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Apparato vascolare
prof.ssa Mazzone
L’ultima volta avevamo completato con la descrizione degli assi anatomici del nostro corpo che
servono ad individuare delle zone ben precise delle nostre strutture, cioè sono dei punti di
riferimento importanti.
Metameria
Dal punto di vista della pratica medica è fondamentale la conoscenza della metameria, vale a dire
dell’organizzazione del nostro corpo per sezioni.
La metameria ha rappresentato un gradino evolutivo fondamentale, non solo per i vertebrati, ma
anche per gli animali della serie evolutiva più bassa perché la metameria ha trasformato alcuni
animali in tubi flessibili, capaci quindi di una locomozione molto rapida.
L’esempio più eclatante di metameria nella serie animale è rappresentato dagli anellini, dai vermi, i
quali sono costituiti proprio da segmenti interamente indipendenti l’uno dall’altro ma
profondamente uguali. Dunque in questi che sono animali inferiori la metameria è detta omonoma,
perché ogni segmento rappresenta un’entità perfettamente uguale a tutti gli altri.
Anche noi abbiamo una metameria ma dal momento che ci siamo evoluti in maniera notevole, la
nostra metameria è diventata eteronoma, perché siamo costituiti da segmenti che hanno la stessa
origine embriologica, ma che poi si sono profondamente modificati.
*Nella pratica medica molto spesso, in maniera del tutto banale, utilizzando un piccolo oggetto
appuntito, come uno spillo, oppure un martelletto, si ha la necessità di saggiare la sensibilità di vari
territori del corpo e verificare se quella sensibilità ha subito un deficit per motivi svariati.
Dunque la conoscenza della metameria è molto importante, così come è importante la terminologia
anatomica.
La metameria interessa tutto il nostro corpo però inizia dalla parte centrale del nostro corpo ed è un
evento che si verifica primariamente già nell’embrione. La superficie dorsale del corpo
dell’embrione si è già segmentata e questa segmentazione interessa la parte posteriore della testa,
vale a dire l’ultima porzione di encefalo, che prende il nome di romboencefalo (questa parte
dell’encefalo è così chiamata perché ha una cavità con la forma di una losanga o di un rombo).
Perché è importante la parte posteriore dell’encefalo?
E’ importante perché da esso prende origine la maggior parte dei nervi che servono la testa e il
collo. In prosecuzione a questa parte posteriore di sistema nervoso si associa strettamente il midollo
spinale che è contenuto normalmente all’interno della colonna vertebrale. I segmenti che
provengono dal romboencefalo si chiamano rombomeri , e da ogni segmento, da ogni rombomero si
originano coppie di nervi destinati a innervare la testa e la parte posteriore del collo. Dal midollo
spinale invece, si originano una coppia di nervi che vanno a servire tutte le zone del tronco e anche
gli arti, ma inizialmente nell’embrione, poiché egli nelle prime settimane (l’embrione ha la forma di
un girino, di una virgola) è sprovvisto degli arti e presenta invece la coda, perché il midollo spinale
ha una lunghezza maggiore di quella che poi avrà in maniera definitiva. Quindi i somiti, cioè i vari
segmenti che si originano dalla segmentazione del midollo spinale, sono delle zone che individuano
anche una vertebra corrispondente a livello di midollo spinale considerato.
In definitiva il somite è più complicato del rombomero, perché non interessa solo una struttura
nervosa ma anche la parte di vertebra che si sta sviluppando intorno ad esso.
Un segmento di midollo spinale individua una coppia di nervi spinali. La vertebra avvolge il tratto
di midollo spinale di quella regione. Tutta la colonna vertebrale, costituita da vertebre sovrapposte e
tutto il midollo spinale, vengono suddivisi in segmenti: a livello embrionale questi segmenti sono
chiamati somiti, nell’adulto invece ritroviamo territori di tronco, segmenti a cui corrisponde una
vertebra, la parte di midollo contenuta all’interno di quella vertebra e una coppia di nervi spinali che
da quel tratto di tronco hanno origine.
Ogni segmento (spesso rappresentato come una striscia colorata) individua contemporaneamente
anche masse muscolari che avvolgono tutte le strutture e una parte di cute.
*Perciò se andiamo a stimolare per esempio la parte che riguarda la spalla, andremo a stimolare la
cute (pungendo o facendo pressione), lo stimolo si trasmette ai muscoli che si trovano sotto ed
entrambi, cute e muscoli, sono serviti dalla parte di midollo che si trova a quell’altezza e che nasce
dalla prima vertebra toracica.
-Per cui ogni territorio ha la sua autonomia e chiaramente ogni segmento è diverso dagli altri, cioè
ad es. nella specie umana, il segmento che interessa il collo è diverso dal segmento che deve andare
a servire la parte centrale dell’addome. Dunque la metameria è importante nell’uomo perché
sappiamo che andando a stimolare una determinata zona si ottengono delle risposte, cioè si può
saggiare la sensibilità di un individuo, si può stabilire se un soggetto presenta dei deficit sensitivi
dovuti ad esempio a danni che riguardano i nervi di quella regione.
*Quando dal neurologo si presenta un paziente ad es. con delle parestesie all’arto superiore,
al giorno d’oggi si esegue un elettromiografia, cioè il neurologo applica degli elettrodi lungo il
decorso dei muscoli, li stimola elettricamente e verifica se c’è una risposta, cioè la contrazione di
quelle masse muscolari; ma in realtà così si verifica se quelle masse muscolari ricevono una
innervazione adeguata, innervazione che proviene dal midollo spinale, da quel determinato
segmento.
-Se consideriamo nuovamente l’embrione, che presenta la forma di un girino, una “virgola”, egli
possiede la coda ma non ancora gli arti, i quali si formano successivamente quando questa virgola
comincia a verticalizzarsi, ad aprirsi; a questo punto gli arti si formano come espansioni dalla parete
anteriore del tronco. Però come l’evoluzione ci insegna, noi proveniamo da animali quadrupedi, che
si sono sollevati, hanno aperto gli arti e li hanno messi in posizione anatomica, pendenti al lato del
tronco, con il palmo della mano rivolto in avanti. Allora tutti i nervi che servono l’arto superiore
subiscono una complicazione perché seguono questo movimento: cioè mentre gli arti inferiori
nascono, si originano, come emanazioni del tronco in avanti e poi si dispongono in modo da avere
la pianta del piede già rivolta inferiormente verso il suolo, gli arti superiori invece, pur originandosi
come espansioni superiori del tronco, devono subire poi una rotazione e una apertura “in fuori”.
Successivamente il feto (dopo il terzo mese) non potendo restare nel grembo materno con gli arti
così disposti, li flette nuovamente avvicinandoli al corpo (il bambino infatti nasce con questo
atteggiamento posturale) e con gli arti inferiori flessi contro la parete anteriore del tronco dalla
quale si sono originati.
Allora gli arti superiori subiscono una complicazione, un aumento di fibre nervose (perché queste
devono arrivare fino alla mano) e una torsione. In ogni caso comunque i nervi nascono sempre da
quei determinati segmenti di midollo, che si trovano tra la base del collo e la parte superiore del
torace, in direzione della spalla.
Allora l’innervazione degli arti è più complicata perché in realtà poi tutte quelle sezioni, i segmenti
che abbiamo individuato, non presentano dei limiti netti, ma sono parzialmente sovrapposte tra di
loro.
*Se paradossalmente volessimo provocare fisiologicamente una lesione agli arti superiori
dovremmo andare a tagliare più di un nervo, in quanto non è uno solo il nervo che va a servire l’arto
superiore, ma sono diversi e tutti sovrapposti tra di loro; quindi devono essere sezionati almeno 3-4
nervi, oppure si dovrebbe direttamente operare un taglio che incida il midollo spinale di 3-4
segmenti.
-Qual è la conclusione?
La metameria esiste nella specie umana, ed è particolarmente evidente a livello degli arti. Questa
metameria consente contemporaneamente di stabilire determinate aree.
Però mentre la cute può essere interamente esplorata, poiché ogni parte della cute ha un suo
segmento che si chiama dermatomo, termine che indica una porzione, una striscia di cute, le
strutture ossee e muscolari sottostanti e l’innervazione correlata a queste strutture; inoltre, se c’è
un’innervazione, questo significa che ci sarà una parte, un cilindretto di midollo che farà parte di
quel segmento. Ecco perché la metameria, nello specie umana, è diventata eteronoma, vale a dire
ogni segmento è diverso dall’altro: le strutture provenivano tutte da un unico progenitore ma si sono
fortemente modificate (ad esempio i dermatomi della regione inferiore del collo non sono uguali ai
dermatomi della regione inferiore sacrale di colonna vertebrale). Cioè il nome è unitario (il
segmento è definito dermatomo) ma le strutture in esso contenute, pur essendo le stesse, svolgono
funzioni diverse perché servono regioni diverse.
Questa è un concetto, una base anatomica fondamentale da comprendere, poiché capita molto
spesso nella pratica medica di dover indagare determinate regioni.
Una regione in cui la metameria ha raggiunto la sua massima espressione è la regione toracica,
perché si sono mantenute le coste, cioè delle strutture che individuano dei segmenti ben definiti.
Aggiungiamo a questo che all’interno della cavità toracica delimitata da tali coste si trovano organi
fondamentali quali i polmoni e il cuore, è chiaro che, anche nel momento in cui si opera una
percussione, o l’auscultazione, oppure ancora bisogna fare delle indagini strumentali o di
laboratorio, si può utilizzare come riferimento anche una sola costa.
-Ad esempio a livello della terza costa si trova la base del cuore;
al livello della prima costa e quindi al limite con il collo si trova l’apice del polmone
*Quando si va a porre il fonendoscopio sulla parete toracica del soggetto si sceglie un segmento; ad
es. se si vogliono apprezzare i rumori della base polmonare bisogna scendere sulla gabbia toracica
utilizzando come riferimento la terzultima costa;
-Quando si pongono gli elettrodi in un elettrocardiogramma, uno si mette in corrispondenza della
terza costa, perché in quel punto c’è la base del cuore e i grossi vasi che hanno rapporto con la base
cardiaca, un altro in corrispondenza del quinto spazio intercostale di sinistra (dove c’è l’apice del
cuore); un altro ancora si mette a metà dello sterno in corrispondenza della base dei ventricoli.
Si tratta quindi di punti di riferimento, di anatomia segmentaria.
*Quando ci sono episodi di tachicardia l’apice del cuore comincia a pulsare in maniera spasmodica
e preme contro la cute del quinto spazio intercostale di sinistra e dà dei riverberi.
L’infartuato si riconosce perché accusa dolori all’arto superiore sinistro oppure perché ha riverbero
in corrispondenza dello stomaco ( tanti infartuati ad es. non vengono soccorsi in tempo perché si
confonde un infarto con una banale indigestione: l’individuo accusa dolori alla regione epigastrica,
la quale è la zona in cui lo stomaco è nudo, ricoperto solo dalla cute; dati i rapporti di vicinanza, il
cuore infartuato preme contro lo stomaco e dà l’impressione al paziente di avere una semplice
indigestione).
-Perche questo succede? Perché gli organi, quando sono ammalati, si riverberano l’uno sull’altro?
Questo accade perché l’innervazione segmentaria proviene da nervi, da segmenti che si sono
parzialmente sovrapposti. Allora un cuore disturbato provoca sintomi all’arto superiore sinistro e
allo stomaco e questo significa che i segmenti, i dermatomi, sono parzialmente sovrapposti e i nervi
servono contemporaneamente strutture differenti.
*Questa semplice nozione è di fondamentale importanza perché nella pratica medica permette di
fare una diagnosi anticipata, di prevedere un’eventuale patologia e non fare errori madornali:
si racconta che una volta un medico scambiò un infarto con una indigestione e prescrisse un
digestivo consigliandolo di mettersi a passeggiare, quando invece un infartuato deve stare
immobile.
Capiterà durante la vostra carriera universitaria che il vicino di casa, sapendo che studiate medicina,
vi chiama urgentemente perché ha un problema. Sta a voi riconoscere nell’immediatezza, anche da
studenti, un caso particolarmente grave.
In anatomia si distinguono due grossi plessi nervosi, perché formati da una serie di nervi distribuiti
a formare una rete: uno è il plesso brachiale che va a servire l’arto superiore, l’altro è invece il
plesso lombo-sacrale, che coinvolge quindi le ultime due porzioni della colonna vertebrale ed è
poderoso perché va a costituire invece l’innervazione dell’arto inferiore fino al piede.
-Queste due strutture sono formati da nervi intersecati tra loro a costituire una rete, per cui in
anatomia questa formazione si chiamerà plesso.
-Quando noi parliamo di cute, essa è facile da ispezionare ma noi non possiamo andare a vedere lo
stato di tutti i muscoli del nostro corpo perché nella pratica medica ad esempio si cerca di saggiare il
tono muscolare: allora siccome non è possibile fare l’indagine su tutti i muscoli del nostro corpo, si
utilizzano dei punti di repere, vale a dire delle masse muscolari che per la loro posizione e per la
loro funzione, rispondono meglio con dei riflessi, cioè con dei movimenti provocati ed involontari,
una volta che il tendine di questi muscoli viene battuto con un martelletto. Questo costituisce
l’insieme delle prove dei test dei riflessi. Il neurologo molto spesso applica questa tecnica proprio
per studiare il tono dei muscoli e per vedere anche il tipo di risposta.
*Per esempio battendo con un martelletto il tendine del quadricipite, cioè il tendine patellare, ci
sono pazienti che estendono la gamba normalmente e molto lentamente, altri invece la estendono in
maniera molto rapida senza nessun controllo. Infatti anche il tono dei muscoli e il tipo di risposta
muscolare è legato a dei meccanismi di controllo insiti nel nostro sistema nervoso (quindi la
risposta varia da individuo a individuo). Se c’è una patologia il riflesso può addirittura non esserci
oppure essere quasi inesistente.
-Per quanto attiene un altro riflesso importante, è quello che viene operato sul tendine di Achille ,
tendine calcaneale del grosso muscolo tricipite surale che forma la prominenza del polpaccio.
-Altri due muscoli sede di riflessi si trovano in corrispondenza dell’arto superiore: uno è il bicipite,
che forma il rilievo anteriore del braccio: battendo sul suo tendine che si trova in corrispondenza
della parte superiore dell’avambraccio, si provoca la flessione dell’avambraccio.
L’altro invece è il tricipite, cioè l’antagonista del bicipite, quindi se il bicipite flette l’avambraccio,
il tricipite lo estende. Per cui battendo sul tendine, che si trova in vicinanza del gomito, si ottiene
rapidamente l’estensione dell’avambraccio.
-Questi sono, in definitiva, punti di repere muscolari per saggiare il tono muscolare di tutti i
muscoli, cioè sono degli indicatori della massa muscolare generale del nostro corpo. Se questi
muscoli sono tonici significa che tutte le masse muscolari sono toniche.
• Invece pungendo o pizzicando sulla parete anteriore dell’addome si provoca il riflesso
addominale, vale a dire la cute dell’addome forma delle pieghe perché vengono stimolate in realtà
le masse muscolari sottostanti la cute; nell’addome infatti ci sono delle masse muscolari molto
ampie, piatte, laminari che hanno un rapporto quasi diretto con gli organi addominali sottostanti.
Cosa spiega ciò? Questo spiega la tensione e il dolore riferito alla parete addominale anteriore, nei
casi ad es. di un attacco di appendicite. L’appendice infiammata provoca un riverbero sulle lamine
muscolari della parete addominale anteriore. Il soggetto avverte quindi dolore, formicolio alla
parete addominale anteriore ma in realtà non è la parete interessata ma un organo interno.
Questo avviene sempre perché l’innervazione di questa regione è metamerica, e i metameri, i
dermatomi sono sovrapposti parzialmente. Allora l’appendice riverbera sulla parete addominale
anteriore.
*In generale qualsiasi tensione agli organi addominale interni si riverbera sulla parete addominale,
infatti alternativamente, a seconda dell’organo interessato possiamo avvertire dolori al fianco (reni),
la regione epigastrica (stomaco); le donne durante il ciclo mestruale hanno tensioni alla parete
pelvica, all’addome basso, perché il disturbo a carico degli organi si riverbera sempre sulle pareti e
quindi sui muscoli, sulle ossa (se ci sono) e sulla cute soprattutto. Quindi anche per diagnosticare
una appendice infiammata il chirurgo va a stimolare inizialmente la parete addominale anteriore.
Facendo pressione contemporaneamente sulla regione ombelicale e sulla regione della fossa iliaca
destra, premendo e poi rilasciando immediatamente si provoca un dolore perché sono stati stimolati
i nervi che servono allo stesso tempo la parete addominale e l’organo sottostante infiammato.
Quindi nella pratica medica si avrà spesso a che fare con i metameri.
In virtù della metameria e per poter conoscere tutte le strutture che si trovano in una determinata
regione siamo costretti a fare delle sezioni del nostro corpo; questa anatomia per sezioni sta
conoscendo oggi uno sviluppo notevolissimo perché tutte le tecniche di diagnostica per imaging si
basano tutte sulla creazione di sezioni.
TAC (tomografia assiale computerizzata). Si eseguono molto frequentemente al giorno d’oggi per
stabilire quali sono i rapporti tra gli organi contenuti in una cavità, per verificare se vi sono
variazioni in questi rapporti ed eventualmente anche per visualizzare la presenza di una massa
tumorale a carico di uno degli organi della cavità in questione.
Possiamo realizzare le sezioni anatomiche secondo i tre piani fondamentali: secondo il piano
sagittale, secondo il piano traverso e secondo il piano frontale. Ad ogni modo in ognuno dei tre casi
noi metteremo in evidenza tutto ciò che riguarda la sezione, quindi anche le strutture interne.
Le sezione traverse si possono fare bene durante una dissezione (poiché si hanno dei limiti ben
definiti operando sul cadavere) invece non saranno mai perfettamente traverse nelle tecniche
diagnostiche, ma saranno oblique. Questo parametro è da tenere in considerazione poiché se si
immagina di fare una sezione perfettamente trasversa bisogna avere un’idea esatta delle dimensioni
delle strutture che si trovano internamente nella sezione. Se invece la sezione si fa obliqua, di alcuni
organi vedrò più che rispetto ad altri, proprio per l’inclinazione che ha quella sezione.
*Quando si esamina una lastra di una TAC o di una risonanza magnetica bisogna tenere conto di
questo fatto, cioè che la sezione non è esattamente trasversa ma è obliqua nella maggior parte dei
casi.
La sezione trasversa (che però abbiamo visto essere in realtà obliqua) viene operata con la TAC,
ecografia e con la RMN (risonanza magnetica nucleare); le tre tecniche sono analoghe però
l’ecografia è la meno invasiva poiché utilizza ultrasuoni e quindi viene utilizzata ad es. anche in
campo ginecologico per seguire lo sviluppo del feto poiché non lo danneggia.
La TAC invece si serve dell’emissione di raggi;
la risonanza magnetica utilizza l’energia emessa da campi magnetici e sviluppata a livello dei
protoni del nostro corpo, ioni idrogeno che entrano nella costituzione delle molecole di acqua e che
formano quindi la maggior parte della composizione degli organismi viventi. Questi protoni
assumono una notevole energia in quanto sono sottoposti ad un campo magnetico, per cui
incamerano l’energia e si allineano. Quando cessano i campi magnetici questi protoni tornano nella
loro posizione iniziale, allora rilasciano l’energia che hanno incamerato e queste onde vengono
catturate da un computer che elabora la sezione; proprio perché si basa su campi magnetici la
risonanza magnetica fornisce un’immagine con contorni più netti e definiti rispetto alla tomografia.
Quindi viene solitamente preferita alla tac.
Si tratta in ogni caso di tecniche considerate invasive. Nella tac bisogna iniettare un mezzo di
contrasto che in molti soggetti risulta dannoso perché provoca delle manifestazioni allergiche o
delle intolleranze. Per cui questo tipo di indagine, pur essendo molto interessante, dev’essere fatta
solo in casi estremamente necessari.
-La sezione sagittale si opera considerando il piano sagittale e aprendo poi “a libro” le due sezioni
che si ottengono.
Esistono poi delle tecniche più avanzate:
- TAC spirale, consente di dare un’immagine non solamente su un piano, ma un’immagine
tridimensionale; questo dà la reale essenza degli organi interni del nostro corpo perché fornendo la
visione tridimensionale di un organo, ci permette di indagarlo ancora meglio.
- angiografia digitale a sottrazione; così chiamata perché prima viene fatta un’angiografia normale
senza somministrazione di mezzo di contrasto; successivamente viene fatta somministrando il
mezzo di contrasto e allora il computer sovrappone le due immagini ottenute eliminando i caratteri
comuni. Rimane in questo modo un’immagine che consente di seguire il decorso di tutti i vasi
sanguigni fino alle estreme diramazioni, dunque poco prima dei capillari. Se in qualche punto è
presente un’ostruzione, viene subito evidenziata.
-PET (tomografia ad emissione di positroni) Particolare tipo di tomografia, molto interessante
perché produce delle immagini colorate diversamente ed è possibile in questo modo mettere in
evidenza il diverso funzionamento contemporaneo di varie aree cerebrali. Se c’è un deficit, una
patologia a carico di un’area cerebrale, con questo tipo di tomografia viene subito messa in
evidenza, così come viene anche messa in evidenza la diversa attività delle aree cerebrali, anche
mentre il soggetto sta compiendo qualche azione oppure sta subendo una terapia.
Serve quindi anche per studiare la reattività di un soggetto nel momento in cui viene applicato un
determinato stimolo (come ad es. per l’agopuntura le aree cerebrali rispondono in maniera
opportuna a seconda del posizionamento degli aghi).
Anatomia topografica
-Dobbiamo considerare sempre che il nostro organismo, pur diviso in segmenti e d’altra parte inteso
come ente unitario, è possibile dividerlo in regioni ben definite. Questo ci serve anche per
individuare i punti chiave per andare a rintracciare un organo interno.
La suddivisione topografica del nostro corpo prevede la separazione in testa, tronco e arti
superiore e inferiore.
• Lo scheletro della testa è rappresentato dal cranio, una struttura unitaria, nell’ambito della quale
però si distinguono due regioni ben definite, vale a dire la scatola cranica che serve per accogliere
l’encefalo e quindi chiamata anche neurocranio e l’insieme delle ossa che formano lo scheletro
della faccia. La faccia rappresenta il punto in cui abbiamo le aperture della cavità orale e della
cavità nasale e degli occhi, per cui abbiamo dei visceri che si aprono in corrispondenza della faccia.
Questa parte di cranio è chiamata splancnocranio (il prefisso splancno- deriva dal greco e significa
viscere).
Dunque la regione della testa, facendo riferimento alle strutture ossee, viene divisa in due sezioni,
neurocranio e splancnocranio, ma poi in realtà abbiamo una scatola cranica che avvolge l’encefalo
e una faccia. Queste due regioni presentano dei limiti ben precisi per cui quando studieremo il
cranio, prima di ogni cosa, individueremo i limiti delle due regioni.
• Per quanto attiene il tronco viene anch’esso diviso in regioni: la prima parte che connette la testa
con il tronco viene chiamata collo, seguono il torace e l’addome. La linea di demarcazione tra il
torace e l’addome è una curva individuata in tutti gli individui dal margine inferiore della gabbia
toracica.
Il margine inferiore della gabbia toracica, anche sulla superficie anteriore del corpo serve per
delimitare il torace dall’addome.
*Come si fa a individuare questo limite in una persona obesa?
Si prende in considerazione la posizione delle due mammelle (anche in un maschio naturalmente).
Sulla superficie anteriore possiamo anche delimitare, seppure con una certa difficoltà, il limite tra
l’addome e la pelvi o bacino. Utilizziamo un rilievo centrale rappresentato dalla zona di sinfisi
pubica, cioè il punto in cui le due ossa dell’anca anteriormente si articolano. Questa zona fa
sporgenza sulla superficie anteriore dell’addome, allora serve a individuare il limite tra l’addome e
la pelvi.
-Il limite tra l’addome e la pelvi (o bacino) sempre sulla faccia anteriore dell’addome, è
rappresentata da una linea che intercetta un rilievo rappresentato a sua volta dalla sinfisi pubica,
cioè la zona di connessione articolare tra le due ossa dell’anca.
*Come si fa a individuare questo limite in una persona obesa?
Si hanno delle serie difficoltà; allora possiamo utilizzare la zona di demarcazione tra la parte non
coperta da peli (regione addominale) e la parte che invece è coperta da peli (regione pubica).
Questo è l’unico metodo. Inoltre in una persona anziana obesa, che ha una diminuzione dei peli, la
situazione diventa estremamente indaginosa, quindi ci vogliono altri punti di repere.
-Per quanto attiene invece la parte posteriore del tronco, questa regione prende il nome di dorso.
Però, quando parliamo di dorso, ci riferiamo alle parti posteriori del collo, del torace e dell’addome.
Per delimitare le diverse regioni ci ricolleghiamo alla suddivisione segmentale, metamerica; se
infatti indichiamo: “la parte del dorso che corrisponde alla quarta vertebra toracica”, allora questo
significa immediatamente che ci stiamo riferendo alla parte alta del dorso e che ci troviamo nella
cavità toracica. Se invece indichiamo: “la parte del dorso che corrisponde alla terza lombare”
significa che siamo in addome e stiamo indicando un segmento, un metamero, un dermatomo che
riguarda l’addome.
- Quindi la struttura unitaria che chiamiamo dorso e che implica tre regioni in realtà può
comunque essere centrata proprio indicando la suddivisione segmentale, metamerica che ritorna
nuovamente.
• I due arti hanno una diversa collocazione.
- L’arto superiore sicuramente viene annesso al torace, ed è costituito da 4 segmenti principali:
la spalla, che serve ad ancorarlo al torace; la parte formata dal braccio, dall’avambraccio e dalla
mano, cioè la parte dell’arto libera in quanto può compiere movimenti secondo tutti gli assi.
Questi tre segmenti, insieme alla spalla che fa da cintura, da mezzo di ancoraggio al torace, formano
l’arto superiore.
- L’arto inferiore è strutturato allo stesso modo, poiché è formato sempre da una struttura di
ancoraggio, questa volta alla pelvi e all’addome, rappresentata dalle due ossa dell’anca (ovvero la
struttura che complessivamente chiamiamo anca);
L’anca è inoltre l’analogo della spalla (poiché ha avuto la stessa origine embriologica ma si è
modificato fortemente per rispondere ad altre esigenze funzionali).
Anche nella parte libera dell’arto inferiore si riconoscono 3 regioni, proprio come per l’arto
superiore. In corrispondenza del braccio abbiamo la coscia, in corrispondenza dell’avambraccio
abbiamo la gamba, in corrispondenza della mano abbiamo il piede.
- Dunque il parallelismo viene mantenuto sotto tutti gli aspetti, soltanto che ci sono delle
modificazioni funzionali delle quali bisogna tenere conto. Questa è comunque una linea guida per
studiare questi segmenti: i due arti, superiore e inferiore, che sembrano profondamente differenti, in
realtà se studiati parallelamente, tenendo conto di questa particolare suddivisione, risultano di più
facile comprensione.
*La parte iniziale dell’arto inferiore è rappresentata dall’anca, cioè dalle due ossa dell’anca;
abbiamo detto infatti che le due ossa dell’anca, articolandosi tra di loro, formano la sinfisi pubica
che individua la pelvi, ovvero l’ultima regione del tronco.
Quindi l’ultima regione del tronco è anche la prima dell’arto inferiore
Quando parliamo di pelvi e dell’anca ci riferiamo contemporaneamente all’ultima regione del
tronco e alla prima della cintura dell’arto inferiore. A questo proposito ne è testimonianza, se noi
osserviamo la parte posteriore del corpo, il fatto che la cosiddetta regione glutea appartiene
contemporaneamente sia alla pelvi che all’arto inferiore.
-Per quanto riguarda l’innervazione si tratta quindi di una regione particolare, perché i nervi che
servono l’arto inferiore provengono dalla cavità pelvica (per cui hanno avuto stretto rapporto con gli
organi contenuti nella cavità pelvica) eppure escono fuori dalla pelvi e vanno a servire l’arto
inferiore.
*Ecco perché una donna gravida per esempio, con l’utero notevolmente aumentato di dimensioni,
preme contro i vasi venosi che trasportano sangue refluo dall’arto inferiore, preme inoltre contro i
nervi che vanno all’arto inferiore e quindi nell’ultimo mese di gravidanza la donna ha seri problemi,
perché ha delle parestesie, delle ipofunzioni nervose (dovute alla compressione a monte); inoltre
mostra anche un ritardato ritorno venoso, si registrano perciò degli sfiancamenti, si hanno le varici a
seguito di gravidanza poiché il sangue non riesce a risalire, dato che la grossa vena cava inferiore è
parzialmente compressa, e permane negli arti inferiori. Dunque le vene degli arti inferiori si
sfiancano, collassato le pareti e pertanto il sangue tende a ristagnare.
Questi rapporti di contiguità servono allora a spiegare piccole patologie (dato che nei casi meno
gravi sono risolvibili) determinate proprio da strutture anatomiche contigue che passano nella
stessa regione.
-Riepilogando:
Il tronco viene diviso in collo, torace, addome e pelvi, quindi sono 4 regioni.
L’arto superiore viene diviso in spalla, braccio, avambraccio e mano, quindi sono 4 regioni.
L’arto inferiore viene diviso in anca, coscia, gamba e piede, ancora 4 regioni.
E’ importante tenere presente questa analogia “matematica” in quanto può servire per uno studio
agevole.
La superficie anteriore dell’addome è una regione particolare poiché anche questa è importante
nella pratica medica e chirurgica. Sotto la parete addominale anteriore, quindi nella cavità ad
domino-pelvica (anche la cavità del bacino comunica ampiamente con la cavità addominale), sono
contenuti diversi organi.
La superficie anteriore per comodità di studio viene suddivisa da quattro linee in nove aree
Queste aree vengono opportunamente elencate, poiché i loro nomi fanno parte della terminologia
anatomica. Questi nove quadranti si devono conoscere.
Queste nove aree sono organizzate su tre linee.
Sulla linea superiore, subito sotto il diaframma, abbiamo al centro la regione epigastrica (così
chiamata poiché si trova sopra lo stomaco); in questa zona tra l’altro lo stomaco è ricoperto solo
dalla cute e quindi facilmente aggredibile. Ai lati si trovano le due concavità del diaframma che
formano una cupola verso la regione toracica. Il diaframma in queste due regioni laterali è concavo.
Le due regioni prendono il nome di regioni ipocondriache, sinistra e destra. Sono così chiamate
perché stanno sotto l’arco costale (condros). Il modo per rintracciare le regioni ipocondriache, i
punti di riferimento, sono gli archi costali, sx e dx.
- Le tre regioni superiori, subito sotto il diaframma sono la regione epigastrica e le due regioni
ipocondriache.
Scendendo sulla linea mediana la regione centrale viene individuata dall’ombelico ed è quindi
chiamata regione ombelicale (o regione mesogastrica). Ai lati abbiamo due regioni che vengono
chiamate opportunamente regioni lombari sx e dx, ma si possono anche chiamare regioni del fianco
sx e fianco dx.
- Le tre aree di mezzo sono la regione ombelicale o mesogastrica al centro e le due regioni lombari
sx e dx.
Le ultime regioni in basso, quindi al limite con la regione pelvica (per cui stiamo già interessando
l’osso dell’anca, tanto è vero che qui il riferimento viene dato dalle parti sporgenti delle ossa
dell’anca individuabili al sotto la cute e che costituiscono punti di repere fondamentali
nell’anatomia di superficie). In questo punto siamo quindi già al limite tra l’addome e la pelvi e
l’arto inferiore; si tratta quindi di un crocevia fondamentale.
La regione centrale sotto l’ombelico prende il nome di regione ipogastrica
*Questa regione la si può rintracciare anche in una persona obesa, sia di sesso maschile che di sesso
femminile poiché stiamo utilizzando come punto di repre l’ombelico. Quindi mentre è più
complicato in soggetti obesi delimitare l’addome dalla pelvi e quindi non riusciamo a rintracciare la
sinfisi pubica, la regione ipogastrica è facilmente individuabile al di sotto dell’ombelico.
Ai lati vi sono le due regioni iliache perché ci troviamo già in cavità pelvica e queste parti , per
essere delimitate dall’ileo (che costituisce la parte slargata dell’osso dell’anca) prendono il nome di
fosse iliache.
Questa zona corrisponde tra l’altro alla regione della piega dell’inguine, che rappresenta il
confine tra l’addome, la pelvi e l’arto inferiore.
*Si tratta di una regione importantissima perché lungo la piega dell’inguine, in profondità, passa il
canale inguinale, che serve nel maschio a trasportare il funicolo spermatico (si origina quando si
verifica la migrazione delle gonadi, cioè la discesa del testicolo e l’abbandono da parte di
quest’organo della cavità pelvica).
La zona della piega dell’inguine è molto importante anche nella donna, nonostante nella donna il
canale inguinale è molto stretto, quasi insignificante e fa passare soltanto un legamento.
Però la zona della piega dell’inguine, immediatamente sotto, quindi sulla superficie anteriore della
coscia, passano superficialmente una grossa arteria (arteria femorale), la vena femorale che drena il
sangue dall’arto inferiore e un nervo che serve la superficie anteriore della coscia, il nervo femorale.
Queste tre strutture sono superficiali (soprattutto l’arteria) tant’è vero che un trauma qualsiasi può
comportare la morte per dissanguamento.
Una curiosità: gambizzare significa sparare o colpire con arma da taglio la regione dell’arteria
femorale per provocare la morte.
La regione iliaca è quindi molto importante in quanto crocevia di 3 zone, addome, pelvi e arto
inferiore; contemporaneamente viene segnata in superficie dalla piega dell’inguine e sotto la piega
c’è il passaggio, come abbiamo visto, di vasi e nervi importanti.
REGIONE
IPOCONDRIACA DX
REGIONE
EPIGASTRICA
REGIONE
LOMBARE DX
REGIONE
OMBELICALE
REGIONE
ILIACA DX
REGIONE
IPOGASTRICA
REGIONE
IPOCONDRIACA SX
REGIONE
LOMBARE SX
REGIONE
ILIACA SX
Laparoscopia
Al giorno d’oggi interventi chirurgici che un tempo implicavano l’apertura tramite taglio
longitudinale di tutta la cavità addominale (dall’arco costale fino alla pelvi), sono stati oggi superati
con le laparoscopie, cioè praticando solo tre piccoli fori in regione ipogastrica; viene applicata una
sonda con una piccolissima telecamera che consente all’operatore di seguire sul monitor
l’andamento del bisturi e c’è quindi la possibilità di aggredire la cavità addominale a livello di
qualsiasi organo senza dover aprire tutta la cavità addominale (come accade ad es. attualmente negli
interventi di appendicectomia).
-La conoscenza di questi quadranti è quindi importante dal punto di vista medico e dal punto di
vista chirurgico perché serve ad individuare gli organi che si trovano sotto la parete addominale
anteriore.
Da quanto detto finora cosa possiamo desumere?
La cute costituisce un involucro continuo che riveste tutto il nostro corpo e internamente abbiamo
delle cavità; queste cavità nell’adulto sono segmentate, ma in realtà provengono da un’unica
struttura, da un’unica cavità, presente nell’embrione e che prende il nome di cavità celomatica.
In tutte le discipline, quando si parla di celoma, si intende una cavità ripiena di liquido e delimitata
da uno strato di tessuto epiteliale. Se ci sono tutti questi requisiti si parla di celoma.
*Se invece abbiamo un animale, come nel caso degli anellidi , che presenta una cavità interna la
quale però non è delimitata da epitelio ma da altri tipi di cellule, allora si parla di pseudoceloma.
In quel caso comunque non si tratta di una cavità corporea, anche perché l’anellide è costituito da
tanti segmenti però staccati tra di loro, ciascuno dei quali presenta una propria cavità.
-Negli individui della specie umana invece l’origine è realmente celomatica, tanto è vero che noi
apparteniamo ai celomati e al phylum dei cordati. Il nome di “cordati” deriva dal fatto che sulla
parte posteriore della struttura tubulare che inizialmente caratterizza il nostro sviluppo, si va a
formare la corda dorsale (notocorda) che è poi anche il preludio alla colonna vertebrale.
La struttura segmentaria esaminata in precedenza, costituita dai rombomeri e dai somiti, non è altro
che l’evoluzione della corda dorsale e su di essa si applicherà poi anche il tubo neurale di
derivazione ectodermica.
-Il celoma, cioè questa grande cavità cilindrica che inizialmente è unica, viene poi divisa dallo
sviluppo degli organi interni perché posteriormente si forma la corda dorsale che contiene strutture
del sistema nervoso; davanti alla corda dorsale abbiamo lo sviluppo del canale alimentare e ancora
più avanti abbiamo lo sviluppo dell’apparato circolatorio (anch’esso è inizialmente un tubo – tubi
cardiaci- che poi subisce diverse modifiche dando origine anche al cuore).
Allora all’interno della grande cavità celomatica vengono ad essere contenute altre strutture tubulari
e queste strutture tubulari per forza di cose devono sepimentare l’unica cavità celomatica.
Questo significa che il foglietto più esterno dell’embrione, l’ectoderma, forma il rivestimento della
cavità celomatica e posteriormente si ispessisce a formare il tubo neurale; internamente invece
abbiamo il foglietto più interno dell’embrione, l’endoderma, che va a formare delle guaine tubulari
all’interno delle quali si sviluppano gli organi dei vari apparati: digerente, respiratorio (che si
origina come emanazione del digerente) e circolatorio. Queste strutture perlopiù si formano dal
mesoderma.
Dunque inizialmente si forma una struttura trilaminare. Questa struttura si ripiega su se stessa e si
chiude posteriormente. L’ectoderma rimane esternamente e posteriormente dove si chiude va a
formare il tubo neurale. Il mesoderma rimane internamente e forma le strutture che costituiscono
l’impalcatura interna del nostro corpo: ossa e muscoli e poi dà luogo al cosiddetto mesenchima che
va a formare gli organi dei vari apparati. L’endoderma è il foglietto più interno e andrà a costituire
le cavità degli organi dei vari apparati (ad es. andrà a delaminare internamente il canale alimentare,
internamente il canale vascolare e quello respiratorio).
Quindi i tre foglietti embrionali non soltanto si delaminano ma sono anche destinati ad evolvere per
formare tutte le strutture interne del nostro corpo.
-La grande cavità celomatica conteneva inizialmente liquido, che naturalmente non viene perso ma
si ridistribuisce tra le varie cavità che si sono venute a determinare all’interno del celoma.
A sviluppo definitivo, in corrispondenza delle regioni che abbiamo visto parlando di anatomia
topografica, dobbiamo individuare delle cavità.
Considerando ad esempio testa e dorso possiamo individuare posteriormente una grossa cavità
chiamata cavità dorsale perché si trova nella parte posteriore del corpo.
-La cavità dorsale è costituita dalla cavità cranica che contiene l’encefalo e dal canale vertebrale
che accoglie il midollo spinale.
Queste strutture sono rivestite dalle meningi, lamine connettivali che avvolgono le strutture nervose.
La loro funzione è quella di non traumatizzare queste strutture e soprattutto a fornire sostegno;
inoltre sono costantemente bagnate sulla superficie esterna da un liquido (residuo del liquido
celomatico) che prende il nome di liquido cefalo-rachidiano detto anche liquor.
Anteriormente avremo invece la grande cavità che occupa tutto il tronco, chiamata cavità ventrale
in quanto si trova nella parte più anteriore del nostro corpo (si trova davanti al piano frontale o
coronale che ci divide in due settori, anteriore (o ventrale) e posteriore (o dorsale) e che viene
naturalmente suddivisa.
Questa grande cavità ventrale è una cavità che si sepimenta in cavità cervicale delimitata
posteriormente dalla colonna vertebrale; successivamente si passa senza limite, cioè senza nessuna
divisione interna, alla cavità toracica. Gli organi passano liberamente, senza trovare nessun
impedimento dal collo al torace e viceversa e mentre nel collo, a parte il tratto cervicale della
colonna vertebrale, non abbiamo scheletro, nella regione toracica abbiamo invece la gabbia toracica
e quindi le coste, che individuano i vari segmenti del torace; in basso abbiamo poi il diaframma che
chiude quasi completamente la regione toracica e la delimita dalla cavità addominale.
Il torace ha quindi delle pareti e un pavimento rappresentato dal muscolo diaframma. Le pareti
ossee sono necessari in quanto la cavità toracica contiene organi delicatissimi (polmoni, cuore,
formazioni vascolari e nervose importanti). D’altro canto la gabbia toracica rappresenta uno
scheletro estremamente flessibile che si espande e accompagna i movimenti espansivi di polmoni e
cuore, pur adempiendo comunque alle funzioni protettive. Il pavimento della gabbia toracica è un
muscolo, anche questo estremamente flessibile che accompagna le espansioni e le contrazioni della
gabbia toracica, cioè i movimenti degli organi contenuti all’interno della gabbia toracica.
-Comunque la cavità toracica è una compartimentazione della grande cavità celomatica: allora gli
organi in essa accolti sono contenuti all’interno di “involucri”, cioè all’interno della cavità toracica
si vengono a determinare tre altre logge, tre compartimenti, che sono le due cavità o logge pleuriche
costituite da una sierosa, la pleura, che avvolge i due polmoni, e la cavità o loggia pericardica,
delimitata dal pericardio, che accoglie il cuore e l’origine dei grossi vasi.
Queste tre logge contengono liquido proveniente sempre dal liquido della cavità celomatica e che si
distingue in liquido pleurico e liquido pericardico.
-Le sierose presentano sempre due foglietti che contengono un film liquido (al massimo 3 ml di
liquido, quindi una piccola quantità). Però questo liquido sta tra i due foglietti e impedisce eventuali
attriti. In tutto il resto della cavità invece non ci potrebbe essere liquido, altrimenti questi organi non
avrebbero tenaci resistenze, bensì c’è del connettivo e tessuto adiposo, che riempie gli spazi vuoti
garantendo allo stesso tempo un certo grado di mobilità degli organi.
-Quindi negli spazi tra le logge è presente tessuto connettivo e tessuto adiposo.
La zona compresa tra le due logge pleuriche e la loggia pericardica, dal momento che si trova al
centro della cavità toracica si chiama mediastino, loggia mediana che accoglie il sacco pericardio
anteriormente e posteriormente invece accoglie vasi, nervi e anche la parte terminale della trachea,
(nel punto in cui essa si biforca nei due bronchi) e ancora più indietro l’esofago.
In generale la cavità toracica ha la forma di una piramide, o di un cono, dove la base inferiore è
rappresentata dal diaframma, l’apice è superiore. Contiene una parte centrale chiamata mediastino
(una loggia occupata da connettivo e tessuto adiposo)
Lezione 5
L’unica grande cavità, la cavità celomatica, viene poi divisa in compartimenti per la formazione di
altre strutture. Inizialmente la grande cavità celomatica viene sedimentata in due cavità, una che si
trova dorsalmente e dà poi ricetto agli organi del sistema nervoso centrale, ovvero la cavità dorsale;
l’altra invece è la cavità ventrale, così chiamata perché si trova anteriormente. E’ una cavità molto
più grande e viene divisa prima di tutto in due parti dal diaframma. Le due parti in cui viene divisa
sono la cavità toracica e la cavità addomino-pelvica. Questo significa che la cavità addominopelvica coinvolge due regioni, l’addome e la pelvi. La grande cavità toracica in realtà si riduce poi
ulteriormente perché viene a sua volta impegnata da altre tre concavità: al centro abbiamo il
mediastino, così chiamato perché si trova esattamente sul piano sagittale e rappresenta una sorta di
stretto corridoio che rimane compreso tra le due logge pleuriche che avvolgono i polmoni.
Nel mediastino poi, in avanti, si viene a porre il sacco pericardio che accoglie il cuore.
Dunque la cavità toracica poi viene suddivisa in altre tre cavità: una centrale che si chiama
mediastino e due laterali, che sono poi delle logge, i sacchi pleurici, che avvolgono i polmoni; nel
contesto del mediastino troviamo poi il sacco pericardio, posto al centro e anteriormente.
-La cavità addomino-pelvica invece rimane vuota se esportiamo tutti gli organi. Questa cavità è
delimitata in alto dal diaframma, che la separa nettamente dalla cavità toracica; inferiormente
invece la cavità si prolunga fino alla pelvi e ancora più in basso è chiusa da un altro diaframma,
il diaframma pelvico. Però i due diaframmi, quello superiore e quello inferiore, hanno una diversa
costituzione e una diversa robustezza, perché il diaframma superiore sostiene degli organi che
continuamente si espandono (polmoni e cuore), il diaframma inferiore invece è necessariamente più
robusto, perché deve andare contro la forza di gravità che tenderebbe a far scendere verso il basso i
visceri addominali e a maggior ragione i visceri pelvici, i quali risentono anche della pressione
esercitata dai visceri addominali.
Quindi il pavimento inferiore della cavità pelvica lo chiamiamo diaframma pelvico per assonanza
con il diaframma superiore, però il primo è più sottile perché deve garantire una certa compliance ,
una certa condiscendenza agli organi superiori continuamente si espandono.
Il diaframma inferiore invece, al contrario del primo, è molto robusto e continuamente si oppone
alla forza di gravità che tenderebbe a spingere verso il basso i visceri addominali e quelli pelvici.
Oltretutto è formato da lamine muscolari dense, poiché nel contesto di questo diaframma ci sono
degli orifizi, come gli orifizi di sbocco delle vie urinarie e delle vie genitali (soprattutto nella
donna).
*Succede allora che questo pavimento tende molto spesso a collassare (ad es. nelle donne che hanno
avuto gravidanze ripetute oppure che hanno una certa tendenza genetica al lassismo dei connettivi)
e quindi il connettivo che avvolge queste fasce muscolari si rilascia. Questo comporta che gli orifizi
perdono la loro tonicità e si hanno delle patologie come ad esempio il prolasso dell’utero, ovvero la
caduta verso il basso dell’utero, il prolasso della vescica, che è posizionata davanti all’utero.
Quindi se questo pavimento non è tonico, la tendenza eventuale a queste patologie diventa
conclamata.
Se immaginiamo di incidere la parete addominale anteriore e ribaltare i lembi ai lati, sollevare il
diaframma mettendo così in evidenza la cavità addomino-pelvica in tutta la sua estensione (priva
dei visceri contenuti all’interno della cavità. Possiamo così vedere che mentre la parete anterolaterale della cavità è costituita da masse muscolari larghe e quindi ha una certa tonicità,
posteriormente invece troviamo un asse osseo, cioè la colonna vertebrale. Ricordiamo poi che
dentro la colonna vertebrale è contenuto il midollo spinale (ci spostiamo quindi in cavità dorsale).
In basso abbiamo la cavità pelvica. La vescica occupa la cavità pelvica però quando si riempie di
urina tende a diventare sferica e a risalire verso la cavità addominale, proprio perché non ci sono
separazioni tra le due. Possiamo inoltre intravedere inoltre una linea bianca ad ogni lato che
corrisponde ai due margini superiori delle due ossa dell’anca.
Questi margini superiori delle ossa dell’anca sono i due rilievi che nell’anatomia di superficie ci
consentono di stabilire un limite tra la parte addominale e la parte pelvica.
Le regioni del nostro corpo si possono delimitare esternamente tramite criteri dell’anatomia di
superficie, cioè si vanno a rintracciare quelle sporgenze ossee sottocutanee che consentono di
stabilire esattamente i limiti (come nel caso in cui abbiamo visto che la parete addominale anteriore
viene segnata da quattro linee che stabiliscono nove quadranti).
