Bruno Domenichelli

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EDITORIALI
La professione del cardiologo: fra umanesimo e scienza
Bruno Domenichelli*
l titolo può suggerire che umanesimo e scienza
siano per il medico poli necessariamente conflittuali. Ma è proprio l’integrazione delle due culture a
rendere possibile una buona pratica medica.
È allora utile sgombrare il campo da qualche equivoco semantico. A contrapporsi al polo dell’umanesimo non è infatti quello della scienza, che costitui-
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benessere, può diventare “fine”, talora fonte di potere, fino a farsi tecnocrazia. Oppure quando si esprime in chi la pratica, non come necessario strumento
di ricerca, ma come interiore compiacimento, accecato dal piacere della “bella” ricerca.
Prometeo ha regalato all’uomo il fuoco, embrione di
ogni tecnologia, che lo avrebbe riscaldato e aiutato a
Walter Valentini - I cieli di Bisanzio.
Orbite ed ellissi: analoghe invisibili energie regolano gli equilibri dell’universo e del cuore dell’uomo. Ma già la saggezza cinese affermava che “l’uomo
risponde al cielo e alla terra”.
Messaggi ancora attualissimi per il medico d’oggi, alla ricerca della sintonia fra le due anime altrettanto irrinunciabili della medicina: quella della tecnologia e quella antica dell’umanità.
sce un corpo di conoscenze che si identifica con lo
spirito stesso dell’uomo e che si realizza “nel seguir
virtude e conoscenza”. È semmai la tecnologia a
costituire l’altro polo dell’antinomia. Una tecnologia peraltro anch’essa di per sé eticamente indifferente, ma che diventa potenzialmente conflittuale
nel momento in cui si fa tecnologismo e cioè pratica fine a se stessa, che da “mezzo”, finalizzato al
sopravvivere. Ad averne fatto un uso distorto è stato
l’uomo, utilizzandolo per distruggere città e popoli e
facendone fuorviante suggestione di onnipotenza.
A sua volta la Scienza si trasforma in scientismo, nel
momento in cui si assume la pretesa di dare una
risposta a tutto, alimentando i pericoli del positivismo e le tentazioni del riduzionismo e partorendo
figlie, come la tecnologia, non sempre castamente
* Direttore di Cardiology Science
Accademico dell’Accademia Medica Lancisiana - Roma
CARDIOLOGY SCIENCE
VOL 11 • GENNAIO-APRILE 2013
Per la corrispondenza: [email protected]
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Bruno Domenichelli
votate all’autentico benessere dell’uomo.
Ogni medico percorre il suo iter professionale fra tensioni e insoddisfazioni, che rischiano di compromettere lo spirito della più bella professione del mondo:
quella del medico. La più bella perché attinge ai motivi di una gratificante relazione umana e nel contempo può finalizzare al benessere dell’uomo i più avanzati progressi della tecnologia. E infine perché è
capace di andare oltre alle tradizionali dimensioni cliniche e tecno-scientifiche per scoprire nel rapporto
empatico la valenza integrale dell’uomo, nella pienezza delle sue aspettative e delle sue disperazioni.
Crisi epocale e crisi della medicina
La nostra generazione ha assistito allo sbarco dell’uomo sulla luna e ai meravigliosi progressi della diagnostica e della terapia. La vertigine della spirale tecnologica ci ha riempiti di orgoglio, ma non possiamo
non preoccuparci per la crisi di una società povera di
valori, di una cultura di massa immiserita da un’avvilente omologazione a miti e disvalori collettivi e agli
effetti disgreganti dell’egoismo e dell’individualismo.
Il rapporto medico-paziente non si sottrae a questa
crisi. I modelli tradizionali di questo rapporto, basati su autoritarismo e paternalismo, mostrano oggi i
loro limiti. Ma i nuovi modelli tardano ad affermarsi. Ne risulta un vuoto che tarda a colmarsi, in cui la
relazione rischia di disgregarsi sotto l’effetto dell’indifferenza e del tecnologismo.
Suggestioni di sacralità e di umanità hanno improntato per millenni l’agire del medico. L’empirismo e
l’assenza di terapie realmente efficaci minavano
peraltro alle basi le possibilità terapeutiche. Solo
negli ultimi due secoli la medicina ha cominciato ad
affermarsi come scienza esatta. Alla fine del ’900
molti osservatori, fra i quali K. Jaspers, rilevarono
peraltro che: “grandi successi terapeutici vengono
quotidianamente conseguiti, ma nel contempo si
osserva una crescente insoddisfazione, tanto presso
i medici che presso i malati”, fenomeno poi etichettato come paradosso della salute.
