Primo convegno di preparazione a Verona 2006

Diocesi di Ragusa
Ripartire dall’uomo per trasmettere la speranza
Primo convegno di preparazione a Verona 2006
Ragusa, Auditorium della Camera di Commercio, 4 marzo 2006
Risvolti sul mondo delle comunicazioni sociali
Francesca Cabibbo
Direttore dell’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali
Siamo nell’era del “villaggio globale”.
Quale differenza con quella che nei libri di storia abbiamo imparato a conoscere come
“economia curtense”, cioè la piccola realtà di un villaggio onnicomprensivo, interamente bastante a
se stesso, che all’interno della propria ristretta cerchia di rapporti personali e familiari, era in grado
di soddisfare ogni tipo di bisogno, da quello materiale (attraverso gli scambi in natura che
avvenivano all’interno della “corte), a quelli di rapporti interpersonali, che mai abbandonavano la
ristretta cerchia del piccolo gruppetto di case medievali.
E nella società verghiana, il piccolo Jeli, il pastore, può dire che “uno che sa scrivere è come
uno che serbasse le parole nella scatola del suo acciarino e potesse portarsele in tasca, o anche
mandarle di qua e di là”, in giro per il mondo. L’analisi del pastore Jeli, nella sua semplicità, è
sociologicamente esatta. Jeli non conosceva ancora le immagini, il cinema, la televisione, internet,
mezzi che via via sono sempre più stati in grado di mandare le parole in giro per il mondo.
Questo sono i mezzi di comunicazione sociale, questo fanno oggi i media. Con l’avvento dei
mezzi di comunicazione sociale si è operata nel mondo una vera e propria rivoluzione culturale. Il
nostro sguardo si apre sul mondo, ma, al tempo stesso, il nostro sguardo ed il nostro pensiero sono
fortemente influenzati da ciò che accade nel mondo, o meglio da ciò che di esso i mezzi di
comunicazione trasmettono e riferiscono.
Leggiamo nel “direttorio sulle comunicazioni sociali”, presentato recentemente dalla
Conferenza Episcopale Italiana: “I media oggi non sono semplici strumenti neutri, essi sono al
tempo stesso mezzo e messaggio, portatori di una nuova cultura che <nasce, prima ancora che dai
contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare, con nuovi linguaggi, nuove
tecniche, nuovi atteggiamenti psicologici>.
I media sono un fattore decisivo per la crescita dei singoli e della società, ma essi possono
comportare anche dei rischi, ad esempio inducendo ad una sorta di evasione dalla realtà, o,
paradossalmente, all’isolamento, possono, talvolta, essere usati per condizionare la vita
democratica, politica ed economica, possono risultare devastanti per il singolo e per il sistema
sociale.
Lo ha capito bene, ad esempio, il mondo della pubblicità, che usa i media per “sostenere” le
vendite dei propri prodotti, addirittura per “creare il bisogno”, per “stimolare il desiderio di
acquistarlo o possederlo”.
La problematica diviene molto più complessa quando ci avviciniamo al mondo
dell’informazione: qui c’é il rischio del plagio, dell’imbonimento, della possibilità di far passare
notizie o informazioni che diano allo spettatore la sensazione di essere informato, ma, in realtà, egli
è stato solo inserito in un grande circuito mass-mediale, come “recettore” di notizie costruite da
altri. Che non sempre sono rispondenti alla verità. Un esempio per tutti: ricordate la guerra del
Kuwait, nel 1990? Dopo un lungo periodo di pace, lo spettro della guerra era tornato a riaffacciarsi
nel mondo occidentale. Per gli Stati Uniti, che avevano voluto quel conflitto per riconquistare il
Kuwait e sottrarlo all’invasione irachena, c’era la necessità di fare arrivare al mondo dei messaggi
“utili” a sostenere le ragioni del conflitto. Come tutti sanno, si è scoperto solo qualche anno fa che
Primo convegno di preparazione a Verona 2006
Ragusa, Auditorium della Camera di Commercio, 4 marzo 2006
Risvolti sul mondo delle comunicazioni sociali
Francesca Cabibbo
le immagini dei bombardamenti aerei, o altre scene del conflitto, erano state abilmente confezionate
e preparate, prima ancora che essi potessero avvenire. Di esempi come questo è pieno il mondo.
Altro esempio: il profilo basso tenuto dai media statunitensi per quanto riguarda il rientro delle
salme dei soldati uccisi in Iraq.
Ci si chiede: dove sta andando la comunicazione di massa, in una società sempre più
globalizzata
Prendiamo a prestito le affermazioni del professore Giampiero Gamaleri, ex componente del
CdA della Rai. In un recente convegno svoltosi nel giugno del 2003 egli disse, a proposito della
televisione, che, se vogliamo, è il mezzo di comunicazione più diffuso: “La televisione nei paesi
occidentali è totalizzante: ho fatto un piccolo elenco dei momenti in cui la televisione unisce tutto il
mondo in un modo spesso drammatico, e questo avviene nei momenti di dolore: le Twin Towers,
l’Afghanistan, l’Iraq; e prima ancora la morte dei Kennedy, la passeggiata sulla Luna, la morte di
madre Teresa ed anche quella di Lady Diana, avvenute una vicina all’altra. E noi potremmo
aggiungere certamente le immagini recenti dello tsunami). La televisione, dunque, dilaga sempre di
più”.la televisione modifica e globalizza anche il linguaggio. Immaginate, ad esempio, chi, qualche
anno fa, conosceva il termine “talebani”. O quanta familiarità avessimo, fino allo scorso anno, con
il termine “tsunami”, ormai entrato nel linguaggio quotidiano. “Sembrava fosse passato lo tsunami”,
sentivo dire, con una frase forse poco felice. Con buona pace dell’Accademia della Crusca il
linguaggio assume oggi forme sempre più frutto della globalizzazione.
La televisione è dun que, secondo Gamaleri, il “media” più invasivo. Giovanni Sartori ha
coniato un’espressione fortunata, che ormai è entrata anche nel linguaggio di molti, parlando, a
proposito della civiltà contemporanea, di società dell’”HOMO VIDENS”.
Il mezzo televisivo ha ormai sostituito, a tutti gli effetti, l’agorà, la piazza; spesso i linguaggi
sono quelli più violenti ed aggressivi. Spesso, chi opera nel mondo dell’informazione mette persino
in dubbio che possa esistere una comunicazione basata sull’accoglienza, sull’ascolto, sulla
valorizzazione di ciò che è positivo, perché “fa meno audience”.
E qui quanto mai importante il ruolo dello spettatore, sereno e competente, consapevole ed
attento. A lui, a ciascuno di noi, può spettare il compito di interlocutore privilegiato. E se vogliamo
dei media migliori, dei media più rispondenti a ciò che di più profondo abbiamo nel cuore, senza
poter pensare di condizionare le grandi scelte politiche ed economiche, possiamo pensare di fare
tutta la nostra parte per operare almeno un sovvertimento dei canoni etici e culturali che vengono
proposti. Far sentire la propria voce, di spettatori attenti, capaci di giudicare ed analizzare un
programma positivo e di far giungere la propria voce agli autori ed ai direttori di rete, capaci di dire
la propria disapprovazione ed il proprio dispiacere, pur senza toni scandalistici o di condanna, per
programmi che propongono modelli culturali fuorvianti o poco positivi. Viviamo, quindi, da
protagonisti attenti il rapporto con i media, che sono certo un “mezzo”, ma sono anche strumenti
che trasmettono e, a volte, creano la cultura. Ed è anche attraverso di essi che noi trasmettiamo
valori e possiamo trasmettere speranza.
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