(parte I) IL TEMPO DEL CONSUMO In molti paesi europei i cittadini la guardano mediamente per quattro ore al giorno e negli Usa i consumi individuali medi arrivano a circa sei ore facendone l’impiego di tempo più consistente dopo il sonno e il lavoro, di gran lunga il primo tra i consumi informativi e superiore, come impiego di tempo, a molti altri consumi come la pratica di sport, l’alimentazione o l’uso dell’automobile. Il fatto che molta parte della televisione sia gratuita per il telespettatore, almeno marginalmente, favorisce questi consumi elevati che però si verificano anche in paesi come gli Stati Uniti dove la grande maggioranza dei cittadini riceve i programmi televisivi via cavo pagando un abbonamento mensile. La televisione, inoltre, si è affermata in molti paesi come lo strumento più importante per le campagne elettorali e per la diffusione dell’informazione politica contribuendo in modo sostanziale a determinare l’agenda del dibattito politico attraverso gli interventi negli spazi informativi e nei talk show. Questa progressiva centralità ha spinto molti paesi a regolamentare la presenza degli esponenti politici in televisione durante la campagna elettorale per assicurare che la competizione si svolga mantenendo una sostanziale parità di accesso tra i diversi schieramenti indipendentemente dal fatto che siano al governo o all’opposizione e alle relazioni che mantengono con le televisioni. LA NASCITA DELLE TELEVISIONI PUBBLICHE Nella maggior parte dei paesi europei i primi decenni dello sviluppo della televisione è stato attuato da imprese pubbliche che operavano generalmente in una configurazione di monopolio. Questa struttura del mercato viene ereditata dall’industria radiofonica e ha avuto giustificazioni sia economiche che politiche. Sul piano economico la dimensione degli investimenti necessari per sviluppare l’industria televisiva e la supposta scarsità delle frequenze facevano credere che solo lo stato nel contesto europeo potesse perseguire questo sviluppo. Dal punto di vista politico i governi non volevano lasciare nelle mani di privati, con obiettivi poco controllabili, la disponibilità di un mezzo di comunicazione cosi potente così diretto. TRA CONCORRENZA E MONOPOLIO Lo sviluppo negli Stati Uniti della radio prima e della televisione poi in un quadro concorrenziale aveva mostrato come fosse possibile lo sviluppo di questa industria in un contesto concorrenziale e commerciale. In Europa le condizioni economiche, in particolare la domanda pubblicitaria, e quelle politico sociali erano differenti e hanno favorito lo sviluppo di un modello industriale ritagliato sul monopolio pubblico. I programmi erano caratterizzati da un orientamento paternalistico educativo, con un forte peso dei generi informativi e culturali anche nel tentativo di promuovere le altre forme di espressione artistica e non spaventare gli apparati culturali consolidati altrimenti ostili al nuovo mezzo. LA QUESTIONE DEL CANONE La nuova organizzazione del mercato ha messo al centro dell’attenzione il canone che nella maggior parte dei paesi si presenta sotto la forma di una tassa sul possesso del televisione e le cui entrate vengono utilizzate per finanziare la televisione pubblica. In un mercato più aperto, dove i piani della concorrenza sono molteplici, si presenta il problema che il trasferimento può essere utilizzato dalle televisioni pubbliche come forma di sussidio per finanziare il mantenimento di una posizione competitiva nei mercati concorrenziali. Il dibattito su questo terreno è molto acceso. Già nel 1994 il Consiglio d’Europa indica che la presenza di servizi pubblici televisivi indipendenti e opportunamente finanziati era da considerarsi essenziale al funzionamento dei media in una società democratica. Sulla base di questo filone il Parlamento europeo ha votato una risoluzione che chiede di applicare un’eccezione culturale alle televisioni pubbliche e di non considerare il canone un aiuto di stato che altera la concorrenza. D’altra parte la Commissione Europea da diversi anni guarda al canone televisivo come una forma impropria di finanziamento pubblico, in grado potenzialmente di distorcere la concorrenza dei mercati televisivi. LA CRISI DELLE TELEVISIONI PUBBLICHE La fine del monopolio pubblico avviene secondo lo sviluppo della domanda di pubblicità da parte dei produttori di beni di largo consumo, quando si accelera