L’insoddisfazione dei pazienti
e il “paradosso della salute”
Numerose ricerche hanno infatti confermato che negli ultimi decenni, nonostante un innegabile miglio-
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ramento generale della salute è peggiorata la percezione soggettiva della gente sulla propria salute.
Qualcosa non aveva funzionato nel tradurre in benessere le conquiste delle tecnologia, un fenomeno
attribuibile anche al venir meno del medico al suo
ruolo di intermediario fra il progresso tecnologico e
la soggettività del malato.
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La professione del cardiologo: fra umanesimo e scienza
Specialmente negli Stati Uniti stanno avendo larga
diffusione, anche nelle università, gli studi delle
medical humanities, che si propongono un riavvicinamento fra formazione umanistica e tecnologica. I
contenuti sono i più vari: antropologia, religione,
psicologia, storia e filosofia della medicina, ed
hanno il loro epicentro nella figura della persona
malata. Lo scopo di questi studi è quello di fornire
Il termine di tecnologia sanitaria fa quindi riferimento all’applicazione delle conoscenze scientifiche alla soluzione di problemi legati al bisogno individuale o collettivo di salute.
I rapidissimi sviluppi della tecnologia, “spingendo
alla minuta specializzazione in campi angusti della
patologia, creano nella mentalità del medico la tendenza a circoscrivere l’obiettivo del suo studio a
Il medico “non sa più somministrarsi
al paziente”
Balint affermava che di tutti i “rimedi che il medico
ha a sua disposizione per aiutare i pazienti, quello
che meno sa usare è rappresentato da sé stesso”.
Ancor oggi il medico potrebbe sentirsi più gratificato, insieme al paziente, se imparasse a somministrare al malato se stesso con la fiducia con cui prescrive un efficace farmaco, capace di supplire con la
disponibilità al dialogo e con l’empatia, ai limiti dei
rimedi farmacologici e tecnologici, alle minacce dei
difetti insiti nell’aziendalizzazione e nella burocratizzazione della medicina, alla solitudine di un
malato non informato e insoddisfatto della medicina
ufficiale, colpevole anzitutto di relegare in un angolo la persona malata.
Sono tutti ostacoli che si oppongono nella professione medica ad un armonico equilibrio fra umanesimo e scienza, nel momento in cui il medico si fa
acritico esecutore, al servizio di una macchina che si
interpone fra sé e il malato.
Definizione di umanesimo
È riduttivo identificare l’umanesimo con un sapere;
“umanesimo è viceversa un atteggiamento interiore,
fatto sostanzialmente di comprensione, generosità,
tolleranza... L’umanesimo non è una specialità
accademica, ma una delicata attitudine, spontanea,
quasi automatica, per dare trascendenza di eternità... Per questo è necessario comprendere tutto,
che è più che sapere tutto” (G. Marañon).
Lo scienziato dunque sa, mentre l’umanista comprende... Il clinico non deve solamente sapere che
cos’è la malattia, ma deve anche capire il malato (S.
Spinsanti, 2006).
Il medico “umanista” non è quindi un medico “letterato”, che nella vita ha coltivato saperi elitari, ma quello
che ha coltivato dentro di sé la ricerca della saggezza.
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Walter Valentini - Progetto per la casa del cielo (2008).
Razionalità ed intuizione convivono nell’anima di un Artista. Per costruire “porte” oltre le quali intuire la “casa del cielo”.
Nella pratica del Medico, scienza e umanità sono categorie altrettanto necessariamente conciliabili, se non si vuole perdere di vista la complessa realtà
dell’uomo che soffre. Nella comprensione della complessità assistenziale, è indispensabile il concorso di funzioni conoscitive logiche ed intuitive.
spunti di riflessione sulle questioni di fondo dell’esistenza, sulla sofferenza e sul senso della malattia.
La diffusione di questi studi, potrebbe far sì che sia
l’umanità, e non solo un generico umanesimo, l’autentica base del rapporto fra medico e paziente.
parti sempre più minute dell’organismo... ignorando la personalità umana” (Luigi Condorelli).
“Non esiste macchina che possa sostituire il ragionamento clinico…; tanto più le macchine diventano sofisticate, tanto più richiedono di essere interpretate” (Mario Santini, 1991).
Definizione di tecnologia
I limiti dell’appproccio tecnologico
Anche il concetto di tecnologia può prestarsi a valutazioni più estensive di quelle comunemente considerate.
