La persona in teologia

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Esplorazioni
Giuseppe Ciutti
La persona in teologia
Il tema della “persona” in Teologia esige alcune precisazioni di carattere specialistico, che non
sempre sono evidenti a chi si avventura per la prima volta nella particolarità del problema. Bisogna
superare la difficoltà dell’impatto iniziale per poter procedere in avanti più speditamente. E allora
voglio aiutarvi a superare una piccola difficoltà che ho incontrato anch’io a suo tempo.
Effettivamente pur non sapendo nulla di psicologia avrei preferito trattare il tema di ieri, cioè la
persona nella psicologia, per il suo procedere scientifico induttivo, oggi come metodo molto più vicino
alla sensibilità corrente e presunto come più corretto.
Il procedimento scientifico in teologia si aggancia alla Rivelazione e alle sue fonti che
diventano normative lungo tutto il corso della indagine sull’argomento. Certamente l’ermeneutica delle
fonti ha un ruolo importante per la determinazione del percorso relativo alla considerazione
scientifica che, nel nostro caso, segue il metodo della deduzione. Del resto anche il procedimento
scientifico positivo ha i suoi “pre-giudizi”, ossia quella precomprensione che appartiene allo spirito
umano, almeno è così per Gadamer, il padre dell’ermeneutica contemporanea. Comunque tutti i “
perché ” dell’interrogare filosofico, in teologia sono in certo senso neutralizzati, anche se si porranno
altri “perché”, ma di natura totalmente diversa.
In teologia si hanno delle certezze o dei punti fermi da cui partire, anche se la disciplina non
si stanca mai di renderli comprensibili all’uomo nella sua espressività culturale variegata e sempre
aggiornata, nel tempo come nello spazio geografico, delle varie aree di appartenenza. Infine c’è da
dire che anche i documenti del magistero ecclesiale, come anche parecchi testi autorevoli di teologia,
hanno adottato il metodo induttivo nel procedimento scientifico - teologico, almeno come punto di
partenza iniziale; infatti, prendendo avvio dalle problematiche attuali e dal rilievo delle situazioni
concrete, esplorate sotto la prospettiva delle scienze positive, vengono poi vagliate alla luce della
parola di Dio e della tradizione.
Fatta questa premessa, che spero risulti chiarificatrice per quanto attiene il nostro riflettere in
teologia, e circa il metodo da seguire, passo senza indugio a marcare il mio modo di procedere in
questa riflessione sul tema “La persona in Teologia”, augurandomi sinteticità e, per quanto è possibile,
anche completezza. Procederò esaminando il problema in modo generale, considerando alcuni eventi
e autori che, nelle varie epoche storiche, hanno prodotto riflessioni incisive e sono stati ripresi nel
tempo, perché ritenuti fedeli alle fonti della rivelazione cristiana. Concluderò contestualizzando il
tema nella prospettiva, spero, che ci aiuti a capire e a vivere il nostro tempo.
I. Le origini.
Il termine persona viene dal greco prosopon, ossia maschera che gli attori portavano sul volto per
interpretare i vari ruoli.1
Nella Bibbia non appare il termine persona, ma tutta la rivelazione giudeo-cristiana evidenzia
con forza la dignità dell’uomo di fronte a Dio, che prende coscienza di sé e della propria esistenza
irrepetibile in virtù del dialogo che Dio creatore instaura con lui. Anche Dio si rivela fin dall’inizio
della creazione come persona, creatore, libero, pieno di sapienza e amore.
1
Cfr. Dizionario Teologico Enciclopedico, ed. Piemme, Casale Monferrato 2004, IV edizione, pp. 788ss.
1
Nei primi secoli della Chiesa il termine fu adoperato per chiarire il mistero della Trinità,
ossia l’unica natura e le tre persone che sono presenti nel Dio biblico-cristiano. Diciamo subito
che il primo a coniare il termine di persona fu Tertulliano ( II sec.) per spiegare la fede cristiana
in Dio ( Adversus Praxeam ). L’eresia trinitaria nacque nei secoli II e III e fu consumata tutta
all’interno dell’orizzonte giudeo-cristiano; essa prese il nome di monarchianesimo. Per i giudei,
infatti, era impossibile che Gesù fosse Dio; il vangelo, del resto, ci riferisce di questa polemica tra
Gesù e i giudei, dandocene interessanti resoconti. Per semplificare al massimo le cose, diciamo
che in questa eresia dei primi secoli del cristianesimo furono coinvolti personaggi di spicco della
società e della Chiesa del tempo: non solo presbiteri, vescovi e consacrati, ma anche l’imperatore
Costantino che nel 325 convocò a Nicea un grande Concilio Ecumenico per dibattere il problema
e fissare la fede cristiana. Gli storici del tempo parlarono di un evento solenne e grandioso; al
Concilio parteciparono circa 250 vescovi, quasi tutti orientali. Non mancarono i legati pontifici e
lo stesso Imperatore.
