L’
aria era calda, morbida, avvolgente.
La sera limpida, d’estate appena iniziata, si
specchiava tremula nell’acqua sinuosa e pigra
del fiume Bacchiglione.
I due cigni scivolarono candidi, sotto il ponte, come eleganti
nuvole di passaggio su quel cielo verde alga, e volsero lo sguardo
verso la Specola, che torreggiava sopra le loro teste.
“Padre?” .
“Dimmi, Perla, che c’è?”.
“Perché gli umani vengono a far visita alla nostra torre?”.
“È un luogo molto importante per loro” spiegò il cigno più
anziano, chinando graziosamente il lungo collo verso l’acqua e
bevendone una sorsata.
Era davvero arrivata la stagione calda.
“Da questa torre hanno scrutato i misteri del cielo, con occhi lunghi
come il nostro collo, puntati verso le stelle” proseguì il padre.
“Non ho mai visto uno di questi occhilunghi” disse Perla.
“La Specola non è più osservatorio astronomico da molto
tempo” rispose il padre “e raramente ci viene qualcuno con il
cannocchiale. Ora è un museo”.
“Non hanno più bisogno, gli umani, di indagare le stelle?”.
Il padre rise, scuotendo entrambe le ali.
“Certo, ma ora lo fanno da molto più in alto: dalle montagne
o addirittura nello stesso cielo”.
Perla rimase assorta, contemplando sull’acqua il riflesso
ambrato dei primi lampioni accesi.
Nel cielo, accanto ad un ridente accenno di luna, i bagliori
delle prime stelle.
“Zampe calzate di molti valenti umani hanno lustrato le
scale della Specola, ma non quelle dell’uomo che aveva
compiuto mirabili scoperte, con il suo primo occhiolungo”
aggiunse il cigno padre.
“E perché?”
“Semplicemente era vissuto molti anni prima.
Galileo Galilei era il suo nome”.
Perla allungò il collo verso l’alto, come a voler cogliere meglio
un suono, poco più di un brusio.
“È strano, padre, questo nome, Messer Galileo,
mi sembra di udirlo frusciare nell’aria” si stupì Perla.
Il padre le scivolò accanto, e parlò a bassa voce.
“Questo nome, stasera, è davvero nell’aria” sussurrò guardingo
“gli umani hanno scovato tante verità sulla volta celeste, ma ve
ne è una, segreta, che solo noi animali riusciamo a percepire”.
“Un segreto?”.
“Cara figlia, gli scienziati sanno ormai che la luce delle stelle
arriva a splendere sulla terra molti e molti anni dopo il suo
iniziale brillio, ma nulla comprendono della voce”.
“La voce delle stelle?”.
“Le stelle hanno voci e fantastici racconti da narrare, che noi
animali possiamo udire. Sinora non hai mai sentito nulla,
perché il tuo orecchio era ancora quello di un pulcino implume.
Ma stasera, figlia mia, ascolterai il tuo primo racconto, proprio
su Messer Galileo” concluse il padre, alzando lo sguardo.
Le cinque stelle principali della Costellazione del Cigno, quella
sera, avevano una luce più intensa, speciale.
Sarebbero state loro ad iniziare
Perla alle narrazioni astrali.
I due si accoccolarono uno
accanto all’altra, sopra
un’ansa verde scuro del
Bacchiglione di Padova,
e presero ad ascoltare.
Una delle voci di Albireo,
la stella doppia blu
e oro, il becco del Cigno
di Luce, aveva appena
iniziato, solenne,
a raccontare.
Il racconto di Albireo
“N
oi, Albireo, fummo le prime a vederlo,
quel nitido bagliore iridato sulla Terra.
Stava nascendo qualcuno destinato ad indagarci,
sul piccolo pianeta azzurro, in quel febbraio
1564.
In Italia, a Pisa, sotto una delle tante torri che
gli uomini costruiscono per cercare di toccare il
cielo, Galileo Galilei fece il suo primo, cristallino
respiro, e noi vedemmo la sua minuscola stella
nascente.
Così ci mettemmo ad ascoltare con attenzione,
nel silenzio siderale, e udimmo un concerto di
voci, sentimenti contrastanti e nobili pensieri...”.
“Bum!” fece Albireo Seconda.
“Che c’è, non ti piace come sto narrando?” si
scocciò Albireo Prima.
“Certo che no! Sei noiosa e pomposa come
uno di quei professoroni dell’Università
che tanto davano fastidio a Galileo! Un
racconto da vecchi”.
La stella Albireo Prima mandò dei bagliori
rossastri di rabbia trattenuta.
“Ti ricordo che abbiamo quasi gli stessi anniluce, mia cara! E poi avevamo detto che tu non
avresti raccontato”.
“Sei tu che mi costringi a metterci la mia parte
di becco del Cigno!” ribatté Albireo Seconda.
“Sentiamo, tu che diresti?” la sfidò Albireo Prima.
“Io taglierei un po’ corto, tipo: Galileo aveva capelli rossi
di cometa e idee come una pioggia incandescente di meteore
nella testa, e non sapeva bene che fare nella vita...”.
“Quello che avrebbe fatto l’avevo capito subito, io!” s’inorgoglì
Albireo Prima.
“Sí, è vero, tu avevi capito subito che quella era la luce di
nascita di un grande inventore e indagatore di stelle, mentre
io pensavo fosse un artista. Devi ammettere, però, che c’era
di che sbagliarsi” disse Albireo Seconda.
“Sí, ti concedo. Galileo era così confuso, come tutti gli
adolescenti. Prima voleva fare il monaco, perché l’avevano
educato al Convento di Valleombrosa...”.
“Ma lì ci pensò il suo Signor Padre, Ser Vicenzo, musicista
alla corte dei Medici, a portarlo via in tempo”.
“Sí, per fargli fare il mercante di lana, altro buco nell’acqua,
come dicono i minuscoli terrestri. Galileo aveva spirito
imprenditoriale, ma scarso interesse al mercato della lana.
Invece poi provò a studiare medicina, ma anche lì, nulla di
fatto” commentò Albireo Prima.
“Eh, questi figlioli! Galileo si impegnò ma, come la torre
della sua Pisa, iniziò a pendere in un’altra direzione, verso le
lezioni di Ostilio Ricci, matematico di corte. Quella materia
concatenata come un gioco ad incastro, ritmica e musicale,
con regole precise da indagare e scoprire, riempiva l’animo e
la mente del giovane Galileo”.
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