La definizione di tecnologia medica è stata applicata
in passato principalmente a strumenti e ad apparecchiature. Ma la tecnologia medica deve essere definita più largamente. È impossibile stabilire il valore di
un’apparecchiatura medica isolandola dal contesto del
paziente. Tutte le tecnologie mediche devono inoltre
essere inserite nella catena di un processo che prevede prevenzione, diagnosi, trattamento e riabilitazione.
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Nella pratica clinica la dicotomia fra tecnica e umanità “è molto rischiosa in quanto tende a sacrificare la relazione col paziente... a favore di un tecnicismo e di una frammentazione delle competenze che
configurano il medico come un tecnico superspecialzzato (A. Pazzagli, B. Benvenuti, 1998).
“È diventato un luogo comune contrapporre la medicina altamente tecnologica (high tech) a quella con
contenuti umani molto caldi e coinvolgenti (high
touch)” (S. Spinsanti). Una pratica medica attenta al
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benessere integrale del paziente non può ritenere
separabili le due opzioni.
Sulla spinta di un progresso scientifico apparentemente illimitato, si sta diffondendo una nuova
malattia dello spirito collettivo: il senso dell’onnipotenza della scienza; un “complesso di Icaro”, sensazione inconscia di invulnerabilità che rende vane
le iniziative della prevenzione, e contribuisce ad un
progressivo deterioramento della relazione medicopaziente, nella convinzione che per la medicina
“tutto è possibile”.
Solo un rinnovato spirito
di umanesimo medico potrà aiutare l’uomo ad accettare il limite come statuto naturale dell’uomo.
Troppo spesso gli strumenti rappresentano un diaframma che ostacola il dialogo fra medico e paziente.
Le macchine prendono infatti il posto delle parole,
generando un’ansia che
potrà trovare quiete solo
nella parola del medico.
Anche tecniche salvavita
possono avere infatti risvolti psicopatologici. Basti pensare ai suicidi dei
soggetti sottoposti a trapianto cardiaco o ad impianto di defibrillatori o
agli stati depressivi degli
emodializzati.
Né va sottovalutato il cosiddetto “occhio clinico”,
approccio di tipo intuitivo, più che basato su procedimenti coscientemente razionali.
Salendo i gradini
La professione medica ha in sé valori etici capaci di
andare “oltre” una buona pratica assistenziale. L’integrazione fra tecnica ed umanesimo si esprime infatti in medicina in gradini di impegno successivo
che vanno da una generica
disponibilità all’ascolto,
fino alla percezione della
dimensione sacra della
pratica medica. La capacità di entrare in risonanza
col paziente consente al
medico di indagare sulle
radici emotive ed affettive
delle malattie. A questo
livello, parlare di “professione” medica sembra riduttivo, rispetto ad una dimensione di autentica “fratellanza”. Utopia? Forse.
Ma è consolante, ogni
tanto, nell’agone polveroso del combattimento quotidiano, intravedere come
realizzabili anche spiragli
di utopia.
Parlare della componente
soggettiva della malattia,
Ippocrate assiste un paziente.
di “comunicazione” e di
(Da: De regimine auctorum - British Library - Londra).
L’empatia è il gradino più alto della relazione medico-paziente, una sintonia empatia significa appunto
che attinge alla sacralità del rapporto fra esseri umani, uno stato di grazia
Il metodo clinico
del sentimento, capace di avvicinare persone inizialmente estranee, che a salire i gradini dell’itineun certo momento del percorso si accorgono di poter procedere insieme. rario di umanità che consente al medico di comUn corretto approccio clipensare la distanza psicologica imposta dall’approcnico costituisce ancor oggi una possibilità per evitacio tecnologico.
re i rischi di un eccessivo tecnicismo, attraverso una
razionale sequenza di regole: anamnesi ed esame
fisico, interpretazione fisiopatologia dei dati, formazione di ipotesi diagnostiche, identificazione dei
La componente soggettiva della malattia
problemi clinici, valutati nella reciproca interdipendenza; verifica delle ipotesi diagnostiche sulla base
La psicosomatica ci insegna l’importanza dei rapdi riscontri strumentali razionalmente sequenziali,
porti fra salute e benessere psichico. La psiconeuformulazione finale di una diagnosi e delle strategie
roendocrinoimmunologia ha suggerito alcune delle
terapeutiche ed infine verifica periodica della loro
vie attraverso le quali fattori psichici possono tracorrettezza.