la nazionalizzazione dei mercati regionali e si sviluppano le imprese della distribuzione moderna, in Gran Bretagna negli anni ‘50, in Francia tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70, in Italia negli anni ‘80. Aumentando la concentrazione dei mercati a valle e avendo a disposizione mercati geografici più ampi, i produttori hanno bisogno di comunicare direttamente con i loro clienti finali per difendere quote di valore aggiunto e di profitti competendo sul mercato intermedio attraverso lo strumento della fedeltà di marca piuttosto che sul prezzo. LA NUOVA TELEVISIONE. TRA CONCORRENZA E CONVERGENZA “C’era una volta la Paleotelevisione”. Comincia così un saggio di Umberto Eco (1983, pag. 163) che commentava la ‘rivoluzione’ televisiva degli anni Ottanta e introduceva l’era della Neotelevisione caratterizzata dalla “moltiplicazione dei canali, [dal]a privatizzazione, [dal]l’ avvento di nuove diavolerie elettroniche”. La nuova televisione è anzitutto figlia del cambiamento tecnologico che ha reso oggi comunicanti i settori, un tempo separati e distinti, dell’intrattenimento, delle telecomunicazioni e dell’information technology. L’innovazione tecnologica progressivamente ha riunito e continua a riunire in nome della convergenza attività un tempo distanti tra loro e promuove una trasformazione che è al contempo economica, istituzionale e sociale Pertanto, gli antichi ma sempre attuali problemi della tutela del pluralismo e dell’ampia circolazione d’informazioni e conoscenza, rilevanti per garantire ai cittadini la piena partecipazione ad una società democratica (Gambaro e Silva, 1992; Pace e Manetti, 2006), oggi si legano in modo intricato con le questioni della tutela della concorrenza e della promozione dell’innovazione. L’EFFETTO DELA MOLTIPLICAZIONE DEI CANALI Con la moltiplicazione dei canali disponibili e la presenza di formule di offerta articolate si supera il tradizionale carattere di bene pubblico dei prodotti informativi. Ciò consente di ritornare a modelli di mercato più tradizionali dove i telespettatori pagano per vedere i programmi o anche, nelle formule del pay-per-view o del video on demand pagano per ogni specifico programma che vedono gli spettatori. Nonostante tutte queste trasformazioni però la gran parte dei consumi televisivi si addensa attorno alla tradizionale televisione finanziata dalla pubblicità o dal canone televisivo e la centralità della televisione in molte società contemporanee è legata principalmente proprio a questa televisione tradizionale. CARATTERISTICHE ORGANIZZATIVE E CONCORRENZIALI DEL MERCATO TELEVISIVO Organizzazione dell’attività televisiva L’attività di un’impresa televisiva può essere divisa in quattro fasi principali: 1-la produzione o l’acquisto di programmi 2-la costruzione di un palinsesto, 3-la vendita dei contatti pubblicitari e dei prodotti 4-l’illuminazione 1 I programmi I costi dei programmi sono molto variabili e, considerando gli standard qualitativi di una televisione nazionale, vanno da circa 5-10mila euro all'ora per telefilm molto vecchi, oppure per giochi diurni, fino a oltre 1milione di euro l'ora per i maggior show di prima serata. In generale circa metà dei costi complessivi di un palinsesto sono legati alla messa in onda dei programmi di prima serata, mentre l’altra metà serve per realizzare le restanti 22 ore giornaliere di trasmissione. I programmi di prima serata infatti sono molto più ricchi degli altri e nel contesto italiano hanno un costo orario oscillante tra i 300mila euro e 1 milione di euro, mentre i programmi della fascia giornaliera hanno costi più variabili, ma generalmente oscillanti, per una grande rete nazionale tra 20mila e 100mila euro l’ora. 2.1 Il palinsesto. I programmi sono assemblati in un palinsesto che costituisce un insieme di programmi distribuiti lungo la giornata oppure può essere definito come un assortimento di prodotti (i programmi) lungo una dimensione temporale . 