Analisi della novella di Ser Ciappelleto in Boccaccio (a cura di

Analisi della novella di Ser Ciappelleto in Boccaccio (a cura di Muscetta), LIL
L'ampio esordio e la conclusione del novellatore Panfilo costituiscono una inquadratura meditativa
sottolineata dall'eccezionale intervento del narratore Boccaccio (E qui si tacque). Il solenne procedimento
stilistico acquista risalto severo rispetto al corpo del racconto, ma è abilmente, lentamente raccordato
prima con la dipintura dello sfondo storico e dei e mores o mercantili, e poi con un ritratto del protagonista che si articola nell'e effictio o fisica e nella « notatio e sul carattere. Essa è introdotta da una e
interpretatio n giocosa, onde il diminutivo del nome Cepparello fiorisce in una immagine simbolica di
ghirlanda (Ciappelletto) infiorata di singolarissime virtù alla rovescia. Il ritratto è condotto secondo il
procedimento spiritoso del deludere l'attesa di cui parlavano Cicerone e Quintiliano. È un meccanismo
che tanto più provoca il riso, in quanto si accumula in una congerie inesauribile, attraverso una sequenza
di periodi: vi predomina e quasi canta l'imperfetto descrittivo, e gli incisi (spesso di proposizioni
comparative) e gli epiteti (spesso in forma superlativa) sospendono o fanno scattare l'immancabile
sorpresa del procedimento e per contrarium o. Gli aspetti disgustosi dell'iracondo, del goloso, del
sodomita, sono il risvolto cupo e triviale di una natura, che appare invece frenata dal sorriso dell'arte ed è
come illuminata dal piacere di questa malizia onde il piccolo corpo è pieno a maraviglia: l'antitesi
burlesca del sonetto di Ceceo Angiolieri (e oncia di carne libbra di malizia e) diventa concreta
rappresentazione. Una sola volta le abominevoli parole con cui l'ateo suole schernire i sacramenti
suscitano un epiteto di esecrazione. Il novellatore, beandosi negli ornati del ritratto, sembra anzi obliarsi
nel replicato assaporamento di quella compiaciuta malizia spettacolosa, propria di un istrione spassato da
tutto ciò che fa e dice, talora gratuitamente: come quando falsifica strumenti notarili e testimonianze.
Quando accetta la procura da mes-ser Musciatto e ripete il suo avverbio sintomatico (volentieri), par che
pregusti la parte fuor di sua natura che potrà recitare in Borgogna dove era sconosciuto. A questo punto
un caso imprevedibilmente serio fa svoltare l'azione: avvenne che egli infermò. Qui la suspence
drammatica culmina nel suo lasciate fare a me, e ci prepara a quello che sarà il capolavoro della sua vita.
Così acconcerà tutti i fatti, potrà evitare agli ospiti un saccheggio di popolo e a sé i fossi sconsacrati: ci
vorrà una buona confessione a un santo e valente frate, personaggio indispensabile per l'esecuzione del
suo disegno.
In questo secondo tempo della novella il dialogo predomina fitto (salvo un lungo capoverso, dove si passa
al discorso indiretto trattato con una notevole e crescente disinvoltura, a mano a mano che ci si allontana
dalle congiunzioni iniziali perciò che e con ciò fosse cosa che). La e sermocinatio » è commentata solo da
qualche didascalia che distingue le battute (disse, rispuose) o accenna talvolta a qualche gesto o disegna
l'espressione dei due personaggi al culmine dell'azione caratteriz-ante: il frate che comincia a sorridere di
su periore indulgenza mista a imbarazzo di fronte a un cristiano di tanto zelo, che giunge a perfezionare la sua finta contrizione sino a piangere e ripiangere come colui che il sapeva troppo ben
fare quando il volea. Come quegli attori visti da Quintiliano fuori scena e flentes adhuc egredi e,
egli esce dalla sua esistenza istrionesca senza tuttavia deporre mai la maschera. Solo chi conosce il
suo vero volto può ridere alla sua sorprendente confessione che invece è credibilissima, proprio
perché è affidata a una sottile capacità retorica. Troppo ingenuo è il confessore per sospettare una
sconsacrante parodia nel dir cosi di un vecchio moribondo, che si serve del suo stesso codice devoto
e in ogni sua risposta riecheggia le frasi dell'unzione pia e penitenziale. Tutti i vizi a noi ben noti,
grazie al ritratto che introduce a questa scena, son contraffatti in virtù leggendarie attraverso una
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serie di travestimenti e iperbolizzamenti virtuosi, dove il novellatore interviene solo due volte: alla
fine (come s'è visto per il pianto) e all'inizio (quando dice di ser Ciappelletto che mai confessato
s'era, mentre asseriva che lo faceva ogni settimana almen una volta senza contare le più). Ormai il
confessore, che si prometteva poca fatica [. .] d'udire o di domandare, è in una situazione di comica
inferiorità e lo chiama fratello, e l'implora: messer lo frate, non dite cosi. Il dialogo è così avviato
sul meccanismo del rovesciamento comico di tipo carnevalesco (Bachtin), battuta per battuta, a
