Gaetano Rasi Il fascismo come tentativo di sintesi

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Gaetano Rasi
Il fascismo come tentativo di sintesi ideologica e di rappresentanza
politica integrale
Sommario
1°- Significato di una data. 2- Il fascismo come elaborazione collettiva. 3° - Unità di pensiero
e azione. 4° - La programmazione concertata dello viluppo civile. 5° - Incapacità del liberismo
e del socialismo a risolvere i problemi della società attuale. 6° - Il fascismo come sintesi
e superamento. 7° - Il corporativismo. 8° - La critica all’individualismo e allo
statalismo. 9° - La rappresentanza politica corporativa. 10° - Conclusioni,.
Predappio 28 aprile 2007
Gaetano Rasi
Il fascismo come tentativo di sintesi ideologica e di rappresentanza
politica integrale
1° - Significato di una data
Il 28 aprile 1945 , con l’assassinio di Benito Mussolini e il completamento dell’invasione dell’Italia
veniva posto fine all’ultra ventennale esperimento fascista.
Uso deliberatamente i termini “assassinio” e “invasione” perché - ad oltre sessanta anni dagli
eventi - si tratta di definizioni storiche incontrovertibili, malgrado la persistenza di false versioni
dettate da faziosi preconcetti ideologici e da precarie convenienze di agibilità politica contingente.
Il capo del fascismo veniva ucciso da mano comunista, per ordine di una dirigenza ispirata
dall’Urss e , forse, anche dall’Intelligens Service britannico, e il nostro Paese veniva interamente
occupato da truppe straniere: gli anglo-americani, cui erano stati aggregati reparti, spesso
mercenari, di varie nazionalità.
Da un lato si eliminava la pericolosa concorrenza politico-ideologica rappresentata dall’uomo che
concretamente aveva proposto al mondo una soluzione umanissima e produttivistica al problema
della giustizia sociale, nella libertà sostanziale e non solo formale dei singoli, in totale alternativa
alla deprimente soluzione socialcomunista.
Dall’altro si impediva all’Italia e all’Europa di essere leader ed esempio di sviluppo nella politica
mondiale verso i Paesi emergenti in un’epoca che si preannunciava di grande dinamismo, per la
rapidità delle comunicazioni e dei trasporti, nonché per la istantanea diffusione mondiale delle
conoscenze scientifiche e tecnologiche.
Si compiva, dunque, il comune disegno degli alleati sovietici e capitalistici di impedire l’avvento di
un nuovo corso della storia rappresentato da concezioni di civiltà superiore nella vita associata e
nella organizzazione politica ed economica delle nazioni.
2° - Il fascismo come elaborazione collettiva
Siamo abituati a concentrare nella personalità di Mussolini la nascita e l’affermarsi del fascismo,
ma questo storicamente è vero solo in parte, in quanto esso, come dottrina, ideologia, strutturazione
politico-istituzionale e organizzazione politica-economica-amministrativa, è il frutto di una
complessa preparazione, precedente la salita al potere del fascismo in Italia e riguardante, prima e
durante, oltre il pensiero politico italiano, francese e tedesco anche correnti e indirizzi politicosociologici di tutti i Paesi del mondo, dall’Europa all’Asia, dall’America all’Africa.
Soprattutto, è il risultato di una intensa elaborazione teorica e pratica, in Italia e all’estero, durante il
suo periodo di svolgimento. Mussolini ne è stato l’interprete politico e il propulsore operativo, a
capo di una dirigenza intelligente e fattiva, estremamente sensibile alle esigenze quotidiane e
capace di visioni strategiche.