Questi due(?) mezzi, insieme a delle tecniche di semeiotica (palpazione, percussione) consentono al
medico di rintracciare gli organi sottostanti e definirne i limiti.
*Ad esempio un fegato (che si trova sotto l’arco costale) può debordare oltre questo arco costale.
Solitamente il limite tra l’arco costale e il margine anteriore del fegato è di 1,5 cm, invece nei casi
di patologia epatica il limite si sposta di molto. Allora alla percussione il medico si abitua a sentire
dei rumori diversi perché se percuote una parte ossea qual è l’arco costale e poi percuote un
parenchima di un organo pieno come il fegato è chiaro che il rumore sarà diverso (un rumore sarà
più cupo, l’altro invece più tonico). In questo modo alla percussione il medico può capire dove
termina l’arco costale e dove inizia il fegato e quindi può fare una prima diagnosi o comunque
orientare il paziente verso un determinato screening diagnostico. Questo principio vale per tutti gli
organi.
Arrivati al limite tra cavità addominale e cavità pelvica, a seconda della costituzione del soggetto, a
seconda della distribuzione del pannicolo adiposo si possono avere dei problemi ad individuare
determinate regioni.
Mentre infatti la regione ombelicale viene determinata dalla presenza dell’ombelico, la regione
ipogastrica varia come posizione. Quindi qualora bisogna definire la posizione della vescica o di
altri organi della regione, bisogna avere dei punti di riferimento ossei, i quali sono: in avanti la
sinfisi pubica, che è la zona di contatto tra le due ossa dell’anca mentre ai lati il medico avrà le due
ossa dell’anca che può seguire lungo tutto il loro percorso (facendo la percussione il medico
riconoscerà sempre la parte ossea per il suono diverso che ha rispetto alle parti molli).
-Quindi esternamente abbiamo un modo per suddividere l’addome e la pelvi internamente invece le
cose cambiano e aprendo la cavità addominale si può indagare la disposizione degli organi per
stabilire chirurgicamente se un organo è dislocato rispetto a un altro.
-Dispense di anatomia topografica. Imparare i limiti delle regioni.
Consideriamo una sezione sagittale del tronco dove tra le sezioni dei diversi organi riscontreremo il
sacco peritoneale che avvolge gli organi della cavità addominopelvica. Il peritoneo è continuo e si
distende sia sulle pareti della cavità addominopelvica che sugli organi, rivestendoli in maniera
differente e rendendoli più o meno mobili. Per esempio il fegato è fisso rispetto allo stomaco,
oppure ancora lo stomaco è più mobile dell’intestino tenue, ma meno mobile rispetto all’ultima
parte dell’intestino tenue che si contrae continuamente per consentire il passaggio del chimo.
Gli organi pelvici poi vengono rivestiti dal peritoneo ma solo sulla superficie superiore in modo che
la vescica possa espandersi sollevando il peritoneo come una tenda consentendole di passare dalla
cavità pelvica verso quella addominale. Anche l’utero gravido riesce ad espandersi verso la cavità
addominale proprio perché progressivamente solleva il peritoneo.
Quindi il peritoneo si distribuisce sui vari organi in maniera molto varia. La cavità peritoneale è
molto grande e presenta molti anfratti.
(Nella donna) In cavità pelvica il peritoneo si distribuisce tra la vescica che sta anteriormente,
l’utero che sta in sospensione al centro della cavità pelvica e il retto che si trova addossato all’osso
sacro, cioè all’ultima parte della colonna vertebrale. Tra questi tre organi quello meno mobile è
proprio il retto perché ancorato alla parete posteriore, all’osso sacro. L’utero invece risulta essere
più mobile e solitamente, in posizione anatomica normale, si trova letteralmente “coricato” sulla
vescica. La cavità peritoneale non può essere ripiena dovunque di grandi quantità di liquido perché
altrimenti ci sarebbe troppo liquido in cavità. Per cui accade che molto spesso, dove c’è una certa
distanza tra due o più organi, si vengono a formare degli ammassi di connettivo.
*Questo connettivo può andare incontro a fibrosi, dunque può arricchirsi di fibre collagene,
diventare particolarmente denso e andare a costituire quelle che normalmente vengono chiamate
aderenze (?).
Si vengono a stabilire delle aderenze tra l’utero e la vescica, oppure tra l’utero e il retto, cioè
laddove si creano degli spazi e il connettivo per una serie di motivi variabili può fibrotizzare, cioè
arricchirsi di fibre collagene. E’ chiaro che queste aderenze vengono rimosse chirurgicamente
poiché impediscono i movimenti liberi degli organi uno rispetto all’altro.
E’ importante sin dall’inizio rendersi conto della presenza nel nostro corpo di strutture analoghe,
vale a dire che hanno avuto la stessa origine embriologica, ma che poi si sono differenziate.
Nel nostro corpo esistono 4 membrane.
Cosa significa membrana?
La membrana è sempre l’accostamento di un epitelio e di un connettivo. Sotto un epitelio è sempre
presente un connettivo però queste due strutture si differenziano a seconda della regione che
consideriamo. Quindi per parlare di membrana devono essere presenti un epitelio e un connettivo.
-Innanzitutto abbiamo le membrane mucose; si tratta di quello strato interno che delimita il lume di
un organo cavo. Quali sono le strutture analoghe alla membrana mucosa? Cioè quali sono gli altri
organi cavi del nostro corpo, oltre agli organi cavi di alcuni apparati? Sono quelli dell’apparato
circolatorio. La membrana interna che delimita i vasi sanguigni è sempre una membrana mucosa,
ma le cellule si sono estremamente appiattite a formare un endotelio e il connettivo circostante si
riduce drasticamente, addirittura manca del tutto nei capillari. Dunque questa membrana mucosa si
è altamente differenziata per assolvere determinati compiti pur avendo la stessa origine
embriologica.
-membrane sierose Le membrane sierose sono limitate soltanto a tre distretti perché le tre grandi
sierose del nostro corpo sono la pleura, il pericardio e il peritoneo. Queste sierose al solito si sono
formate dalle stesse strutture embriologiche ma si sono evolute differentemente perché la pleura
riveste i polmoni, il pericardio riveste il cuore e il peritoneo riveste gli organi della cavità
addominopelvica. Per cui la struttura di base è sempre la stessa.
Nel caso delle sierose le cellule che formano l’epitelio derivano da cellule epiteliali ma prendono il
nome di cellule mesoteliali. Si parla quindi di mesotelio perché le cellule sono estremamente
appiattite come quelle che abbiamo visto nell’endotelio dei vasi.
*Mentre però nell’endotelio dei vasi sono accostate tra di loro (sono quasi come le piastrelle di un
pavimento) nel mesotelio invece si creano dei piccoli spazi, delle fessure tra le cellule, all’interno
delle quali passa del liquido, un ‘trasudato’ che proviene dal connettivo sottostante. Questo
trasudato è quel velo liquido presente tra i due foglietti delle sierose, cioè il foglietto parietale, che
avvolge le pareti delle cavità dove gli organi si trovano e il foglietto viscerale che invece aderisce
alla parete (?). Il trasudato costituisce il liquido pleurico, il liquido pericardico e il liquido
peritoneale. Si tratta comunque di una scarsa quantità, un velo di liquido il quale è fondamentale sia
per far scorrere i due foglietti l’uno sull’altro, sia anche per sganciare questi organi che
continuamente si espandono dal rapporto con gli organi vicini, cioè per non disturbare gli organi
vicini. Quindi nella membrana sierosa troviamo questa variazione, cioè la presenza di un trasudato e
la presenza di un mesotelio con cellule leggermente distaccate le une dalle altre.
- La terza membrana è la membrana cutanea, cioè la cute, tutto il rivestimento esterno del nostro
corpo. Questa membrana esula da quella che è la norma per le altre membrane.
Come le altre membrane è costituita da un epitelio ma questo in superficie presenta uno strato di
cheratina, che serve a rendere la cute particolarmente secca e nello stesso tempo ha una funzione di
difesa dalla penetrazione degli agenti esterni. Il fatto che questo strato di cheratina si sia
differenziato a livello della cute significa avere la possibilità di aumentare le difese rispetto agli
insulti esterni.
-La quarta membrana è la membrana sinoviale. Parleremo di membrana sinoviale a proposito delle
articolazioni mobili (spalla, ginocchio, anca), all’interno delle quali si viene a costituire una cavità
poiché i capi ossei vengono a contatto tra di loro e poi sono rivestiti da un manicotto fibroso che
serve a tenere insieme i due capi articolari. Questi due capi articolari, oltre che per la presenza del
manicotto fibroso, aderiscono l’uno all’altro perché all’interno della cavità si stabilisce una
pressione negativa, quindi differente dalla pressione atmosferica. Quindi i due capi aderiscono
(come se fosse presente una forza magnetica a tenerli insieme!) proprio grazie alla pressione
negativa all’interno della cavità.
I capi articolari sono sempre sottoposti a movimento, quindi è necassario che internamente sia
presente un velo liquido e una membrana abbastanza plastica che possa adattarsi a tutti i movimenti
che noi compiamo con una articolazione mobile. Allora troviamo tra i capi ossei questa membrana
sinoviale, la quale come le altre membrane dovrebbe essere costituita sempre da un epitelio più un
connettivo, ma non è così: stavolta le cellule che formano quello che noi continuiamo a chiamare
epitelio in realtà non sono cellule epiteliali, ma cellule che derivano da fibroblasti e da macrofagi.
Queste cellule di fatto vanno a delimitare la membrana sinoviale, cioè simulano la posizione delle
cellule epiteliali. Inoltre a livello della membrana sinoviale si ha la produzione di un liquido, il
liquido sinoviale, che si dispone all’interno della cavità, lubrifica i capi ossei e li nutre.
*Bisogna infatti capire bene che all’interno delle cavità articolari non ci saranno mai vasi sanguigni
altrimenti ad ogni movimento creeremmo delle lesioni. Allo stesso modo all’interno di una cavità
articolare non passa mai un nervo però abbiamo comunque la sensibilità perché i nervi passano alla
superficie esterna. Dunque il nutrimento non può essere portato da vasi sanguigni per cui si ha
questa sorta di permeazione, di filtrazione a livello della membrana sinoviale. Dal plasma
sanguigno viene ricavato un liquido che ha tutte le sostanze nutritizie del plasma senza essere
sangue e passa all’interno della cavità articolare formando proprio il liquido sinoviale.
Riassumendo le quattro membrane hanno una costituzione di base che le accomuna
(epitelio+connettivo) e hanno un’altra caratteristica che è quella solitamente di essere bagnate in
superficie da un liquido (che può essere trasudato o dializzato; dializzato significa che ha
attraversato una serie di membrane- come nel caso del liquido sinoviale)
Ricordiamo a questo proposito che anche nella membrana mucosa e nella membrana cutanea vi
sono dei liquidi. Nella membrana mucosa vi sono i liquidi prodotti dalle ghiandole contenute nei
connettivi (ad es. nell’apparato digerente il liquido è quello prodotto dalle ghiandole che consentono
la digestione – nello stomaco producono il succo gastrico, nell’intestino il succo enterico).
Nel caso della membrana cutanea invece, solitamente la nostra cute è asciutta però c’è l’intervento,
in alcune zone più accentuato, delle ghiandole sebacee e sudoripare. Per cui anche questa membrana
viene in certe zone maggiormente bagnata da liquidi.
*Quando in estate si suda più che in inverno ha un significato perché il secreto delle ghiandole
sudoripare, insieme alla cheratina, favorisce la traspirazione cioè abbassa il calore del sangue che
sta scorrendo nella pelle e quindi raffredda la superficie del nostro corpo.
Quindi il secreto delle ghiandole sudoripare ha una variabilità nel tempo legata alla funzione di
raffreddare eventualmente la superficie del nostro corpo.
Vediamo di esaminare il piano generale di organizzazione della parete del corpo e poi andiamo a
vedere quali sono le varioazioni in altri distretti.
L’organizzazione di base, come per le membrane è sempre la stessa. Vi sono però delle variazioni
legate alle funzioni cui le parti del corpo devono assolvere. Studiare la parete del corpo nei vari
distretti significa anche facilitare lo studio per quanto attiene le articolazioni e i muscoli, perché
dove ci sono delle masse muscolari poderose ci devono essere dei sistemi di protezione che
impediscano in ogni momento il collasso dei muscoli.
§ Un soggetto per tutta la vita flette la mano sull’avambraccio e l’avambraccio sul braccio, lo può
fare tonicamente fino a un certo periodo della propria vita perché ci sono delle contenzioni, delle
fasce che coprono i muscoli e ne impediscono il collasso, altrimenti a lungo andare la fibra
muscolare subirebbe degli stiramenti o delle cadute di tono (cioè potrebbe diventare flaccida).
Infatti queste fasce vanno in degenerazione e si ha la cosiddetta caduta del tono muscolare, la quale
può verificarsi anche dopo lunghi ricoveri o negli anziani, in generale quando si tende ad esercitare
in misura minore i muscoli che dunque si riducono sia di volume sia di tono.
La parete del corpo tende per cui a collassare, tende a cadere e conseguentemente ne risente anche il
tono muscolare. Conoscere quindi gli strati della parete del corpo significa anche riuscire a
preservare le strutture più interne come le ossa, le articolazioni e alcuni organi, soprattutto quelli
della cavità addominale, dove l’unico sostegno è rappresentato dalla colonna vertebrale; tutto il
resto è costituito da masse muscolari e cute e quindi una caduta del tono muscolare della parete
addominale anteriore comporta serie conseguenze poiché gli organi contenuti all’interno
cominciano a dislocarsi, perdono i contatti reciproci e si spostano perciò viene compromessa la loro
funzione in certi casi gravemente.
Solitamente nella parete del corpo abbiamo intanto il rivestimento cutaneo (la membrana cutanea
prima esaminata) formata da un epitelio e da un connettivo. Nel caso della cute non sono presenti
solo epitelio e connettivo ma interiormente si viene a creare uno strato fatto non da connettivo
denso (qual è quello che si trova sotto l’epitelio) ma da connettivo lasso che molte volte in molti
distretti diventa tessuto adiposo; se andiamo a considerare la parete costale laterale è chiaro che lo
strato di grasso è minimo in quella zona; in questo caso avremo quindi la cute e immediatamente
sotto questo strato costituito da connettivo lasso con tessuto adiposo in quantità variabili che prende
il nome di fascia superficiale che dobbiamo immaginare come un rivestimento continuo che parte
dalla cima della testa fino alla punta dei piedi; per cui se immaginiamo di togliere tutta la membrana
cutanea, al di sotto di essa siamo avvolti da questa fascia superficiale di colorito biancastro (perchè
connettivo).
La fascia superficiale ha la funzione di tenere ferme tutte le strutture, è un’impalcatura
importantissima nella quale le fibre si dispongono in varia direzione perché seguono le forze
esercitate dai movimenti articolari. Quindi avremo una fascia superficiale che riveste la parte della
testa con un andamento circolare e scendendo anche il collo è rivestito in maniera circolare però
poiché è possibile spostare il collo, flettere da un lato ed estendere dall’altro, alcune fibre di questa
fascia superficiale vanno longitudinalmente altre invece si dispongono obliquamente in modo che si
possano compiere tutti i movimenti.
Allora ogni regione ha la sua fascia superficiale dove il decorso delle fibre accompagna i movimenti
di quella regione.
-Scendendo ancora sotto troveremo la fascia profonda. Quindi immaginiamo di incidere la fascia
superficiale, apriamo questo rivestimento e lo togliamo; la fascia profonda che riscontriamo forma il
secondo rivestimento interno però ci troviamo adesso a ridosso dei muscoli e delle ossa, perciò
Se togliamo la fascia superficiale, troveremo la fascia profonda che contemporaneamente si adagia
sui muscoli e sulle ossa dove li trova, ma dovrà formare a sua volta vari strati..(?) perché se
consideriamo ad es. la regione toracica, la fascia profonda si dispone in un unico strato, se trova lo
sterno lo riveste e si continua con il periostio (che è il rivestimento connettivale di tutte le ossa)
mentre se trova un muscolo si continua con il perimisio (il rivestimento esterno dei muscoli) e se
trova articolazioni si continua con il pericondrio che riveste la superficie delle cartilagini.
*Un chirurgo bravo che incida la parete toracica incide dapprima la cute e ne stacca i lembi, trova la
fascia superficiale, la incide e ribalta i lembi: arriva così a contatto con la superficie ossea però lui
sa che quella superficie ossea è rivestita dal periostio, cioè un prolungamento della fascia profonda;
-Ancora al di sotto (sempre considerando la regione costale laterale) avremo il contatto tra la fascia
profonda e la pleura, cioè la sierosa che avvolge i polmoni. La pleura, come tutte le sierose,
presenta un foglietto parietale, cioè un foglietto che poggia contro la parete toracica e quindi poggia
contro la fascia profonda. Questo significa che aderirebbe in tal modo alla struttura che ha avvolto i
muscoli e le ossa! Ma questo non è possibile perché se così fosse ogni contrazione dei muscoli si
porterebbe dietro le pleure e il polmone non funzionerebbe e di contro ogni espansione dei polmoni
tirerebbe dietro la parete toracica, per cui tra la fascia profonda che ha rivestito ossa e muscoli e il
foglietto parietale della sierosa troveremo un altro strato di tipo contigua, la fascia sottosierosa che
si trova appunto tra la sierosa e la fascia profonda.
Quindi in ogni parte gli strati della parete del corpo sono:
- la cute
- la fascia superficiale
- la fascia profonda
- la fascia sottosierosa
*Quando si fanno interventi sul cuore si incide la cute, mai al centro dove è presente lo sterno che è
un osso rigido ma si va lateralmente ai lati dello sterno dove vi sono le cartilagini costali.
Tagliare una cartilagine è molto più semplice poichè hanno una minore consistenza rispetto alle
ossa, inoltre la cartilagine si rigenera quindi il taglio si risolve mentre l’osso più difficilmente.
Il cardiochirurgo incide la cute ai lati dello sterno e trova così la fascia superficiale; incide anche
quella arrivando a livello delle cartilagini costali che sono rivestite dalla fascia profonda (si
continua con il pericondrio); incide di solito tutte le cartilagini costali in modo da aprire la cavità
toracica. Segue in profondità la fascia sottosierosa che ha isolato il piastrone sternale dal pericardio.
Davanti al pericardio sono presenti i residui del timo, quindi una masserella adiposa che fa da
ulteriore cuscinetto fra la sottosierosa e il pericardio.
*La presenza di questo strato adiposo costituito dai residui del timo rappresenta una prima
differenza rispetto alla parete toracica laterale.
Incide questo tessuto adiposo e si trova davanti il sacco pericardio, per cui deve aprire anche il
sacco pericardio, mettendo allo scoperto il cuore.
Ma una volta che il chirurgo sarà arrivato all’organo il cuore presenta una superficie liscia, lucida,
bagnata, perché quello che si trova davanti è il foglietto viscerale del pericardio, cioè l’epicardio;
questo foglietto è quindi bagnato dal liquido che permea lo spazio tra i due foglietti (parietale e
viscerale).
Consideriamo un’altra regione, per esempio la testa.
Proprio nella parte apicale della testa, da dove abbiamo immaginato parte la fascia superficiale,
abbiamo una zona di maggiore tensione perché in certi distretti non c’è una separazione netta tra la
cute, tessuto adiposo sottocutaneo, fascia superficiale e fascia profonda ma gli strati aderiscono
intimamente nel caso in cui manca il tessuto adiposo sotto la cute e perché i connettivi (ipoderma,
fascia superficiale e fascia profonda) aderiscono e si scambiano fibre. Quindi si viene a costituire
una struttura particolarmente tesa che rappresenta una zona di massima potenza del nostro corpo; si
tratta di quelle zone maggiormente sottoposte a sollecitazioni di ordine meccanico.
-La testa è una delle zone nelle quali sicuramente non è presente tessuto adiposo, la parte
ipodermica prende il nome di cuoio capelluto proprio a sottolineare la sua resistenza dal momento
che forma uno strato unico con la fascia superficiale e la fascia profonda. Si viene allora a formare
questa struttura estremamente tesa, continuamente attiva, che copre la parte superiore della testa e
del cranio. Subito al di sotto di questa struttura particolarmente tesa troviamo le ossa craniche, cioè
arriviamo immediatamente al livello più profondo.
*Quando è necessario incidere la calotta cranica bisogna tagliare questo strato il quale è talmente
rigido, duro (in particolare nell’anziano) che deve essere tagliato con un osteotomo (uno strumento
elettrico con una ruota meccanica).
-Altri dispositivi si trovano anche sulla regione posteriore del corpo dove si viene a determinare una
fascia di contenzione che chiude posteriormente e rappresenta un punto di convergenza delle tre
fasce, (membrana cutanea, fascia superficiale e profonda) e si forma così un addensamento di
connettivo che forma ligamenti di sostegno della colonna vertebrale e delle masse muscolari che
sembrano tutte convergere verso la parte posteriore del nostro corpo, dove abbiamo la parte
posteriore del cranio, quella che ci consente di tenere la testa in estensione e tutta la colonna
vertebrale che ci consente di tenerci in posizione eretta. Sono quindi necessari supporti connettivali
che cooperino a questa funzione, per cui avviene come se tutte le fasce, compresa la cute, andassero
a convergere sulla parte posteriore del nostro corpo.
Questo trova conferma nel fatto che nella parte posteriore del nostro corpo manca il pannicolo
adiposo e si ha l’emergenza delle vertebre posteriormente. In questa regione i piani connettivali,
vale a dire fasce superficiali e profonde aderiscono intimamente al piano osseo e formano ligamenti
tra le vertebre, per cui è una zone di estrema tensione che ci consente la postura eretta.
*Negli animali quadrupedi, per fare un parallelo, esiste anche questa struttura che occupa tutto il
dorso dell’animale; a livello della nuca negli animali quadrupedi questa struttura è enormemente
sviluppata perché siccome l’animale quadrupede è disposto orizzontalmente ma poggia sulle quattro
zampe, la parte che risente maggiormente della forza di gravità è la testa, quindi affinché l’animale
possa tenere la testa in estensione è necessario un rinforzo particolare sulla parte posteriore, sul
dorso, quindi quello che nell’uomo chiamiamo ligamento nucale , negli animali quadrupedi è
estremamente sviluppato.
Vedremo poi successivamente come i muscoli della nuca, in profondità, formano proprio delle
fasce. Questi muscoli prendono allora il nome di muscoli spleni ( splenium in latino significa infatti
benda, fascia). Essi sono infatti come delle fasce rigide disposte nella regione posteriore della nuca
e ci consentono di stare in estensione poiché sono sempre in tensione tonica mantenendo la postura.
-La cute della regione nucale inoltre ha una maggiore tensione, una maggiore potenza rispetto ad es.
la cute che riveste la faccia. In quest’ultima c’è più tessuto sottocutaneo (in certi individui c’è più
tessuto adiposo) e nei bambini è presente quasi una ‘bolla’ adiposa poiché il bambino piccolo,
nutrendosi dal capezzolo della madre necessita di masse adipose che gli consentano la suzione.
Nell’adulto la massa adiposa tende a diminuire; di intuisce drasticamente nelle persone che hanno
avuto varie patologie ma in ogni caso c’è sempre l’adattabilità della cute che riveste la faccia agli
strati sottostanti, siano esse ossa o masse muscolari.
-Consideriamo poi mani e piedi. In corrispondenza delle regioni analoghe, vale a dire palmo della
mano e pianta del piede, abbiamo di nuovo, come nella parte superiore della testa, l’addensamento e
la coesione tra sottocutaneo della cute, la fascia superficiale e la fascia profonda: allora si formano
delle strutture dense, tese che aderiscono l’un l’altra e formano zone di appoggio; il palmo della
mano è una zona dove la tensione è notevolissima.
Quindi il palmo della mano e la pianta del piede, come la parte superiore della testa, sono zone
nelle quali si ha l’adesione degli strati, la mancanza di tessuto adiposo, quindi si viene a formare
una struttura estremamente tesa e funzionale che si oppone a tutte le sollecitazioni meccaniche
applicate a quelle zone.
A livello degli arti studieremo la disposizione delle masse muscolari per piani e per gruppi .
Se consideriamo un arto, inferiore o superiore; al solito immaginando di scindere la cute, di aprirla e
di ribaltarla, dapprima troviamo la fascia superficiale che avvolge come un manicotto tutto l’arto, e
in seguito la fascia profonda. Però stavolta la fascia profonda si è necessariamente sepimentata cioè
ha mandato dei setti internamente che hanno diviso le masse muscolari in logge.
Ecco perché parleremo nel braccio di muscoli anteriori e posteriori, perché la fascia profonda che
avvolge tutto il braccio, invia poi due setti individuando una loggia anteriore e una posteriore.
Nell’avambraccio invece le logge sono tre: la loggia anteriore, la loggia posteriore e la loggia
laterale. Ci sono molte analogie tra i due arti per cui dobbiamo aspettarci che in segmenti analoghi
dei due arti ci siano le stesse masse muscolari, le stesse logge muscolari.
Questi setti servono anche a fare da supporto alle formazioni vascolari, sia sanguigne che
linfatiche, e ai nervi che devono andare a servire quelle masse muscolari.
Tali setti prendono attacco al livello delle ossa, per cui quelle stesse formazioni vascolari ,
serviranno i muscoli e le ossa.
*In caso di frattura il primo intervento che si fa è la riparazione della frattura (chirurgica nel caso in
cui i due monconi ossei si siano dislocati, allontanati l’uno dall’altro) ma poi segue anche
l’immobilizzazione poiché non si deve poter utilizzare le masse muscolari che si trovano interno
alla linea(?) di frattura per mettere a riposo tutta la regione. Allora la ricostituzione di una frattura
significa anche ricostituzione delle formazioni circostanti, cioè i muscoli, ma anche delle fasce che
ricoprono quelle strutture. E’ chiaro che la fascia, come anche il muscolo, rigenerano prima di un
osso. Il muscolo rigenera poiché nel perimisio, il connetivo che riveste i muscoli, sono presenti
delle cellule, chiamate cellule satelliti, che si differenziano in fibre muscolari. Quindi se un muscolo
si lacera vengono rimpiazzate le fibre muscolari che si sono lacerate. I connettivi hanno quindi
anche capacità rigenerative. Anche l’osso fratturato rigenera a partire da cellule del periostio, cioè il
connettivo che avvolge le ossa.
-Quindi la fascia profonda che si delamina e continua con il pericondrio, con il periostio e il
perimisio, significa che è la struttura che non solo copre ma tiene unite, adese, coese strutture
differenti tra di loro. Quando si verifica un incidente ad una di queste strutture tutte le altre
collaborano e la regione si ricostituisce integra poiché vi sono delle cellule analoghe nelle differenti
strutture.
Sempre a livello della mano e del piede ci sono altri dispositivi perché i muscoli degli arti hanno
una particolarità: la massa muscolare è presente tutta all’inizio e in alto e poi il muscolo si continua
con un tendine molto lungo, che va a terminare o nella mano o nel piede.
L’avambraccio e la gamba sono strutture simili: l’avambraccio presenta la parte iniziale più rigonfia
mentre la parte finale, il polso, più sottile perché vi passano solamente tendini. Questi tendini che
passano nel polso e nella caviglia non fanno sporgenza sotto la cute; in queste regioni infatti vi sono
delle bande fibrose (sempre dipendenti dalla fascia profonda) che servono ad applicare i tendini
contro il piano osseo favorendo la contrazione muscolare. Queste strutture prendono il nome di
retinacoli (che distingueremo in retinacoli dei muscoli flessori de dei muscoli estensori) perché
formano una sorta di piccola rete, una benda.
Ci sono dei muscoli, solitamente quelli che hanno due ventri oppure hanno un decorso particolare
per cui ad un certo punto devono variare il loro orientamento, e lo fanno poggiando su una
pulegia(?) che costituisce un punto di appoggio.
Consideriamo ad esempio il muscolo digastrico, così chiamato perché presenta due ventri, uno
anteriore e uno posteriore (questo muscolo dall’osso decorale(?) si porta in avanti fino all’osso
ioide; infatti tira l’osso ioide e lo applica alla parete anteriore del collo ma nello stesso tempo
dall’osso ioide parte un altro capo che va alla mandibola. Ogni volta quindi che innalziamo la
mandibola o la abbassiamo l’osso ioide si muove in contemporanea, cioè facilita la plasticità della
parte anteriore del collo che deve necessariamente accompagnare il movimento della mandibola).
I due ventri di questo muscolo fanno forza sul tendine intermedio (che si trova proprio sull’osso
ioide a forma di ‘occhiello’). Il fascio posteriore del muscolo poggia dunque sull’occhiello (osso
ioide) e poi continua come fascia anteriore verso la mandibola. Quindi in certe zone la fascia
profonda anziché formare i retinacoli forma degli occhielli, delle pulegie(?) di scorrimento di
tendini muscolari.
- Quindi la stessa fascia profonda che ha fornito i setti intermuscolari, che ha dato i retinacoli, in
determinate zone dà anche le pulegie(?) di riflessione, gli occhielli di riflessione di determinati
tendini muscolari.
In cavità addominale la fascia profonda, dopo aver rivestito la parete addominale viene poi a
contatto con il peritoneo. In cavità addominale non troviamo ossa e se incidiamo la parete
addominale troviamo immediatamente gli organi. Ci sono degli organi che sono applicati contro la
parete addominale, ad es. i reni si trovano ai lati della colonna vertebrale costantemente in contatto
con la parete addominale, poiché la stessa fascia profonda ne va a costituire la capsula.
Le capsule quindi sono emanzaioni della fascia profonda a livello addominale e servono ad ancorare
maggiormente questi organi che stanno in sospensione a livello della parete addominale.
Un altro organo dotato di una capsula notevolissima è la milza che si trova sotto l’arco costale di
sinistra in profondità e in sospensione. Essa viene continuamente pressata contro la parete
addominale latrerale dalla pressione dei movimenti esercitati dallo stomaco, dal colon e dal rene di
sinistra. La milza è un organo molto delicato, friabile e spugnoso (tanto è vero che può spappolarsi
in caso di traumi ed è necessario asportarla) per cui ha bisogno di un rivestimento rigido.
In alcuni casi comunque neppure la capsula formata dalla fascia fibrosa riesce a proteggerla in
maniera adeguata.
In ogni caso in condizioni normali la milza presenta questo rivestimento perché si viene a trovare in
vicinanza della superficie e potrebbe essere facilmente traumatizzata.
In definitiva la fascia profonda è estremamente plastica perché si adatta a quello che trova. Se trova
ossa si continua con il periostio, se trova muscoli si continua con il perimisio se trova organi
particolarmente delicati o che devono stare in sospensione li riveste formando loro le capsule.
Solitamente sono organi pieni, cioè organi che hanno un certo volume e che hanno bisogno di un
certo sostegno perché altrimenti per la forza di gravità tenderebbero a scendere anche se la
dislocazione potrebbe avvenire anche per il rapporto con gli organi vicini che li spingono.
Varianti anatomiche
Solitamente in anatomia si parla genericamente di determinati principi però è buona norma
considerare sempre l’esistenza delle varianti anatomiche soprattutto per quanto riguarda
determinate strutture.
Le varianti anatomiche per definizione sono delle variazioni rispetto al piano generale di
organizzazione del corpo che però sono compatibili con la vita, cioè sono variazioni che consentono
comunque all’individuo di sopravvivere. In alcuni casi le varianti anatomiche riguardano organi
vitali come il cuore o il fegato.
A questo livello infatti va incontro ad una estrema variabilità il decorso delle arterie coronarie o il
decorso delle vie di deflusso della bile dal fegato, quindi dei condotti biliari.
*Questo è importante nella pratica medica perché solitamente il cardiochirurgo prima di intervenire
sul cuore fa eseguire al paziente una arteriografia coronarica in modo tale da mettere in evidenza la
rete vascolare delle due coronarie, la quale non è mai uguale da individuo a individuo.
Quindi ci sono delle variazioni individuali importanti delle quali bisogna tenere conto. Studiando il
decorso delle arterie coronarie destra e sinistra si dirà infatti che solitamente l’artreria coronaria
destra irrora la parte destra e posteriore del cuore, solitamente l’arteria coronaria sinistra la parte
rimanente. Data l’estrema variabilità di distribuzione delle coronarie, qualsiasi intervento sul cuore
necessita prima di un’indagine strumentale che è l’arteriografia per conoscere la distribuzione
vascolare, la rete vascolare delle due coronarie.
*Allo stesso modo quando un individuo è affetto da infarto del miocardio come si fa a sapere quale
è stato il ramo che si è chiuso e quindi la parte del miocardio che è in sofferenza da deficit
vascolare? Bisogna fare questo tipo di diagnosi strumentale, cioè vedere tutta la rete mettendo in
evidenza dove c’è stato il punto di chiusura per poter intervenire.
-Lo stesso vale per le vie di drenaggio della bile all’interno del fegato. Non hanno la stessa
disposizione all’interno degli individui; infatti il chirurgo specializzato negli interventi sul fegato fa
eseguire la cosiddetta colangiografia intraoperatoria, vale a dire in corso di intervento, prima di
iniziare o la resezione del fegato o l’eliminazione di una parte di parenchima viene eseguita questa
indagine mediante l’iniezione di un mezzo di contrasto direttamente nelle vie biliari con
l’evidenziazione delle vie biliari. Siccome poi le vie biliari si accompagnano sempre alle vie venose
è chiaro che in questo modo si avrà la suddivisione totale sia della via biliare che di quella
vascolare.
-Un’altra variazione è costituita dal fatto che sulla piega del gomito destro ci siano delle vene più
visibili e più superficiali che non sul lato sinistro. Allora il medico che fa il prelievo ematico per
buona norma la prima volta si farà mostrare entrambe le pieghe del gomito per scegliere la variante
adatta.
- Potrebbero anche esserci variazioni nelle inserzioni muscolari che devono essere segnalate.
Se quindi nella pratica medica si dovesse venire a contatto con un paziente con una variante
anatomica (ad esempio una posizione particolare di un viscere o una posizione particolare di una
rete vascolare) bisogna immediatamente comunicarla.
Per quanto attiene invece alle anomalie , esse sono differenze che possono anche incidere sullo
stato di salute. Molte anomalie si possono correggere chirurgicamente, altre invece sono
incompatibili con la vita.
Un esempio è rappresentato dalla microcefalia, cioè uno sviluppo inferiore rispetto alla norma delle
dimensioni della testa, che influisce sullo sviluppo della corteccia cerebrale. Ne consegue un ritardo
mentale nel bambino. La microcefalia al giorno d’oggi viene diagnosticata precocemente per mezzo
di ecografie.
-C’è poi anche un’altra anomalia gravissima che al giorno d’oggi per fortuna non si verifica più ma
che un tempo era molto diffusa, l’anencefalia che significa la totale mancanza della volta cranica
per cui il bambino nasce senza la parte superiore della testa. E’ chiaro che in questo modo la massa
cerebrale è quasi allo scoperto e i centri del battito cardiaco sono alterati. A questo si accompagnava
uno sviluppo anomalo della faccia e di tutto il corpo poiché non era completato lo sviluppo osseo.
-La polidattilia è un anomalia che può essere risolta chirurgicamente asportando ledita
sovrannumerarie in un intervento di chirurgia plastica.
- Un'altra anomalia, anche questa in diminuzione, è il meningocele (?) che si verifica quando
l’ultima parte della colonna vertebrale non si chiude posteriormente, allora l’ultima parte di midollo
spinale sporge all’esterno e forma un rilievo più o meno accentuato che può essere semplice quando
è solo la meninge a ‘fare ernia’ posteriormente, ma si complica quando anche la parte nervosa, il
midollo spinale, esce e fa ernia insieme alla meninge, per cui il neonato sul quale bisogna
intervenire immediatamente viene tenuto in posizione prona per non andare a premere contro il
midollo perché si potrebbe provocare addirittura al paralisi degli arti inferiori, poiché la struttura
nervosa fuoriesce e dove possibile bisogna eseguire immediatamente la riparazione chirurgica.
Questo tipo di anomalia è strettamente correlata alla cosiddetta spina bifida, che si viene a
determinare proprio perché la parte terminale della colonna non si chiude posteriormente e quindi la
parte di midollo con le meningi possono sporgere all’esterno. E’ una malattia gravemente
invalidante perché se non si usano degli accorgimenti il neonato, anche se operato, diventa poi
paraplegico.
Lezione 6
L’importanza del torace non è tanto legata alla presenza del cuore o dei polmoni; dobbiamo
imparare infatti che a livello di questa regione toracica possiamo avere vari segni di quella che può
essere una eventuale patologia.
Nella pratica medica capiterà molto spesso di avere a che fare con pazienti che accusano dei dolori i
quali vanno dal lieve al gravissimo a livello della regione toracica.
Solitamente il dolore è un dolore riferito a strutture che si trovano internamente. L’obiettivo che
dobbiamo prefiggerci è quindi quello di conoscere la posizione degli organi che sono contenuti in
cavità toracica, i rapporti reciproci di questi organi (perché alcuni sono superficiali altri invece sono
in profondità e non sono facilmente aggrediti).
Dobbiamo avere sin da ora cognizione degli organi posti in superficie e in profondità perché nel
momento in cui vogliamo fare la diagnosi di una determinata patologia, dobbiamo anche
considerare l’ipotesi che si tratti di un organo situato in profondità e che quindi in un primo
momento è difficilmente rintracciabile.
- Consideriamo la cavità toracica vista integralmente come se fosse trasparente. Superato l’ostacolo
rappresentato dalla cute e dalle ossa, si vedono il diaframma (che vediamo come una linea sinuosa
che chiude in basso la cavità toracica e la separa dalla cavità addominopelvica) e i polmoni che
occupano la maggior parte della cavità toracica. Questi polmoni che si espandono continuamente
sono avvolti dal sacco pleurico, il quale contiene le masse polmonari che per tutta la vita si
contraggono e si dilatano continuamente, per cui a un certo punto potrebbero sfiancarsi ma non lo
fanno proprio perché dotati di questo rivestimento sieroso.
Al centro tra i due polmoni si trova il cuore, rivestito dal sacco pericardico, il quale ha funzioni di
contenimento ma nello stesso tempo però favorisce le contrazioni continue della massa cardiaca.
Queste tre strutture sono situate sulla parte anteriore del torace e i due polmoni occupano
ampiamente anche le pareti laterali del torace, per cui i punti di riferimento sono svariati, sulla
superficie anteriore e sulle superfici laterali.
Se immaginiamo di aprire la cavità toracica e prelevare i due polmoni e il cuore, arriviamo alla
parete posteriore del torace costituita al centro esattamente sul piano sagittale dalla colonna
vertebrale toracica e a questa sono addossati due organi importanti, molto voluminosi, esofago e
l’aorta (l’arteria più grossa del nostro corpo). Queste due strutture hanno come sostegno la colonna
vertebrale, ma ad essi non si può arrivare, non li si può vedere a meno di togliere, asportare i due
polmoni e il cuore.
*Si tratta quindi di due organi difficilmente raggiungibili che poggiano sulla parete posteriore del
torace e in particolare poggiano sulla colonna vertebrale, e questo è importante soprattutto nel caso
di una patologia vascolare che interessa l’aorta ad es. aneurisma.
L’aneurisma è una dilatazione della parete del vaso che provoca un ristagno di sangue che non
arriva agli organi; dunque se l’aneurisma non viene diegnosticato in tempo si possono avere due
casi, o la parete dell’arteria (aorta in questo caso) si rompe e si muore per emorragia gravissima
perché l’aorta serve tutte le parti del nostro corpo oppure il sangue non arriva agli organi che
pertanto non vengono irrorati (encefalo compreso) e si hanno danni particolarmente gravi.
-La diagnosi è difficile da eseguire proprio perché l’aorta si trova dietro, non si può andare a vedere,
visualizzare facilmente. Questo significa che dobbiamo essere in grado si prevedere queste
patologie poiché ci sono dei sintomi, anche banali, che preludono a patologie anche gravi.
All’interno della cavità toracica vi sono quindi organi posti in superficie e altri posti in profondità,
per cui conviene studiare la cavità toracica dall’alto verso il basso e dall’avanti all’indietro; oppure
dalla superficie verso la profondità.
In basso possiamo osservare il diaframma dal suo versante toracico, il quale come tutti i muscoli ha
un tendine che però è appiattito, laminare poiché lo stesso diaframma è un muscolo appiattito
mentre tutt’intorno c’è la parte muscolare ovvero quella capace di contrarsi.
La parte tendinea sta al centro perché rappresenta un punto di appoggio solido sia per le fibre
muscolari del diaframma sia per il cuore. Il cuore infatti poggia sulla parte tendinea del
diaframma. Infatti, siccome il cuore si contrae, ha bisogno di una solida base di attacco altrimenti
risentirebbe di tutte le vibrazioni trasmesse dal diaframma stesso il quale si contrae pure
continuamente. Allora in questo modo i due organi hanno un rapporto di contiguità ma non si
disturbano.
- L’esofago incrocia l’aorta. L’esofago è un condotto muscolo-membranoso che va dalla cavità
orale fino allo stomaco. Il bolo alimentare con la deglutizione viene spinto proprio all’interno
dell’esofago, che si comporta in modo particolare: ha una parete muscolare estremamnete
espansibile per cui riesce a dilatarsi senza disturbare l’aorta che si trova dietro altrimenti si potrebbe
rischiare di avere un’interruzione (anche di un secondo!) nel flusso del sangue; questo non accade
mai perché i due tubi, esofago e aorta, sono entrambi muscolari pertanto si dilatano e non
influiscono sull’altro viscere contiguo. Ai lati e tutto intorno a questi due organi troviamo strutture
nervose facenti parte del sistema nervoso viscerale, cioè quella parte del sistema nervoso
indipendente dalla nostra volontà, destinato a innervare gli organi.
Questo sistema nervoso viene chiamato autonomo o viscerale ed è fatto perlopiù da reti di nervi.
Infatti si forma in questa zona una sorta di plesso, dove tutti i nervi sono intrecciati tra di loro e
presentano dei rigonfiamenti che si chiamano gangli. Tutti questi rigonfiamenti sono come degli
interruttori: poiché questo sistema è involontario ha bisogno di interruttori che eventualmente
smorzino la potenza di uno stimolo nervoso o perlomeno, quando arriva uno stimolo, questo poi
possa avere un’interruzione, altrimenti noi avremmo continuamente lo stomaco in contrazione!,
oppure continuamente le ghiandole che producono secreto!. Ci vuole quindi un’alternanza tra una
fase di azione e una di riposo. Questa alternanza è garantita da questi ‘interruttori’, i gangli.
Questa catena di gangli ai lati dell’esofago e dell’aorta viene chiamata catena dell’ortosimpatico (o
del simpatico);
• Per quanto riguarda l’impalcatura ossea essa è rappresentata dalla gabbia toracica.
La gabbia toracica è una struttura estremamente elastica e ha dei dispositivi che le consentono di
accompagnare le espansioni dei polmoni e del cuore. Allora sarà costituita da un osso piatto
disposto anteriormente che prende il nome di sterno, il quale è un osso superficiale situato appena al
di sotto della cute: tutte le parti che lo compongono sono punti di repere importantissimi
nell’anatomia di superficie. Lo sterno è formato da una parte espansa superiore chiamata manubrio,
una parte centrale, il corpo, e un processo terminale appuntito che prende il nome di processo
xifoideo.
Le parti che compongono lo sterno sono manubrio, corpo e processo xifoideo;
Tra il manubrio e il corpo si viene a formare una sorta di piccolo angolo, vale a dire queste due
strutture non sono allineate ma formano un piccolo angolo chiamato angolo sternale oppure
identificato con un eponimo (cioè con il nome del suo scopritore) come angolo di Luis (anche se
comunque si tende ad abbandonare questa dizione nella pratica medica poiché l’eponimo non
fornisce informazioni sulla posizione della struttura).
L’angolo sternale è un punto di repere importantissimo per stabilire una delle posizioni di un’area
cardiaca, cioè una zona del cuore ben precisa.
Dunque l’angolo sternale si trova tra il manubrio e il corpo ed è il livello che corrisponde alla
seconda costa; quindi questa zona viene facilmente rintracciata perché si trova sulla superficie
anteriore del torace (coperto solo dalla cute) ed è pertanto facilmente rilevabile.
*La fossetta soprasternale è poi importantissima perché in questa zona si trova la trachea allo
scoperto (non coperta da nervi né da vasi sanguigni) per cui nel caso di un intervento di urgenza in
un individuo con difficoltà respiratorie si opera un piccolo tagli proprio in questa zona, con la
sicurezza di non provocare altri danni, e si va ad insufflare aria (addirittura nei casi più gravi,
quando non si ha niente a disposizione si può utilizzare una penna biro!)
Quindi si tratta di un punto molto importante nella pratica medica.
Si chiama questa incisura mediana dello sterno ( o incisura giugulare ) ed è un importante punto di
repere della trachea, in quanto costituisce l’unica regione in cui la trachea è scoperta.
-Ai lati dello sterno troviamo le coste, le quali sono in numero di 12 paia e sono formate da una
parte ossea anteriormente alla quale fa seguito una zona cartilaginea. La cartilagine è più elastica
dell’osso, per cui questa zona cartilaginea è la parte che consente alla gabbia toracica di espandersi
in avanti accompagnando le espansioni dei polmoni e del cuore. Quindi le cartilagini costali sono
parte integrante delle coste, le quali sono formate da una parte ossea, che è la parte di sostegno
solida e una parte cartilaginea. Le dodici coste da ogni lato vengono classificate in base ai rapporti
effettivi che hanno con lo sterno, poiché solo le prime 7 hanno rapporto diretto con lo sterno, cioè la
loro cartilagine si articola con lo sterno. L’ottava, la nona e la decima hanno la cartilagine ma la
mettono in comune per poi connettersi alla settima cartilagine costale. Dunque le prime 7 coste, le
quali hanno ciascuna la propria cartilagine, si chiamano coste vere o anche coste sternali perché
vanno a terminare effettivamente sullo sterno; l’ottava, la nona e la decima invece sono chiamate
coste false perché hanno un rapporto indiretto con lo sterno, motivo per il quale sono chiamate
anche asternali. Le ultime due coste, undicesima e dodicesima, sono le cosiddette coste fluttuanti (
o libere) perché terminano a punta e non possiedono cartilagine costale. Queste coste vanno a
rinforzare la parete addominale posteriore, che è costituita da muscoli.
Queste due coste, undicesima e dodicesima, si trovano quindi nel contesto delle masse muscolari
della parete addominale posteriore alla quale forniscono un sostegno.
- Riassumendo le dodici paia di coste sono: 7 sternali o vere, 8-9-10 false o asternali, 11 e 12
fluttuanti o libere.
Posteriormente invece la gabbia toracica è costituita dalle 12 vertebre della regione toracica.
Il torace è poi ricoperto da muscoli. Tra una costa e l’altra si pongono due tipi di muscoli:
muscoli intercostali esterni e muscoli intercostali interni, disposti con le fibre incrociate.
I muscoli intercostali esterni abbassano, avvicinano una costa all’altra mentre l’intercostale interno
le fa ritornare al loro posto, quindi allontana una costa dall’altra.
-Tra i muscoli intercostali interni ed esterni vi sono anche i muscoli intercostali medi, i quali però
sono più limitati, non occupano tutto lo spazio intercostale, ma solo la parte più vicina alla
cartilagine costale. E’ buona norma quindi menzionare i muscoli intercostali medi insieme a quelli
che si trovano in prossimità dello sterno perché accompagnano, coadiuvano la funzione di quei
muscoli e non degli altri intercostali.