2.2. I costi del palinsesto Il palinsesto e i programmi costituiscono comunque la principale voce di costo di una televisione e il suo più importante fattore di successo. Infatti sono proprio i programmi l’oggetto di attenzione dei consumatori e la ragione principale per cui scelgono di guardare la televisione oppure di cambiare canale. La selezione dei programmi da trasmettere costituisce la principale scelta editoriale di una televisione e il principale strumento di differenziazione dalle altre emittenti. La televisione deve inoltre effettuare per ogni programma una scelta make or buy. A causa degli elevati costi di produzione non è possibile produrre fiction (film e telefilm) con un orizzonte esclusivamente nazionale. Infatti per questi generi le televisioni scelgono prevalentemente la strada dell'acquisizione dei diritti. E' possibile invece produrre internamente i varietà, le trasmissioni sportive e i notiziari. 3 La vendita Il risultato economico di una televisione commerciale dipende da quanto riesce a tradurre in entrate monetarie l’ascolto prodotto attraverso l’attività di vendita degli spot. Quasi tutte le maggiori televisioni europee controllano direttamente la vendita di spazi pubblicitari, con strutture di vendita interne, come la francese M6, o concessionarie di proprietà come Carlton e Granada in Gran Bretagna o Antena 3 in Spagna. Solo le piccole televisioni ricorrono a concessionarie di terzi perché non hanno la dimensione sufficiente per mantenere l’incidenza percentuale dei costi di vendita a dimensioni accettabili. In questa attività esistono infatti significative economie di scala. Infatti il costo di vendita è assai più basso per le televisioni maggiori. Il costo di vendita per una grande televisione nazionale generalmente è compreso tra il 6% e l’8%. Una televisione minore o un’emittente locale possono arrivare a costi di vendita anche superiori al 20% con uno svantaggio non indifferente in termini percentuali rispetto alle televisioni maggiori 4.1 L’illuminazione e le frequenze L’illuminazione distribuisce il segnale televisivo sul territorio attraverso un insieme di trasmettitori oppure attraverso satelliti o lungo reti via cavo qualora quest’infrastruttura sia disponibile. In Italia vi è una netta prevalenza della diffusione terrestre perché lo sviluppo di piattaforme alternative quali il cavo o il satellite è stato meno forte che in altri paesi. In Italia si registra una sostanziale integrazione verticale dell’illuminazione con le televisioni, mentre nei principali paesi europei le due attività sono spesso state separate per effetto di specifici provvedimenti legislativi o amministrativi. Sebbene l’attività di illuminazione sia fondamentale per una televisione, il suo impatto sui costi è relativamente basso: rappresenta mediamente il 3% dei costi complessivi. Ciò nonostante esistono anche nell’illuminazione importanti barriere ed economie di scala. Infatti il costo di illuminazione del territorio non è a prima vista strettamente collegato con l’ascolto che una televisione raggiunge, per cui a parità di copertura l’incidenza dei costi di illuminazione sarà superiore per una televisione piccola rispetto all’incidenza di una televisione grande. Facendo riferimento al caso italiano mentre per Rai e Mediaset il costo di illuminazione rappresenta circa il 3% dei costi totali, per le reti minori l’incidenza sale al 15-20% dei costi complessivi. In secondo luogo poiché le frequenze disponibili per la trasmissione televisiva sono in numero finito un nuovo operatore potrebbe non essere in grado di entrare sul mercato. La distribuzione delle frequenze e degli impianti di trasmissione in Italia è molto diseguale e i due principali operatori Rai e Mediaset controllano l’82% delle frequenze disponibili mentre altre cinque reti analogiche arrivano assieme solo al 18% (AGCOM, 2006). Questa disponibilità di frequenze si riflette in coperture disomogenee per le varie reti. Nella tabella 1 sono riportatele valutazioni dell’AGCOM del 2006 e dell’AGCM nel 2004. Tab 1 Le frequenze televisive in Italia N. Impianti/freq Copertura su N. Impianti/freq Copertura 2004 (agcm) popolaz (agcm) 2006 (agcom) popolaz(agcom) Rai 1 2064 99,1% 1956 98,1% Rai 2 2023 98,6% 1911 98,0% Rai 3 1984 97,0% 1867 97,3% Canale 5 1689 91,5% 1616 95,8% su Italia 1 1585 86,2% 1519 94,6% Rete4 1438 82,0% 1389 94,5% La 7 704 65,1% 713 89,8% Mtv 402 65,1% 396 82,1% Rete A 172 47,0% 194 70,9% Rete Capri 157 (99) 24,4% 200 52,0% Elaborazioni su dati agcm e agcom 4.2. Le scelte di illuminazione Per analizzare il problema illustriamo una scelta al margine fatta da un operatore integrato verticalmente in assenza di vincoli normativi o di limiti alle frequenze disponibili. Una televisione aggiungerà un impianto per allargare la copertura fino a che i costi annualizzati di quell’impianto saranno