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La fine drammatica è derivata dall’enorme peso delle soverchianti forze, scatenate dall’esterno
dell’Europa, e dalla debolezza delle nuove forze nazionali non ancora preparate allo sforzo che
sarebbe stato necessario. Solo a posteriori ci si è resi conto che ciascuna delle principali potenze
impegnate - Italia, Germania e Giappone - ha finito per combattere secondo logiche nazionali
separate una guerra che avrebbe dovuto, invece, essere affrontata, fin dall’inizio, con una unica
comune strategia, coordinando mosse e strategie,
Ma i tempi non erano maturi
Abbiamo accennato alle vicende belliche per richiamare l’attenzione sul fatto che il fascismo fu
sconfitto, diremmo ancora “in fascie”, prima che potesse esplicare tutte le sue potenzialità positive,
da una guerra perduta e non per implosione interna a seguito del fallimento come dottrina e come
sistema politico ( come è più tardi avvenuto negli anni ‘80 per il social-comunismo dell’Urss e
come entro la metà di questo secolo probabilmente avverrà per il sistema liberal-capitalistico
angloamericano).
Ritornando all’analisi del fenomeno “fascismo” va ricordato che la elaborazione del suo sistema di
pensiero politico e di dottrina dello Stato, nella teoria e nella pratica, è stato opera di due categorie
di intellettuali e di operatori politici fra loro interagenti:
1° - una prima categoria è stata costituita da studiosi, filosofi, politologi, economisti, giuristi e
storici di diverse provenienze ed esperienze il cui pensiero è confluito nella elaborazione di una
nuova sintesi politico- culturale;
2° - un’altra categoria è stata costituita dalle nuove forze emergenti della borghesia attiva, sempre
più tecnicologicamente dotata, e dalle forze del lavoro costituite da tutte le sue forme: lavoratori
dipendenti, autonomi, imprenditori, tecnici. dirigenti, professionisti.
3° - Unità di pensiero e di azione
Va, a questo riguardo, sottolineato che una delle caratteristiche del fascismo è sempre stata quella
della “interagibilità degli operatori del pensiero e dell’azione”, al fine di evitare l’astrattezza
dell’ideologismo parolaio della sinistra e l’attivismo volto alla speculazione contingente di mero
interesse individuale.
La filosofia di fondo era costituita proprio dal desiderio di realizzare in concreto una costruzione
politica ed economica valida per il progresso effettivo e rapido della intera società nazionale, senza
deprimere le forze imprenditoriali ed elevando i redditi e le possibilità sociali delle categorie meno
dotate di mezzi materiali.
L’elevazione di tutti doveva essere compito dello Stato attraverso non solo l’istruzione
generalizzata ed obbligatoria, ma anche l’educazione generalizzata ed obbligatoria. E’
quest’ultimo un tema che merita una trattazione a parte perché per moltissimi aspetti l’attuale crisi
italiana ha origine proprio dall’aver distinto tra “istruzione” ed “educazione”, abolendo
quest’ultima.
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Il fascismo intendeva realizzare uno degli assiomi di un suo ascendente politico fondamentale, il
pensiero mazziniano, dal quale si erano abbeverati molti suoi esponenti, ma soprattutto perché
l’Apostolo del Risorgimento era stato per molti aspetti un suo precursore: basti ricordare, oltre il
concetto di “unità di pensiero e azione”, la sua concezione sociale di “capitale e lavoro nelle
stesse mani”, preconizzatore della teoria fascista della “collaborazione di classe” e della
“partecipazione del lavoro alla gestione dell’impresa”, al fine di superare il classismo socialista e
la concezione marxista della lotta di classe come motore della storia e fattore di progresso.
Due, pure, furono i catalizzatori che portarono al fascismo: l’esperienza maturata nella Prima
guerra mondiale che ruppe i precedenti equilibri, dominati da piccole elitte politico-dinastiche e da
miopi oligarchie finanziarie, e la mobilitazione e oerganizzazione, al fronte e all’interno, di enormi
masse di popolazione in misura mai prima avvenuta .
Genti non abituate ad operare in gruppi collettivi disciplinati e coordinati, si accorse della forza e
del potere che poteva venire anche ai singoli dall’agire insieme e nell’impegno rivolto ad obiettivi
condivisi.
Insomma si diffuse la consapevolezza dell’importanza per il progresso sociale ed economico
derivante dall’agire programmato e finalizzato sotto un comando gerarchico.
