatori di moduli fotovoltaici sia praticamente nulla, sebbene
vada rilevato che anche l’aspetto ingegneristico appare trascurato in
molti casi. più in generale, si voleva qui rilevare come la “patente” di
impianto integrato sia stata assegnata senza alcun riguardo per
l’effettiva integrazione estetica, rimettendola unicamente a una
valutazione relativa alla tecnologia impiegata. si tratta di un approccio
ovviamente insoddisfacente e anche ingiustificato. come si vedrà nel
capitolo successivo, infatti, sono molte le indicazioni, provenienti dai
grandi architetti, di integrazioni gradevoli, funzionali ed economiche.
Bisaquino, palermo.
72
I BIPV: IL FOTOVOLTAICO COmE mATERIALE COSTRUTTIVO
il conto energia italiano – e gli omologhi di altre nazioni che hanno
adottato la stessa strategia di incentivazione – premia gli elementi
costruttivi con fotovoltaico integrato, vale a dire quei moduli che
possono essere impiegati per sostituire direttamente i materiali
costruttivi. indicati come Bipv (acronimo di Building integrated
photovoltaics), essi possono essere impiegati come elementi
strutturali in coperture e superfici, anche non piane. photon
international ha descritto i Bipv come prodotti “specificamente
costruiti per l’integrazione negli edifici” e, in una recente ricerca, ha
verificato che solo il 5% degli oltre 5.000 moduli in commercio è
ascrivibile a tale categoria. la stessa rivista, però, aggiunge che vanno
intesi come Bipv anche i moduli semi-integrati che richiedono, cioè,
un sostegno minimo per l’installazione. per questa ragione è
opportuno classificare i Bipv come prodotti multifunzione, elementi
costruttivi e impianti di conversione di energia solare37. i Bipv sono
preferibilmente impiegati in edifici nuovi ma possono essere adattati
anche a strutture già esistenti e costituiscono un segmento in forte
espansione soprattutto negli stati Uniti e in cina, vale a dire in paesi
che, paradossalmente, hanno minori problemi di integrazione nel
costruito rispetto all’europa. la spiegazione è meramente economica:
ricorrere ai moduli integrati in luogo degli impianti ex-post consente,
infatti, di risparmiare i costi di materiali (coperture, superfici, vetri) che
sono sostituiti dai Bipv.
l’impiego globale dei Bipv è ridotto in comparazione al
fotovoltaico tradizionale. secondo alcune stime la capacità
complessiva installata di Bipv assomma a 250-300 mW alla fine del
2009, circa l’1% della capacità complessiva del fotovoltaico. ciò per
ragioni di prezzo, ovviamente, ma anche per questioni di carattere
qualitativo. Un primo nodo è relativo all’aspetto estetico: è fuor di
dubbio che uno dei vantaggi principali dei Bipv consiste nella maggiore
adattabilità di questa tecnologia alle esigenze estetiche di progettisti
e utenti. sebbene siano stati fatti alcuni tentativi, è difficile quantificare
il valore, in termini economici, che gli utenti sono disposti ad attribuire
all’aspetto estetico, ma una recente ricerca ha indicato come, non solo
l’aspetto estetico rivesta una rilevanza significativa per gli utilizzatori
di tecnologie pv, ma sia percepito come un potenziale elemento di
73
penetrazione e diffusione della tecnologia stessa38. parallelamente alla
progettazione di moduli Bipv sempre più assimilabili a elementi
costruttivi, l’industria del fotovoltaico ha investito grosse risorse in un
design esteticamente più accattivante dei pannelli tradizionali il che
ridimensiona il vantaggio dei moduli integrati ma indica anche, senza
dubbio, che il tema dell’impatto percettivo ha assunto una rilevanza tale
da giustificare prezzi mediamente più alti. Una criticità connessa ai Bipv
riguarda la codificazione e gli standard di qualità: la flessibilità di forme,
materiali, tecnologie, rende più difficile garantire standard comparabili
al fotovoltaico tradizionale, il che costituisce un deterrente soprattutto
nel caso dei grandi edifici pubblici. naturalmente un ruolo centrale nella
diffusione dei Bipv è rivestito dalle leggi e dai dispositivi normativi: i
moduli integrati, ad esempio, sono molto diffusi in svizzera dove una
legge della confederazione impedisce il ricorso a celle fotovoltaiche non
integrate, per garantire la salvaguardia dell’architettura tradizionale
elvetica. i Bipv, pertanto, troverebbero applicazione ideale in tutta
europa, ove sussiste il problema di recuperare i centri storici, e soprattutto
nell’europa mediterranea che vanta un irraggiamento tale da annichilire
eventuali piccoli scarti di rendimento. come si è anticipato, però, i moduli
integrati sono impiegati soprattutto in stati Uniti e cina e per ragioni di
carattere economico. lungi dall’essere avulso dall’architettura, il
problema dei prezzi e della redditività dell’investimento nel fotovoltaico
costituisce un tema centrale e il vettore precipuo di una tecnologia che
comporta ragguardevoli benefici per la collettività. negli stati Uniti, gli
elementi integrati hanno cominciato a diffondersi a partire dagli anni ‘70,
con moduli integrati nei pannelli di alluminio, e a partire dagli anni ‘90 essi
divennero disponibili sul mercato39. Un report recente dello U.s. national
renewable energy laboratory indica in questa applicazione l’occasione
per una diffusione globale del fotovoltaico anche nei contesti per i quali i
pannnelli tradizionali risultano inadeguati40. sarà quindi necessario, prima
di passare in rassegna le tipologie di Bipv e di moduli integrati e semiintegrati, considerare quali siano i benefici e i deficiti economici ad essi
connessi, soprattutto in comparazione con il pv tradizionale. Uno dei
vantaggi attesi dall’impiego dei moduli integrati riguarda la flessibilità di
impiego e la possibilità di installarli anche su superfici ristrette o,
addirittura, verticali: i Bipv possono accrescere la superficie fotovoltaica
disponibile sugli edifici. Uno studio dell’iea (international energy agency)
ha stimato che l’impiego dei moduli integrati potrebbe aumentare del
35% lo spazio destinato alla conversione di energia solare41. meno facile
è il calcolo relativo alla conversione effettiva di energia, che dipende,
74
ovviamente, dall’efficienza dei Bipv sulle superfici. esistono, a questo
scopo, alcuni studi statunitensi che provano a quantificare il potenziale
tecnico dei moduli integrati: nel 2010 l’efficienza media delle tecnologie
pv più diffuse era del 14.5%, mentre è possibile calcolare in 13.8%
l’efficienza media dei Bipv (considerati anche fattori critici come
l’immissione in contesti e orientamenti non ottimali), il che conduce a
calcolare che, nei soli Usa, la potenza disponibile su tetti e superfici grazie
ai Bipv oscillerebbe fra i 675 gW e gli oltre 900 gW42. dallo stesso studio
emerge, però, che l’efficienza dei Bipv sulle superfici è sensibilmente
inferiore a quella degli stessi moduli in copertura: da uno studio
meteorologico su oltre 1000 siti, è emerso che dove i moduli su copertura
sono orientati a 25°, i moduli in superficie, orientati sui 90°, perdono oltre
il 35% di efficienza. si tratta di un parametro molto rilevante, anche
perché la condizione di riferimento (quindi l’orientamento in un range
compreso attorno ai 25°) è molto diffusa negli Usa43. dal punto di vista
del marketing di prodotto, è opportuno trattare i Bipv come un’occasione
di segmentazione del mercato con più di una criticità, dal prezzo alla
minore adattabilità e facilità di trasporto. in molti contesti, però, essi
costituiscono la soluzione ottimale o l’unica soluzione, ma la minore
diffusione e la difficoltà di produrli in serie ne condizionano il prezzo e,
quindi, la quota di mercato.
il tema centrale, relativo ai Bipv, è legato alla fattibilità economica.
come si è detto, se essi hanno trovato diffusione negli stati Uniti e in
cina, ove esiste una cospicua produzione edilizia ex novo, ciò dipende
da alcuni peculiari benefici, ma il tema dei costi e, più in generale, del
bilancio economico dei Bipv, merita di essere meglio dettagliato, a
partire dai costi. È possibile individuare quattro categorie di costi sulle
quali comparare i Bipv e il pv tradizionale:
costi di installaZione: i costi di installazione di moduli integrati
tendono a essere più bassi di quelli di un impianto tradizionale,
soprattutto in virtù dell’eliminazione delle strutture di sostegno e dei
costi del lavoro connessi. secondo uno studio del 2010, i tempi di
installazione del fotovoltaico integrato sono inferiori del 65% a quelli
del fotovoltaico tradizionale. allo stato attuale, pertanto, è possibile
evidenziare che i Bipv hanno costi di installazione inferiori ai pannelli
tradizionali, sebbene questo margine non sia garantito per il futuro: i
produttori di pannelli, infatti, sono interessati a nuovi sistemi di
sostegno più economici e di più rapida installazione, così come i
produttori di moduli integrati continuano a investire nella ricerca di
collegamenti elettrici più veloci ed efficienti.
75
costo dei modUli: è difficile stimarlo, data la grande variabilità di
moduli e materiali, ma in generale si può assumere che un modulo Bipv
costi circa il 10% in più dell’equivalente in pv. Questo costo include
anche i materiali necessari a coibentare il tetto nel caso di installazioni
su coperture.
costi dei modUli FlessiBili: è un tema aperto, oggetto di un dibattito
tuttora in corso, ma si tratta di un tema, quello della flessibilità, meno
rilevante per i Bipv, maggiormente adattabili per concezione, che per
i pannelli tradizionali. lo dimostra il fatto che la gran parte dei moduli
integrati è rigida e sfrutta la tecnologia del silicio cristallino. esistono,
tuttavia, dei segmenti di mercato nei quali dei moduli flessibili integrati
possono trovare in piego, vale a dire in certe coperture flessibili o
addirittura rimovibili, come le installazioni commerciali, o settori di
nicchia, come tende militari o edifici con coperture in fibra di vetro,
come l’aeroporto di denver. l’integrazione del film sottile nei moduli
Bipv, finora condotta a livello più sperimentale che commerciale, ha
dato, però, eccellenti risultati: i moduli flessibili pesano il 90% in meno
di quelli in vetro, con la relativa riduzione dei costi di installazione e di
trasporto; possono essere installati senza supporti strutturali o quasi
e hanno anche una discreta efficienza. tuttavia sono molto più costosi
e hanno una scarsa tolleranza, sul lungo termine, alle radiazioni
ultraviolette, con alterazioni della trasmissività, scollamento della
pellicola e danneggiamento dei materiali di supporto44.
risparmio sUi costi dei materiali edili: si tratta di un aspetto peculiare
dei Bipv impiegati in edifici appena costruiti, poiché la sostituzione dei
materiali edili con moduli fotovoltaici può comportare un significativo
risparmio. È altresì vero che i materiali edili devono durare molto di più
del ciclo di vita garantito per i moduli fotovoltaici, pertanto la grande
sfida che si pone ai progettisti di Bipv consiste o nella ricerca di
materiali più durevoli o, più facilmente, nell’elaborazione di moduli e
sistemi di installazione che rendano più facile la rimozione e
sostituzione dei sistemi usurati. nel caso degli stati Uniti la gran parte
dei tetti, circa il 50%, è ricoperta da asfalto, un materiale che ha una
durevolezza che assomma a 17-20 anni (quindi non dissimile dai moduli
fotovoltaici), con un costo che varia dai 18 ai 32 dollari a mq45, altre
coperture, come le tegole d’argilla, hanno una durata superiore ai 50
anni ma costi più elevati anche di cinque volte. il paradosso, se si limita
il discorso al risparmio di materiali, è che gli elementi meno efficienti,
con una resa per mq inferiore, hanno un rapporto costo/mq migliore,
poiché rivestono superfici maggiori. il computo finale, riferito in un
76
report molto recente, dichiara che il costo complessivo per Watt dei
sistemi Bipv sull’edilizia ex novo è del 10% inferiore a quello dei sistemi
pv tradizionali.
in conclusione, sebbene l’impiego di moduli integrati rimanga
limitato, le opportunità rimangono promettenti. si tratta di una
tecnologia con più di un interesse, soprattutto per il caso europeo, ma
essa non può contare sull’effetto trainante del quale hanno beneficiato
i pannelli tradizionali grazie ai campi di fotovoltaico. i Bipv non possono
contare su un’analoga produzione di massa, pertanto un ruolo
strategico è rimesso alle politiche di incentivi all’integrazione che,
offrendo un incoraggiamento all’acquisto, potrebbero innescare un
circuito virtuoso di riduzione dei prezzi. al momento, però, tolto il caso
americano, la capacità di penetrazione dei Bipv è legata
essenzialmente a qualità estetiche e alle maggiori possibilità di
integrazione, oltre che a particolari condizioni normative.
le opportunità di crescita del mercato dei moduli integrati possono
essere così sintetizzate:
ridUZione nei costi di installaZione
- eliminazione delle strutture di sostegno e appoggio, maggiore ricorso
a materiali e tecniche tradizionali nei lavori di copertura, più in generale
minore costo di tutta la parte esterna al modulo;
- risparmio dei costi dei materiali costruttivi tradizionali;
- minori costi della filiera relativi al trasporto e allo stoccaggio dei
materiali.
estetica migliorata
- disponibilità da parte dei consumatori a pagare un valore aggiunto in
termini di estetica e integrazione;
- maggiore sensibilità nella progettazione di moduli destinati all’edilizia
residenziale.
maggiore potenZiale tecnico
- aumento delle superfici disponibili sugli edifici
interesse dell’indUstria
- elevata crescita potenziale;
- possibilità di segmentare il mercato;
- possibile riduzione dei costi e nuovi canali di vendita.
sostegni e incentivi
- conservazione della configurazione architettonica tradizionale;
- incentivi specifici per i Bipv sui singoli mercati internazionali.
77
I BIPV: UN COmPENDIO DEGLI ImPIEGHI DELLA TECNOLOGIA
Questa evoluzione del fotovoltaico ha determinato l’immissione
della tecnologia nell’ambito del linguaggio architettonico, seguendo
la direttrice segnata da quelle aziende interessate a promuovere ed
evidenziare la propria sensibilità ambientale. tale approccio esibisce
una certa coerenza ideologica con la vocazione diffusa degli impianti
energetici e presenta numerosi vantaggi teorici. da un punto di vista
pratico, però, i Bipv sono di difficile integrazione e scontano l’aporia
funzionale fra elemento costruttivo e modulo fotovoltaico, un
problema che verrà sviluppato nei paragrafi successivi. la superficie
disponibile, fra tetti e facciate esposte, solo in italia assomma a
570.000.000 di mq, con una produzione teorica, qualora fosse tutta
coperta di fotovoltaico, di 130tWh/anno, più che sufficienti per 30
milioni di famiglie. i principali ambiti applicativi sono i seguenti:
BIPV RIGIDI SU COPERTURE: è l’applicazione più semplice. si tratta di
pannelli fortemente impermeabilizzati, conformati in maniera da far
defluire l’acqua fino alle gronde e sovrapposti direttamente a una
guaina impermeabile. il gse riconosce a questi impianti uno status
speciale che consente loro di non dover accedere al registro dei grandi
impianti. la gamma di forme possibili è molto ampia va dai moduli
regolari a quelli in forma di tegole, che, però, al vantaggio di
un’integrazione relativamente più facile, e all’applicabilità anche in
molti centri storici, contrappongono un minore rendimento e un più
elevato costo unitario. studi recenti sembrano dimostrare che tali
moduli, a differenza di quelli impiegati nelle coperture piane, tutelino
il tetto e lo preservino dai raggi ultravioletti, dalla consunzione dovuta
all’acqua e dai pericoli derivanti dalla condensa46.
BIPV VETRO-VETRO: sono elementi che integrano pellicole di
fotovoltaico con silicio amorfo in vetrate di vaste dimensioni, anche
2x3 m, con forme variabili; tali soluzioni lasciano passare la luce e sono
pertanto indicati per vetrate, verande o per le facciate trasparenti degli
edifici. lo spessore del vetro dipende dalla forma e dalle sollecitazioni
previste: si tratta, ovviamente, di un parametro molto rilevante, perché
eventuali incrinature nel cristallo sono, in questo caso, estremamente
onerose. il vetro frontale non potrà che essere del tipo extra-bianco,
78
mentre il vetro posteriore può essere di differente composizione e
colore. i moduli vetro-vetro utilizzano un rivestimento in ossido di
stagno sulla superficie interna, per condurre la corrente all’esterno
della cella che contiene, invece, ossido di titanio rivestito con un
pigmento fotovoltaico. Questi pannelli sfruttano anche la radiazione
ultravioletta, oltre a quella infrarossa, e filtrano circa il 50% delle
radiazione totale, pertanto sono chiamati anche traslucidi. esistono
anche moduli fotovoltaici organici con funzioni analoghe. Questa
tecnologia, per quanto affascinante, pone notevoli problemi
applicativi, soprattutto alle nostre latitudini.
BIPV SU TETTI A BOTTE: si tratta di moduli a film sottile facilmente
adattabili alle superfici concave come i tetti dei grandi capannoni
industriali. la peculiare disposizione impedisce uno sfruttamento
ottimale della radiazione diretta, pertanto questi pannelli sono
ottimizzati per la radiazione diffusa: questi moduli compensano il
deficit di prestazione nelle ore più luminose con una maggiore
continuità e la loro collocazione su superfici generalmente molto
ampie garantisce una buona produzione di energia.
BIPV OmBREGGIANTI: è possibile impiegare dei moduli fotovoltaici
come persiane veneziane. l’orientamento può essere regolato
manualmente o automaticamente, con fotosensori o con una
programmazione oraria. Questi sistemi sono conosciuti anche come
sistemi shadow-voltaic. tali sistemi sono difficilmente applicabili,
richiedono elevatissime qualità progettuali, una pianificazione
accurata e un cospicuo investimento: i sistemi di qualità mediocre,
infatti, si rompono facilmente e richiedono frequenti riparazioni, con
un incremento dei costi di riparazione e manutenzione. Uno dei limiti
maggiori all’integrazione dei moduli fotovoltaici riguarda, come si è
già chiarito, il conflitto fra la necessità di esporre i moduli al massimo
irraggiamento e quella di garantire comfort climatico agli edifici.
l’applicazione del fotovoltaico in facciata, ad esempio, comporta un
serio problema di surriscaldamento che deve essere affrontato con
sistemi di doppia pelle o con moduli per l’ombreggiamento. tali sistemi
possono essere fissi, regolabili e retraibili e possono essere fissati al
rivestimento o direttamente alla struttura dell’edificio. nella
progettazione di tali installazioni gioca un ruolo rilevante il vento, che
potrebbe divellere i moduli. i sistemi Bms consentono di controllare
l’apertura dei pannelli manualmente ma, nel caso di strutture
fortemente aggettanti, i sistemi devono essere dotati di sensori che le
79
ritirino automaticamente in caso di vento. gli ombreggianti più ampi
e robusti, inoltre, sono dotati di accessi e passaggi percorribili, per
consentirne la pulizia e la manutenzione. È relativamente semplice
integrare moduli fotovoltaici nei sistemi di ombreggiamento, sebbene
sia necessario effettuare alcune considerazioni preventive. laddove
sia ipotizzabile una cospicua produzione di energia, è necessario
condurre simulazioni con software 3d per evitare che vadano in ombra
delle celle durante le ore di massima esposizione. Una soluzione
frequentemente adottata consiste nell’impiegare un’unica pensilina in
luogo di più moduli di brise soleil, sebbene ciò comporti altri problemi
legati alla maggiore superficie offerta al vento e a qualche difficoltà
ulteriore nella pulizia. recentemente si è preferito montare i brise soleil
a una certa distanza dalla finestra, incorporandoli in un passaggio
percorribile per garantirne la manutenzione. alcune coperture
incorporano sistemi con sensori per orientare automaticamente la
direzione dell’imposta, una funzione che può essere alimentata
dall’energia proveniente dal pv e che garantisce la massima resa nelle
ore di picco. soprattutto nel caso dei grandi edifici, si adoperano spesso
vaste coperture, che interessano un piano intero o anche di più e che
si configurano, a tutti gli effetti, come un’ulteriore struttura, quasi un
muro a cortina, munita, a sua volta, di infrastrutture di manutenzione
e controllo. Un’attenzione ulteriore è richiesta per l’installazione dei
cavi necessari a collegare gli array fotovoltaici: essi devono essere
preservati dall’acqua e dai danneggiamenti e devono essere il più
possibile convogliati insieme, al fine di non dover perforare troppe
volte il rivestimento esterno dell’edificio, con conseguenze facilmente
prevedibili.