La gabbia toracica è quindi costituita da coste che si avvicinano e si allontanano, per cui c’è la
possibilità di aumentare il diametro supero-inferiore o longitudinale della gabbia toracica.
Dunque grazie alle cartilagini costali la gabbia toracica si espande in senso antero-posteriore,
mentre grazie ai muscoli intercostali la gabbia toracica si innalza e si abbassa e viene variato il
diametro longitudinale.
Dalla combinazione poi di altre masse muscolari che si trovano sulla faccia interna dello sterno e
sulla faccia interna delle cartilagini costali abbiamo un altro movimento a livello della gabbia
toracica, cioè la variazione del diametro trasverso.
In ogni momento, ad ogni atto respiratorio, che è legato all’espansione dei polmoni, la gabbia
toracica contemporaneamente si espande in avanti, si allunga e si porta in alto dopodichè si riporta
indietro.
-La parte inferiore della cavità toracica è chiusa dal muscolo diaframma.
Il muscolo diaframma presenta la parte tendinea centrale, quindi piatta; costantemente il suo tono
muscolare lo porta ad avere due cupole ai lati.
Quando il diaframma si contrae, se i polmoni si devono espandere per prendere aria, le due cupole
si appiattiscono verso la cavità addominale, per cui il diaframma preme sui visceri addominali.
Quando invece il polmone si deve svuotare di aria, cioè quando i polmoni si contraggono, le due
cupole ritornano elasticamente per cui vanno a premere contro il polmone e lo accorciano.
Dunque il diaframma imprime alla cavità toracica e alla gabbia toracica gli stessi movimenti delle
coste, cioè consente la variazione del diametro longitudinale (quando si appiattisce) del diamtero
antero-posteriore e laterale quando invece ritorna nella sua forma originaria, cioè quella ‘a cupola’.
Durante l’inspirazione il diaframma si appiattisce in modo da offrire maggiore spazio; inoltre
premere contro i visceri addominali è utile perché in questo modo i visceri addominali possono
muoversi. Ad esempio si può sollecitare lo svuotamento dello stomaco o la progressione del
contenuto nel tratto intestinale.
Quando poi ritornano tutte le strutture al loro posto, la cavità toracica torna alle dimensioni normali
e il diaframma preme contro i polmoni facilitando l’espirazione (anche se comunque il polmone non
si svuota del tutto ma una certa aria residua rimane anche nelle vie respiratorie).
Il cuore invece poggia sulla parte tendinea del diaframma e quindi non ha risentito di tutti questi
movimenti, ma si contrae per i fatti propri.
• Sulla parete anteriore e posteriore del torace si applicano poi degli altri muscoli che vanno a
terminare sugli arti. Questi muscoli della parte posteriore e della parte anteriore del torace sono
chiamati muscoli estrinseci, cioè esterni perché hanno soltanto l’origine sul torace ma hanno la
terminazione sull’arto superiore.
- I muscoli estrinseci della regione anteriore, come i muscoli pettorali sono muscoli che
effettivamente cooperano ampiamente ai movimenti dell’arto superiore.
*Il muscolo grande pettorale è molto sviluppato negli atleti, nei nuotatori, perché consente di
addurre gli arti e addirittura di portare il tronco in alto poggiando sugli arti. Ad esempio quando ci
si arrampica su un albero si adducono gli arti superiori ma allo stesso tempo essi vengono utilizzati
come punto di appoggio per sollevare il tronco.
Dunque le masse muscolari estrinseche della parete amteriore del torace servono per muovere gli
arti superiori
- I muscoli estrinseci della parete posteriore invece prendono attacco non solo sulla parete
posteriore del torace e sull’arto superiore, ma si prolungano anche alla regione della nuca.
Allora questi muscoli della regione posteriore non serviranno per il movimento ma sono muscoli
che assicurano soprattutto la postura.
Ricordiamo che l’asse posteriore del nostro corpo è dedicato a favorire il mantenimento della
stazione eretta ma allo stesso tempo fornisce un valido sostegno anche nella locomozione, nel salto,
nella corsa (ad esempio possiamo notare che gli atleti quando compiono salti non abbassano mai la
testa, anzi nel momento in cui erroneamente abbassano la testa non riescono a compiere bene
l’esercizio, infatti la forza elastica per fare un salto viene data dal fatto di poter mantenere la testa in
estensione).
Il Cuore
Prima di parlare del cuore facciamo un riassunto generale del contesto in cui il cuore si trova, cioè
inquadrare il cuore all’interno dell’apparato circolatorio.
Il cuore è una pompa che continuamente invia e riceve sangue. La quantità di sangue del nostro
corpo è sempre costante e si aggira sui 5-6 litri nonostante sicuramente il sangue viene rinnovato.
Le cellule contenute all’interno del sangue vengono periodicamente rinnovate, soprattutto gli
eritrociti, cellule variabili dotate di vita breve in quanto perdono il nucleo durante il loro sviluppo.
La vita media di un eritrocita è di 120 giorni.
L’apparato circolatorio viene solitamente definito come un sistema chiuso di vasi a calibro
differente. Perché un sistema chiuso? Proprio perché nel mezzo si trova il cuore. Tutti i vasi
sanguigni o partono o arrivano al cuore, dunque il punto di riferimento centrale dell’apparato è il
cuore.
- Questo aspetto rende l’apparato circolatorio diverso dal sistema linfatico, in quanto il sistema
linfatico è un sistema di vasi aperti e vasi linfatici sono vasi detti a ‘fondo cieco’ .
Le due funzioni differenti di questi sistemi di vasi si giustificano proprio perché i vasi sanguigni
sono vasi chiusi e la chiusura è data proprio dalla presenza del cuore; il sistema linfatico invece è un
sistema di vasi aperti.
In tutte le parti del nostro corpo costantemente dove ci sono vasi sanguigni sono presenti anche vasi
linfatici e nervi, quindi questa triade, queste tre strutture camminano sempre insieme in qualsiasi
parte del nostro corpo a cominciare dalla cute a finire ad un organo profondo quale può essere ad
esempio l’esofago!
* ! In realtà comunque non è una triade ma sono 4 elementi! poiché ci saranno un’arteria, una vena,
un vaso linfatico e un nervo.
Dobbiamo sempre avere l’accortezza, per ogni organo, ogni apparato o sistema che descriviamo, di
andare a monitorare la posizione dei vasi sanguigni, dei vasi linfatici e delle strutture nervose
poiché è importante sapere dove arrivano queste strutture dato che determinano la vita, la
sopravvivenza di un determinato organo.
!!! Solo a livello del sistema nervoso non ci sono vasi linfatici perché il sistema nervoso è
immerso nel liquido cefalo-rachidiano, il quale rappresenta il suo sistema di drenaggio.
-Anche i muscoli hanno una ricca vascolarizzazione sanguigna, linfatica e un’altrettanto ricca
innervazione perché altrimenti non potrebbe essere mantenuto il tono muscolare di base e non
sarebbe possibile compiere nessun movimento.
Questi 5/6 litri di sangue circolano costantemente perché il sangue origina dal cuore e si porta alla
periferia (o in sede extrapolmonare) e poi ritorna al cuore.
Per definizione (?) le arterie sono chiamate vasi centrifughi, poiché si allontanan dal cuore;
le vene invece sono vasi centripeti perché afferiscono, ritornano sempre al cuore.
Questo è un altro punto di riferimento importante per capire i tipi di circolazione sanguigna.
L’arteria è sempre quella che parte dal cuore e vena è sempre quella che ritorna, questo vuol dire
che non ci interessa sapere che tipo di sangue c’è all’interno di un vaso sanguigno ma ci interessa
invece sapere dove è disposto nei confronti del cuore per sapere come definirlo (arteria o vena).
E’ sempre il cuore che spedisce il sangue ai vari distretti o che lo richiama, per cui il cuore funziona
da pompa a due vie.
La parte sinistra del cuore è la parte che si contrae per mandare il sangue lontano; la parte destra del
cuore invece è la parte di richiamo, fa da pompa di aspirazione perché continuamente richiama il
sangue dai vari distretti. Allora anche laddove vi sono difficoltà fisiche (per esempio dove il sangue
va contro la forza di gravità) esso riesce comunque a risalire proprio grazie all’azione di richiamo
esercitata dal cuore.
Dunque il cuore è contemporaneamente sulla parte sinistra una pompa premente e sulla parte
destra una pompa aspirante.
E’ importante ribadire il termine ‘contemporaneamente’ perché questi due meccanismi, anche se
sembrano opposti, avvengono nello stesso momento.
Il segnale del corretto funzionamento doppio di questa pompa è il battito cardiaco; dunque la
coordinazione, l’ordine di successione dei vari battiti significano che contemporaneamente il cuore
sta inviando sangue ma lo sta anche ricevendo.
Questo battito cardiaco è variabile, allora esiste un intervallo standard stabilito tra 60 e 100 battiti al
minuto:
*Ci sono comunque delle persone che sono bradicardiche normalmente, allora invece di avere 60
battiti al minuto ne hanno 50, invece di averne 100 ne possono avere 70. Per cui questo intervallo
50/70 è anch’esso un intervallo tollerante.
Se consideriamo invece gli sportivi avremo il cosiddetto ‘cuore d’atleta’, che non è comunque
un’anomalia, dove i battiti sono compresi tra 40 e 60, dunque i più bassi in assoluto.
Si tratta però di un regime che il cuore ha raggiunto proprio perché negli individui particolarmente
allenati sono necessarie grandi masse di sangue a livello muscolare, cioè il distretto muscolare è
continuamente irrorato. Allora i battiti cardiaci si riducono, possibilmente le pareti del cuore
aumentano il loro spessore, però non si tratta di un’anomalia bensì un’acquisizione anatomica,
morfologica, giustificata da una funzione.
L’atleta ha il cuore brachicardico normalmente quindi tra 40 e 60 battiti. Quando un atleta di questi
non fa allenamento per un certo periodo e poi fa un breve sforzo, non appena egli arriva ai 70
battiti, che sono quelli di un individuo normale, sospetta di avere una tachicardia !! Invece è la
norma ma poichè ha abbandonato l’allenamento è bastato uno sforzo limitato per avere un aumento
fino a 70 battiti al minuto che sono propri dell’individuo normale.
- Il cuore d’atleta è una situazione, uno stato che rientra nella normalità. Se invece fosse una
persona normale che ha da 40 a 60 battiti al minuto, allora quella è una persona che sta morendo!
(non è brachicardica)
Le circolazioni principali a livello del nostro corpo sono 3:
- circolazione generale (grande circolazione) che coinvolge tutto il nostro corpo; la circolazione
generale ha come estremi l’arteria aorta (la grossa arteria che nasce dal cuore e porta sangue in tutti
i distretti) e le due vene cave (vena cava superiore e vena cava inferiore che raccolgono sangue da
tutti i distretti).
E’ chiaro che la vena cava si chiama superiore perché drena la parte superiore del nostro corpo
oppure, per avere un riferimento più saldo, la parte sopra-diaframmatica ( dicendo
sopradiaframamtica intendiamo la testa, il torace e gli arti superiori)la vena cava inferiore invece è così chiamata perché drena il distretto sotto-diaframmatico, cioè
cavità addominopelvica, arti inferiori.
L’aorta è invece l’unico grande vaso arterioso che si distribuisce a tutti i distretti sopra- e sottodiaframmatici.
Tra l’aorta e le vene cave c’è la rete capillare; affinchè si possa avere il passaggio delle sostanze e
dei gas, un vaso sanguigno deve diminuire il suo calibro fino ad arrivare a essere formato soltanto
dall’endotelio e quindi diventare capillare.
Nel contesto, internamente, nella struttura di ogni organo si trova la rete capillare; ma si trova anche
la rete capillare linfatica e le ultime diramazioni dei nervi.
Dunque se esaminiamo un organo esternamente vedremo (anche a occhio nudo) una rete vascolare
arteriosa e venosa notevole, riusciamo a distinguere anche la rete linfatica, che circonda l’organo, e
la rete nervosa. Se vogliamo andare a vedere i capillari dobbiamo prendere una parte di tessuto,
preparare delle sezioni al microscopio ottico; allora vedremo le sezioni dei capillari sanguigni e
linfatici e le ultime diramazioni nervose che già al microscopio ottico si riconoscono e si
distinguono. Per cui ci sono delle strutture che possiamo vedere macroscopicamente e che il
chirurgo ovviamente deve conoscere, altre strutture invece che per essere individuate richiedono dei
procedimenti istologici che trovano impiego soprattutto in anatomia patologica.
In definitiva quella che prende il nome di grande circolazione si svolge tra l’aorta, le reti capillari
all’interno degli organi e le due vene cave, superiore e inferiore. E’ definita grande poiché interessa
tutto il nostro corpo.
*Quando parliamo di grande circolazione significa che in ogni momento della vita di un individuo il
sangue perfonde tutti gli organi e tutti gli apparati. Allora se c’è una patologia in un distretto ne
risente la circolazione generale. Ecco perché i sintomi di una patologia possono essere anche molto
distanti proprio a causa del deficit vascolare.
-Per quanto attiene invece a quella che viene chiamata piccola circolazione o circolazione
polmonare , essa è più ristretta: è chiamata anche circolazione cuore-polmoni.
Il sangue parte dal cuore tramite l’arteria polmonare (o tronco-polmonare). Si tratta di un’arteria,
perché parte dal cuore ma in realtà trasporta il sangue refluo proveniente dalle due vene cave, cioè
sangue venoso. La rete capillare contenuta all’interno dei polmoni consente gli scambi ad ogni atto
respiratorio tra l’ossigeno e l’anidride carbonica. Il sangue ossigenato ritorna poi al cuore attraverso
le quattro vene polmonari, dove ‘vene’ è riferito al fatto che ritornano verso il cuore.
La legge fondamentale per distinguere tra vene e arterie è quindi il riferimento nei confronti del
cuore: un’arteria o una vena sono tali quando partono o arrivano al cuore.
Il tipo di sangue che trasportano è in funzione del tipo di circolazione.
La piccola circolazione è una circolazione che si esaurisce in cavità toracica e collega il cuore e i
due polmoni ed è strettamente correlata alla respirazione.
Con gli atti respiratori il sangue viene ossigenato ma si tratta sempre dei 5, 6 litri di sangue che
circolano globalmente nel nostro corpo.
Dunque la grande e la piccola circolazione sono contemporanee, cioè continuamente il sangue
viene trasportato da tutte le parti, anche ai polmoni poiché il tessuto polmonare ha bisogno di
sangue ossigenato. Quindi il sangue contemporaneamente va in tutti i distretti e ai due polmoni.
Se entriamo nel contesto del polmone, i capillari scambiano continuamente con il parenchima
polmonare ossigeno e anidride carbonica (sono in grado di eseguire questi scambi poiché sono
formati solamente da endotelio e si lasciano attraversare da questi gas).
I sensori dell’andamento regolare della circolazione sono i polsi, principalmente il polso radiale, e
il polso al collo(?) (dietro l’angolo della clavicola) dove è possibile apprezzare la pulsione
dell’arteria carotide, che porta il sangue verso la testa.
-. Il terzo tipo di circolazione è invece la circolazione portale;
Solitamente si dice che gli studenti sono indotti a considerare la circolazione ‘portale’, cioè con
questo aggettivo, poiché si parla di vena porta. In realtà non è questa la definizione:
una circolazione di definisce portale quando esiste una vena che eccezionalmente collega due reti
capillari molto lontane tra di loro, vale a dire due reti capillari che coinvolgono organi differenti.
Questa è la definizione di circolazione portale.
L’esempio pratico è costituito dal sangue che dal distretto intestinale (vene mesenteriche inferiore e
superiore) e poi dal distretto glienale (?) (in corrispondenza della milza), il sangue va verso il
fegato.
Dunque sono coinvolti in questo tipo di circolazione l’intestino, la milza e il fegato, tre organi
differenti che si trovano ad una certa distanza tra di loro, per cui questa è a tutti gli effetti una
circolazione portale. Le reti capillari si trovano nell’intestino e nella milza e nel fegato, quindi sono
reti capillari lontane tra di loro e interessano organi differenti, però queste tre reti capillari sono
collegate da un grande condotto, la vena porta.
Questa vena trasporta sangue venoso, ma si tratta di sangue che proviene dall’intestino per cui
contiene le sostanze nutritizie ottenute dalla digestione; dunque l’elaborazione delle grandi
categorie di sostanze (proteine, glucidi e lipidi) ha portato all’arricchimento del sangue venoso di
queste sostanze semplici che potrebbero essere perse se la vena porta andasse a finire nella vena
cava inferiore (come fanno le altre vene).
Allora queste tre grandi categorie di sostanze, dal distretto intestinale passano al fegato, perché il
fegato le immagazzina, le elabora ed eventualmente le rimette in circolo, per questo è necessaria
una circolazione portale.
La rete capillare, prima di andare a depurare il sangue a livello del cuore e dei polmoni, passa dal
fegato: si tratta di un percorso obbligato che deve seguire.
La circolazione portale ha lo scopo di collegare la rete capillare dell’intestino con la rete capillare
del fegato per il passaggio di queste sostanze.
*Perché poi il sangue dalla milza deve passare al fegato?
La milza svolge una funzione molto importante; essa possiede la propria circolazione sanguigna, ha
la sua arteria, però il sangue che passa dalla milza ad ogni momento abbandona i globuli rossi che
passati 120 giorni devono essere rimpiazzati. A livello della milza dunque inizia la distruzione dei
globuli rossi, o meglio i globuli rossi vengono disgregati nelle proprie componenti cellulari.
Questi ‘detriti’, compresa l’emoglobina, cioè il pigmento fondamentale del globulo rosso, prendono
la via della vena glienale che confluisce nella vena porta.
-Ma perché la spazzatura della milza deve andare al fegato? In primo luogo perchè detriti verranno
distrutti dai macrofagi nel fegato; in secondo luogo ma non meno importante l’emoglobina ha al
centro il nucleo del ferro, il quale tra l’altro è responsabile della possibilità dell’eritrocita di legare
l’ossigeno. Dunque è importante conservare il nucleo di ferro (che non siamo in grado di
sintetizzare, ma lo assumiamo con la dieta) e il deposito è ancora una volta il fegato, che
continuamente poi lo manda al midollo dove vengono ricostituiti i nuovi globuli rossi e
l’emoglobina con i nuovi nuclei di ferro.
-Allora la circolazione portale è fatta da una vena porta che collega reti capillari all’interno
dell’intestino, della milza e del fegato. La rete capillare all’interno del fegato rappresenta il punto di
raccolta, di deposito, di tutte le sostanza che provengono dalle altre reti capillari.
Questo è il concetto di circolazione portale.
Le vene epatiche sboccano poi nella vena cava inferiore.
In altri termini fegato e polmoni sono collegati a distanza (se il polmone non funziona bene, il
sangue non si depura bene e addirittura il fegato a distanza ne può risentire).
- La seconda circolazione portale del nostro corpo è il sistema portale ipotalamo-ipofisario.
All’interno del cranio c’è una ghiandola endocrina importantissima, l’ipofisi.
L’ipofisi è importante perché nell’economia del sistema endocrino governa tutte le ghiandole
endocrine del nostro corpo, cioè invia ormoni alle altre ghiandole bersaglio.
Nella parte posteriore dell’ipofisi, chiamata neuroipofisi, arrivano a loro volta altri ormoni, i quali
sono prodotti però a livello dell’ipotalamo.(una parte dell’encefalo).
Allora la rete capillare dell’ipotalamo viene connessa da una vena alla rete capillare della
neuroipofisi, così continuamente le sostanze( in particolare ormoni) dall’ipotalamo scendono alla
neuroipofisi.
Dunque un altro sistema portale ( sistema portale = vena tra due reti capillari lontane di organi
diversi ) è il sistema portale ipotalamo-ipofisario. L’ipotalamo produce eccezionalmente degli
ormoni; questi ormoni scendono attraverso la vena e vanno a terminare in corrispondenza della rete
capillare contenuta all’interno della neuroipofisi.
*La neuroipofisi si prende così il merito di aver prodotto ormoni che invece provengono
dall’ipotalamo. Dunque non diremo mai che la neuroipofisi produce ormoni, ma la neuroipofisi
immette in circolo ormoni ipotalamici.
Cenni sull’origine embriologica del cuore
E’ importante accennare all’origine embriologica del cuore per poi capire come sono organizzate le
strutture nel cuore adulto. Conoscere bene l’embriologia significa comprendere la morfologia e
soprattutto individuare la genesi di una patologia.
Innanzitutto è importante porre attenzione al fatto che il cuore si forma già alla quarta settimana di
sviluppo e che 22 giorni dopo la fecondazione abbiamo già un cuore pulsante (questo a discapito di
chi dice che l’embrione non è un individuo!! ). Alla quarta settimana l’embrione si è già ripiegato su
se stesso: all’inizio infatti l’embrione si forma come un disco trilaminare; questa struttura piatta poi
ha la necessità di ripiegarsi su se stessa, ma l’embrione non solo si ripiega su se stesso a formare un
tubo, ma si ripiega anche in senso longitudinale. L’abbozzo del cuore non solo si ripiega, seguendo
tali movimenti, a formare un tubo, ma poiché all’interno dell’embrione è presente la cavità
celomatica, nel momento in cui il disco trilaminare si ripiega,allora la cavità celomatica per forza di
cose si suddivide (poiché si forma un tubo ripiegato su se stesso) , cioè si formano dei
compartimenti. A livello del tubo endocardico che così si è formato c’è già una parte di cavità
celomatica che andrà poi a formare la famosa cavità pericardica.
- Dunque l’abbozzo del tubo cardiaco si è formato e si è ripiegato su se stesso; tutt’intorno si
dispongono pericardio e la cavità pericardica. Inoltre sta cominciando a delinearsi anche il foglietto
viscerale del pericardio che poi andrà ad aderire alla parete del cuore.
Nella settimana seguente, cioè la quinta settimana, il cuore è già formato ma presenta la forma di
una spugna e presenta all’interno della sua struttura delle zone vuote.
Queste zone vuote ci sono perché le cellule che formano il cuore, che sono cellule mesenchimali
derivate dal mesoderma, sono cellule che hanno capacità angioblastiche, vale a dire formano isole
di tessuto vascolare. Queste cellule mesenchimali scavano quindi delle cavità poiché queste
andranno poi a formare le quattro cavità principali del cuore. Dunque le cellule mesenchimali si
organizzano a formare le cavità cardiache.
Il cuore si originerà dall’unico tubo endocardico, mentre originariamente i tubi endocardici a
formarsi sono due ed essi pertanto presentano una parete in comune.
Questa parete comune diventerà il setto che divide le cavità superiori dalle cavità inferiori.
Questi due tubi poi si fondono in uno solo ma la parte centrale rimane a collegarle, per cui si verrà a
formare un unico cuore già diviso in due metà, una metà che funziona da pompa premente e l’altra
metà che funziona da pompa aspirante.
Inoltre siccome il tubo endocardio non rimane rettilineo perché segue i movimenti di ripiegamento
dell’embrione, allora i due lati (?) sulla superficie esterna del cuore sono sfalsati (uno è messo più
avanti e l’altro posteriormente). Questo è normale poiché derivano da un tubo che non solo si è
ripiegato, ma nel quale le due metà da cui era formato si sono sfalsate sul piano(?).
Ed è anche per questo che dalla base del cuore, cioè dalla parte alta del cuore hanno origine i grossi
vasi (aorta, tronco polmonare, vene cave).
*Le vene cave in realtà si trovano sulla stessa linea; si tratta quindi di un unico condotto che a
seguito della presenza del diaframma, è stato diviso in due metà però la vena cava superiore drena il
sangue dalla parte sopradiaframmatica, mentre sulla stessa linea c’è la vena cava inferiore che lo
drena dalla parte sottodiaframmatica.
Dalla parte premente del cuore si formano invece le quattro vene polmonari. Dal momento che i
polmoni si trovano alla stessa altezza del cuore, allora le quattro vene di ritorno giungono ai lati del
cuore. Quindi si sono semplicemente separate dal tubo endocardico di sinistra, si sono coricate e
aperte perché sono andate verso i polmoni.
Quindi i due tubi endocardici nel momento in cui si ripiegano su se stessi formano il cuore. Siccome
poi i due tubi hanno la stessa origine, dal lato della base del cuore danno luogo ai grossi vasi, aorta e
tronco polmonare. Sulla parte del tronco polmonare l’unico tubo si sedimenta poi in una struttura
anteriore che rimane poi tronco polmonare e in una posteriore che darà origine alle vene cave
superiore e inferiore.
Dal lato dell’aorta invece si vengono a definire dei vasi che hanno fatto questo movimento: si sono
buttati indietro e si sono aperti per formare le quattro vene polmonari ( due di sinistra e due di
destra).
Abbiamo visto che la grande cavità celomatica si è suddivisa a livello toracico: ai lati abbiamo le
due logge pleuriche che accolgono i polmoni. Questo significa che la parte laterale della cavità
celomatica, a causa della presenza di questi doppi foglietti (le pleure), diventa loggia pleurica.
Al centro abbiamo poi uno spazio, un ‘corridoio’ che, poiché si trova al centro, in posizione
mediana, si chiama mediastino. E’ un corridoio stretto che va dallo sterno alla colonna vertebrale.
Però il mediastino ha anche un’estensione in senso longitudinale per cui va dall’alto verso il basso,
cioè dall’apertura superiore del torace ( che poi è anche la base del collo) fino al diaframma.
Dunque il cuore, con la sua loggia pericardica, è avvolto all’interno del mediastino.
Il mediastino è uno spazio mediano della cavità toracica che si estende antero-posteriormente,
dallo sterno alla colonna vertebrale toracica ma si estende anche longitudinalmente dalla base del
collo ( o apertura toracica superiore) fino al diaframma.
Il mediastino è quindi un corridoio che presenta due pareti, anteriore e posteriore e due aperture,
una superiore e una inferiore. In realtà però l’apertura inferiore non è un’apertura ma una base, la
quale appunto è rappresentata dal diaframma.
*Tuttavia la posizione, il riferimento della loggia mediastinica, varia se il soggetto si trova in
ortostatismo o in posizione supina. Quando noi facciamo determinate indagini strumentali, ad
esempio una radiografia dei polmoni, questa viene eseguita con il paziente in ortostatismo.
Allora il mediastino è definito secondo la teoria.
Quando invece il soggetto si trova in posizione supina, come quando bisogna fare una visita
( oppure pensiamo ad un’indagine strumentale come la tac che viene effettuata in questa posizione),
allora i rapporti del mediastino variano. Poiché infatti in posizione supina si accentuano le curve
diaframamtiche, tutta la parte del cuore e dei grossi vasi viene spostata verso l’alto, risale.
-Prendiamo come riferimento l’arco aortico, che in posizione di ortostatismo si trova sotto
l’apertura superiore del torace cioè a livello della seconda costa), quando noi ci corichiamo risale e
arriva fino all’apertura superiore del torace. Nel frattempo è risalito anche il cuore perché il
diaframma risale verso la cavità toracica.
Variano in definitiva i rapporti delle formazioni contenute all’interno del mediastino e di questo
bisogna tenere conto perché quando applicheremo il fonendo al malato in posizione supina
dovremmo posizionarlo più su per avvertire la pulsazione dell’arco aortico.
E’ buona norma solitamente porre il fonendo in determinate zone dell’aria cardiaca e
contemporaneamente, lasciando il fonendo poggiato, andare a rilevare il polso in modo da capire se
c’è sincronismo tra il battito cardiaco dell’aorta e la pulsazione a livello del corpo.
Certe volte ci sono delle discrepanze, cioè prima con il fonendo si avverte il flusso del sangue che
passa nell’arco aortico ma non si sente la pulsazione ( cioè si viene a creare un intervallo).
*E’ chiaro poi che se il soggetto è in piedi difficilmente è possibile visitarlo mentre se il soggetto è
seduto è come se si trovasse in ortostatismo, dunque anche in questo caso l’arco aortico si trova a
livello della seconda costa.
Dobbiamo poi definire i limiti del mediastino.
Se guardiamo la sezione sagittale del torace possiamo individuare un mediastino superiore e un
mediastino inferiore.
Il mediastino superiore viene delimitato in alto dall’apertura superiore del torace, in basso invece il
limite è dato da una linea immaginaria che va dall’angolo sternale ( tra manubrio e corpo) al
margine inferiore della quarta vertebra toracica.
*Quindi per stabilire il limite del mediastino superiore basta andare a cercare sulla superficie
anteriore del torace, l’angolo sternale ( o angolo del Luis) che definisce precisamente il limite
inferiore del mediastino superiore.
*La quarta vertebra toracica, che segna il confine inferiore del mediastino, è inoltre un punto di
repere fondamentale perché in quel punto la trachea si biforca nei due bronchi.
Il mediastino superiore è separato da quello inferiore da una linea, un asse immaginario che passa
dall’angolo sternale alla quarta vertebra toracica.
Tutto quello che si trova al di sotto di questo piano è mediastino inferiore.
In sezione sagittale il mediastino inferiore viene diviso in compartimenti.
La prima parte del mediastino inferiore è quella anteriore che si trova tra lo sterno e il pericardio.
In questo piccolo spazio tra lo sterno e il pericardio nell’adulto si trova tessuto adiposo, ma nel
bambino, fino a nove anni circa c’è il timo.
- Il timo occupa quindi la parte anteriore del mediastino inferiore.
*Certe volte il timo ha uno sviluppo anomalo perché una sua parte sale mediastino superiore e
quando diventa tessuto adiposo preme contro la trachea determinando gravi conseguenze.
Questo tessuto adiposo viene quindi asportato chirurgicamente per impedire che ostacoli le
espansioni della trachea, che in quel punto si sta dividendo nei due bronchi.
Quindi la presenza di tessuto adiposo fuori zona, ectopico, va a disturbare la funzionalità delle vie
respiratorie, trachea e bronchi, quindi viene asportato chirurgicamente.
-Il mediastino inferiore, nella sua parte media, è completamente occupato dal cuore avvolto dal
pericardio.
A questo punto, per giusta norma, adesso possiamo precisare che la loggia pericardica è accolta
nella parte media del mediastino inferiore.
- Il mediastino inferiore poi, nella sua parte posteriore, è delimitato dalla colonna vertebrale e dalle
formazioni che stanno in avanti ad essa cioè l’aorta, l’esofago, la catena del simpatico e poi una
formazione importante del sisteme linfatico, il dotto toracico.
Tutte queste formazioni tubulari addossate alla colonna vertebrale, occupano interamente la parte
posteriore del mediastino inferiore.
Anche il mediastino in origine è cavità celomatica, ma in esso non è presente liquido. Il liquido
rimane compartimentalizzato tra i due foglietti del pericardio.
Lo spazio presente tra il cuore e le varie formazioni che abbiamo analizzato è occupato da
connettivo; questo connettivo in certi punti forma dei legamenti, che servono ad ancorare le diverse
strutture presenti mentre in altre zone forma tessuto adiposo che fa da cuscinetto e tiene in posizione
tutte queste strutture, le quali infatti potrebbero subire degli spostamenti, soprattutto i vasi sanguigni
e i vasi linfatici.
-Allora lo spazio all’interno è occupato da connettivo o tessuto adiposo che agisce da
ammortizzatore tra le varie strutture ciascuna delle quali mantiene la propria individualità.
*In medicina molto spesso le vertebre comprese tra la seconda e l’ottava vengono chiamate vertebre
cardiache ( o vertebre del Giacomini) perché sono quelle prospicienti il sacco pericardio.
Consideriamo una visione laterale del mediastino inferiore. In visione laterale ci si rende conto
maggiormente della parte posteriore del mediastino inferiore tra il sacco pericardico e tutte le
strutture addossate alla colonna vertebrale.
L’aorta, dopo aver formato l’arco, diventa aorta discendente e si pone dietro il pericardio, tra questo
e la colonna vertebrale.
*Si capisce bene dunque che qualsiasi espansione patologica del pericardio preme contro l’aorta;
qualsiasi espansione negativa dell’aorta, ad esempio una dilatazione abnorme, un aneurisma
dell’aorta toracica potrebbe anche incidere sul sacco pericardico, infastidire il cuore all’interno del
sacco pericardico.
Lezione 7
Incidiamo anteriormente il pericardio, in modo da mettere allo scoperto il cuore; sulla faccia
anteriore del cuore è presente una massa di tessuto adiposo, solitamente poca, un semplice
cuscinetto che avvolge la superficie anteriore del cuore e fa da ammortizzatore, soprattutto alle
arterie coronarie ( che si trovano proprio al di sotto di questa piccola massa di tessuto adiposo).
*Quando questa massa aumenta si entra in una fase di pericolo perché il tessuto adiposo che
circonda il cuore e anche altri organi, è potenzialmente dannoso, poiché costituito da lipidi difficili
da eliminare perché hanno un alto peso molecolare, i quali possono anche passare nel sangue
provocando gravi danni soprattutto alle arterie coronarie attigue.
Il pericardio
Esaminiamo il pericardio nella sua posizione regolare all’interno della cavità toracica.
Il pericardio è un sacco fibroso che avvolge il cuore; in basso aderisce al centro frenico del
diaframma, quindi fissa il cuore nella sua posizione mentre in alto si continua con l’avventizia (uno
strato di connettivo) che avvolge i vasi della base del cuore.
Ma alla base del cuore ritroviamo sia arterie che vene e questo è un aspetto importante da definire
perché il pericardio, una volta che si viene a trovare in corrispondenza della base del cuore,
presenta due dispositivi, due pieghe, due insenature che servono proprio ad isolare la parte
arteriosa dalla parte venosa.
Sulla parte anteriore, in continuità con la faccia anteriore del cuore, troviamo l’emergenza dell’aorta
e del tronco polmonare ( questo ramo arterioso si chiama tronco perché dopo un breve tragitto si
divide nelle due arterie polmonari destra e sinistra).
Posteriormente invece abbiamo una situazione differente; sulla faccia posteriore del cuore, se
consideriamo sempre la base, vediamo che ci sono le due vene cave. Abbiamo visto che le due vene
cave, superiore e inferiore, si trovano sulla stessa linea e sono affluenti dell’atrio destro.
Dunque l’atrio destro, proprio perché ha questi due canali, uno superiore e uno inferiore, avrà la
forma di un cubo nel quale l’altezza prevale sugli altri diametri, allora l’atrio destro è una scatola,
cubo, quindi ha sei facce, però è più sviluppato in altezza ( parallelepipedo?).
-Se invece andiamo a considerare l’atrio di sinistra, questo è connesso con le quattro vene
polmonari ( due per ciascun lato) che provengono dai due polmoni. Dunque anche l’atrio di sinistra
avrà la forma di un cubo ( esattamente come l’atrio di destra) solo che però è più sviluppato in
larghezza, cioè la larghezza prevale sugli altri diametri.
-Gli presentano quindi la stessa forma ma in ognuno di essi prevale un diametro, ovvero nell’atrio
destro prevale un diametro longitudinale, nell’atrio sinistro prevale il diametro trasversale.
Il pericardio rispetta queste formazioni che incontra e fra le vene polmonari e le due vene cave
viene a costituire una sorta di recesso, di piega che prende il nome di seno obliquo del pericardio.
Si chiama ‘seno’ perché è un’insenatura, una piega compiuta dal pericardio per separare queste
strutture, cioè le vene polmonari e le due vene cave.
-Tra la superficie anteriore dove prevale la parte arteriosa e la superficie posteriore nella quale
invece prevalgono formazioni venose, quindi trasversalmente, si insinua ancora del pericardio, che
stavolta, per avere questo decorso, forma il seno trasverso del pericardio.
*Il cardiochirurgo esegue una particolare manovra quando deve trapiantare il cuore; deve isolare i
grossi vasi per poter instaurare la circolazione extracorporea. Allora taglia le cartilagini costali in
posizione paramediana ( poiché le cartilagini rigenerano più facilmente), apre il piastrone sternale
( formato da sterno e cartilagini), lo allontana e si viene a trovare in corrispondenza della loggia
anteriore del mediastino dopodichè incide il pericardio e così giunge al cuore.
A questo punto deve instaurare una circolazione extracorporea, quindi deve svuotare il cuore di
sangue. Per fare questo si serve di una macchina dotata di due tubi, uno connesso con la
circolazione arteriosa e l’altro connesso con la circolazione venosa, quindi il sangue, anziché
passare cuore, passa da quest’altro compressore, questa pompa artificiale esterna.
Ma come fa il cardiochirurgo ad isolare i vasi arteriosi dai vasi venosi?
Si inserisce nel seno trasverso del pericardio, e quindi va ad isolare la parte anteriore, che è fatta
da arterie ( aorta e arterie polmonari) e la parte posteriore che è fatta da vene ( le due vene cave e
le quattro vene polmonari).
Una volta separate queste formazioni vascolari possono essere collegate ai due tubi del compressore
esterno.
Queste due insenature, il seno trasverso e il seno obliquo ( che ricordiamo sta tra le vene cave e le
quattro vene polmonari) sono due anfratti del pericardio che danno la possibilità al cuore di
espandersi durante i suoi movimenti e ai vasi sanguigni di contrarsi e di rilasciarsi.
Se infatti il pericardio fosse stato una guaina stretta il viscere avrebbe perso la sua indipendenza, la
possibilità di movimento, di espansione.
Abbiamo già visto che il sacco pericardico posteriormente prende rapporto con tutti i visceri che
troviamo nella parte posteriore del mediastino inferiore, cioè a ridosso della colonna vertebrale del
reparto toracico ( queste formazioni sono esofago, aorta discendente toracica che si trova proprio a
ridosso della colonna vertebrale mentre ai lati ci sono le catene dell’ortosimpatico).
Vascolarizzazione del cuore
Il cuore è irrorato principalmente dalle due arterie coronarie.
Le coronarie nascono dal primissimo tratto di aorta, cioè nel momento in cui l’aorta si trova ancora
dentro il cuore ( poiché sta ancora originandosi dal ventricolo sinistro), dunque queste due arterie
sono le più vicine al cuore.
Il circolo coronarico è uno dei circoli sanguigni particolari e per questo viene solitamente trattato a
parte poiché riguarda proprio il muscolo cardiaco.
Il circolo coronarico è organizzato in modo tale che ad ogni momento, quando il cuore si contrae,
la prima quantità di sangue è quella destinata alle arterie coronarie, in modo tale che il muscolo
cardiaco non subisca mai diminuzioni di apporto sanguigno.
*Un’altra caratteristica è data dal fatto che le arteriole, cioè le ramificazioni inferiori delle due
arterie coronarie, si ramificano in maniera ricchissima all’interno del miocardio. Quindi tra le
strutture che formano la parete del cuore, quella più servita è il miocardio.
Questo muscolo striato involontario è riccamente vascolarizzato, tanto è vero che il battito cardiaco
aumenta durante l’attività fisica. Il battito aumenta logicamente perché il sangue arriva in grandi
quantità alle masse muscolari impegnate.
*trafiletto di istologia
Un altro tipo di tessuto muscolare è quello che forma la parete degli organi cavi, ma si tratta di
muscolo involontario, tant’è vero che si caratterizza per essere formato da fibrocellule muscolari
lisce (perché hanno la forma di fuso).
Il miocardio sta esattamente nel mezzo perché presenta delle striature come struttura microscopica,
però è involonatario. Queste fibre muscolari cardiache sono le prime nella serie del tessuto
muscolare che devono essere irrorate perché se non sono irrorate il cuore non batte in maniera
adeguata e di conseguenza non vengono serviti neppure gli altri distretti corporei.
*Dunque la vascolarizzazione delle arterie coronarie è importantissima e non è necessario arrivare
ai capillari per ottenere il nutrimento delle fibre muscolari, in quanto già le arteriole delle
coronarie servono a nutrire il tessuto muscolare.
Il cuore è l’unico organo nel quale gli scambi metabolici avvengono già a livello delle arteriole e
non esclusivamente attraverso i capillari!
Il miocardio è quindi infarcito di vasi sanguigni perché anche le arteriole servono a fornire
l’ossigeno e i nutrienti.
-Le arterie coronarie sono due, una a sinistra e una a destra, ma abbiamo già anticipato (vedi
varianti anatomiche) che quando si parla delle coronarie si dà un’idea di quella che è la
vascolarizzazione dal momento che esistono delle variazioni individuali notevolissime.
Si dice che il 90% degli individui presenta la cosiddetta dominanza destra, vale a dire che la
coronaria destra si occupa anche di irrorare la parte posteriore del cuore.
Invece nel 10% rimanente degli individui si ha la dominanza sinistra, significa che la coronaria
sinistra, che solitamente si esaurisce sulla faccia sterno-costale del cuore, in realtà in questi
individui passa dietro, toglie territorio alla coronaria destra e va ad irrorare anche la superficie
posteriore del cuore.
Quindi in linea di massima noi diciamo che solitamente la coronaria destra irrora la parte destra
del cuore e la superficie posteriore.
La coronaria sinistra invece irrora solitamente la parte anteriore del cuore fino al margine
sinistro.
*Si tratta quindi di una importante variante anatomica, cioè non esiste un individuo che possiede un
circolo coronarico uguale a quello di un altro, allora è buona norma, in tutti gli interventi o le
diagnosi sul cuore, far eseguire una coronarografia, cioè mettere in evidenza qual è la rete
personale arteriosa, coronarica di un determinato soggetto.
-Perché è importante conoscere la vascolarizzazione e la distribuzione delle due coronarie?
Perché si possono avere degli accidenti vascolari , cioè delle alterazioni patologiche delle
coronarie, dovute ad es. al restringimento di una delle due coronarie. La coronaria può restringersi
perché internamente si forma una placca ateromatosa (?). Questa placca può avere origine dal
tessuto adiposo che copre le arterie coronarie ( e che non può aumentare altrimenti passa in
circolo). Dato che vi è una stènosi accade che la parte del cuore che viene servita dall’arteria
sclerotica entra in sofferenza poiché va in deficit di ossigeno e va in necrosi, cioè le fibrocellule
muoiono. Inizialmente si hanno le prime avvisaglie perché si hanno dei dolori al petto che vengono
classificati comunemente come di fatti di angina; successivamente invece quando si verifica la
necrosi del tessuto miocardio e la chiusura completa dell’arteria si arriva all’infarto del miocardio,
che rappresenta l’ultima manifestazione del fenomeno patologico, il quale può essere allora
risolvibile, se viene riconosciuto in tempo, provvedendo anche alla sostituzione di quel tratto di
coronaria.
La possibilità di intervenire dipende comunque in primo luogo dalla costituzione, in particolare la
distribuzione del pannicolo adiposo, dell’individuo; individui che conducono una vita regolata i
segni, i sintomi dell’angina sono più eclatanti e ravvisabili rispetto ad altri, soprattutto rispetto a
soggetti obesi, che sono maggiormente candidati a questo tipo di malattia.
-Quindi la costituzione corporea, anche in assenza di patologie, è un segnale sullo stato di salute di
un individuo.
Il tessuto adiposo che si trova intorno agli organi è molto pericoloso e tra l’altro presenta una
struttura microscopica differente dal tessuto adiposo che si trova ad es. nel pannicolo sottocutaneo
(caratterizzato da loculi più piccoli e quindi più facilmente degradabili).
Per quanto riguarda invece il drenaggio venoso, esistono due vene principali verso le quali vengono
coinvogliate molte altre; esse sono il seno coronario che decorre sul solco coronario, che divide gli
atri dai ventricoli (il solco si vede meglio sulla faccia posteriore che non su quella anteriore, dove
invece è coperto dai grossi vasi) e la vena cardiaca.
La struttura che occupa tutto il solco coronario è proprio il seno coronario.
*Si tratta di una vena ma in anatomia chiamiamo seni quelle vene particolarmente dilatate,
particolarmente grandi che molto spesso, come nel caso del cuore, ricevono altre vene, quindi
rappresentano una sorta di ‘bacino’ nel quale si riversa il sangue che ha circolato in altre vene.
Se abbiamo quindi un tronco venoso che ha una forma cilindrica, che ha un determinato calibro,
allora è definita vena.
La vena per essere tale deve avere alcuni requisiti: una certa quantità di tessuto muscolare nella
tonaca media della sua parete e poi internamente deve avere delle valvole, lungo il suo decorso, che
impediscano il deflusso del sangue secondo forza di gravità.
Poiché il sangue delle vene proviene da tutte le direzioni, se la vena proviene dalla testa allora non
saranno necessarie delle valvole, se invece la vena proviene dalle parti inferiori del corpo, bisogna
vincere la forza di gravità per cui presentano molte valvole. Tali valvole spezzano la colonna di
sangue e quando la valvola si apre, poiché funziona come una tasca, si riempie di sangue e quindi
impedisce al sangue di tornare indietro. Nel frattempo inoltre il cuore fa da pompa aspirante e
richiama il sangue.
-Le vene che invece chiamiamo seni (ad esempio il seno coronario, i seni venosi della dura madre)
non presentano gli stessi dispositivi. Intanto non possiedono una struttura cilindrica, ma si
presentano piuttosto dilatati; inoltre non presentano valvole al loro interno, cnon hanno grandi fibre
muscolari nella loro parete.
Questo significa che il seno coronario raccoglie sangue ma non si contrae e va a sboccare
nell’atrio destro.
Il sangue passa dunque attraverso questo condotto quasi orizzontale per poi passare nell’atrio
destro.
-Perché non ha bisogno di valvole?
Perché si trova nel contesto del cuore che si sta contraendo, allora questo permette al sangue di
passare agevolmente dalle pareti al seno coronario e pertanto all’atrio destro senza necessità di
grandi dispositivi, né muscolari né valvolari.
-Il seno coronario lavora di concerto con la vena cardiaca magna.
La vena cardiaca magna e il seno coronario drenano tutte le altre vene che provengono da tutte le
altre pareti del cuore.
*Una particolarità (che riscontriamo solo a livello del cuore) riguarda il fatto che ci sono alcune
vene, come la vena cardiaca anteriore, che si aprono direttamente nell’atrio destro, perché la vena
cardiaca anteriore sta sulla parte destra e allora drena il sangue che è circolato nel ventricolo e lo
riversa direttamente nell’atrio destro. Non ha bisogno né di seno coronario né di vena cardiaca
magna.
Dunque tutte le vene che raccolgono il sangue dal cuore sono tributarie del seno coronario e della
vena cardiaca magna, l’unica che fa eccezione (questo fenomeno avviene solo nel cuore) è la vena
cardiaca anteriore.
Allora il sangue che già dalle arteriole aveva irrorato le pareti cardiache, altrettanto facilmente
rientra a livello dell’atrio destro, viene drenato a livello dell’atrio destro.
Questo accade perché il cuore, la fibra muscolare cardiaca, non si può permettere assolutamente di
accumulare metaboliti, dunque lo scarico del sangue venoso a livello del cuore deve essere ancora
più rapido che in tutti gli altri distretti e questi dispositivi venosi favoriscono al massimo
l’eliminazione del sangue che tornerà ad ossigenarsi a livello dei polmoni.
*Lo stesso accade per quanto riguarda le vene che drenano il sangue dall’encefalo, poiché non ci si
può permettere che vi sia un accumulo di metaboliti a livello del tessuto nervoso. In quel distretto il
sangue viene facilmente drenato perché passa in una vena che secondo la forza di gravità veicola
subito il sangue al cuore.
Torniamo a considerare alcuni eventi patologici legati alla chiusura di uno dei vasi arteriosi che
servono la parete del cuore.
Il dolore è un dolore riferito alle pareti del torace che avvolgono il cuore, per cui un individuo che
accusa un dolore alla regione anteriore del torace, in corrispondenza dello sterno, della spalla o
della faccia interna dell’arto superiore sinistro ha presumibilmente un fatto o di angina o di infarto,
a seconda della gravità. L’angina rappresenta il fatto iniziale, mentre l’infarto è la manifestazione
finale e corrisponde alla chiusura totale dell’arteria.