L’eresia monarchiana si sviluppò in due direzioni: adozionista e modalista. La prima,
ispirandosi sostanzialmente alla filosofia platonica dell’epoca, operava una riduzione
inaccettabile della Seconda Persona della Santissima Trinità, vanificando l’opera redentrice del
Cristo, interpretandola in chiave demiurgica. Anche sotto quest’ultimo aspetto, alcuni
consideravano la persona di Gesù Cristo un angelo, altri un uomo, comunque adottato da Dio,
mediante la discesa del Cristo in lui al momento del battesimo. In intesi si negava la divinità di
Gesù, perché si asseriva che non ci potevano essere due déi o divinità; effettivamente non si
conosceva ancora il concetto di persona e lo si confondeva con quello di natura o sostanza.
Mentre la seconda eresia, ossia quella modalista, riduceva Gesù Cristo ad un modo diverso di
manifestarsi dello stesso Dio, per cui in Dio non c’erano effettivamente tre persone, ma modi diversi
di apparire dell’unico e identico Dio. Alcuni sostenevano che a soffrire sulla croce non fosse stata la
Seconda Persona della Trinità, ma lo stesso Dio Padre. Questa eresia fu chiamata Patripassiana.
Ho evitato appositamente di citare tutti i nomi dei personaggi che sostenevano i vari fronti
degli schieramenti ereticali per non ampliare la confusione e per alleggerire la difficoltà della lettura.
Certamente per noi queste questioni possono apparire inconsistenti, speculative, vuote e
oziose, comunque negli effetti hanno prodotto uno sviluppo civile e sociale di cui il nostro occidente
va fiero. Sono i valori, e la civiltà occidentale segnata dal cristianesimo, che hanno tenuto a battesimo
le istituzioni democratiche e i diritti sanciti dalle costituzioni, delle quali ci facciamo vanto e che
esaltiamo come punto massimo di civiltà e di progresso, nella tutela dei diritti dei singoli, ovvero delle
persone, e delle collettività, come anche delle diversità etniche, culturali e religiose.
Anche l’illuminismo, i cui richiami ai valori laici pare si vogliono a tutti i costi contrapporre a
quelli cristiani, è figlio eretico del cristianesimo. Infatti la distinzione tra sacro e profano risale allo
stesso Cristo, avendo dato valore autonomo alle realtà terrene, considerandole anche in sé stesse
recanti una consistenza propria, evitando di confondere sacro e profano, rassicurando l’uomo nelle
sue capacità e liberandolo dalla tutela indebita e minacciosa di Dio.
Dio si fa garante della libertà, autonomia e grandezza dell’uomo e delle sua attività; a lui il
Signore ha consegnato il mondo delle cose e la storia degli uomini, avendogli anche fornito i mezzi di
intelligenza e di cuore per progettarseli a suo piacimento. Presento quest’ultimo riferimento culturale
soltanto come abbozzo di riflessione che lascio alla vostra considerazione e penetrazione. Il mio
intento è di sollecitarvi a capire questioni vecchie e nuove, del passato e del presente, in una osmosi
ricorrente, in questo mare che è la storia umana in cui le acque a fasi alterne si ritirano ed avanzano,
si posano tranquille sulle battigie o si infrangono rovinose sui frastagliamenti di insenature e
promontori.
La filosofia Hegeliana su Dio non è forse anch’essa una forma di eresia modalista? Certi
sviluppi di pensiero e di civiltà, con le luci e le ombre che li accompagnano sempre e
2
inevitabilmente, non hanno forse la loro matrice in quella grande rivoluzione che fu la concezione
del monoteismo ebraico e, all’interno di esso, quella copernicana che fu il cristianesimo?