BIPV IN FACCIATA: grandi facciate di fotovoltaico sono ipotizzabili, al
momento, solo per i grandi edifici, soprattutto privati. come si è detto,
tali installazioni comportano enormi problemi tecnologici, spesso si
tratta di sistemi a doppia pelle o facciate ventilate con moduli
fotovoltaici integrati. da un punto di vista strutturale, possiamo
distinguere fra due fondamentali tipi di facciata:
- muri esterni portanti
- facciate non portanti
allo stesso modo, esistono moduli integrati applicabili alle prime
strutture e altri applicabili alle seconde: gli schermi anti-pioggia
ricadono nel primo gruppo.
anche nell’architettura tradizionale, in pietra o mattoni, in climi
80
molto umidi la necessità di preservare gli edifici dalla penetrazione di
acqua condusse a realizzare mura cave, che interrompessero il
passaggio di acqua e facilitassero il passaggio di aria e, quindi,
l’asciugatura. lo stesso effetto si può conseguire con differenti tipi di
rivestimento esterno, con funzione antipioggia: si tratta dell’applicazione
di una pelle esterna retro-ventilata a un edificio nuovo o da
ristrutturare. il sistema è una sorta di costruzione a doppio muro, nella
quale la parte esterna protegge dall’umidità, mentre quella interna ha
funzioni di isolamento e termo-regolazione, sfruttando l’aria
imprigionata nella cavità. la parte esterna traspira come la pelle, quella
interna contiene le perdite di energia. la parte strutturale interna può
essere un muro di cemento o mattoni, integrato con pellicole
antivapore nella parte calda e membrane traspiranti in quella fredda.
Questo tipo di facciate sono sempre verticali, perché le giunture
fra i pannelli sono aperte per la ventilazione e i muri inclinati
lascerebbero entrare l’acqua. si tratta di una superficie ideale, stanti i
limiti evidenziati per i pannelli applicati in verticale, per integrare
moduli fotovoltaici, che potrebbero essere installati facilmente e senza
alterazioni; inoltre, la facciata retro-ventilata garantirebbe un
raffreddamento continuo del pannello, con un miglioramento della
performance, e fornisce spazio protetto per cavi e allacci. nonostante
si tratti di una soluzione apparentemente molto semplice, esistono due
varianti di schermo antipioggia:
- drenanti e retroventilati
- pressurizzati
nel primo caso, le file di pannelli non sono sigillate, né sono
impermeabilizzate le giunzioni, pertanto l’acqua – e l’aria –
penetrano più o meno liberamente e la conformazione interna del
pannello provvede a far defluire i liquidi che, poi, si asciugano grazie
al passaggio dell’aria. nel secondo sistema, invece, il passaggio di
aria e acqua è regolato da otturatori, per mantenere sempre un
equilibrio fra la pressione esterna e quella interna. Questo sistema,
oltre a ridurre la penetrazione di acqua, impedisce che intere file di
pannelli facciano “effetto comignolo” in caso di incendi47.da un
punto di vista architettonico, questa soluzione ha principalmente
due vantaggi: in edifici nuovi coopera all’aspetto configurazionale e
percettivo dell’architettura, poiché i pannelli possono essere colorati
e decorati, in edifici da ristrutturare, trattandosi di un elemento
applicato, esso può essere impiegato facilmente, senza intaccare le
strutture sottostanti, e con costi molto contenuti48, anche di pulizia
81
e manutenzione.
in molti edifici moderni, la funzione strutturale è demandata a
colonne e pilastri, così che è stato possibile scaricare della funzione di
sostegno le facciate dei grandi edifici. È possibile, dunque, ipotizzare
un muro applicato alla struttura ma privo di funzioni strutturali
indipendenti, che, anzi, per il suo stesso carico grava sulle strutture
portanti (con qualche eccezione a seconda dei contesti). Queste
strutture, definite “muri tenda”, sono indicate anche con il nome di
“facciate calde”, poiché l’isolamento termico è applicato direttamente
sulla superficie. esse sono costituite, generalmente, da telai di
alluminio o acciaio, con riempimenti in diversi materiali: quelli in vetro,
sebbene molto apprezzati per l’affascinante effetto percettivo e perché
garantiscono illuminazione naturale all’edificio, comportano però
notevoli problemi di termo-regolazione, così sono spesso impiegati
pannelli di metallo o di pietra, o in materie plastiche.
Queste superfici sono una soluzione economica e possono essere
adattate a superfici verticali o inclinate, anche su più livelli. i moduli
fotovoltaici possono ricoprire l’intera superficie. dal punto di vista della
performance, la mancanza di retro ventilazione, a differenza dei
rivestimenti antipioggia, può determinare un calo della resa
energetica, ma a tale inconveniente si può ovviare con una facciata a
doppia pelle, sebbene si tratti di un sistema più costoso e complesso.
esistono due tipologie di muro a cortina:
- sistemi a stick, assemblati in loco
- sistemi integrati, prefabbricati
i sistemi a stick sono molto popolari e sono detti anche sistemi
mullion-transom (colonna-traversa), poiché essi consistono in lunghi
pezzi verticali, i mullion, raccordati da lunghi pezzi orizzontali, i
transom, appunto, a creare un reticolo nel quale vengono inseriti
pannelli di vetro, metallo o altri materiali. la lunghezza degli elementi
verticali è limitata essenzialmente dal processo industriale di
estrusione, che consente di produrre travi di poco più di una decina di
metri. di relativamente facile manutenzione, poiché gli elementi di
riempimento possono essere agevolmente rimossi e sostituiti, fra i
sistemi di copertura sono probabilmente i più economici e funzionali,
perché è possibile seguirne la costruzione in fieri, e anche apportare
piccole modifiche, essendo i giunti studiati appositamente per
conseguire un certo grado di flessibilità; esistono, tuttavia, alcuni
problemi legati all’installazione, che richiede una manodopera
specializzata in loco, e, essendo condotta all’esterno, risulta soggetta
82
a condizionamenti meteorologici; infine, poiché tali sistemi richiedono
delle impalcature per poter essere montati, risulta disagevole
l’applicazione su grandi edifici. nel tentativo di incrementare la quota
di elementi prefabbricati, si è sviluppato, negli ultimi anni, un sistema
che rappresenta una evoluzione di quello stick, definito
“stick&cassette”: esso consiste nel costruire il telaio di travi incrociate
nella maniera tradizionale, installandovi, però, un quadrato
precostituito di finestre superfici opache, così da risparmiare sui tempi
di installazione49. le superfici di riempimento, fotovoltaiche o meno,
sono generalmente impermeabilizzate da guarnizioni e sigillanti, per
ridurre la penetrazione di acqua e umidità, ma la superficie, nel suo
complesso, deve essere attraversata dall’aria, per due ragioni: la prima
è legata alla necessità di asciugare la condensa e l’umidità che può
comunque penetrare, la seconda è connessa al differenziale di
pressione che, diversamente, in condizioni di forte vento
deformerebbe i pannelli; come si è già osservato in altre occasioni, il
passaggio d’aria e la dispersione del calore migliorano anche le
prestazioni dei pannelli fotovoltaici eventualmente applicati in
superficie. i moduli Bipv possono essere integrati sia in corrispondenza
delle finestre, sia negli “spandrel”, vale a dire nelle altre superfici di
riempimento. nel caso in cui siano integrati come finestre, essi
possono essere trattati esattamente come pannelli di vetro, in questo
caso saranno laminati in un vetro portante trasparente che costituirà
la superficie esterna di un’unità a doppio vetro e includerà specifici
rivestimenti per garantire bassa trasmittanza, isolamento, bassa
emissività ed, eventualmente, fotosensibilità. per evitare la rottura dei
vetri, dovuta allo shock termico, i vetri dovranno essere temperati e di
uno spessore adeguato a sostenere la spinta anche dei venti. se
integrati nella zona spandrel, invece, le celle saranno laminate in un
vetro opaco o, nel caso delle “shadow box”, semitrasparente. in questo
caso, la cavità retrostante deve essere pressurizzata e protetta da un
pannello isolante; il vetro, inoltre, deve essere temperato per sostenere
le elevate temperature. È possibile, inoltre, applicare il fotovoltaico
sulla superficie esterna di pannelli a sandwich: si tratta di due fogli di
alluminio – o uno di alluminio e un pannello fotovoltaico - pressati
intorno a del materiale isolante50.
i sistemi integrati sono stati elaborati proprio in risposta ai
problemi posti dalla precedente soluzione sui grandi edifici. si tratta
di moduli completi, già assemblati con le strutture e tutti gli elementi
previsti, compresi i sistemi di isolamento, quelli antincendio e i pannelli
83
di riempimento. i moduli sono trasportati così dalla fabbrica e possono
essere montati dall’interno dell’edificio, rendendo così superflue le
impalcature. generalmente essi hanno una larghezza di 1,5 m, e sono
alti quanto un livello, sebbene ne esistano anche alti 9m. sono molto
utilizzati in architettura, perché si prestano a un impiego su facciate
articolate e sono indicati ad accogliere rifiniture in materiali pesanti,
come la pietra: un utilizzo tipico è quello dei grandi e prestigiosi edifici
commerciali nelle città. il fatto che siano totalmente prefabbricati
costituisce un’ottima garanzia per l’installazione dei moduli Bipv,
poiché le celle possono essere integrate in fabbrica, sigillate e garantite
da processi di controllo di qualità non replicabili in un cantiere. la
contropartita di tali benefici è la minore flessibilità che esige
un’accuratissima progettazione, poiché risulta difficile intervenire su
eventuali errori ex-post.
da un punto di vista funzionale, la soluzione ideale è rappresentata
dalle facciate a doppia pelle, talvolta definite, in virtù della loro
complessità, edifici nell’edificio. Questi sistemi rispondono a un
tentativo, avviato negli anni ‘70, di migliorare le performance
energetiche delle facciate degli edifici con ampie facciate vetrate,
progettando facciate costituite da due “pelli” separate da una cavità
ventilata. Fra la parte interna, isolata, e la pelle esterna, vi è una zona
cuscinetto ventilata e che può prevedere, se necessario, sistemi di
ombreggiamento. l’aria può scorrere attraverso gli appositi passaggi
naturalmente o tramite ventilazione forzata, ed è usata per
ridimensionare il carico termico dell’edificio: la soluzione più frequente
vede una circolazione naturale di aria fresca dalla parte inferiore e aria
esausta da quella superiore. la facciata esterna si presta ottimamente
a integrare il fotovoltaico, sia in forma di pannelli piani, sia come
sistemi ombreggianti, la ventilazione continua, inoltre, raffredda i
sistemi garantendone l’efficienza e la durata. i benefici di questa
soluzione sono molteplici, poiché è possibile, in pratica, beneficiare di
due facciate, con funzioni differenti, integrando tecnologie per la
regolazione climatica, isolamento acustico, illuminazione e
ventilazione naturale e produzione di energia. la maggior parte dei
vantaggi connessi alle doppie facciate è legata alla ventilazione
naturale, vale a dire da quel circolo d’aria naturalmente generato da
variazioni di temperatura e pressione. l’aria fredda penetra dalle
aperture praticate in basso, viene riscaldata attraversando la camera
d’aria, ed esce dalle aperture in alto, in estate portando via aria esausta
e calda, in inverno, quando la facciata esterna è predisposta a
84
intercettare il massimo della radiazione solare diretta, riscaldandosi e
impedendo la dispersione di calore, fungendo da cuscinetto isolante.
Quando le condizioni di pressioni e temperatura sono inadeguate a
generare il flusso di aria è necessario ricorrere ad appositi sistemi di
ventilazione meccanica o ibrida. Un fattore importante per le
performance termo-regolatrici delle facciate a doppia pelle riguarda i
percorsi che l’aria percorre nella parte cava. in caso di installazione di
moduli fotovoltaici, ad esempio, sarà necessario ripartire la facciata su
un reticolo corrispondente ai moduli, il che, riducendo l’effetto
comignolo, renderà di fatto irrealizzabile una strategia di ventilazione
naturale; anche la creazione di passaggi orizzontali sortisce lo stesso
effetto. Una soluzione a questo problema può consistere nel creare dei
camini e disporre le interruzioni in aree modulari pre-determinate, in
maniera tale che sia sempre garantita la ventilazione naturale almeno
su una parte della facciata. per quanto riguarda l’applicazione del
fotovoltaico, il discorso è esattamente lo stesso fatto per i sistemi a
cortina, con bipv applicabili sia in luogo delle finestre sia nelle aree di
riempimento. le facciate a doppia pelle sono strutture modulari ma la
loro manutenzione deve avvenire prevalentemente dall’esterno: ciò,
nel caso di grandi edifici, può comportare qualche difficoltà.
da un punto di vista, invece, della conversione di energia, la
prestazione migliore è garantita dai moduli integrati in tettoie, tende,
elementi aggetanti: mai ombreggiati, vicini all’angolo di inclinazione
ottimale, facili da ventilare, l’integrazione in questi elementi è ideale,
inoltre, se si desidera impiegare il fotovoltaico senza alterare l’aspetto
dell’edificio. il principale problema legato alla progettazione di questi
impianti riguarda la gestione dello spazio interno, soprattutto nel caso
di un’elevata percentuale di area vetrata: le perdite di calore in inverno
e il surriscaldamento estivo sono un rischio considerevole e quasi
inevitabile. inoltre, soprattutto nel caso di tetti con piccole inclinazioni,
c’è il rischio di condensa, nella parte inferiore del vetro, e di accumulo
di sporco nella parte superiore.
negli ultimi anni l’industria ha sviluppato una filiera produttiva molto
efficiente e capillare per la realizzazione di moduli per facciate di
fotovoltaico ed è anche consentita, al progettista, una certa possibilità di
scelta che, però, condiziona, inevitabilmente, i tempi di realizzazione. la
decisione di adottare pannelli non standard, o di sperimentare
configurazioni inconsuete in facciata, comporta il rischio che struttura
portante – di qualunque genere essa sia – e pannelli fotovoltaici non si
attaglino, con problemi realizzativi molto seri e forte aggravio dei costi.
85
note
1
perlin John, Dal Sole. L’energia solare dalla ricerca spaziale agli usi sulla terra,
edizioni ambiente, milano, 2000, p. 18.
2
ibidem, p. 26.
3
Bell telephone laboratories, organizzazione statunitense di ricerca costituita
nel 1925 come sussidiaria dell’at&t (american telephone and telegraph) e
dal 1996 assorbita dalla lucent technologies. da ricerche (nei campi della
fisica, della chimica e dell’elettronica) finalizzate allo sviluppo del sistema di
telecomunicazioni degli Usa, estese poi il suo campo di attività anche ad altri
settori, con importanti risultati nel campo delle microonde da parte di c.h.
townes, realizzando i primi transistori, la prima batteria solare, il laser, il primo
satellite per comunicazioni telefoniche telstar, il sistema operativo Unix
(inizialmente denominato multics) e il linguaggio di programmazione c. Ben
11 ricercatori, nel corso della loro permanenza presso i B., hanno ricevuto il
premio nobel per la fisica.
4
ibidem, pp. 29-35.
5
ibidem, pp. 53-55.
6
ibidem, pp. 57-58.
7
ibidem, pp. 39-44.
8
micheli davide, Il fotovoltaico nelle applicazioni spaziali, pp. 12-13.
9
rifkin Jeremy, entropia, p. 80.
10
perlin John, op.cit., p. 109.
11
ibidem, pp. 126-136: 129-131.
12
ibidem, p. 135.
13
si tratta di un documento prodotto dalla commissione europea e approvato
dal parlamento che definisce le strategie energetiche dell’Unione, un tema
cruciale nel quale si è ribadito lo sforzo, animato non solo da genuine istanze
ambientaliste, di ridurre tramite le rinnovabili la dipendenza da combustibili
fossili.
14
groppi Francesco, Il fotovoltaico per tutti, editoriale delfino, milano, 2010,
pp. 10-12.
15
ibidem, pp. 14-16.
16
ibidem, pp. 17-18.
17
ibidem, pp. 21-23.
18
ibidem, pp. 26-33.
19
ibidem, pp. 37-38.
86
20
ibidem, pp. 41-43.
ibidem, pp. 54-55.
22
roberts simon, guariento nicolò, Building Integrated Photovoltaics. A
Handbook, springer, 2009, pp. 32-39.
23
groppi, op.cit., 133-135.
24
roberts, guariento, op.cit., p. 40.
25
ibidem.
26
reil F., Qualification of arcing risks in PV modules, in photovoltaic specialists
conference (pvsc), 2012 38th ieee, pp. 727-730.
27
groppi, op.cit., pp. 175-189.
28
spagnolo mauro, Il sole nella città. L’uso del fotovoltaico in architettura,
Franco muzzio, roma, 2002, pp. 30-36.
29
vasilis m. FthenaKis, hyUng chUl Kim, eriK alsema, Emission from
Photovoltaic life Cycles, http://pubs.acs.org/doi/pdfplus/10.1021/es071763q
30
http://scorecard.goodguide.com/chemical-profiles/rank-industrial sectors.
tcl?edf_substance_id=7647-01-0&edf_chem_name=hydrochloric%20
acid&type=mass&category=total_env&modifier=na&fips_state_code=entir
e%20United%20states&how_many=100
31
http://scorecard.goodguide.com/chemical-profiles/rank-industrial
subsectors.tcl?how_many=100&type=mass&category=total_env&modifier=
na&fips_state_code=entire%20United%20states&edf_substance_id=764701-0&edf_chem_name=hydrochloric%20acid&sic_2=49&sic_desc=elec
tric%2c%20gas%2c%20and%20sanitary%20services
32
i monopolisti del silicio, ovviamente, osteggiano la diffusione del riciclaggio
del minerale anche da pannelli obsoleti, un processo che oggi, infati, è
praticato diffusamente solo in cina, dove la disponibilità di manodopera e la
preminenza politica consentono di ignorare molte dinamiche di trust
internazionali.
33
croce peppe, Tetti fuori controllo, in la nuova ecologia, a. XXXiv, n°1, pp.
15-17.
34
groppi, op.cit., pp. 175-180; cfr.anche spagnolo, op.cit., p. 217.
35
http://www.ilsole24ore.com/art/nuove-energie/2013-12-19/cambiageografia-solare-corrono-cina-giappone-e-usa-male-italia-175553.shtml
36
catalogo impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative, gse,
agosto 2012.
37
photon international, “all about modules”, solar power magazine, February,
2011.
38
James ted, goodrich alan, Woodhouse michael, margolis robert , ong sean,
Building-Integrated Photovoltaics (BIPV) in the Residential Sector: An Analysis
of Installed Rooftop System Prices, nrel (U.s. gov.), 2011.
21
87
39
patrina eiffert, gregory J. Kiss, Building-Integrated Photovoltaic Designs for
Commercial and Institutional Structures: A Source Book for Architect, 2000,
p.59.
40
James&alii, op.cit.
41
iea, Potential for Building Integrated Photovoltaics, technical report, pvps
t7-4.
42
iea, Clean Energy Progress Report.
www.iea.org/papers/2011/cem_progress_report.pdf, accessed april 2011.
43
James&alii, op.cit..
44
Kempe m.d., Ultraviolet light test and evaluation methods for encapsulants
of photovoltaic modules, elsevier, 2011. www.elsevier.com/locate/solmat
45
rsmeans, Building Construction Cost Data. norwell, ma: reed construction
data, 2010.
46
patrina eiffert, Building-Integrated Photovoltaic Designs for Commercial and
Institutional Structures: A Source Book for Architect, 2000, pp.60-61.
47
roberts, guariento, op.cit., p.72
48
roberts, guariento, op.cit., p.70
49
roberts, guariento, op.cit., p. 94.
50
roberts, guariento, op.cit., pp. 92-93.
