La via del riformismo

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La via del riformismo. Da cattolici nel cambiamento
Il termine riformismo ha una lunga storia. Risale all’Ottocento, quando promuovere
“riforme” serviva ad evitare la rivoluzione e, con essa, il ricorso alla violenza. Ha
evidenti collegamenti con il socialismo utopico (Francia), il laburismo (Inghilterra) e
la socialdemocrazia (Germania). Nel primo Novecento anche l’Italia ha conosciuto
una politica riformista e, dopo la dittatura fascista, nel tempo della ricostruzione, il
riformismo diventa un metodo condiviso che, dalla Democrazia cristiana ai suoi
alleati, disegna alcune delle più importanti trasformazioni della società e
dell’economia italiana, guidandone la rinascita e il cosiddetto “miracolo economico”.
Eredi del cattolicesimo sociale e democratico, le Acli fin dalle origini si sono
proposte come movimento di azione sociale e politica per favorire il rinnovamento e
lo sviluppo del Paese. E oggi intendono riproporsi come forza protagonista del
cambiamento. Nei tempi a noi più vicini, da quando Benedetto XVI a Cagliari (7
settembre 2008) ha espresso per la prima volta l’esigenza di una “nuova
generazione” di laici cattolici impegnati a servizio del Paese, è cresciuta la
consapevolezza della necessità di una rinnovata presenza cattolica in politica.
Il recente incontro di Todi (17 ottobre 2011) ha segnato un evento importante per la
fine del governo Berlusconi e l’avvio del post-berlusconismo.
Abbandonata l’ipotesi di un nuovo partito cattolico, si punta alla costruzione di un
“nuovo soggetto” sociale e culturale chiamato a prendere posizione sui temi che
riguardano il bene comune del nostro Paese (dalla pace all’immigrazione,
dall’ambiente ai principi non negoziabili), non separando mai l’etica sociale dall’etica
della vita.
Tale rinnovata visione dell’etica pubblica che si fonda sul confronto dei cattolici con
tutti nel “cortile dei gentili”, esige che si prendano le distanze dal relativismo dei
valori e dall’individualismo radicale. Un’autentica prospettiva del riformismo
cattolico esige infatti di saper coniugare la propria identità con una laicità plurale e
intelligente che faccia leva sulla logica del patto/alleanza per condividere un comune
ethos civile tra diversi. Se giustamente sono ritenuti senza voce gli emarginati, i
poveri, e gli ultimi, a maggior ragione sono senza voce i non ancora nati. Tale
radicalizzazione della questione sociale nasce dal riconoscimento che la vita umana è
un bene indisponibile e un valore non negoziabile. Bisogna quindi rendersi conto
delle ragioni profonde per cui anche personalità assolutamente laiche come
Habermas, Jonas, Arendt, concordino sul principio dell’indisponibilità della vita e
sulla necessità di riconoscere un limite, una soglia ultima e non oltrepassabile dalle
infinite possibilità della tecnica.
Il riformismo cattolico non si esaurisce tuttavia in questa legittima e doverosa
attestazione della propria visione della vita, della persona e della società ma attiene al
futuro assetto istituzionale del nostro Paese e al modello globale di sviluppo, anche in
rapporto all’Unione europea e alla comunità internazionale.
In questo senso la prospettiva fondamentale del riformismo cattolico possiamo
riassumerla – evocativamente – in una “nuova Camaldoli”, immagine che rimanda a
quello spirito costituente che solo sarebbe in seguito di risollevare l’Italia, come nel
dopoguerra, dalle macerie del presente e generare la terza Repubblica.
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