inferiori ai ricavi aggiuntivi che può ottenere. Il costo per spettatore di un impianto aggiuntivo sarà tanto maggiore quanto minore è la popolazione residente nella zona coperta dall’impianto trasmettitore. Questo spiega perchè nella costruzione di una rete si inizi a installare trasmettitori prima nelle zone con maggiore densità di popolazione e solo in seguito nelle zone marginali. Per quanto riguarda i ricavi aggiuntivi questi sono collegati essenzialmente alla possibilità di aumentare le tariffe pubblicitarie per riflettere il maggior numero di spettatori raggiunti. Ma il numero di nuovi spettatori è dato dal prodotto della diffusione dei televisori, per la propensione al consumo televisivo per la share del singolo canale (determinata questa dall’attrattività dei programmi e dal loro costo). I primi due fattori sono comuni a tutte le televisioni, mentre il terzo parametro può essere molto diverso. L’uguaglianza tra costi e ricavi incrementali per ogni singolo impianto di trasmissione porta a concludere che gli obiettivi di copertura sono collegati positivamente con l’ascolto di ogni emittenti e indirettamente con la spesa in programmi che ne è la principale determinante. Dovendo eguagliare costi e benefici marginali una televisione con una share elevata sceglierà un grado di copertura superiore a quello di una televisione piccola che non troverà conveniente investire per la copertura di zone marginali. Nella trasmissione via satellite gli elevati costi fissi indivisibili del satellite consentono di trasmettere il segnale in un territorio ampio senza altri costi aggiuntivi, per cui i costi medi per utente decrescono in modo significativo al crescere degli utenti raggiunti. Per contro per estendere la copertura di una rete terrestre occorre installare nuovi trasmettitori che coprano porzioni specifiche di territorio. LA CONCORRENZA SUL MERCATO DELL’ASCOLTO Sul mercato dell’ascolto le singole reti, una volta stabilito il grado di copertura del segnale, competono attraverso le scelte di programmazione determinando sia il grado di differenziazione orizzontale, ossia i generi di programmi da trasmettere, sia il grado di differenziazione verticale cioè le risorse da investire per produrre o acquistare il singolo programma. Se volesse fare questo semplicemente trasmetterebbe sempre programmi ad alto budget, ma rischierebbe di spendere più di quello che ricava con la pubblicità. Infatti nelle fasce orarie in cui poche persone sono davanti alla televisione, e le emittenti concorrenti trasmettono generalmente programmi a basso costo, otterrebbe share (quote d’ascolto) molto elevate, ma audience troppo basse per ripagare qui programmi costosi. Una televisione deve tenere conto delle scelte delle altre emittenti quando decide la programmazione e in questo senso può adottare strategie di complementarietà tendendo a differenziare il più possibile i programmi nella stessa fascia oraria oppure strategie di scontro trasmettendo programmi simili ai concorrenti. A seconda delle tipologie di programmi, della forza dell’emittente, del numero di canali di cui dispone una televisione possono essere convenienti ambedue le alternative. IL MODELLO DI SCELTA DEI PROGRAMMI Il punto di partenza di queste analisi è costituito dal modello di scelta dei programmi di Steiner (1952) che confronta la scelta di generi televisivi da parte di un emittente in monopolio e in concorrenza e arriva a concludere che, sotto certe condizioni l’offerta di generi è più varia sotto un monopolio. Il modello consente di spiegare il fenomeno, ampiamente verificato in molti paesi, della convergenza da parte di televisioni concorrenti sugli stessi programmi agli stessi orari Recentemente la crescita dimensionale di molti mercati televisivi e il persistere di concentrazioni elevate ha fatto emergere una spiegazione che enfatizza le interazioni oligopolistiche e la differenziazione verticale come spiegazione della concentrazione del mercato e del suo carattere oligopolistico, secondo il modello dei costi endogeni non recuperabili proposto da Sutton (1991). Gli elevati costi fissi non recuperabili collegati alla produzione o all’acquisto dei programmi sarebbero in questa logica le principali barriere all’entrata nel settore televisivo e la maggiore determinante della concentrazione elevata. Tab 2 Evoluzione della share nella prima serata(%) 1992 1996 2000 2002 2004 2005 RAI1 