88
Capitolo 3
UNA PREmESSA ALL’ANALISI DEI PROGETTI
nel primo capitolo di questa ricerca si è cercato di chiarire quale
sia lo scenario con il quale deve confrontarsi l’architetto, in quanto
cittadino e professionista: l’architettura, disciplina di trasformazione
per antonomasia, non può ignorare le complesse problematiche
ambientali che stanno imponendo una riconversione verde di tutte le
attività economiche. non è inoltre da sottovalutare il fatto che, la
rilevanza di queste tematiche – e i potenti canali di business che esse
hanno aperto – hanno indotto il legislatore di tutti i paesi sviluppati a
prevedere normative precise, con le quali il professionista è costretto
a confrontarsi. il primo capitolo ha chiarito che la tecnologia
fotovoltaica non può che assumere un ruolo sempre più rilevante nelle
politiche energetiche e, su scala minore, nelle architetture: qualora ce
ne fosse la necessità, l’esperienza dei primi quattro conti energia ha
dimostrato quanto dannoso sia un approccio “petrolifero” al
fotovoltaico, vale a dire quanto pericoloso e controproducente,
nell’interesse collettivo, sia lasciare campo libero agli interventi
speculativi come i campi fotovoltaici. l’integrazione dei pannelli
nell’architettura, pertanto, appare come la migliore via praticabile,
sebbene, come visto nel secondo capitolo, gli interventi finanziati dal
conto energia non possano dirsi soddisfacenti, da un punto di vista
architettonico. sempre nel primo capitolo, infine, si dimostra come
la corretta interpretazione di questa tecnologia sia quella di
riconoscervi un’integrazione, per quanto importante e sostanziale,
di una più vasta strategia energetica che non può che procedere
dalla riduzione del fabbisogno energetico: considerazioni di etica
ambientale, più prosaiche valutazioni economiche e un pragmatico
approccio ecologista impongono la riduzione dei consumi,
l’ottimizzazione dell’efficienza energetica e il recupero e il riuso di
risorse e materiali. il pannello fotovoltaico, infatti, è un manufatto
elettronico dall’elevato impatto ambientale, un impatto molto più
ridotto di quanto certe fole anti-fotovoltaiche abbiano voluto
insinuare e ulteriormente riducibile con un più organizzato sistema
di riciclaggio delle componenti e dei materiali, ma ciò non toglie che
se l’incremento costante dei fabbisogni energetici, dovesse essere
soddisfatto con il solo fotovoltaico si porrebbero non pochi problemi
di inquinamento ma anche di approvvigionamento del minerale, da
91
anni oggetto di un trust sempre più stringente.
la breve storia del fotovoltaico, che apre il secondo capitolo,
intende dimostrare come si siano evidenziati, nel corso degli anni, tre
impieghi principali della tecnologia: più che sulla storia della
tecnologia, e quindi dell’invenzione, si è scelto di concentrare
l’attenzione sull’innovazione, vale a dire sulle funzioni che tale
tecnologia ha rivestito. esse possono essere così schematizzate:
- il Fotovoltaico come risorsa energetica, l’approccio dei grandi
campi fotovoltaici, il cui obiettivo è produrre la maggiore quantità
possibile di energia;
- il Fotovoltaico come sopravvivenZa, poiché questa tecnologia ha
consentito di portare l’energia in aree ostili e disagevoli come i poli, le
vette dei monti, la giungla;
- il Fotovoltaico come rete, vale a dire quell’approccio, il più
virtuoso, che prevede che ciascun quartiere si trasformi in una
comunità dell’energia, nella quale l’energia venga prodotta e
consumata in loco, senza trasferimenti, dispersioni e infrastrutture
dall’elevato impatto ambientale.
Questa ricerca intende concentrarsi sugli ultimi due: il fotovoltaico
come rete, in particolare, è qui proposto come la soluzione migliore,
più praticabile e opportuna, ma il fotovoltaico come sopravvivenza
costituirà oggetto esclusivo di uno dei paragrafi successivi, nei quali
verranno analizzate alcune strutture erette in aree difficili – due rifugi
alpini e una stazione di studio antartica – e dotate di fotovoltaico.
l’analisi di questi interessi presenta due aspetti particolarmente
interessanti:
- la possibilità di studiare l’approccio adottato dai progettisti in un
edificio nel quale il fotovoltaico non costituisce una possibilità o
un’opportunità ma un’esigenza insormontabile;
- l’aspetto tecnologico, poiché tali manufatti devono resistere – e
garantire comfort – in condizioni climatiche terribili.
il secondo capitolo contiene indicazioni tecniche sulle celle e sui
moduli fotovoltaici, una premessa fondamentale all’analisi sviluppata
sugli esempi del terzo capitolo. l’impiego del fotovoltaico, infatti, è
sostanzialmente condizionato dalla forma delle celle e dalla forma dei
moduli: dopo una fase pionieristica, nella quale le aziende produttrici
hanno cercato le indicazioni degli architetti per creare un mercato, lo
scenario attuale vede una rigida standardizzazione dei moduli, un
vincolo ferreo per l’architetto. le caratteristiche dei moduli devono
essere tenute in conto per questioni di funzionalità e sicurezza molto
92
rilevanti; in particolare, l’architetto deve valutare, fra i problemi di
orientamento e le questioni configurazionali, i seguenti parametri:
- la temperatUra: i pannelli fotovoltaici funzionano in maniera
ottimale a una temperatura di 25 c°, temperature superiori ne riducono
le prestazioni in maniera cospicua, fino a 0,5% per ogni grado in più.
non è l’unico problema da considerare, però: tutta la radiazione solare
che non viene convertita in energia elettrica, infatti, si trasforma in
energia termica, provocando un surriscaldamento delle celle e della
parte posteriore del pannello, che può raggiungere temperature
superiori ai 75 c°. gli effetti del surriscaldamento possono essere molto
gravi, possono compromettere il funzionamento delle celle – e quindi
dell’intero array – possono fondere guaine o altri materiali
termosensibili sottostanti e possono addirittura scatenare incendi.
- l’omBreggiamento: si ritiene abitualmente che l’ombreggiamento
di un modulo comporti semplicemente una perdita di efficienza ma così
non è. la riduzione dell’energia in uscita da una cella, infatti,
soprattutto in assenza di adeguati dispositivi di controllo, può
comportare un trasferimento di energia da altre celle, con sovraccarichi
e danni permanenti al sistema; esiste, inoltre, un problema legato al
vetro: un’ombra proiettata su un pannello esposto, infatti, può
determinare uno shock termico tale da frantumare il vetro. i vetri
temperati sono, ovviamente, meno soggetti a questo tipo di problemi
ma sono molto costosi e molto pesanti.
- QUestioni strUttUrali: i moduli rigidi, soprattutto quelli con vetri
temperati, hanno un peso ragguardevole che si incrementa
drasticamente con l’aggiunta delle strutture di sostegno e, qualora sia
il caso, delle zavorre, fino a raggiungere un peso superiore a 40-50
Kg/mq. sebbene non sia un carico gravoso, esso rende opportuna la
consulenza di uno strutturista, soprattutto in zone soggette a
precipitazioni nevose. i pannelli in copertura, infatti, trattengono la
neve, generando una situazione di sovraccarico. la questione del peso
dei pannelli assume, ovviamente, maggiore rilevanza in grandi edifici
con facciate fotovoltaiche, con moduli con molte celle e, quindi, molto
pesanti. in questi casi il peso dei pannelli è tale da complicare anche le
operazioni di installazione, rimozione, manutenzione.
- percorsi per la manUtenZione: manutenzione e pulizia vanno
erogate con frequenza perché i pannelli, tipicamente esposti
all’esterno, si sporcano facilmente. È molto raro, però, che il
progettista di un impianto preveda adeguati percorsi per l’accesso ai
pannelli o, quantomeno, a tutte le file di pannelli. l’accessibilità ai
93
moduli costituisce, invece, un aspetto molto importante della
progettazione di un impianto, poiché ne condizionerà in maniera molto
significativa la funzionalità e l’economicità.
il paragrafo sul conto energia ha l’obiettivo di dimostrare come il
concetto di integrazione sia stato inopportunamente esteso a casi
molto discutibili, addirittura indicati come sperimentali. l’ultimo
paragrafo del secondo capitolo, infine, introduce il tema dei Bipv
(Building integrated photovoltaic), i moduli fotovoltaici integrati
nell’architettura. il tema è stato analizzato da un punto di vista tecnico
ed economico, poiché l’aspetto economico costituisce un nodo
rilevante nella penetrazione di questa tecnologia sul mercato. si sono
analizzati i punti di forza e di debolezza di questa soluzione,
concludendo che si tratta di un’applicazione molto promettente. si è
riscontrato, ad esempio, che sebbene siano naturalmente vocati
all’integrazione nei centri storici, essi sono impiegati soprattutto negli
stati Uniti e in cina, dove sopravvive un mercato dei grandi edifici ex
novo: i Bipv, infatti, nel caso di edifici ex novo sono molto convenienti,
poiché consentono di risparmiare sui materiali da costruzione. sono
state individuate alcune macro-tipologie di moduli integrati:
- moduli integrati rigidi su coperture
- moduli integrati vetro-vetro
- moduli integrati a botte
- moduli integrati ombreggianti
- moduli integrati in facciata
Questo capitolo tira le fila del ragionamento sviluppato finora e
vuole verificare quali soluzioni architettoniche siano state adottate per
integrare la tecnologia fotovoltaica nell’architettura. verranno presi in
esame quattro gruppi di manufatti, a cominciare dalle opere di tre
architetti di rilievo: mario cucinella, philippe samyn e lo studio Feilden
clegg Bradley. Questi autori hanno offerto interpretazioni differenti
del fotovoltaico ma tutte di grande interesse; dall’analisi delle opere
emergerà non solo l’impiego che essi fanno dei moduli integrati, ma
soprattutto l’idea che professano di sostenibilità e architettura.
nonostante la grande scala di molti degli edifici analizzati, l’importante
committenza, i cospicui budget impiegati e le notevoli competenze
disponibili, molte soluzioni adottate dai grandi architetti risultano
praticabili e replicabili anche nell’architettura quotidiana, fornendo
indicazioni preziose.
verranno successivamente presi in esame alcuni edifici, significativi
per l’impiego dispiegato della tecnologia in esame e di natura
94
sperimentale, nei quali si affrontano questioni relative all’integrazione
del fotovoltaico, ma anche dell’efficienza energetica, molto rilevanti.
si dedicherà, poi, come anticipato, un paragrafo all’analisi del
fotovoltaico di “sopravvivenza”, vale a dire di quegli edifici che hanno
necessità imprescindibile di autosufficienza energetica perché isolati
in contesti ostili. dall’osservazione di questi esempi emergerà come gli
aspetti tecnologici informino in maniera radicale e affascinante la
morfogenesi degli edifici, esemplandone la configurazione rispetto al
contesto. si dedicherà attenzione, inoltre, agli aspetti tecnologici, di
grande interesse in questo caso, e ai metodi costruttivi, un altro
problema rilevante in alta quota o a temperature intollerabili.
si analizzeranno, infine, quelle architetture che hanno assunto il
fotovoltaico come segno, interpretandone più la vocazione ideologica
che l’aspetto tecnologico e funzionale: recenti studi, riferiti nel secondo
capitolo, attestano che l’estetica costituisce un fattore di penetrazione
per il fotovoltaico molto potente, e il mercato del design, più reattivo
e dinamico di quello dell’edilizia, potrebbe costituire un vettore di
avanzamento e progresso.
dall’analisi di questi progetti emergerà uno scenario internazionale
che ha già compiuto molti passi in avanti in tema di integrazione della
tecnologia e in materia di consapevolezza ambientale. tutti i progetti,
infatti, mostrano un approccio integrato alle questioni ecologiche,
privilegiando soluzioni passive, ottimizzando i cicli chiusi, spesso
estendendo l’attività dell’architetto oltre il manufatto, verso il contesto
nel quale l’edificio si immette. esiste, purtroppo, uno scarto fra questa
architettura e l’architettura quotidiana, un gap reso più evidente dalla
scarsa partecipazione degli architetti alla filiera del fotovoltaico.
nonostante negli ultimi anni molte aziende si siano rivolte a designer
per concepire pannelli dalle linee più accattivanti, è mancata la
consulenza di un architetto nella concezione dei moduli, così come è
mancata, agli architetti, per lungo tempo, la volontà di comprendere
a fondo la tecnologia per poterne disporre al meglio nel processo di
genesi del progetto. i grandi studi professionali, invece, hanno operato
all’inverso, inglobando al loro interno – e quindi nell’elaborazione del
progetto d’architettura – le competenze ingegneristiche.
95
L’INTEGRAZIONE
DEL FOTOVOLTAICO: TRE ARCHITETTI EmBLEmATICI
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
PHILIPPE SAmYN, mARIO CUCINELLA, FEILDENCLEGGBRADLEY STUDIOS
philippe samyn1 prevede sempre il fotovoltaico nei suoi progetti,
mostrando grande flessibilità nella scelta delle modalità di integrazione. la breve carrellata di progetti dimostrerà come ciò sia dovuto
anche alla collaborazione con la issol, una società che produce moduli Bipv di altissima qualità: la forte relazione con questa azienda consente all’architetto di elaborare soluzioni precluse a molti altri,
soprattutto per questioni economiche. Una delle caratteristiche dei
progetti di samyn, qui evidente soprattutto nella stazione dei pompieri
di houten e nel colossale euro space center, consiste nel fatto che egli
tende a concepire il complesso come due differenti strutture, concettualmente e funzionalmente autonome, sebbene interconnesse: l’indipendenza delle due compagini è spesso ulteriormente enfatizzata
dal ricorso a forme, segni, temi e materiali differenti. generalmente,
alla struttura esterna è rimesso il compito di alloggiare i moduli pv e
assume spesso forme molto particolari, mentre quella interna ha sovente volumi semplici, involucro massiccio e resistente, e ospita le funzioni principali. anche all’interno della produzione di questo
sperimentatore del fotovoltaico, l’edificio sede della issol costituisce
un unicum, per la qualità e la quantità delle tecnologie impiegate e per
la complessità del progetto che dispiega una serie di accorgimenti bioclimatici che difficilmente si rinvengono in altre opere del progettista
belga. il progetto per l’Università di lingua francese di Bruxells, infatti,
dimostra come, quando il budget è più contenuto, l’architetto debba
riservare i moduli Bipv alle coperture sopraelevate, mentre il grande
edificio per il centro operativo di Brutele-voo, sembra suggerire che,
in realtà, il fotovoltaico rappresenti più un elemento linguistico e iconico che una soluzione, nella visione dell’autore.
Fire station2– hoUten, netherlands 1998-2000
l’autorità municipale di houten ha commissionato a samyn una
piccola stazione dei vigili del fuoco, in un sito circondato dal verde.
houten dispone di una forza di di vigili del fuoco ibrida, quattro pompieri professionisti e una sessantina di volontari, con sei autopompe,
96
97
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
delle quali il progettista era obbligato a tenere conto. la direttrice
fondamentale della progettazione consiste nella divisione fra la
struttura del tetto e l’organizzazione interna: essa rappresenta l’idea
del rifugio, l’indipendenza del guscio dalla costruzione stessa. gli interni sono concepiti in relazione alle esigenze del committente,
mentre la scelta di una forma parabolica per il tetto è il risultato della
ricerca di una linea elegante ma è stata condizionata anche da considerazioni pratiche, ottimizzando, di fatto, i processi produttivi e la
resa energetica. l’edificio appare, infatti, costituito da un blocco, in
forma di parallelepipedo, massivo e coeso, rivestito dall’onda della
copertura. l’area meridionale dell’edificio è uno spazio trasparente,
di vetro: qui è conservato l’equipaggiamento dei vigili del fuoco, esibito come in una grande vetrina. Questo vasto spazio, compreso fra
il rivestimento trasparente e un massiccio muro di mattoni, riveste
anche la funzione di cuscinetto termico, fungendo da isolante in
estate e in inverno. tutte le altre funzioni sono state raccolte nell’area settentrionale, delimitata da uno spesso muro portante in
mattoni. dai corridoi aperti è possibile vedere le autopompe e accedervi rapidamente. il piano terra ospita le docce e gli spogliatoi – con
le attrezzature connesse – e un deposito-officina meccanica; al
primo piano sono collocati un bar e una sala conferenze, mentre al
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
secondo piano sono disposti gli uffici e il deposito per l’equipaggiamento tecnico. la stazione sorge in un’area con una composizione
sociale problematica, così il comune ha pensato di coinvolgere oltre
2000 bambini delle scuole elementari, per rappresentare su pannelli
l’aspetto epico del mestiere del pompiere. i pannelli sono stati installati a rivestimento del muro di mattoni, a sua volta preservato
dalla facciata trasparente, come in una sorta di quadro: il coinvolgimento diretto delle famiglie del quartiere nella costruzione e nella
configurazione della stazione dovrebbe tutelare l’edificio da atti di
vandalismo. la facciata di vetro prevede sei ampie aperture per consentire la rapida uscita dei mezzi dei vigili. la forma complessiva
della stazione appare come una moderna variante del tema tradizionale dell’hangar. la disposizione dell’edificio sull’asse est-ovest
ha consentito di beneficiare della lunga facciata meridionale, per installare delle celle fotovoltaiche su vetro. i pannelli, semi-trasparenti, installati su telai di alluminio, costituiscono una cortina che
segue l’andamento parabolico della facciata, provvedendo anche a
schermare una parte della radiazione luminosa, al fine di evitare un
surriscaldamento eccessivo in estate.
eUro space center at liBin-transinne3 – province de lUXemBoUrg, BelgiUm
2008-09
situato a libin-transinne, lungo la via che collega Bruxells al lussemburgo, lo euro space center si occupa di diffondere la conoscenza
relativa all’esplorazione spaziale e alle teecomunicazioni in europa. in
aggiunta all’esibizione e alle attrezzature interattive, offre l’opportunità a tutti di familiarizzare con le scienze spaziali, promuovendo la
rappresentazione di attività didattiche – di alto livello – il che ha catalizzato l’interesse di investitori attivi nelle tecnologie satellitari per le
telecomunicazioni. il progetto prevede un’inclusione di queste funzioni
in una sorta di villaggio modulare, consistente in costruzioni di legno,
di 2-4 livelli, disposte in una configurazione di geometria evolutiva. Un
vasto parallelepipedo (52.80 m di lunghezza, 43.20 m di larghezza e
16.20 m di altezza), concepito come una grande serra, raccoglierà tutto
l’insieme sotto un tetto comune. la facciata vetrata lungo la strada è
prolungata da una galleria di 120 metri che riveste l’edificio pre-esistente. la hall e la galleria sono ritmate da elementi in sottili tubi d’acciaio da 4.80 m. Quattro piani orizzontali di cavi, distanti l’uno dall’altro
98
99
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
circa tre metri, connettono i tubi verticali in entrambe le direzioni ortogonali per impedire cedimenti. gli stress indotti dai cavi, come quelli
provocati dal vento, sono distribuiti sul perimetro da strutture verticali
costituite da due colonne raccordate da barre incrociate e cavi. Questo
impianto tridimensionale di barre e cavi costituisce il supporto ideale
per i grandi cartelli che segnalano dall’autostrada la presenza del centro. il fotovoltaico è, come in quasi tutte le opere di samyn, uno degli
elementi caratterizzanti del progetto. in questo caso l’architetto impiega moduli con funzione di grandi brise-soleil, sulla facciata meridionale e foggia il tetto come una successione di timpani a capanna, le cui
falde sono analogamente rivestite di moduli. di fatto, anche in questo
progetto, samyn non integra il fotovoltaico nell’edificio, ma concepisce
due grandi strutture, separate e indipendenti, differenti per materiali
e logica compositiva, e assegna a una il ruolo di guscio interno, all’altra
il ruolo di grata esterna e sostegno per il fotovoltaico. da un punto di
vista tecnico, è ragionevole ipotizzare che i 5000 mq di fotovoltaico
impiegati siano non funzionino a pieno regime, soprattutto è probabile
che i brise-soleil in facciata si ombreggino a vicenda.
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
UlB plaine4 – overall BUilding plan and em/stic applied sciences BUilding – campUs de la plaine UlB BrUssels, BelgiUm 2010
la UlB (libera Università di Bruxells, sezione di lingua francese)
vuole raccogliere nel campus di la plaine tutte le facoltà che potrebbero costituire un centro di ricerca e innovazione. l’impianto generale
del progetto mira a ottimizzare le caratteristiche energetiche e ambientali dell’opera, per elaborare una configurazione razionale e innovativa del sito. in funzione del programma imposto, su un’area coperta
di quasi 10 ha, il nuovo progetto prevede oltre centomila metri quadri
di aree di nuova costruzione e ne preserva oltre cinquantamila di costruzioni preesistenti, abbattendone circa novemila. i nuovi edifici sono
costruiti secondo gli assi cardinali e orientati nella configurazione ottimale per le funzioni. i blocchi residenziali sono disposti sull’asse estovest, fino al confine con la sezione di lingua olandese dell’università.
si tratta di un orientamento ideale per le abitazioni e implica, inoltre,
che questi blocchi non fronteggiano direttamente gli edifici deputati
alla didattica. gli uffici e i laboratori degli istituti sono per la maggior
parte orientati sull’asse nord-sud, con l’intento di ottimizzare l’esposizione al sole, secondo le necessità. l’altezza relativamente contenuta
degli edifici (da 2 a 6 livelli), fa sì che il sito paia aprirsi verso la città.