In tal maniera un metodo militare usato per la guerra fu trasferito all’attività civile e politica.. Dal
Piano militare nacque la programmazione economica, dal metodo di prefissare gli obiettivi
dell’azione bellica nacque la finalizzazione pacifica del traguardo dell’aumento della produzione e
del reddito.
4° - La programmazione concertata dello sviluppo civile
Il fascismo fece proprio questo nuovo patrimonio di conoscenze organizzative affinate per esigenze
belliche e lo finalizzò all’aumento quantitativo e qualitativo dei beni e dei servizi, nonché di redditi
sempre più diffusi.
Significativo fu il commento di Mussolini in occasione del lancio del programma, detto “battaglia
del grano” , per l’aumento della produzione cerealicola nazionale, necessario in quell’epoca al
bilancio nazionale, affidato ai contadini già combattenti, reduci dalla Prima guerra mondiale: “
Questa è la battaglia che preferiamo”.
Il fascismo fu il precursore pratico delle teorie della piena occupazione attraverso gli investimenti
per la dotazione del sistema economico e civile di infrastrutture ( strade, ponti, ferrovie, porti, navi,
linee marittime, linee aere, bonifiche ed altro) con i ricaschi moltiplicativi sull’espansione e la
modernizzazione.
Tutto ciò prima che Keynes lanciasse la teorie del full employment e lo fece senza praticare quel
deficit spending che fu spesso causa ed alibi per l’aumento dell’inflazione nelle economie liberalcapitalistiche.
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In particolare va sottolineato che introdusse il concetto di programma partecipato e concertato,
cosa ben diversa dalla pianificazione sovietica di tipo meramente amministrativo e quantitativo, e
dalla successiva programmazione indicativa degli anni ’70 – ossia non impegnativa per i
protagonisti, Stato,imprenditori e lavoratori - che alcuni degli stessi autori (Fanfani, per esempio)
definirono “libro dei sogni”.
5° - Incapacità del liberismo e del socialismo a risolvere i problemi della società attuale
D’altra parte le ideologie liberali e socialiste si erano dimostrate del tutto incapaci ad affrontare i
problemi della vita associata e dell’avvento di masse sempre più consapevoli, istruite e aggiornate
nella vita politica e nelle attività economiche.
I sistemi di produzione fordiani, ripetitivi di azioni parzializzate ed alienanti, lasciavamo sempre
più il passo alla produzione per progetto ed implicante nozioni tecniche superiori.
Il lavoro era sempre meno attività passiva, che ignorava il significato e l’esito finale dell’attività
produttiva., ma richiedeva per la sua stessa natura, modificata dalla scienza e dalla tecnica, la
partecipazione intelligente più che muscolare del lavoratore e l’impiego della sua volontà operosa.
Da ciò la teoria della “partecipazione”
Il liberalismo politico e il liberismo economico all’inizio tendevano ad escludere i sindacati dalla
collaborazione nella formazione dei contratti di lavoro e le organizzazioni dei lavoratori, di
ispirazione socialista, trattavano con le dirimpetaie organizzazioni dei datori di lavoro soprattutto
da posizioni di forza e di lotta, attraverso scioperi, senza preoccuparsi delle negative ripercussioni
per la generalità dei cittadini e per gli stessi lavoratori implicati.
D’altro canto va ricordate le rigidità e le ostinazioni egoistiche delle stesse categorie
imprenditoriali. Necessaria risultava pertanto la presenza attiva dello Stato come arbitro e risolutore
nell’interesse generale.
Dal canto suo il socialismo, praticando la lotta di classe estesa all’ azione parlamentare, contribuiva
a rendere impossibili in sede legislativa soluzioni costruttive e produttive. Si trascurava, insomma,
il fatto che per ripartire la ricchezza bisognava prima produrla !