20.7 23.9 25.1 23 25.7 23.9 RAI2 15.9 14.9 14.2 12.1 11.1 10.6 RAI3 10.7 11 10 10.4 9.6 9.7 TOT. RAI 47.3 49.8 49.3 45.5 46.4 44.2 CANALE 5 20 22.3 22.5 23.8 22.2 22.5 ITALIA 1 12 11.5 11.7 12.2 11.2 11.5 RETE 4 11.4 8.4 7.9 8.1 8.9 8.8 TOT. MEDIASET 43.4 42.2 42.1 44.1 42.3 42.8 Altre 9.3 8 6.4 8.1 9.2 10.9 Altre SAT. - - - - 3.8 5 Altre TERR. - - - - 5.4 5.9 TMC/La 7 - - 2.2 2.3 2.1 2.1 TOTALE 100 100 100 100 100 100 Elaborazioni su dati Auditel Nella concorrenza monopolistica il numero ridotto di operatori è legato alla ridotta dimensione del mercato. Quando la domanda cresce, poiché i costi fissi restano sostanzialmente stabili, oppure si riducono per l’innovazione tecnologica, anche il numero di operatori cresce e la concentrazione si riduce. Invece nei mercati televisivi il mercato resta strettamente oligopolistico anche quando cresce. Il numero degli operatori non è legato alla dimensione del mercato come nella concorrenza monopolistica (che prevede nel lungo periodo un mercato frammentato per l’entrata di numerosi operatori), ma agli investimenti fissi che determinano la qualità del prodotto (nel caso del mercato televisivo essenzialmente gli investimenti in programmi che rappresentano circa i 2/3 dei costi di un’emittente) e alle preferenze dei consumatori per i programmi che incorporano una quantità maggiore di investimenti. Quando il mercato cresce gli operatori esistenti tendono ad aumentare gli investimenti per la produzione o l’acquisto di programmi per poter vincere la guerra dell’ascolto contro i concorrenti e di conseguenza sale il livello dei costi fissi necessario per operare sul mercato e la concentrazione rimane elevata. IL MERCATO ITALIANO La configurazione del mercato italiano mostra come l’eventuale scarsità di frequenze non sia il fattore di concentrazione determinante. Il piano delle frequenze prevede 17 reti nazionali equivalenti (11 reti nazionali e altre 6 costituite dall’insieme delle locali), mentre sul mercato risultavano attive 15 emittenti nazionali per un totale di 21 emittenti nazionali equivalenti comprendendo le locali. Esiste dunque lo spazio tecnico per queste emittenti, che infatti sono tutte riuscite a trasmettere segnali contemporaneamente, mentre la configurazione del settore fa sì che lo spazio economico sia limitato e che i primi due operatori controllino la quasi totalità del mercato. Nei lunghi anni di sviluppo del mercato televisivo italiano, dopo il consolidamento del duopolio, nessun operatore è riuscito a crescere sopra la soglia di una presenza nominale, nonostante i numerosi tentativi di sviluppo e di rilancio. Questo indica che nel mercato operano delle barriere all’entrata più strette della disponibilità tecnica delle frequenze. La mancanza di concorrenti non sembrerebbe dunque dovuta tanto alla mancanza di frequenze disponibili (anche se naturalmente gli ostacoli al trasferimento delle licenze rendono più difficili i nuovi ingressi), quanto alle economie di scala presenti nella produzione e nell’acquisizione dei programmi. Il controllo di tre reti ciascuno da parte dei primi due operatori ha un impatto maggiore sul grado di concentrazione del mercato italiano proprio perché impone a un nuovo entrante di operare con lo stesso numero di reti dei due incumbent principali per non soffrire di uno svantaggio permanente nei costi. Infatti se entrasse con un numero minore di reti, ad esempio con due, un incumbent non accomodante coprirebbe in contro-programmazione i palinsesti del newentrant con due delle sue reti ( ad esempio film contro film e varietà contro varietà) per ridurre l’efficacia delle sue scelte di programmazione, mentre con la terza coprirebbe segmenti complementari di ascolto e di pubblico con una produttività (costo per la produzione di un contatto) maggiore. Il risultato sarebbe che il costo di produzione per telespettatore (costo di un programma diviso l’audience raggiunta) sarebbe stabilmente più alto per il nuovo entrante (anche ipotizzando una distribuzione omogenea di talenti, fiuto e abilità di programmazione). IL RUOLO DELLA PUBBLICITA’ La pubblicità è un fattore di produzione impiegato, assieme ad altri nella specifica funzione di vendita. La sua domanda è influenzata dalla produttività del fattore La domanda di pubblicità televisiva è più concentrata di quella di altri mezzi, ad esempio quella dei quotidiani dove vi sono oltre 10mila clienti