Alcune volte, molto raramente il dolore si irradia anche all’arto destro, all’epigastrio (addirittura il
soggetto può riferire disturbi allo stomaco, poiché nell’epigastrio lo stomaco è scoperto e viene a
contatto con la parete addominale anteriore) oppure il dolore può essere riferito alla parte mediana
del dorso (cioè in corrispondenza della colonna vertebrale toracica che chiude posteriormente il
mediastino).
In definitiva la patologia cardiaca si irradia da tutte le parti, anteriormente allo sterno,
posteriormente alla colonna vertebrale, alla gabbia toracica e alcune volte agli arti ( più spesso al
sinistro e raramente al destro).
-La spiegazione di questa diffusione deriva dalla metameria per la quale siamo divisi in segmenti e
deriva dal fatto che i nervi diretti al cuore, contemporaneamente vanno, come rami sensitivi, alla
cute, alle ossa, alle articolazioni, ai muscoli della stessa regione.
Infatti i nervi di questa regione, cioè la regione toracica alta e cervicale bassa ( perché la base del
collo coincide con l’apertura superiore del torace), servono anche gli arti. Il dolore quindi si irradia
sulla superficie interna dell’arto fino al mignolo, perché i nervi cutanei che servono questa regione
provengono dagli stessi segmenti del midollo spinale che hanno fornito i nervi per il cuore, per le
ossa, le articolazioni e i muscoli.
*La sintomatologia presume perciò la conoscenza dell’anatomia e il riconoscimento immediato.
Se si presenta un paziente che riferisce dolori alla schiena, alla regione mediana del dorso e non
presenta altri sintomi può non essere semplicemente un dolore osseo. Bisogna misurare la
pressione, valutare il polso, auscultare il cuore e verificare l’eventuale presenza di un tono diverso
dagli altri, un battito diverso dagli altri;
infatti il battito cardiaco al polso o alla parte superiore del collo di solito è coordinato e regolare
altre volte invece si registra un battito più forte o più basso: questo può costituire un indice che
legato al dolore vertebrale può costituire un quadro più ampio che ci impedisce di fermarci alle
prime apparenze. A questo proposito è importante la conoscenza dell’anatomia, in particolare
dell’innervazione.
Posizione del cuore
-La posizione del cuore è importante da stabilire poiché quando si utilizza il fonendoscopio o si
deve valutare un radiogramma del cuore (per capire se il cuore si è espanso, cioè se ha superato i
limiti oppure se è più piccolo rispetto alla norma o ancora se c’è uno spostamento di margini,
dell’apice).
L’apice del cuore, che rappresenta la struttura più importante, perché è quella che viene percepita
più facilmente, si trova spostato a sinistra, a circa 7- 9 cm dalla linea mediana dello sterno e
corrisponde al quinto spazio intercostale.
Siccome poi l’apice del cuore guarda in avanti è possibile percepire, anche al semplice tatto, il
battito della punta del cuore, dell’apice del cuore. Questo battito è particolarmente vigoroso per cui
viene chiamato molto spesso itto (?) della punta, proprio perché rappresenta il battito più vigoroso
che è possibile percepire.
- Il margine superiore corrisponde alla base del cuore e corrisponde anche all’origine dei grossi
vasi, cioè il punto in cui i grossi vasi si staccano dal cuore e si rendono indipendenti.
Questo margine superiore è teso dalla seconda cartilagine costale di sinistra alla terza cartilagine
di destra.
Le seconde cartilagini costali corrispondono all’angolo sternale (cioè ancora una volta quel punto
dove si forma una variazione angolare tra il manubrio e il corpo e che si può rintracciare
facilmente).
Ricordiamo che quando il paziente è supino questo margine si solleva e allora se si vuole indagare
l’origine dei vasi nel paziente disteso è necessario salire con il fonendo.
- Il margine inferiore va dall’apice del cuore fino alla sesta cartilagine costale del lato destro.
Il margine inferiore finisce sulla sesta cartilagine costale: questo significa che il margine inferiore
non è perfettamente orizzontale ma leggermente inclinato in quanto va dal quinto spazio
intercostale alla sesta cartilagine costale.
-Il margine destro dalla sesta cartilagine costale sale fino alla seconda cartilagine del lato destro.
Quindi il margine destro va dalla sesta cartilagine costale, dove avevamo lasciato il margine
inferiore, alla seconda del lato destro, dove avevamo lasciato il margine superiore.
- Il margine sinistro andrà quindi dalla seconda cartilagine di sinistra (dove avevamo lasciato il
margine superiore) all’apice.
Volendo precisare in maniera generale la posizione del cuore dovremmo specificare che il cuore,
ricoperto dal pericardio, è contenuto nella parte anteriore(?) del mediastino inferiore.
Si trova dietro lo sterno, poggia sul centro frenico del diaframma e ha una posizione particolare
anche perché presenta una inclinazione, una rotazione su se stesso; dobbiamo infatti considerare che
il cuore, durante il suo sviluppo, si è formato da un tubo il quale si è ripiegato su se stesso.
-Dunque è sbagliato dire che il cuore è situato interamente sul piano sagittale e mediano
perché non si trova esattamente al centro (abbiamo detto che l’apice del cuore è spostato verso
sinistra). Dunque la prima variazione che ha compiuto quest’organo (il quale in origine era
realmente centrale, poiché si trattava di un tubo disposto al centro) è stato uno spostamento verso
sinistra.
Pertanto quando indichiamo la posizione del cuore dobbiamo anche specificare che l’asse
longitudinale di questo cono è orientato dall’alto verso il basso, da dietro in avanti ( tant’è vero che
l’apice riusciamo a sentirlo, la base invece la sentiamo più attutita poiché è diretta all’indietro, cioè
la base non è più superficiale come l’apice ma è più profonda).
Questi sono 3 punti di riferimento che è importante citare sempre: l’asse longitudinale del cuore
va dall’alto verso il basso (1), da dietro in avanti (2) e da destra verso sinistra (3).
Bisogna sempre citare questi tre orientamenti quando si è richiesti di indicare la posizione del
cuore!!
Il cuore è compreso interamente all’interno della parte anteriore del mediastino inferiore, poggia sul
centro frenico del diaframma e il suo asse longitudinale è orientato dall’alto in basso, da dietro in
avanti, da destra verso sinistra.
-Ne deriva che mentre l’apice, corrispondente al quinto spazio intercostale di sinistra, è rivolto in
avanti, in basso e a sinistra, quindi è superficiale (ed è per questo che lo possiamo percepire), la
base del cuore invece è rivolta in alto, indietro e a destra, cioè è disposta in profondità e non la
possiamo percepire (è attutita dalle strutture che coprono il cuore e che sono quindi più superficiali).
-Se andiamo alla terza cartilagine costale e facciamo pressione, non staremo facendo pressione sul
cuore, bensì sul polmone, poiché il polmone è la struttura che copre direttamente la base del cuore
e la rende più profonda.
Infatti ci sono altri riferimenti per sentire i rumori del cuore a livello della base, perché dobbiamo
considerare questi cuscinetti posti superficialmente.
-Il cuore inoltre forma un angolo con l’asse longitudinale del corpo.
L’asse longitudinale del corpo corrisponde all’asse sagittale mentre abbiamo detto che il cuore è
spostato verso sinistra, allora il cuore forma necessariamente un angolo con quest’asse
longitudinale.
Con maggiore evidenza il cuore forma anche una sorta di torsione sul quarto asse longitudinale.
Quando un cono (come il cuore) esegue una torsione, accade che la superficie anteriore non è più
semplicemente anteriore ma diventa antero-superiore, perché nel fare la torsione assume questa
forma portandosi in avanti e in alto.
*Durante una dissezione, a questo proposito, è possibile anche distinguere le due facce del cuore
anche in base alla loro forma perché la faccia antero-superiore è convessa (dunque anche sul cuore
isolato, senza nessun riferimento, siamo in grado di riconoscere la faccia antero-superiore).
- La faccia antero-superiore, poiché prende rapporto con lo sterno e con le coste, viene anche
chiamata faccia sterno-costale.
L’altra superficie invece, cioè la faccia che solitamente dovremmo definire posteriore, poiché il
cuore è coricato sul centro frenico del diaframma, la si riconosce perché è sempre appiattita.
Dunque per lo stesso criterio per cui la faccia anteriore è definita antero-superiore, questa faccia non
può essere definita semplicemente inferiore ma si chiamerà postero-inferiore.
Le due facce del cuore sono la faccia antero-superiore o sterno-costale e la faccia posteroinferiore o diaframmatica.
Il cuore proviene embriologicamente da due tubi che si fondono nella parte mediana. Per qunato
riguarda questi due tubi, nel momento in cui c’è stata la rotazione del cuore, il tubo di destra, cioè la
parte destra è passata avanti, mentre la parte sinistra è rimasta indietro.
Questo comporta che sulla faccia sterno-costale prevale la parte destra del cuore, cioè il ventricolo
destro e l’atrio destro; sulla faccia diaframmatici invece prevale la parte sinistra, quindi atrio e
ventricolo del lato sinistro.
Dunque le due parti del cuore sono maggiormente rappresentate, la destra sulla faccia sternocostale, mentre la sinistra sulla faccia postero-inferiore o diaframmatica.
Il cuore è situato quindi in posizione non mediana, perché è spostato verso sinistra, ha compiuto un
angolo con l’asse superiore del corpo e ha subito una rotazione su se stesso, per cui avrà una faccia
antero-superiore o sterno-costale (formata prevalentemente dalla parte destra del cuore) e una faccia
postero-inferiore o diaframmatica (formata quasi esclusivamente dalla parte sinistra).
Ruotando su se stessi a livello del cuore i tubi hanno quindi proiettato in avanti le porzioni arteriose
e indietro sono rimaste le porzioni venose. In seguito il pericardio è andato a dividerle e rivestirle
lasciandole ordinatamente nella loro posizione (porsioni arteriose e venose) tramite la formazione
del seno traverso del pericardio. Quindi le grosse arterie (tronco polmonare e aorta) si possono
portare in avanti (anche inserendo una mano dietro le due arterie) e isolare dalle parti venose.
Sulla faccia postero-inferiore, vena cava superiore e inferiore sulla stessa linea sono separate dal
seno obliquo del pericardio dalla porzione venosa polmonare.
-Nel momento in cui i due tubi hanno subito una rotazione uno rispetto all’altro anche il pericardio
che li avvolgeva li ha assecondati in questo movimento; per cui quando si sono spostati dalla parte
destra il pericardio ha rivestito le porzioni arteriose separandole dalla parte venosa (seno traverso);
quando poi si sono portate anteriormente e posteriormente, sulla faccia posteriore, il pericardio ha
rivestito le quattro vene polmonari isolandole dalle due vene cave e formando l’altro seno, il seno
obliquo del pericardio.
-Allora sulla faccia sterno-costale la grande struttura che prevale è il cono della polmonare.
In quella zona il tronco polmonare inizia con una parte dilatata perché c’è tutto un meccanismo
interno al ventricolo destro, che consente in questo modo al sangue di prendere la via del troncopolmonare contro la forza di gravità.
Dunque questo cono è un dispositivo che permette la risalita del sangue all’interno dell’arteria
polmonare.
L’aorta invece, che è nata dal ventricolo sinistro, incrocia posteriormente il tronco polmonare, si
porta verso l’alto e va a costituire un arco che prende il nome di arco aortico.
Tra l’arco dell’aorta e il tronco polmonare rimane un ligamento chiamato ligamento arterioso di
Botallo il quale è un residuo di un dotto venoso, di una piccolissima vena, che collegava proprio la
polmonare con l’arco aortico durante la vita fetale.
Infatti durante la vita fetale i polmoni del feto non funzionano e gli scambi di aria e di anidride
carbonica avvengono a livello della placenta. Allora il cuore del feto non ha la camera ventricolare
ancora adeguata e non arriva sangue ai polmoni . Quella piccola quantità che accidentalmente cade
dall’atrio destro al ventricolo destro e prende la via della polmonare viene riportata nel feto,
proprio tramite il dotto arterioso di Botallo, nel contesto dell’aorta.
Quindi la metà destra, il “cuore polmonare” del feto, è come se non esistesse, nel senso che c’è la
cavità ma non svolge alcuna funzione poiché i polmoni non funzionano e il sangue passa nella metà
sinistra.
Nell’adulto il dotto venoso si oblitera, cioè si chiude, si trasforma in connettivo e forma appunto il
ligamento arterioso di Botallo, residuo di questo vaso;
La faccia anteriore, cioè la faccia sterno-costale del ventricolo destro, è separata dalla piccola faccia
ventricolare sinistra da un solco, con tessuto adiposo, nel quale rimangono l’arteria longitudinale
anteriore, solitamente ramo della coronaria sinistra, e la vena cardiaca anteriore;
Queste due strutture segnano allora il limite tra il ventricolo destro e il ventricolo sinistro.
I due ventricoli quindi sono separati da un solco occupato da un’arteria e una vena. Questa
struttura corrisponde internamente al setto che separa i due ventricoli.
Anche guardando la faccia sterno-costale, esaminando il cuore, si vedrà che in corrispondenza di
questo solco passano dei vasi sanguigni, ma sappiamo già che internamente si trova il setto
interventricolare.
La faccia diaframmatici si caratterizza intanto perché appiattita; inoltre presenta un solco che
separa nettamente la regione dei ventricoli dalla regione degli atri, cioè il solco coronario;
all’interno di esso passa il seno coronario dove drenano le vene cardiache, cioè le vene che hanno
raccolto il sangue dai vari distretti. La faccia diaframmatica è rappresentata massimamente dal
ventricolo sinistro che coinvolge anche l’apice del cuore. Allora la pulsazione validissima che si
sente in corrispondenza dell’apice del cuore è giustificata proprio dal fatto che l’apice è costituito
dal ventricolo sinistro, che è quello che si contrae più vigorosamente (poiché deve spedire il sangue
in tutti i distretti del nostro corpo) e quindi ha una pressione elevatissima.
Dunque il battito, l’itto(?) della punta giustifica la funzionalità del ventricolo sinistro.
-Il ventricolo destro e quello sinistro sulla faccia diaframmatica sono separati, come sulla faccia
anteriore, da un solco, stavolta il solco longitudinale posteriore , anch’esso occupato da un’arteria e
da una vena più tessuto adiposo.
-Questo solco longitudinale posteriore non è altro che l’estremità posteriore del setto
interventricolare che divide tra di loro i due ventricoli.
Ma i due solchi, quello anteriore e quello posteriore, non si trovano allo stesso livello perché il
solco longitudinale anteriore è spostato verso sinistra, l’altro è spostato al contrario.
Questo significa che il setto interventricolare interno non è esattamente rettilineo, ma è leggermente
ripiegato, incurvato su se stesso e questa posizione è segnata dai due solchi esterni, longitudinale
anteriore e longitudinale posteriore.
Per quanto riguarda gli atri..
L’atrio destro è più sviluppato in altezza mentre l’atrio sinistro è più sviluppato secondo l’asse
trasversale; entrambi gli atri hanno una parete estremamente sottile poiché sono in realtà delle
camere che solamente ricevono il sangue, il quale viene poi convogliato ai rispettivi ventricoli.
Sulla faccia sterno-costale non vediamo gli atri; vediamo semplicemente due espansioni che
prendono il nome di auricole (proprio perché hanno la forma di due padiglioni auricolari).
-Le auricole sono espansioni degli atri che si portano in avanti e abbracciano la radice del tronco
polmonare e dell’aorta. Queste auricole sono in realtà gli atri del cuore primitivo.
Una volta che il cuore si è formato, si è ripiegato su se stesso, le vere camere atriali sono proprio le
due auricole, che poi si espandono a formare gli atri definitivi, ma gli atri in origine sono
rappresentati esclusivamente dalle due auricole, le quali dunque sono paradossalmente dei residui
fetali. Le auricole abbracciano la radice dei grossi vasi, in particolare abbracciano l’aorta
ascendente, il primissimo tratto, dal quale tra l’altro hanno origine le due coronarie.
Quindi le due auricole si trovano immediatamente a ridosso, a contatto con la prima parte dell’aorta
(quella che fornisce il nutrimento); ecco spiegato perché le auricole costituiscono gli atri fetali, gli
atri originari, in quanto erano le parti più vicine alla struttura centrale rappresentata dall’aorta.
Se guardiamo internamente le cavità cardiache, intanto ci rendiamo conto della diversità di
spessore. La parete degli atri è molto sottile, mentre i due ventricoli presentano una parete più
spessa rispetto agli atri;
inoltre il ventricolo destro è più sottile rispetto al ventricolo sinistro e questo per due motivi
fondamentali:
- innanzitutto il ventricolo destro non ha bisogno di contrarsi potentemente perché deve mandare
sangue semplicemente ai polmoni, i quali si trovano sulla stessa linea del cuore e ad una distanza
minima, circa 30 cm, per cui le due arterie polmonari non devono compiere un grande cammino e
non devono vincere delle resistenze particolari.
- un altro motivo è che il sangue, fra il cuore e i polmoni, deve necessariamente circolare a bassa
pressione perché i capillari all’interno dei polmoni, responsabili degli scambi respiratori, sono
estremamente fragili, sono i più fragili di tutto il nostro corpo; dunque se il sangue arrivasse a
pressioni elevate si potrebbero spezzare, si avrebbero delle emorragie a livello polmonare e la loro
funzione non potrebbe essere espletata.
Di conseguenza la circolazione polmonare è una circolazione di breve percorso e molto lenta, a
bassa pressione, quindi non è necessario che il ventricolo destro abbia una parete poderosa,
contrariamente invece al ventricolo sinistro.
Il ventricolo sinistro ha una parete molto spessa perché il sangue deve essere mandato anche alle
regioni più lontane dal cuore e certe volte, molto spesso, contro la forza di gravità quindi la
pressione è notevolissima sulla parte sinistra del cuore.
*Per necessità di cose allora il setto interventricolare è spostato, non è perfettamente rettilineo,
perché è anch’esso più sviluppato presso il ventricolo sinistro; esso presenta allora uno spessore
variabile dall’alto verso il basso e sui due lati: questo lo porta necessariamente a inclinarsi,
ripiegarsi su se stesso, perché la parte sinistra prevale come spessore e tende a ripiegarlo, ad
incurvarlo. Inoltre la parte superiore del setto interventricolare non è formata da tessuto muscolare,
bensì da connettivo fibroso ed è per questo chiamata parte membranacea del setto interventricolare.
Questo è un aspetto importante perché in questo modo il setto interventricolare ha un punto di
appoggio solido e quindi non va incontro a delle disfunzioni, non si espande, poiché presenta questa
diversa pressione sui due lati e inoltre questa parte fibrosa è più resistente dal momento che poi darà
attacco a una parte dell’apparato di conduzione degli eccitamenti, cioè rappresenta una zona
importante perché lì si va a porre una struttura fondamentale per permettere lo stimolo elettrico e il
funzionamento del cuore, delle quattro cavità, in maniera autonoma.
-Mentre le pareti degli atri sono lisce (non hanno muscolatura), troviamo invece muscolatura
all’interno delle auricole (che erano gli atri originari).
Questi muscoli, per essere disposti ordinatamente come i denti di un pettine prendono il nome di
muscoli pettinati, invece le pareti interne dei ventricoli, poiché sono formate da muscoli disposti
secondo tutte le direzioni, secondo i tre assi dello spazio (affinché il cuore possa contrarsi
adeguatamente) e per questo si dice che sono disposti a rete, formano un trabecolato e allora danno
alla superficie interna dei due ventricoli un aspetto spugnoso.
*Oltretutto formandosi delle lacune tra strutture che continuamente si contraggono è chiaro che i
due ventricoli possono riempirsi adeguatamente di sangue e questo sangue può ricevere una spinta
ancora maggiore dato che la struttura ‘spugnosa’ si contrae.
Riepilogo delle differenze fondamentali.
Gi atri sono più piccoli e a parete liscia, i ventricoli sono più grandi, più spessi e a parete
enormemente trasecolata perché fatta da muscoli che formano una sorta di rete con delle lacune
sanguigne dove però il sangue non permane mai, poiché viene continuamente inviato ai rispettivi
vasi dalla contrazione dei muscoli.
-Siccome poi il setto interventricolare si trova tra una cavità più sottile e una cavità più spessa non
può essere rettilineo, ma si è necessariamente incurvato perché riceve una spinta diversa sui due
lati. In alto esso è fissato ad una parte di connettivo fibroso che forma la parte membranacea del
setto.
Lezione 8
Il cuore è cosituito da quattro cavità la cui parete è conformata allo stesso modo, cioè è data dalla
sovrapposizione di 3 strati, però lo spessore della parete varia nei diversi punti delle quattro cavità
in connessione con l’area funzionale del cuore.
Distinguiamo le quattro cavità in:
- atri, le due cavità superiori, le quali hanno una forma approssimativamente cuboide e una parete
estremamente sottile; sono considerate camere di riempimento, perché continuamente, ad ogni
battito cardiaco, si riempiono di sangue.
L’atrio destro è connesso con la circolazione generale e riceve sangue venoso dalle due vene cave,
superiore e inferiore; ricordiamo ancora una volta che le due vene cave si trovano sulla stessa linea,
pertanto conferiscono all’atrio destro la forma di un cubo più sviluppato in altezza (a mazzò.. ma
così nun è più un cubo..), cioè nell’atrio destro prevale il diametro longitudinale.
L’atrio sinistro invece accoglie sangue arterioso portato dalle quattro vene polmonari, due per ogni
polmone. Queste quattro vene polmonari, non appena arrivano ai lati dell’atrio sinistro,
conferiscono a questo un maggiore sviluppo in senso trasversale (in maniera quindi opposta rispetto
all’atrio destro).
Entrambi gli atri dunque ricevono sangue da vene e le vene sono così chiamate proprio in quanto
vasi che affluiscono al cuore, che vanno verso il cuore; ancora una volta, questo significa che le
classifichiamo vene indipendentemente dal tipo di sangue che trasportano, ma semplicemente per il
tipo di rapporti che contraggono con il cuore che è considerato il centro dell’apparato
cardiovascolare.
Le due camere atriali comunicano con i ventricoli (che rappresentano la parte inferiore del cuore)
attraverso degli orifizi che chiameremo atrio-ventricolari;
-I due ventricoli si differenziano dai due atri perché hanno la parete sicuramente più spessa però
esiste anche una differenza di spessore anche tra i due ventricoli, a spese di quello destro.
Allora il ventricolo destro è più sottile rispetto al ventricolo sinistro
Questo ha un significato funzionale poiché i ventricoli sono connessi con due diversi tipi di
circolazione. Il ventricolo sinistro è connesso con la circolazione generale per cui deve possedere
grazie alla propria parete una potenza di contrazione tale da poter fare arrivare il sangue in tutti i
distretti, cioè contemporaneamente da tutte le parti, seppur in quantità differenti.
Perciò la pressione che deve essere impressa al sangue sul lato sinistro è sicuramente superiore a
quella che deve essere impressa sul lato destro. Il ventricolo destro è infatti connesso con la
circolazione polmonare: i polmoni si trovano alla stessa altezza del cuore (tutte e tre queste strutture
poggiano sul diaframma) e oltretutto sono a breve distanza.
Inoltre c’è anche un altro aspetto funzionale da non trascurare che è dato dall’estrema sottigliezza
dei capillari polmonari. Questi capillari presentano una parete più sottile di tutti gli altri capillari di
tutti gli altri distretti del nostro corpo, non potrebbero sopportare sangue ad alta pressione; allora
necessariamente bisogna che questo sangue arrivi molto lentamente, fluisca lentamente a livello dei
polmoni.
Pertanto il ventricolo di destra avrà la parete estremamente più sottile dell’altra.
· E’ importante notare la differenza tra le due facce del cuore, la faccia antero-superiore o sternocostale e la faccia postero-inferiore o diaframmatica.
Si possono distinguere perché la faccia sterno-costale è convessa ed è quella rivolta verso lo sterno
e le cartilagini costali, quindi segue in un certo modo la concavità offerta da queste strutture ossee.
La faccia postero-inferiore o diaframmatica, per prendere rapporti con il centro frenico del
diaframma, si presenterà appiattita e tale rimane anche nel cuore isolato.
Questa è la prima differenza macroscopica che si può individuare.
Per cogliere una seconda differenza dobbiamo osservare internamente il cuore, per cui è importante
individuare la base e l’apice, i due margini (sinistro e destro) e potremo inoltre individuare, in
corrispondenza della base del cuore, l’origine dei grossi vasi.
L’arteria polmonare nasce dal ventricolo destro formando una parte ? conica definita appunto cono
della polmonare. Questo vaso, siccome poco dopo la sua origine si divide nelle due arterie
polmonari, per correttezza di terminologia, NON deve essere mai chiamata ‘arteria polmonare’, ma
la si deve chiamare tronco polmonare ( “perché come il tronco di un albero dà origine ai due rami”)
*Questo tipo di terminologia che prevede di chiamare un’arteria ‘tronco’ la ritroveremo molto
spesso; quando si descriverà l’apparato vascolare, in particolare le varie diramazioni dall’aorta,
spesso utilizzeremo la definizione di tronco, cioè un’unica arteria che quasi subito dopo la sua
origine si divide immediatamente in rami molto voluminosi, molto importanti dal punto di vista
funzionale;
Alcune volte in alcuni distretti il tronco di origine di arterie è paradossalmente più piccolo (più
sottile?) rispetto ai suoi rami.
Si definisce quindi tronco un’arteria che ha importanza perché subito genera altre ramificazioni
molto più importanti del tronco stesso.
Il tronco della polmonare presenta dunque questa particolarità, ovvero nasce dal ventricolo destro
formando un cono, cioè una struttura che presenta una base larga e poi si va a restringere ( come un
imbuto messo al contrario). Anche il fatto che nasca con questo decorso ha un significato funzionale
perché il sangue che viene inviato (grazie alla forza della parete muscolare) in questa struttura
presenta una certa pressione quando in corrispondenza della base del cono dopodiché la pressione
aumenta poiché il sangue passa in un condotto più ristretto rispetto alla base. Tuttavia la pressione
non aumenta di molto, sempre per non danneggiare i capillari polmonari.
La situazione invece è diversa per l’aorta che nasce dal ventricolo di sinistra come un condotto
unico. Nel suo primissimo tratto l’aorta si dispone dietro il tronco della polmonare ed è ancora
racchiusa all’interno del sacco pericardico; in questo tratto prende il nome di aorta ascendente
portandosi verso l’alto e verso sinistra. Quando esce dal sacco pericardico, dunque abbandona la
base del cuore, subito si incurva e forma un arco, l’arco dell’aorta (siamo al livello della quarta
vertebra toracica, cioè al limite tra la base del collo e l’apertura superiore del torace, che ricordiamo
sono due zone corrispondenti, cioè parlare di base del collo e apertura superiore del torace è la
stessa cosa); a questo livello dall’aorta si dipartono dei rami destinati al collo e alla faccia.
Tra l’arco dell’aorta e il punto di biforcazione del tronco polmonare nelle due arterie polmonari c’è
un legamento chiamato ligamento arterioso di Botallo.
*Nel feto prende il nome di dotto venoso di Botallo (nel feto non c’è respirazione, il sangue non ha
motivo di andare ai polmoni, si purifica a livello della placenta materna) e permette che quella
piccola quantità di sangue che per forza di cose è dovuto scendere nel ventricolo destro venga
subito captata dall’aorta.
Con il primo respiro del bambino alla nascita accade che questo passaggio venoso si chiude;
potrebbe anche rimanere aperto e allora bisogna intervenire chirurgicamente per chiuderlo poiché se
il condotto rimane pervio nel neonato, il sangue venoso si mescola con quello arterioso;
Per quanto riguarda i due orifizi atrio-ventricolari essi sono guarniti da due valvole che insieme ad
altre ( le valvole semilunari in corrispondenza sia del tronco polmonare che dell’aorta)
costituiscono le valvole cardiache.
Se all’esame vi dovessero chiedere le valvole del cuore rispondete questo:
- le valvole più importanti, quelle che funzionano nel nostro cuore, sono le due valvole atrioventricolari, che si trovano in corrispondenza degli orifizi atrio-ventricolari
(infatti molto spesso si tende a confondere le valvole con gli orifizi, ovvero a rispondere che tra
atrio e ventricolo c’è una valvola..invece no! C’è un orifizio guarnito da una valvola ovvero c’è
un’apertura la quale però non è totale perché viene controllata da una valvola); e poi le valvole
semilunari.
Ci sono poi delle valvole rudimentali che nell’adulto però non hanno significato e sono
semplicemente dei residui fetali. Queste valvole si trovano in corrispondenza dell’atrio destro,
perché l’atrio destro durante la circolazione fetale, è il punto in cui confluisce tutto il sangue del
feto perché è sangue che proviene dalla placenta e deve andarsi ad ossigenare.
Nella circolazione fetale il sangue è misto ed arrivato all’atrio destro è prevalentemente arterioso
perché passerà direttamente, attraverso un foro che si trova nel setto interatriale, dall’atrio destro
all’atrio sinistro ed essendo prevalentemente arterioso prenderà la via dell’aorta, cioè della
circolazione generale.
Allora nel cuore fetale i due atri comunicano ampiamente perché nel setto interatriale c’è un foro,
chiamato foro ovale. Il sangue che proviene dalla vena cava inferiore deve immediatamente
prendere la via di questo foro ovale, per cui la sola vena cava inferiore è guarnita da una valvola che
ha la forma di una tegola rovesciata, chiamata valvola di Eustachio.
Questa valvola convoglia immediatamente il sangue dalla vena cava inferiore verso il foro ovale e
dunque verso l’atrio di sinistra e fa sì che il sangue passi sicuramente da un atrio all’altro (dal
momento che nella vena cava inferiore ci sono problemi di risalita) e nell’adulto rimane come
valvola insufficiente, come residuo fetale.
All’atto della nascita, al primo atto respiratorio, si ha la chiusura del foro ovale e la segmentazione
totale delle quattro cavità, soprattutto dei due atri, con la separazione netta tra sangue venoso e
sangue arterioso (anche in questo caso si può intervenire chirurgicamente se rimane una piccola
apertura).
Nella parete dell’atrio destro possiamo riconoscere due zone separate da un rilievo che prende il
nome di cresta terminale. Questa struttura separa due zone che sono riconoscibili
microscopicamente perché una di queste due parti dell’atrio è estremamente liscia; si presenta così
lucida perché il foglietto interno che riveste le cavità del cuore è l’endocardio, un epitelio
estremamente appiattito che si continua con l’endotelio dei grossi vasi (vena cava).
Sotto la cresta terminale abbiamo invece una parte della parete più frastagliata che comunica con
l’auricola, cioè quell’appendice che durante la vita embrionale rappresenta l’atrio vero e proprio.
Su questa appendice e sulla parte di atrio attigua ci sono dei muscoli, chiamati muscoli pettinati
(poiché sono disposti ordinatamente come i denti di un pettine), i quali comunque non svolgono
alcuna funzione nel cuore definitivo. Anche le auricole sono dunque considerate dei residui fetali.
La cresta terminale corrisponde esternamente ad un solco chiamato solco terminale; il riferimento
che viene utilizzato per andare a cercare il solco (esternamente) e la cresta (dentro) è la vena cava
superiore, perché la vena cava superiore nel punto di sbocco in corrispondenza dell’atrio destro
(precisamente parte alta posteriore dell’atrio destro) presenta proprio questa zona, il solco terminale,
cui corrisponde internamente la cresta terminale.
*Questa zona è importante perché in essa è situato il famoso pacemaker, cioè quell’ammasso di
cellule miocardiche specifiche capaci di generare un impulso elettrico e quindi la contrazione del
cuore.
Si tratta quindi di una zona di repere importante poiché sono presenti diverse strutture: il limite tra
la parte attuale dell’atrio e la parte originaria, quindi parete liscia e muscoli pettinati; il punto di
sbocco della vena cava superiore e il punto di limite segnato esternamente dal solco e all’interno
dalla cresta.
Immaginiamo di operare una sezione a livello del solco coronario e quindi di separare gli atri dai
due ventricoli.
In questo modo possiamo apprezzare chiaramente la diversa costituzione dei due ventricoli.
Il ventricolo sinistro ha una parete molto spessa e poichè è costantemente tonico dal momento che
in questa parete le fibre muscolari sono in notevole contrazione, allora visto in una sezione trasversa
avrà una forma esattamente circolare. Invece il ventricolo destro è più sottile, meno consistente,
sembra una tasca applicata al ventricolo sinistro.
La parte che li separa è il setto interventricolare che quindi è inserito tra due strutture a diversa
consistenza sarà dunque più robusto nella parte che guarda verso il ventricolo sinistro e più sottile
nella parte rivolta verso il ventricolo destro. Ne consegue che il setto si incurva, non può rimanere
rettilineo (poiché è sottoposto a due diverse tensioni ai due lati); accade inoltre che quando il
ventricolo sinistro si contrae, si contrae anche il setto, ed entrambi fanno ernia verso ventricolo
destro che offre spazio; quando invece si contrae il ventricolo destro, questo trova appoggio sul
setto interventricolare.
Nel momento in cui si contrae il ventricolo sinistro inviando sangue a tutti i distretti, questa
contrazione, poiché va a prendere spazio al ventricolo destro, contribuisce anche alla sistole del
ventricolo destro, cioè dà un’ulteriore spinta al sangue che deve passare dal ventricolo destro ai due
polmoni.
Abbiamo già trovato quindi due dispositivi che aumentano, seppure di molto poco, la pressione del
sangue contenuto nel ventricolo destro: il fatto che il tronco polmonare inizia come un cono (per cui
ha una base larga e un apice stretto) e il secondo dispositivo consiste invece nel fatto che siccome i
due ventricoli si contraggono simultaneamente, nel momento in cui si contrae il ventricolo sinistro
con la sua forza dà un’ulteriore spinta al sangue che deve prendere la via del tronco polmonare.
Non è un caso quindi che i due ventricoli siano organizzati in maniera differente e ad ogni modo le
contrazioni sono contemporanei, così come contemporaneamente si riempiono i due atri, ma di
sangue differente, perché a sinistra è arterioso e a destra è venoso.
In corrispondenza del limite tra gli atri e i ventricoli ci sono delle formazioni di connettivo fibroso
che rappresentano il cosiddetto scheletro fibroso del cuore. Questo connettivo è definito fibroso
perché in esso prevalgono le fibre collagene che si organizzano a formare delle strutture
pressappoco circolari proprio al limite tra atri e ventricoli, cioè in corrispondenza del solco
coronario che osserviamo sulla superficie esterna del cuore.
Questi quattro anelli fibrosi danno attacco alle valvole che si trovano in corrispondenza degli orifizi
atrio-ventricolari, in corrispondenza dell’aorta e della polmonare (orifizi arteriosi).
Oltre a dare sostegno alle valvole, questi anelli fibrosi danno anche attacco alle fibre muscolari di
miocardio comune che formano le pareti dei ventricoli e anche le pareti sottili degli atri.
Dunque a partire da questi quattro anelli, ci sono delle fibre muscolari che salgono verso l’alto e
formano le pareti degli atri; alcune di queste fibre passano da un atrio all’altro e allora completano
sia posteriormente che anteriormente le pareti degli atri.
Allora le fibre muscolari che formano le pareti degli atri sono fibre che ascendono dai quattro
anelli e si continuano poi con la tonaca media dei vasi venosi della base del cuore; altre fibre
invece passano da un atrio all’altro e quindi completano le pareti posteriore e anteriore dei due
atri.
La stessa cosa si verifica per quanto attiene ai due ventricoli.
I due ventricoli hanno delle fibre chiamate fibre miocardiche proprie le quali definiscono strutture
simili a dei canestri da basket (quindi cavi alla base). Queste struttutre sono appese agli anelli atrioventricolari e scendono verso il basso ma senza arrivare alla fine;
Le fibre miocardiche sono proprie di ogni ventricolo.
- La parete del cuore è formata per ogni cavità da fibre miocardiche proprie e comuni.
Le fibre più complicate, poiché più voluminose e più avvolte su se stesse, soprattutto in
corrispondenza dell’apice del cuore, sono le fibre muscolari miocardiche dei due ventricoli
(comuni).
Per gli atri invece vi sono semplicemente delle fibre muscolari sia per ogni atrio, sia tra i due atri.
Per i ventricoli invece la situazione è più complicata poiché vi sono fibre proprie di ogni ventricolo,
(ogni ventricolo può essere paragonato ad una canestro da basket) per cui c’è una parte circolare
superiore e le fibre proprie che scendono verso il basso, ma non si uniscono in basso; le fibre
comuni invece vanno da un ventricolo all’altro, mascono dalla faccia anteriore di ogni ventricolo
(precisamente dalla parte anteriore dell’anello fibroso), scendono verso il basso, attraversano i due
canestri (formati delle fibre proprie), convergono verso l’apice del cuore dove si avvolgono su se
stesse a formare una specie di vortice e risalgono sulle facce posteriori dei due ventricoli. In questo
modo hanno percorso interamente la parete poiché sono andate sia anteriormente che
posteriormente. Inoltre portandosi verso sinistra, cioè verso l’apice, formano anche le pareti laterali,
il margine destro e quello sinistro.
Tra i due ventricoli è presente il setto interventricolare. Ci sono delle fibre dei due canestri che si
accostano e formano il setto interventricolare. Tali fibre sono disposte trasversalmente, per cui non
sono né posteriori, anteriori o laterali e prendono il nome di fibre settali(?), in quanto si tratta di
fibre miocardiche rappresentate dalla regione dei due canestri dei due ventricoli, per cui mettono in
connessione e separano nettamente i due ventricoli.
*Questo rappresenta una differenza importante rispetto agli atri: mentre gli atri comunicano nella
vita fetale, i due ventricoli non comunicano mai, neanche nella vita fetale, in quanto il setto si
forma immediatamente.
Le valvole del cuore sono collegate agli anelli fibrosi.
Le valvole che si trovano in corrispondenza degli orifizi atrio-ventricolari sono chiamate valvole
atrio-ventricolari oppure, poiché i loro lembi hanno la forma di triangolo, vengono anche chiamate
valvole cuspidali, poiché tutti i lembi presentano degli apici (anche se in certi casi l’apice è
piuttosto arrotondato).
Dunque le valvole atrio-ventricolari sono per definizione valvole cuspidali, perché presentano
lembi pressappoco triangolari, con l’apice rivolto verso la cavità.
Nella parte sinistra abbiamo la valvola bicuspide , perché formata da due cuspidi, che viene
chiamata anche valvola mitrale (perché somiglia alla mitra del vescovo); la valvola che si trova sul
lato destro invece viene chiamata valvola tricuspide.
Queste strutture che formano le valvole convergono tutte verso il centro, ovvero sono dei lembi
lisci, perché sono continuamente esposti alla corrente del sangue che scende dagli atri verso i
ventricoli. La parete delle cuspidi è costituita ancora da endocardio.
Le cuspidi sono costituite da meateriale fibroso, meno denso di quello che forma l’anello a cui si
attaccano, ma in ogni caso caratterizzato da una certa resistenza, perché deve resistere
continuamente alle aperture e alle chiusure; ogni lembo valvolare è quindi formato da uno scheletro
fibroso interno, quindi una parte più rigida (anche se comunque non ha la stessa rigidità dell’anello
che la sostiene) e tutto è rivestito sia superiormente che inferiormente da endocardio (queste parti
devono essere liscie poiché sono quelle esposte continuamente al passaggio del sangue).
Quando queste valvole devono chiudersi, sul versante ventricolare si osserva che le cuspidi sono
collegate a dei filamenti tendinei, dipendenti da muscoli che prendono il nome di muscoli papillari
(poiché formano delle increscenze, delle papille nella cavità del ventricolo).
Dunque l’interno del ventricolo può essere immaginato come le grotte con stalattiti e stalagmiti ☺
Ci sono infatti delle colonne che partono dal pavimento del ventricolo che si elevano verso l’orifizio
e poiché si tratta di muscoli (muscoli papillari), come tutti i muscoli, terminano con dei tendini
esilissimi chimati corde tendinee. Queste corde tendinee si vanno ad inserire sulla faccia inferiore di
ogni cuspide.
I muscoli papillari impediscono che, quando il sangue abbia raggiunto il ventricolo (o destro o
sinistro) conferendo quindi a questa zona una pressione particolare, maggiore di quella dell’atrio
che si è svuotato, che le valvole possano rovesciarsi verso l’atrio, (come potrebbero se non fossero
adeguatamente fissate) poiché in quel caso il dispositivo andrebbe incontro ad un danno
irreversibile.
Per evitare questo ci sono proprio le corde tendinee che vincono la pressione ventricolare e
tengono le cuspidi appiattite a chiudere nettamente il passaggio tra l’atrio e il ventricolo
sottostante.
- Il sangue giunge all’atrio destro tramite le due vene cave e all’atrio sinistro con le quattro vene
polmonari, quindi c’è un momento, nel cosiddetto ciclo cardiaco, in cui i due atri sono pieni di
sangue. Queste due camere atriali vanno incontro ad una pressione notevole la quale permette che si
aprano le due valvole e il sangiue possa passare all’interno dei due ventricoli.
Nel momento di sistole atriale, i ventricoli si devono dilatare enormemente per permettere il
passaggio del sangue.
Quindi la sistole atriale corrisponde a quella che viene chiamata diastole ventricolare, cioè la
dilatazione dei ventricoli;
Le due valvole si aprono a seguito di questa differenza di pressione, il sangue passa e riempie le due
camere ventricolari.
Nelle due camere ventricolari la situazione per il sangue è diversa perché il sangue raggiunge i
ventricoli con una pressione notevole e questi inoltre presentano una parete spugnosa (negli atri si
osservano delle pareti liscie) perché formata da fibre muscolari, da trabecole che formano una sorta
di reticolato, di spugna e che complicano la struttura della parete.
Il sangue quindi sbatte contro le pareti e acquista una notevole spinta elastica.
Per di più la cavità del ventricolo non è libera come quella dell’atrio, poiché vi sono le ‘colonne’
rappresentate dai muscoli papillari ai quali sono legate le corde tendinee: allora il sangue deve
circolare tra queste strutture e riceve un’ulteriore spinta.
- Sulla parte destra il sangue incontra il cono della polmonare e si crea a questo livello una sorta di
‘vortice’; il sangue infatti prende la via del tronco polmonare proprio perché riceve una spinta dal
basso verso l’alto, viene inviato a consistente velocità verso il cono della polmonare:
in definitiva quindi progressivamente, dalla base del cono verso l’apice, il sangue trova un’altra
spinta idrostatica che si somma alle altre dovute alla presenza del cono e al fatto che
contemporaneamente si sta contraendo il ventricolo sinistro.
- Sulla parte sinistra invece, siccome il ventricolo è più solido, più ricco di fibre muscolari e si
contrae maggiormente con la cooperazione del setto interventricolare, ciò favorisce sicuramente il
flusso del sangue verso l’arteria, nonostante questa cominci già cilindrica a partire dal ventricolo di
sinistra.
Dunque tutta questa serie di forze meccaniche spiegano quello che viene chiamato ciclo cardiaco,
dato dall’alternanza di sistole (quando le cavità si contraggono) e di diastole (quando le cavità
invece si dilatano).
Quando il sangue prende la via delle arterie (polomanare o aorta), in corrispondenza degli imbocchi
si trovano altre valvole affinchè il sangue, una volta presa la via dei tronchi arteriosi, non ritorni
indietro (anche perché si crea a quel punto una differenza di pressione tra il ventricolo che si è
svuotato di sangue e l’arteria che in quel momento è piena di sangue).
Se noi immaginiamo che questa colonna di sangue che ha preso la via delle due arterie per un
momento si fermi, per impedire che ritorni indietro, in corrispondenza dei due orifizi arteriosi ci
sono delle valvole a forma di ‘nido di rondine’, o di ‘tasca’ (le tasche sono 3 in corrispondenza del
tronco polmonare e 3 in corrispondenza dell’aorta) che prendono il nome di valvole semilunari
(poiché presentano un margine libero che ha la forma di semiluna).
Queste tre valvole semilunari, quando il sangue passa dal ventricolo verso l’arteria rispettiva le
valvole sono aperte, cioè la tasca è applicata contro la parete del vaso (e quindi la tasca è chiusa ).
Quando invece il sangue è passato nelle due arterie, per impedire che ritorni indietro le tasche si
aprono e quindi la colonna di sangue dell’arteria riempie le tasche tenendole ancora di più aperte.
Quando poi c’è la spinta elastica e il sangue viene spedito attraverso la polmonare a attraverso
l’aorta, queste valvole si aprono, cioè si appiattiscono contro la parete e il sangue passa dal
ventricolo all’arteria rispettiva.
- Le valvole semilunari quindi non necessitano di muscoli papillari e di corde tendinee perché sono
delle tasche che si riempiono di sangue e impediscono al sangue di scendere nel ventricolo.
Le valvole semilunari sono sempre tre nelle due arterie e allora come facciamo a distinguere le
valvole semilunari della polmonare dalle valvole semilunari dell’aorta?
Ricordiamo intanto che il vaso polmonare è davanti all’aorta, ma in origine quando il cuore si è
formato tutto l’apparato era costituito da un unico condotto, l’unico tubo cardiaco che poi si è diviso
in due: a livello del cuore ha dato origine alle due metà continuandosi poi con i grossi vasi. Siccome
poi il cuore non è rimasto rettilineo ma si è ripiegato su se stesso è successo che la polmonare è
passata avanti e l’aorta è rimasta dietro.
Noi chiamiamo ancora erroneamente corte(?) le valvole semilunari, in ricordo di quell’unico tubo
cardiaco all’interno del quale si erano formate quattro tasche, una anteriore, una posteriore e due
laterali. Quando quest’unico tubo si è sepimentato in due e le due arterie si sono dislocate una più
anteriormente e l’altra posteriormente, anche le quattro tasche si sono separate e dunque la
polmonare, la quale è passata avanti, avrà una semiluna anteriore e due posteriori (sinistra e destra),
residui di quelle due tasche laterali che si erano tagliate, sepimentate in due; nell’aorta invece le
semilune sono una posteriore e due anteriori (residui di quelle due laterali ciascuna delle quali(?) si
era sepimentata in due).
Riepilogando mentre in origine abbiamo un unico tubo con una tasca anteriore, una posteriore e
due laterali; quando il tubo si divide e i due condotti si dislocano uno anteriormente e l’altro
posteriormente, accade che le semilune della polmonare sono una anteriore e due posteriori
(sinistra e destra), quelle dell’aorta invece sono una posteriore e due anteriori (sinistra e destra)
che guardano verso le due semilune posteriori della polmonare.
*Queste due semilune anteriori dell’aorta sono importanti perché hanno superiormente due piccoli
orifizi, gli orifizi di imbocco delle due arterie coronarie: questo è importantissimo perché ogni volta
che il sangue dal ventricolo sinistro passa nell’aorta, le prime arterie ad essere servite sono proprio
le coronarie, le quali devono fornire il supporto energetico e nutritizio alle pareti del cuore che
altrimenti non si potrebbe contrarre. Quando quelle due tasche si riempiono di sangue, questo viene
richiamato all’interno delle due arterie coronarie, allora il primo organo ad essere rifornito in
maniera massiccia è sempre il cuore, si tratta quindi di un dispositivo di fondamentale importanza.
*Quando il fabbisogno energetico aumenta succede che in tutti gli altri distretti del nostro corpo si
ha vasocostrizione, cioè i vasi diminuiscono di calibro e quindi il sangue presente in quelle regioni
può permanere a livello locale, invece a livello delle arterie coronarie si ha un’intensa
vasodilatazione, in modo che queste due arterie si possano riempie al massimo di sangue e questo
possa servire per nutrire il muscolo miocardico.
