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Note del Corso di Fisica Atmosferica
Laurea Triennale in Fisica. Università di Cagliari
Piero Olla
29 ottobre 2010
2
Indice
1 Considerazioni generali
1.1 Struttura e composizione
1.2 Bilanci energetici . . . .
1.3 Circolazione atmosferica
1.4 Meteorologia . . . . . . .
1.5 Clima . . . . . . . . . .
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5
6
7
10
11
2 Richiami di probabilità e statistica
2.1 Definizioni principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Somme di variabili aleatorie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
15
15
17
3 Radiazione e ottica atmosferica
3.1 La diffusione di Raileigh . . . . . . . . .
3.2 Diffusione e lunghezza di estinzione . . .
3.3 Il ruolo delle fluttuazioni . . . . . . . . .
3.4 L’assorbimento della luce e il corpo nero
3.5 Bilancio radiativo in atmosfera . . . . . .
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19
21
23
25
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33
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40
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50
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59
dell’atmosfera
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4 Termodinamica atmosferica
4.1 Equilibrio termodinamico ed entropia
4.2 I potenziali termodinamici . . . . . .
4.3 Cambiamenti di fase . . . . . . . . .
4.4 Termodinamica dell’aria umida . . .
4.5 L’atmosfera adiabatica . . . . . . . .
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5 Elementi di fisica dei fluidi
5.1 Le condizioni per una descrizione fluida . . . . . .
5.2 Interpretazione cinetica di pressione e viscosità . .
5.3 Diffusione molecolare . . . . . . . . . . . . . . . .
5.4 Le equazioni fluide . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.5 Incomprimibilità e approssimazione di Boussinesq
5.6 Il problema delle condizioni al contorno . . . . . .
5.7 Turbolenza e trasporto turbolento . . . . . . . . .
3
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4
6 Dinamica atmosferica
6.1 Scale di lunghezza in atmosfera
6.2 Il vento geostrofico . . . . . . .
6.3 Lo strato limite planetario . . .
6.4 Il ruolo della convezione . . . .
6.5 Lo stato di Ekman . . . . . . .
6.6 Dinamica quasi bi-dimensionale
INDICE
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65
65
67
71
72
75
77
7 Problematiche modellistiche
7.1 Sistemi dinamici ed atmosfera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.2 Caos, dinamica stocastica e predicibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.3 Risonanza stocastica e altre storie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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83
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Capitolo 1
Considerazioni generali
1.1
Struttura e composizione dell’atmosfera
L’atmosfera terrestre è l’involucro gassoso che circonda il nostro pianeta. La densità dell’aria decresce con l’altezza in maniera approssimativamente esponenziale: al suolo è di
circa 1Kg/m3 e si riduce a circa un quinto a 10Km di altezza. Il grosso della massa d’aria
atmosferica è concentrata in questi primi 10Km; questo strato, detto troposfera, è la parte
dell’atmosfera dove hanno luogo i fenomeni meteorologici, e che influenza in maniera più
diretta la vita sulla terra.
L’atmosfera terrestre è composta in maniera principale da azoto e ossigeno, con frazioni di volume al suolo rispettivamente di circa 0.78 e 0.20; il rimanente è principalmente
acqua; le altre componenti entrano in forma di tracce. Va però notato che gas serra, quali
l’anidride carbonica CO2 , l’ozono O3 e il metano CH4 , nonostante la loro bassa concentrazione (frazioni in volume, rispettivamente, 3.42 · 10−4 , 10−5 e 1.6 · 10−6 ), contribuiscono in
maniera rilevante al bilancio energetico dell’atmosfera.
Le diverse componenti dell’atmosfera sono mescolate in maniera omogenea nei primi
100Km di atmosfera grazie alla presenza dei fenomeni turbolenti. Fa eccezione il vapore
acqueo: processi quali l’evaporazione al suolo, la formazione delle nubi e le precipitazioni,
si verificano infatti in maniera spazialmente disomogenea, e più velocemente dei processi
di rimescolamento necessari a omogeneizzare il tutto.