nella sola pubblicità nazionale. La causa di questa concentrazione sono le soglie elevate per comunicare in televisione. Gli esperti del settore valutano che difficilmente sia possibile effettuare una campagna pubblicitaria sulla televisione nazionale con un budget inferiore a 3-400mila euro per l’acquisto di spazi. Inoltre la sola produzione dello spot costa mediamente 150-200mila euro per 30 secondi di girato Tab 3 LA RIPARTIZIONE DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICITARI PER MEZZI, 2003 tv radio Quotidiani periodidici esterna Cinema ITALIA 58% 5% 17% 17% 3% 1% 100% SPAGNA 45% 10% 20% 15% 8% 1% 100% FRANCIA 41% 12% 8% 23% 16% 1% 100% GERMANIA 39% 6% 25% 27% 4% 0% 100% GRAN 7% 25% 13% 8% 2% 100% BRETAGNA 45% Come si vede dalla tabella 3, in Italia la televisione rappresenta il 58% degli investimenti pubblicitari nazionali calcolati in questo modo, ma negli altri paesi la quota della pubblicità televisiva è comunque superiore al 40% e la televisione è ovunque il primo mezzo pubblicitario nazionale. La Rai, per compensare la presenza del canone, ha un affollamento più ridotto delle emittenti commerciali sia su base oraria che su base settimanale. Secondo le disposizioni introdotte dalla legge Gasparri l’affollamento orario è del 12% per Rai e del 18% per le emittenti commerciali più un 2% di tolleranza allo sforamento, cui si aggiunge per le emittenti commerciali un limite giornaliero del 15% per la pubblicità tabellare e settimanale del 5% per le telepromozioni e le televendite. Rai invece ha un limite del settimanale del 4% comprensivo della pubblicità tabellare e delle telepromozioni. Il limite giornaliero del 15% per le commerciali non è stringente perché consente di compensare agevolmente il 20% di affollamento delle ore migliori del daytime e del prime time con un affollamento notturno attorno al 10%. GLI SPOT Come si vede dalla tabella 4 durante il peak time i canali commerciali trasmettono circa il doppio degli spot dei canali pubblici mentre se si prende in considerazione l’intero giorno il rapporto è di circa 3,5 volte tra Rai1 e Canale5 mentre sale a 5,5 volte tra Rai3 e Rete4. Tab 4 NUMERO DI SPOT NELL'INTERA GIORNATA E IN PRIME TIME Numero totale Numero spot 2000 Numero totale spot prime 2003 2000 spot Numero time prime time 2003\ Rai1 65,178 70,939 11,673 13,735 Rai2 57,316 58,385 7,859 9,077 Rai3 30,669 33,509 5,619 7,625 Can5 197,223 212,362 22,048 22,629 Ita1 201,350 203,964 17,943 19,119 Rete4 163,994 192,044 19,204 18,028 La7 136,314 150,941 17,043 16,285 Elaborazioni su dati Auditel spot I PREZZI Nonostante gli elementi di differenziazione, il contatto scambiato sul mercato pubblicitario è un bene relativamente omogeneo o perlomeno è considerato tale dalle aziende acquirenti. Di conseguenza la concorrenza di prezzo è abbastanza intensa e i prezzi medi per mezzo sono abbastanza allineati. La concorrenza di prezzo viene però mitigata da alcuni fattori rilevanti. Innanzitutto fenomeni di vincolo alla capacità produttiva come i limiti all’affollamento pongono un freno alla discesa dei prezzi. Vincoli asimmetrici o selettivi, come quelli differenziati per televisioni commerciali e pubbliche favoriscono l’adozione di posizionamenti e strategie diversificate moderando lo scontro frontale sui prezzi. In secondo luogo il fatto che in tutti i paesi europei ci sia un numero ridotto di imprese televisive concorrenti favorisce forme di coordinamento implicito o di collusione che limitano la discesa dei prezzi. In terzo luogo nei mercati pubblicitari funziona una discriminazione di prezzo di primo grado per cui i prezzi pagati da ogni singolo cliente sono molto diversi tra loro. Questi aspetti rendono il mercato poco trasparente e costituiscono un ulteriore freno alla discesa dei prezzi. L’EVOLUZIONE DEL MERCATO TELEVISIVO la televisione FTA (free to air) rappresenta il mercato originario da cui negli ultimi decenni sono venuti separandosi nuovi sottomercati di dimensioni crescenti, sempre più importanti, ovvero: - la televisione a pagamento - la televisione su domanda - la televisione via internet Questi mercati si distinguono da quello originario in parte per una diversa modalità di trasmissione, ma soprattutto di finanziamento, in quanto la tecnologia ha reso possibile far pagare un prezzo all’utente per il suo ascolto, e pertanto ha consentito l’attivazione di mercati differenziati. Tutto