La presenza in parlamento di partiti socialisti e marxisti non favoriva una attività legislativa
adeguata alle esigenze dalla società moderna perché la filosofia praticata era quella di dover
contribuire ad aggravare la crisi del capitalismo per accelerare la nascita della società socialista o
comunista . La stessa azione della socialdemocrazia, che sosteneva una maggiore gradualità nel
realizzare la società senza classi e dominata dai soli lavoratori, era spesso contraddittoria e
inconcludente.
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6° - Il fascismo come sintesi e superamento
Il fascismo dunque nacque per rispondere a queste esigenze.
La filosofia politica del fascismo si fondava sulla convinzione che gli uomini, e la storia lo
dimostra, seguono due tendenze che non si possono sopprimere, seppure talvolta appaiono
attenuate o inattuali: l’amor proprio nazionale e la giustizia sociale.
Si affermava che in passato l’amor proprio nazionale era stato assunto e posto a base dell’attività
dei partiti di destra e che il senso della giustizia sociale era stato assunto come monopolio dei partiti
di sinistra. Ma presto i primi si erano accorti che il sentimento nazionale a nulla valeva senza il
perseguimento della giustizia sociale, e i secondi avevano potuto constatare che la giustizia della
vita sociale non poteva fruttar nulla se veniva separata dall’amor per la nazione di cui si faceva
parte.
Il fascismo in tal maniera si è posto come movimento di destra e di sinistra insieme e la politica
corporativa che ne derivava era appunto rivolta a comporre in un programma politico ed economico
unitario per farne motivo di partecipazione, di collaborazione, di educazione e di elevazione degli
spiriti.
7° - Il corporativismo
Oggi siamo abituati a sentir parlare di corporativismo come di una pratica volta ad affermare
privilegi di categoria e a difendere settorialmente posizioni particolari. Ma si tratta di una
deformazione che ripete l’antica critica illuminista che arbitrariamente generalizzava una pratica
degenerativa dell’ancien régime.
Ma ciò non risponde né alla esattezza lessicale, né alla verità storica, sia medievale che
rinascimentale, sia riferita al fascismo. Se si volesse definire correttamente il significato settoriale
ed egoistico del termine usato in senso spregiativo allora sarebbe più esatto attribuire questo
significato al sindacalismo, come sistema di tutela particolare ed antagonista.
Secondo il fascismo tutte le forze che vivono ed operano nell’ambito della nazione debbono
concorrere, nella proporzione che ad ognuno spetta, alle attività di governo e al raggiungimento
degli scopi dello Stato come organizzazione giuridico-istituzionale della società nazionale.
La critica fascista nei confronti dei regimi precedenti ( e noi possiamo dire anche a quelli che sono
succeduti ) rimangono tuttora validi: i rapporti di diritto pubblico si sono svolti unicamente intorno
a due elementi essenziali: lo Stato, da un lato, l’individuo, dall’altro.
Pur avendo il carattere esteriore dei rapporti giuridici paritari e di garanzia, le posizioni dell’uno
rispetto all’altro - ossia dello Stato e dell’individuo - si risolvono, in pratica, in una irriducibile
antitesi e in un permanente conflitto. Spesso il peso dello Stato prevarica sul singolo, in altri casi
l’individuo, sotto la spinta del suo personale egoismo, tenta di imporre la sua volontà a danno della
generalità dei cittadini e a tutelare i propri interessi contro le leggi dello Stato.
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Da questa realtà, storicamente sono derivate crisi nelle quali l’universalismo statalistico diventava
assoluto e arbitrario fino ad annientare l’individuo, oppure l’individualismo diventava egoistico ed
arbitrario, comprometteva l’autorità dello Stato e danneggiava la comunità nazionale.
ll fascismo, nel periodo storico di marasma politico e sociale, seguito alla Prima guerra mondiale,
ha inteso superare il principio individualistico e quello statalistico ed ha posto a fondamento di esso
il principio corporativo che pone l’individuo come costitutore, attraverso le categorie di
appartenenza - morali, professionali, culturali - della volontà e della organizzazione dello Stato..
In altre parole è l’individuo che, consapevolmente e secondo competenza e operosità, diventa Stato.