Riprendendo il nostro discorso, il concetto di persona in teologia viene sviluppato e compreso
sempre più e sempre meglio nell’ambito di quasi tutti i concili dell’antichità, i quali non erano
certamente assemblee oziose chiamate a discettare sui massimi sistemi dell’universo, ma venivano
convocati per risolvere problemi pratici e vitali del credere e del vivere cristiano.
Specificato questo obiettivo pratico dei concili, riprendo con il dire che quasi tutti i concili
dell’antichità hanno apportato approfondimenti e contribuiti alla chiarificazione del concetto di
persona; ve li elenco, collocandoli nel tempo e determinandoli nella tematica preponderante, per un
aiuto a chi volesse dilettarsi di entrare in tutti i dettagli della problematica nei suoi sviluppi storici e
nelle sue sfumature dottrinali.
Potrà essere questo un modo per capire l’importanza e la pregnanza del concetto di persona,
che poi ha i suoi risvolti nella emancipazione sociale e nelle conquiste di civiltà, in ambito di politica
sociale e di tutela del lavoro, e anche del rispetto e tutela dei diritti umani e civili.
Concilio Costantinopolitano I ( 381 – La Terza persona della Santissima Trinità, lo Spirito Santo,
è Dio ).
Concilio di Efeso ( 431 – La divina maternità di Maria – La Teotocos ).
Concilio di Calcedonia ( 451 – In Gesù ci sono due nature complete: la divina e la umana,
nell’unica persona divina).
Concilio costantinopolitano III ( 681 – condanna del monotelismo ).2
In conclusione in questa primo momento dell’antichità cristiana, legata alla prima fase degli
sviluppi del cristianesimo, con il contributo dei Padri della Chiesa e degli scrittori autorevoli del
tempo, contrariamente a quanto si afferma, non si è elaborata una riduzione della fede ellenizzandola,
ma piuttosto si è tradotto in categorie della cultura del tempo la corretta fede biblica, esplicitandola e
rendendola meglio comprensibile agli uomini dell’epoca e alle istanze derivanti dalla loro cultura.
Chi effettivamente ha ridotto il messaggio rivelato della fede in termini ellenistici sono stati
proprio gli eretici, incapaci di trascendere il linguaggio e la mentalità del tempo, restando imbrigliati
nelle maglie delle concezioni che, seppure ardite ed eccezionali, tuttavia insufficienti, limitate e
chiuse nell’ambito delle loro pur nobili tradizioni mitico-speculative. Ho dato le indicazioni in nota di
un semplice manuale di storia dei concili, appunto per permettervi di farvi un’idea più appropriata di
quanto ho detto su questo primo momento di formazione dei concetti e della loro più chiara
determinazione. In sintesi si sono chiariti e coniati i concetti, distinguendoli, di natura e di persona. Per
la prima i termini sono: ousia e substantia, per la seconda: upostasis e subsistentia. C’è da dire, inoltre, che
una sostanza è sempre astratta ed universale, essa diventa particolare, concreta ed esistente solo
quando è assunta da una persona.
La persona nel soggetto concreto è distinta dalla natura, ma mai da essa separata. Questa se
volete rimane una distinzione logica ed esteriore, comunque è una indicazione necessaria che esprime
una verità che va ulteriormente indagata, riflettuta e compresa; insomma i concili dell’antichità ci
hanno consegnato formule che ci danno la dritta giusta, anche se il cammino da percorrere è ancora
lungo e faticoso e mai adeguato alla grandezza del mistero, lungo la via del quale l’uomo è chiamato
ad immergersi, a sperimentarsi ed a confrontarsi.
E’ il mistero affascinante della vita che va vissuto e anche indagato per meglio comprenderlo
e conoscerlo con il linguaggio della logica dell’intelletto e con quello più appropriato dell’amore.
Contrariamente alla cultura attuale, circa le cognizioni sulla persona umana, che la rapporta
direttamente ai concetti di pensiero, di volontà, di amore e di libertà riferendoli tout court alla persona, la
concezione teologica della tradizione ecclesiale, tuttora insuperata e riaffermata dal Magistero
2
Cfr. HUBER JEDIN, Breve storia dei concili, Brescia 1986.