Ci sono dunque dei ??(52) nella circolazione del sangue che creano dei dislivelli di quantità di
sangue che pefonde gli organi ma quello che sicuramente vien eservito sempre e in modo
consistente è il muscolo cardiaco.
In condizioni di intenso allenamento le masse muscolari devono essere servite bene ma possono
essere servite se il cuore funziona bene, allora le contrazioni cardiache aumentano (si parla di
tachicardia funzionale, cioè un aumento del battito cardiaco dovuto ad una intensa sollecitazione
muscolare), ma aumenta anche la domanda di ossigeno poiché l’ossigeno totale circolante
diminuisce dal momento che viene reclutato dalle masse muscolari in esercizio.
*Questa mancanza di ossigeno fa da ulteriore imput all’aumento di lavoro del cuore, perciò le
coronarie si dilatano mentre tutti gli atri vasi sanguigni si vasocostringono: infatti durante l’attività
fisica si diventa rossi in faccia perché i vasi della cute si vasocostringono e il colorito è dovuto al
fatto che è presente più sangue, anche perché i vasi sanguigni sottocutanei sono particolarmente
evidenti.
L’adrenalina ad esempio interviene per procurare vasodilatazione a livello coronario e
vasocostrizione negli altri distretti.
*Dunque quando noi diciamo che nel nostro apparato circolatorio circolano circa 5 litri di sangue e
ad ogni minuto abbiamo un determinato numero di battiti cardiaci, queste due informazioni devono
essere integrate opportunamente perché non c’è la stessa quantità di sangue in tutti i distretti!!
Per esempio nel distretto cardiaco ci sono circa 750 ml di sangue; nel distretto encefalico, nervoso,
il sangue deve essere inviato in maniera cospicua perché in caso di scarso apporto di sangue i danni
all’encefalo sono maggiori dei danni che ci potrebbero essere in un altro distretto dove la tolleranza
alla mancanza di sangue è maggiore. Dunque la quantità di sangue viene distribuita in maniera
opportuna a seconda delle necessità del nostro organismo.
Il cuore come sappiamo è situato nel mediastino inferiore, dietro lo sterno e le cartilagini costali e
poggia sul centro frenico del diaframma.
*Nel momento in cui si deve procedere a delle manovre di natura semeiologica (auscultazione,
palpazione, percussione) bisogna servirsi di determinate strutture che sono accostate al cuore e che
in certi casi nascondono la normale attività di questo organo.
Il cuore è spostato verso sinistra (quindi ruba spazio al polmone sinistro) mentre il polmone destro
copre parzialmente il cuore, dunque ci impedisce di poter sentire bene, con il fonendoscopio
applicato alla parete toracica anteriore, la parte destra del cuore, il margine destro e le rispettive
cavità. Perciò dobbiamo andare a riverberare su altre strutture poiché ci sono dei riverberi, dal
momento che il polmone è una sorta di ‘spugna’ piena d’aria: quest’aria fa da ‘tamburo’ di
amplificazione se noi ci spostiamo verso il basso oppure dobbiamo ancora considerare che sulla
parete anteriore abbiamo uno sterno costituito da tessuto osseo, quindi rigido, ma ai lati ci sono
delle cartilagini, molto più flessibili, per cui se ci spostiamo ai due lati dello sterno possiamo sentire
maggiormente il cuore che non se ci mettessimo sulla parte mediana dello sterno.
Dunque vi sono delle zone ben precise dell’anatomia di superficie che dobbiamo conoscere se
vogliamo ascoltare il funzionamento del cuore.
Toni cardiaci
- Paradossalmente i primi due toni, che sono anche i toni più importanti perché ci danno anche
un’idea del ciclo cardiaco, vengono indicati dal rumore che si sente. Esiste infatti una terminologia,
che è stata coniata dagli americani, la quale viene in grande aiuto perché già il termine è assonante
con il rumore che si deve sentire: il primo tono si chiama nub e individua l’apertura delle valvole
atrio-ventricolari; in pratica è il suono di una struttura elastica che prima è stata aperta per
permettere il passaggio del sangue dall’atrio al ventricolo e poi elasticamente si chiude perché i
muscoli papillari fanno chiudere la valvola ma impediscano che questa possa rovesciarsi verso
l’atrio. Il primo tono si chiama nub (?) (è simile al rumore che per esempio si ha quando abbiamo
un lavandino quasi pieno e chiudiamo immediatamente il tappo per impedire all’acqua di andare
via).
Il secondo tono invece si chiama glub (?) ed è riferito alla chiusura elastica delle valvole semilunari;
significa che quando le valvole semilunari si chiudono, in realtà si aprono le tasche e si riempiono
di sangue impedendo al sangue di tornare indietro nel ventricolo. Questa chiusura è meno tonica,
meno elastica e ciò è dovuto alla massa di sangue che ha riempito queste tasche, per cui il suono è
più chiuso.
Il terzo e il quarto tono invece, poiché coincidono con il passaggio del sangue dagli atri ai
ventricoli, si sentono di meno poiché non vi sono rumori importanti ma semplicemente una valvola
atrio-ventricolare che si sta aprendo e non c’è né ritorno elastico, né tantomeno vi sono strutture che
si riempiono, quindi il terzo e il quarto tono non si sentono molto bene e sono alternati al primo e al
secondo perchè nel passaggio del sangue dagli atri ai ventricoli è necessaria l’apertura delle valvole.
Quindi durante il passaggio del sangue dagli atri ai ventricoli, avremo prima il primo tono, poi c’è
un momento di stallo (silenzio o cmq tono più basso) e poi c’è il secondo tono, quando si chiudono
le valvole semilunari. Dunque il terzo e il quarto tono sono alternati con il primo e il secondo, cioè
la successione è primo-terzo-secondo-quarto (?) (? prima del secondo tono dovrebbe esserci il
quarto, cioè il passaggio del sangue dal ventricolo alle arterie???)
Focolai di auscultazione
Quando ispezioniamo la parete toracica anteriore, abbiamo i cosiddetti focolai di auscultazione, vale
a dire delle zone in cui questi rumori si sentono particolarmente.
Per i focolai aortico e polmonare non ci sono problemi perché i focolai si trovano esattamente dove
sono situate le strutture, cioè ai secondi spazi intercostali di sinistra per la polmonare e a destra per
la valvola aortica. Dunque le due valvole semilunari hanno il loro punto di ascolto, il loro focolaio
di auscultazione, in corrispondenza del secondo spazio intercostale, a sinistra per la polmonare e a
destra per l’aorta.
Invece i focolai di auscultazione delle valvole atrio-ventricolari sono enormemente dislocati perché
quello della valvola bicuspide, in corrispondenza dell’orifizio atrio-ventricolare sinistro, si
percepisce addirittura in corrispondenza dell’apice del cuore. Perciò ad ogni battito dell’apice del
cuore, significa che la valvola mitrale si sta aprendo e si sta chiudendo; il primo tono quindi, legato
alla valvola atrio-ventricolare sinistra, si percepisce in corrispondenza dell’apice del cuore.
Invece la valvola tricuspide si percepisce sulla parte bassa del corpo dello sterno, dove la struttura
piatta dello sterno, che ha un certo sviluppo trasversale, si trasforma nell’esile processo xifoideo;
c’è quindi, in corrispondenza della base del corpo dello sterno, meno osso e più cartilagine poiché
in quella regione c’è l’incontro della settima, ottava, nona e decima e quindi si osservano quattro
cartilagini tutte collegate tra di loro.
In quel punto, che è anche il più basso dello sterno, si ha la possibilità di percepire la valvola
tricuspide.
Ascoltare il suono che proviene dalle valvole significa anche poter diagnosticare, in maniera
macroscopica, grossolana eventuali rischi valvolari, dovuti alla mancata chiusura totale di una delle
quattro valvole. Se non si chiudono bene le due valvole atrio-ventricolari non c’è il ritorno elastico
dei lembi a chiudere completamente le cuspidi, il sangue non scende tutto a livello dei ventricoli ma
una piccola parte risale nell’atrio e questo significa che cambierà il tono che viene percepito (poiché
la chiusura non è totale) ma si avrà un piccolo rumore.
A lungo andare le valvole tricuspidi possono anche collassare e rimanere parzialmente aperte:
questo è un problema notevole perché la parete del ventricolo, che già aveva deboli forze per
spingere il sangue all’interno della polmonare, comincia a sfiancarsi per cui la quantità di sangue
che giunge ai polmoni non è massima come avviene in condizioni normali. Quindi si ha lo
sfiancamento della parete già sottile, debole del ventricolo destro e la compromissione degli
impianti respiratori a livello dei polmoni, cioè difetti nella circolazione polmonare.
Questo comporta infatti che il sangue non si ossigena bene e non si ossigena tutto per cui l’anidride
carbonica accumulata durante i processi metabolici non viene tutta eliminata e si riscontrano stati di
tossicosi metabolica a livello dei vari tessuti.
Quando invece non funzionano bene le valvole semilunari, che sono delle tasche, queste tasche
anziché aprirsi totalmente riempiendosi di sangue, non si aprono completamente e al centro rimane
un piccolo foro. Accade quindi che attraverso questo foro si ha una sorta di rigurgito di sangue dal
vaso verso il ventricolo, per cui si produce un suono particolare legato ad una patologia chiamata
soffio , perché quella piccola quantità di sangue che rimane produce una sorta di soffio
all’auscultazione (per comprenderci come se vi fosse un piccolo foro in una camera d’aria).
-Una certa quantità di sangue permane dunque nei due ventricoli invece di prendere la via delle
arterie e si arriva pertanto allo sfiancamento della parete, in misura minore comunque a sinistra
perché la parete è più tonica, in misura maggiore a destra.
Patologie che possono interessare la parete del cuore
Il pericardio, ricordiamo, è costituito da due lamine, una parietale e una viscerale, separate da un
esilissimo spazio contenente circa 2 ml di liquido pericardio, liquido che consente lo scivolamento
dei due foglietti e consente inoltre al cuore di contrarsi senza disturbare la parete che lo accoglie e i
polmoni vicini. Quando uno dei due foglietti si infiamma (l’infiammazione può essere di origine
batterica, può essere dovuta al contatto con i foglietti pleurici), si parla di pericardite, la quale può
avere due effetti: il liquido pericardico può o diminuire o aumentare.
Se il liquido diminuisce i due foglietti sfregano l’uno contro l’altro e all’auscultazione si percepirà
un rumore anomalo che normalmente non si percepisce.
Se il liquido aumenta si ha il cosiddetto tamponamento cardiaco , perché il cuore viene pressato
dalla massa di liquido aumentata e dunque non si contrae più ritmicamente e allora il rumore che
proviene dalla contrazione cardiaca è anch’esso anomalo.
Nel caso vi siano problemi alla circolazione o alle valvole come accennato durante la lezione si ha
la cardiomiopatia dilatativa ( così chiamata perché l’affezione riguarda il miocardio), significa che
la parete del cuore collassa, segnatamente quelle che collassano maggiormente sono le pareti
ventricolari. Viene poi definita ‘dilatativa’ perché i due ventricoli, o il sinistro o il destro o
entrambi, si dilatano poiché non si svuotano ad ogni ciclo cardiaco di tutto il sangue.
A lungo andare questa dilatazione influisce su altri organi, prima di tutto sui due polmoni (molto di
più sul polmone destro che non sul sinistro, poiché il destro è più voluminoso).
Inoltre poiché il cuore poggia sul centro frenico del diaframma, con l’intermezzo di questo muscolo
prende rapporto anche con il fegato, dunque il cuore dilatato grava maggiormente sul fegato.
-Oltretutto si hanno dei disturbi anche alla circolazione perché il volume totale di sangue nei vari
distretti corporei non è più quello normale, dunque si possono avere problemi a diversi organi,
come polmoni e fegato, che necessitano di una continua vascolarizzazione.
Un’altra affezione è l’endocardite, cioè l’infiammazione dell’endocardio, la quale può dare notevoli
disturbi anche alle valvole (ricordiamo che anche le valvole sono rivestite da endocardio su tutti i
loro versanti);
Come si fa a diagnosticare l’endocardite?
La diagnosi si può effettuare anche esternamente perché compaiono delle lesioni, chiamate lesioni
di ?? , cioè delle lesioni cutanee sottoforma di piccole macchie che hanno un colore variabile dal
rosso al rosso-bluastro che si vanno a localizzare o sul palmo delle mani o sulla pianta dei piedi,
oppure sulla faccia interna delle dita (sia della mano sia del piede); questi sono segni inequivocabili
di una patologia che affligge l’endocardio. Tali infiammazioni sono di natura batterica per cui
bisogne intervenire prontamente con la somministrazione di antibiotici.
Apparato di conduzione degli eccitamenti
Il cuore è l’unico organo del nostro corpo che presenta un doppio ‘impianto elettrico’ perché ha una
struttura intrinseca, chiamata apparato di conduzione degli eccitamenti il quale però viene servito
dal sistema nervoso, per cui c’è anche un tipo di induzione estrinseca; in ogni caso però, grazie a
tale apparato di conduzione degli eccitamenti, il cuore continua a battere anche nel cadavere seppur
per un tempo limitatissimo! E qualora venisse isolato esposto in una soluzione fisiologica
continuerebbe comunque a battere per un certo tempo e ciò spiega perché i trapianti di cuore
devono essere eseguiti immediatamente, perché inoltre il trasporto del cuore da trapiantare deve
seguire alcune norme di base, proprio per mantenere la capacità di conduzione di quell’organo.
- L’apparato di conduzione degli eccitamenti è costituito da un tessuto che viene classificato come
miocardio specifico perché non presenta la stessa struttura istologica del miocardio che forma le
pareti del cuore, e non si contrae, dunque mancheranno le unità strutturali che consentono la
contrazione, vale a dire le miofibrille. A causa della mancanza delle miofibrille il colore di queste
due strutture è totalmente diverso perché il tessuto muscolare che forma le pareti del cuore ha un
colorito rossastri tipico di tutto il tessuto muscolare, mentre il tessuto che forma l’apparato di
conduzione presenta un colorito giallastro, allora si può facilmente rintracciare.
Questo tessuto di conduzione deve permeare tutte e quattro le cavità del cuore, poiché ricordiamo
che lo scopo dell’esistenza di questo apparato è legata al fatto che abbiamo quattro cavità nel cuore
separate da uno scheletro fibroso, cioè da quei quattro anelli sui quali si impiantano delle valvole.
Pertanto si deve verificare la contrazione coordinata degli atri e dei ventricoli, quando gli atri si
contraggono i ventricoli si devono dilatare e inoltre la contrazione coordinata dei ventricoli e delle
arterie, per cui quando si contraggono i ventricoli si dilatano le arterie e la chiusura ed apertura
coordinata delle valvole, perché se il sangue deve passare dagli atri ai ventricoli le valvole atrioventricolari devono essere aperte ma le valvole semilunari devono essere chiuse perché il sangue
deve permanere un attimo all’interno dei ventricoli (altrimenti si avrebbe un passaggio diretto dagli
atri alle arterie!).
Allora ci deve essere la coordinazione tra gli atri e i ventricoli, i ventricoli e le arterie e tra le
valvole atrio-ventricolari e le valvole semilunari.
Questo apparato di conduzione dunque deve essere organizzato in modo tale da andare a servire
tutte le strutture contemporaneamente sui due lati del cuore.
Ci sono comunque delle zone strategiche in cui l’apparato di conduzione è situato.
- La prima struttura, e anche la più importante poiché è quella che dà avvio alle contrazioni
coordinate (ed è chiamato pertanto avviatore primario) è il nodo seno-atriale.
E’ così definito perché si trova in corrispondenza dell’atrio destro, in corrispondenza del cosiddetto
seno delle vene cave, cioè quella parte liscia separata tramite la cresta terminale dalla zona ruvida
con i muscoli pettinati.
Quella parte liscia è chiamata seno delle vene cave perché è una parte leggermente dilatata, come
un ‘golfo’, nel quale confluisce il sangue portato dalle due vene cave superiore e inferiore.
Questo nodo è chiamato allora seno-atriale perché si trova in corrispondenza del seno delle vene
cave nell’atrio destro; è l’avviatore primario, cioè quello a livello del quale insorge il primo
stimolo per la contrazione delle varie parti del cuore.
Il nodo seno-atriale si troverà quindi in vicinanza della cresta terminale corrispondente sulla
superficie esterna dell’atrio destro, posteriormente, al solco terminale.
*Questa zona è quella che va a prendere il cardiochirurgo quando installare il pacemaker.
Il pacemaker è un adiuvante del nodo seno-atriale; in caso di necessità si va ad installare questo
pacemaker che diventa il segnapassi automatico al posto del nodo seno-atriale che ha subito dei
danni.
Come fa il cardiochirurgo a regolarsi per andare a rintracciare proprio la parte in cui è situato il
nodo seno-atriale?
Va a prendere il solco della vena cava superiore, va a rintracciare il solco terminale fino a
raggiungere il seno delle vene cave, e quindi lì deve esserci il nodo seno-atriale.
A partire dal nodo seno-atriale partono delle fibre destinate innanzitutto all’atrio sinistro affinché
quando si contrae l’atrio destro si possa contrarre l’atrio sinistro e viceversa quando si rilascia (va in
diastole l’atrio destro) possa andare in diastole anche l’atrio di sinistra.
Dunque alcune fibre dal nodo seno-atriale si diramano all’atrio sinistro.
Comunque ci sono anche altre fibre che scendono alla base dell’atrio destro, in corrispondenza
dell’orifizio atrio-ventricolare destro e della valvola tricuspide: qui abbiamo il secondo nodo.
Per cui dal nodo seno-atriale ci sono delle fibre che scendono alla base, sul pavimento dell’atrio, in
corrispondenza dell’orifizio atrio-ventricolare destro guarnito dalla valvola tricuspide.
Questo nodo, poiché è situato al limite tra l’atrio e il ventricolo, prende il nome di nodo atrioventricolare.
Anche il nodo atrio-ventricolare si può andare a rintracciare perché è situato alla base del setto
interatriale, in corrispondenza della valvola atrio-ventricolare e in corrispondenza della cuspide
interna o mediale della valvola tricuspide e il terzo punto di riferimento è lo sbocco del seno
coronario, cioè della grossa vena che ha drenato tutto il sangue che ha circolato nelle pareti del
cuore.
Pertanto i riferimenti per trovare il nodo atrio-ventricolare sono: la base del setto interatriale, la
cuspide mediale della valvola tricuspide e fra queste due lo sbocco del seno coronario.
Ricordiamo che il seno coronario è situato sul solco coronario, quello che separa gli atri dai
ventricoli. Il solco coronario corrisponde alla base degli atri dove ci sono i quattro anelli, ci
troviamo quindi a livello del pavimento del setto interatriale.
Adesso dobbiamo arrivare ai due ventricoli!
Lo stimolo si è trasmesso dalla parte apicale dell’atrio destro all’atrio sinistro e al pavimento
dell’atrio destro; adesso lo stimolo deve raggiungere i due ventricoli.
Comincia pertanto un fascio di fibre miocardiche specifiche, che prende il nome di fascio di His.
Vediamo cosa succede quando il fascio di His raggiunge l’origine dei due ventricoli, cioè la parte
alta del setto interventricolare.
Finora abbiamo visto il setto interventricolare come una struttura muscolare; però questa struttura
muscolare, che a sinistra riceve più stimoli, a destra ne riceve di meno, ha bisogno anche questa di
un supporto rigido altrimenti a lungo andare potrebbe subire un disfacimento, avendo oltretutto una
forma arcuata. Allora in alto, dove ci sono i quattro anelli fibrosi, c’è anche una sorta di peduncolo
a tenere i quattro anelli, ed è la porzione fibrosa del setto interventricolare, il punto di aggancio
superiore di queste fibre che continuamente vengono sollecitate in maniera diseguale, a sinistra e a
destra.
Su questa parte fibrosa del setto interventricolare decorre il tronco comune del fascio di His.
Dove comincia la parte muscolare, il tronco comune si divide nelle due branche destra e sinistra del
fascio destinate ai due ventricoli.
Dunque abbiamo il tronco comune del fascio di His a contatto con la porzione fibrosa del setto
interventricolare, dove il setto diventa muscolare il tronco comune si divide in due branche, una
sinistra e una destra per i due ventricoli; queste branche si andranno a collocare ai due lati del
setto interventricolare.
Dunque lo stimolo, originatosi dal nodo seno-atriale, si trasmette all’atrio sinistro, al nodo atrioventricolare e da questo al tronco comune del fascio di His e alle due branche destra e sinistra.
*Molto spesso nella pratica medica si sentirà parlare di blocco di branca, significa che si interrompe
la connessione a livello di una delle due branche del fascio di His (prevalentemente la destra).
Il blocco di branca destro porta a una scoordinazione nella contrazione dell’atrio e del ventricolo
destro. Il ventricolo si contrae prima dell’atrio rispettivo e la circolazione ne risente in maniera
paradossale.
Nel caso di un blocco di branca (destro), vale a dire l’impulso elettrico si arresta, per cui ne risente
la circolazione polmonare.
Il paziente affetto da blocco di branca va incontro al cosiddetto cuore polmonare, significa che la
parte destra del cuore è patologica e pertanto anche il polmone ne risente in quanto non viene
servito da un’adeguata quantità di sangue e oltretutto la circolazione polmonare difettosa non
consente l’adeguato scambio di gas.
Un altro tipo di patologia è la fibrillazione ventricolare.
La fibrillazione ventricolare è una contrazione spasmodica ed esagerata del ventricolo rispetto
all’atrio.
In caso di fibrillazione infatti si interviene con un defibrillatore, cioè un apparecchio che manda
scariche elettriche, ovvero si cerca di riparare ‘l’impianto elettrico’ del cuore mandando degli
impulsi elettrici che facciano ritornare in asse le due contrazioni.
Le due branche comunque non si esauriscono nelle pareti dei ventricoli perché devono consentire
anche l’apertura coordinata delle valvole semilunari e delle valvole atrio-ventricolari.
Allora, sia a destra che a sinistra, vedremo alcuni rami delle due branche non andare soltanto sulle
pareti dei ventricoli, ma dirigersi anche sui muscoli papillari.
In questo modo quando il ventricolo si contrae, si aprono e si chiudono anche le valvole atrioventricolari.
Alla fine questo apparato di conduzione ha provveduto alla coordinazione tra atri e ventricoli, tra
valvole atrio-ventricolari e valvole semilunari.
Dunque tutto il ciclo cardiaco è legato al perfetto funzionamento dell’apparato di conduzione, il
quale è costituito dal nodo seno-atriale, dal nodo atrio-ventricolare, dal tronco comune del fascio
di His e dalle due branche destra e sinistra del fascio di His.
E’ chiaro che il tessuto muscolare che forma le pareti del cuore è un tessuto muscolare particolare,
perché le fibre muscolari non sono singole come quelle dei muscoli scheletrici, dove ogni fibra
muscolare è un’entità singola tanto è vero che viene servita da un singolo nervo; nel tessuto
muscolare cardiaco invece le fibre sono tutte collegate tra di loro da giunzioni strette e l’impulso
viene trasmesso da una fibra a tutte le altre, per cui se si contraggono le fibre degli atri è chiaro che
successivamente si contrarranno quelle dei ventricoli proprio per la particolare struttura del
miocardio.
*L’attività elettrica del cuore si rivela con l’elettrocardiogramma perché le onde elettriche generate
nei vari distretti vanno a formare il tracciato elettrocardiografico che è formato da onde con le
cuspidi più o meno alte e inverse (alla cuspide rivolta verso l’alto segue quella rivolta verso il
basso) dovute alla contrazione alternata delle quattro cavità.
La conduzione estrinseca invece è affidata al sistema nervoso viscerale.
Il sistema nervoso è costituito da due sezioni, ortosimpatico e parasimpatico.
L’ortosimpatico accelera la contrazione cardiaca, accelera il battito cardiaco mentre il
parasimpatico, il suo opposto, rallenta la contrazione cardiaca per cui se c’è un picco nella
contrazione poi deve seguire un momento di riposo; questo spiega perché nel sistema nervoso
viscerale ci sono sempre due componenti opposte e questo vale per tutti gli organi.
In definitiva il cuore di per sé si contrae, però l’aumento o la diminuzione del battito cardiaco è
legata al funzionamento del sistema nervoso viscerale, del tutto involontariamente;
Lezione 9
La circolazione sistemica o grande circolazione, è quell’insieme di vasi sanguigni comprensivi di
arterie, capillari che a partire dal cuore vanno a servire tutti i distretti del nostro corpo mentre le
vene corrispondenti alle arterie torneranno nuovamente al cuore.
La grande circolazione, che è la più ampia, soprattutto se paragonata alla circolazione polmonare,
per definizione si fa iniziare a livello delle valvole semilunari aortiche al di sopra delle quali si
trovano gli orifizi delle due arterie coronarie.
Ricordiamo però che le semilunari dell’aorta (le tasche) sono tre, una è disposta posteriormente e
due sono anteriori. I due orifizi delle due arterie coronarie si trovano al di sopra delle due semilunari
anteriori.
La grande circolazione termina all’atrio destro perché lì affluiscono le due vene cave, superiore e
inferiore e il seno coronario che drena il sangue che ha circolato nelle pareti del cuore.
I vari distretti corporei vengono serviti contemporaneamente dal sangue arterioso, non ci sono
distretti che vengono serviti prima e altri dopo (?) , cioè il sangue perfonde contemporaneamente
tutti i tessuti del nostro corpo; ciò che varia è invece la pressione alla quale il sangue arriva nei
vari distretti e la quantità di sangue che perfonde i vari distretti.
Dunque le differenze sono solamente pressione e quantità e questo chiaramente perché i vari
distretti non rispondono tutti allo stesso modo e pertanto hanno diverse esigenze di
vascolarizzazione.
Il primo tratto di aorta dà luogo alle due arterie coronarie; queste due arterie coronarie devono
andare ad irrorare il muscolo cardiaco e lo devono fare sempre e continuamente ed è per questo che
le due arterie coronarie nascono sopra le valvole semilunari, per cui ogni volta che queste valvole si
chiudono perché si riempiono di sangue, parte di questo sangue passa nelle due arterie coronarie,
dunque ad ogni battito cardiaco il sangue perfonde il muscolo cardiaco, altrimenti questo non
potrebbe funzionare.
*Ci sono dei momenti in cui la quantità di sangue che perfonde il nostro corpo deve essere
superiore a quella che perfonde il muscolo cardiaco ma questo non deve verificarsi altrimenti il
cuore entrerebbe in sofferenza. Dunque accade che quando ci sono determinate situazioni, per
esempio durante un allenamento oppure in situazioni di stress, cioè quando le masse muscolari
devono essere adeguatamente ossigenate, allora si ha una vasodilatazione a livello cardiaco e una
vasocostrizione negli altri distretti, per cui la quantità di sangue che perfonde il muscolo cardiaco in
quel momento è maggiore, inoltre il cuore batte più velocemente infatti queste situazioni sono
accompagnate da tachicardia. Lo stimolo è dato proprio dalle sostanze che vengono liberate in quel
momento; dunque un difetto di ossigeno a livello della muscolatura e un aumento di anidride
carbonica servono a stimolare queste due diverse fasi, la vasodilatazione cardiaca e la
vasocostrizione periferica, così come la liberazione di adrenalina (ormone e allo stesso tempo
neurotrasmettitore) serve per provocare gli stessi effetti.
Si verifica in questo modo una variazione di afflusso sanguigno a livello cardiaco e dei vari distretti.
L’arco aortico è il secondo tratto.
L’arco dell’aorta è una sorta di ansa che collega l’aorta ascendente (così chiamata perché diretta
verso l’alto e verso sinistra) con l’aorta discendente, la quale è rivolta verso il basso e continua a
stare sul lato sinistro della colonna vertebrale.
*L’arco aortico è una struttura che varia di posizione a seconda della posizione del soggetto: in
ortostatismo sta al di sotto dell’apertura superiore del torace, mentre in posizione supina risale,
quindi viene a contatto con la clavicola e con la prima costa e quindi si affaccia verso la base del
collo.
L’arco aortico dà origine, dalla sua convessità, a tre arterie di tipo elastico; questo significa che tali
arterie hanno una forza propulsiva in più, poiché nella loro tonaca media non ci sono soltanto
fibrocellule muscolari ma ci sono anche fibre elastiche (addirittura le fibre elastiche prevalgono
sulle fibre muscolari). In questo modo soltanto il sangue può andare verso l’alto, verso la testa e
così l’irrorazione dell’encefalo (che è la struttura più importante) viene assicurata in ogni momento
anche se il sangue deve circolare contro la forza di gravità.
Dunque le tre arterie che nascono dall’arco dell’aorta hanno la caratteristica di essere elastiche.
I requisiti di un’arteria elastica sono:
- il calibro, diametro > di 2,5 cm
- la presenza nella tonaca media di fibre elastiche in quantità superiore rispetto alle fibrocellule
muscolari liscie (questo è il requisito più importante)
- la sensibilità alle variazioni di pressione
La pulsazione delle arterie che salgono verso la testa è indice di una buona circolazione perché nel
contesto delle arterie elastiche ci sono dei sensori, dei recettori di pressione che reagiscono alle
variazioni della quantità di sangue.
Dunque quando in un uno di questi grossi vasi giunge una notevole quantità di sangue, l’arteria
deve variare il proprio calibro per accettare tale quantità: maggiore è la tensione elastica, maggiore
sarà la spinta che il sangue riceve per salire alla testa.
Questi recettori di pressione, chiamati barocettori, hanno proprio la funzione di dosare(?) la forza
elastica dell’arteria, la quale alternativamente, in correlazione con il battito cardiaco, quindi con lo
svuotamento e il riempimento del ventricolo, invia alla testa una certa quantità di sangue.
Pertanto la pulsazione dell’arteria, facilmente rilevabile perché si trova sotto il piano cutaneo, serve
a stabilire se le contrazioni dell’arteria sono coordinate con le contrazioni cardiache.
Per definizione e secondo un ordine da destra a sinistra (cioè seguendo l’orientamento dell’arco
aortico) , il primo ramo a destra si chiama tronco brachio-cefalico o arteria anonima.
E’ così chiamato perché dopo un brevissimo decorso (tronco) si divide nell’arteria succlavia destra
e carotide comune destra.
La succlavia è così chiamata perché passa sotto la clavicola ( dal latino sub claviam) ed è destinata
ad irrorare l’arto superiore;
La carotide comune è ascendente, sale sulla parte laterale del collo ed è definita ‘comune’ perché è
un unico tronco che poi si divide in carotide esterna e carotide interna.
-Il secondo ramo, sempre andando da destra verso sinistra, è la carotide comune sinistra, che si
origina indipendentemente, a differenza della carotide comune destra, dall’arco aortico.
- L’ulimo ramo a sinistra sarà l’arteria succlavia sinistra che passa sotto la clavicola e diventa
arteria per l’irrorazione dell’arto superiore.
Questa differente origine è legata alla diversa origine embrionale di questi vasi sanguigni, e questo
comporta che la carotide comune sinistra e succlavia sinistra, poiché nascono direttamente
dall’arco aortico, sono più lunghe delle loro controlaterali; questi vasi comunque hanno lo stesso
decorso e gli stessi territori di vascolarizzazione.
L’arteria anonima viene sovrastata da una vena, la vena brachio-cefalica o vena anonima, cioè il
tronco venoso relativo. Il sangue che circola nel collo e nella testa e nell’arto superiore ritorna poi
indietro e stavolta il ritorno venoso è uguale sui due lati, poiché da entrambi i lati si forma una vena
anonima o vena brachio-cefalica, formata dalla confluenza della vena giugulare interna, che porta il
sangue che ha circolato nei territori della carotide ( in pratica non esiste una vena carotide! E
l’omologo della carotide è proprio la giugulare interna) e dalla vena succlavia che riporta il sangue
che ha circolato nei territori dell’arteria succlavia.
- Riepilogando l’arco aortico irrora il collo, la testa e gli arti superiori (anche se vedremo irrora
anche in parte la porzione sopradiaframmatica).
L’irrorazione di queste regioni è affidata, da desta verso sinistra al tronco brachio-cefalico, la
carotide comune di sinistra e la succlavia sinistra.
Per quanto attiene il ritorno venoso la vena giugulare interna, la quale raccoglie il sangue che
circola nella testa e nel collo, per cui si trova sulla stessa linea della carotide, ai lati del collo,
confluisce verso il basso (la clavicola è sempre un importante riferimento) e si unisce alla vena
succlavia per cui si formano due vene anonime o vene brachio-cefaliche, una destra e una sinistra.
Tutte e due confluiscono nella vena cava superiore, però quella di destra è più corta ed è sulla stessa
linea della vena cava superiore, poiché la vena cava superiore si trova a destra dell’aorta; la vena
brachio-cefalica di sinistra invece, che si è formata a livello della clavicola sinistra, è più lunga
poiché per raggiungere la vena cava superiore deve compiere un ulteriore tragitto e quindi attraversa
quasi trasversalmente la base del collo e va a riversarsi nella vena cava superiore.
La vena brachio-cefalica o anonima del lato sinistro inoltre, attraversando quasi obliquamente la
base del collo, passa davanti all’arteria anonima.
C’è una sola arteria anonima, le vene anonime invece sono due.
Consideriamo la parete laterale del collo.
La carotide comune, in corrispondenza della cartilagine tiroidea della laringe (il pomo d’adamo), si
divide nelle due arterie terminali, vale a dire la carotide esterna e la carotide interna.
Se ricordiamo quando abbiamo discusso i punti di riferimento sui piani e sugli assi, gli aggettivi
‘esterno’ e ‘interno’ sono riferiti al rapporto che una formazione ha con una cavità, allora le due
arterie carotidi vengono indicate come interna e esterna perché una rimane fuori dalla cavità
cranica, mentre l’altra entra dentro la cavità cranica. Gli aggettivi sono quindi riferiti ai rapporti di
queste due arterie con la cavità cranica.
-La carotide esterna, rimanendo fuori dalla cavità, va a irrorare la faccia e il cuoio capelluto;
La carotide interna entra invece nella cavità e va a irrorare pertanto le pareti interne della cavità
cranica e soprattutto l’encefalo.
Riepilogando, da entrambi i lati ciascuna delle due arterie carotide comune si divide, a livello della
cartilagine tiroidea della laringe, in interna ed esterna.
*In corrispondenza della carotide interna c’è un rigonfiamento che rappresenta una struttura
recettoriale molto importante, è il cosiddetto seno o corpo carotideo, il quale contiene cellule
nervose che funzionano contemporaneamente alcuni da barocettori, quindi recettori di pressione,
per cui quando l’arteria si dilata o si restringe, a seconda della quantità di sangue che contiene, il
seno carotideo ne risente; altri funzionano da chemocettori (?) , cioè sono recettori della
composizione chimica del sangue, soprattutto reagiscono alle quantità variabili di ossigeno e di
anidride carbonica.
Per cui andare a monitorare il seno carotideo significa conoscere lo stato della vascolarizzazione
cerebrale e lo stato della composizione del sangue che in ogni momento affluisce alla testa.
Il nostro organismo dunque, inconsapevolmente da parte nostra, ogni momento saggia la quantità di
ossigeno e di anidride carbonica che arrivano all’encefalo, dati ovviamente quali sarebbero gli
effetti di una ipossia sulle cellule nervose. Inoltre se la quantità di anidride carbonica presente nel
sangue aumenta, le cellule nervose muoiono per ipercabmia??, lo sanno bene coloro che sono affetti
da una tossicosi metabolica dove l’accumulo di CO2 può significare anche il coma.
Le cellule nervose sono le prime che risentono di questo tipo di anomalie.
La cartilagine tiroidea della laringe è ricoperta dalla ghiandola tiroide; ai lati ci sono un insieme di
formazioni vascolari, tra le quali l’arteria anonima, sormontata dalla vena anonima del lato sinistro,
la vena cava superiore o la carotide, la quale non si vede bene perché è sormontata dalla vena
giugulare interna; la giugulare interna è una vena particolarmente dilatata e forma una dilatazione
maggiore, un bulbo, che serve a regolare il flusso di sangue che scende secondo forza di gravità e
che quindi potrebbe subire delle variazioni pressorie notevoli.
*Vediamo le manovre che vengono eseguite per rilevare il cosiddetto polso carotideo.
Il polso carotideo è uno dei tanti polsi che sono distribuiti nel nostro corpo.
Bisogna infatti imparare ad utilizzare non solo il polso radiale, che è il più ovvio, ma anche gli altri
polsi.
Per sentire il polso carotideo il riferimento è il ‘pomo d’adamo’, la cartilagine tiroidea della laringe,
la struttura che fa rilievo al di sotto della cute. Ai lati di questa struttura utilizzata come punto di
riferimento, con una leggera pressione, è possibile percepire il polso carotideo.
Le pulsazioni sono sincronizzate con il battito cardiaco, cioè con le sistole e le diastole degli atri e
dei ventricoli: questo polso serve per monitorare, indipendentemente dal polso radiale, l’afflusso di
sangue all’encefalo.
Se si percepiscono delle discrepanze tra il trascorrere del tempo (battito cardiaco) e le pulsazioni,
significa che a livello del cuore, senza avere un fonendo poggiato sul cuore, si può riscontrare una
variazione di circolazione poiché i sintomi sono rappresentati dalle pulsazioni alterate dell’arteria
carotide.
La carotide esterna ha il compito importante di andare a irrorare tutte le formazioni della faccia:
ossa, articolazioni, muscoli, denti, lingua, faringe, altri organi e muscoli del collo per cui presenta
un ampio e complicato territorio di vascolarizzazione.
La carotide esterna si va a porre nell’angolo formato, delimitato anche sulla superficie esterna dalla
parte laterale della mandibola e salendo si dispone davanti al padiglione dell’orecchio (tanto che
facendo una piccola pressione si sente pulsare, si tratta quindi di un ulteriore polso poiché è un’altra
zona in cui le pulsazioni possono essere tenute in considerazione).
Questa arteria, salendo davanti al padiglione dell’orecchio, si dispone in corrispondenza del cuoio
capelluto (che va ad irrorare) e prende il nome di arteria temporale superficiale, poiché ci troviamo
nella zona della testa chiamata zona temporale.
*Il secondo polso, dopo quello carotideo, è il polso temporale. Questa è poi una zona molto
importante perché in caso di massiccia emorragia, o a livello dell’articolazione temporomandibolare o che interessi le arcate dentarie, facendo pressione e spingendo l’arteria verso il piano
osseo è possibile temporaneamente fermare l’emorragia in attesa di soccorsi. Questo perché è il
ramo terminale della carotide esterna che va a tutte le formazioni della faccia, chiudendo a valle si
impedisce l’afflusso di sangue alla zona interessata dall’emorragia, sia a destra che a sinistra
(carotide ? sinistra e destra che poi si incontrano all’apice della volta e formano delle anastomosi
anche se si tratta di anastomosi insignificanti)
Allo stesso modo tutti i rami della carotide esterna di sinistra in corrispondenza dell’angolo tra le
orbite e delle pareti laterali del naso si incontrano e si anastomizzano.
I rami terminali della carotide esterna sono due: il più grosso è l’arteria temporale superficiale, un
altro ramo invece è l’arteria occipitale, così chiamata proprio perché è diretta posteriormente verso
l’osso occipitale.
-Un altro importante ramo terminale è l’arteria mascellare interna, così chiamata perché dalla
regione corrispondente al padiglione dell’orecchio questa arteria penetra all’interno della faccia in
corrispondenza dell’osso mascellare e decorre obliquamente.
Mentre la temporale sale verticalmente davanti al padiglione auricolare, la mascellare interna invece
decorre obliquamente verso l’interno della faccia e fornisce dei rami importantissimi uno dei quali
stranamente penetra all’interno della cavità cranica, cioè stabilisce un contatto tra l’interno e
l’esterno della testa.
I rami terminali della carotide esterna sono l’arteria temporale superficiale e la mascellare
interna.
L’arteria occipitale invece è un’arteria più piccola che si pone dietro il padiglione dell’orecchio
perché va a perfondere la regione occipitale.
I rami della carotide esterna (in precedenza abbiamo visto i rami terminali) vengono forniti tutti
(da ciascun lato) in una determinata regione, cioè prima di arrivare al padiglione dell’orecchio, nel
solco di depressione che si trova dietro la mandibola.
Anteriormente, dalla parte anteriore dell’arteria, vengono forniti i rami che vanno alla parte alta
della ghiandola tiroide, per cui abbiamo la tiroidea superiore.
Sulla parte anteriore abbiamo inoltre la faringe, per cui dalla parte anteriore dell’arteria carotide
esterna nasce un ramo che si fa ascendente perché deve salire e prende allora il nome di arteria
faringea ascendente.
Sempre dalla parte anteriore, insieme alla tiroidea, nasce l’arteria linguale, perché la radice della
lingua prende rapporto proprio con la laringe(?).
L’arteria mascellare esterna ( o arteria faciale) irrora tutte le parti molli della faccia e arrivata
all’angolo del naso fornisce i rami per il naso e si anastomizza con l’arteria faciale proveniente
dall’altro lato.
L’arteria faciale si chiama anche mascellare esterna perché rimane sulle parti molli della faccia,
quindi è in contrapposizione con il ramo terminale che prende il nome di mascellare interna, la
quale invece come abbiamo visto entra obliquamente all’interno della faccia, allora queste due
arteria decorrono in parallelo.
I rami della mascellare esterna sono poggiati quindi sulle masse muscolari della faccia; per mettere
in evidenza la mascellare interna invece bisogna immaginare di togliere le masse muscolari e
dissecare l’arcata zigomatica.
-Questa volta la cavità di riferimento è la cavità orale.
*Gli aggettivi sono sempre uguali: la carotide esterna e interna sono tali nei confronti della cavità
cranica, le mascellari esterna e interna invece sono tali nei confronti della cavità orale, e in misura
minore anche nei confronti della cavità nasale.
Quindi dalla parte anteriore della carotide esterna nascono la tiroidea superiore, la linguale e la
faciale, che si distribuisce alle parti molli della faccia. Inoltre nasce un ramo, l’arteria faringea
ascendente, che ha questo decorso ascendente poiché deve raggiungere la faringe che si trova più
in alto della laringe e della tiroide.
- Posteriormente invece avremo l’arteria occipitale e l’arteria auricolare posteriore, che si dispone
nel solco che esiste tra il padiglione dell’orecchio e l’osso temporale.
Vascolarizzazione dell’encefalo
Alla vascolarizzazione dell’encefalo, all’interno della cavità cranica, provvede l’arteria carotide
interna.
La carotide interna si è generata da ogni lato dalla carotide comune, in corrispondenza della
cartilagine tiroidea della laringe (cioè in corrispondenza del pomo d’Adamo).
La carotide interna entra all’interno del cranio, passando per l’osso temporale, e si dispone
all’interno della cavità cranica nella parte anteriore: dunque il suo territorio di vascolarizzazione è
rappresentato da tutta la parte anteriore, infatti provvede a vascolarizzare gli occhi e la parte
anteriore dell’encefalo.
La parte anteriore dell’encefalo è deputata alla elaborazione degli stimoli che presiedono alle nostre
attività motorie: noi organizziamo nella parte anteriore dell’encefalo tutti gli atti motori e li
programmiamo (ad esempio quando la sera programmiamo i nostri impegni della giornata
successiva).
La realizzazione motoria, anche se staccata nel tempo, è sempre a cura della parte anteriore
dell’encefalo; questo è reso possibile poiché c’è sempre un adeguato apporto di sangue al quale
provvede la carotide interna.
- La parte posteriore dell’encefalo invece viene irrorata da un’altra serie di arterie che prendono
origine da un ramo della succlavia.
La succlavia, sempre da ciascun lato, prima di passare sotto la clavicola e andare ad irrorare l’arto
superiore, dà luogo ad una serie di arterie tra le quali anche l’arteria vertebrale, così chiamata
perché percorre dei fori nelle vertebre cervicali, quindi risale tutto il collo, arriva in corrispondenza
dell’osso occipitale e penetra dentro il cranio dando luogo ad una serie di arterie che vascolarizzano
la parte posteriore dell’encefalo.
La parte posteriore dell’encefalo è deputata alla ricezione di altri stimoli, ad esempio gli stimoli
legati all’equilibrio (cervelletto).
Viene irrorata anche l’area temporale dell’encefalo, la sede dell’elaborazione degli stimoli acustici.
- Dunque la parte anteriore e la parte posteriore non possono essere staccate perché c’è
continuamente l’integrazione tra la sensibilità e l’attività motoria, per cui queste due arterie, cioè la
carotide interna anteriormente e l’arteria vertebrale (ramo della succlavia) posteriormente sono
collegate all’interno del cranio, cioè sono dotate di anastomosi importantissime che assicurano
costantemente la vascolarizzazione in toto dell’encefalo.
Queste anastomosi sono importanti perché in ogni momento la vascolarizzazione viene assicurata,
vale a dire se per caso si verifica un difetto alla carotide interna allora provvede da dietro la
vertebrale; anastomosi infatti significa collegamento per cui il sangue percorre tutti i vasi sanguigni
in contemporanea, però ci può essere una chiusura, un’obliterazione di un vaso che si trova a valle
dell’anastomosi e il sangue pertanto non arriva comunque.
*Gli ictus (accidenti vascolari cerebrali) sono determinati proprio dal fatto che il sangue non arriva
neppure alle anastomosi dal momento che l’arteria si è chiusa in un tratto precedente per cui il
danno si verifica in ogni caso e si tratta di un danno irreparabile perché le cellule nervose in
quell’area di cervello non servita da sangue muoiono.
Il concetto è dunque che questa vascolarizzazione è perfetta nella sua organizzazione poiché
l’esistenza di collegamenti (anastomosi) a tutti i livelli permette un’irrorazione contemporanea ed
efficiente sia della parte anteriore che della parte posteriore dell’encefalo. Se però il danno occorre
prima dell’anastomosi non si può fare nulla e la patologia insorge comunque nonostante la validità
del dispositivo anatomico.
- La circolazione interamente collegata che si stabilisce alla base dell’encefalo prende il nome di
circolo arterioso di Willis o circolo arterioso cerebrale o ancora poligono arterioso di Willis,
perché la struttura che si forma è riconducibile a un esagono, quindi un poligono.
La carotide interna (si può notare tra l’atro la vicinanza tra i due vasi che servono a perfondere
l’encefalo) si è staccata dalla carotide comune, percorre la parte posteriore della mandibola, sale ed
entra all’interno del cranio, disponendosi sulla parte anteriore della scatola cranica.
La carotide interna fornisce innanzitutto un unico ramo collaterale che prende il nome di arteria
oftalmica perché è destinata all’irrorazione del bulbo oculare (in questo non c’è nulla di particolare
anche perché ricordiamo che i due bulbi oculari si originano come calici ottici da emanazioni della
vescicola encefalica per cui devono avere la stessa vascolarizzazione).
Dunque l’unica carotide interna si dirama nelle due arterie oftalmiche destinate ai bulbi oculari.
Per quanto attiene sempre alla parte anteriore dell’encefalo, sulla base dell’encefalo, la carotide
interna dà anche l’arteria cerebrale anteriore che si dirige in avanti e le due arterie cerebrali
anteriori (una destra e una sinistra) presentano una forma ad ‘H’ perché sono collegate da una
anastomosi.
Le due arterie cerebrali anteriori comunicano tra di loro mediante un ramo che viene detto arteria
comunicante anteriore.
La parte anteriore del poligono è costituito dalle due cerebrali anteriori con la comunicante
anteriore.