Una strada collega i due campus e termina in un parco che accoglie i
visitatori: si tratta di un focus del progetto, poiché questa è l’area più
visibile e simbolica, aperta, anche percettivamente, sia agli studenti
sia alla città. il parco e il sentiero sono preclusi al traffico veicolare, fungendo da raccordo fra i vari campus, il centro d’azione laica (cal) e
100
101
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
soprattutto la biblioteca, forse il più importante e rilevante edificio del
complesso.
l’impiego del fotovoltaico in questo grande complesso riflette la
richiesta della committenza di un progetto rilevante e funzionale ma
con un budget limitato. samyn elabora, pertanto, una serie di pensiline
e coperture sopraelevate, leggere e aeree, rivestite di moduli Bipv.
come gli edifici, anche queste strutture esibiscono le semplici ed essenziali linee che l’architetto ha scelto per comunicare la razionale
compostezza dell’edificio e delle attività che esso ospita.
l’edificio “em/stic” ospita le sezioni di ingegneria elettromeccanica e di scienze e tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni,
e costituisce il primo nucleo di una struttura più grande che, nel progetto complessivo, ospiterà l’intero dipartimento di scienze applicate.
il primo intervento copre un’area di 16.710 mq (degli oltre 35.000 totali,
quando sarà completato il progetto): la sezione di ingegneria delle
strutture e delle costruzioni sarà ospitata nell’estensione meridionale
e la parte che ospiterà l’isiB, il collegio degli ingegneri di Bruxells, sarà
nella zona nord. Una volta completato, l’edificio rappresenterà circa
un terzo delle superfici coperte nel campus. sorgerà sull’asse nord-sud,
fra un gruppo di edifici pre-esistenti e il cal. Questa disposizione offre
i seguenti vantaggi:
l sito sul quale sorge non è costruito ed è libero da impedimenti.la
prossimità agli edifici pre-esistenti promuove un’efficiente sinergia, in
particolare perché consente di raggruppare tre sezioni afferenti alle
tecnologie informatiche.
la disposizione nord-sud dell’edificio consente di collocare sullo
stesso asse la maggior parte degli uffici e dei laboratori, massimizzando le opportunità di schermatura in estate e di esposizione in inverno.
l’edificio ha una facciata meridionale, sulla nuova piazza di accoglienza, della quale costituisce un elemento fondamentale. È inoltre
visibile dalla città e appena ci si approssima al sito. È rilevante che tale
visibilità sia riservata agli edifici costruiti nella prima fase.
la disposizione del nuovo edificio em/stic beneficia della precedente entrata al sito, collocata a nord-ovest, sul Boulevard de la plaine.
consente l’accesso al nuovo parcheggio esterno e alle piattaforme di
carico delle officine della sezione elettromeccanica.
la struttura ha un asse di circolazione interno nord-sud che corrisponde a quello di circolazione del sito, che connette l’entrata principale del campus con la parte del campus corrispondente
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
all’università di lingua olandese.
aree cUscinetto
le aree collocate fra le differenti ali degli edifici costituiscono dei
cortili interni coperti da volte in vetro simili a quelle di una serra e da
brise-soleil in facciata: esse costituiscono aree cuscinetto che, in aggiunta ai molti vantaggi come il comfort termico e acustico, la riduzione della spesa energetica, la protezione dal vento, l’illuminazione
naturale, creano uno spazio gradevole. i cortili interni, infatti, sono luoghi ideali per incontrare persone, promuovere relazioni e rilassarsi con
qualunque condizione meteorologica, rendendo quegli spazi sempre
fruibili. il fatto che le coperture di questi spazi siano ricoperte di verde
migliora le condizioni ambientali e la vivibilità e offre una piacevole
vista alle stanze che da lì traggono la luce solare.
modUlaZione degli spaZi e organiZZaZione
l’edificio è modulato in una griglia ideale di 3 m. per ragioni economiche, il progetto ha adottato la ripartizione più minuta fra quelle
possbili, e ha ripartito gli spazi in due per aumentare la flessibilità e
l’adattabilità della struttura. Questa modulazione è estesa a tutto l’edificio, in accordo alla generale disposizione ortogonale. il piano è libero,
aperto, con le colnne e i cavi verticali come unici elementi di sostegno
fissi. la divisione è effettuata usando pannelli di cartongesso, economici, flessibili e facilmente rimovibili, che non alterano la percezione
unitaria dell’ambiente e non precludono trasformazioni successive.
adattaBilità e dUrevoleZZa dell’ediFicio
l’em/stic è progettato con una spiccata attenzione alla lunga durata delle strutture e dei materiali:
Flessibilità: tutte le superfici sono di dimensioni standard, con moduli prefabbricati, i corridoi possono essere orientati in relazione ai bisogni, le ripartizioni interne, con muri prefabbricati leggeri, possono
essere rimodulate facilmente, come l’impiantistica.
Facilità di uso: tutti i piani sono sullo stesso livello, per assicurare
la massima adattabilità alle esigenze didattiche o di ricerca e per consentire accessibilità piena anche a persone con mobilità ridotta.
l’architettura minimalista dell’edificio, di carattere industriale e
tecnologico, si attaglia perfettamente alla funzione e conferisce un’immagine apppropriata alla facoltà di scienze applicate.
i materiali sono semplici, resistenti e standardizzati, in gran parte
prefabbricati.
le altezze dei piani sono diversificate in accordo alle funzioni di de102
stinazione: le officine sono alte sei metri, al piano terra, i laboratori, al
secondo piano, sono alti 3,6 m, gli uffici, al terzo e quarto piano, 2,6 m.
lUJiaZhi cUltUral creativy garden ZhoUshan p1-entry oF the site5 –
ZhoUshan, china 2010
il governo locale di Zhou shan (est della cina, un arcipelago di isole)
ha rimesso a Wang shu la missione di riqualificare il porto e l’area industriale dell’isola di lujiazhi, trasformandola in un sito turistico e culturale, preservando i moli e le attività portuali, a memoria dei trascorsi
industriali dell’isola. trasformando il suo incarico in un progetto di architettura contemporanea innovativa, Wang shu ha coinvolto 14 architetti premiati con il global award for sustainable architecture, fra
2007 e 2009. ognuno dei 16 progetti si concentra su un aspetto dell’architettura sostenibile contemporanea. samyn ha dichiarato di aver
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
103
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
tratto ispirazione per il progetto dal genius loci, dal percorso del sole e
dal clima. Fra le altre caratteristiche del sito, l’attività del porto ha promosso l’acquisizione di talenti nella carpenteria in acciaio, il che ha indotto l’adozione di piastre d’acciaio e tecnologie cantieristiche come
elemento caratterizzante del progetto. il contesto architettonico vede
la coesistenza di costruzioni vernacolari e industriali, la cultura locale
e l’artigianato, infatti, si sono sviluppati insieme, creando un ambiente
unico e suggestivo. a samyn è stato affidata la progettazione di una
struttura multifunzionale all’ingresso del sito, con parcheggio, una
zona ristoro e bar, e una torre.
la vegetazione lussureggiante sulla montagna, il clima e la configurazione generale del sito hanno suggerito una soluzione leggera e
trasparente che garantisca il massimo spazio a persone e giardini e il
minimo spazio alle auto. l’edificio principale segue il lato lungo del parcheggio per oltre 50 metri, con una larghezza di appena 7 metri, mentre si sviluppa in altezza su tre livelli. all’interno, lo spazio è articolato
su tre assi longitudinali, uno parzialmente aperto verso le colline, una
galleria coperta, interna, a tutta altezza, e un ulteriore spazio che
guarda verso i giardini esterni, la pensilina e il mare: una serie di livelli
digradanti, tutti coperti dalla stessa alta pensilina, trasformano questo
spazio in una sorta di teatro dal quale guardare il porto o il giardino
prospiciente. lo spazio esterno, infatti, è abbracciato da una pensilina
che provvede a ombreggiare le piante, il giardino e i fruitori dello spazio. i bagni sono collocati a est dell’edificio, in una macchia di profumati
arbusti e su un asse nord-sud esposto alla ventilazione diretta. all’ingresso una grande torre di tubolari, con le facciate lunghe rivestite di
pannelli colorati, può ospitare 42 auto o spazi addizionali per l’area di
ristoro, con una vista sul porto.
Zhousan ha un clima subtropicale e monsonico, la temperatura
media è di circa 15,3 c° con un’elevatissima piovosità, di circa 1135 mm;
il diagramma del percorso del sole, però, ha mostrato che non è richesta una protezione verticale dai raggi sul confine est del sito, mentre
ad ovest è la torre a fare da schermo nelle ore più calde del pomeriggio.
durante la stagione calda è richiesta un’ombra orizzontale, fornita dalle
pensiline in etFe, mentre la brezza marina garantisce la ventilazione
naturale e la rimozione dell’aria esausta, con un’intensità favorita dalla
differenza di temperatura fra la collina, verde e ombreggiata dagli alberi, e l’acqua del porto, soggetta a rapido riscaldamento. la stessa
brezza raffresca il parcheggio, spingendo i gas esausti via dalla città,
verso la collina, dove gli alberi catturano l’anidride carbonica per i pro104
cessi di fotosintesi. lungo i balconi è previsto un sistema a doppia cortina, che si svilupperà per tutta la lunghezza, all’esterno e all’interno:
ciò consentirà di regolare la temperatura e la qualità dell’aria in relazione ai venti e alla pioggia. i pavimenti sono costituiti da piastre d’acciaio separate da uno strato di 10 mm di un materiale ignifugo e
assorbente, in grado di isolare anche acusticamente un piano dall’altro.
per provvedere al riscaldamento in inverno saranno inoltre installati
collettori solari, sulla copertura della galleria centale e sulle quattro
gallerie perpendicolari. la struttura ulta-leggera in acciaio garantisce
una superficie di contatto fredda, migliorando il comfort termico e riducendo al minimo l’inerzia termica e il rischio di incendi. È stato inoltre
proposto di realizzare ogni pezzo dell’arredamento in acciaio ultra leggero, riducendo a zero il rischio incendi. tutte le coperture del blocco
di edifici centrale sono costituite da moduli fotovoltaici semi-trasparenti, attraverso i quali filtrerà l’illuminazione naturale e anche i vivaci
colori della torre.
issol è una compagnia specializzata nella progettazione e realizzazione di pannelli fotovoltaici con un elevato valore aggiunto, sita
nella regione di verviers (Belgio). la crescita continua dellla compagnia
ha richiesto un’espansione dell’attuale impianto attraverso la costruzione di una nuova linea di produzione. l’edificio dovrà rivestire anche
una funzione dimostrativa e promozionale, attestando la perizia della
issol nel settore dei Bipv, per questo motivo l’intero complesso sarà
rivestito di fotovoltaico. la forma dell’impianto, un ovoide apparentemente complesso, è il risultato di un processo geometrico in realtà
estremamente semplice. gli elementi strutturali fondamentali sono,
infatti, un arco di metallo in forma di parabola asimmetrica (così da
conferire l’orientamento ideale ai pannelli sulla facciata meridionale,
e una maggiore inclinazione a quelli sulla facciata settentrionale), gli
archi sono tutti impiantati in piani radianti su asse orizzontale, così da
formare un segmento toroide. Questo modo di edificare la struttura,
a dispetto della forma ovoidale del complesso, è particolarmente economico, poiché gli archi hanno tutti, rigorosamente, la stessa forma.
gli archi hanno un’apertura massima di 30 m e un’altezza di 15 m, sono
fatti di travi composite debitamente curvate, con un’altezza di 100 cm,
105
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
photovoltaic panel prodUction hall6 – rU dU progres 18 dison, BelgiUm 2011-12
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
con una copertura in vetro fovoltaico impermeabile nella parte superiore, e una pelle isolante nella parte inferiore. nella parte superiore
dell’edificio una linea di eliostati cattura e distribuisce la luce naturale
all’interno, poiché l’impianto sorge in un’area isolata, non ci sono elementi che proiettino ombra. Uno specchio d’acqua rende possibile incrementare ulteriormente il rendimento delle celle a nord-ovest. Una
106
neW headQUarters oF the chilian social secUrity7 - santiago de
chile, chile 1997
il progetto riguarda un edificio che ambisce a diventare un punto
di riferimento nella città: in quanto edificio pubblico, l’opera deve comunicare, nella richiesta della committenza, la trasparenza della democrazia e la sua vicinanza alla comunità, evidenziando l’importanza
della funzione sociale rivestita dall’ente ai suoi membri e a tutti i citta107
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
galleria fra uffici e depositi incrocia la nuova area di produzione per arrivare alla sezione che si occupa della spedizione dei prodotti finiti, consentendo non solo la mobilità ottimale all’interno dell’impianto, ma
una direttrice per espansioni future. lo spazio ha un’inerzia termica
quasi nullae il controllo del clima all’interno avviene quasi completamente attraverso sistemi di ventilazione: filtri ad alta intensità garantiscono la pulizia dell’aria, un requisito fondamentale per i processi
produttivi sviluppati nell’impianto. l’aria purificata è in parte raffreddata grazie all’acqua dello specchio d’acqua esterno, che si raffredda
molto durante la notte: un serbatoio interrato e isolato termicamente,
invece, preserva il calore raccolto dalle superfici esposte al sole. l’intento dei committenti era di rappresentare un approccio complesso al
tema dello sviluppo sostenibile, declinando questo indirizzo in vari ambiti. il tema della sostenibilità dei materiali, ad esempio, è stato affrontato prevedendo fondazioni facilmente rimovibili, fatte con “calzini”
riempiti di ghiaia, i pavimenti sono fatti con legno riciclato e tutta la
struttura è facilmente smontabile e riciclabile. la pelle isolante interna
è fatta di pannelli ricoperti di tessuti disegnati dalle manifatture di verviers, conferendo una rilevanza anche sociale al progetto. infine, la copertura totale di fotovoltaico garantisce all’edificio una produzione del
150% del proprio fabbisogno, dimostrando che è possibile conciliare
sostenibilità, profitto e qualità architettonica. naturalmente i risultati
di questa struttura non sono facilmente replicabili e non solo per le
competenze tecniche dispiegate nella progettazione dagli ingegneri
della issol: i pannelli necessari a rivestire l’inconsueta struttura
esterna, infatti, non sono standard, sono moduli Bipv molto piccoli,
praticamente fabbricati su misura dalla stessa issol. ciò è coerente
con la vocazione dimostrativa del progetto ma, di fatto, samyn ha potuto qui piegare la tecnologia al disegno, un privilegio raro anche per i
grandi architetti.
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
dini cileni. trasparente, integrato nell’ambiente e rispettoso del circostante, l’edificio è disegnato per essere accogliente e aperto ai fruitori
e ai visitatori, offrendo a tutti la possibilità di osservare il funzionamento della macchina amministrativa. osservato di fronte, l’edificio
appare una piramide con un ampio basamento, ma è in realtà costituito da due parti differenti (a parte i livelli sotterranei): una base, contenente sei livelli, la cui superficie è pari all’estensione dell’intero lotto,
e che dall’esterno si percepisce come un sistema di quattro blocchi paralleli, e una torre, dalla forma triangolare, e quindi di ampiezza variabile, anch’essa comprendente sei livelli, sormontata da un’ampia
navata di vetro. all’interno la base è ripartita da una navata centrale, a
tutta altezza, che ripartisce il sistema in due metà, ciascuna delle quali,
come si è detto, comprende quattro ulteriori ripartizioni, ciascuna delle
quali illuminata con un lucernario a pozzo, e parzialmente occupata da
vestiboli a croce che si aprono sul percorso interno. la torre è divisa,
invece, in quattro unità, separate da spazi vuoti che assicurano illuminazione naturale e sono in relazione con il percorso interno vetrato. gli
spazi pubblici sono distribuiti sulla strada interna, illuminata con luce
naturale e con tre aperture, sulla facciata nord, che lasciano penetrare
luce frontale. l’edificio è trasparente il che, a parte le implicazioni sim-
108
109
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
boliche, migliora il comfort percettivo degli utenti, i quali possono beneficiare della luce naturale e del cielo, come se fossero all’aperto. le
aree più illuminate prevedono spazi per le relazioni sociali e gli incontri.
la geometria generale dell’edificio deriva, certo, dai vincoli imposti
dalle normative cittadine e dal contesto, ma è soprattutto legata alla
volontà di illuminare naturalmente tutte le aree utili dell’edificio, e di
offrire una circolazione orizzontale e verticale chiara e comprensibile.
Un aspetto di interesse riguarda anche l’impianto di condizionamento,
che beneficia delle enormi aperture della struttura, pur sfruttandone
la massa termica. Una serie di colonne integrate nella configurazione
architettonica è sufficiente ad assicurare la stabilità dell’edificio anche
in caso di terremoti, e i sostegni, incorporati nella struttura, rendono
l’edificio totalmente aperto da un punto di vista percettivo, affrancato
da zone opache dovute agli elementi strutturali. le facciate dell’edificio
sono progettate con il sistema della doppia pelle, frequentemente utilizzato da samyn and partners. il sistema, che consiste in due fogli di
vetro trasparente e un sistema di scuri analogo alle veneziane, consente un ottimale controllo termico, contenendo la dispersione di calore in inverno e il surriscaldamento in estate, grazie all’aria
imprigionata fra i due vetri. i servizi igienici possono essere collocati
praticamente ovunque, poiché ogni colonna è dotata di una interconnessione con tutti gli impianti e nei muri è presente ovunque un sistema di filtraggio dell’aria a carbone. la configurazione proposta
garantisce sufficiente flessibilità all’edificio e può essere adattata a
nuove esigenze senza costi gravosi, consentendo all’istituzione di farne
altri usi in futuro, o di alienarla. all’ultimo piano, sull’attico, una caffetteria con giardino offre la possibilità di pranzare avendo una splendida
vista sulla città e sulla cordigliera andina. Una terrazza, accessibile da
una rampa gradonata che risale, con una lieve pendenza, per 24 metri
lungo la facciata vetrata, corona il tetto, a 72 metri sul livello della
strada. il fotovoltaico è collocato nella pelle esterna della facciata nord
e disegna un gioco cromatico con le altre coperture trasparenti. anche
in questo caso, samyn ha beneficiato di un rapporto privilegiato con
l’industria, utilizzando pannelli ritagliati su misura per una sorta di installazione di land art. i moduli integrati su vetro, infatti, disegnano
delle losanghe in corrispondenze delle trombe delle scale lungo l’intera
facciata settentrionale. anche la stretta navata di vetro, sulla sommità
dell’edificio è costruita in fotovoltaico ma, nonostante le dimensioni
ragguardevoli, l’apporto di questa tecnologia al bilancio energetico dell’edificio è decisamente marginale.
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
horiZon toWer8 – BoUlevard pacheco BrUssels, BelgiUm 2007
Questa torre ha oltre quarant’anni e, insieme a quella del ministero
della Finanza, recentemente rinnovata, segna l’ingresso al pentagono
di Bruxells, dal boulevard pacheco. la disposizione standard di ogni livello è organizzata su una griglia di moduli 3x5. il modulo centrale contiene le principali infrastrutture per la circolazione verticale, mentre i
moduli adiacenti sono vuoti per consentire l’aerazione e l’illuminazione
naturale. Questo impianto è replicato di ordine in ordine ed è invertito
ogni quattro ordini, generando un insieme di ariosi vestiboli completati
da volumi angolari della stessa altezza, che punteggiano la facciata in
un pattern a zig-zag, come se l’intero edificio fosse un colossale insieme di vuoti e pieni. Uno scheletro di colonne oblique, a losanga,
ospita larghi pannelli neri di fotovoltaico, regolarmente intercalati da
finestre e da pannelli di vetro. la struttura composta da pannelli rigidi
e dalle colonne oblique, di forma tubolare, provvede alla stabilità della
facciata. i pannelli fotovoltaici conoscono, qui, il classico impiego di
“spandrel”, vale a dire di riempitivi opachi in una cornice nella quale
sono alternati ad aperture trasparenti. il colore scuro dei pannelli è qui
impiegato dall’architetto per definire un’alternanza cromatica che conferisce movimento e ritmo alle facciate.