Al di sopra dei 100Km, i fenomeni di diffusione molecolare diventano rapidamente
dominanti rispetto a quelli di trasporto turbolento. La decrescita esponenziale con l’altezza
della densità è difatti associata alla crescita esponenziale del cammino libero medio delle
molecole: si passa da una frazione di micron al suolo a circa 1m a 100Km di altezza,
e, come spiegato nel Capitolo 5, ciò rende la diffusione molecolare un meccanismo per il
trasporto di materia più efficiente dei moti collettivi turbolenti. Il risultato è una situazione
analoga a quella in una cisterna di aria stagnante, in cui i gas pesanti si accumulano sul
fondo: salendo di quota in atmosfera, le frazioni più leggere, in particolar modo l’idrogeno,
diventano prevalenti.
Al di sopra dei 500Km, il cammino libero medio delle molecole diventa esso stesso
5
6
CAPITOLO 1. CONSIDERAZIONI GENERALI
Reflected
Shortwave Flux
Incident
Shorwave Flux
21
343
69
16
Outgoing
Longwave flux
22
90
125
Atmosphere
Air
20
absorbed
by clouds
Clouds
120
Greenhouse
gases, aerosol
248
Clouds
48
absorbed
by H 2O, O3,
aerosol
Surface
Sensible
heat flux
16
Latent
heat flux
90
11111111111111111111111111111111111111111111
00000000000000000000000000000000000000000000
00000000000000000000000000000000000000000000
11111111111111111111111111111111111111111111
00000000000000000000000000000000000000000000
11111111111111111111111111111111111111111111
169
390
327
Figura 1.1: Bilancio energetico medio globale in W/m2 (tratto da M.L. Salby, pag. 45).
dell’ordine delle centinaia di Km e si ha di fatto la transizione da atmosfera terrestre a
spazio interplanetario. In questa zona, detta esosfera, diventa infatti sempre più grande
la frazione di molecole con velocità dell’ordine della velocità di fuga, e vi è uno scambio
continuo di molecole fra gas interplanetario e atmosfera terrestre.
1.2
Bilanci energetici
Il sole costituisce la sorgente energetica principale per l’atmosfera terrestre. Il flusso di
energia della radiazione solare a una distanza dal sole pari a quella della terra è di circa
1372W/m2 . La superficie terrestre è 4 volte la sezione (un cerchio) intercettata dai raggi
solari. Pertanto, il flusso medio sulla superficie terrestre è pari a circa 1/4 1372W/m2 =
343W/m2 . Allo stato stazionario, evidentemente, un identico flusso di energia deve essere
presente in uscita dalla atmosfera terrestre. Come spiegato nel Capitolo 3, la radiazione
solare è centrata intorno alla banda del visibile, mentre quella proveniente dalla terra ha
sia una componente nel visibile, dovuta a riflessione e diffusione della radiazione solare,
che una componente di radiazione termica, dovuta a emissione di corpo nero dal suolo e
dall’atmosfera.
Il grosso dei processi di diffusione, riflessione e assorbimento di radiazione solare, e
di emissione di radiazione termica, si verificano nella troposfera. Un regime stazionario
suggerirebbe un bilanciamento esatto fra radiazione solare incidente e emissione termica
dal suolo. Come illustrato in Fig. 1.1, però, le cose non sono cosı̀ semplici. In particolare,
vi è una forte differenza tra la radiazione solare assorbita dal suolo: 169W/m2 e l’energia
ceduta dal suolo sotto forma di radiazione termica 390W/m2 , convezione (calore sensibile)
16W/m2 e processi di evaporazione (calore latente) 90W/m2 . Quello che succede è che
una grossa frazione del calore che l’atmosfera riceve dal sole (e dal suolo), viene di nuovo
1.3. CIRCOLAZIONE ATMOSFERICA
7
ceduta al suolo sotto forma di radiazione termica. Per mantenere l’equilibrio, a parità di
radiazione solare diretta assorbita, il suolo deve quindi emettere più radiazione termica, e
per far ciò, come spiegato nel Capitolo 3, deve avere una temperatura più alta di quanto
succederebbe in assenza di atmosfera. Quanto più l’atmosfera è in grado di assorbire e
restituire al suolo radiazione termica, tanto maggiore sarà la temperatura di quest’ultimo:
questo è il cosı̀ detto effetto serra. È da notare come il contributo dominante all’effetto
serra venga dalla ridotta frazione di gas serra: 248W/m2 , principalmente dal vapore acqueo
e dalla CO2 . In assenza di questi gas, se l’atmosfera fosse composta solo di azoto e ossigeno,
la temperatura media della terra sarebbe di gelidi −6o C, di 21o K inferiore a quella attuale.