questo ha generato un nuovo tipo di concorrenza, che oggi si esercita più tra piattaforme diverse che all’interno della piattaforma originaria (FTA), e reso necessari nuovi tipi di interventi regolativi. DALLA FTA ALLA PAY TV Per lungo tempo, la televisione terrestre FTA ha rappresentato l’unica piattaforma trasmissiva disponibile, identificandosi tout court con il mercato televisivo. Solo in tempi successivi l’innovazione tecnologica ha prodotto nuovi sistemi di distribuzione (il cavo, il satellite, il digitale terrestre, ecc.) che sono entrati a vario titolo in rapporto con il mercato originario, talvolta favorendone lo sviluppo, come avvenuto nella fase iniziale per la televisione via cavo statunitense, talora alterandone la fisionomia, come è avvenuto ad esempio con la transizione di parte del palinsesto della televisione FTA alla pay-TV. Il perno strategico sul quale si è giocata la trasformazione è stato l’estensivo ricorso all’esclusione che, operata dal lato dei consumatori ha permesso di introdurre un prezzo d’accesso diretto all’intrattenimento televisivo, mentre praticata dal lato dell’offerta, sia a livello tecnologico che di contenuti, ha permesso alle imprese di creare barriere all’entrata per i concorrenti. ANALISI CRITICA DELLA DOMANDA Nonostante la tendenza segua una progressiva globalizzazione nel settore della televisione free, i mercati televisivi tradizionali rimangono per ora sostanzialmente nazionali con reti di distribuzione terrestre costruite sulla sagoma dei confini nazionali. Anche la televisione a pagamento rimane prevalentemente nazionale sebbene vi sia una maggiore internazionalizzazione del controllo proprietario con alcuni operatori quali, ad es. Sky. Trasformare l’interesse dei telespettatori per i programmi in offerta pubblicitaria è risultato un metodo efficace per organizzare l’industria dei mezzi di comunicazione e le formule di televisione a pagamento devono scontrarsi con quest’offerta attrattiva e gratuita. Naturalmente più i gusti dei telespettatori si specializzano più crescono gli spazi per palinsesti tematici che sono offerti in modo più efficace dalle piattaforme a pagamento, ma si tratta di un processo lento, e non sembrano esserci all’orizzonte mezzi pubblicitari capaci di sostituire rapidamente le grandi televisioni generaliste. (parte II) CONCORRENZA E CAMBIAMENTO NEL MERCATO TELEVISIVO IL CASO DELLA PAY-TV Le diverse strutture industriali assunte dal settore televisivo nella sua evoluzione sono l’esito contingente del processo d’interazione descritto e sono perciò inesorabilmente destinate a cambiare al mutare di una o più variabili implicate. Da questo profilo verrà studiato il mercato della televisione a pagamento, nato in contiguità con la televisione in chiaro terrestre, la c.d. televisione free-to-air (FTA), e cresciuto nella progressiva separazione, man mano che una varietà di impulsi ne hanno lentamente delineato una fisionomia specifica. Benché oggi i due mercati siano percepiti e trattati come distinti - come evidenziato da alcuni casi antitrust europei -, esiste una storia comune, una sorta di filo rosso, che ha avvicinato e allontanato i due settori nelle varie fasi del cambiamento. Tale processo, ragionevolmente, continuerà ad operare in futuro cosicché nessuna configurazione può essere considerata come definitiva. - Il cavo e la trasformazione della distribuzione: il caso statunitense - Contenuti, diritti ed esclusiva: il caso europeo - Elementi distintivi del processo concorrenziale - La lezione della pay-TV: esclusione e concorrenza TEMI APERTI - problemi della tutela del pluralismo e dell’ampia circolazione d’informazioni e conoscenza, rilevanti per garantire ai cittadini la piena partecipazione ad una società democratica (Gambaro e Silva, 1992; Pace e Manetti, 2006), oggi si legano in modo intricato con le questioni della tutela della concorrenza e della promozione dell’innovazione. - La penetrazione delle piattaforme digitali, caratterizzate da minori limitazioni in termini di capacità trasmissiva, può determinare inoltre un aumento dell’ampiezza della scelta per i consumatori che si traduce in un aumento della loro disponibilità a pagare per l’accesso a contenuti che meglio rispondono alle proprie preferenze. Quindi vi è non solo un aumento della domanda di mercato in generale, ma anche della domanda rivolta a mercati di nicchia. Si affermano dunque nuove