110
aliBaBa headQUarters9 – shenZhen, china 2011-12
111
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
l’alibaba group è leader mondiale nell’e-business e la più grande
compagnia della cina in questo settore. il gruppo ha la vision di “promuovere una nuova civiltà del business trasparente, aperta, condivisa
e responsabile”, e ha richiesto che la sede comunichi questi valori e
coinvolga i visitatori e la città in un rapporto di scambio e comprensione della filosofia aziendale. per questa ragione samyn ha scelto di
esemplare il progetto sui seguenti principi fondamentali:
trasparenza: creare un buon ambiente cooperativo con spazi di lavoro e di ricreazione comuni;
disposizione organica: consentire la circolazione naturale dell’aria
e delle persone, attraverso spazi aperti e gradevoli;
progresso: rappresentare l’idea dell’azienda di un’espansione illimitata e il costante proposito di un futuro migliore;
sostenibilità: essere flessibile, sviluppare un grande vantaggio
competitivo da sfruttare nel caso di cambiamenti futuri;
tradizione e creazione: sviluppare una nuova organizzazione spaziale basata sulla cultura tradizionale cinese.
il progetto originale prevedeva due edifici contrapposti, mentre la
proposta attuale consiste in un grande guscio unico in forma di spicchio
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
di sfera cava, che si estende dal basso verso l’alto, aprendosi di fronte
alla città, come se fosse l’impronta di un dito nella creta. il guscio è
stato generato con l’equazione matematica xyz=α³(espressa in m³).
l’edificio principale è costituito da due fogli di iperboli tridimensionali;
entrambi i gusci, l’interno e l’esterno, sono basati sulla stessa equazione matematica, con un differente parametro”α”. la struttura è sorretta da colonne oblique dello stesso colore della facciata, conferendo
l’impressione che il guscio fluttui senza peso sulla strada e sugli ambienti al piano terra. le due facciate che danno sull’angolo della strada
sono protette da un reticolo trasparente, cui sono agganciate tramite
sostegni obliqui: la peculiare foggia del guscio esterno e il fatto che sia
rivestito di bamboo fanno sì che esso ricordi la carena di una nave, e il
ritmo conferito dai sostegni, resi evidenti dalla copertura trasparente,
trasforma la struttura in una imbarcazione in procinto di salpare, una
metafora efficace per l’ambiziosa compagnia. tale forma ha, inoltre, il
vantaggio di separare efficacemente le funzioni: a livello della strada,
infatti, saranno collocati gli spazi commerciali (quasi 6.000 mq), mentre il guscio ospiterà ben 15 livelli di uffici e centri di business (per un
totale di 77.000 mq), compendiando l’intera struttura operativa dell’azienda in cina. la alibaba group vuole proporsi, attraverso la sua
sede, come protagonista della vita cittadina, una presenza leggera,
così tanto da fluttuare sulla strada, ma anche una tutela e un riferimento, considerata la rilevanza dell’edificio e la protezione, anche bioclimatica, che esso estende sullo spazio urbano contiguo. l’edificio,
infatti, protegge dalla pioggia e dal sole anche la strada sottostante,
così chi la attraversa beneficia di un’area sicura e fresca, sempre ventilata.
il piano terra sembra aperto, poiché definito solo dalle due facciate
trasparenti. esso ospita un giardino, illuminato anche dall’alto da nove
grandi lucernari che perforano l’intera profondità del guscio. Un sinuoso percorso si sviluppa attraverso tutta la superficie, ponendo in
comunicazione la sede del gruppo con la città, e offrendo ai visitatori
la sensazione di attraversare un ambiente naturale. i locali commerciali
sono qui collocati, con una disposizione apparentmente casuale, al fine
di accrescere la percezione degli utenti di attraversare uno spazio spontaneo e, in qualche modo, ecologico. all’angolo nord-ovest della piazza
aperta, l’accesso principale all’aula centrale dell’edificio per uffici assume la forma di una scala mobile che parte dall’ingresso.
l’edificio ha molte ragioni di interesse anche da un punto di vista
tecnologico. esso è costituito da due gusci liberamente espandibili in
112
operation centre For BrUtele-voo10 –aeropole de charleroi goselies, BelgiUm 2012
Brutele voo è un grande operatore delle telecomunicazioni e ha
commissionato questo grande progetto per raccogliere le sue attività
in un singolo centro operativo, che includa il management, i vari dipartimenti amministrativi, i gruppi tecnici, l’assistenza e il servizio clienti.
l’edificio è a 45° rispetto alle strade e ha uno sviluppo che segue il percorso del sole. l’ingresso principale, che garantisce l’accesso al piano
terra, è rivolto ad est, fornendo luce a partire dal primo mattino, ma è
orientato in maniera tale da non collocare i visitatori in contro-luce. le
cinque terazze sul primo piano, rivolte a nord e sud, evitano fastidi alla
visuale anche quando il sole è basso sull’orizzonte. il suolo non edificato, intorno all’anello del parcheggio, è stato densamente piantumato, seguendo una geometria finalizzata a raccordare l’edificio con
la configurazione del contesto. samyn ha scelto di rendere suggestiva
l’area, edificando su un canale circolare, che inscrive la pianta quadrata
della struttura che, in questo modo, risulta inclusa fra il disco d’acqua
sottostante e l’enorme disco di copertura che sormonta il corpo di fabbrica. il laghetto ornamentale, nel quale l’edificio si riflette, contribui113
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
rete d’acciaio, su una griglia di quadrati da ±16.8 m, che galleggiano su
56 colonne inclinate, perpendicolari alla superficie. altri 56 perni collegano i gusci nella parte superiore. a ogni livello, travi d’acciaio sostengono il piano, con un reticolo di quadrati da 16,8 m per lato: le travi
sono comprese nel pavimento di ogni livello, che ha uno spessore di
circa 1,2 m. tredici elementi tensivi (7 sulla facciata meridionale e 6 su
quella orientale) collegano diagonalmente 14 delle 56 colonne inclinate
fra il piano terra e il guscio. assieme alle altre colonne essi sostengono
i carichi orizzontali dell’intera struttura, opponendosi alle sollecitazioni
endogene ed esogene. gli schermi vetrati sono assicurati al guscio inferiore delle facciate nord e ovest con cavi e perni. i brise-soleil, passando gradualmente dalla posizione orizzontale, sui fronti nord-sud, a
quella verticale, sulle facciate est-ovest, proteggono tutto il complesso
dai raggi diretti.
mentre la pelle esterna è protetta da uno strato in bamboo e da
schermi led sulle superfici a ovest e nord, quella interna, nella porzione est-sudest, è rivestita di fotovoltaico, qui impiegato dall’architetto per ricoprire una superficie concava.
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
sce a un inserimento armonioso nel circostante ma gioca anche un
ruolo focale nella termoregolazione dell’area e nel fornire acqua alla
struttura.
la ricerca, apparentemente contraddittoria, di un edificio molto
compatto ma con ampie aperture per l’illuminazione naturale, ha guidato a un progetto a pianta quadrata, con lati di 45,22 m, alto due piani.
in questa configurazione, in aggiunta alle finestre sui lati, l’illuminazione naturale dall’alto irradia luce al centro dell’edificio, in sei piccoli
atrii a doppia altezza. il corpo di fabbrica ha un aspetto monolitico, accentuato, certamente, dal confronto cromatico fra lo spazio verde circostante e le quattro facciate dell’edificio, omogenee e bianche,
perforate da piccole finestre quasi quadrate, protette da scudi di metallo. in realtà, la sede del colosso delle comunicazioni è una struttura
molto aperta, e i pannelli metallici che ne rivestono le finestre sono
sottili fogli di metallo traforati con ben il 50% della superficie forata:
in questo modo, tali scudi sono permeabili all’aria e alla luce, consentono di ammirare il paesaggio dall’interno ma forniscono protezione
dalla pioggia e dal vento; uno schermo analogo circonda il parcheggio
coperto nel primo sub-livello. il tetto costituisce il quinto lato dell’edificio, con aperture regolari, incorporate in una rete di pannelli solari di
vari colori. poiché tutte le aree tecniche sono collocate al primo sub-livello, il tetto è completamente sgombro da impianti ed è sormontato
da una una tettoia, costruita con lo stesso foglio di metallo perforato,
114
115
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
sostenuta da agili colonnine, che accresce il comfort del tetto, e riprende le linee dell’anello del parcheggio. l’interno dell’edificio è molto
più movimentato, con quattro strette ali a doppia altezza che abbracciano sei piccoli vestiboli, illuminati con la luce naturale che penetra
dai lucernari, un movimento che crea una sorta di “respirazione spaziale”, conferendo ritmo ad un altrimenti monotono spazio aperto. all’incrocio fra le ali, si aprono i percorsi di mobilità verticale, con un
ampio scalone a spirale, illuminato dall’alto. al piano terra, una passerella pedonale, in legno, conduce dal parcheggio riservato ai visitatori
alla reception. le aperture forniscono luce naturale di alta qualità durante tutto il giorno. l’obiettivo è mgliorare il comfort visivo degli
utenti e ridurre il consumo di elettricità per l’illuminazione artificiale,
una voce onerosa del bilancio operativo di un edificio così grande: grazie alla disposizione delle finestre e alla qualità dei vetri, l’80% della
luce necessaria nel corso di tutte le ore di attività durante l’anno, anche
negli uffici più interni, è garantito dal sole.
il fotovoltaico è presente nella copertura del corpo di fabbrica, nella
veste di pannelli colorati. essi sono stati disposti secondo il disegno di
un land artist, marin Kasimir, e sono visibili attraverso i fori della vasta
copertura metallica. anche in questo caso, samyn può permettersi di
giocare con il fotovoltaico e, in questo progetto più che in altri, risulta
evidente come egli attribuisca a questa tecnologia una rilevanza prevalentemente linguistica e iconica. l’enorme superficie della copertura
circolare, molto più vasta del tetto dell’edificio, avrebbe potuto ospitare una distesa di moduli integrati ottimamente esposti e non ombreggiati, tale da soddisfare totalmente il fabbisogno energetico della
struttura, ma l’architetto ha scelto di confinare il fotovoltaico a un’area
ridotta e, per giunta, schermata.
SAmYN and PARTNERS ARCHITECTS & ENGINEERS
note
1
philippe samyn and partners sprl-bvba è stato fondato nel 1980: con le
compagnie affiliate ingenieursbureau Jan meiJer, Fti, dae e airsr, lo studio
è attivo in tutti i campi dell'architettura e dell'ingegneria delle costruzioni.
l'approccio di samyn si basa su quella che egli definisce "metodologia del perché", un approccio aperto a tutte le possibilità e attento alle richieste del
cliente. il processo di progettazione è uno sforzo continuo ad assimilare in
maniera ottimale un ampio numero di diversi fattori da prendere in considerazione, integrandoli in modo da accrescere la coerenza architettonica del
progetto. la progettazione prevede il ricorso alle acquisizioni di molte discipline differenti nell'ambito dei materiali, dell'ecologia, delle strutture. il primo
obiettivo di samyn consiste nel rendere chiare le strutture, trasformando la
complessità in chiarezza. a questo principio fa seguito il processo realizzativo,
pura scienza costruttiva, un processo dinamico che adatta le forme alla ricerca
teorica: samyn, infatti, attribuisce enorme rilevanza ai modelli, una pratica
che, correttamente, egli fa risalire alle origini rinascimentali dell'architettura.
i modelli sono, inoltre, uno strumento appropriato per controllare lo sviluppo
tridimensionale del progetto. È importante sottolineare che per modelli
samyn non parla di ricostruzioni virtuali, ma veri e proprio plastici dettagliatissimi, strumenti fondamentali per verificare il funzionamento di alcune ardite tecnologie e configurazioni.
2
http://www.samynandpartners.be/en/project/01-373/Fire%20station/21
3
http://www.samynandpartners.be/en/project/01518/eUro%20space%20center%20at%20liBin-transinne/21
4
http://www.samynandpartners.be/en/project/01-570/UlB%20plaine%20–
%20overall%20BUilding%20plan%20and%20em/stic%20applied%20sciences%20BUilding/21
5
http://www.samynandpartners.be/en/project/01-574-1a/lUJiaZhi%20cUlt U r a l % 2 0 c r e at i v i t y % 2 0 g a r d e n % 2 0 Z h o U s h a n % 2 0 p 1 entry%20oF%20the%20site/21
6
http://www.samynandpartners.be/en/project/01592/photovoltaic%20panel%20prodUction%20hall/5/21
7
http://www.samynandpartners.be/en/project/01-362/neW%20headQUarters%20oF%20the%20chilian%20social%20secUrity/4/21
8
http://www.samynandpartners.be/en/project/01528/horiZon%20toWer/3/21
9
http://www.samynandpartners.be/en/project/01-588/aliBaBa%20headQUarters%20-%20shenZhen,%20china/4/21
10
http://www.samynandpartners.be/en/project/01-598/operations%20
centre%20For%20BrUtele-voo/4/21
116
casa 100KeUro2 – progetto di ricerca per residenZa a Basso costo
la “casa 100k euro” è il risultato di una ricerca sull’edilizia
residenziale a basso costo, condotta in collaborazione con un team di
sociologi, con l’obiettivo di elaborare soluzioni residenziali di qualità e
con elevata efficienza energetica. gli edifici progettati beneficerebbero
dell’apporto di varie fonti attive e passive, a cominciare da un sistema
a pompa di calore geotermica, in grado di fornire acqua calda anche
117
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
l’impiego che mario cucinella1, architetto palermitano, ha fatto
del fotovoltaico costituisce motivo di interesse per la sua elevata
replicabilità. piuttosto che adattare la configurazione architettonica
alla tecnologia, un’operazione che spesso richiede investimenti elevati
e risultati tutt’altro che garantiti, cucinella ha scelto di ricorrere a una
soluzione semplice, dai costi contenuti e funzionale: nella maggior
parte degli edifici progettati negli ultimi anni, infatti, i moduli pv sono
integrati in strutture di copertura, con funzioni schermanti, termoprotettive, sui tetti degli edifici. tale applicazione viene declinata in
modi differenti a seconda delle caratteristiche dell’edificio, delle
disponibilità del committente e del contesto ambientale e climatico,
pertanto sarà utile fornire qualche esempio. prima di questa rassegna,
però, è importante evidenziare un aspetto centrale dell’opera di questo
architetto, vale a dire la complessità della sua idea di sostenibilità.
nelle architetture di cucinella, il fotovoltaico è una tecnologia che
coopera con altri sistemi di produzione di energia a soddisfare il
fabbisogno dell’edificio, il ruolo più rilevante, però, è rimesso a una
serie di accorgimenti bioclimatici, di recupero e riuso delle acque, di
configurazione e di efficientamento con sistemi passivi, davvero
notevole e raro; oltre all’attenzione per questi temi, l’architetto
dimostra una spiccata propensione ad affrontarli con soluzioni naturali
(come i camini ad aria e i sistemi di fitodepurazione) e, come
evidenziato soprattutto dal progetto dell’arpt, a sfruttare le
caratteristiche del contesto.
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
per i riscaldamenti; alcune pale di mini-eolico forniscono, insieme a
una caldaia a biomasse, la maggior parte del fabbisogno energetico,
ridotto da pareti e coperture ben isolate. percorsi per una mobilità
pedonale e spazi per gli orti urbani, completano un progetto complesso
e ambizioso proprio per la scala ridotta e l’esiguo budget di
realizzazione. da un punto di vista architettonico, l’impiego del
fotovoltaico risulta di particolare interesse: i moduli Bipv per superfici
piane, sono infatti integrati, qui, in una copertura aggettante,
sostenuta da una struttura colorata di alluminio, e con funzioni
integrate. da una parte, infatti, essa produce energia con le celle
integrate, dall’altra rinfresca la copertura, schermandola, e convoglia
le acque piovane, depurate e utilizzate per le abitazioni. la copertura
aggettante estende la superficie fotovoltaica disponibile e fornisce
ombra ai balconi, intercettando, inoltre, una maggiore quantità di
118
pioggia, e fornisce copertura agli spazi comuni. il fatto che il
fotovoltaico sia integrato in una struttura indipendente, inoltre,
consente la massima funzionalità ai pannelli orizzontali che
beneficiano di un’adeguata retroventilazione, e tutela i materiali della
copertura, preservandoli dagli agenti atmosferici e dal
surriscaldamento.
scUola miraBello3 – ediFici scolastici temporanei
Un’impostazione analoga, da “architettura di sopravvivenza” –
secondo la formula di yona Friedman – è condivisa dal progetto per
edifici scolastici temporanei della scuola di mirabello, realizzato nel
2012 per restituire il servizio scolastico alle aree colpite dal terremoto
dell’emilia romagna. anche in questo caso il fotovoltaico risulta
integrato nella copertura schermante e sopraelevato, rispetto al tetto,
grazie a una struttura di sostegno in acciaio, così da ottimizzare
l’effetto protettivo e, al contempo, la conversione di energia.
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
119
sieeB4 - sino-italian ecological and energy eFFicient BUilding
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
il tema della copertura come pensilina è sviluppato in questo
edificio cinese, sede del sieeB, un centro di ricerca per l’efficienza
energetica sino-italiano. considerata la vocazione dell’edificio, il
fotovoltaico gioca un ruolo minoritario nel bilancio energetico, che è
in gran parte rimesso a tecnologie passive e bioclimatiche per il
risparmio. in primo luogo, la struttura sorge su un vasto giardino, che,
avendo forma di ferro di cavallo, essa parzialmente include, con una
fondamentale funzione termoregolatrice, in aggiunta a quelle ovvie di
comfort climatico e salubrità. l’edificio è protetto da un sistema
complesso che integra cortine e doppia pelle, beneficiando di
numerose aree cuscinetto, ventilate e non, per accrescere l’efficienza
termica della struttura. le pensiline che ritmano la facciata
meridionale, sono strutture in acciaio che sostengono pannelli
fotovoltaici in silicio cristallino orientati per massimizzare la resa,
mentre le altre superfici sono vetrate e schermate da brise-soleil
regolabili. le facciate laterali, protette da schermi semi-trasparenti,
sono ulteriormente isolate dalla vegetazione, sia pensile sia ad alto
fusto. la facciata settentrionale, infine, offre un profilo compatto ed è
a doppia pelle, con lo strato esterno in fotovoltaico.
120
a.l.e.r.5 – riQUaliFicaZione e ampliamento del complesso residenZiale
il tema della copertura ritorna, in una accezione insolita, anche nel
progetto di riqualificazione e ampliamento del complesso residenziale
aler, un gruppo di quattro torri, di otto piani ciascuno. in questo caso,
cucinella compendia, di fatto, l’intero progetto nella copertura,
sfruttando le ampie superfici dei tetti delle torri, per creare dei minivillaggi, dotati di residenze destinate a studenti universitari, giardini e
spazi sociali. Queste strutture avranno una funzione termoregolatrice
sui complessi edilizi sottostanti, migliorandone il comfort climatico e
l’efficienza energetica, oltre a conferire loro un profilo inusitato e
affascinante. l’accresciuta altezza degli edifici verrà sfruttata creando
dei camini ad aria che generino circolazione naturale, e i villaggi
faranno da tappo termico sulle torri, migliorandone l’efficienza bioclimatica. due dei quattro tetti ospitano impianti di mini eolico, sugli
altri, invece, coperture fotovoltaiche sopraelevato tutelano gli alloggi
dal surriscaldamento e producono energia. in questo caso le coperture
non sono piane ma inclinate, un po’ per ottimizzare la conversione
energetica, un po’ per impedire l’accumulo di neve.
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
121
cUgnaUX6 – polo mUlticUltUrale
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
Una scala più ampia ma un impiego concettualmente simile si
ritrovano nel polo multiculturale di cugnaux, nel quale l’intero grande
volume della struttura è rivestito da una copertura fotovoltaica
indipendente e multifunzionale: anche in questo caso, infatti, la
copertura opaca di pv scherma i raggi del sole, raccoglie le acque
piovane e produce energia. aree di fotovoltaico traslucido, invece, in
corrispondenza di pozzi di luce, fanno penetrare illuminazione naturale
all’interno dell’edificio. la copertura, leggermente spiovente, riprende
l’allineamento scomposto dell’edificio, nel quale ogni piano è concepito
come una scatola autonoma ed è distaccato rispetto agli altri per
enfatizzarne l’indipendenza.
122
3m italia headQUarters7– ediFicio direZionale
il discorso è replicabile per l’enorme sede della 3m a milano, un
edificio di oltre 10 mila metri quadri, costato circa 17 milioni di euro.