dursi in malattia. La chiave di comprensione di que-
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sti meccanismi sta in una corretta valutazione degli
aspetti soggettivi della malattia, che il medico potrà
sondare stabilendo col malato rapporti che vanno
oltre i più immediati aspetti organicistici e strumentali, allo scopo di non trascurare le potenzialità diagnostiche e terapeutiche insite nell’analisi del vissuto di malattia, specchio di un mondo interiore intessuto di valori esistenziali e di immaginari irripetibili. Penetrare in questo mondo significa sondare i
meccanismi attraverso i quali una malattia insorge e
si aggrava e nel contempo stemperare con le proprie
parole l’ansia del malato.
È ancor oggi attuale il dilemma del cardiologo che
si pone il quesito se sia più “vero” un tracciato ECG
o il racconto di un paziente che descrive un’aritmia
come un improvviso “frullio d’ali nel petto”. È un
dilemma che tradisce un’artificiosa dicotomia fra
due strategie cognitive, una che porta a conoscere
ciò che è “esatto”, che può cioè essere sperimentalmente dimostrabile, e come “vero” un evento emotivo soggettivamente vissuto, ma che, proprio per la
sua interiore irripetibilità, non può essere oggettivamente provato.
Una pratica clinica attenta alla globalità della persona, ci dimostra peraltro che “vero” ed “esatto” sono
in medicina realtà complementari, così come lo
sono umanesimo e tecnica.
L’anamnesi e la “medicina narrativa”
La disponibilità all’ascolto del medico comincia
dall’anamnesi. Per il cardiologo, lasciar parlare liberamente il paziente delle proprie sensazioni cardiache e delle relative associazioni mentali, può essere
la chiave per individuare la potenziale virulenza psicosomatica di un immaginario ansiogeno.
Accanto alla “Medicina basata sull’evidenza”, si sta
recentemente affermando la “Medicina Narrativa”
(Charon, 2001), per la quale “la narrazione della
patologia del paziente, è considerata fondamentale
al pari dei segni e dei sintomi clinici... La narratività compare sulla scena proprio nel momento in
cui la medicina, giunta a straordinari traguardi tecnologici, sembra perdere la sua efficacia proprio
nel rapporto con il paziente”. ( P. Charon, 2006). La
medicina narrativa ci insegna a fare attenzione “non
solo ai risultati di laboratorio..., ma anche alle parole del paziente, ai gesti, ai silenzi, ai significati
metaforici” (P. Rossi, 2008).
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La comunicazione nel rapporto
medico-paziente
La comunicazione assume nel rapporto medicopaziente un ruolo preventivo, diagnostico e terapeutico. A livello preventivo, la parola del medico potrà
riuscire a persuadere il paziente a cambiare positivamente il proprio stile di vita.
La comunicazione è anche terapeutica. Nella fase
acuta, nulla meglio della parola del medico potrà
tranquillizzare i pazienti. In seguito, la parola del
medico contribuirà ad evitare depressione e ansietà.
“La parola del medico ha un potere immenso; può
mettere fine alla paura, abolire il dolore, instillare
la gioia, esaltare la pietà” (Gorgia da Lentini).
Comunicare è il presupposto alla responsabilizzazione del paziente nelle decisioni terapeutiche. La
medicina è scienza del probabile e sperimentiamo
ogni giorno che con una certa dose di incertezza
bisogna imparare a convivere.
Il consenso informato è solo l’epifenomeno giuridico del diritto del paziente all’autonomia delle sue
scelte di salute. By pass o angioplastica? Stent medicato o no? Protesi biologica o meccanica? Di fronte ai mille interrogativi quotidiani è necessario un
atteggiamento di umiltà da parte del medico, che
significa anche disponibilità ad accantonare una
propria decisione “tecnicamente” ben motivata, a
favore di una scelta diversa del paziente, purché
ragionata insieme. Una decisione “umana” può allora contrapporsi eticamente a una decisione “tecnica”
apparentemente inoppugnabile.
L’empatia
L’empatia è il gradino più alto del rapporto medicopaziente; una sintonia che attinge alla sacralità del
rapporto fra esseri umani. Empatia è uno stato di
grazia del sentimento, che avvicina persone inizialmente estranee, che a un certo momento del percorso si accorgono di poter procedere insieme.
L’empatia è “...la disposizione con la quale il medico si accosta, partecipa, comprende radicalmente la
sofferenza dell’altro”(P. Rossi, 1996).