3
Ecclesiale, riferisce quegli stessi concetti come più appropriati alla natura, in continuità con il concilio
Costantinopolitano III che condanna il Monotelismo. Ci è più facile così operare paragoni e raffronti
tra il concetto di persona delle attuali scienze umane e quello elaborato dal portato della tradizione
teologica.
II. Il Medioevo e la modernità
Tutto il Medio Evo ispira la sua elaborazione sulla persona ad una definizione che Severino
Boezio diede nel VI secolo in un trattato sulle due nature di Gesù Cristo.
Persona est naturae rationalis individua substantia ( De duabus naturis, 3 ); questa definizione non è
altro che il frutto della riflessione prodotta nel cuore del primo millennio e collocata agli albori
ancora oscuri del medioevo. E’ difficile, quando si parla di storia, operare delle cesure o fratture nel
tempo, costringendola all’interno della cosiddetta periodizzazione; essa infatti, seppur pratica e necessaria,
non è mai corretta e naturale. E’ sempre artificiale.
C’è comunque da dire che le discussioni sull’argomento sono state appassionanti e di tanto in
tanto le polemiche riaffiorano ancora; sembra quasi che, - come quelle isole che all’improvviso
emergendo fanno riaccendere conflitti tra gli stati interessati, che poi puntualmente si placano alla
loro sparizione, - così avvenga delle polemiche sulla divisione delle epoche storiche tra gli addetti ai
lavori.
Per concludere siamo dell’avviso che la continuità è la caratteristica del tempo, ma che anche
le cesure delle divisioni storiche siano legittime, perché ne facilitano la comprensione, soprattutto
quando ormai sono visibili i segni inequivocabili che una nuova epoca si inauguri, attraverso forme
nuove di tecniche, di pensiero, di istituzioni, di civiltà e di costume.
In medioevo avanzato Riccardo di San Vittore propone una correzione della definizione di
persona data dal Boezio, in quanto il concetto di individuo non conviene propriamente a Dio e
definisce la persona come: intellectualis naturae incomunicabilis existentia. Il medioevo
raggiunge il suo apice nella riflessione sul personalismo con San Tommaso, San Bonaventura e
Duns Scoto.
San Tommaso mette in luce la dignità propria del sussistere in una natura spirituale, il che si
realizza in modo eminente in Dio. Perciò: persona significat id quod est perfectissimum in tota natura.
Sviluppa inoltre il carattere di relazione delle persone, poiché la loro distinzione proviene
dalla loro diversa relazione d’origine. Questo carattere relazionale non è qualcosa di accidentale,
appartiene alla stessa sostanza divina, perciò Tommaso afferma che la persona divina significa la relazione
in quanto sussistente.
La filosofia moderna e contemporanea ha riflettuto spesso sul concetto di persona in
riferimento all’uomo, soprattutto in reazione alla filosofia Hegeliana e alla dissoluzione idealistica in
cui l’unica persona è lo Stato. Soren Kierkegaard invece individua la realtà del singolo nel suo rapporto
costitutivo di essere spirituale di fronte a Dio. Alcuni autori neoscolastici (Maritain, Delbos) hanno
introdotto la distinzione tra individuo e persona, che non corrisponde al pensiero di San Tommaso,
ma che comunque si è largamente diffusa nei documenti sociali della Chiesa e nel linguaggio
corrente. Altri autori, come presto vedremo, presentano la difficoltà di usare nella dottrina trinitaria il
concetto di persona così come viene inteso oggi, per il rischio di concepire in Dio tre diverse
soggettività (Rahner).
In quanto alla persona umana, di fronte alle diverse realtà che minacciano la sua esistenza:
manipolazioni genetiche (Donum vitae), sistemi di potere (Centesimus annus), il Magistero ecclesiale
afferma sempre più la sua trascendenza e i suoi diritti inalienabili secondo il disegno di Dio.
III. La contemporaneità.
Sono tante e tali le voci che trattano dell’argomento che ci sembra azzardato volerle
comprimere dentro poche e scarne pagine di una relazione senza pretese. Comunque tentiamo la
quadratura del cerchio, come si suole dire in gergo corrente. Seguiamo, per limitare la nostra analisi,
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alcuni echi, eventi e autori di teologia di spicco e di tutto rispetto del XX secolo, che si sono
conquistati autorevolezza e credibilità sul campo con la loro vasta produzione teologica e con i
benemeriti riconoscimenti che sono stati loro attribuiti, sia in campo ecclesiale come anche in quello
culturale dei loro paesi di origine e oltre.