Quelle che sono emerse, ormai, come invarianti nei progetti di
cucinella sono qui declinate su una scala molto ampia e rese facilmente
leggibili dalla linearità della struttura. le facciate sono debitamente
ombreggiate e schermate da una struttura brise-soleil in legno e
metallo, mentre il fronte sud, più esposto, è disegnato come una
successione di terrazze a sbalzo, ciascuna delle quali protegge quella
inferiore. l’edificio appare imbrigliato in una struttura reticolare che,
oltre a conferire un aspetto percettivamente più aggraziato alla
struttura lunga oltre 100 metri, riveste funzione termoregolatrice e,
nella parte superiore, quella che riveste la copertura, ospita moduli
fotovoltaici, integrati nella copertura piana. la vegetazione è presente
sia all’esterno sia all’interno, e contribuisce alla salubrità dell’edificio,
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
123
alla regolazione climatica e alla qualità dell’aria.
comUne di Bologna8 – nUova sede degli UFFici del comUne di Bologna
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
il consiglio comunale di Bologna ha commissionato all’architetto
la realizzazione di una nuova sede che accolga tutti gli uffici e tutti i
dipendenti del comune, riqualificando un’area prossima al centro, alle
spalle della stazione, precedentemente adibita a mercato
ortofrutticolo. l’enorme progetto ha un’estensione di 33.000 mq, in 3
corpi di fabbrica, ripartiti per competenze e funzioni, con tre altezze
differenti. a fare da raccordo una colossale copertura, ripiegata come
un origami, che si distenderà sui tre edifici, collegandoli,
ombreggiandoli, proteggendo dal sole e dalla pioggia i percorsi di
accesso e gli spazi interni. sotto la copertura, inoltre, si sviluppano
grandi terrazze panoramiche, destinate ai dipendenti ma anche ai
cittadini, al fine di rendere il comune veramente uno spazio pubblico.
la grande massa termica degli edifici li protegge dagli sbalzi climatici
e la configurazione del sito consente di utilizzare lo spazio interno per
la termoregolazione. l’elemento più significativo, però, è la copertura,
che segue col suo andamento spezzato lo svilupparsi dell’edificio. da
un punto di vista tecnologico essa non è dissimile da quelle già
analizzate, riveste le stesse funzioni, e, come le altre, si configura come
una struttura autonoma, in questo caso con un’indipenza anche
percettiva straordinariamente spiccata. nonostante le dimensioni dei
tre corpi di fabbrica, infatti, è chiaramente la copertura, ancora una
volta, il focus del progetto.
navacchio9 – realiZZaZione UFFici e laBoratori del polo tecnologico di
navacchio
il tema delle coperture con Bipv viene rivisitato nel progetto per il
polo tecnologico di navacchio, a pisa. il complesso è costituito da tre
blocchi rettangolari, allineati su un asse pressappoco corrispondente
a quello est-ovest, la cui lineare razionalità risponde a precise esigenze
funzionali e, anche, economiche. la volontà di tradurre in spazio la
cooperazione, l’integrazione e l’incontro di persone e competenze,
mission del polo tecnologico, si manifesta nello spazio centrale, che
disegna una t fra i tre corpi di fabbrica. l’aspetto più interessante, però,
è proprio la copertura, costituita di grandi cornici circolari metalliche
che ospitano dischi di fotovoltaico a vetro opaco o traslucido: la
struttura conferisce movimento al complesso ma è probabile che, in
questo caso, le celle non funzionino al meglio. le cornici, che hanno
anche il compito di preservare i vetri da polvere e sporco, proiettano
certamente un’ombra sulle celle periferiche ed è improbabile che la
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
125
disposizione sia ideale.
paris parc10 – progettaZione
pierre et marie cUrie
dell’ediFicio
paris parc
per l’UniversitÈ
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
Questo progetto parigino è grande e complesso, sia
funzionalmente sia tecnologicamente. si tratta di un polo di ricerca ma
anche incubatore di imprese, su una superficie complessiva di 15 mila
mq. gli edifici somigliano a grandi cristalli di quarzo, dal profilo regolare
e tagliente, bianchi al buio e quasi immateriali alla luce. il sito beneficia
di soluzioni bio-climatiche, soprattutto relativo allo sfruttamento degli
spazi verdi interni e ai camini ad aria, gli edifici sono isolati grazie a un
sistema a doppia pelle, la cui superficie esterna è rivestita di
fotovoltaico. le coperture, ancora una volta, risultano focali nel
bilancio energetico dell’edificio e nei suoi aspetti configurazionali:
tagliate come cuspidi, esse costituiscono, con le loro ampie superfici,
un potente moderatore bioclimatico, fungendo da bocca dei camini ad
aria; sono collettori di acqua piovana e ospitano, sulle superfici
inclinate, celle fotovoltaiche integrate. le facciate inclinate sono
alternate per beneficiare di esposizione per il maggior tempo possibile,
ciò nonostante è evidente che la resa energetica di questo impianto
non costituisce l’obiettivo precipuo dell’architetto perché la
configurazione è ben lungi dall’essere la più efficiente possibile. il verde
è distribuito all’interno e all’esterno dell’edificio, a tutti i livelli, e le alte
torri di vetro, in inverno, fungono da serre solari per le piante meno
resistenti al freddo.
126
arpt11 - nUova sede dell’arpt (aUtorite de regUlation de la poste et
des telecommUnications)
la sede dell’arpt, sorta nel deserto algerino, è uno degli edifici più
rappresentativi dell’attività dell’architetto siciliano. il progetto, infatti,
beneficia di una posizione di grande evidenza, immerso fra le dune,
dalle quali mutua il profilo, fronteggiato da un vasto parco e al centro
di un importante asse viario. la rappresentazione costituisce, pertanto,
una delle chiavi di volta di questa architettura che si caratterizza anche
per la complessità delle soluzioni adottate. il grande edificio, infatti, è
costruito secondo i principi della bioclimatica, sfruttando le tecnologie
tradizioni del luogo, come i tu’rat, e la massa termica dell’edificio,
convesso a nord, per deviare i venti caldi, e concava verso sud, dove si
apre il parco, per accogliere le brezze raffrescate dalla vegetazione.
Questa peculiare configurazione si attaglia felicemente anche
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
127
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
all’impiego del fotovoltaico, che qui conosce un uso più diffuso e
differente rispetto agli altri progetti dell’architetto. più nel dettaglio,
la logica energetica della costruzione procede dall’esigenza di
ridimensionare i consumi di un così vasto corpo di fabbrica.
nell’operazione l’architetto ha dimostrato una profonda comprensione
delle tecnologie tradizionali e un approccio molto interessante che, in
un ambiente ostile, piuttosto che ricercare soluzioni ai problemi,
ottimizza i connotati bioclimatici dell’area. il profilo concavo della
facciata nord, infatti, intercetta i venti caldi e raccoglie le precipitazioni
e la condensa notturna, convogliando le acque in una cisterna
sotterranea che le distribuisce ai servizi igienici e ai sistemi di
umidificazione. la facciata nord, inoltre, costituisce il perno della
struttura, ha elevata efficienza termica, e un’opacità del 50%,
consentendo illuminazione naturale agli ambienti interni. la facciata
meridionale, invece, convessa, è costituita da 2500 mq di fotovoltaico,
ed adagiata su una sorta di enorme camino ad aria, la cui funzione è
molteplice: convogliando l’aria fresca proveniente dal parco e l’aria
notturna del deserto, il camino la conduce sopra il giardino acquatico
interno, deputato anche alla fitodepurazione delle acque reflue, nel
quale l’aria si umidifica e comincia la sua ascesa lungo l’iperbole
disegnata dal profilo della facciata, raccogliendo l’aria esausta dagli
ambienti prospicienti e scaricandola all’esterno. al centro della pelle di
fotovoltaico si apre un pozzo di luce, che interseca il percorso del
camino ad aria, convogliandovi aria calda, illumina direttamente la
reception e fornisce luce agli uffici più interni. il sistema delle acque,
un tema critico nel deserto algerino, è concepito secondo i criteri della
bio-architettura e del risparmio idrico: le acque piovane e
atmosferiche, convogliate nella cisterna sotterranea e utilizzate per gli
scarichi, i bagni, e l’umidificazione, vengono raccolte in una cisterna
sotterranea che le impiega per irrigare il giardino acquatico interno.
Qui esse subiscono un processo di fitodepurazione naturale, nel quale
la materia organica viene, progressivamente, decomposta e rimossa,
riempiendo un’ultima vasca sotterranea di acqua pulita. i 2500 mq di
fotovoltaico a silicio cristallino contribuiscono al bilancio energetico
dell’edificio e, nonostante si sia detto che la concavità della facciata
meridionale assume precise funzioni bioclimatiche, essa appare anche
orientata per ottimizzare la conversione di energia. il sole algerino,
infatti, molto alto sulla linea dell’orizzonte, cade perpendicolarmente
sulle celle di silicio cristallino e l’eccesso di calore, che certamente le
temperature desertiche genereranno, viene disperso dal retrostante
128
camino ad aria. di fatto, pertanto, si tratta di una originale declinazione
di facciata a doppia pelle, nella quale la superficie di fotovoltaico in
facciata è applicata a un vasto, soprattutto nella parte inferiore, vuoto
con funzioni di termoregolazione. il risultato, in termini quantitativi, è
un risparmio del 60% sul fabbisogno energetico dell’edificio e del 70%
sul consumo idrico, il tutto ottenuto con un’elevata qualità ambientale
e architettonica.
129
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
si è scelto di illustrare il tema dei Bipv integrati in coperture soprelevate o pensiline con le opere di mario cucinella, perché le sue architetture offrono una gamma articolata di soluzioni. le proposte per
edifici residenziali, infatti, sono facilmente replicabili con poca spesa
anche da piccoli committenti e si dimostrano, alla prova dei fatti, molto
funzionali. la scelta di impiegare i pannelli su strutture indipendenti,
infatti, oltre a creare un altro spazio o una zona cuscinetto, garantisce
il funzionamento corretto dei moduli, allungandone la vita media. nel
caso di installazioni come quelle del sieeB, inoltre, la manutenzione
dei pannelli diviene molto facile, anche considerata la vasta scala dell’edificio. gli edifici più importanti e più costosi, dimostrano come il
tema della copertura fotovoltaica costituisca un banco di prova suggestivo per il linguaggio architettonico ma è bene osservare, comunque, che, se non si considera la scala dell’intervento, si tratta di
soluzioni che privilegiano un approccio pragmatico ed economico:
mario cucinella, infatti, non condiziona la forma del pannello, come
avviene, ad esempio, per samyn, che può contare sulla collaborazione
della issFol, ma idea strutture in grado di integrare la tecnologia nel
modo più semplice e funzionale possibile, sovente con un notevole risultato architettonico. edifici come il paris parc o l’arpt, infine, testimoniano la grande perizia tecnica conseguita da cucinella e dal suo
team: soprattutto nell’ultimo caso, infatti, colpisce la capacità di sfruttare tecniche tradizionali, bioclimatica e soluzioni hi-tech non già per
contenere le asperità di un clima ostile, ma per sfruttarne al meglio i
benefici, mostrando, quindi, di considerare l’ambiente una risorsa e
non un problema.
note
1
mario cucinella è il fondatore di mario cucinella architects (mc a). nato in
italia nel 1960, si laurea a genova con giancarlo de carlo nel 1986. dal 1987
al 1992 lavora nello studio di renzo piano a genova e a parigi, come
responsabile di progetto. Fonda mario cucinella architects (mca) a parigi nel
1992 e a Bologna nel 1999. dal 1998 al 2006 è professore a contratto del
laboratorio di tecnologia dell’architettura della Facoltà di architettura di
Ferrara e dal 2004 è honorary professor presso la Università di nottingham,
inghilterra. nel 2013 è guest professor in emerging technologies presso la
technische Universitat di monaco di Baviera ed è attualmente professore a
contratto presso la Facoltà di architettura Federico ii di napoli.
2
http://www.mcarchitects.it/project/la-casa-100k
3
http://www.mcarchitects.it/project/scuola-mirabello
4
http://www.mcarchitects.it/project/sieeb-1
5
http://www.mcarchitects.it/project/aler-1
6
http://www.mcarchitects.it/project/nuovo-polo-multiculturale-cugnaux
7
http://www.mcarchitects.it/project/nuova-sede-della-societa-3m
8
http://www.mcarchitects.it/project/nuova-sede-comunale-di-bologna
9
http://www.mcarchitects.it/project/polo-tecnologico-di-navacchio
10
http://www.mcarchitects.it/project/paris-parc-universite
http://www.mcarchitects.it/project/arpt
mARIO CUCINELLA ARCHITECTS
11
130
oXstalls campUs2 – edUcation higher
oxstalls è un campus commissionato dall’università di
gloucestershire nel 1998, su un’area industriale dismessa di 15 acri
ai margini del centro cittadino. il complesso prevede un centro studi,
la facoltà di scienze motorie e residenze per 175 studenti, alloggiati
in edifici a quattro livelli. la committenza ha indicato nella
sostenibilità uno dei requisiti chiave del progetto: i sistemi di
efficientamento energetico hanno beneficiato di finanziamenti
europei e riguardano pompe di calore, termoventilazione e sistemi
di illuminazione naturale oltre, naturalmente, al fotovoltaico,
installato negli elementi sul tetto della facoltà. Queste strutture a
onda sono aperte sul retro, consentendo la penetrazione della luce
131
FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS
l’attività progettuale dello studio FeildencleggBradley1 si
caratterizza per la ricerca di soluzioni efficaci e articolate ma di facile
realizzazione. in luogo del design avveniristico e delle ardite forme
elaborate da altri grandi studi, questo gruppo di architetti predilige
linee essenziali, volumi regolari, dimostrando sempre una evidente
attenzione al contesto, immediatamente percepibile. da un punto di
vista tecnologico, Feilden, clegg e Bradley privilegiano le soluzioni
passive e l’efficienza energetica, ricorrendo a strutture murarie massive
e ulteriormente isolate da coperture in legno o altri materiali naturali.
il fotovoltaico è spesso integrato sulle coperture inclinate o, come
cortina, sulle facciate, ma l’impiego più interessante riguarda
l’applicazione su strutture che integrano le funzioni di camino ad aria,
pozzo di luce e supporto per moduli integrati: questo particolare
impiego è probabilmente l’apporto più significativo di questo studio
alle tecniche di integrazione del fotovoltaico, poiché combina efficacia
funzionale, facilità di manutenzione e di installazione e bassi costi,
requisiti fondamentali per la diffusione delle tecnologie per la
produzione di energia da fonti pulite.
solare, dall’altro lato, quello rivolto a sud, montano lunghe strisce di
fotovoltaico che risulta così bene integrato sugli elementi di
copertura. anche per questa ragione il progetto ha vinto il premio
riBa per la sostenibilità nel 2003.
one gallions3 – hoUsing private
FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS
gallions park, nell’east london, è un grande progetto per nuovi
quartieri a zero emissioni promossi dall’amministrazione londinese,
vinto da un consorzio guidato da Bioregional Quintain, già partner di
Bill dunster, uscito sconfitto in questa competizione. Questo lotto
prevede la realizzazione di 260 appartamenti di alta qualità, su un’area
di 3 acri. Bioregional Quintain è una compagine che vanta un
elevatissimo livello di competenze in materia di sostenibilità e che
promuove un concetto molto avanzato di architettura ecocompatibile: essi procedono innanzitutto dalla convinzione che spetti
all’architetto intervenire sui comportamenti dei fruitori delle
architetture, perciò hanno applicato alla progettazione i principi del
132
icon, lime tree sQUare4 – hoUsing private
icon è un grande progetto immobiliare promosso da crest
nicholson e clark international: sebbene si tratti di un investimento,
esso è ispirato dalla volontà di ripristinare uno stile di vita e dell’abitare
tradizionale, a misura d’uomo, fortemente orientato alla promozione
delle relazioni sociali. icon è una reinterpretazione moderna dei moduli
tradizionali, con ampi spazi condivisi e un approccio contemporaneo
alla progettazione delle soluzioni abitative che sono di quattro tipi:
case a corte, case a schiera, appartamenti e case sub-urbane. gli spazi
sono recuperati soprattutto riducendo le superfici destinate alle
autovetture, uno dei temi fondamentali del progetto. nonostante sia
un nuovo progetto, uno dei cardini di icon consiste nel preservare il
paesaggio e alcuni iconemi fondamentali, come i grandi alberi,
133
FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS
“one planet living”, un protocollo che prevede radicali misure di
contenimento della spesa energetica e delle emissioni, rendendo al
contempo la vita della comunità attraente e soddisfacente. i materiali
impiegati sono di origine naturale e riciclati, gli edifici vantano
un’elevata efficienza energetica ed è previsto un complesso sistema di
raccolta, riuso e riciclaggio dei rifiuti in loco. Un sistema di trasporto
ciclo-pedonale e spazi per l’agricoltura urbana completano i connotati
olistici di un progetto con molti aspetti innovativi. i sistemi in facciata
consentono il recupero delle acque piovane che vengono avviate a un
sistema di recupero che le rende adatte ad essere impiegate per gli
scarichi e l’irrigazione. anche il cibo viene totalmente riciclato e
utilizzato per produrre biogas e compost per gli orti urbani. le aree
verdi sono abbondantemente distribuite sul sito, fungendo da
termoregolatori naturali ma anche da isolanti acustici. i sistemi attivi
consistono in una caldaia a biomasse, un’installazione di mini-eolico,
sull’edificio più basso, e nei pannelli fotovoltaici installati sulla facciata
a cortina della torre. l’applicazione, in questo caso, dimostra la
coscienziosa precisione dell’architetto nell’impiego della tecnologia,
concepita come efficace integrazione a un fabbisogno energetico
sostanzialmente rimesso ad altre fonti (in inghilterra la fonte non
fossile più utilizzata è la biomassa): le facciate più esposte dell’edificio,
infatti, ospitano pannelli scuri alternati a finestre e “shadow-box”,
impiegando i moduli di Bipv per la conversione di energia ma anche
per conferire ritmo e movimento alla facciata regolare dell’edificio.
FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS
impiegati nel ridisegno dell’area per definire i nuovi spazi; anche il
preesistente sistema di canalizzazione è stato mantenuto, rinnovato
e adattato al complesso compito riservato a un sistema di drenaggio
sostenibile: il nuovo sistema di drenaggio è finalizzato al recupero delle
acque ma riveste al contempo una funzione di termoregolazione, di
caratterizzazione del paesaggio e di produzione di materia organica
derivante dal drenaggio dei fanghi. la via principale dell’insediamento,
infatti, segue proprio il percorso di un canale fiancheggiato da canne
e piante lacustri. gli spazi pubblici sono considerati preminenti rispetto
a quelli privati e semi-privati: la contrazione degli spazi destinati alle
autovetture private ha consentito di realizzare un circuito ciclopedonale che attraversa l’intera area e la raccorda ad altri percorsi
analoghi, gli spazi pubblici aperti sono pieni di verde, e le abitazioni
sono concepite per ospitare la maggiore quantità possibile di verde su
balconi e terrazze. ogni strada si conclude con una piazza, a sud
dell’insediamento si apre lime tree square, la più grande delle piazze
del quartiere. l’efficienza termica delle case è perseguita attraverso il
rivestimento in legno o in pietra delle facciate più esposte e attraverso
la compattezza degli edifici, una contrazione che consente, al
contempo, una minore dispersione di calore e il recupero di superfici
da destinare a spazi pubblici e al verde. anche la vegetazione, resa più
florida dalle ricche acque reflue convogliate in apposite vasche per
l’irrigazione, ha una funzione bioclimatica. il fotovoltaico è integrato
nelle abitazioni, sulle falde dei tetti, in ampi riquadri, ben inseriti fra le
scure tegole, una procedura semplice e corretta.
heelis, national trUst5- WorKplaces
Questo grande edificio di quasi 7000 mq, su due livelli, costituisce
un esempio di grande spazio commerciale sostenibile e innovativo,
progettato per minimizzare la spesa energetica garantendo, al
134
FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS
contempo, ottime condizioni di lavoro. la forma dell’edificio, immesso
nella storica area industriale di swindon, nei pressi della sede centrale
della great Western railway, riprende le linee degli edifici industriali
vicini, risalenti al diciannovesimo secolo. da un punto di vista delle
tecnologie per la sostenibilità, l’edificio presenta soluzioni di semplice
efficacia e, perciò, di notevole interesse. l’architetto dimostra di saper
bene utilizzare l’alternanza fra volumi pieni e vuoti per creare
ventilazione naturale: la grande facciata è protetta da una ampia
tettoia con un sistema ombreggiante regolabile che, grazie al
differenziale di temperatura, è costantemente ventilata e, quindi,
attraversata da aria fresca che penetra negli uffici retrostanti
raffrescandoli e trascinando all’esterno l’aria calda; lo stesso effetto è
realizzato, negli ambienti interni, grazie all’aria proveniente dai giardini
che si aprono nel cuore del complesso. l’aria fuoriesce dalle coperture
che adottano un principio simile a quello impiegato nel campus di
oxstalls, con alcune significative differenze: in questo caso si tratta di
una struttura formata dal disallineamento delle falde del tetto, quella
meridionale, infatti, si estende oltre il colmo, coprendo un pezzo della
falda nord. al di sotto di questa copertura aggettante, si apre la bocca
di un camino ad aria che, oltre a far uscire l’aria calda ed esausta, funge
da pozzo di luce, sfruttando la luce da nord che viene considerata la
migliore. il prolungamento della facciata meridionale è sfruttato per
incrementare la superficie di fotovoltaico, infatti essa è interamente
rivestita di Bipv. tutte le coperture sono dotate di camini ad aria-pozzi
di luce, ma l’installazione di moduli pv riguarda una linea ogni due, per
evitare l’ombreggiamento. con questo espediente – che peraltro
riprende la linea dei grandi edifici industriali del secolo scorso – clegg
può installare in maniera economica array fotovoltaici orientati a sud
e con l’inclinazione ideale, perseguendo al contempo altri effetti
benefici, come la ventilazione naturale, l’ombreggiamento, e
illuminazione naturale di alta qualità.