La carotide interna dà anche un’arteria chiamata corioidea anteriore;
L’arteria corioidea anteriore è importante perché entra dentro la massa encefalica e va a
vascolarizzare la parte interna dell’encefalo.
All’interno dell’encefalo ci sono delle cavità in cui è contenuto il liquido cefalo-rachidiano, il quale
viene prodotto dal plasma sanguigno, ciò significa che a ridosso di queste cavità ci sono dei plessi
vascolari che guardano verso i ventricoli cerebrali; la parete di questi vasi lascia trasudare dal
plasma sanguigno il liquido cefalo-rachidiano. Queste strutture costituite ad vasi sanguigni molto
sottili si chiamano plessi corioidei, e l’arteria corioidea anteriore si risolve alla fine del suo
decorso(?) in questi plessi sanguigni che guardano verso le cavità ventricolari, verso i ventricoli
dell’encefalo.
Allora l’arteria corioidea anteriore porta sangue che poi produrrà il liquido cefalo-rachidiano.
Un altro ramo importante della carotide interna è l’arteria comunicante posteriore che forma i lati
laterali del poligono. Si chiama comunicante posteriore perché poi andrà a prendere rapporto con i
rami terminali dell’arteria vertebrale, che formano invece i lati posteriori del poligono.
Di fatto la connessione tra la carotide interna e la vertebrale è data proprio dalla comunicante
posteriore.
-Il poligono è formato dalle cerebrali anteriori con la comunicante anteriore, dalle comunicanti
posteriori e dalle cerebrali posteriori ( i quali sono rami della vertebrale).
I rami della carotide interna sono l’arteria oftalmica (che però è il ramo collaterale) mentre tutti
questi che entrano nella costituzione del circolo di Willis sono rami terminali e quindi la carotide
interna si continua con questi rami.
L’ultimo ramo è l’arteria cerebrale media diretto trasversalmente a partire dai lati del poligono di
Willis (una per ciascun lato). Queste arterie si chiamano arterie cerebrali medie perché si trovano in
mezzo tra la cerebrale anteriore e la posteriore e perché sono dirette internamente, all’interno della
massa encefalica.
Le arterie cerebrali medie sono responsabili della vascolarizzazione della maggior parte della
regione anteriore dell’encefalo.
Ci sono dunque tre ordini di cerebrali: anteriore e media sono di pertinenza della carotide interna, la
posteriore invece appartiene alla vertebrale.
Tra le due cerebrali anteriori c’è la comunicante anteriore; tra le cerebrali medie e le posteriori c’è
la comunicante posteriore che chiude il circolo che si viene a formare poiché il sangue si dispone
sia nella parte anteriore che nella parte posteriore.
- La parte posteriore dell’encefalo e della cavità cranica è servita dall’arteria vertebrale che si
stacca dalla succlavia.
L’arteria vertebrale è così chiamata perché si dispone nella colonna vertebrale cervicale, quindi
risale il collo, arrivata al grande foro occipitale lo attraversa e a questo punto le due arterie
vertebrali si fondono, si uniscono sulla linea mediana in corrispondenza della base cranica a
formare un unico tronco chiamato tronco o arteria basilare perché decorre sulla base del cranio e
poi si divide nelle due arterie cerebrali posteriori, che chiudono posteriormente il circolo di Willis.
*L’arteria vertebrale passa all’interno di fori scavati all’interno delle vertebre cervicali;
L’artrosi cervicale è una patologia che facilmente insorge nei soggetti adulti e significa che l’osso
che compone la vertebra non è liscio e delle dimensioni normali ma comincia a presentare degli
osteofiti(?), delle produzioni ossee che restringono i fori all’interno dei quali passa l’arteria
vertebrale; ecco perché vi sono individui che semplicemente compiendo movimenti con il collo
accusano capogiri dovuti alla mancanza temporanea, di pochi secondi, di ossigenazione alla parte
posteriore dell’encefalo perché è questa che controlla l’equilibrio.
Dunque avremo artrosi cervicale che è la patologia che sta a monte, ma in realtà è un difetto
vascolare che insorge poiché si restringono i fori di passaggio della vertebrale e quindi viene a
mancare temporaneamente sangue alla parte posteriore dell’encefalo. Tutto questo si riverbera sul
circolo di Willis perché arriva meno sangue alle arterie cerebrali posteriori (la carotide interna può
supplire a questa mancanza ma fino a un certo punto).
In definitiva la vascolarizzazione complessiva dell’encefalo è affidata alla carotide interna e
alla succlavia (perché la succlavia genera l’arteria vertebrale).
- Se immaginiamo di togliere il rivestimento cutaneo notiamo innanzitutto che ci sono delle
strutture ossee che si vengono a trovare al di sotto della cute e che rappresentano punti di repere
importanti nell’anatomia di superficie.
Queste strutture sono le due clavicole, infatti le clavicole sono superficiali, e posteriormente
margini superiori delle due scapole.
Queste ossa rappresentano dei punti di riferimento importanti perché le due clavicole stanno a
segnare la base del collo che corrisponde all’apertura superiore del torace.
Sopra le clavicole vi sono delle fosse, le fosse sopraclavicolari, le quali rappresentano punti di
repere per passaggio di vasi e nervi. Questa inoltre viene considerata anche la radice anteriore
dell’arto superiore perché tutte le strutture vascolari e nervose destinate all’arto superiore sono
individuabili a livello della fossa sopraclavicolare.
Anche l’apice del polmone si affaccia nella fossa sopraclavicolare; la succlavia forma infatti un arco
sopra la cupola pleurica, cioè quella parte di pleura che avvolge l’apice del polmone.
*Nel caso in cui si infiammi la cupola della pleura oppure l’apice del polmone sia affetto da una
patologia tumorale si ha la compressione del nervo per cui il paziente inizialmente accusa problemi
alla mano, parestesie, formicolii.
Il bravo medico è quello che non si ferma al sintomo superficiale ma cerca quello che c’è dietro tali
sintomi.
Anche i tumori per esempio della mammella in fase iniziale, per la metameria, danno riscontri
negativi alla funzionalità dell’arto superiore.
Tra le due clavicole c’è una piccola depressione, l’incisura giugulare dello sterno, e in questa zona,
sul fondo di tale incisura c’è la trachea, anzi questo è il punto in cui la trachea è scoperta, infatti
questa è la zona elettiva per intervenire nei casi in cui bisogna insufflare aria e consentire la
respirazione al soggetto.
Ai lati della trachea ci sono le due vene giugulari esterne (quelle interne si trovano al di sotto delle
masse muscolari e non si vedono).
Le vene giugulari esterne invece sono più vicine al piano cutaneo e drenano il sangue proveniente
dalle parti più esterne della faccia; esse scendono verso il basso, drenano sempre nella vena
giugulare interna(?), ma formano in corrispondenza dell’arco tra le due clavicole un arco venoso,
che prende il nome di arco venoso del giugolo perché mette in connessione le due giugulari.
*Quest’arco venoso è una zona pericolosa per cui se si deve praticare un’incisione non si farà mai
tenendo in considerazione la parte superiore dello sterno perché lì è presente questa vena di
connessione e dunque si deve incidere la cute in profondità per arrivare sicuramente alla trachea.
Ai lati della trachea si trovano queste vene giugulari esterne.
La parete laterale del collo invece è segnata dal muscolo sternocleidomastoideo , così chiamato
perché nasce dallo sterno e dalla clavicola e va a terminare in corrispondenza del processo
mastoideo dell’osso temporale, cioè il rilievo che si trova dietro il padiglione dell’orecchio.
Questo muscolo, che presenta un andamento a S, è il muscolo satellite del fascio vascolo-nervoso
del collo, perché al di sotto di questo muscolo si trova superficialmente la carotide comune.
Il fascio vascolo-nervoso del collo è formato dall’arteria carotide comune, che sale nel collo, dalla
vena giugulare interna che rappresenta il limite per il drenaggio venoso della testa, per cui
rappresenta il ritorno venoso del territorio irrorato dalla carotide comune con le sue diramazioni
interna ed esterna, dunque vena giugulare interna da sola drena tutto il sangue che ha circolato
dentro il cranio e fuori, sulla faccia e sulla testa.
- Queste due formazioni vascolari (carotide comune e vena giugulare interna?) sono disposte a
formare un angolo (angolo diedro aperto anteriormente) sotto il muscolo sternocleidomastoideo; la
carotide comune non copre totalmente la vena e questa angolazione fa sì che la vena giugulare
interna nella sua prima porzione, quindi dalla mandibola in giù, sia allo scoperto sotto la cute;
(quando si viene impiccati si stringe la giugulare interna per cui viene impedito il deflusso del
sangue e l’encefalo si avvelena per eccesso di anidride carbonica).
- Nell’angolo che formano la carotide comune esternamente e la vena giugulare interna, decorre il
nervo vago, il quale è il nervo cranico del decimo paio e rappresenta il più grosso nervo del nostro
corpo. E’ così chiamato perché non ha un territorio ben definito, comincia a livello dell’encefalo ma
i suoi ultimi rami sono quelli che servono gli organi pelvici.
E’ un tronco nervoso notevole perché ha la componente motrice, la componente somatica ma oltre a
controllare i muscoli del nostro corpo e la componente viscerale, quindi va a innervare anche i
visceri, addirittura quelli della regione pelvica.
La regione laterale del collo viene individuata in superficie, sotto la cute, dal muscolo
sternocleidomastoideo, che è il muscolo satellite del fascio vascolo-nervoso del collo;
il fascio pascolo-nervoso forma un angolo: il lato esterno, sotto il muscolo sternocleidomastoideo, è
formato dalla carotide comune mentre il lato interno, più lontano dal muscolo
sternocleidomastoideo, è formato dalla vena giugulare interna; nella parte interna dell’angolo si
viene a trovare il nervo vago.
Tutte queste formazioni convergono verso la base del collo, vale a dire l’apertura superiore del
torace; è chiaro che la carotide comune sta nascendo alla base del collo perché nasce dall’arco
aortico (a destra dall’anonima, a sinistra direttamente dall’arco aortico), la vena giugulare interna
invece sta entrando attraverso l’apertura superiore del torace perché è affluente da ogni lato della
vena anonima. Anche il nervo vago entra attraverso l’apertura superiore del torace perché proviene
dall’encefalo: le tre strutture quindi sono una in uscita dal torace e due in ingresso e sono tutte
ricoperte dal muscolo sternocleidomastoideo.
Quando la S del muscolo sternocleidomastoideo si appiattisce consente la rotazione della testa dal
lato opposto al muscolo che si contrae.
Se invece si contraggono entrambe invece possiamo innalzare la testa quindi portare il mento verso
l’alto.
*Il torcicollo è dovuto alla contrazione non coordinata dei due muscoli. Un tempo per far nascere i
bambini si utilizzava il forcipe con il quale si faceva compiere una rotazione alla testa del bambino
per estrarla per cui si traumatizzavano i due muscoli sternocleidomastoidei e si nasceva con il
torcicollo congenito.
Lezione 10
I tre rami che l’arco aortico abbandona dalla convessità occorre elencarli sempre da destra verso
sinistra.
Il primo ramo di destra prende il nome di arteria anonima o anche tronco brachio-cefalico perché
secondo la nomenclatura tradizionale un tronco è un unico ramo, anche molto breve, che si divide in
due rami. I due rami di origine del tronco brachio-cefalico sono l’arteria succlavia che serve l’arto
superiore destro e a questa fa seguito l’altro ramo del tronco brachio-cefalico, cioè la carotide
comune del lato destro.
Continuando sull’arco aortico, il ramo centrale dei tre è la carotide comune di sinistra, infine il ramo
all’estrema sinistra è la succlavia sinistra per l’arto superiore sinistro.
Questi tre rami sono uguali e variano solo per la lunghezza: quindi la carotide e la succlavia di
destra non sono diverse rispetto alle loro controlaterali, semplicemente i rami del lato sinistro,
poiché nascono direttamente dall’arco aortico, sono più lunghi.
Questa differenza comunque non incide né dal punto di vista funzionale né dal punto di vista
clinico.
- Per quanto attiene invece alle due carotidi comuni, sono così chiamate perché danno luogo a due
rami che si dispongono diversamente nei confronti di una cavità.
*Per cui non abbiamo bisogno di chiamare l’arteria anonima o tronco brachio-cefalico ‘tronco
comune’ perché i due rami di divisione sono diversamente distribuiti e vanno a due regioni
differenti quindi una va all’arto superiore e l’altro verso la testa.
Invece la carotide comune deve essere definita ‘comune’ perché dà luogo a due arterie che si
chiamano ancora carotidi, come il ramo da cui prendono origine, però si dispongono diversamente
nei confronti di un’unica cavità, che è la cavità cranica. Una delle due prende il nome di carotide
esterna, perché rimane fuori dalla cavità cranica e va ad irrorare la faccia e il cuoio capelluto, l’altra
prende il nome di carotide interna perché entra dentro il cranio e irrora la parte anteriore
dell’encefalo e la parte anteriore della cavità cranica.
Abbiamo visto che il circolo di Willis consente la comunicazione, il sangue circola liberamente tra
la parte anteriore e la parte posteriore.
Se c’è un difetto in una delle due arterie, provvede l’altra perché sono ampiamente anastomizzate e
quindi hanno dei tronchi di collegamento che fanno sì che il sangue non dovrebbe venire a mancare
mai, ma in realtà quando si hanno degli accidenti vascolari, quindi ictus, si hanno conseguenze
perché il blocco, di qualsiasi natura esso sia, è avvenuto a valle dell’anastomosi.
Succlavia
La succlavia destra nasce dal tronco brachio-cefalico mentre la succlavia sinistra nasce
direttamente dall’arco aortico.
L’arco aortico si trova quasi all’altezza dell’apertura superiore del torace: infatti se il soggetto è in
ortostatismo l’arco dell’aorta è sotto il limite superiore del torace e termina in corrispondenza della
quarta vertebra toracica; se invece mettiamo il soggetto in posizione supina (che fra l’altro è
l’atteggiamento che solitamente si utilizza sia per la visita medica sia per effettuare determinate
indagini) l’arco aortico e tutte le strutture, cuore compreso, salgono verso la base del collo, quindi
l’arco comincia ad affacciarsi verso la base del collo. Ovviamente queste strutture non si muovono
liberamente poiché sono presenti dei ligamenti, delle fasce connettivali che le tengono ancorate.
La succlavia è così chiamata perché passa sotto la clavicola (deriva dal latino sub clavia).
Questa arteria si porta verso l’alto e passa sotto la clavicola, per cui il punto di repere dell’anatomia
di superficie è la clavicola da ogni lato.
Ma la clavicola è un osso che si estende quasi trasversalmente e allora viene considerato come
punto di repere per il passaggio della succlavia la parte media della clavicola, quindi nella zona
mediana. Sopra la zona mediana della clavicola c’è la fossa sopraclavicolare, che rappresenta un
punto molto importante perché all’interno della fossa sopraclavicolare sono contenute tutte una
serie di strutture vascolari (sanguigne e linfatiche) e nervose, che circondano l’apice del polmone.
L’apice del polmone si affaccia alla base del collo, proprio nella fossa sopraclavicolare ed è
circondato da tutta una serie di strutture.
* Torneremo a parlare della fossa sopraclavicolare a proposito del sistema linfatico perché dentro
questa fossa ci sono dei linfonodi che vengono chiamati comunemente in clinica linfonodi
sentinella. Quando questi linfonodi della fossa sopraclavicolare sono ingrossati oppure
particolarmente repressibili(?) alla palpazione significa che una struttura di questa fossa è
infiammato: potrebbe essere l’apice del polmone, uno dei vasi che vi passano o una struttura
qualsiasi della regione.
La succlavia passa sotto la clavicola e dietro la clavicola a livello della sua parte media e si viene a
trovare nello spazio tra la clavicola e la prima costa; a questo punto esce fuori e si viene a trovare
nella regione laterale del torace (il limite è rappresentato dal muscolo grande pettorale, il muscolo
che copre la parete toracica anteriore e va a terminare sull’omero, per cui avendo questo decorso
avrà un margine laterale). A questo livello, rappresentato dal margine laterale del grande pettorale,
la succlavia termina, cambia nome e diventa arteria ascellare, proprio perché sta attraversando il
cavo ascellare e da questo momento in poi sarà destinata a irrorare l’arto superiore.
- La succlavia allora ha due porzioni, una che rimane nell’ambito del torace e provvede
all’irrorazione del torace ( è molto importante perché va quindi a irrorare tutte le strutture che si
trovano nel torace – nella donna la vascolarizzazione della ghiandola mammaria è affidata anche
all’arteria succlavia).
Quest’arteria allora dà tutta una serie di rami fino a che si trova dentro la cavità toracica.
I rami della succlavia che interessano la regione toracica sono tre: l’arteria vertebrale, la toracica
interna ( che viene chiamata anche mammaria) e il tronco tireo-cervicale, così chiamato perché dà
un ramo, l’arteria tiroidea inferiore (che va ad irrorare la parte inferiore della ghiandola tiroidea;
ricordiamo che c’è anche un ramo tiroideo superiore a cura della carotide esterna)
Un ramo della carotide esterna, mentre va verso la faccia, abbandona dall’alto l’arteria tiroidea
superiore per la parte superiore della ghiandola tiroidea; la succlavia, mentre è dentro il torace, con
il suo tronco tireo-cervicale, abbandona un ramo, l’arteria tiroidea inferiore che si distribuisce alla
parte inferiore della ghiandola tiroidea.
*Queste strutture sono importantissime perché queste arterie poi andranno a diramarsi in maniera
molto fine all’interno della tiroide; quando la tiroide si ammala e bisogna intervenire asportando
una parte della ghiandola tiroidea, il chirurgo potrebbe provocare un’emorragia motivo per il quale
bisogna conoscere il decorso dei vasi che irrorano la ghiandola tiroidea poiché potrebbero esserci
delle variazioni anatomiche tra un individuo e l’altro. E’ buona norma, prima di qualunque
intervento sulla tiroide, effettuare delle indagini strumentali che permettano di visualizzare il
decorso dei vasi arteriosi.
Il tronco è chiamato ileo-cervicale perché quasi subito (ecco perché tronco) si divide in arteria
tiroidea inferiore, in arteria trasversa della scapola e in arteria cervicale superficiale.
L’arteria trasversa della scapola è così chiamata perché siccome la scapola ha la forma di un
triangolo con l’apice rivolto verso il basso e la base in alto, questa arteria si dispone sul margine
superiore della scapola e si dirige lateralmente per andare ai muscoli della spalla.
L’altro ramo, l’arteria cervicale superficiale, si chiama ‘cervicale’ perché si orienta, dalla regione
della fossa sopraclavicolare, verso la regione cervicale posteriore, vale a dire la regione posteriore
del collo (cervicale è l’aggettivo che indica strutture situate nel collo). Sulla parte superficiale
posteriore del collo si trova il muscolo trapezio.
Il muscolo trapezio è importantissimo perché ci consente il mantenimento della stazione eretta e ci
consente di vincere la forza di gravità: se non avessimo il muscolo trapezio non potremmo
mantenere la testa eretta ma ogni momento la porteremmo in avanti perché la forza di gravità ci
vincerebbe. Questo muscolo ci permette di tenere le spalle e la testa in estensione consentendo il
mantenimento della stazione eretta e il muscolo trapezio viene irrorato proprio dall’arteria cervicale
superficiale.
Dunque l’arteria cervicale superficiale dalla fossa sopraclavicolare si porta verso la regione
posteriore del collo ma resta in superficie perché va ad irrorare il muscolo trapezio.
In seguito troveremo anche un’arteria cervicale profonda perché se immaginiamo di togliere il
muscolo trapezio osserviamo al di sotto altri muscoli che hanno la forma di bende, sono come delle
bende che fasciano la parte posteriore del collo e la rinforzano: questi muscoli vengono chiamati
muscoli spleni (splenio della testa e splenio del collo) ed hanno sempre la funzione di mantenere la
testa in estensione(?).
- Sia la parte superficiale, sia la parte profonda del collo, sono irrorati da rami della succlavia:
quella più superficiale è il tronco tireo-cervicale, l’altro lo troveremo oltre, una volta che la
succlavia ha abbandonato il torace.
L’arteria vertebrale, come già visto, si immette all’interno delle vertebre cervicali, sale fino alla
regione cranica, attraversa il grande foro occipitale e si viene a trovare all’interno della cavità
cranica nella parte posteriore.
Queste due arterie vertebrali, una da ogni lato, si uniscono dentro la cavità cranica formando
l’arteria basilare che sta poggiata sulla base del cranio.
L’arteria basilare alla fine abbandona le arterie cerebrali posteriori che chiudono posteriormente
il poligono di Willis.
Ricordiamo ancora una volta che il poligono di Willis è formato dalle arterie cerebrali anteriori
unite dalla comunicante anteriore formando una specie di lettera H, poi ci sono le cerebrali medie,
le comunicanti posteriori e le cerebrali posteriori
Le arterie cerebrali anteriori, medie e comunicanti posteriori sono rami della carotide interna mentre
le due cerebrali posteriori sono rami dell’arteria vertebrale.
*Come già accennato poiché questa arteria passa all’interno di fori ossei, in caso di artrosi questi
fori si possono restringere per cui con i movimenti del collo ci può essere un deficit vascolare alla
testa, infatti le persone affette da artrosi cervicale denunciano capogiri e un disagio anche a
rimanere in piedi per lungo tempo perché la parte posteriore dell’encefalo con il cervelletto
provvede al mantenimento dell’equilibrio ed è chiaro che queste strutture non funzionano bene se
non sono adeguatamente irrorate.
Il soggetto, prima ancora di venire a conoscenza del difetto vascolare avvertirà anche disturbi alla
vista poiché gli occhi si sbilanciano, non sono più alla stessa altezza, si dispongono su piani diversi.
- L’arteria toracica interna Se osserviamo lo sterno non dalla superficie anteriore ma da quella
posteriore (quella che guarda verso il pericardio) si vede che ai lati dello sterno, sulla superficie
interna decorrono due arterie, chiamate arterie toraciche interne; quindi da ogni lato, ai lati dello
sterno, si dispone l’arteria toracica interna che viene considerata ramo terminale della succlavia.
La succlavia dunque verso l’arto superiore(?) termina con la mascellare, verso il torace
termina con la toracica interna.
L’arteria toracica interna è così chiamata perché si trova dentro il torace ai lati dello sterno; l’arteria
toracica interna è molto importante per vari motivi: si trova ai lati dello sterno, per cui prima di ogni
cosa abbandona da ogni lato le arterie intercostali anteriori che irrorano le cartilagini costali e le
coste fino alla parte laterale del torace, poi si anastomizzano ‘a pieno canale’: significa che ad un
certo punto nella regione laterale del torace non si sa più dove finisce l’intercostale che proviene
dalla toracica interna e l’intercostale che invece proviene dall’aorta toracica, cioè l’arteria
intercostale posteriore.
Sulla stessa linea, in senso antero-posteriore, all’interno del torace abbiamo le intercostali anteriori
che sono rami della toracica interna e le intercostali posteriori che sono rami dell’aorta toracica.
Sulla regione laterale del torace queste due arterie, intercostale anteriore e posteriore si
anastomizzano “a pieno canale”quindi non si sa più dove termina una e inizia l’altra: in questo
modo la cavità toracica viene irrorata interamente, pienamente a livello di ogni segmento, di ogni
costa e dunque tutte le strutture metameriche che formano la gabbia toracica (coste, muscoli e nervi)
sono irrorati da questi due ordini di arterie, anteriore e la posteriore.
Alcuni rami perforanti dell’arteria toracica interna passano a irrorare la cute della regione anteriore
del torace; allora la toracica interna ha però dei rami che perforano la parete toracica e arrivano a
livello della cute.
*Qui c’è da fare un discorso particolare perché nell’ambito dell’apparato tegumentario viene
considerata la ghiandola mammaria.
Perché la ghiandola mammaria viene descritta con l’apparato tegumentario e non con altre
formazioni, con le ghiandole ad esempio?
Perché è una formazione che si viene a trovare nel sottocutaneo, vale a dire nel grande spazio di
connettivo che sta sotto la cute e che la isola dalle strutture sottostanti e consente alla cute e di
muoversi rispetto ai piani sottostanti.
- La ghiandola mammaria ha la particolarità di essere una ghiandola del sottocutaneo, quindi
verrà irrorata dai rami perforanti della toracica interna.
Per questo motivo la toracica interna viene anche chiamata arteria mammaria, perché una
cospicua quantità del sangue che la perfonde è destinata alla ghiandola mammaria.
Poi la toracica interna scende anche in cavità addominale
La toracica interna, per stare ai lati dello sterno, prende rapporti, in corrispondenza del processo
xifoideo dello sterno (la parte appuntita dello sterno) con le inserzioni del diaframma presenti in
questa regione; dunque perfora il diaframma, passa attraverso delle piccole soluzioni di continuo del
diaframma e si viene a trovare in cavità addominale, sulla parte alta della cavità addominale, cioè in
regione epigastrica.
A questo livello l’arteria toracica interna non è più tale, perché logicamente ha cambiato regione e
ha abbandonato le arterie epigastriche superiori.
Le arterie epigastriche superiori scendono verso il basso e si vanno ad anastomizzare, anche in
questo caso a pieno canale, con le arterie epigastriche inferiori che invece vengono dal basso
perché sono rami dell’arteria iliaca interna;
Tutto questo avviene nello spessore del muscolo che è disposto anteriormente sulla parete
addominale anteriore e che si chiama muscolo retto, perché scende rettilineo dal processo xifoideo
dello sterno fino all’osso dell’anca.
Il muscolo retto è un muscolo molto importante perché esattamente al centro di questo muscolo per
esempio c’è la cicatrice ombelicale e proprio in questa regione, all’altezza dell’ombelico, c’è
l’incontro tra la arterie epigastriche superiori (rami della toracica interna) e le arterie epigastriche
inferiori (rami dell’iliaca interna).
A questo livello dunque si verifica l’unione di due circoli collaterali, vale a dire il circolo
collaterale dalla succlavia e il circolo collaterale dalla iliaca (che poi andrà ad irrorare l’arto
inferiore).
C’è quindi un parallelismo tra i due arti, l’arto superiore e l’arto inferiore si mettono in
connessione attraverso le due epigastriche superiore e inferiore da ogni lato della cicatrice
ombelicale e nello spessore del muscolo retto.
L’anastomosi tra la succlavia e l’iliaca interna rappresenta un’altra particolarità dell’apparato
vascolare.
*Questa è un’altra zona importante perché un tempo, quando la maggior parte degli interventi sugli
organi addominali si facevano aprendo la cavità addominale (anche se oggi non si fa più grazie alle
tecniche di laparoscopia) il chirurgo non doveva mai incidere la zona mediana o le zone
paramediane, cioè immediatamente ai lati della cicatrice ombelicale perché altrimenti avrebbe
reciso una di queste arterie; doveva incidere invece ai lati dei muscoli retti dove sicuramente non si
trovavano vasi sanguigni o nervi.
Riepilogo
I tre rami che vengono dati dalla succlavia dentro la cavità toracica sono l’arteria vertebrale, la
toracica interna ( arteria mammaria) e il tronco tireo-cervicale)
- L’arteria vertebrale è importante perché va verso la testa e completa la circolazione di questa
regione insieme alla carotide interna, dunque la prima anastomosi la succlavia la fa con la carotide
interna.
- Un tronco dell’arteria toracica interna è importante perché stabilisce dei rapporti con la
circolazione degli arti inferiori, dunque stabilisce un contatto con la regione pelvica e dell’arto
inferiore.
La toracica interna è importante anche perché stabilisce dei contatti a livello intercostale con l’aorta
toracica, quindi provvede all’irrorazione delle pareti del torace.
- Il tronco tireo-cervicale è destinato all’irrorazione della ghiandola tiroide (divide il territorio di
irrorazione con la carotide esterna)
*Dunque il contatto della succlavia con le carotidi è completo perché tramite l’arteria vertebrale
comunica con la carotide interna e tramite il tronco tireo-cervicale (per la tiroide) comunica con la
carotide esterna.
-
Ricordiamo poi l’arteria trasversa della scapola che passa sul margine superiore della
scapola per i muscoli della spalla e l’arteria cervicale superficiale diretta posteriormente per
andare ad irrorare il muscolo trapezio (per questo è superficiale).
Consideriamo la succlavia quando è quasi al limite con la formazione dell’ascellare (quindi a questo
livello abbiamo superato la linea mediana della clavicola e stiamo procedendo verso l’esterno);
verso l’esterno la succlavia ha il compito di andare ancora ad irrorare strutture nella gabbia toracica
perché la toracica interna ha dato le intercostali anteriori però rimangono le parti alte della gabbia
toracica (la prima, la seconda costa); allora il primo ramo che dà la succlavia portandosi
lateralmente è il tronco costo-cervicale.
Il tronco costo-cervicale va a circondare l’apice del polmone ricoperto dalla pleura (ricordiamo
infatti che la pleura in questa regione forma una cupola che avvolge interamente l’apice), il tronco
quindi è costretto a circondare ad arco la cupola pleurica.
Il tronco costo-cervicale dà l’intercostale suprema, così chiamata perché è la primissima
intercostale che passa al di sopra della prima costa, quindi viene prima di ogni altra intercostale ed è
esattamente al limite, al confine con la base del collo.
A partire dalla prima costa l’irrorazione è poi garantita dai rami della toracica interna.
Il tronco costo-cervicale dà poi l’arteria cervicale profonda, in opposizione alla cervicale
superficiale.
Infatti la cervicale superficiale andrà al muscolo trapezio mentre la cervicale profonda va ad
irrorare i muscoli più profondi del collo, quei muscoli che come delle bende circondano la regione
cervicale e la rendono maggiormente robusta.
Un’altra arteria della succlavia(?) è l’arteria trasversa del collo; quest’arteria è trasversa come
quella della scapola; l’arteria trasversa della scapola passa sul margine superiore della scapola,
l’arteria trasversa del collo passa invece più su, ma sempre parallelamente, e poi si divide: una parte
sale e va ad irrorare i muscoli del collo, un’altra parte invece scende.
Dunque l’unico ramo che decorre rettilineo (arteria trasversa della scapola) poi si divide a ‘V’, una
parte sale verso il collo e un’altra parte invece scende a va a irrorare i muscoli inferiori, cioè i
muscoli della spalla ancora e i muscoli del dorso.
Il trapezio è un muscolo notevole ed è così chiamato nonostante abbia la forma di un rombo(?):
i lati laterali del rombo sono quelli che si inseriscono sulle scapole, in alto invece il vertice
superiore della losanga termina sull’osso occipitale mentre il vertice inferiore del muscolo, il
tendine inferiore termina sulle prime sei vertebre toraciche.
Dunque la parte superiore del trapezio viene irrorata dal tronco tireo-cervicale; la parte inferiore
invece proprio dal ramo discendente dell’arteria trasversa del collo.
- Quindi la succlavia inizialmente si trova nella fossa sopraclavicolare e fornisce rami per il torace;
man mano poi si porta lateralmente perché deve continuarsi con l’arteria ascellare, allora oltrepassa
la fossa sopraclavicolare compiendo un arco sopra la cupola pleurica: a questo punto comincia a
dare dei rami che servono il primo, cioè il tronco costo-cervicale la regione al di sopra della prima
costa (come abbiamo visto questo tronco dà l’intercostale suprema) e poi dà la cervicale profonda
che si dirige ai muscoli posteriori del collo dello strato profondo.
L’altra arteria è l’arteria trasversa del collo che decorre quasi orizzontalmente e poi subito dopo so
divide in due rami, uno che sale nel collo e l’altro che scende nel dorso.
La prima porzione della succlavia si trova tra clavicola e prima costa quindi è più superficiale, più
proiettata anteriormente; l’altra porzione invece, man mano che si svolge verso gli arti si fa più
profonda, passa dietro la cupola pleurica e pertanto è destinata ad irrorare le parti più profonde del
collo e del dorso.
Se vi dovessero chiedere da quali arterie viene irrorata la parete toracica sappiamo che la maggior
parte del torace è irrorato da rami della succlavia.
Prima di tutto c’è la succlavia, la quale poi fornisce la ascellare, termina formando la ascellare(?).
La succlavia dà la toracica interna o mammaria ai lati dello sterno e i rami intercostali anteriori
(anastomizzati con le arterie intercostali posteriori che sono rami dell’aorta toracica).
Poi abbiamo l’intercostale suprema che passa sopra la prima costa (siamo quindi alla base
dell’apertura toracica) e poi dall’ascellare, cioè il ramo di continuazione della succlavia verso l’arto
superiore si staccano l’arteria toracica suprema e l’arteria toracica laterale che si dispone ai lati
del torace.
Allora la gabbia toracica, o comunque il torace complessivamente è irrorato anteriormente,
posteriormente e lateralmente; lateralmente in profondità c’è l’anastomosi tra l’intercostale
anteriore e posteriore; sulla superficie esterna abbiamo la toracica laterale che si stacca
dall’ascellare nel momento in cui questa comincia ad irrorare l’arto superiore, quindi nel momento
in cui la succlavia varca la regione toracica per immettersi in cavità ascellare e diventare già arteria
dell’arto. Questo non ci meraviglia se pensiamo che nello sviluppo embriologico gli arti superiori
sono delle emanazioni della parete toracica anteriore e dunque la vascolarizzazione rimane come
arborizzazione unica a partire dalla succlavia, da ogni lato.
*Nel caso di un’emorragia massiccia la compressione della succlavia serve a bloccare
momentaneamente la emorragia: la compressione viene applicata sulla fossa sopraclavicolare
perché in questo momento, a livello della regione media della clavicola la succlavia sta passando
superficialmente per cui se si preme contro la costa(?) si preme l’arteria contro il piano osseo quindi
l’emorragia viene bloccata, fermata, chiaramente in maniera temporanea.
Inoltre una compressione della succlavia a valle, poco dopo la sua origine porta logicamente meno
sangue a tutti i distretti, come la testa, la regione addominale, la regione intercostale quindi non
bisogna assolutamente prolungare la compressione per tanto tempo altrimenti il soggetto potrebbe
avere altri deficit più gravi.
Aorta
All’arco dell’aorta fa seguito l’aorta toracica: per giusta regola dovremmo chiamare quest’ultima
parte di aorta complessivamente aorta discendente.
Il primo tratto dell’aorta, quello che nasce dal ventricolo sinistro, poiché si porta dal basso verso
l’alto e dall’avanti verso l’indietro viene detta aorta ascendente, poi si forma l’arco il quale
anch’esso va dall’avanti verso l’indietro, da destra verso sinistra e da quest’arco si forma l’aorta
discendente, che a causa della presenza del diaframma viene divisa in due settori, l’aorta toracica e
l’aorta addominale; il diaframma è un muscolo che continuamente si contrae e sul centro tendineo
del diaframma, quindi sulla parte solida, tesa del diaframma che non risente delle contrazioni
muscolari poggia il cuore.
Il cuore ha necessità di stare sulla parte solida del diaframma per non risentire delle sue contrazioni.
L’aorta, allo stesso modo, non può risentire delle contrazioni del diaframma perché se il suo orifizio
di passaggio fosse nella zona muscolare ogni volta che contraiamo il diaframma avremmo un deficit
vascolare, soprattutto in regione addominale.
L’aorta quindi ha bisogno di essere sganciata da qualsiasi rapporto con il muscolo e dunque passa
attraverso un orifizio particolare che è delimitato dalle inserzioni tendinee del diaframma alle
vertebre lombari.
Dunque l’aorta discendente ha questa caratteristica: per tutto il suo decorso, quindi sia in regione
toracica sia in regione addominale è situata a sinistra della colonna vertebrale e poggia su di questa;
nel momento in cui attraversa il diaframma si viene a trovare in uno spazio delimitato ai lati dalle
inserzioni tendinee del diaframma stesso alle vertebre lombari e posteriormente dalla colonna
vertebrale della regione lombare, quindi il suo orifizio è solido da ogni lato poiché presenta tendini
sui due lati e osso posteriormente.
In questo modo l’aorta non viene assolutamente disturbata dalle contrazioni del muscolo
diaframma e pertanto il flusso di sangue può passare con continuità.
A destra della colonna vertebrale decorre la vena cava inferiore per cui è solo la posizione nei
confronti della colonna vertebrale a far capire qual è l’aorta e qual è la vena cava inferiore.
Queste strutture però, aprendo la parete addominale e ribaltando i lembi, inizialmente non si vedono
perché ci sono tutti gli organi addominali; inoltre i reni con le ghiandole surrenali, vena cava
inferiore, colonna vertebrale e aorta sono coperte dal peritoneo.
Il peritoneo parietale chiude i due reni e li applica alla parete addominale posteriore, infatti i reni
vengono chiamati organi retroperitoneali.
*Per visionare queste strutture bisognerebbe incidere il peritoneo e aprirlo ma solitamente questo
non si fa mai perché non è possibile non provocare dei danni con l’incisione dal momento che il
peritoneo è un rivestimento continuo quindi se viene aperto in qualsiasi punto si crea una soluzione
di continuo con la cavità addominale e il liquido peritoneale si espande in cavità addominale, quindi
non è possibile, infatti gli interventi sul rene vengono fatti incidendo la parete addominale
lateralmente, nella regione del fianco.
Anche questi interventi comunque sono stati superati perché sostituiti da una tecnica chiamata
micro..? che consente, tramite l’invio di potenti ultrasuoni, di dissolvere i calcoli eventualmente
presenti a livello del rene. Quindi oramai gli interventi sul rene sono fondamentalmente solo quelli
di trapianto ma anche questi vengono eseguiti in condizioni da non interrompere mai la continuità
del peritoneo.
L’aorta toracica allora fa seguito all’arco dell’aorta e si estende dalla quinta vertebra toracica
( perché l’arco aortico invece si trova alla quarta vertebra toracica) alla dodecisema, cioè alla fine
della gabbia toracica. In questo modo l’aorta, per mezzo dell’arco e aorta toracica ha interessato la
regione toracica.
L‘aorta toracica poi, per trovarsi a ridosso della colonna vertebrale, decorre nel mediastino
posteriore, dietro il cuore, e prende rapporto con un altro viscere importante che passa nel
mediastino posteriore, vale a dire l’esofago.
L’esofago è contenuto nel mediastino posteriore e si dice che incrocia l’aorta toracica; dunque
l’esofago mentre passa nel collo si trova nella regione mediana (sempre posteriormente poggiato
contro la colonna vertebrale della regione cervicale) per attraversare l’apertura superiore del torace
ritrovandosi in cavità toracica. A questo livello progressivamente dalla regione mediana si sposta
lateralmente per cui passa sopra l’aorta toracica, la incrocia a x, si dispone a sinistra della stessa e
attraversa il diaframma passando però in piena zona muscolare del diaframma.
Perché l’esofago deve passare in piena zona muscolare?
Tale passaggio muscolare, con gli atti respiratori, fa da sfintere all’esofago, allora il bolo alimentare
scende nell’esofago e poi nello stomaco, non ritorna indietro proprio perché questo orifizio
diaframmatico è servito da sfintere. Con gli atti respiratori, al momento della deglutizione, quindi
nel momento in cui il bolo alimentare viene spinto dalla lingua posteriormente, questo scende
nell’esofago e trova l’orifizio diaframmatico aperto (perché ad ogni atto di deglutizione
meccanicamente si apre l’orifizio diaframmatico dell’esofago) per cui il bolo passa nello stomaco e
non ritorna indietro poiché lo stesso orifizio si chiude con il secondo atto respiratorio (espirazione)
Con l’inspirazione si apre, con l’espirazione si chiude meccanicamente.
*Certe manifestazioni come il singhiozzo sono dovute a delle contrazioni anomale del diaframma,
infatti per far terminare il singhiozzo si trattiene il respiro consentendo al diaframma di ritornare
nella posizione di riposo (il diaframma si appiattisce).
Il singhiozzo determina quei suoni particolari perché dal momento che si verifica un passaggio di
aria incontrollato e non coordinato attraverso la laringe si mettono in vibrazione le corde vocali e
viene prodotto quel suono.
Dunque mentre l’orifizio aortico si trova in una zona protetta e in una zona che non risente delle
contrazioni del diaframma, l’orifizio esofageo si trova in piena zona muscolare perché quel
passaggio serve da sfintere all’esofago stesso.
Per quanto attiene l’aorta toracica dobbiamo descrivere rami parietali, per le pareti del torace e
rami viscerali per gli organi contenuti all’interno del torace.
· I rami parietali sono le arterie intercostali posteriori che si portano da dietro verso l’avanti e nella
parte laterale del torace si anastomizzano “a pieno canale” con le arterie intercostali anteriori, rami
della toracica interna.
L’aorta toracica percorre la cavità toracica e poi, oltre il diaframma, si apre in cavità addominale;
ma le coste non sono tutte in cavità toracica perché le ultime due, undicesima e dodicesima, si
trovano nella parte alta della regione addominale, si trovano posteriormente rispetto ai due reni e li
tengono in posizione: la parte posteriore alta dell’addome è rinforzata dalle ultime due coste, cioè le
coste fluttuanti, che non arrivano allo sterno e possono essere paragonate a delle strisce ossee che
terminano appuntite, rivolte verso il basso, e che creano internamente una concavità sulla quale
poggiano i due reni e all’irrorazione di queste due coste provvedono le arterie sottocostali, rami
dell’aorta toracica.
- Quindi l’aorta toracica nel momento in cui attraversa il diaframma e sta per diventare
addominale, abbandona le arterie sottocostali che sono ancora rami parietali dell’aorta toracica.
Il pavimento della cavità toracica è rappresentato dalla superficie superiore del diaframma e allora
l’aorta toracica come rami parietali dà anche le arterie freniche superiori destinate ad irrorare il
muscolo diaframma (l’aggettivo frenico serve a individuare tutte le strutture di pertinenza del
diaframma).
· I rami viscerali
Il cuore è irrorato dalle due arterie coronarie che sono rami dell’aorta ascendente, invece il
pericardio, che aderisce al centro frenico del diaframma, viene irrorato da rami dell’aorta toracica,
dunque i rami viscerali dell’aorta toracica sono le arterie pericardiche.
Ai lati del cuore rivestito dal sacco pericardico ci sono i due polmoni rivestiti dalle pleure.
Il polmone ha una doppia circolazione
A livello del polmone avviene lo scambio aria/sangue ad ogni atto respiratorio; il sangue venoso,
cioè il sangue ricco di anidride carbonica, è arrivato è arrivato al polmone tramite l’arteria
polmonare e le due arterie polmonari provengono dal tronco polmonare che origina dal ventricolo
destro del cuore.
L’arteria polmonare è chiamata arteria perché si dirige dal cuore verso i polmoni indipendentemente
dal fatto che porti sangue venoso, sangue ricco di anidride carbonica.
Ma questo sangue che arriva ai polmoni ricco di anidride carbonica ovviamente non può nutrirli ma
serve soltanto per essere ossigenato.
Dunque ciascuna arteria polmonare dà luogo, come in tutti i distretti del corpo, a dei capillari a
livello dei quali avvengono gli scambi (poiché il capillare è formato solamente da endotelio) e da
questi capillari si formano comunque delle vene, le quali sono radici delle vene polmonari (due per
polmone) che portano sangue ossigenato al cuore arrivando all’atrio sinistro (sono vene perché
vanno dalla periferia verso il cuore).
Questa è definita piccola circolazione che però non ha niente a che vedere con il nutrimento che
deve essere assicurato al parenchima polmonare.
Per parenchima polmonare si intende anche la porzione cosiddetta “non respiratoria” del polmone,
cioè escludendo gli alveoli che sono le unità strutturali nelle quali avvengono gli scambi respiratori.
(Gli alveoli sono ricoperti completamente dalla rete capillare polmonare e gli scambi avvengono fra
la parete estremamente sottile dell’alveolo e la parete endoteliale dei capillari che sono applicati su
di essa).
Le strutture rimanenti infatti, cioè le vie aeree, i grossi bronchi, le diramazioni maggiori dei
bronchi, devono essere opportunamente irrorate dalle arterie bronchiali che sono rami viscerali
dell’aorta toracica e si chiamano bronchiali perché decorrono insieme ai bronchi, quindi insieme
alle diramazioni che portano l’aria al polmone e si sepimentano con questi.
In seguito dalle grosse arterie bronchiali che entrano all’interno dell’ilo polmonare si formano dei
rami più piccoli, arteriole e capillari pertanto attorno all’alveolo troveremo capillari che
appartengono all’arteria polmonare e capillari che provengono dall’arterie bronchiale.
Da questi capillari si formano delle venule e poi delle vene però si formano due tipi di vene, alcune
sono le vene polmonari che portano sangue ossigenato al cuore, altre invece sono le vene bronchiali
perché il sangue refluo dal polmone deve comunque andare nella circolazione generale però accade
che le vene bronchiali non vanno tutte a portare sangue venoso alla vena cava superiore: una piccola
parte di queste vene paradossalmente vanno a terminare nelle vene polmonari.
Infatti nelle vene polmonari è presente sangue solo con ossigeno e la tensione di questo gas sarebbe
molto dannosa e procurerebbe gravi danni metabolici, cioè non può circolare sangue solo con
ossigeno ma è necessario abbassare la tensione di questo gas mescolando parzialmente questo
sangue con il sangue venoso ricco di anidride carbonica delle vene bronchiali.
Dunque alcune vene bronchiali prendono la via della circolazione generale, cioè convergono nella
vena cava superiore; altre invece si vanno a gettare nelle vene polmonari per ridurre il la tensione
dell’ossigeno del sangue delle vene polmonari che provocherebbe seri danni arrivando al cuore
interamente ossigenato.
Si tratta di una circolazione particolare a livello polmonare; il polmone, come altri organi, presenta
una doppia circolazione: una circolazione nutritizia che serve a nutrire il parenchima rappresentata
dalle arterie bronchiali e una circolazione funzionale che spiega il funzionamento dell’organo e in
questo caso è rappresentata dall’arteria polmonare che porta sangue che deve essere ossigenato.
- Altri rami viscerali sono le arterie esofagee perché continuamente l’esofago decorre a ridosso
dell’aorta toracica la quale abbandona questi rami per la sua nutrizione.
Sia l’esofago che l’aorta si trovano nel mediastino posteriore allora è necessario che vengano
lasciati dei rami che vadano al mediastino e quindi allo spazio che contiene anteriormente il cuore
(e il timo fino a un certo momento dello sviluppo), posteriormente la stessa aorta, l’esofago, ai lati
di queste strutture troviamo la vena cava superiore sul lato destro e troviamo ancora i nervi,
i tronchi del simpatico; inoltre è presente tessuto adiposo che tiene ferme queste strutture e nel cui
contesto si trovano molte stazioni linfonodali che servono anche i polmoni.
Tutte queste strutture, compreso il tessuto adiposo dello spazio mediastinico, vengono nutrite dalle
arterie mediastiniche, rami viscerali dell’aorta toracica.
Lezione 11
Accanto ai rami dell’arco aortico e dell’aorta toracica decorrono i rami che vanno a costituire la
vena cava superiore.
La vena cava superiore si forma da due radici che prendono il nome di vene anonime o tronchi
brachio-cefalici;
Questi tronchi hanno una diversa lunghezza, infatti il tronco brachio-cefalico del lato destro si trova
sulla stessa linea della vena cava superiore che va a costituire pertanto ha un breve decorso; al
contrario il tronco sinistro invece è più lontano dalla vena cava superiore (la quale decorre sul lato
destro della colonna vertebrale) pertanto avrà un decorso maggiore e viene ad incrociare diverse
strutture, ad esempio passa davanti all’arco aortico e davanti all’esofago.