Echi ed eventi sono individuati nella filosofia dell’esistenza, nella fenomenologia e, in
particolare, nel concilio Vaticano II, mentre gli autori sono notissimi agli addetti ai lavori, lo sono
meno al grande pubblico: Karl Rahner e Hans Urs Von Balthasar (in campo cattolico), Joannes
Zizioulas (in quello ortodosso).
A. La fenomenologia e la filosofia dell’esistenza hanno messo in luce la dimensione non
oggettivabile proprio della persona e il suo carattere dialogico come rapporto io-tu.
Il Concilio Vaticano II ha fatto largo uso del concetto di persona, in ascolto della tradizione
ecclesiale e dei Padri e della cultura attuale che pone l’uomo al centro del suo interesse. Il Concilio da
ampio spazio alla dignità della persona umana. L’uomo è ad immagine di Dio e l’unica creatura che Dio
abbia voluto per sé stesso (GS 24). La teologia contemporanea privilegia la dimensione relazionale
della persona sia in rapporto alla Trinità sia in Cristo.
B. Rahner vuole superare la teologia di scuola del suo tempo che esercitava una certa tirannia
di una rigida metafisica dell’infinitezza e dell’immobilismo, volendo far apparire il mistero dell’incarnazione il
più possibile intatto, immobile e immutabile. Contro tale visione, egli sosteneva che Dio può
diventare qualcosa (uomo) in ciò che è altro da sé stesso, in ciò che non è divino; l’importante è che
Dio non sia mosso da altro da sé, movendo Dio tutto da sé stesso. Ma la teologia di scuola voleva
dire che Dio non ha bisogno ancora di diventare sé stesso, come invece è il caso di un uomo. Dio è
assoluta perfezione, perciò Egli non deve diventare più nulla.
Se però Dio, nella sua immutabilità, cioè nella sua perfezione, diventa uomo, allora questo
fatto significa appunto qualcosa per Dio. E’ questo che Rahner vuole che sia assolutamente
sottolineato. E’ vero che Dio in virtù della sua incarnazione non diventa in qualche modo di più nella
sua natura. Le perfezioni umane presenti nell’essere uomo e nel mondo intero sono in Dio, in
maniera infinita, realtà illimitata. Per questo Dio non è mai di più con la creazione che non senza di
essa. Rahner ammette che, a partire dalla classica teologia dell’incarnazione e dall’unione ipostatica, ci
deve essere assolutamente una sensata e seria affermazione del fatto che Dio è morto.
Sorvoliamo su questo tema in cui Ranher manifesta un certo dissenso con Balthasar che
invece ammette un dolore passivo nella Seconda Persona della Trinità, anche se superato
interiormente dalle sue perfezioni. Questa sempre più grande scoperta dell’interiorità di Dio in ciò
che è creato, tanto più nell’uomo, è un’idea determinante per Rahner.
Rahner vuole superare il concetto di persona, così come è inteso nel contesto culturale attuale
in cui è confuso con quello di natura o di essenza o sostanza. E forse non ha tutti i torti, perché,
mentre la persona umana fa esistere una singola natura umana, le persone della SS. Trinità fanno esistere
in modi diversi l’unica natura divina; infatti il concetto di persona dentro la Trinità corrisponde al
concetto di relazione. Quindi Dio è relazione, mentre l’uomo ha relazioni. Rahner ha sostituito il
termine di persona con quello di modalità di esistenza distinta, per salvaguardarlo da fraintendimenti cui
ho accennato. Così facendo però non ha potuto evitare le critiche di modalismo, come anche quelle
del soggettivismo idealistico di stampo Hegeliano.
C. Hans Urs Von Balthasar
Balthasar in modo speculare a Rahner tenta l’approccio al discorso e alla riflessione teologica,
partendo dalla categoria estetica, ossia dal bello. Contrariamente Ranher parte da quella del vero,
rifacendosi ai classici del pensiero teologico della scolastica aprendolo alla modernità, sia attraverso
l’esperienza culturale idealista e sia attraverso la filosofia dell’esistenza che ha avuto in Heidegger un
campione insuperato. La mentalità Balthasariana è più prossima all’esperienza mistica, a quella dei
padri, ai classici della letteratura, soprattutto tedesca. Il fascino della poesia lo travolge e lo coinvolge
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nell’esperienza divina, attraverso la categoria della bellezza. Pertanto, per dirla in estrema sintesi e
secondo la filosofia estetica di Benedetto Croce, il bello viene analizzato a partire dal particolare per
risalire ai concetti universali, forse per questo mi pare che Balthasar nella sua riflessione sulla Trinità
privilegi partire dalle persone o dalla persona piuttosto che dalla natura.