“Si fa Stato” , secondo la dottrina del fascismo.
8° - La critica all’individualismo a allo statalismo
Dunque il fascismo si pone contro l’individualismo e contro lo statalismo. E formula una critica
severa e in un certo senso definitiva nei confronti delle due ideologie:
A) Nei riguardi del principio individualisto per il quale l’individuo, ossia l’uomo inteso come
entità esistente in se e per se al di fuori della vita di relazione, è il soggetto principale, anzi è
l’unica realtà della vita sociale e l’aggregato sociale è soltanto una somma di individui, una
pluralità atomistica senza unità, né valore soggettivo.La dottrina politica dell’individualismo
è quella dello Stato liberaldemocratico.
Nell’ambito di questa concezione la società è contrapposta allo Stato; lo Stato viene concepito
come mero ente di diritto, che esiste solo per la pura garanzia formale degli individui ed è
sfornito di vera autorità.
Il che ovviamente è contradditorio perché se non esiste il “senso dello Stato”, ossia la
convinzione che lo Stato sono gli stessi cittadini organizzati, e se lo Stato non ha autorità
cogente non può essere la loro garanzia di vita ordinata, libera, giusta, produttiva e progredente.
Uno Stato del genere è un ente senza anima, è solo forma burocratico-amministrativa. Senza la
partecipazione di quelli che sono i suoi componenti, attivi e non passivi, lo Stato non essere non
può essere forza traente di libertà e di giustizia..
B) La critica nei riguardi del principio statalistico pone in rilievo che nei regimi da esso
ispirato l’individuo scompare e viene assorbito nell’aggregato sociale che esiste come
organismo autonomo e assolutamente autosufficiente. Lo Stato viene concepito come
l’entità umana iniziale e sovrastante perché da essa lo stesso individuo trae diritto di vita e di
identità.
Insomma secondo questa concezione la società organizzata a Stato risulta essere prevalente e
assorbente e il Diritto viene visto soltanto come affermazione di sovranità sull’individuo e sui
gruppi sociali. Lo Stato, secondo questa concezione, viene ad operare come regolatore
coercitivo delle relazioni fra i soggetti singoli e i rapporti giuridici sono di piena supremazia
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dello Stato e di completa sottomissione dell’individuo La dottrina politica è quella dello Stato
assoluto, che in epoca contemporanea è stato realizzato dal socialcomunismo al potere.
A questi principi ideologici, che ovviamente hanno nella realizzazione storica svariate forme di
applicazione , il fascismo contrappone il principio corporativo secondo il quale l’individuo è entità
necessaria alla vita sociale e l’aggregato sociale ha una sua soggettività giuridica effettiva, anche se
mai prevaricatrice sull’individuo.
L’individuo è visto nella realtà della vita associata come persona, ossia come soggetto di diriti
inalienabili e da garantirsi, ma che non deve danneggiare, per egoismo, gli altri, nè essere
indifferente alla vita associata. E’ insomma la concezione dell’homo socius, da un lato, e quello
dello Stato come societas in interiore hominis, dall’altro.
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Il fascismo si preoccupa di eliminare e, comunque di non inasprire, l’antitesi tra società e Stato e fra
individuo e Stato e fa del Diritto statale la garanzia degli interessi di tutti che debbono sentirsi, in
quanto partecipi consapevoli, subordinati agli interessi superiori della nazione.
9° - La rappresentanza politica corporativa
All’interno di questa dottrina nasce la concezione della rappresentanza politica rivolta ad esprimere
la volontà integrale dei cittadini. Il corporativismo constata che fra gli individui e lo Stato esistono
della realtà, dinamiche e costantemente organizzate, costituite da aggregazioni naturali, - morali,
culturali, professionali, territoriali, economiche - che , pur nel mutamento costante del contesto
ambientale e tecnico, non hanno voce nelle decisioni legislative e governative.
In altre parole il cittadino, attraverso i soli partiti vede rappresentati solo una parte delle proprie
esigenze morali ed interessi materiali.