A parte i 22W/m2 di radiazione termica emessi dal suolo direttamente nello spazio,
corrispondenti alle bande IR a cui l’atmosfera è trasparente, il grosso della emissione termica della terra verso lo spazio avviene a partire da metà della troposfera. La troposfera
di fatto si comporta come una coperta il cui spessore determina la temperatura del suolo,
mentre la temperatura nella sua parte superiore, dove avviene la gran parte dell’emissione
nello spazio, rimane grosso modo uguale. (Questo, si intende, a parità di assorbimento di
radiazione solare diretta).
Da quanto detto sin’ora, evidentemente, la temperatura nella troposfera deve diminuire
con l’altezza. Le cose cambiano nello strato successivo dell’atmosfera, la stratosfera, che si
estende sino a circa 50Km di quota: in questo strato, la temperatura diventa una funzione
crescente della quota. Ciò è dovuto all’assorbimento di raggi UV solari da parte dell’ozono,
che ha il suo massimo nella parte superiore della stratosfera. Come si vedrà nel Capitolo
4, un tale profilo di temperatura è associato a una stratificazione stabile, e, in conseguenza
di ciò, fenomeni meterologici in questa regione sono pressoché assenti.
Salendo ulteriormente di quota, l’assorbimento UV diminuisce e la temperatura ritorna
a scendere sino a circa 85Km di quota, dove inizia l’assorbimento, attraverso ionizzazione
dell’ossigeno, dei raggi UV più energetici. Questa fascia è detta termosfera, mentre la
regione di transizione tra i 50Km e gli 85Km è detta mesosfera. La presenza di un plasma
ionizzato nella termosfera agisce da specchio per le onde radio a frequenze SW (onde corte)
e inferiori, mentre frequenze maggiori (ad esempio le VHF e UHF televisive) l’attraversano
e richiedono satelliti (o ripetitori) per trasmissioni a grande distanza. Di fatto, l’effetto
più importante della media e alta atmosfera (dalla stratosfera in su) sulla vita del nostro
pianeta è quello di schermo nei confronti delle radiazioni.
1.3
Circolazione atmosferica
Diverse latitudini, a causa della differente inclinazione dei raggi solari, assorbono radiazione
solare in maniera diversa; il risultante gradiente termico è la sorgente di energia principale
per la circolazione atmosferica. Questa circolazione assume forme diverse alle diverse latitudini e spostandosi dall’oceano alla terraferma, ed è associata a un flusso globale medio
di calore dall’equatore ai poli.
Un ruolo centrale nella dinamica, specialmente alle nostre latitudini, è giocato dalla
rotazione terrestre. Come si vedrà nel Capitolo 6, le forze di Coriolis dovute alla rotazione
8
CAPITOLO 1. CONSIDERAZIONI GENERALI
terrestre, fanno sı̀ che i moti atmosferici tendono a disporsi perpendicolarmente ai gradienti
di pressione; in particolare, un gradiente orizontale medio di temperatura non porterà in
generale a una corrente convettiva nella stessa direzione.
In assenza di rotazione, il trasferimento di calore in atmosfera potrebbe essere realizzato
tramite due celle convettive, una per emisfero, in cui aria sale calda in quota all’equatore,
discende al suolo ai poli, e ritorna fredda all’equatore scorrendo al suolo. Le forze di
Coriolis dovute alla rotazione terrestre modificano la situazione, e fanno sı̀ che l’aria in
quota, spostandosi verso nord e verso sud, devi allo stesso tempo sempre più verso est,
mentre quella che al suolo torna verso l’equatore, tenda a spostarsi sempre più verso ovest.