potenzialità e ciò dovrebbe favorire ulteriormente una maggiore pressione concorrenziale. - Nonostante l’innovazione tecnologica garantisca spazi trasmissivi sempre più numerosi, la presenza di operatori dominanti in uno o più mercati, l’assenza di un quadro regolatorio ottimale e l’eventuale adozione di pratiche escludenti possono complessivamente limitare l’accesso al mercato di nuovi operatori e rallentare o distorcere il processo innovativo, annullandone i potenziali effetti positivi. Tre operatori coprono da soli ancora quasi il 92% dei ricavi totali, mentre le altre imprese si contendono per ora quote marginali del mercato, operando tramite piattaforme distinte e, per ora, non concorrenti in modo sostanziale. IL RUOLO DELLE REGOLE È del tutto evidente che in questa prospettiva un ruolo fondamentale è giocato dal mondo delle regole, da sempre protagonista non solo nel definire i margini istituzionali nei quali gli operatori devono operare, ma anche nell’indirizzare, secondo i vincoli o gli incentivi prodotti, il cambiamento del mercato verso specifiche configurazioni, al punto da divenire, almeno nella prospettiva di lungo periodo, una delle variabili concorrenziali, come eloquentemente testimoniato da un articolo apparso recentemente su un quotidiano che titola “guerra di regole per la TV a pagamento” (Grazzini, 2007). Il processo di convergenza in corso costringe il legislatore e le autorità di regolazione settoriale a ridefinire un chiaro quadro di regole che permetta l’avvento di mercati concorrenziali e dunque di una pluralità di operatori senza al contempo ridurre gli incentivi alla innovazione tecnologica. fruitori in consumatori ‘personalizzati’ e paganti, capaci cioè di scegliere il contenuto al quale accedere, il tempo di fruizione e il prezzo al quale sono disposti ad acquistarlo. GLI INTERVENTI La definizione dei mercati rilevanti - Un primo tema riguarda la definizione dei modelli di business e dei mercati rilevanti conseguente al processo di convergenza tecnologica. La revisione dei vincoli regolatori - Nella maggior parte dei paesi industrializzati, la televisione FTA è soggetta a precisi vincoli regolatori volti a ridurre le barriere all’entrata e a garantire concorrenza e pluralismo (esterno), unitamente all’adozione di misure finalizzate a promuovere la diversità dei contenuti accessibili (pluralismo interno). Il governo della transizione tecnologica – Si pone cioè il tema della opportunità della definizione di misure asimmetriche di governo della transizione alle nuove piattaforme e ai nuovi modelli di business volte a garantire l’accesso di nuove piattaforme trasmissive alternative in diretta concorrenza con gli operatori dominanti nelle piattaforme tradizionali. Il coordinamento delle politiche regolatorie si pone il tema di fornire un quadro regolatorio unico che disciplini coerentemente tutte le fasi della filiera produttiva televisiva, da un lato eliminando gli oneri amministrativi per le imprese e dall’altro incoraggiando l’ingresso di operatori efficienti a tutti i livelli della filiera. La relazione tra innovazione tecnologica e innovazione regolatoria – il tema di promuovere una virtuosa complementarietà, sincronica e diacronica, tra innovazione tecnologica e innovazione regolatoria, in ragione della quale misure asimmetriche e pro-concorrenziali abbiano un’ estensione temporale tale da garantire nel medio-lungo periodo maggiore libertà di scelta e riduzione dei prezzi e/o incremento della qualità fruita. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Le questioni sollevate difficilmente permettono risposte certe e immutabili, giacché il processo evolutivo descritto le rende tutte imperfette e rapidamente obsolete. La dinamica che caratterizza il settore in esame, infatti, limita in buona misura la validità di soluzioni ‘statiche’, volte plasmarlo in modo preciso e predeterminato o cristallizzarlo in un dato assetto. Inoltre, non esiste un percorso “ottimale” o anche solo “standard”, né esistono ricette comuni. Ogni paese declina a modo suo, sulla base della propria storia e per effetto dei vari interessi in gioco, un percorso su cui appunto convergono e si declinano in modo differenziato le forze dell’economia, della tecnologia e delle regole. Perciò, la risposta più seria in termini di policy pare essere quella che suggerisce di tutelare il ‘processo’ piuttosto che il ‘prodotto.