Nei regimi liberaldemocratici questi gruppi sociali, oppure alcuni fra di loro, sono costretti ad
esprimersi attraverso lobby di pressione, spesso mediante forme di corruzione esplicita o
mascherata, mentre nei regimi statalistici queste aggregazioni sono oppresse dagli apparati delle
burocrazie autoritarie delle dirigenze politiche dominanti.
Per il fascismo invece, esse devono essere partecipi nella formazione degli indirizzi e delle
realizzazioni settoriali e generali dello Stato e delle comunità locali.
In concreto questi corpi sociali intermedi debbono avere la loro rappresentanza politica
democraticamente espressa, da affiancarsi alla rappresentanza delle idee e degli indirizzi generali
rappresentati dai partiti.
Con la riforma costituzionale del 1939, ossia con la costituzione della Camera dei fasci e delle
corporazioni il fascismo avviò una ristrutturazione dello Stato nel senso indicato; volta cioè ad una
rappresentanza integrale del cittadino: Il quale deve contare nella vita pubblica non solo con le idee
e le esigenze a carattere generale e locale, espresse appunto dai partiti, ma anche attraverso le
molteplici attività dell’impegno posto quotidianamente nel lavoro e negli interessi spirituali e
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materiali. Insomma per questa rappresentanza il fascismo fa appello alle competenze scientifiche ,
tecniche, professionali oltre che a quello del lavoro in tutte le sue forme perché assumino
responsabilità politiche dirette e conferiscano capacità gestionali ed organizzative alla vita dello
Stato.
In tal maniera, accanto alla riforma dell’ organizzazione sindacale e corporativa, ai contratti
collettivi di lavoro, alle organizzazioni professionali ed economiche, alle organizzazioni degli
interessi e dei valori, del lavoro e della produzione – veniva varata una nuova struttura
costituzionale per realizzare una vera e completa rappresentanza politica.
10° - Conclusione
Alla distanza del tempo trascorso ci si rende ancor più conto di come l’esperimento fascista fosse
soltanto l’ inizio di un cammino interrotto prima che desse i suoi frutti..
Infatti la rappresentanza delle istanze ideali, generali e strategiche, in regime totalitario non poteva
che essere quella del partito unico, cioè del Partito fascista, data la particolare situazione storica
determinatasi nel primo dopoguerra, e con la presenza di un capo del governo della statura di
Mussolini, che aveva assunto il potere in un momento di fallimento delle ideologie precedenti.
Ma appare chiaro che la logica intrinseca della evoluzione del fascismo non poteva che essere
verso un sistema nel quale al partito unico si sarebbe inevitabilmente sostituita una pluralità di
partiti. Questa evoluzione era già nell’aria quando la guerra, prima sospese questa evoluzione e, poi,
produsse, con la sconfitta bellica, l’involuzione successiva e l’arretramento politico e istituzionale
imposti dai vincitori.
In conclusione, possiamo affermare, con la serenità che viene dal trascorrere del tempo e con
l’esperienza che viene dalle vicende pluridecennali trascorse, che la pessima selezione della
dirigenza politica attraverso i soli partiti e un regime parlamentare incapace di soluzioni dei
problemi incombenti, quale è quello vigente, richiedono coraggiose riforme costituzionali ed un
impegnativo periodo di azioni costituenti..
Il nuovo fallimento dei vecchi sistemi riproposti e pervicacemente imposti, obbligano – pertanto oggettivamente a riprendere a studiare l’evoluzione di principi, valori e strutture proposti nella
prima metà del Novecento e bloccati da eventi estranei alla prova storica della loro validità..
Si tratta di principi, valori, sistemi strutture e metodi forieri di ulteriori positivi sviluppi di civiltà in
un’epoca di grande integrazione mondiale, ma anche di forti articolazioni nazionali, territoriali e
dell’avvento come protagonisti di nuove e prepotenti forze politiche, economiche , religiose che
operano nelle grandi aree geografiche e che comunicano fra loro in spasmodico tempo reale.
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