Ciò, oltre a risultare in venti lungo i paralleli estremamente intensi, bloccherebbe di fatto
il flusso di calore nord-sud, risultando in gradienti di temperatura altrettanto intensi, ed
in instabilità della configurazione.
La rotazione terrestre distrugge una circolazione basata su una cella per emisfero, lasciando al suo posto lo schema di circolazione illustrato in Fig. 1.2. La singola cella
convettiva si rompe di fatto alle medie latitudini, lasciando al suo posto due celle, una al
polo e una a latitudini subtropicali, quest’ultima nota con il nome di circolazione di Hadley.
Il meccanismo, a grandi linee, è il seguente: a latitudini subtropicali, l’effetto della forza di
Coriolis è piccolo e una cella convettiva si sviluppa come in assenza di rotazione terrestre:
aria calda e umida sale in quota all’equatore, si sposta a latitudini più alte, e torna al
suolo a circa 30o di latitudine, dopo aver perso la sua umidità in seguito alle precipitazioni.
(Notare che, attraverso le precipitazioni, calore latente è ceduto all’aria in quota, che poi
cede questa energia tramite irraggiamento). Questo genera una zona di clima arido ed alte
pressioni, corrispondente sulla terraferma alla regione dei grandi deserti. Parte dell’aria
al suolo ritorna, mista ad aria da latitudini più alte, verso l’equatore, parte entra a far
parte della circolazione alle latitudini intermedie. Le forze di Coriolis causano comunque
una prevalenza di venti occidentali in quota e orientali al suolo. Questi ultimi sono detti
alisei. Nella zona di convergenza all’equatore e di divergenza attorno ai 30o , in mare, sono
caratteristiche situazioni di bonaccia.
La cella polare funziona in maniera analoga. L’aria umida e calda (relativamente ai
poli) attorno ai 60o di latitudine, sale in quota ed è trasportata verso il rispettivo polo, dove
arriva priva di umidità a causa delle precipitazioni, generando una zona di alta pressione
polare. I venti hanno anche qui una componente da ovest in quota e da est al suolo. In
entrambi i casi della circolazione di Hadley e della cella polare, calore è estratto dalle basse
latitudini attraverso evaporazione e trasportato tramite convezione alle alte latitudini. Il
meccanismo è di fatto quello di una macchina termica.
Nella circolazione alle medie latitudini, detta circolazione di Ferrel, il meccanismo non
è quello della convezione, ma è bensı̀ di tipo dinamico: l’instabilità dei margini della zona
di alta pressione tropicale, e di quelli della cella polare. In media, si ha una circolazione in
senso opposto a quella della cella di Hadley, con venti che, come spiegato nel Capitolo 6,
sono prevalentemente occidentali sia al suolo che in quota. Di fatto, però, la circolazione di
Ferrel non è qualcosa di stazionario, e il calore non è trasportato verso le alte latitudini da
una singola cella convettiva, ma dall’effetto cooperativo di vortici ciclonici e anticiclonici,
in una condizione di fatto di trasporto turbolento. Ruolo importante nel bilancio energe-
1.3. CIRCOLAZIONE ATMOSFERICA
9
Figura 1.2: Circolazione a scala planetaria (da NASA-JPL).
tico in questa regione è giocato dalla formazione di fronti, cioè zone di forti gradienti di
temperatura, che danno origine a forte attività meteorologica. Un esempio è il margine
della cella polare (fronte polare), che è la regione di convergenza tra l’aria fredda della cella
polare e quella più calda e umida proveniente dalle latitudini inferiori.
La complessità del tempo meteorologico a latitudini intermedie è dovuta in parte alla
presenza di fenomeni che agiscono in maniera cooperativa a scale diverse. Si va dalla
scala planetaria, alla scala delle aree di alta e bassa pressione (scala sinottica), a quella
dei fronti (mesoscala), a quella delle singole nubi (microscala). A tutti i livelli, gioca un
ruolo importante la natura della superficie terrestre, la presenza del mare e l’orografia della
terraferma.