:
: 2.9
:196
1,350squarem
Bre environmental oFFice6- WorKplaces
.Thep
Questo progetto è stato insignito del Breeam, un premio
attribuito attraverso un sistema di valutazione molto complesso. il
progetto riguarderà un’area di 1.350 metri quadri di uffici e spazi per
seminari, con innovazioni significative in tema di efficienza energetica,
poiché il design ha un intento dimostrativo e sperimentale, sancendo
.
,
21
:
-
-
-
-
-
-
-
5
-
-
:
96%
-
-
135
,screedsa
-
198
-
Technologists’OpenAwardfor
TechnicalExcellence197
:JohnS
:
&
:
:SymondsT
:
:
:
:
/
FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS
la collaborazione fra il Bre (Building research establishment) e
l’industria, al fine di identificare i parametri ottimali di comfort per gli
uffici sostenibili: rispetto ai più efficienti edifici analoghi, questa
struttura dovrebbe consumare il 30% di energia in meno. le
caratteristiche più rilevanti riguardano:
elementi strutturali in cemento a vista: ciò assicura un maggiore
controllo sulle temperature di picco in estate, nei livelli inferiori, grazie
alla massa termica. sono previste delle aperture per creare percorsi di
ventilazione naturale.
la base dell’edificio è refrigerata dal passaggio di acqua estratta
dai pozzi sottostanti.
ampie facciate ombreggiate con brise-soleil per controllare luce e
surriscaldamento.
ventilazione naturale controllata automaticamente.
camini ad aria integrati con moduli solari e ventilatori per
implementare la strategia di ventilazione incrociata.
la prima installazione nel regno Unito di moduli fluorescenti t5
della philips, totalmente regolabili per conseguire la massima
efficienza.
il 96% dei materiali, inoltre, è stato riciclato da strutture demolite,
riducendo, così, drasticamente l’impatto ambientale della costruzione.
la facciata meridionale, sulla quale si elevano i camini ad aria, è
caratterizzata anche da una vasta porzione di fotovoltaico installato
con un sistema a cortina. lo spazio fra la pelle interna e la cortina
fotovoltaica è costituito da listarelle di legno che fanno passare l’aria
necessaria a retro-ventilare in maniera ottimale i pannelli. il legno,
peraltro tutto riciclato da altre costruzioni, garantisce anche una
136
migliore efficienza termica nei mesi freddi, proteggendo la facciata.
shipton ecotoWn7- WorKplaces
137
FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS
shipton ecotown è la trasformazione di una cava in una comunità
sostenibile. il progetto prevede di sfruttare le caratteristiche dell’area,
sia geologiche sia antropiche, sfruttando il contesto e le strutture
preesistenti, così, in questa area estrattiva dismessa, nasceranno
tremila nuove abitazioni e duemila posti di lavoro, più una gamma di
servizi complessi di vario genere e spazi aperti. gli edifici sono
raggruppati in compound a media e alta densità, in risposta alla
topografia accidentata. Uno dei grandi punti di forza del sito consiste
nella presenza di eccellenti infrastrutture di trasporto, come la ferrovia
southampton/Birmingham e il canale di oxford. È complicato offrire
un ragguaglio delle tecnologie per la sostenibilità dispiegate nel sito,
ma alcune soluzioni risultano particolarmente interessanti, come l’uso
di tecniche tradizionali di isolamento con zolle di terra erbose applicate
sui tetti. Questa particolare versione di green-roof garantisce standard
di efficienza molto elevati e una armoniosa integrazione in un contesto
caratterizzato dalla prevalenza del verde sul costruito e
dall’abbondante ricorso al legno come materiale di rivestimento. le
terrazze alberate, uno degli elementi ricorrenti nei progetti di clegg,
sono definite da tetti rivestiti di moduli fotovoltaici, installati con una
particolare attenzione al cromatismo creato con i rivestimenti. la
possibilità di progettare un sito così vasto e variegato ha offerto al
progettista di mettere a frutto le tecniche di bioclimatica e
termoregolazione naturale sperimentate, su scala minore, negli altri
edifici. Un ruolo centrale, ad esempio, giocano gli specchi d’acqua, non
solo focus percettivi, ma fulcro di un sistema di recupero e riuso delle
acque, nonché giganteschi radiatori naturali.
note
FEILDEN CLEGG BRADLEY STUDIOS
1
lo studio Feilden clegg Bradley è stato fondato nel 1978, con uffici a Bath e
londra, ed è rapidamente cresciuto, contando oggi 27 partner e oltre 100
dipendenti. oggi vanta una reputazione internazionale per la qualità dei
progetti, per le tecniche pionieristiche per la sostenibilità ambientale e per il
radicale approccio architettonico. nel 2008 ha vinto il premio stirling per
accordia, un progetto che è stato assunto come riferimento per i nuovi
quartieri sostenibili in UK: come nell'edilizia residenziale, lo studio vanta una
consolidata esperienza nella progettazione di scuole, interventi urbanistici,
luoghi d'arte e recupero creativo di edifici storici. i valori umanistici e sociali
alla base della fondazione dello studio continuano a sostenere l'attività
progettuale di questi architetti, i primi a ricevere il premio della regina per lo
sviluppo sostenibile, un riconoscimento ribadito dal sunday times con
l'assegnazione del premio "Best companies to Work for". le nuove sfide
imposte da una modernità in evoluzione sempre più rapida costituiscono un
banco di prova interessante per questo studio che affronta le soluzioni
progettuali con un misto fra antichi saperi e tecnologie all'avanguardia.
2
http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=6&ss=2&proj=914#
3
http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=7&ss=4&proj=1349
4
http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=7&ss=4&proj=1249
5
http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=3&ss=&proj=1167
6
http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=3&ss=&proj=808#
7
http://www.fcbstudios.com/projects.asp?s=26&ss=&proj=1353
138
L’INTEGRAZIONE DEL FOTOVOLTAICO IN ALCUNI EDIFICI SPERImENTALI
gli edifici raccolti in questa sezione vantano certificazioni
avanzatissime da parte dei più attendibili protocolli di valutazione, ma
non è questa la ragione per la quale essi sono stati inseriti in questa
sezione. l'aspetto interessante, ai fini di questa ricerca, è la
declinazione di sostenibilità che essi propongono, a cominciare
dall'impiego che essi fanno del fotovoltaico: alcuni di questi edifici,
come il med, sono veri e propri esperimenti, tentativi di trasferire una
filiera eco-compatibile, ma con problemi di applicabilità nelle regioni
mediterranee, alle nostre latitudini; altri sono edifici manifesto, su una
scala più piccola e controllabile, come la green lighthouse danese, un
edificio efficiente e di grande interesse, o su una scala più grande, come
nel caso della Klimahous 8°, monumentale centro didattico tedesco
sui cambiamenti climatici sul quale, però, è possibile sollevare più di
qualche perplessità. Kroon hall, a yale, e il po.lin.s. di venezia, invece,
sono edifici più tradizionali che nascondono, però, notevoli elementi
innovativi. nel caso del polo scientifico veneziano, è interessante il
ricorso alla massa termica della collinetta artificiale per regolare il
comfort climatico interno dell'edificio, e l'uso di Bipv su vetro nella
facciata meridionale; Kroon hall, sede della school of Forestry &
environmental studies dell'Università di yale, è un bellissimo edificio,
che sfrutta i principi della bioclimatica per conseguire un'efficienza
energetica notevolissima, giungendo a consumare meno della metà
dei più efficienti edifici analoghi; l'attenzione al ciclo di vita dei
materiali, il ricorso a legname locale ed etico, una tecnica costruttiva
modulare, che consentirà, in futuro, di smantellare e recuperare
totalmente i materiali impiegati, sono gli elementi più rilevanti da un
punto di vista ambientale. Questi edifici, insomma, contengono un
compendio di indicazioni preziose che possono costituire un
riferimento importante per una progettazione sostenibile.
Kroon hall, Università di yale, hopKins architetti
la sede della school of Forestry & environmental studies
139
dell’Università di yale non poteva che essere un edificio a elevata
efficienza energetica e carbon neutral, sorto, inoltre, in un’area
degradata che è stata così recuperata da un punto di vista sociale e
ambientale. solido parallelepipedo orientato sull’asse est-ovest,
l’edificio è caratterizzato dalla copertura, una volta a botte a sezione
leggermente trilobata. l’edificio gode della certificazione leed
platinum, la più alta rilasciata dall’istituto americano, poiché ha un
fabbisogno energetico inferiore del 60% ai migliori edifici del suo
genere. la facciata settentrionale offre un fronte chiuso, con ristrette
aperture, e ben isolato, mentre la facciata meridionale si apre su un
giardino, assorbendo aria pulita e massimizzando lo scambio di calore.
il calcestruzzo a vista (per il 50% proveniente da scarti di fonderia)
incrementa la massa termica dell’edificio, mentre le facciate est-ovest,
trasparenti, garantiscono l’illuminazione naturale regolandola con un
sistema di frangisole regolati da un sensore. Un vasto lucernario sul
colmo della volta garantisce luce dell’alto che penetra, attraverso tutti
e tre i livelli, lungo un vano scale trasparente. mentre gli esterni sono
in pietra gialla locale e cemento armato a vista, gli interni sono in legno,
una soluzione che migliora, anche percettivamente, l’efficienza della
struttura. il legno proviene dalle foreste di proprietà dell’istituto,
controllate e certificate. l’uso di materiali naturali, inoltre, migliora la
salubrità dell’aria, che non trasporta particelle di solventi e materiali
tossici. l’edificio, apparentemente semplice, funziona con un
complesso sistema di automazione che, ad esempio, ne regola le
aperture al fine di consentire una sostenuta ventilazione naturale
interna. di grande interesse le soluzioni adottate per gli impianti:
quattro sonde nel bosco di sachem, alle spalle dell’edificio, alla
profondità di 500 metri estraggono il calore della terra per alimentare
140
delle pompe di calore, mentre la produzione di acqua calda è garantita
da quattro pannelli solari in tubi sottovuoto integrati nella facciata
meridionale. da un punto di vista anche architettonico, però,
l’elemento più rilevante riguarda la copertura, a sezione leggermente
trilobata, interamente rivestita di pannelli per una potenza di picco di
100 kW. i pannelli, ad alta efficienza, sono installati in traversine
scanalate che consentono una perfetta e facile integrazione anche sul
profilo inconsueto della volta. sotto uno spesso strano di elementi in
legno e lana di roccia, con funzioni isolanti, si aprono pannelli traforati
in alluminio, che consentono la retroventilazione dei pannelli, al fine
di preservarli dal surriscaldamento. l’edificio è anche estremamente
efficiente dal punto di vista del risparmio idrico, con un consumo di
acqua inferiore del 75% a quelli di un edificio analogo: elemento focale,
e di grande impatto scenografico, dei sistemi di recupero è il bacino
che si apre fa la facciata meridionale e il bosco, un giardino acquatico
che funge da efficiente sistema di fito-depurazione e filtraggio naturale
delle acque piovane e reflue.
green lighthoUse, christensen & co architetcts
Questo edificio è al contempo una sede dell’Università danese e
una dimostrazione della qualità progettuale raggiunta dai docenti
danesi in tema di architettura sostenibile. l’edificio è concepito per
sfruttare al massimo l’energia del sole il che, vale la pena ripeterlo,
significa solo in parte (e non la più rilevante) utilizzare la radiazione
luminosa per produrre energia elettrica. la forma dell’edificio è
concepita in relazione al percorso del sole: pareti e finestre ad alta
efficienza sono disposte e orientate in maniera tale da captare il
massimo della radiazione luminosa riducendo al minimo la dispersione
di calore, tutelando, al contempo, l’edificio dal surriscaldamento nella
stagione calda. la copertura inclinata ospita 22 collettori solari che
riscaldano l’acqua a uso sanitario e per integrare il sistema di
riscaldamento radiante. sulla stessa copertura, orientata a sud, sono
collocati 44 mq di pannelli fotovoltaici che producono l’energia
elettrica per l’illuminazione, la ventilazione forzata e al funzionamento
della pompa di calore che, insieme a un sistema geotermico e a un
impianto radiante, garantisce il riscaldamento durante il rigido inverno
nordico. nelle stagioni più calde, invece, la massa dell’edificio evita il
surriscaldamento e l’aria calda ed esausta viene imprigionata nelle
141
controsoffittature ed espulsa grazie all’effetto camino garantito
dall’atrio centrale nel quale si aprono anche le scale. i pannelli
fotovoltaici integrati nel tetto sono per la maggior parte inserite al
livello della copertura, tranne le due strisce sommitali, inclinate per
intercettare al meglio la radiazione solare: il generale movimento
dell’edificio e l’inclinazione dell’intera copertura, però, fanno sì che
questa irregolarità risulti ben inserita nelle dinamiche percettive
dell’edificio.
med, Università degli studi di roma la sapienza
med è un progetto sperimentale dell’Università la sapienza, una
casa ad elevata efficienza concepita per i climi caldo-temperati
mediterranei. in particolare, il progetto mira a identificare un sistema
per impiegare i pannelli prefabbricati di legno anche in zone calde e
temperate. il legno, infatti, risulta molto efficiente nelle zone fredde,
avendo bassa trasmittanza in regime stazionario ma hanno ridotta
capacità termica, risultando pertanto inefficienti in climi caldi e con
forti escursioni. la soluzione praticata consiste nel creare pannelli
modulari con uno strato esterno di 20 cm di fibra di legno e un cappotto
di 10 cm, una coibentazione con elevata capacità di accumulo termico.
lo strato interno, invece, è realizzato in tubi di allminio riempiti di
sabbia umida, che funzionano da radiatore passivo: in estate, il calore
accumulato dalla coibentazione esterna viene in parte rilasciato allo
strato interno, viene disperso dalla ventilazione naturale, mentre in
inverno riscalda l’ambiente. il comfort è garantito da sistemi in larga
misura passivi, in particolare da una pompa di calore aria-acqua, da un
sistema radiante a soffitto, un recuperatore di calore e un sistema di
trattamento per l’aria. Uno degli aspetti più interessanti riguarda il
sistema di accumulo termico ad acqua che sostituisce, nelle intenzioni
dei progettisti, gli accumulatori elettro-chimici, preservando gli esuberi
di energia prodotta dall’impianto fotovoltaico. si tratta di un
parallelepipedo innestato trasversalmente al corpo di fabbrica che ne
ricopre un tratto delle facciate est e ovest e un segmento della
copertura. la configurazione dell’edificio, sull’asse nord-sud, e questa
cintura di fotovoltaico, costituiscono una soluzione interessante: la
parte in copertura, infatti, beneficia di piena esposizione, mentre le
due cortine a est e ovest intercettano i raggi del sole all’alba e al
tramonto.
142
Klimahous 8°, Bremerhaven ost, germania
situata all’8° di latitudine est, questo vasto edificio di 10.000 mq
in vetro e calcestruzzo, è una colossale nave che idealmente conduce
i visitatori in un viaggio attraverso gli effetti dei cambiamenti climatici
e le soluzioni disponibili. si tratta, ovviamente, anche di un edificio
dimostrativo, perché incorpora complesse tecnologie per la riduzione
delle emissioni e del fabbisogno energetico. di base il sistema di
riscaldamento e raffrescamento funziona secondo principi
termodinamici, con potenti pompe di calore. la grande massa termica
dell’edificio lo coibenta efficacemente e rende i costi energetici per il
riscaldamento molto contenuti. È interessante la grande copertura
vetrata antistante l’edificio, una vela fotovoltaica che, al contempo,
produce energia elettrica e provvede a ombreggiare la piazza
antistante.
po.lin.s, portogrUaro (ve)
il polo per l’innovazione strategica dell’Università di venezia è un
edificio certificato a+ da casaclima. due grandi arcate in legno
lamellare sostengono una pelle di abete, alluminio anodizzato e
pannelli fotovoltaici integrati, che nasconde un volume incassato in
143
una collinetta. l’edificio è esposto a sud, il che consente lo sfrutamento
ottimale del calore del sole nei mesi freddi, mentre in estate i moduli
ombreggianti fotovoltaici impediscono il surriscaldamento. l’efficienza
termica dell’edificio è massimizzata dall’inserimento nella collinetta,
che preserva proprio la parete settentrionale: le zolle erbose
coibentano anche una parte della copertura. le pareti esterne sono
costituite da un sistema a doppia pelle ventilata, costituito da uno
strato interno di cartongesso e uno esterno di gres nero, ideale per
preservare la pelle interna dagli agenti atmosferici. Una pompa di
calore geotermica fornisce gran parte del fabbisogno energetico per il
riscaldamento, il raffrescamento e l’acqua calda, mentre gli array
installati sulla copertura curva ed esposta a nord forniscono l’energia
per l’illuminazione e l’impianto elettrico.