Queste due vene anonime confluiscono a formare la vena cava superiore.
I territori di drenaggio della vena cava superiore, sicuramente, dato che essa nasce dalle due vene
anonime, saranno i territori che riguardano la testa, il collo e l’arto superiore: allora gli affluenti di
ogni vena anonima sono la vena giugulare interna, che drena il sangue che ha circolato nella testa e
in parte nel collo e la vena succlavia che invece raccoglie il sangue che ha circolato nell’arto
superiore.
L’unico affluente della vena cava superiore è la vena azigos.
La vena azigos (dove “azigos” significa appaiato) ha un decorso particolare ed è così chiamata
perché in realtà dovrebbero esistere due vene azigos appaiate ma non è così (???....) perché sul lato
destro effettivamente è presente una vena azigos, che nasce addirittura in cavità addominale dalle
vene lombari, che drenano il sangue che ha circolato nella colonna vertebrale del tratto lombare.
Alcuni di questi rami delle vene lombari sono chiamati vene lombari ascendenti perché anziché
rimanere in cavità addominale salgono verso il diaframma: queste sono le radici della vena azigos.
Le vene lombari ascendenti attraversano il diaframma passando proprio per l’orifizio aortico, allora
la vena azigos si chiama in tal modo ( azigos = appaiata) non solo perché esiste la sua
controlaterale(?) ma anche perché per tutto il decorso si trova appaiata accanto all’aorta e alla vena
cava superiore nella quale poi si apre.
Il nome particolare è quindi riferito al decorso della vena.
-La vena azigos poi sale in cavità toracica, sempre addossata alla colonna vertebrale, perché la sua
funzione è quella di drenare il sangue che ha circolato nella colonna vertebrale toracica e anche
negli spazi intercostali per cui drena le vene intercostali posteriori.
Ricordiamo che la circolazione a livello degli spazi intercostali è dovuta posteriormente a rami
parietali dell’aorta toracica, anteriormente invece le arterie intercostali sono rami della toracica
interna che decorre ai lati dello sterno. Per questo il sangue delle vene intercostali anteriori non può
finire a livello della azigos (che sta addossata alla colonna) ma finisce invece a livello delle vene
toraciche interne (o mammarie) che decorrono appaiate all’arterie rispettiva.
Le vene toraciche interne poi devono risalire e si vanno a versare, visto che l’arteria toracica interna
è un ramo dell’arteria succlavia, nella vena succlavia e siccome poi la vena succlavia va a formare
il tronco anonimo il sangue venoso va sempre nella vena cava superiore solo che compie un
percorso più lungo rispetto ai distretti drenati dalla vena azigos.
Gli spazi intercostali posteriori vengono drenati nella azigos e pertanto nella vena cava superiore,
quelli degli spazi intercostali anteriori invece drenano nella vena toracica interna o mammaria
interna, quindi nella succlavia, poi nella vena anonima e infine nella vena cava superiore.
Questo accade sul lato destro.
Sul lato sinistro invece la gemella della azigos si è suddivisa in due parti per cui parliamo di vena
emiazigos, che si forma sempre dalla vena lombare ascendente del lato sinistro, sale in cavità
toracica sempre con lo stesso decorso della sua controlaterale e poi drena gli spazi intercostali
inferiori per andarsi a riversare a livello della vena azigos.
In alto invece si trova la vena emiazigos accessoria.
Dunque sul lato sinistro ci sono due emiazigos che hanno lo stesso territorio di drenaggio della
azigos di destra; questa differenza tra i due lati è dovuta al tipo di sviluppo embrionale dei vasi
sanguigni.
La differenza non è poi così particolare perché in realtà i vasi sanguigni originano insieme dalle
vene lombari, salgono sempre dallo stesso orifizio aortico solo però che poi a destra la vena rimane
unica mentre a sinistra si divide in emiazigos ed emiazigos accessoria perché durante lo sviluppo
embrionale si è formato il cuore che crea una sorta di interruzione.
Allora gli spazi intercostali posteriori del lato sinistro hanno un diverso drenaggio hanno un diverso
drenaggio a cura della emiazigos e della emiazigos accessoria.
La vena azigos è l’unica affluente della vena cava superiore.
La vena azigos, dato che è ascendente e poi si va riversare nella vena cava superiore sul lato destro,
passa al di sopra, formando un arco, il peduncolo polmonare del lato destro.
Invece sul lato sinistro l’organo che scavalca, perché ha un decorso ad arco, il peduncolo
polmonare del lato sinistro è l’arco dell’aorta.
La vena cava superiore deve ricevere anche il sangue che è stato portato dall’aorta toracica, che
decorre accanto a questa, per cui l’unico affluente della vena cava superiore a destra, cioè la azigos
e le due emiazigos non si accontentano di drenare sangue della colonna vertebrale e degli spazi
intercostali ma devono anche drenare il sangue che circola negli organi del mediastino;
dunque altri affluenti, questa volta viscerali, saranno le vene esofagee, le vene pericardiche, le vene
mediastiniche e le vene bronchiali ma ricordiamo che a livello del polmone non tutte le vene
bronchiali terminano nella azigos perché alcune devono andarsi ad aprire nelle vene polmonari,
altrimenti queste porterebbero al cuore sangue ricco soltanto di ossigeno quindi ad alta tensione che
pertanto risulterebbe dannoso poiché si avrebbe intossicazione da ossigeno.
Quindi è necessario che il sangue portato dalle vene polmonari venga mescolato a sangue venoso,
cioè contenente anidride carbonica, dunque una certa quantità di vene bronchiali termina nella
azigos, un’altra quantità invece si apre a livello delle vene polmonari.
Per quanto riguarda l’aorta addominale essa emette molti rami perché percorre la cavità ad
domino-pelvica e quindi è responsabile dell’irrorazione della maggior parte degli organi dei vari
apparati.
Oltretutto il suo ramo venoso omologo è la vena cava inferiore, la quale però non drena tutte le
regioni della cavità ad domino-pelvica poiché nel mezzo si inserisce la circolazione portale, cioè tre
vene di ritorno anziché andare alla vena cava inferiore vanno al fegato; il fegato dunque si interpone
lungo la circolazione e la interrompe poiché è presente questo circuito per il quale il sangue che
viene dal distretto intestinale passa prima dal fegato per poi terminare nella vena cava inferiore in
un secondo momento.
L’aorta addominale inizia nel momento in cui l’aorta toracica ha attraversato l’orifizio aortico del
diaframma, orifizio sempre aperto e sempre in tensione perché è formato dalla colonna vertebrale
posteriormente e ai lati dai due tendini di inserzione del diaframma sulla colonna vertebrale del
tratto lombare.
Il problema riguarda il fatto che l’aorta addominale nel momento in cui si origina aumenta
leggermente di calibro perché la quantità di sangue e maggiore e oltretutto segue e risente della
forza di gravità.
*Può capitare che proprio in regione sottodiaframmatica si venga a creare un cosiddetto aneurisma,
cioè una dilatazione della parete aortica che crea non pochi problemi, primo perché preme contro le
strutture vicine e secondariamente perché il sangue, anziché fluire, forma una specie di sacca a
livello di questo aneurisma.
Questa situazione non può essere prevista perché l’aneurisma si verifica in maniera del tutto
accidentale però si può cercare di diagnosticarlo immediatamente e cercare la regione in cui questo
si è verificato.
Raramente l’aneurisma riguarda l’arco aortico poiché l’arco è più plastico, meccanicamente
risponde meglio a determinate sollecitazioni, ma quando l’aorta diventa esattamente cilindrica e il
sangue scende secondo forza di gravità le sollecitazioni di tipo meccanico sono maggiori.
L’aorta addominale scende e percorre la regione lombare fino alla quarta vertebra lombare dove si
divide nelle due arterie iliache comuni.
Al centro della biforcazione costituita dalle due iliache comuni è presente un piccolo ramo che
percorre l’osso sacro, pertanto prende il nome di arteria sacrale media e viene considerato il reale
ramo terminale dell’aorta addominale, nonostante le sue piccole dimensioni.
Quindi l’aorta addominale inizia a livello dell’orifizio aortico del diaframma e termina a livello
della quarta vertebra lombare.
La terminazione dell’aorta, nella sua suddivisione nelle due iliache comuni, è un punto di repere
molto importante per altre strutture interne della cavità addomino-pelvica.
- Alla seconda vertebra lombare invece termina il midollo spinale,cioè due vertebre sopra; questo
significa che dalla parte terminale del midollo originano poi tutta una serie di nervi, molto robusti,
perché sono destinati a servire la cavità pelvica e l’arto inferiore: tutti questi nervi uscendo dalla
parte terminale colonna vertebrale incontrano sul loro decorso proprio i due rami di biforcazione
dell’aorta addominale e conseguentemente entrano in rapporto con queste formazioni vascolari.
Alla seconda vertebra lombare termina il midollo spinale, alla quarta termina l’aorta addominale.
Le due arterie iliache comuni, innanzitutto sono molto voluminose perché danno sia rami parietali,
sia rami viscerali, cioè vanno a irrorare sia le pareti della pelvi, sia gli organi in essa contenuti;
inoltre vanno ad irrorare anche tutto l’arto inferiore (ossa, articolazioni, muscoli, cute).
Questi due rami sono chiamati arterie iliache comuni perché, come la carotide comune, danno
origine ognuno a due rami che si dispongono in diverso modo nei confronti di una cavità, questa
volta la cavità pelvica.
Dunque ciascuna iliaca comune si divide in iliaca interna, che rimane dentro la cavità pelvica, e
iliaca esterna che invece esce fuori dalla cavità pelvica per andare all’arto inferiore.
- E’ lo stesso comportamento della carotide.
La carotide comune si divide in carotide esterna e carotide interna in rapporto alla cavità cranica.
L’iliaca comune si divide in iliaca esterna e iliaca interna e il rapporto è dato dalla cavità pelvica.
L’arteria sacrale media invece è molto piccola, si stende sull’osso sacro e irrora solo questa parte.
L’aorta addominale durante il suo percorso dà luogo a rami impari e rami pari.
I rami impari si situano tutti sulla superficie anteriore dell’aorta addominale e sono diretti a tutti gli
organi che si trovano nella regione anteriore della cavità; invece i rami pari si staccano
regolarmente dai lati dell’aorta addominale, quindi sono tutti orientati verso organi pari, ad esempio
le arterie surrenali medie che vanno alle due ghiandole surrenali, le arterie renali.
A questo livello quindi abbiamo un diverso modo di elencare i rami dell’aorta addominale perché
possiamo o considerare i rami nella loro alternanza, successione a partire dall’orifizio aortico del
diaframma fino alla biforcazione oppure come per l’aorta toracica potremmo anche dire che ci sono
dei rami parietali e dei rami viscerali, indipendentemente dall’essere impari o pari.
Le pareti della cavità addominale sono il diaframma superiormente, la colonna lombare
posteriormente e poi delle masse muscolari che chiudono antero-lateralmente l’addome.
I rami parietali sono le arterie freniche inferiori che irrorano la superficie inferiore del diaframma,
le quali sono gemelle delle freniche superiori che sono a loro volta rami parietali dell’aorta toracica.
Poi ci sono le arterie lombari; le vertebre lombari sono 5 e queste arterie si dispongono ai lati di
ogni spazio tra una vertebra e l’altra per cui ci saranno 4 arterie lombari.
I rami viscerali sono poi tutti i rami destinati agli organi contenuti in cavità addominale; il primo
ramo impari, subito sotto il diaframma è il tronco celiaco, perché quasi subito, dopo 3-4 cm, si
divide in tre rami.
Scendendo verso il basso abbiamo due rami pari, le arterie surrenali medie e scendendo ancora,
arrivando quindi all’intestino, troviamo un ramo impari, l’arteria mesenterica superiore che va ad
irrorare perlopiù l’intestino.
In seguito abbiamo due rami pari, le arterie renali, destinate ai due reni.
Poi troviamo ancora un ramo impari, arteria mesenterica inferiore e seguono altri due rami pari
che sono le arterie chiamate generalmente arterie genitali perché sono destinate alle gonadi, sia
maschili, sia femminili.
Le arterie genitali comunque avranno una diversa lunghezza nel maschio e nella femmina.
Nella femmina vanno alle ovaie, che sono contenute all’interno della pelvi, per cui non si
allontanano molto dalla loro origine, mentre nel maschio invece hanno seguito il testicolo nella sua
discesa nel sacco scrotale per cui sono molto più lunghe.
Possiamo notare che i rami dell’aorta addominale si alternano, uno impari - due pari, uno impari –
due pari, uno impari – due pari e questo può rappresentare un modo di elencarli,
però li possiamo descrivere anche ricordandoci quali sono gli organi della cavità addominale:
questi organi sono numerosi ma occupano una posizione ben determinata.
Dunque per descrivere i rami dell’aorta addominale possiamo scegliere due modi, ovvero o ci
ricordiamo come nascono le arterie dall’aorta oppure ci ricordiamo come sono messi gli organi in
cavità addominale.
Secondo la prof. Mazzone ricordare la disposizione degli organi in cavità addominale è la metodica
migliore.
Se consideriamo il primo ramo impari, il tronco celiaco, questo viene a trovarsi subito sotto il
diaframma, dove ci sono il fegato, lo stomaco e più in profondità la milza.
Pertanto il tronco celiaco deve essere per forza di cose destinato a questi tre organi
sottodiaframmatici; dunque quest’unico tronco, che si porta dall’aorta verso l’avanti, si divide
subito in 3 rami: il primo va alla milza e prende il nome arteria glienale, ma la milza ha rapporti di
vicinanza con lo stomaco quindi è più corretto chiamare questa arteria arteria gastro-glienale
perché abbandona un ramo per lo stomaco e un ramo per la milza.
Quasi al centro abbiamo poi lo stomaco, allora il tronco celiaco(?) dà l’arteria gastrica sinistra
perché si va a spostare verso lo stomaco che si trova al centro e a sinistra.
Infine l’ultimo ramo, sulla destra, viene chiamato arteria epatica comune o gastro-epatica perché
come l’arteria gastro-glienale fornisce dei rami anche allo stomaco.
Dunque è evidente che lo stomaco, che sta al centro, è quello più servito perché è quello che lavora
di più fra i tre; durante la digestione lo stomaco compie dei movimenti tumultuosi, lavora parecchio,
allora ha bisogno di una ricca vascolarizzazione.
Quindi l’unico tronco celiaco si divide in arteria gastro-glienale, gastrica sinistra e gastro-epatica.
L’arteria gastro-glienale scende dietro lo stomaco, al quale dà un ramo che prende il nome di
gastrica sinistra (?)
Poi se ne va verso la milza, la quale è a stretto contatto anche con il pancreas: addirittura i vasi
sanguigni passano sul margine superiore del pancreas per andare verso la milza, dunque il contatto è
diretto; allora l’arteria gastro-glienale, mentre passa sopra il pancreas, abbandona anche dei rami al
pancreas stesso.
Quindi l’arteria gastro-glienale abbandona dei rami allo stomaco e al pancreas prima di arrivare
a destinazione, alla milza.
- L’arteria gastrica sinistra va direttamente verso lo stomaco e si dispone lungo la piccola
curvatura dello stomaco.
- L’arteria epatica comune è il ramo più poderoso dei tre che provengono dal tronco celiaco perché
va ad irrorare tutti gli organi che si trovano sul lato destro, allora sicuramente va al fegato dove dà
l’arteria epatica propria del fegato.
Sotto il fegato c’è la cistifellea alla quale dà dei rami formando l’arteria cistica.
Più giù l’arteria epatica comune trova la parte terminale della piccola curvatura dello stomaco,
allora dà l’arteria gastrica destra, che si anastomizza a pieno canale con la gastrica sinistra per cui
la piccola curvatura dello stomaco è servita alla fine da un'unica arteria formata da una parte destra
e una parte sinistra, che si sono unite proprio per assecondare la piccola curvatura dello stomaco.
Allo stomaco fa seguito il duodeno (così chiamato dal latino duodecim, significa che è lungo circa
24 cm). Il duodeno non è un tubo rettilineo bensì ha la forma di una lettera c , tant’è vero che nel
suo spessore rimane incuneato il pancreas, questi due organi sono quindi intimamente uniti.
L’arteria epatica comune quindi ha dato luogo anche all’arteria gastro-duodenale superiore perché
segue lo stomaco e l’inizio del duodeno e termina ramificandosi a livello del pancreas che in questo
modo viene ulteriormente irrorato.
L’arteria epatica propria è molto importante perché una volta che entra nel fegato ne determina la
suddivisione del parenchima.
L’arteria epatica entrata nel fegato si divide innanzitutto in due e poi da questi due tronchi prendono
origine rami che vanno in avanti e indietro, in basso e in alto.
*Dunque ogni parte del parenchima epatico è diviso in sezioni indipendenti perché sono servite da
un ramo dell’arteria epatica, da un ramo della vena porta e da piccolo dotto biliare escretore.
Per questo motivo il chirurgo può asportare una porzione di fegato, di parenchima epatico senza
interessare quello rimanente e la parte asportata si rigenera (dal momento che le cellule epatiche
hanno capacità rigenerative) quindi lo spazio mancante viene ricostituito.
Per questo è anche possibile, al contrario, fare un trapianto di fegato, perché una piccola parte,
inserita nel tutto, si rigenera e stabilisce contatti con le cellule epatiche vicine.
La suddivisione del parenchima epatico in segmenti viene fatta grazie al decorso dei vasi sanguigni
che tracciano la via per separare le varie zone di parenchima.
*Chiaramente questo tipo di suddivisione rappresenta un esempio di variante anatomica perché
questi rami hanno in ogni individuo il loro decorso (come le arterie coronarie), allora prima di ogni
intervento sul fegato è buona norma eseguire delle indagini strumentali che mettano in luce il
decorso dei vasi sanguigni e dei canali biliari, poiché tale decorso è diverso da individuo a
individuo.
Al giorno d’oggi si esegue addirittura la colangiografia intraoperatoria vale a dire il chirurgo apre,
inietta direttamente nel fegato il mezzo di contrasto ed evidenzia il decorso delle vie biliari.
Le arterie surrenali medie.
Le ghiandole surrenali, per essere ghiandole endocrine, hanno bisogno di un apporto vascolare
cospicuo dunque vengono servite da 3 ordini di arterie: le arterie surrenali superiori che sono rami
delle arterie freniche inferiori (ricordiamo che sopra il surrene c’è il diaframma) le quali sono a loro
volta rami parietali dell’aorta addominale.
Allora le freniche inferiori, nell’irrorare la parete inferiore del diaframma, abbandonano dei rami
che scendono, le arterie surrenali superiori; seguono poi le arterie surrenali medie e poi le arterie
surrenali inferiori le quali, dal momento che sotto il surrene c’è il rene, si originano dalle arterie
renali, cioè rami pari dell’aorta addominale.
L’aorta addominale allora irrora la ghiandola surrenale direttamente (con le arterie surrenali
medie) e indirettamente (con le freniche inferiori che lasciano le surrenali superiori e le arterie
renali dalle quali partono le surrenali inferiori)..
Poi abbiamo il ramo impari rappresentato dall’arteria mesenterica superiore.
Prima di descrivere questa arteria dobbiamo aprire una piccola parentesi sull’origine embriologica
del canale alimentare.
Il canale alimentare si forma insieme all’apparato respiratorio, insieme alle vie aeree, da un unico
abbozzo embrionale che poi si va a sepimentare formando in avanti le vie aeree che rimangono in
posizione anteriore, sia nel collo che nel torace; alla fine queste vie aeree si espandono e vanno a
formare i due polmoni e l’apparato respiratorio termina in cavità toracica.
Il tubo intestinale invece non solo rimane posteriormente ma si allunga enormemente perché va a
formare non solo l’esofago che percorre la cavità toracica ma continua anche in cavità addominale
con tutti gli organi. A un certo punto dello sviluppo si ha la rotazione della matassa intestinale e
allora le strutture che inizialmente erano a sinistra passano a destra. Lo stomaco, che inizialmente è
una dilatazione a forma di lettera j , una sorta di uncino ( e tale rimane per esempio negli individui
longilinei) si ripiega ulteriormente girando su se stesso ma in questo modo ciò che era posteriore
nello stomaco diventa anteriore e tutto ciò che si trovava a sinistra passa a destra.
Così accade che le due arterie mesenteriche, inferiore e superiore, seguono questo percorso e tutto
ciò che rimane a destra viene servito dalla mesenterica superiore, mentre ciò che invece rimane a
sinistra viene servito dalla mesenterica inferiore.
Dunque la mesenterica superiore scende dall’alto, forma una sorta di arcata e si dispone verso il
lato destro; la mesenterica inferiore invece che si trova in basso, sale verso l’alto, cioè si ripiega
anch’essa ma verso l’alto, e si apre a ventaglio verso sinistra.
- Allora per convenzione la mesenterica superiore si dice che irrora tutto l’intestino mesenteriale,
cioè la matassa intestinale che sta al centro del nostro corpo e la parte destra dell’intestino crasso.
La mesenterica inferiore invece irrora la parte sinistra dell’intestino crasso e il retto, che è l’ultima
parte del canale alimentare, contenuto già in cavità pelvica.
Il primo ramo della mesenterica superiore è l’arteria gastro-duodenale inferiore che forma un arco,
che completa l’arco che serve a delimitare il duoedeno e il pancreas (?).
Infatti dove abbiamo lasciato l’arteria epatica (ultimo ramo del tronco celiaco) troviamo i primi
rami della mesenterica superiore, come l’arteria pancreatico-duodenale inferiore; si forma anche in
questo caso un’arcata che va ad assecondare la c del duodeno e irrorare duodeno e pancreas.
Dopo il duodeno l’intestino forma la vera e propria matassa, quella che occupa tutto il centro della
cavità addominale.
L’intestino è coperto da una grande piega di peritoneo, il grande omento o grembiule omentale;
questa matassa intestinale che sembra messa disordinatamente all’interno della cavità addominale,
in realtà ha un ordine ben preciso e le anse sono in realtà ben disposte.
La metà destra è irrorata da rami della mesenterica superiore; allora si formano le arterie intestinali,
che si anastomizzano variamente a rete fra di loro e vanno a servire le anse intestinali,
formando una rete riescono ad accompagnare il decorso tortuoso della struttura che vanno a servire.
L’intestino crasso forma una cornice attorno alle anse intestinali: è suddiviso in colon ascendente
sul fianco destro, il colon trasverso che attraversa quasi sotto il diaframma e davanti allo stomaco e
il colon discendente sul lato sinistro.
La parte destra, colon ascendente, e metà del colon trasverso vengono serviti da rami della
mesenterica superiore mentre la parte sinistra del trasverso e il colon discendente sono serviti dalla
mesenterica inferiore.
Dunque il territorio di vascolarizzazione è distribuito esattamente a metà.
Dalla mesenterica inferiore provengono dei rami che vanno al colon discendente e ad un particolare
tratto di colon che forma una piega sopra l’iliaca comune del lato sinistro, una piega che in certi casi
è avvolta su se stessa e forma una sorta di lettera sigma greca, per cui questo colon prende il nome
di colon sigmoideo.
Questi rami sono dunque le arterie sigmoidee e infine le arterie rettali.
*L’irrorazione dell’intestino è fondamentale: a livello del retto, ad esempio, le vene formano delle
lacune venose, dei seni venosi, perché nel retto c’è lo sfintere anale costituito da fibre circolari che
si contraggono e si dilatano per far passare le feci.
Dunque questo rende la vascolarizzazione di questa regione è particolarmente delicata. Si hanno le
varici, cioè le emorroidi, proprio perché la zona è particolarmente sollecitata dal punto di vista
meccanico.
Inoltre il colon sigmoideo e il retto sono la sede elettiva di impianto di forme tumorali che al giorno
d’oggi stanno conoscendo un’ampia diffusione e quindi l’asportazione chirurgica di una parte di
queste strutture interessata dal tumore significa anche saper operare, conoscere questa ricca rete
arteriosa e venosa che interessa l’organo stesso.
Un altro problema è rappresentato dal fatto che le vene di questa regione, cioè del colon sigmoideo
e del retto, in parte affluiscono alla vena porta, dunque una eventuale forma tumorale a livello del
retto si riverbera poi di rimando anche sulla circolazione portale, quindi crea delle gravi disfunzioni
funzionali a livello del fegato.
La circolazione venosa di ritorno è a carico della vena cava inferiore.
La vena cava inferiore decorre, come la vena cava superiore, sul lato destro della colonna lombare,
allora aprendo la cavità addominale (come quando ci si regola aprendo la cavità toracica) ai lati
della colonna vertebrale abbiamo a sinistra l’aorta addominale e a destra la vena cava inferiore.
A questo punto sorgono alcuni problemi..perchè la circolazione venosa di ritorno che fa capo
interamente alla vena cava inferiore crea dei problemi perché chiaramente la vena cava inferiore si
trova sul lato destro.
Quindi le vene surrenali e le vene genitali del lato sinistro non vanno a terminare nella vena cava
inferiore perché non hanno un decorso trasversale ma vanno a terminare entrambe nella vena
renale!
Il rene di sinistra dunque ha un carico maggiore rispetto al rene destro, perché il sangue venoso, il
sangue refluo da altri visceri (testicolo o ovaio del lato sinistro e il surrene del lato sinistro) viene
inviato alla vena renale, proprio perché la vena cava inferiore è sequestrata verso il lato destro e non
viene raggiunto da queste vene.
Allora abbiamo in cavità addominale un problema in più, ma il fatto che la vena surrenale e la vena
testicolare del lato sinistro vadano a finire giusto nella vena renale non rappresenta una novità
perché tutte queste strutture, soprattutto le gonadi e il rene provengono da un unico abbozzo
embrionale (mesoderma intermedio?) che si sepimenta formando il pronefro, il mesonefro e il
metanefro.
Dal pronefro si formano proprio le gonadi, quindi all’inizio dello sviluppo le gonadi, sia la maschile
che la femminile, sono situate in cavità addominale alta, all’altezza del rene definitivo.
L’ovaio scende di poco perché dalla regione lombare alta si porta fino alla cavità pelvica e si ferma,
quindi i vasi sanguigni, l’arteria e la vena ovarica, compiono un breve percorso, perché l’arteria
ovarica parte dall’aorta addominale, scende e si ferma a livello della cavità pelvica; la vena ovarica
invece risale dall’ovaio destro verso la vena cava inferiore e a sinistra, come abbiamo visto, verso la
vena renale.
Invece per quanto riguarda le arterie e le vene che servono il testicolo, il problema è più complicato
perché il testicolo durante lo sviluppo non rimane in cavità addominale ma scende e addirittura esce
fuori dal corpo, perché la temperatura corporea normale di 37 gradi potrebbe danneggiare la
spermatogenesi e la vitalità degli spermatozoi, per cui è necessario abbandonare completamente la
cavità corporea per cui il testicolo passa nel sacco scrotale.
Nel compiere questo percorso tuttavia il testicolo si porta dietro tutte le strutture che lo servono,
quindi l’arteria, la vena, i linfatici e i nervi; pertanto queste strutture compiono un cammino più
lungo. Siccome il testicolo ha bisogno continuamente di essere raffreddato, perché la temperatura
non deve salire oltre un certo limite, accade che l’arteria testicolare scende dall’aorta addominale
verso il sacco scrotale, però nel suo decorso è costantemente accompagnata dalla vena che sta
riportando sangue dal testicolo e questa vena si avvolge a spirale attorno all’arteria funzionando
come sistema di raffreddamento del sangue.
Dunque il sangue arterioso, che è più caldo di quello venoso, viene continuamente raffreddato
prima ancora di raggiungere il testicolo per proteggerlo.
La vena testicolare ha un decorso a spirale attorno all’arteria e fa da sistema di raffreddamento; nel
testicolo la vena testicolare non si forma immediatamente come tale, ma da una rete che circonda il
testicolo, sempre allo scopo di poterlo raffreddare.
Dunque le vene radici della vena testicolare formano un plesso, cioè una rete e siccome questa rete
somiglia a quella che si può osservare in una foglia di vite, prende il nome di plesso pampiniforme
(?) ed esiste nel testicolo perché funziona da sistema di raffreddamento.
Da questo plesso si forma la vena testicolare, che risale, circonda l’arteria che invece sta scendendo,
e arrivata in cavità addominale la vena testicolare sinistra termina nella vena renale e quella destra
termina direttamente nella vena cava inferiore.
*In questo modo chiaramente si determinano anche delle differenze pressorie dovute alle diverse
caratteristiche di vena renale e vena cava inferiore, allora c’è un dislivello che si fa notare
particolarmente quando ci sono delle patologie a carico dei testicoli o delle ovaie perché le
circolazioni dei due lati si scompensano, si differenziano ancora di più e siccome il sangue venoso
che viene dal testicolo o dall’ovaio a sinistra termina nella vena renale ci potrebbe essere un carico
funzionale per il rene quindi il rene di sinistra è più debole del rene di destra.
La vena surrenale (dal lato sinistro) affluisce dal surrene verso la vena renale di sinistra e questo
rappresenta un altro problema perché il surrene ha prodotto degli ormoni e gli ormoni si diffondono
per via ematica. Allora il sangue venoso che proviene dal surrene è un sangue ricco di ormoni e
questo grava sul rene di sinistra che viene ulteriormente sollecitato in caso di patologie.
Anche le arterie freniche inferiori del lato sinistro drenano nella vena renale perché molto lontane
dalla vena cava inferiore situata sul lato destro.
Infatti anche il diaframma si forma da due metà, poiché inizialmente nell’embrione il diaframma è
rappresentato da una lamina che poi si incurva e si chiude sulla parte anteriore, quindi le due metà
del diaframma si collegano e si saldano sulla zona mediana dove c’è il centro frenico, il centro
tendineo del diaframma, quindi le due vascolarizzazione degli emi-diaframmi sono separate
inizialmente, motivo per il quale anche la vena frenica del lato sinistro deve per forza di cose andare
ad affluire nella vena renale.
· Sempre sul lato destro, dove è presente la vena cava inferiore, si trova anche il fegato e abbiamo
anticipato che tre vene vengono sequestrate perchè vanno a costituire la vena porta.
Nella circolazione della vena cava inferiore si impianta questo circuito collaterale, che è il
circuito portale.
La vena porta si forma dall’unione della vena glienale, che proviene dalla milza, della vena
mesenterica superiore e della vena mesenterica inferiore.
Queste vene hanno drenato il sangue che proviene dal canale intestinale; per definizione circolo
portale significa che è presente una grossa vena che collega due reti capillari molto lontane tra di
loro. In questo caso le reti capillari sono quella del fegato, che è unica, la rete capillare intestinale e
in parte anche quella della milza ( perché nella milza comincia la distruzione dei globuli rossi e il
nucleo di ferro contenuto nell’emoglobina, che non siamo in grado di sintetizzare deve essere
conservato e viene depositato proprio nel fegato attraverso la vene glienale che lo convoglia verso il
fegato tramite la vena porta).
Circolo portale significa quindi che ci sono reti capillari sparse, collegate da un'unica vena, che in
questo caso è la vena porta.
La vena porta entra all’interno del fegato ed è possibile osservare che i rami della vena porta sono
più cospicui dell’arteria epatica perché paradossalmente questa vena ha una funzione nutritizia
maggiore rispetto all’arteria!
L’arteria epatica porta soltanto ossigeno e nutrienti, ma la vena porta invece tutte le sostanze che
sono state assorbite a livello del canale alimentare, per cui è più poderosa pur essendo una vena.
All’interno del fegato i capillari sono contenuti all’interno di lamine che sono disposte in maniera
radiale (come i raggi di una ruota di bicicletta); le lamine formate dalle cellule epatiche non
rappresentano comunque delle lamine lineari, ma delle lamine tortuose, anche per questo il fegato
viene spesso classificato come una ghiandola labirintica, poiché le cellule si dispongono a formare
le pareti di un labirinto. I capillari sono quindi costretti a seguire questo andamento e prendono
allora il nome di capillari sinusoidi.
In queste tortuosità si creano anche dei gomiti in cui lo spessore del capillare aumenta e allora il
calibro del capillare non è costante da ogni parte, dunque è un capillare sinuoso e per giunta di
calibro variabile.
Il fegato allora funziona non solo come deposito ma funziona anche nei confronti della circolazione
generale, perché ad ogni momento si riempie di sangue in maniera più o meno accentuata,
sequestrandolo dagli altri distretti.
Pertanto il mantenimento della tensione sanguigna normale è affidata anche al fegato proprio perché
possiede questo capillari a decorso tortuoso e diversamente ampi nelle varie zone.
Questi capillari inoltre contengono sangue misto perché contengono contemporaneamente il sangue
dell’arteria epatica e il sangue delle vena porta. Questi capillari confluiscono radialmente in
un’unica vena, che si chiama vena centrolobulare.
Dunque ne consegue che questi capillari si trovano interposti tra la vena porta e la vena
centrolobulare, cioè si viene a determinare la cosiddetta rete mirabile venosa proprio perché esce
fuori dalla norma: infatti i capillari anziché trovarsi tra un’arteria e una vena, si trovano tra due
vene. L’arteria epatica non viene presa in considerazione perché porta molto meno sangue della
vena porta.
Nell’ambito della circolazione portale dobbiamo considerare l’esistenza dentro il fegato di una rete
mirabile venosa.
Non bisogna però confondere le due cose perché se la domanda riguarda la circolazione portale
bisogna rispondere semplicemente che si tratta di una circolazione stabilita da una vena che collega
reti capillari lontane.
Il fatto poi che la rete capillare dentro il fegato sia particolare non riguarda il concetto di vene
mirabili ma rientra nell’argomento delle reti mirabili, in questo caso una rete mirabile venosa.
- Nel rene invece abbiamo un’altra rete mirabile, ma si tratta di una rete mirabile arteriosa, e
stavolta la rete capillare è interposta tra due arterie, la prima che arriva e porta sangue alla rete
capillare perché venga purificato e una che esce dalla rete capillare e porta sangue pulito che ancora
deve andare a irrorare tutti gli organi, rene compreso.
Allora nel fegato la rete mirabile venosa stabilisce il contatto tra le due circolazioni (anche nel
polmone abbiamo visto sono presenti una rete nutritizia – arterie bronchiali, capillari dell’alveolo e
vene bronchiali - e una rete funzionale – arteria polmonare, gli stessi capillari dell’alveolo, le vene
polmonari).
- Nel fegato invece abbiamo l’unione tra la rete funzionale e la rete nutritizia.
La rete nutritizia è rappresentata dall’arteria epatica (che pur essendo piccola porta comunque
ossigeno importante al fegato) che confluisce sempre nei capillari sinusoidi.
La vena porta stabilisce un collegamento invece con le reti capillari di altri distretti, e porta sangue
venoso sempre agli stessi capillari, che sono quindi confluenza della rete nutritizia, vale a dire
arteria epatica e della rete funzionale rappresentata dalla vena porta.
-Da questi capillari si forma un unico ordine di vene, le vene epatiche, le quali trasportano tutte
sangue venoso che deve andare a riossigenarsi, per cui le vene epatiche sono affluenti della vena
cava inferiore.
Dunque alla fine nel fegato la rete nutritizia e la rete funzionale coincidono a livello dei capillari e
coincidono anche nelle uniche vene epatiche affluenti della vena cava inferiore.
Nel rene invece abbiamo le due reti funzionale e nutritizia separate perché la rete funzionale è
rappresentata dall’arteriola che confluisce nella rete capillare e questa rete capillare dà luogo ad
un’altra arteriola, la quale dopo si capillarizza nuovamente perché va a nutrire il parenchima renale.
Le due reti dunque, la vascolare nutritizia e la vascolare funzionale sono messe in parallelo perché
prima abbiamo la rete capillare che consente la purificazione del sangue (rete funzionale) e subito
dopo abbiamo la rete nutritizia, costituita dall’arteriola, dalla rete capillare e dalla vena renale che
poi è affluente della vena cava inferiore.
Circolazione fetale
Per quanto riguarda la circolazione fetale, il rapporto si stabilisce tra il feto e la placenta materna.
Il cuore del bambino è considerato il centro per cui le arterie che partono dal feto sono delle arterie
che portano sangue venoso perché deve andare ad ossigenarsi in corrispondenza della placenta.
Si verifica quello che accade grossomodo nella circolazione polmonare.
Dalle arterie iliache interne del feto si originano le due arterie ombelicali, le quali contengono
sangue venoso, ma le chiamiamo arterie perché partono dal bambino che è considerato il centro e
vanno verso la periferia, cioè verso la placenta, a livello della quale il sangue si ossigena e ritorna
indietro con l’unica vena ombelicale che (come le vene polmonari) porta sangue ossigenato e ricco
di nutrienti.
Questa vena risale addirittura a livello del fegato, perché grazie al dotto venoso di Aranzio (che poi
scompare e nell’adulto diventa un ligamento) va a rabboccarsi alla vena cava inferiore.
In questo modo il sangue ricco di nutrienti viene portato alla vena cava inferiore che nel feto
contiene sangue misto, prevalentemente arterioso.
Il sangue è prevalentemente arterioso perché la vena cava inferiore (come nell’adulto) arriva
all’atrio destro ma non scende nel ventricolo sottostante (poiché il polmone non sta funzionando!) e
passa direttamente dall’atrio destro all’atrio di sinistra; a questo punto scende nel ventricolo
sottostante e prende immediatamente la via dell’aorta.
Se una piccola quantità di sangue dovesse passare nel ventricolo destro e quindi al tronco
polmonare, viene subito recuperata perché nel punto in cui il tronco polmonare si biforca nelle due
arterie polmonari, vale a dire sotto l’arco dell’aorta, è presente un dotto, il dotto arterioso di Botallo
che collega la biforcazione delle due arterie polmonari con l’arco dell’aorta soprastante, pertanto il
sangue viene convogliato ancora nell’aorta e il circolo polmonare viene saltato.
Al momento della nascita, con il primo atto respiratorio si interrompe la circolazione; i due atri si
chiudono, cioè il collegamento, la fossa ovale che stava nel setto interatriale si chiude perché con il
primo atto respiratorio e la contrazione cardiaca subito dopo il parto, i due lembi che formano il
setto interatriale aderiscono tra di loro e la fossa ovale si chiude e allora si sequestrano le due
circolazioni.
I polmoni, che si sono espansi con il primo atto respiratorio (il pianto del bambino) e quindi
richiamano il sangue dando inizio alla circolazione polmonare.
Il cordone ombelicale viene tagliato e dunque la circolazione fetale viene interrotta e ciò che rimane
del cordone ombelicale va in necrosi e questo moncone cade dopo circa una settimana e rimane al
suo posto la cicatrice ombelicale.
Sul fondo della cicatrice ombelicale rimane un cordone che rappresenta il ligamento vescicale che
prende il nome di uraco.
L’uraco rimane come ligamento ombelicale medio a collegare costantemente per tutta la vita la
cicatrice ombelicale con l’apice della vescica; siccome questo cordone è avvolto dal peritoneo
rimane come struttura funzionale che consente le espansioni della vescica.
Quando è vuota la vescica si trova in cavità pelvica, ma quando è piena diventa globosa e sale verso
la cavità addominale e questo è possibile anche perché viene richiamata e tenuta in sito, nonostante
le variazioni di volume proprio da questo cordone, residuo dell’uraco, che era il collegamento
all’interno del cordone ombelicale, tra i vasi ombelicali e la vescica.
E’ importante notare la differenza di piani tra gli organi in cavità addominale: bisogna togliere lo
stomaco e il fegato per poter vedere duodeno e pancreas. Questi due organi si trovano in profondità
nella cavità addominale, a ridosso della colonna vertebrale e il peritoneo passa davanti quindi
finiscono per essere limitati alla parete addominale posteriore.
Lo stomaco poggia su queste strutture però fra la parete posteriore dello stomaco, che è piatta, e
queste strutture chiuse dal peritoneo, c’è uno spazio che prende il nome di borsa omentale.
*Il chirurgo, quando apre la cavità addominale, può fare una particolare manovra per entrare dentro
la borsa omentale staccando lo stomaco dagli organi retroperitoneali.
Perché c’è questa borsa omentale?
Questo spazio si è venuto a creare necessariamente nel momento in cui lo stomaco ha compiuto la
sua rotazione, che non sarebbe potuta avvenire senza l’esistenza di questo spazio.
Nelle persone con ficus viscerum inversum la rotazione non è avvenuta per cui le strutture sono tutte
esattamente al contrario,ma non ci si rende conto di questo fino ad una eventuale visita medica,
poiché si tratta di una variante anatomica compatibile con la vita.
Togliendo invece la massa rappresentata dall’intestino tenue, si vede bene la parete addominale
posteriore; addossati alla parete addominale posteriore i reni, che sono rivestiti pure da quello stesso
peritoneo che ha ancorato duodeno e pancreas alla colonna vertebrale, dunque anche i reni sono
organi retroperitoneali.
La parte anteriore della matassa intestinale è rivestita dal grande omento o grembiule omentale,
mentre sulla parete posteriore si possono evidenziare diversi rami, le arterie intestinali, dalla
mesenterica superiore destinati ad irrorare la matassa con un andamento dall’indietro verso l’avanti,
perché la mesenterica superiore sta sulla superficie anteriore dell’aorta addominale che addirittura
può essere vista solo togliendo gli organi retroperitoneali mediani.
Quindi tutte queste strutture sono intimamente a contatto tra di loro nello spazio retroperitoneale.
A livello della quarta vertebra lombare l’aorta addominale si divide nelle due iliache comuni; gli
ureteri passano proprio sotto i vasi iliaci e scendono dal rene verso la vescica e passano proprio a
cavallo dei vasi iliaci; dunque se nell’uretere si viene a formare un calcolo renale, questo comprime
i vasi iliaci e comprime i nervi che stanno passando accanto quindi la sintomatologia legata alle
patologie renali, alle calcolosi renali si spiega in questo modo, siccome lo stesso nervo che proviene
dall’alto e accompagna l’uretere, va poi anche all’arto inferiore, i pazienti con una calcolosi in atto
possono accusare dolore al ginocchio poiché il nervo è stato compresso a valle.
Lezione 12
Sistema linfatico
Non si tratta più di un apparato ma di un sistema quindi non ci aspettiamo di trovare degli organi in
successione bensì una serie di organi sparsi.
Questo sistema è sparso in tutto il nostro corpo in maniera simile ai vasi sanguigni.
Nel caso dell’apparato vascolare sanguigno è presente un organo centrale, il cuore, al quale
afferiscono delle vene che portano sangue che ha circolato in tutti i distretti del nostro corpo.
Quando si parla di distretti ci si riferisce sia alle zone superficiali del corpo, vale a dire della parete
del corpo, quindi la successione di cute, sottocute e delle fasce che rivestono i muscoli.
Ci si ferma a questo livello perché a cominciare dai muscoli e dentro tutti gli organi contenuti nelle
cavità, troviamo delle reti capillari che rappresentano l’origine delle vene.
I capillari che sono dentro gli organi, dentro i muscoli, dentro le ossa, sono originati da arterie e le
arterie che sono partite dal cuore le possiamo seguire in tutti i distretti del nostro corpo.
Quindi in una dissezione possiamo esaminare i grossi tronchi, sia arteriosi che venosi, mentre per
osservare i capillari dobbiamo addentrarci all’interno degli organi. (…….?????).
Le vie linfatiche presentano esattamente lo stesso decorso dei vasi sanguigni, l’unica
differenza è rappresentata dal fatto che nel sistema linfatico non è presente un organo
propulsore (l’equivalente del cuore) che spinge la linfa all’interno dei vasi linfatici.
Il sistema linfatico dunque è un sistema diffuso in tutto il corpo ed è formato da un sistema di vasi
aperto perché non ha un punto di riferimento come quello rappresentato dal cuore nell’apparato
vascolare sanguigno.
- L’apparato circolatorio è un sistema di vasi chiuso in quanto vengono interrotti dalla presenza del
cuore, che è necessario poiché ha la funzione di spingere un liquido viscoso come il sangue
attraverso una rete diffusa nel nostro corpo, con la difficoltà di dover superare l’ostacolo
rappresentato dalla diminuzione di calibro dei vasi (da arterie si passa ad arteriole, capillari e poi in
seguito vene) e con la difficoltà di dover superare alcune volte il problema creato dalla forza di
gravità. Inoltre quando il capillare che si insinua all’interno degli organi, il sangue incontra nella
sua progressione delle resistenze dovute ad esempio al parenchima degli organi pieni.
Allora è necessario il cuore che serva da pompa premente quando si tratta di vasi arteriosi e da
pompa aspirante nel caso di vasi venosi.
Il sistema linfatico è rappresentato principalmente da una sistema di vasi aperto proprio per
l’assenza di un punto di riferimento come il cuore.
Inoltre è considerato sistema perché è costituito da una serie di organi linfoidi, così chiamati perché
nella loro compagine prevale un particolare tipo cellulare, i linfociti.
I linfociti sono cellule del sangue dunque questi organi devono avere per definizione un rapporto
molto stretto con il sangue, perché si ha la presenza, la circolazione continua di linfociti dagli organi
linfoidi al sangue e viceversa.
Gli organi linfoidi sono il midollo osseo, così chiamato perché contenuto nelle cavità delle ossa.
Il midollo osseo è a tutti gli effetti organo emopoietico perché ha l’importante funzione di produrre
gli elementi figurati del sangue (serie rossa, serie bianca e piastrine).
La serie rossa è così chiamata perché formata da cellule che prendono il nome di eritrociti o globuli
rossi, i quali contengono al loro interno la molecola di emoglobina, fondamentale perché ha la
possibilità di legare l’ossigeno ma anche l’anidride carbonica.
Il globulo rosso si caratterizza per il fatto di non possedere il nucleo, e per questo è destinato ad una
vita breve, tant’è vero che la vita media di un globulo rosso è di 120 giorni.
Ma è importante conservare il nucleo di ferro che sta all’interno dell’emoglobina (poiché non siamo
in grado di sintetizzarlo); una patologia molto diffusa è l’anemia ferripriva, cioè l’anemia è dovuta
al fatto che le riserve di ferro non sono sufficienti. L’eritrocita però nasce come una cellula normale,
dotata di nucleo e di organuli citoplasmatici, in particolare nasce all’interno del midollo osseo come
reticolocita. Il midollo osseo cede continuamente al sangue reticolociti, i quali non appena arrivati
nel sangue cominciano a ridursi perdendo organuli, nucleo e diventando così eritrociti maturi.
Soltanto l’eritrocita maturo ha la possibilità di attivarsi, di funzionare nei confronti degli scambi
gassosi.
Gli elementi della serie bianca invece sono dotati di nucleo, anzi è proprio la forma del nucleo che
serve a distinguerli: avremo i granulociti quando nel citoplasma sono sparsi dei granuli che
svolgono attività macrofagica; il granulocita si caratterizza perché solitamente ha un nucleo
polilobato con delle strozzature.
I monociti sono cellule molto importanti perché destinati a trasformarsi in macrofagi, i quali
distruggono, fagocitano elementi estranei, la loro membrana cellulare emette dei prolungamenti che
inglobano le particelle estranee e le digeriscono all’interno.
I linfociti sono cellule più piccole delle altre cellule della serie bianca e si caratterizzano perché
presentano un rapporto nucleo-citoplasmatico alterato, cioè il nucleo è talmente grande che riduce il
citoplasma ad un piccolo orlo, un velo attorno al nucleo (e questo permette di distinguerlo dalle
altre cellule).
Il linfocita ha un’origine differente e rappresenta la cellula principale degli organi linfoidi; quando
parliamo di organi linfoidi dunque, ci riferiamo ad organi che fanno parte del sistema linfatico,
quindi assolve alle funzione proprie del sistema linfatico e la maggior parte del parenchima (sono
tutti organi pieni) è costituito da linfociti.