Pur se hanno battuto strade diverse, - dovuto anche alle loro polemiche e al loro mancato
accordo in sede di collaborazione scientifica, a cui inizialmente sembravano concordemente ispirati,
oltre alla diversa esperienza di vita che li ha tenuti lontani e resi incomunicanti – Rahner e Balthaser
sostanzialmente si ritrovano nelle conclusioni che la stesso Balthasar così riassume: “Innanzitutto
l’unità non può apparire un prodotto successivo della comunione delle persone.
Infine ci si potrebbe avvicinare al mistero della Trinità solo da due lati: partendo dall’unità
dell’essenza o dalla trinità delle persone; l’uomo non avrebbe a disposizione un concetto sovraordinato.
Entrambi i modelli mostrano tuttavia l’apertura dell’uomo alla presenza di Dio nella storia.
L’uomo come singolo e come comunità, è in sé paragone della Trinità e quindi sacramento della
vicinanza di Dio”.3 Ma cosa in particolare ci dice Balthasar sulla persona e qual è la sua riflessione
teologica in merito?
Innegabilmente Balthasar tradisce una simpatia per il concetto di Trinità di Ugo di San
Vittore, che presenta un’interpretazione totalmente interpersonale dell’amore, il quale presuppone
almeno due esseri alla stesso livello, perché l’amore di un uomo per un cane e sempre meno perfetto
dell’amore fra due persone umane. Di conseguenza Dio deve anche amare Dio, per essere l’amore:
nell’unico Dio deve esserci Padre e Figlio. Se l’amore deve tuttavia raggiungere la massima
perfezione, la sua dualità-unità deve aprirsi al terzo e volerlo come l’amato insieme (condilectus) che si
rallegra dell’amore che unisce i due ed è egli stesso chiamato all’amore.
Non si deve più ammettere in Dio un quarto o un quinto e così via, poiché con il terzo è
raggiunta la misura massima e insuperabile dell’amore. Balthasar preferisce questo modello
intersoggettivo a quello di Agostino e Tommaso, che si collega alla natura di compimento dello
spirito: lo spirito dell’uomo si definisce con le sue facoltà di conoscenza e di volontà-amore.
D. Joannes Zizioulas
La teologia ortodossa è diffidente verso la modernità e poco aperta alle innovazioni, nello
stesso tempo però si rigenera penetrando la tradizione, soprattutto ispirandosi alla teologia dei Padri
della Chiesa. Credo che questo rapido accenno ci aiuti ad entrare nel clima della riflessione ecclesiale
e teologica dei massimi esponenti Ortodossi. Benché non tutti gli Ortodossi sono d’accordo che il
teologo greco Joannis Zizioulas sia tra i più grandi teologi del nostro tempo, non si può negare che
egli sia uno dei più acuti e originali teologi del personalismo del XX secolo. Infatti, è l’unico teologo
ortodosso che ha elaborato una moderna e coerente teologia della persona conforme alla tradizione
orientale. Come tutti i teologi della tradizione dell’ortodossia, il Dio cristiano è per essenza Dio
Trinità. I teologi ortodossi di oggi ripetono in coro la nota espressione di Gregorio di Nazianzo:
“Quando dico Dio intendo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”. Cioè prendono sul serio prima la
distinzione delle tre persone e poi l’unità dell’unica sostanza, perciò per sostanza comune o divinità essi
non intendono un’unità impersonale, ma la pericoresi amorosa delle tre Persone che si compenetrano
nella comunione.
L’unico Dio esiste nella Trinità, cioè come persona e non come semplice sostanza impersonale;
l’amore non è una conseguenza o una proprietà della sostanza divina, ma è ciò che costituisce la sua
sostanza. Per questi teologi non esiste l’essere impersonale, isolato; il principio primordiale e
assoluto è la persona , in quanto libertà piena di vita e di amore che esiste come interscambio.