144
FOTOVOLTAICO COmE SOPRAVVIVENZA: INTEGRAZIONE E INNOVAZIONE
IN EDIFICI IN AREE OSTILI
il principale motore della diffusione delle celle fotovoltaiche è stato
la possibilità di alimentare dispositivi in luoghi remoti, non raggiungibili
da linee elettriche e da rifornimenti. come si è visto, gran parte della
civiltà come la conosciamo oggi dipende dai moduli fotovoltaici che
sostengono i satelliti, snodi ineludibili della società della
comunicazione di massa; anche le piattaforme off-shore e le stazioni
nel deserto delle industrie estrattive dipendono dal fotovoltaico. si
tratta di un impiego di questa tecnologia che è stato definito “della
sopravvivenza” e che conosce un’affascinante applicazione
architettonica in grandi strutture isolate in contesti ostili, i rifugi. Una
sintetica digressione su queste peculiari architetture tornerà di grande
utilità per più ragioni. in questi edifici il fotovoltaico non è un’opzione
né una giustapposizione per allinearsi a una tendenza generale, ma
una necessità; ed è una necessità che esso funzioni nel miglior modo
possibile, poiché non vi è altro modo per garantire il funzionamento
della struttura e di quegli impianti che garantiscono la stessa
sopravvivenza dei suoi fruitori. Queste grandi strutture in aree con
escursioni termiche violentissime, sferzate da venti di centinaia di
chilometri orari, soggette a sollecitazioni violente di ogni genere,
inoltre, impongono alle aziende di sperimentare materiali innovativi:
anche il fotovoltaico, una tecnologia così sensibile, non può che
beneficiare di questi test in condizioni estreme.
riFUgio alpino di Klein matterhorn1, Zermatt (ch), progetto di peaK
architeKten, 2008
Questo rifugio alpino sorge sul monte cervino a 3800 metri sul
livello del mare, sferzato da venti che raggiungono i 300 km/h. il
rifugio, che ingloba i sistemi di risalita, ospita un ristorante con 150
posti a sedere e camere per 40 posti letto totali e si trova al termine
di una galleria che collega i due versanti del ghiacciaio. l’edificio pare
incunearsi nel fianco della montagna con la sua massa che non può
che essere compatta, per chiare esigenze di efficienza termica. il
basamento è in cemento armato gettato in opera e ospita tutti gli
145
impianti, mentre i piani superiori, destinati alle strutture di
accoglienza, sono in prefabbricati di legno, con tamponamenti
spessi e altamente isolanti. le facciate sono rivestite di metallo e
vetro, quella nord-ovest è caratterizzata da aperture molto piccole,
per ridurre la dispersione termica garantendo, comunque,
l’illuminazione naturale. l’edificio rispetta lo standard energetico
svizzero minergie-p, mantenendo i consumi totali sotto i 40
kWh/mqa, tutta l’energia proviene da fonti rinnovabili e a emissioni
zero, un risultato sorprendente se si considera che la temperatura
esterna può scendere sotto i -30 c° e che, di contro, può
surriscaldarsi facilmente, perché il rifugio gode di 2500 ore di sole in
un anno, essendo il punto più irradiato della svizzera. le massicce
strutture di legno servono, pertanto, sia a evitare la dispersione del
calore, sia a isolare gli ambienti interni dal surriscaldamento delle
superfici. i 200 mq di moduli fotovoltaici a sud sono collocati su una
facciata inclinata a 70° per massimizzare la conversione di energia:
i moduli sono integrati nella pelle di vetro e alluminio, saldamente
bloccati e al livello degli altri elementi per non offrire elementi di
resistenza ai fortissimi venti incanalati nella gola. l’aria tersa, il
maggiore irraggiamento e le radiazioni riflesse dai ghiacciai
146
circostanti garantiscono un rendimento superiore dell’80% a quello
riscontrabile ad altitudini inferiori, il che consente all’impianto di
produrre più energia di quella impiegata per il riscaldamento, la
ventilazione interna e le pompe di calore che recuperano il calore
dall’aria esausta in uscita. l’acqua deve essere trasportata con la
funivia, un sistema oneroso che impone sistemi per il risparmio
idrico. in generale, il maggiore sforzo tecnologico e progettuale è
stato dispiegato non nelle tecnologie attive ma in quelle passive per
il risparmio energetico. le pareti sono isolate da spessori fino a 40
cm di lana di roccia, con trasmittanze inferiori a 0,08 W/mqK per
pareti e coperture e di appena 0,78 per le finestre; la struttura di
legno, inoltre, impedisce i ponti termici in corrispondenza dei nodi
strutturali. la facciata funziona come un collettore solare ad aria e
sfrutta il surriscaldamento dei moduli fotovoltaici per riscaldare la
gelida aria alpina prima di immetterla nei sistemi di ventilazione: in
questo modo, inoltre, le celle sono costantemente raffreddate,
ottimizzandone la resa. l’aria, dopo aver circolato per gli ambienti
interni, fuoriesce da un camino ad aria, ma prima attraversa degli
scambiatori che ne recuperano il calore. anche l’energia termica
prodotta dagli impianti viene immagazzinata in uno spesso bacino
di cemento e riutilizzata. l’acqua piovana o derivante dai ghiacciai
segue un percorso di purificazione per essere poi immessa negli
impianti idrici; anche le acque reflue subiscono un processo di
depurazione e vengono indirizzate agli scarichi. realizzare un
edificio a 3820 m sul livello del mare ha, ovviamente, comportato
dei problemi che sono stati affrontati in fase di progettazione. la
struttura prefabbricata di legno è costituita da 8 portali con travi di
dimensioni 22x70 cm, mentre tre grandi diagonali di legno
contengono le spinte laterali. oltre ai venti, la struttura deve
sostenere le spinte dei sovraccarichi dovuti alla neve, anche 3,5
tonnellate per mq. i moduli fotovoltaici sono costruiti in vetro
temperato ad altissima resistenza: essi devono tollerare escursioni
termiche straordinariamente elevate e il loro costo è giustificato
dalla necessità ma anche dall’eccezionale rendimento. i pannelli
sono installati con grande perizia senza scarti di livello, tutti gli
impianti, le connessioni e le intercapedini sono confinate alla parte
posteriore per non offrire superfici che possano generare l’effetto
vela. in questo caso l’integrazione è perfetta, i moduli costituiscono
la facciata insieme ai due ordini di finestre, nastri trasparenti sul
compatto profilo dell’edificio.
147
riFUgio alpino monte rosa2, Zermaat - eth stUdio – Bearth&deplaZes
architeKten, 2009
costruito a quasi 3000 metri, il rifugio, di proprietà del club alpino
svizzero, è il prodotto di un lungo studio condotto dall’Università di
Zurigo. come gli altri edifici esso ha una struttura di legno su
fondamenta di cemento armato, inchiavardate alla roccia con perni
d’acciaio. il rivestimento di alluminio, metallo ideale a garantire la
durevolezza dei rivestimenti, conferisce alla forma spezzata e acuta il
profilo di un cristallo o degli aguzzi picchi delle vette circostanti.
l’edificio contiene un ristorante da 120 coperti, una terrazza
panoramica da 60 posti e 18 stanze. la complessa struttura di legno è
percepibile anche dall’interno, dove il legno a vista conferisce un senso
di calore tipico dei rifugi tradizionali. l’edificio richiede quasi 31
mwh/anno, il 90% dei quali erogati dai moduli solari e da appena 90
mq di pannelli fotovoltaici in silicio monocristallino, collocati a sud, su
una facciata inclinata per massimizzarne la resa. i 16 kW di picco fanno
funzionare gli impianti elettrici, mentre l’energia in esubero viene
accumulata in batterie in grado di garantire disponibilità continua di
energia, anche di notte o con il cielo coperto. circa 60 mq di pannelli
solari, invece, forniscono acqua calda, integrati da una piccola centrale
termica a olio di colza, provvista di un impianto per il recupero dei fumi.
148
anche l’acqua, immagazzinata in un serbatoio di 200 mc durante la
stagione del disgelo dei ghiacciai, è oggetto di sistemi di recupero e
riuso. Un complesso sistema elettronico, che calcola consumi,
parametri meteorologici e screening dell’edificio, consente di gestire i
flussi energetici in maniera ottimale, minimizzando i consumi.
l’edificio è interamente prefabbricato, eccezion fatta per le
fondamenta, ed è composto da molti moduli di piccole dimensioni e
peso ridotto, così da poter essere trasportati in quota e installati
direttamente con piccoli elicotteri, un sistema che ha consentito di
contrarre costi e tempi di realizzazione.
staZione princess elisaBeth, regione antartica orientale, international
polar FoUndation - samyn and partners architects & engineers –
antartica international polar FoUndation – Belgian antartic Base :
princess elisaBeth 2007-08
il continente antartico costituisce probabilmente l’area più ostile e
inadatta all’antropizzazione della superficie terrestre. Questa stazione
di ricerca deve resistere a sollecitazioni termiche terribili e
all’isolamento totale, deve pertanto essere totalmente autosufficiente
da un punto di vista idrico ed energetico. essa sorge a 190 km dalla
costa, a circa 1400 metri di altitudine, in una regione in cui la
temperatura spesso scende sotto i -50 c° e priva di luce per sei mesi
all’anno, con precipitazioni quasi nulle e un vento che sfiora i 300 km/h.
la stazione è sollevata dal suolo ghiacciato tramite pali d’acciaio di 250
149
mm di diametro, ciascuno dei quali è confitto nel terreno per ben sei
metri ed è dilatabile e indipendente dagli altri pali, per resistere ai
violenti venti catabatici. nel complesso i sostegni hanno richiesto 25
tonnellate di acciaio. la forma compatta della stazione ha come cuore
centrale gli impianti, per ottimizzare ogni residuo di energia. a ridosso
di questo nucleo caldo, bagni, dispense e locali di servizio fungono da
cuscinetto termico, mentre lungo il perimetro esterno sono collocate
le camere, le aree di relax e gli ambienti di lavoro. a ovest si apre uno
spazio di controllo, un modulo con aperture sui ghiacci. la stazione
può ospitare fino a 20 ricercatori. la struttura è un piccolo e compatto
guscio, studiato per perseguire la massima efficienza termica: è
costruito in moduli prefabbricati di compensato e polistirene espano
di 60 cm di spessore su uno scheletro di legno lamellare, materiali con
una trasmittanza praticamente nulla. il rivestimento esterno è di
acciaio inossidabile e assicura resistenza all’usura e agli urti. i profili dei
moduli sono studiati per fendere i forti venti che sospingono, invece,
le pale eoliche, producendo abbondante energia elettrica, unica fonte
di approvvigionamento (insieme all’energia stoccata durante l’estate)
nel lungo inverno artico; una membrana di epdm e serramenti doppi
con vetrocamera riempita di krypton impediscono ai venti di
penetrare. Quando in estate entrano in funzione anche i moduli solari
e fotovoltaici, un sistema di controllo domotico ottimizza i flussi
energetici e stocca l’energia in esubero in grandi batterie riposte nel
nucleo della struttura. il sistema domotico funziona secondo un preciso
regime di priorità: gli impianti di ventilazione forzato e il depuratore
dell’acqua hanno la priorità massima, bagni e cucine hanno priorità
media, mentre i singoli utenti possono accedere all’energia solo se il
sistema lo consente. l’acqua è depurata da due bioreattori, impianti
che avviano reazioni di depurazione organica con un piccolo consumo
di energia. i moduli fotovoltaici assicurano il 40% del fabbisogno
energetico, che è comunque molto ridotto, considerate le dimensioni,
l’utenza e le condizioni, circa 45 mwh/anno. i moduli integrati sono
disposti sulla facciata meridionale, su un riquadro vicino al profilo
occidentale, con robusti telai saldamente agganciati alla struttura ma
aperti, per consentire ai venti di passare senza danneggiare le
installazioni. alain hubert, direttore del progetto, ha sintetizzato il
senso del progetto, e la sua rilevanza, osservando che, se è stato
possibile realizzare un edificio del genere nel luogo più difficile della
terra, abbiamo la tecnologia, le risorse e le competenze per dare un
nuovo indirizzo al mondo.
150
note
1
http://www.peakarchitekten.com/de/page/5
2
http://bearth-deplazes.ch/de/projekte/neue-monte-rosa-huette-zermatt/
3
http://www.samynandpartners.be/en/project/01-523//21
151
IL FOTOVOLTAICO COmE SEGNO
Uno degli obiettivi di questa tesi consisteva nell’individuare
soluzioni efficienti e facilmente replicabili per perseguire l’integrazione
del fotovoltaico nell’architettura. Questa sezione, nella quale si
passeranno in rassegna pochi esempi in un mare magnum di
possibilità, sembra apparentemente fuori contesto, ospitando quegli
oggetti – architettonici o no – nei quali il fotovoltaico non è una
necessità e neppure una scelta di sostenibilità, ma un segno. in realtà,
a ben vedere, è solo apparentemente così: questi manufatti dalla
foggia avveniristica e suggestiva, infatti, sono sperimentazioni con le
quali matureremo una crescente familiarità e l’impiego del fotovoltaico
crea un potente vettore di penetrazione per questa tecnologia. da un
punto di vista strettamente operativo ed economico, inoltre, questi
oggetti godono di un mercato, quello del design, più ricettivo e
dinamico di quello dell’edilizia: è facilmente ipotizzabile che, sostenuti
da un mercato più incline alla sperimentazione, essi contribuiranno in
maniera determinante all’affermazione di un’estetica della
progettazione sostenibile.
solar tree, artemide, design: ross lovegrove
disegnato da ross lovegrove, questo grande albero costituisce un
elemento di arredo urbano per l’illuminazione autosufficiente,
alimentato dal fotovoltaico. la struttura, che imita quella di un grande
e leggiadro fiore alto 5,5 metri, è in realtà costituita da robusti tubi
d’acciaio che sostengono celle. l’energia accumulata dalle celle viene
stoccata in un accumulatore che la rilascia quando necessario, cioè di
notte. le luci sono a led da 1 W l’una, sono protette da una spessa
lente trasparente, nella parte inferiore, e da un guscio di alluminio in
quella superiore. il guscio ospita le celle, presumibilmente in silicio
amorfo. la batteria può sostenere un’illuminazione di tre giorni
consecutivi senza sole. l’azienda committente è l’artemide, una
società di design italiana, che ha definito il progetto come la “perfetta
simbiosi fra un design pionieristico e un’avveniristica tecnologia
sostenibile”.
152
e-QUB0, t°red
Questo monolite nero, totalmente rivestito di moduli fotovoltaici,
segnati da linee spezzate di led, costituisce una struttura
polifunzionale e ibrida, a metà fra il modulo per servizi e l’arredo
urbano. e-QBo accumula energia attraverso fonti rinnovabili, la
restituisce sotto forma di servizi alla città: fornisce illuminazione
pubblica, informazioni attraverso il videomapping o altri sistemi di
comunicazione, offre una rete wifi gratuita, energia per la ricarica di
elementi elettrici ed elettronici.
il suo interno può trasformarsi a seconda delle necessità in luogo
di ritrovo, connessione, struttura pubblica o privata. e-QBo è un
manifesto delle future smart cities: è allo stesso tempo autonomo e
connesso, off-grid e integrato nel contesto urbano. naturalmente il
rivestimento totale comporta dei problemi di funzionalità dei pannelli,
sebbene gli ideatori dichiarino una potenza di per il modulo più grande
15,5 kW/hp: non sono disponibili specifiche tecniche sulle celle,
sebbene, visto l’impiego, sia probabile che siano a silicio amorfo sulle
pareti e, forse, in silicio cristallino sulla copertura. l’interno del cubo è
in legno con uno spesso strato di isolante termico, necessario a
impedire il surriscaldamento dell’ambiente. al di là delle specifiche
funzionali, e-qub0 rappresenta uno snodo focale nella progettazione
prossima ventura, essendo destinato a condizionare, con il suo
approccio radicalmente modulare, sia il pubblico sia il privato.
153
lotUs, giancarlo Zema
lotus è una postazione di ricarica per veicoli elettrici costituita da
un unico elemento tubolare di 14 cm di diametro per 2,6 metri
d’altezza, che si slarga in una foglia di loto larga 4 mq, rivestita di
fotovoltaico e in grado di produrre 500 W; ne esiste anche una versione
più grande, ampia quasi 20 mq, che produce 2,8 kW. oltre a fornire
energia ai veicoli, questo impianto è concepito per costituire un
riferimento nell’ambiente urbano, esso può fornire illuminazione e
riparo dalla pioggia.
photosynthesis, aKisa hirata
photosynthesis è soprattutto – per non dire esclusivamente – un
concept, un manifesto di come la tecnologia fotovoltaica possa
assumere configurazioni affascinanti e suggestive. Questa grande
struttura in plexiglas e pannelli fotovoltaici non ha, infatti, alcuna
funzione se non quella di scultura-albero, dal design organico.
eco BiKe design
Questo progetto è il vincitore di un concorso promosso da
solsonica spa e poli.design, con il patrocinio di adi associazione
italiana per il disegno industriale. il tema del concorso riguardava
proprio la progettazione di una stazione di ricarica per una bicicletta
elettrica e il progetto vincitore, di martina Jimenez, utilizza un sistema
di ricarica wireless, a piastre induttive, alimentato da un pannello a
moduli cristallini, debitamente orientato. il progetto si distingue per
funzionalità, poiché la forma del pannello consente un orientamento
ottimale e, quindi, un’ottima resa. la struttura di sostegno, inoltre, un
telaio ricavato da una barra d’acciaio curvata, può essere facilmente
prodotta e installata.
154
BIBLIOGRAFIA
Jeremy rifkin, Entropia. La fondamentale legge della natura da cui dipende la
qualità della vita, arnoldo mondadori, 1982
robert ayres, Turning Point: The End of the Growth Paradigm, earthscan,
1998
nicholas georgescu-roegen, Energia e miti economici, Bollati Boringhieri,
1998.
nicholas georgescu-roegen, Bioeconomia. Verso un’altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile, Bollati Boringhieri, 2003.
John perlin, Dal Sole, l’energia solare dalla ricerca spaziale agli usi sulla terra,
amBiente, 2000
patrina eiffert, Building-Integrated Photovoltaic Designs for Commercial and
Institutional Structures: A Source Book for Architect, 2000
giorgio rodolfi, La corretta realizzazione degli impianti fotovoltaici, il rostro, 2000
marco sala, Integrazione architettonica del fotovoltaico, casi studio di edifici
pubblici in Toscana, alinea, 2002
mauro spagnolo, Il sole nella città, l’uso del fotovoltaico nell’edilizia,
Franco mUZZio, 2002
christian schittich, Architettura Solare, detail, 2003
Bo hanus, Come sfruttare la corrente fotovoltaica, il rostro, 2005
van synghel, pieters, dubois, Samin & Partners, Architects and Engineers,
lUdion, 2005
lucia ceccherini nelli, Fotovoltaico in Architettura, alinea, 2006
dominique gauzin, muller, Architettura Sostenibile, amBiente, 2007
paul hawken, amory lovins, hunter lovins, Capitalismo naturale, edizioni
ambiente, 2007
m. pagliaro, g. palmisano, r. ciriminna, Il nuovo fotovoltaico, dal film sottile
alle celle a colorante, dario Flaccovio, 2008.
Karl-heinz tetzlaff, Idrogeno Verde, delFino, 2009
a.scognamglio, p. Bosiso, vincenzo di dio, Fotovoltaico negli Edifici, amBiente, 2009
charles Broto, Eco-friendly Architecture, linKs, 2009
155
roberts simon, guariento nicolò, Building Integrated Photovoltaics. A Handbook, springer, 2009
terranova, spirito, leone, spita, Ecostrutture, White star, 2009
Fred pearce, Confessioni di un eco-peccatore, amBiente, 2009
peace reporter, Guerra alla terra, i conflitti nel mondo per la conquista delle
risorse, amBiente, 2009
gunter pauli, Blue Economy. Nuovo rapporto al club di Roma, amBiente,
2010
sara di micco, la casa ecologica prefabbricata, maggioli, 2010
Francesco goppi, Il fotovoltaico per tutti, delFino, 2010
mary guzowsky, Architettura a zero emissioni, logos, 2010
rsmeans, Building Construction Cost Data. norwell, ma: reed construction
data, 2010.
nicola armaroli, vincenzo Balzani, Energia per l’astronave Terra, Zanichelli, 2011
emilio luongo, Green Job, hoepli, 2011
luca carra a cura di, Energie il punto di vista di Italia Nostra, gangemi, 2011
daniele pernigotti, Carbon Footprint, amBiente, 2011
giuliano dall’o’, Green Building Economy, amBiente, 2011
James ted, goodrich alan, Woodhouse michael, margolis robert, ong sean,
Building-Integrated Photovoltaics (BIPV) in the Residential Sector: An Analysis
of Installed Rooftop System Prices, nrel (U.s. gov.), 2011.
sergio de costa duran, Efficienza Energetica e Architettura, logos, 2011
livio de santoli, Le Comunità dell’Energia, QUoliBet, 2011
Jeremy rifkin, La terza rivoluzione industriale, mondadori, 2011
alex sanchez vidiella, Architettura Ecosostenibile, logos, 2011
Francesco groppi, carlo Zuccaro, Impianti solari fotovoltaici a norme CEI,
delFino, 2011
s. costa duran, Julio Faiardo, Atlante di Architettura Ecosostenibile, logos,
2011
hermann scheer, Imperativo energetico, amBiente, 2011
silvia Zamboni, L’Italia della green economy, amBiente, 2011
Kempe m.d., Ultraviolet light test and evaluation methods for encapsulants
of photovoltaic modules, elsevier, 2011. www.elsevier.com/locate/solmat
156
yona Friedman, Alternative energetiche, Bollati Boringheri, 2012
luca rubini, silvia sangiorgio, Le Energie Rinnovabili, hoepli, 2012
yona Friedman, Alternative Energetiche, Bollati Boringhieri, 2012
massimo roj, Progetto CMR. Less Ego More Eco, compositori, 2012
tessa gelisio, marco gisotti, Guida ai green Jobs, amBiente, 2012
Frank reil, Qualification of arcing risks in PV modules, in photovoltaic specialists conference (pvsc), 2012 38th ieee
vasilis m. Fthenakis, hyung chul Kim, erik alsema, Emission from Photovoltaic life Cycles, http://pubs.acs.org/doi/pdfplus/10.1021/es071763q
micheli davide, Il fotovoltaico nelle applicazioni spaziali, 2012
Jorgen randers, 2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni, amBiente,
2013
astrid c. Wittmann, hans o. pörtner, Sensitivities of extant animal taxa to
ocean acidification, in nature climate change, august 2013
157