Si tratta dunque di ammassi di linfociti, i quali però si differenziano perché nei vari organi linfoidi
viene esercitata una diversa funzione.
*Infatti solitamente in patologia vengono identificate tre classi principali di linfociti: linfociti B,
linfociti T e linfociti NK (natural killer).
Ci sono delle malattie definite auto-immuni nelle quali l’organismo non riconosce più se stesso, le
quali si stanno diffondendo molto rapidamente perché queste cellule sono per così dire talmente
distratte dai numerosi antigeni che arrivano al nostro corpo da non riconoscere neppure le proprie
strutture, il self.
La terza categoria di cellule del sangue è rappresentata dalle piastrine, le quali però non sono delle
vere e proprie cellule.
Le piastrine sono lembi citoplasmatici di una cellula di notevoli dimensioni che si trova nel midollo
osseo e prende il nome di megacariocita. Tale cellula frammenta il proprio citoplasma e forma le
piastrine, che così passano nel sangue e diventano fondamentali per la riparazione di lesioni.
Tutte queste strutture si originano nel midollo osseo e migrano nel sangue.
Le ossa non sono tutte attive, e tutte nello stesso momento, nella produzione degli elementi della
serie figurata del sangue, ma in ogni caso il nostro scheletro, quasi complessivamente, anche se non
nella stessa misura nei diversi settori, partecipa alla formazione degli elementi figurati del sangue.
Un altro organo particolarmente importante è il timo, che si trova in regione toracica in posizione
retrosternale, davanti al sacco pericardico nella parte anteriore ma in certi casi rari occupa anche la
parte superiore del mediastino, quindi sporge sull’apertura superiore del torace.
Solitamente il timo ha una durata molto breve, fino alla pubertà, dopodichè involve, si trasforma in
un corpo fibro-adiposo che perde completamente il suo significato.
Il timo produce linfociti T i quali, come in tutti i distretti, passano nel sangue; quando il timo
involve questi linfociti continuano a essere prodotti perché rimane una determinata “memoria” per
la quale gli altri organi linfoidi, midollo osseo compreso, producono ancora linfociti T.
Anche i linfociti T circolanti si trasformano, diventano altre cellule e sono responsabili proprio della
difesa del nostro corpo.
*In alcuni libri, secondo la prof. Mazzone erroneamente, il timo viene annoverato tra gli organi
endocrini perché produce delle sostanze che vengono rilasciate nel sangue (logicamente dovendo
agire sui linfociti). In realtà questa definizione è sbagliata perché il timo è un organo linfoidi, infatti
nella sua struttura prevale il tessuto linfoide, cioè prevalgono gli ammassi di linfociti.
Quindi correttamente il timo è un organo linfoide che produce determinate sostanze, le quali
vengono riversate nel sangue ma che non sono ormoni, ma servono per la maturazione dei linfociti
T (e la loro progressione evolutiva in altri tipi cellulari..??).
In cavità addominale troviamo la milza.
La milza è sicuramente organo linfoide ma è considerato anche un organo dell’apparato vascolare
sanguigno perché ha una ricchissima perfusione sanguigna, addirittura ha la capacità, come il
fegato, di regolare la quantità di sangue che perfonde i vasi, comportandosi come una “spugna” e
variando ad ogni minuto il volume di sangue totale.
La milza esercita dunque una duplice funzione nei confronti del sistema linfaticoe nei confronti
dell’apparato circolatorio;
La milza svolge la funzione emocateretica, cioè inizia la distruzione dei globuli rossi (quindi il
sangue la perfonde continuamente).
La milza provvede alla degradazione dei globuli rossi preservando il nucleo di ferro
dell’emoglobina e a questo fine presenta un rapporto di ordine circolatorio con il fegato perché,
ricordiamo, le vena glienale, che esce dalla milza e quindi sicuramente trasporta eritrociti degradati,
è affluente della vena porta; quindi necessariamente il sangue viene inviato dalla milza al fegato.
Nella circolazione portale c’è quindi anche un’importante componente glienale.
Lungo il decorso dei vasi linfatici si vedono dei piccoli agglomerati, sempre di tessuto linfatico, che
prendono il nome di linfonodi.
Anche i linfonodi sono organi linfoidi, perché costituiti quasi esclusivamente da linfociti, e
oltretutto sono intercalati lungo i vasi linfatici.
Questa rappresenta un’altra differenza macroscopica tra un vaso sanguigno e un vaso linfatico.
Quando si apre la cavità addominale o la cavità toracica nel corso di un intervento chirurgico è
possibile vedere sempre l’arteria circondata dalle stazioni linfonodali, la vena accanto e il nervo.
Quindi alla triade rappresentata da arteria, vena e nervo bisogna aggiungere i linfonodi.
I vasi linfatici all’interno dei quali costantemente decorre linfa, solitamente formano una rete
e sono disposti a circondare i vasi sanguigni.
Questo rapporto costante tra vasi linfatici e vasi sanguigni è importante per spiegare la funzione del
sistema linfatico e la presenza dei linfonodi.
I linfonodi, che sono disseminati a tutti i livelli, hanno la funzione di filtro, per la purificazione,
depurazione della linfa.
Perché le vie linfatiche sono ampiamente anastomizzate tra di loro?
Le vie linfatiche sono confluenti le une nelle altre e questo rappresenta un grosso svantaggio per
l’organismo perché ad esempio la linfa che proviene dagli arti inferiori, si va a mescolare alla fine
con quella che proviene dagli arti superiori, dal tronco, dalla testa.
*Esiste dunque un unico collettore che drena tutta la linfa del nostro corpo e questo spiega anche
perché le metastasi tumorali si propagano anche tra organi molto lontani e la diffusione del tumore è
rapida proprio per questo motivo, cioè la metastasi riesce a percorrere la corrente linfatica, non
viene neanche filtrata dal linfonodo, ma passa e può arrivare molto lontano (addirittura un tumore
alla prostata può determinare delle metastasi all’encefalo); questo è dovuto proprio alla confluenza
delle vie linfatiche.
· I vasi linfatici partono dall’interno dei tessuti e terminano a fondo cieco, cioè sono assimilabili a
delle “provette”, in cui la parte chiusa, cioè la parte a fondo cieco è immersa nei tessuti.
La linfa penetra il vaso da tutte le parti, perché le cellule che lo formano, sono delle cellule
endoteliali (simili a quelle che tappezzano i vasi sanguigni e ne formano la tonaca intima) ma sono
però libere; cioè la parete dei vasi linfatici non è contraddistinta dagli strati che costituiscono i vasi
sanguigni (tonaca intima, tonaca media, avventizia).
Il vaso linfatico quindi si caratterizza per essere estremamente sottile e per avere una parete
discontinua in quanto le cellule endoteliali, nel connettersi tra di loro, lasciano delle piccole fessure
attraverso le quali penetra la linfa.
- La linfa è un liquido trasparente, non presenta il grado di viscosità del sangue ma deriva proprio
dal sangue. La linfa è rappresentata dalla componente acquosa proveniente dal sangue.
In ogni caso sono presenti dei vasi linfatici superficiali, quelli che si trovano nella parete del corpo,
e dei vasi linfatici profondi, ma entrambi hanno come struttura di riferimento sempre e comunque la
colonna vertebrale.
Tutti i vasi linfatici, sia superficiali che profondi di una determinata regione, alla fine si raccolgono
tutti in corrispondenza della colonna vertebrale perché a quel livello è presente il tronco principale
collettore al quale affluisce tutta la linfa.
Quando la via linfatica è immessa nel connettivo
I vasi sanguigni nella cute sono contenuti nel tessuto connettivo perché l’epidermide, in quanto
epitelio, è costituito da cellule strettamente accostate tra di loro, addirittura sono unite da giunzioni
strette che accentuano la funzione protettiva. I capillari quindi non possono penetrare tra le cellule e
dunque l’epidermide si nutre per diffusione perché le sostanze nutritizie passano dal connettivo, nel
quale si sono disperse attraverso la parete arteriosa, agli strati dell’epidermide.
Le sostanze di rifiuto compiono il percorso inverso e diffondono dall’epidermide verso il connettivo
e poi alle venule.
Quando il sangue passa dal capillare al tessuto, in questo caso il connettivo, sono necessarie anche
delle grandi quantità di acqua per permettere il passaggio delle macromolecole attraverso le
membrane semipermeabili.
Dunque perché le macromolecole e l’ossigeno attraversino la parete del capillare e le membrane
delle cellule del connettivo è necessario che ci sia un gradiente di acqua, che proviene proprio dal
plasma.
Questo fenomeno accade in tutti i distretti del nostro corpo e contemporaneamente per cui il sangue
diventerebbe estremamente denso perdendo acqua nei diversi distretti.
Per questo motivo accanto alla rete vascolare sanguigna è presente la rete linfatica, infatti l’acqua
che resterebbe all’interno dei connettivi va a costituire la linfa.
Si dice infatti che la linfa è un liquido simile all’acqua e nelle percentuali tipiche del plasma, solo
che non si tratta di plasma sanguigno perché mancano le proteine plasmatiche (albumina, globulina)
e mancano gli elementi figurati (eritrociti, globuli bianchi).
Per questo motivo poi i vasi linfatici presentano un ingresso a fondo cieco, perché la parete del vaso
lascia passare la linfa, che risale da tutti i distretti per concentrarsi poi nel dotto che si trova a
ridosso della colonna vertebrale.
La circolazione linfatica è parallela alla circolazione sanguigna, con la differenza che il sangue va
mentre la linfa torna da ogni distretto o meglio: il sangue passa dalle arterie ai capillari, poi nelle
vene e mentre il sangue ritorna con le vene, anche la linfa ritorna con le vie linfatiche in modo che il
quantitativo di acqua possa poter rientrare nel sangue.
Un’altra caratteristica del vaso linfatico è la presenza internamente di valvole, in quanto il vaso
linfatico, la rete linfatica, ha lo svantaggio di non possedere una struttura come il cuore che agisca
da pompa aspirante, quindi se nel richiamo venoso viene superato il problema rappresentato dalla
forza di gravità o da altri ostacoli, nelle vie linfatiche è necessaria la presenza di valvole.
Si tratta di valvole semilunari, come quelle presenti nelle vene, ma che sono in numero maggiore,
tanto è vero che delimitano il vaso linfatico in tante piccole parti.
Infatti in corrispondenza di una valvola, sulla superficie esterna, si crea una sorta di incavo, quindi i
vasi linfatici presentano tante piccole strozzature, dato il numero maggiore di valvole semilunari
dovute alla necessità di un richiamo maggiore.
· I vasi linfatici sono intimamente connessi, molto vicini, all’arteria e alla vena.
Quando si realizza una sezione trasversale di queste strutture (arteria, vena, vaso linfatico) l’arteria
si riconosce perché ha una parete stretta, perché in essa prevale la tonaca media ed è esattamente
circolare per questo motivo.
La vena invece ha il lume più ampio e la parete più sottile, perché la componente rappresentata
dalla tonaca media è diminuita.
Il vaso linfatico è ancora più sottile della vena, presenta una cavità molto ampia però il suo contorno
è frastagliato, né circolare né ellittico, e questo è dovuto come visto ai restringimenti in
corrispondenza delle valvole semilunari.
La parete di un capillare linfatico si riconosce quindi in un preparato microscopico anche per la
differenza nella struttura della parete rispetto a quella di un’arteria o di una vena.
· Il liquido interstiziale passa dal connettivo al vaso linfatico e va a costituire la linfa, invece i
nutrienti dal sangue passano all’interno del tessuto.
La linfa si forma nel contesto del connettivo e passa nei vasi linfatici ( penetra da tutte le zone della
parete perché le cellule endoteliali sono discontinue).
• Il nostro corpo viene suddiviso in due parti nettamente differenti tra di loro per quanto riguarda
la circolazione linfatica.
La parte sinistra di questa suddivisione è molto estesa perché coinvolge i due arti inferiori, quasi
tutta la cavità addominale, tutta la cavità toracica, metà collo, metà faccia e l’arto superiore sinistro.
Questo accade perché il collettore linfatico maggiore, che si trova proprio addossato alla colonna
vertebrale, cioè il dotto toracico, è la struttura più vistosa di drenaggio della linfa.
Tutta la linfa che proviene dalle regioni citate in precedenza viene convogliata nel dotto toracico.
*Nonostante si chiami dotto toracico, in realtà esso ha origine in cavità addominale, a livello delle
vertebre lombari e prende origine da una sorta di dilatazione, dunque anche il dotto toracico inizia a
fondo cieco e presenta un’espansione inferiore che prende il nome di cisterna del chilo, così
chiamata perché la linfa che proviene dalle regioni basse del nostro corpo, soprattutto dalla cavità
addominale, è una linfa che ha permeato gli organi dell’apparato digerente; i vasi linfatici
dell’apparato digerente, dell’intestino segnatamente, sono vasi linfatici che si arricchiscono di una
delle macromolecole che sono state digerite, cioè i lipidi.
I lipidi prendono la via linfatica al momento dell’assorbimento e della digestione.
Questi lipidi conferiscono alla linfa, (che in altri distretti appare acquosa, trasparente) un aspetto
lattescente, cioè essa appare bianca e più viscosa data la presenza dei lipidi.
Questo tipo di linfa prende il nome di chilo (?).
I vasi linfatici dell’apparato digerente, dell’intestino, si riempiono a un certo punto di gocciole
lipidiche (costituite da lipoproteine plasmatiche, chilomicroni).
La linfa contenuta nella cisterna del chilo (che rappresenta la prima grossa struttura linfatica) è
caratterizzata da un colore biancastro.
Man mano che poi questa linfa si mescola con tutto quello che proviene dalle altre zone, diventa più
trasparente perché la componente lipidica è in percentuale minore poiché prevale la componente
acquosa e la linfa che raggiunge la base del collo non presenta più un aspetto lattescente.
Il dotto toracico sale lungo la colonna vertebrale e per passare in cavità toracica attraversa il
diaframma passando per l’orifizio aortico del diaframma, perché logicamente salendo a ridosso
della colonna vertebrale avrà come traccia, sarà la gemella, dell’aorta nei suoi vari tratti,
addominale e toracico.
In questo modo il dotto toracico arriva in prossimità dell’arco dell’aorta.
Ma dietro l’arco dell’aorta (siamo arrivati alla base del collo, in regione clavicolare), in
corrispondenza dell’estremità mediale, sternale della clavicola sinistra, c’è la fossa sopraclavicolare.
All’interno di questa fossa si trova il punto in cui si forma la vena anonima del lato sinistro , che
poi attraversa quasi obliquamente lo sterno e va a terminare nella vena cava superiore.
Il dotto toracico si dirige proprio nel punto in cui si incontrano la giugulare interna e la succlavia e
dove la succlavia confluisce nella giugulare interna per formare la vena anonima del lato sinistro, in
quel punto il dotto toracico si apre e termina continuandosi con la vena succlavia sinistra.
In questo modo l’acqua che era stata richiamata dai vari settori del nostro corpo, viene restituita al
sangue e viene restituita immediatamente perché la linfa si sta riversando in una vena e dunque il
sangue che va a ricambiarsi a livello dei polmoni è un sangue che ha una composizione normale,
con tutta l’acqua che aveva perso lungo il proprio cammino.
*Se ci sono delle disfunzioni, soprattutto a livello circolatorio, accade che il sangue che arriva ai
polmoni è denso, cioè un sangue che contiene una quantità di acqua inferiore alla norma; allora gli
scambi respiratori sono impediti, l’acqua che dovrebbe essere restituita al sangue permane in
determinate zone, in particolare nel tessuto connettivo e si ha come risultato l’edema, cioè il
connettivo si infarcisce di acqua perché questa non viene drenata dai vasi linfatici e si ha il turgore
della parte interessata.
L’edema si verifica con maggiore frequenza agli arti inferiori (per questioni legate alla forza di
gravità); l’edema agli arti inferiori provoca il gonfiore, quindi l’aumento della massa connettivale
degli arti inferiori e crea dei gravi squilibri perché il sangue è più denso e conseguentemente circola
con maggiore difficoltà non solo a livello del polmone ma anche a livello del rene e del fegato,
poiché questi sono i tre organi interessati da una doppia circolazione.
Da queste considerazioni si capisce come il sistema linfatico è di supporto essenziale all’apparato
vascolare sanguigno.
- La parte destra della suddivisione, molto limitata, viene drenata da un altro dotto che prende il
nome di dotto linfatico destro.
In opposizione al dotto toracico, che è grande e più esteso e porta più linfa, abbiamo un piccolo
dotto linfatico sul lato destro.
Il dotto linfatico destro non inizia a livello degli arti inferiori, ma inizia dalla testa.
Quindi la linfa che ha circolato nella testa, nel collo e nell’arto superiore destro, compreso il
quadrante supero-esterno della parte toracica e alta dell’addome, viene drenata dal dotto linfatico
destro.
Come si forma il dotto linfatico destro?
Il dotto linfatico destro si forma per l’unione dei collettori dotto giugulare, che proviene dalla testa
(decorre accanto alla vena giugulare interna), del dotto succlavio che proviene dall’arto superiore
destro (segue sempre il decorso del vaso corrispondente) e del dotto bronco-mediastinico del lato
destro, che drena la linfa nella regione toracica del lato destro.
Quindi il dotto linfatico destro, più piccolo, più corto, meno rappresentativo del dotto toracico, si
forma per confluenza di tre vie linfatiche: quella che proviene dalla testa si chiamerà dotto
giugulare, il dotto che proviene dall’arto si chiamerà succlavio, quello che proviene dalla regione
toracica si chiamerà bronco-mediastinico ( perché siccome il dotto linfatico sta sempre addossato
alla colonna vertebrale, ci troviamo nel mediastino posteriore e dunque “mediastinico” perché si
trova nel mediastino posteriore, mentre “bronco” perché si trova addossato al bronco destro ma
drena tutta la regione toracica, sia la parete sia gli organi contenuti all’interno).
Per quanto riguarda il lato destro queste stesse vie linfatiche, cioè la via giugulare del lato sinistro,
la via succlavia e la via bronco-mediastinica, sono semplicemente affluenti del dotto toracico,
proprio perché il dotto toracico si è formato in cavità addominale, dalla cisterna del chilo, e termina
a livello della vena succlavia sinistra: allora mentre termina riceve anche il drenaggio dalla testa e
dal collo, dall’arto superiore sinistro e dalla regione toracica sinistra.
A destra queste vie linfatiche sono origini del dotto linfatico destro mentre a sinistra sono
affluenti del dotto toracico.
Questa è l’organizzazione toracica del sistema linfatico.
*Il drenaggio linfatico della parete toracica è importante perché sulla parte anteriore della cavità
toracica è presente la ghiandola mammaria, la quale è contenuta nel tessuto sottocutaneo della
parete toracica anteriore e viene descritta con il sistema tegumentario.
La ghiandola mammaria è sede di lesioni cancerose che si trasmettono agli organi vicini a causa
della confluenza delle vie linfatiche, soprattutto al polmone e al fegato che si trova al di sotto della
ghiandola mammaria destra.
Il cavo ascellare (che riprenderemo parlando dell’arto superiore) contiene vie linfatiche che drenano
dall’arto superiore, dalla spalla e dalla regione toracica verso la ghiandola mammaria ed è quindi
una sorta di crocevia nel quale si incontrano vie linfatiche.
La parete toracica viene divisa in due zone, una zona anteriore e una zona posteriore, tanto è vero
che la vascolarizzazione è affidata a due arterie differenti.
Come abbiamo visto infatti, sulla parte anteriore della parete toracica, ai lati dello sterno, c’è
l’arteria toracica interna ( o mammaria interna) che proviene dalla succlavia, decorre ai lati dello
sterno, abbandona le arterie intercostali anteriori e termina con l’arteria epigastrica superiore, che
passa attraverso il diaframma, scende nella parte anteriore della cavità addominale e si va ad
anastomizzare con l’epigastrica inferiore, ramo dell’iliaca interna.
L’arteria toracica interna irrora dunque la parete toracica anteriore, la parete addominale anteriore e
crea una connessione a pieno canale con l’arteria che poi è destinata agli arti inferiori.
Allora le vie linfatiche si dispongono allo stesso modo, e attorno all’arteria toracica interna avremo
una rete linfatica, la rete linfatica della parete anteriore del torace, la quale drena le vie linfatiche
che provengono dalla ghiandola mammaria e dall’arto superiore e quindi i linfonodi ascellari
ricevono linfa che proviene dalla parete toracica anteriore.
Nel cavo ascellare è presente una stazione linfonodale poderosa, divisa in due settori, uno
anteriore e uno posteriore.
La stazione linfonodale anteriore è più vicina alla superficie anteriore del torace, quindi drena la
superficie flessoria dell’arto superiore fino alla parte anteriore della cavità ascellare, la ghiandola
mammaria e i linfonodi distribuiti intorno all’arteria toracica anteriore ( ma non sarà interna??).
Posteriormente invece, come abbiamo visto, l’irrorazione vascolare della parete toracica posteriore,
è affidata all’aorta toracica, che decorre a ridosso della colonna vertebrale ed emana le arterie
intercostali posteriori, che poi lungo la parete laterale del torace, si anastomizzano a pieno canale
con le arterie intercostali anteriori.
Quindi nella parte posteriore, a ridosso dell’aorta e delle arterie intercostali, troveremo delle vie
linfatiche che si diramano con le arterie intercostali e vanno a confluire nei linfonodi ascellari
posteriori.
Poiché il settore anteriore e posteriore sono collegati, alla fine il drenaggio avviene a livello dei
linfonodi succlavi: ma ricordiamo che a sinistra c’è il dotto toracico a ricevere i linfonodi succlavi,
mentre a destra il dotto linfatico destro si forma per confluenza dei linfonodi succlavi (insieme a
quelli giugulari o bronco-mediatinici).
*Quindi alla fine la linfa arriva comunque nei grossi collettori però da una parte c’è una affluenza
mentre a destra è la stessa linfa che va a comporre il dotto linfatico destro: questo significa che
teoricamente una metastasi alla ghiandola mammaria destra ha una diffusione più invasiva,
maggiore che non a sinistra.
Esaminiamo altre importanti vie linfatiche.
Attorno alle arterie che servono l’intestino, cioè le arterie mesenteriche superiore e inferiore e
attorno al tronco celiaco in alto, si formano delle stazioni linfonodali che sono intimamente
collegate alla vascolarizzazione sanguigna arteriosa e venosa.
In particolare i linfonodi che circondano il tronco celiaco formano una stazione linfonodale molto
importante, il gruppo di linfonodi della regione celiaca, che drena tutto il canale intestinale.
Inoltre nello spessore della mucosa intestinale si formano degli aggregati di linfonodi che prendono
il nome di noduli linfatici isolati, perché in un preparato microscopico si presentano come dei
corpuscoli inseriti nel contesto della struttura microscopica normale dell’intestino, al limite tra la
mucosa e la sottomucosa; questi noduli linfatici infatti hanno una diversa costituzione per cui si
presentano come corpuscoli ben definiti, nel contesto dei quali si possono osservare i linfociti
caratterizzati dai nuclei voluminosi.
*Il sistema linfatico si può rintracciare in ogni parte del nostro corpo, perché nel tessuto linfoide
prevale questa struttura puntiforme riconducibile ai nuclei dei linfociti.
Questi noduli linfatici vengono detti isolati quando sono sparsi nel contesto della struttura
dell’organo, come avviene soprattutto nell’intestino, ma possono formare degli aggregati anche
molto corposi, che prendono il nome di noduli linfatici aggregati o placche del Peyer, perché si
tratta di strutture molto più voluminose che occupano la sottomucosa.
Questi noduli hanno funzione protettiva perché i linfociti che formano queste strutture hanno il
compito di difendere dagli agenti estranei che siano eventualmente stati ingeriti e che si trovino a
livello del canale intestinale.
Altri presidi importanti sono rappresentati dall’anello linfatico del Valdeyer, in corrispondenza
della parte posteriore del cavo orale.
Questo anello linfatico è costituito da aggregati di tessuto linfoide distribuiti in corrispondenza del
tetto della faringe.
Le tonsille palatine, ai lati dell’istmo delle fauci.
Un altro presidio è la tonsilla linguale(?) che si trova nello spessore della radice della lingua; la
lingua è un organo muscolare e la parte che forma la radice, il punto di impianto della lingua
presenta tessuto linfoide nel suo spessore e quindi tra le fibre muscolari
*Questa parte di tessuto linfatico è quella che provoca i maggiori dolori; la tonsillite è dovuta
all’infiammazione delle tonsille palatine, che solitamente è semplice rimuovere, asportare, ma in
realtà il dolore proviene dalla tonsilla linguale (infatti si avverte dolore alla deglutizione quando si
mette in movimento la radice della lingua).
Chiaramente la tonsilla linguale, anche se dovesse essere infiammata, non è asportabile.
La tonsilla faringea, poiché si trova sul tetto della faringe, cioè al limite tra cavità orale e cavità
nasale, guarda verso la cavità nasale e quando si ipertrofizza, cioè quando aumenta di volume, risale
verso la tuba uditiva, il condotto che collega la faringe e l’orecchio medio.
[La tuba uditiva serve ad equilibrare la quantità di aria sui due lati della membrana del timpano,
consentendole pertanto il movimento. Il timpano all’arrivo delle onde sonore si mette in tensione e
poi si rilascia e non potrebbe compiere questo movimento elastico se non avesse la stessa quantità
di aria sulle due facce. Sulla faccia del timpano che guarda verso il padiglione auricolare l’aria
proviene dall’esterno, mentre sulla superficie di membrana che guarda verso il cavo del timpano
l’aria viene dalla tuba uditiva, per cui dalla faringe.]
*Siccome la tuba uditiva si trova sulla parte alta della faringe, è chiaro che quando la tonsilla si
ipertrofizza, cioè aumenta di volume, sale verso la tuba uditiva e può anche chiuderla parzialmente
o del tutto; si formano quindi le cosiddette adenoidi, così chiamate perché questa massa della
tonsilla faringea viene paragonata ad un adenoma di una ghiandola. Le adenoidi sono quindi
proliferazioni della parte adenomatosa della tonsilla faringea, che viene assimilata ad una ghiandola
pur non essendo tale. Questa struttura può ostruire quindi la tuba uditiva e impedire alla membrana
del timpano di potersi muovere adeguatamente e di poter percepire i suoni: dunque le adenoidi
vengono asportate perché possono disturbare la percezione uditiva.
- Esistono poi altre stazioni linfonodali importanti, cioè altre zone in cui il numero dei linfonodi
esubera il numero di vasi linfatici quindi si formano dei veri propri agglomerati di linfonodi, che
vengono chiamati linfocentri o appunto stazioni linfonodali.
*Queste zone sono molto importanti nella pratica medica perché quando subiscono delle variazioni
di volume o di consistenza diventano segnale di patologie presenti in quella regione.
Il medici ispeziona molto spesso le principali stazioni linfonodali perché queste sono punti di arrivo
di linfa da vari distretti.
Le principali stazioni linfonodali sono il linfocentro ascellare, che drena linfa dall’arto superiore,
dalla parete toracica, dalla ghiandola mammaria, dal fegato e dal polmone.
- Il linfocentro inguinale, in corrispondenza della piega dell’inguine, che drena gli arti inferiori, la
parete addominale inferiore, gli organi pelvici.
Ci sono poi dei linfocentri molto importanti in corrispondenza della testa, come il linfocentro
sottomandibolare, dove è sporgente l’angolo della mandibola;
Il linfocentro dentale, sotto la parte anteriore della mandibola; I linfonodi dentali drenano dalle
arcate dentarie; quindi se c’è una patologia dentaria, un ascesso o una carie, si infiammano
immediatamente i linfonodi e diventano dolenti.
Altri importanti linfocentri si trovano immediatamente dietro il padiglione auricolare e in regione
occipitale in corrispondenza dell’attaccatura dei capelli.
Il linfocentro che si trova dietro il padiglione dell’orecchio, in corrispondenza del passaggio
dell’arteria occipitale ( ramo della carotide esterna), drena la parte posteriore della volta cranica e la
parte posteriore della testa.
Il linfocentro che si trova in regione retromandibolare drena vie linfatiche provenienti dalla testa
(poiché in questa regione è presente il seno carotideo) e dall’encefalo perché vicino alla carotide c’è
la vena giugulare interna.
Allora se ci sono dei problemi, delle patologie, è chiaro che questi linfonodi diventano
particolarmente turgidi, si lasciano difficilmente deprimere e addirittura formano certe volte,
soprattutto i linfonodi sottomandibolari, dei rigonfiamenti, sporgono al d
sotto della cute.
I linfonodi retro-occipitali sono importantissimi, la prima manovra del pediatra quando visita un
bambino è quella di andare a sentire i linfonodi occipitali, perché sono quelli che drenano la regione
posteriore del collo e drenano anche la parte posteriore della regione nucale, soprattutto per quanto
attiene la cute, i vasi sanguigni.
*Queste stazioni linfonodali sono molto importanti e l’ispezione di questi centri serve a
diagnosticare preventivamente diverse patologie.
Può accadere che si verifichi un’infiammazione o a livello dei vasi linfatici, che prende il nome di
linfangite. Tale infiammazione dei vasi linfatici è dovuta perlopiù ad un batterio, lo stafilococco,
per cui dovrebbe regredire tramite la somministrazione di antibiotici.
Il linfedema invece è l’infiammazione dei linfonodi, dovuta alla riduzione del numero di linfonodi;
ad esempio il linfedema subentra dopo l’asportazione dei linfonodi ascellari perché è chiaro che se
viene diagnosticato un tumore alla ghiandola mammaria i linfonodi ascellari, che rappresentano il
punto di convergenza di linfa, dove vi può essere la trasmissione di metastasi, allora è necessario
interrompere questa comunicazione.
Però togliendo i linfonodi e i vasi linfatici annessi si avrà come conseguenza nella regione
interessata l’edema del connettivo perché una certa quantità di acqua non ritorna più al sangue e il
tessuto si infarcisce di liquido.
Dunque l’edema alla cavità ascellare è comune riscontro nelle donne che sono state operate da
tumore alla ghiandola mammaria, che viene bloccato primariamente asportando i linfonodi del cavo
ascellare. La donna operata, dopo un certo tempo dall’intervento presenta gonfiore al braccio e al
cavo ascellare, che può essere superato somministrando antiedemigeni cioè dei farmaci che
riducono l’edema, a meno che l’intervento non sia avvenuto tardivamente, in quel caso l’edema non
si risolve neppure con la somministrazione di farmaci.
Per cui linfangite quando è interessato un vaso, linfedema è la mancanza di linfonodi che ha
provocato l’edema al connettivo circostante.
Tra gli organi linfoidi abbiamo annoverato anche i linfonodi, che sono intercalati lungo un vaso
linfatico. Il linfonodo presenta una forma globosa e si lascia permeare dalla linfa.
Il linfonodo è comunque un organo pieno per cui avrà una capsula (come tutti gli organi linfoidi).
La capsula è determinante perché essa negli organi pieni emana dei setti verso l’interno che
formano lo stroma, cioè formano l’impalcatura.
Negli organi linfoidi l’impalcatura è fondamentale perché le cellule sono prevalentemente linfociti,
cellule molto piccole che per formare il parenchima dell’organo linfoide hanno bisogno di un
supporto notevole; infatti la maggior parte dei setti emanati dalle capsule degli organi linfoidi non
sono mai setti sottili, ma si tratta di setti molto sviluppati, tanto è vero che nel loro contesto
decorrono dei vasi sanguigni.
Il linfonodo presenta quindi una capsula poderosa e dei setti che hanno uno spessore elevato perché
rappresentano l’impalcatura per la disposizione delle cellule, che sono esclusivamente linfociti.
Un’altra caratteristica degli organi linfoidi è che il parenchima è organizzato a formare dei follicoli.
Tutti i parenchimi degli organi linfoidi sono strutturati a formare dei follicoli, però si ha la
possibilità al microscopio di distinguere ad esempio un follicolo di un linfonodo dal follicolo del
timo o della milza, questo significa che vi sono delle caratteristiche strutturali tipiche.
La struttura base degli organi linfoidi comprende la capsula, setti di ampiezza notevole e pertanto
uno stroma ben rappresentato e il parenchima formato da linfociti organizzati a formare dei
follicoli, strutture sferiche, le cui caratteristiche variano da organo a organo.
Il linfonodo viene attraversato dalla linfa e pertanto svolge la funzione di filtro nei confronti dei
linfociti, elimina i linfociti vecchi e ricostituisce la componente linfocitaria.
La superficie del linfonodo viene interrotta da vasi linfatici afferenti, infatti poiché i vasi linfatici
formano una rete, un linfonodo viene servito da più vasi linfatici.
Quindi la superficie della capsula è interrotta dall’arrivo di tanti vasi linfatici afferenti: la linfa
arrivata con i vasi linfatici afferenti, si va a disporre in una sorta di canale situato al di sotto della
capsula, pertanto si forma un seno sottocapsulare e la linfa così inizialmente si dispone tutt’intorno
al linfonodo, sotto la capsula.
In seguito la linfa penetra nel linfonodo e va all’interno dei follicoli, scende verso l’interno
dell’organo e infine confluisce in una zona depressa del linfonodo che prende il nome di ilo.
Nell’ilo del linfonodo, come in tutti gli organi, si ha l’ingresso dell’arteria, l’uscita della vena, il
passaggio di un piccolo filamento nervoso e l’uscita di un unico vaso linfatico chiamato vaso
linfatico efferente perché sta uscendo dal linfonodo.
Subito quasi alla sua origine questo vaso linfatico presenta una valvola che impedisce il reflusso
della linfa nel linfonodo.
Dunque vi sono tanti vasi linfatici afferenti, ma il vaso linfatico efferente è unico ed esce passando
per l’ilo del linfonodo.
Il follicolo del linfonodo si caratterizza per avere al centro una zona chiara che prende il nome di
centro germinativo ed è una zona in cui si concentrano i cosiddetti linfoblasti, cioè delle cellule
embrionali totipotenti(?) che hanno la capacità di evolvere in linfociti maturi.
Il centro germinativo si distingue dalla rimanente porzione di parenchima perché è più chiaro,
perché dal momento che si tratta di blasti, cioè delle cellule in evoluzione, non hanno tutti gli
organuli (?..) pertanto sono più chiare e complessivamente l’agglomerato di linfoblasti è più chiaro
della parte rimanente del follicolo, formato da linfociti maturi e pertanto più scuri.
Quindi il follicolo del linfonodo, per via della sua funzione, si caratterizza per possedere al centro
il centro germinativo, che rappresenta una riserva di linfoblasti, cioè cellule che all’arrivo della
linfa si trasformano in linfociti e passano nella linfa.
I linfociti che si trovano attorno al centro germinativo, trattandosi già di linfociti maturi, hanno il
compito di distruggere i linfociti che hanno terminato il proprio ciclo vitale; tanti linfociti vengono
distrutti quanti ne vengono prodotti dal centro germinativo, così che la linfa possa ricostituirsi e i
linfociti passare in circolo.
In teoria i linfociti maturi dovrebbero essere in grado di eliminare agenti patogeni come batteri,
virus, cellule cancerose ma in realtà il linfonodo può sanare solo determinate patologie ma quando
esse si trovano allo stato iniziale; in alcuni casi vengono somministrati antibiotici, che servono a
collaborare all’azione dei linfonodi.
Si può capire che l’organismo sta reagendo quando i linfonodi esaminati diventano particolarmente
palpabili, infatti, ad esempio nel caso di una tonsillite, i linfonodi si trovano turgidi e addirittura
fanno sporgenza sotto la cute.
Se visualizziamo la disposizione di tutte le vie linfonodali, possiamo notare che i linfonodi sono a
drenaggio anche dalla cavità orbitarla e dalla cavità nasale e dunque le patologie a livello di queste
cavità si riverberano anche sui linfonodi e addirittura, per confluenza, ai linfonodi sulla regione
laterale del collo, cioè della stazione giugulare.
Il timo
Il timo presenta una capsula come tutti gli organi linfoidi; questa capsula lo riveste ma è talmente
spessa in certe zone da determinare la formazione di due lobi piramidali.
Dunque il timo, anziché avere una forma sferica come il linfonodo, è costituito da due lobi di forma
all’incirca piramidale.
Questi due lobi, a loro volta (come si può notare già sulla superficie esterna dell’organo), sono
formati da una serie di lobuli. La capsula infatti ha inviato all’interno dei setti suddividendo il
parenchima in lobuli.
Il timo si differenzia dal linfonodo perché è più grande ( a sviluppo ultimato, cioè alla pubertà, pesa
circa 40g) e poi comincia ad involvere perchè si trasforma in un corpo fibroso; questo significa che
la capsula prende il sopravvento sulla parte parenchimatosa e trasforma l’organo.
I lobuli, una volta sezionati e osservati al microscopio, sono formati anch’essi da una zona più
chiara centrale, la quale è data da alcune strutture chiamate corpuscoli di Hassal o corpuscoli
timici.
Questi corpuscoli sono costituiti da una struttura centrale che è un piccolo vaso sanguigno,
circondato da cellule connettivali e da linfociti.
La caratteristica del timo riguarda il fatto che i linfociti, man mano che maturano, si trovano allo
stadio iniziale alla periferia del follicolo dopodichè migrano verso l’interno del follicolo dove
completano la loro maturazione e passano nella corrente sanguigna.
Per compiere questo percorso, cioè per diventare maturi e per passare nella torrente sanguigna sono
necessarie alcune sostanze che vengono complessivamente indicate col nome di limosine ed è per
questo che da alcuni autori il timo viene annoverato con il sistema endocrino, soltanto per la
capacità di produrre tali sostanze che favoriscono il cammino dei linfociti dal parenchima del timo
verso il sangue e che in questo modo vengono anch’esse increte nel sangue, ma sono soltanto
relativamente ormoni poiché non svolgono alcuna azione nei confronti di altri organi bersaglio.
Per questo conviene ad ogni modo indicare il timo tra gli organi linfoidi che tra gli organi endocrini.
- Inoltre questa particolare struttura serve a differenziare l corpuscolo timico da quello del linfonodo
poiché il follicolo del timo è caratterizzato dalla presenza al centro di un’area chiara che però è data
dal corpuscolo di Hassal, non è il centro germinativo del linfonodo.
I linfociti contenuti all’interno del timo sono linfociti T, i quali una volta passati nel sangue
diventano più elaborati e sono proprio quelli responsabili della risposta immunitaria dovuta
all’ingresso di un nuovo antigene.
Quando il timo scompare nel sangue rimane la memoria di queste cellule, le quali poi vengono
riprodotte sulla memoria conservata, dunque il midollo osseo matura, elabora la capacità di
produrre i linfociti T, anche quando il timo involve.
La milza
La milza è un altro organo linfoide importante, è contenuta nella regione ipocondriaca sinistra, cioè
sotto l’emidiaframma sinistro, quasi a contatto con la concavità del diaframma perché infatti
la milza occupa uno spazio compreso tra la nona e l’undicesima costa.
La milza presenta un contorno approssimativamente ellittico e il suo asse maggiore corrisponde
all’asse longitudinale della decima costa.
Dunque la decima costa che scende obliquamente dall’alto verso il basso, dall’esterno verso
l’interno, non fa altro che accompagnare l’asse longitudinale della milza.
*Per andare a sentire dove è collocata la milza, bisogna individuare sul fianco sinistro la decima
costa e seguirla per avere una idea della espansione della milza.
La milza infatti molto spesso aumenta il suo volume e la splenomegalia infatti è una patologia
molto comune legata a diversi fattori; la milza in questo caso abbandona la sua loggia e scende
verso il basso espandendosi in avanti e verso il basso: di conseguenza va a disturbare l’intestino
crasso, il colon discendente e anche disloca parzialmente lo stomaco perché si porta in avanti.
La splenomegalia può essere riconducibile a diversi fattori, soprattutto all’aumento dell’attività
della milza legata ad esempio ad un infarcimento di sangue esuberante oppure ancora la
splenomegalia può essere legata all’ipertensione portale perché, dal momento che la vena glienale
va alla vena porta, se c’è ipertensione portale, cioè un aumento di pressione dovuto all’aumento di
dimensioni del fegato (ad es. in caso di cirrosi), il sangue anziché dirigersi nella vena porta, ritorna
indietro rendendo la milza più grande.
Per quanto riguarda la struttura della milza deve essere sempre considerata in funzione del suo
coinvolgimento nella circolazione sanguigna e nella circolazione linfatica.
I linfociti del parenchima glienale si organizzano in due modi: alcuni linfociti prendono rapporto
con i vasi sanguigni ed essendo perfusi da sangue formano quella che viene definita polpa rossa
mentre altri linfociti, come abbiamo già visto nel linfonodo e nel timo, formano proprio dei follicoli,
degli aggregati costituiti da linfociti e quindi formano, in contrasto con la polpa rossa, la polpa
bianca.
Inoltre i vasi sanguigni si comportano diversamente: l’arteria glienale (ramo del tronco celiaco)
entra nell’ilo della milza, attraversando la capsula poderosa che avvolge l’organo e che invia
all’interno della milza di setti che nella milza sono talmente sviluppati, talmente rappresentati, da
non chiamarsi più setti ma che si chiamano trabecole.
[Quando in anatomia si parla di trabecola significa che tali strutture formano come delle pareti; non
si tratta quindi di setti, i quali possono avere anche una forma cilindrica, ma sono più simili a pareti
che quindi rappresentano ancora di più la guida per il passaggio dei vasi sanguigni e dei nervi]
L’arteria glienale si dirama all’interno del parenchima e come tutte le arterie del nostro corpo forma
dei capillari, però i capillari della milza sono di due tipi:
- capillari sinusoidi che presentano un decorso tortuoso, una parete estremamente sottile e si aprono
in seni venosi, cioè vene talmente dilatate da prendere il nome di seni venosi.
- la seconda possibilità riguarda altri capillari che si aprono ancora nei seni venosi, ma prima di
farlo si rivestono di un manicotto di linfociti e di macrofagi.
Questi capillari perdono addirittura la parete, per cui si tratta di capillari privi di endotelio, i quali
sono rivestiti, sono protetti, da un manicotto di macrofagi.
Chiaramente a questo livello il sangue, non essendo presente una struttura rivestita da parete, si
sparge e viene a contatto con queste cellule, macrofagi e linfociti.
Dunque dall’arteria glienale i capillari seguono due vie, cioè o si dirigono normalmente verso la
polpa rossa, quindi vanno a confluire nei seni venosi e mantengono una propria parete oppure il
sangue si sparge dall’arteria glienale nella polpa bianca, dal momento che si formano delle lacune
dovute al fatto che il capillare si è aperto all’interno della polpa bianca.
Il sangue viene dunque a permeare la polpa bianca entrando in contatto diretto con i macrofagi e i
linfociti; ma il sangue non può permanere nella polpa bianca per cui rientra nella corrente sanguigna
poiché alla fine va a terminare in una vena glienale (?).
Nella milza ci sono dunque due circolazioni:
- la prima, dal momento che segue l’ordine arteria, capillare e seno venoso è una circolazione chiusa
- la seconda, dal momento che il sangue segue il percorso arteria, capillare, polpa bianca e seno
venoso, è una circolazione aperta (poiché si apre nel tessuto linfatico).
I seni venosi sono particolari e differenti dalle vene per come le intendiamo normalmente.
Per comprendere la struttura di un seno venoso della milza può essere utile pensare ad una botte,
costituita da doghe collegate tra si loro da anelli metallici.
Il seno venoso è formato da “doghe”, rappresentate dalle cellule endoteliali, che anziché essere tutte
accostate tra di loro, sono scostate, separate.
Allora le cellule endoteliali che formano le “doghe” sono distanziate tra di loro e si ha il passaggio
di elementi cellulari dal sangue alla polpa rossa e viceversa.
In questo modo gli eritrociti semi-distrutti attraversano la lacuna sanguigna mentre i linfociti
passano dalla polpa rossa verso il sangue.
Gli anelli metallici delle botti sono rappresentati da fibre connettivali ad anello, che tengono unite
le cellule endoteliali parzialmente staccate e impediscono così l’apertura totale del vaso.
- Questa circolazione è molto caratteristica e si può osservare solo a livello della milza perché c’è la
necessità di un contatto diretto tra la circolazione sanguigna e la circolazione linfatica.
Dal momento che capillari sono dei sinusoidi si spiega la funzione della milza come organo
determinante, ad ogni momento, del volume sanguigno totale perché maggiore è la quantità di
sangue che permea la milza minore è il volume sanguigno totale e viceversa.
*La milza molto spesso è soggetta a dei traumi per cui è necessario asportarla.
Siccome è contenuta in una loggia particolare, gli interventi sulla milza si eseguono con delle
incisioni sulla parete addominale anteriore (ma questo tipo di intervento è stato abbandonato)
perché oggi si esegue la tecnica laparoscopica, cioè si praticano dei piccoli fori, quello principale
sempre in regione ombelicale, gli altri invece in regione addominale alta proprio ad incidere in
corrispondenza dell’arco portale(?) a livello della decima costa che rappresenta l’asse longitudinale
della milza.
In questo modo è possibile riuscire a penetrare all’interno della loggia splenica in maniera poco
invasiva ed asportare la milza.
Quando l’incisione veniva fatta in posizione mediana il chirurgo doveva tagliare delicatamente tutti
i ligamenti che la connettono sia al colon discendente che allo stomaco e poi farla ruotare ed estrarla
proprio affinché potesse abbandonare facilmente la loggia nella quale è contenuta.
-Il midollo osseo è contenuto prevalentemente nelle ossa lunghe degli arti e nelle ossa piatte,
segnatamente lo sterno e l’osso dell’anca.
*Il midollo osseo viene molto spesso sottoposto a prelievi per poter conoscere lo stato di salute
delle cellule contenute all’interno. Poiché il midollo osseo è un organo emopoietico, andare a fare
uno striscio di midollo osseo (come per lo striscio di sangue) significa andare a visualizzare le
cellule che esso contiene: si può fare la conta dei reticolociti, cioè i precursori degli eritrociti e
vedere se ne vengono prodotti in quantità opportune soprattutto in caso di anemia, oppure si può
eseguire lo screening del midollo osseo perché quando si fa una donazione del midollo osseo è
necessario che il donatore sia compatibile ed esiste addirittura un registro internazionale dei
donatori di midollo osseo.
Il prelievo del midollo osseo si può eseguire a livello dell’osso dell’anca prelevando una parte
dell’osso e creare così la possibilità di un trapianto di osso. Ad esempio esistono dei tumori che
colpiscono la mandibola e ne determinano il disfacimento; allora dallo stesso soggetto si preleva
una parte dell’osso dell’anca e si va ad impiantare nella mandibola e questo permette la
rigenerazione, la riparazione dell’osso e del midollo.
Il prelievo invece del midollo osseo allo scopo di analizzarlo si effettua sempre a livello dell’osso
dell’anca con il soggetto disteso in decubito laterale, con gli arti flessi al bacino in modo da mettere
in evidenza la parte posteriore dell’osso dell’anca e in modo tale che ci sia come ostacolo solo la
cute, per cui entrando con l’ago perpendicolarmente rispetto al piano dell’osso si raggiunge la parte
più sporgente dell’osso dell’anca e si procede con una siringa (che presenta un ago con una cavità
maggiore rispetto ad una normale siringa) in modo da aspirare il midollo dalle cavità del tessuto
osseo spugnoso dell’osso dell’anca.
Questo prelievo è importante anche per diagnosticare le cosiddette storage disease, cioè le malattie
da immagazzinamento che si verificano quando i metaboliti invece di essere eliminati vengono
immagazzinati, accumulati.
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