Dalla persona in comunione deriva l’unicità dell’essenza o l’unicità di Dio e non viceversa. La
persona non è pertanto sovrapposta all’essere, ma è il modo come l’essere esiste. L’essere non è una
3
Cfr. MICHAEL SCHULZ, Incontro con Hans Urs Von Balthasar, ed. Eupress, Pregassona (Lugano) 2003.
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categoria assoluta, perché ciò che costituisce l’essere è la persona, essa è l’elemento costitutivo
dell’essere, il suo principio e la sua causa. Si passa insomma dall’ontologia dell’essere all’ontologia
della persona. Queste riflessioni in realtà ci aiutano a superare l’idea di quell’essere supremo dei filosofi
e ad avvicinarci ad un Dio sommamente vivo e personale, così ci rendiamo meglio conto di cosa vuol
dire la Rivelazione quando afferma che Dio è amore (1Gv 4,16). Amore significa l’eterno libero
autodonarsi di Dio.
Ma soprattutto questo modo di concepire Dio, ci può permettere di operare il passaggio
dalla teologia all’economia, dalla Trinità in sé alla creazione, all’antropologia e all’eccesiologia in
modo unitario e coerente con la natura comunionale di Dio.
I teologi ortodossi scorgono il dispiegarsi della vita di Dio nel mondo incentrata sulla
persona di Cristo che per essi non rappresenta un incidente di percorso dovuto al peccato, ma la
realizzazione piena del piano eterno di Dio. La storicizzazione di questo piano però è dovuta allo
Spirito Santo secondo l’antico adagio patristico: “Tutto procede dal Padre, si realizza attraverso il
Figlio, ma si compie e raggiunge le creature nello Spirito Santo. Il passaggio così dall’eternità al
tempo, dall’Increato al creato, da Dio all’uomo è visto senza scossoni che aiuta a superare il
dualismo tra natura e grazia, tra il naturale e il soprannaturale e pone al centro di ogni
ermeneutica teologica l’incarnazione del Verbo nella potenza dello Spirito.
Il legame tra creato e Increato e il continuo rapporto tra di loro è formulato in maniera
diversa dai vari teologi ortodossi del XX secolo. Zizioulas e altri teologi ortodossi chiamano questo
rapporto Dio-mondo, Dio-uomo “rapporto personalistico”.
IV. Per una conclusione
Dopo questo sommario di considerazioni sul tema della persona in teologia sento il dovere di
tirare alcune conclusioni, anche per raccogliere il frutto di questo incontro, che si prefigge, con gli
altri interventi di questi giorni, l’obiettivo di introdurvi a considerare la dignità della persona, sotto vari
aspetti formali e disciplinari.
Siete già convinti della dignità della persona umana in modo immediato, perché ne fate
esperienza diretta in prima persona. Allora perché questa riflessione articolata e interdisciplinare che
ha occupato lo spazio di più giorni?
Perché è un tema attuale molto avvertito, ma tanto poco attentamente pensato ed esaminato
e, purtroppo, considerato ovvio e scontato. Le cose ovvie e scontate sono le più difficili da credere,
appunto perché le credono tutti. Questo fatto uccide la meraviglia, lo stupore di esserci, noi invece ci
ostiniamo a recuperare questa meraviglia e questo stupore. Come cristiani siamo anche testimoni di
alcuni valori che sentiamo il dovere di custodire, di trasmettere e tutelare. Certo che non lo facciamo
in modo integralista, anche se ci proponiamo in modo integri, integrali e integranti gli altri.
In ultima analisi siamo aperti al dialogo e a condividere con gli altri esperienze, compiti
ed impegni, sia a livello ecclesiale con i fratelli che con noi condividono la stessa confessione di
fede, come anche con ogni uomo di qualsiasi estrazione e condizione sociale , e, se deboli e
lontani, ancor più con loro. Questi ultimi infatti ci possono rappresentare una situazione di
marginalità e di esclusione; noi pertanto siamo per il recupero di tutti; la nostra azione ha per
metodo l’inclusione che appartiene strutturalmente de jure e de facto al contenuto dell’affermazione sulla
persona. Tutti i documenti della Chiesa tengono ferma la distinzione tra natura e persona, sulla base
delle elaborazioni conciliari del primo millennio, reinterpretandola alla luce delle nuove acquisizioni
sociali e culturali. La distinzione non vuol dire in nessun caso separazione.