cominciare dai vocativi che precedono le risposte. Costretto ad ascoltare una puntuale confessione,
il santo frate cerca peccati e trova virtù, e se ci son peccati sono minimi e valutabili solo dalla pura
e buona conscienzia di ser Ciappelletto che li ingrandisce con la lente. Onde la sua sintassi
penitenziale attentissima e variatissima, anche se sempre tesa all'ardua contrizione di ogni ruggine
d'animo; onde i rimproveri d'indulgenza che il peccatore muove al frate o i rifiuti di consolazione
che s'inseriscono in moltissime proposizioni principali. Ser Ciappelletto si esamina cautamente,
attraverso proposizioni dubitative e interrogative o comparative, spesso ravvolte in veri labirinti
ipotattici, per distinguere e vagliare ogni azione e ogni pensieruzzo, a partire dal timore di non
peccare in vanagloria, dichiarandosi vergine (così come uscì dal corpo di mamma sua) fino ai
ricordi della più remota infanzia, senza escludere il desiderio d'insalatuzze d'erbucce, e l'ultimo e
imprevedibile peccato di aver maledetto sua madre quand'era piccolino. Ricompaiono i diminutivi
(come già nella « descriptio »), ma ora per vezzeggiamento di peccati immaginari. Di fronte al bamboleggiare e lacrimare di questa mostruosa innocenza mistificata, si specchia e umilia l'innocenza
benedicente e credente. Il povero vecchio frate ora passa dal e tu » paterno e protettivo a un pronome che
non è e il solito voi • della confessione e neppure « da pari a pari (Branca), ma è un pronome e più
rispettoso » (Petronio), di deferenza: gli chiederà infatti se vorrà essere sepolto in convento. Dal confronto
col santissimo uomo, lui è stato dissacrato in uno dei tanti santi uomini, ordinari burocrati di sacramenti,
che non possono riconoscersi meriti di castità perché sono costretti dalla regola. Ormai è solo un uom di
Dio, che rivela la sua incredibile inesperienza del mondo. Giunge a scandalizzare ser Ciappelletto, sospettandolo peccatore di violenze, finisce per ammettere che lui come ogni frate tutto il di sputa in chiesa,
finché, stremato da una inesauribile contrizione del penitente, esclama che Cristo non solo gli perdonerà
di aver bestemmiato sua madre, ma lo assolverebbe anche se fosse uno di quegli che il posero in croce. Nel
dialogo dunque si realizza un duplice « climax • comico in senso opposto, dove il meccanismo della
sorpresa e del rovesciamento è combinato con una studiata lentezza di procedimenti in cui si prolunga la
contrizione impossibile.
Dopo il dialogo la struttura narrativa viene ripresa. Ed è solo interrotta dall'unanime commento
interiore dei due usurai e dall'invettiva del santo frate contro gli impenitenti bestemmiatori che
partecipano al funerale di ser Ciappelletto e ascoltano « maravigliose cose [...] della sua vita, de' suoi
digiuni, della sua virginità, della sua simplicità e innocenzia e santa ». Protagonista dell'epilogol'antico
frate che è quello che ci vuole per operare qualcosa di più, l'ultima sorpresa comica che trasporta la
mistificazione carnevalesca di ser Ciappelletto dal privato in pubblico. Solo il sant'uomo infatti con la sua
autorità può trasmettere quello che lui aveva conceputo in confessione prima ai creduli confratelli del
convento, e poi nel capo e nella divozione della gente. Il novellatore insomma lo presenta come un
procuratore della santità di ser Ciappelletto ai borgognoni. È una replica, e in perfezionamento di ser
Ciappelletto anche lui realizza il suo lasciate fare a me [.. .], e riscuote intera fede. Il racconto della
processione dei frati n1 funerale, con grandissima festa e solennità, e poi la scena di fanatismo popolare
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della conquista di reliquie del nuovo santo (e tutti i panni indosso gli furono stracciati) è scandito su periodi
litanianti: di polisindeto in polisindeto si gioca una sottilissima parodizzazione dello stile delle leggende. Il
distacco del novellatore è evidente nel presentare come opinabile quella fama di santità che scampana a
distesa (chiamaronlo e chiamano
.). Poi interrompe lo stile semiserio di questo • laudare ridiculose »
che Goffredo di Vinesauf considerava il più efficace * contra ridiculos si vis insurgere piene » (Poetria,
431-2). E riprendendo le considerazioni del proemio, chiude nell'inquadratura morale apprezzamenti al
livello di pura opinione umana, essendo occulto il volere d'Iddio e non impossibile la salvezza di ser
Ciappelletto. grazie alla suprema contrizione ignota e a un fulmineo volo in paradiso; ma sia questa
salvezza che la più probabile fine nelle mani del diavolo in perdizione sono fuori del racconto e affidati
solo a congetture caute, eppur ferme del novellatore: secondo quello che ne pub apparire, ragiono.
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