Nel decorso delle malattie esistono momenti in cui
le parole diventano inutili; in cui il paziente non
può, o non vuole, ascoltare parole. Dovremmo essere allora pronti ad un linguaggio non verbale, a portare al malato il senso della nostra umana comparte-
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cipazione. Potrà bastare il senso di una presenza, un
sorriso, un semplice gesto. Stringere una mano
diventa allora quasi un gesto sacramentale.
Con l’empatia, il medico si avvicina anche al dolore morale e spirituale del malato, alla sua sofferenza
globale, quella che può stravolgere la capacità di
pensare e di pregare. È quella forma estrema di empatia in cui il rapporto col medico può consentire al
malato di sublimare le proprie sofferenze, l’unico
sollievo che il medico può offrire. Divinum est sedare dolorem.
Fare il medico non sarà allora più solamente una
mansione, ma potrà tornare ad essere una missione,
che si illuminerà dei valori di una nuova alleanza
terapeutica, in cui dovranno convivere antinomie
solo apparentemente inconciliabili, come tecnologia
e umanità e le dimensioni più qualificanti della globalità dell’uomo: psiche e soma, razionalità ed
empatia, approccio strumentale e antiche suggestioni di sacralità.
Umanità del mistero
Giunti al confine della vita, può essere compito del
medico riflettere col malato sulla necessità di arrendersi alle soglie del Mistero, forse l’unico modo
possibile di affrontare il senso della morte.
Un Mistero che sia conquista ultima dell’animo
umano e non rinuncia, intuizione consapevole dei
valori di un Sé che, anche se infinitamente umile, è
comunque capace di combattere per diradare il limite di nebbia che circonda l’immanenza dell’uomo,
attraverso il quale intravedere le labili scintille dell’incomprensibilmente grande. Una canna fragilissima, l’uomo, ma che si riscatta per la sua capacità di
pensare (Pascal).
Ci aiuterà allora parlare della naturalezza della morte. “C’è un tempo per seminare, un tempo per raccogliere. Un tempo per vivere, un tempo per morire”. In quest’ottica di accettazione biologica, ancor
prima che filosofica o religiosa, i vissuti del morire
potranno forse assumere forme meno ossessive.
Nel momento in cui la tecnica diventa impotente, il
tentativo di trasmettere al malato il senso di far parte
indissolubile dell’eterno flusso dei cicli esistenziali,
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può rientrare nella delicatissima opera di mediazione
psicologica del medico, aggiungendo al suo impegno
professionale un plus di incalcolabile valore etico.
Conclusioni
Le applicazioni della tecnologia hanno radicalmente mutato il destino del cardiopatico, ma nel contempo sono apparsi evidenti i limiti della tecnologia
nel corrispondere appieno al desiderio della gente di
un benessere esistenziale che vada oltre la semplice
assenza di malattia.
Abbiamo esplorato quel continente sommerso e trascurato che va dall’umanesimo, come retroterra culturale del medico, alla sua umanità nella professione. Abbiamo ripercorso le vie della comunicazione,
che apre la strada alla conoscenza della soggettività
del malato. L’empatia appare come il momento eticamente più alto del rapporto medico-paziente.
La medicina è oggi incerta fra cielo e terra, sospesa
fra antinomie solo apparentemente inconciliabili:
umanesimo e tecnologia, individuale e sociale, sentimenti e razionalità, trascendenza e immanenza.
Per risolvere queste contraddizioni, Homo sapiens e
Homo faber devono riuscire a convivere.
Nella comprensione della complessità assistenziale,
è indispensabile il concorso di funzioni cognitive
logiche ed intuitive. È anche per questo che la medicina, accanto a quella di Scienza, possiede ancora la
dignità di Arte. “Trascurare un tipo di funzione
conoscitiva implica anche una rinuncia al sapere”
(K. Lorenz). Razionalità e intuizione devono quindi
coesistere, se non si vuole perdere di vista la complessa realtà dell’uomo sofferente.
I libri della saggezza cinese (Nei Ching) affermano
che “L’uomo risponde al cielo e alla terra”. Una
riflessione che ci spinge a recuperare anche nella
pratica medica la dimensione di un approccio antropologico alla malattia, che conduca alla sintonia
delle due anime altrettanto irrinunciabili della medicina: quella tecnologica e quella antica dell’umanità. Per ritrovare nell’umiltà e nel rispetto della
sacralità dell’individuo la giusta chiave di lettura
dell’Uomo che soffre, inesauribile mistero di cielo e
di terra.
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