Il punto di partenza per la teologia, ritengo di doverlo ancora ribadire, è Dio Unitrino. Egli
è il Prototipo e noi l’immagine, secondo il dato rivelato. La Trinità rende conto più chiaramente
dell’autonomia del mondo, senza pericolo di assorbirlo in Sé, come purtroppo hanno fatto molte
filosofie vecchie e nuove, emanatiste e panteiste. Ci aiuta a superare il dio della metafisica;
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quest’ultima, seppur necessaria, bisogna tenerla entro limiti ad essa propri, permettendoci così di
riscoprire il Dio vivo e personale della bibbia.
La Trinità fa capire che la persona non è disponibile e rifiuta ogni tipo di strumentalizzazione,
oggettivazione e manipolazione. La persona non è determinata, ma è principio di determinazione e di
individuazione. Perciò la persona in certo qual modo trascende sé stessa.
Si è detto anche che la persona è essenzialmente relazione e tende al dialogo e alla comunione,
solo in questo modo realizza e concretizza sé stessa. La dottrina sociale della Chiesa ha un alto
profilo umano e culturale, perché al centro della sua elaborazione pone l’uomo come persona.
Ma qual’è l’incidenza del concetto di persona come contributo reale nella difficile congiuntura
sociale attuale, o almeno qual’è il suo potenziale creativo, come risorsa, per affrontare i difficili
problemi che si profilano a livello mondiale per le sorti dell’umanità?
La risposta la cerco nella storia non più tanto recente del nostro passato: tenere desta la
memoria è importante, anche se bisogna necessariamente riattualizzarla alla luce delle nuove
conquiste scientifiche, tecniche, sociali e culturali. Il problema di come legare tra di loro libertà
personale e giustizia sociale tormenta, fin dal tempo della rivoluzione francese, la società europea e
non è stato finora risolto.
Per me l’unità di Dio trinitario presenta una unità fatta di persona e di comunità in cui le
persone hanno tutto in comune ad eccezione delle loro caratteristiche e differenze personali. Una
comunità umana, che corrisponde alla triunitarietà di Dio e in essa vive, deve di conseguenza essere
una comunità senza privilegi e senza violazioni della libertà. Le persone possono essere tali solo nella
comunità. La comunità può essere libera solo nei suoi membri personali. L’accordo tra libertà
personale e comunità giusta deve diventare possibile alla luce di Dio trinitario e della sua risonanza
nella chiesa, se la chiesa può concepirsi e presentarsi come l’avanguardia dell’umanità redenta e
liberata dalle sue divisioni e inimicizie. Da duecento anni la società industrializzata occidentale, oggi
universalmente moderna, sperimenta una spinta dopo l’altra all’individualizzazione. L’ultima viene
detta postmoderna.
Le possibilità di scelta degli uomini individualizzati sono enormemente cresciute. Chi ha i
mezzi per farlo, può anche realizzarle. Ma con questo potere aumenta anche l’impotenza degli
uomini individualizzati, che osservano sì nei media gli avvenimenti mondiali, ma non possono far
nulla per cambiarli.
Un individuo non è una persona ma, come dice il termine latino, un ultimo indivisibile, sinonimo
del termine greco atomo. L’individuo quale prodotto finale di divisioni, non ha alcuna relazione,
alcuna caratteristica, alcun ricordo e alcun nome. E’ ineffabile. Invece una persona è, a differenza
dell’individuo, un’esistenza umana nel campo di risonanza delle sue relazioni sociali e della sua storia.
Essa ha un nome con cui può identificarsi. Una persona è un essere sociale. Le moderne spinte
all’individualizzazione operanti nella società fanno nascere il sospetto che l’individuo moderno sia il
prodotto dell’antica regola romana per dominare: Divide et impera. Gli uomini individualizzati sono
facilmente dominabili dalle potenze politiche ed economiche.
Gli uomini sono in grado di resistere e di proteggere la loro personale dignità umana solo se
si uniscono in comunità e danno una organizzazione sociale alla loro vita. Questi pochi accenni
possono bastare per dare un’idea della rilevanza pubblica del concetto di persona in teologia per la
liberazione di uomini individualizzati, nonché per la formazione di una nuova socialità.
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