Va sottolineato che anche a latitudini subtropicali, la circolazione di Hadley fornisce solo
una descrizione approssimata della dinamica atmosferica. Anche qui, un ruolo importante
è giocato dalla presenza di terre emerse e oceano, che innescano schemi di circolazione
ad andamento stagionale, e celle convettive non necessariamente orientate in direzione
nord-sud. Un esempio di circolazione non orientata in direzione nord-sud è la cosı̀ detta
circolazione di Walker, che si sviluppa in direzione est-ovest sull’Oceano Pacifico, con aria
calda umida che sale nella regione della Polinesia e discende secca sulla costa occidentale
dell’America. Su questa, si innescano variabilità sulla scala di anni (la ”niña” e il ”niño”).
Un esempio di circolazione stagionale, invece, è fornito dai monsoni, che caratterizzano il
clima del sud dell’Asia, dall’India sino al sud del Giappone. Durante la stagione estiva, il
forte riscaldamento della terraferma innesca una cella convettiva dall’oceano al continente,
dove la risalita in quota di aria umida in corrispondenza dell’Himalaya genera precipitazioni
intense durante il tragitto di ritorno all’oceano. Durante l’inverno, il mare invece è più
caldo e si ha un flusso di aria priva di dalla terraferma all’oceano. L’aria richiamata
dall’Himalaya al livello del suolo fa sı̀ che il clima invernale sia prevalentemente secco.
10
CAPITOLO 1. CONSIDERAZIONI GENERALI
Figura 1.3: Un esempio di carta del tempo con isobare (in millibar: linee sottili) e fronti
(linee con triangoli e semicerchi); massimi e minimi di pressione sono indicati con H e L.
1.4
Meteorologia
I fenomeni che determinano la dinamica atmosferica si verificano a scale temporali che
vanno dalla frazione di secondo a svariati anni. La scala che va dai minuti a qualche
giorno è quella dei fenomeni meteorologici; mediando sulla scala degli anni, si passa a
parlare di clima. La descrizione matematica di questi fenomeni è resa difficoltosa dal
grande numero di variabili in gioco. Questa difficoltà è evidente nel bilancio energetico di
Fig. 1.1. Una stima per ordini di grandezza della temperatura al suolo è certo possibile
considerando solo l’effetto serra. Eventi climatici importanti (aumento del livello del mare
per scioglimento dei ghiacci) dipendono però in maniera sensibile sulla temperatura: una
precisione dell’ordine del grado è necessaria. Diventa perciò necessario tenere in conto
anche gli altri contributi, e, mentre quello dei gas serra può essere calcolato in maniera
esatta, ce ne sono alcuni, come quelli che hanno a che fare con nubi e precipitazioni, che
contengono componenti ancora non completamente capite.
Per quanto riguarda la meteorologia, uno dei passi avanti fondamentali è stato la derivazione di equazioni semplificate in grado di descrivere la dinamica atmosferica. In pratica,
queste comprendono un sistema di equazioni per il moto atmosferico (cioè per il bilancio
delle forze delle varie masse d’aria), un sistema di equazioni di bilancio energetico (cioè
equazione di stato, assorbimento di radiazione, cambiamenti di fase per l’umidità dell’aria)
e un insieme di condizioni al contorno al suolo.
A partire da queste equazioni, è possibile fare previsioni sull’evoluzione di una situazione meteorologica caratterizzata da profili osservati di temperatura, pressione e copertura
nuvolosa. Un esempio è mostrato nella carta del tempo in Fig. 1.3. In alcuni casi, caratteri generali della evoluzione del tempo possono essere ottenuti in maniera qualitativa
(ad esempio la circolazione attorno alle aree di alta o bassa pressione, o le caratteristiche
1.5. CLIMA
11
dei fronti). In altri casi, l’evoluzione non è chiara e la risoluzione numerica delle equazioni
diventa necessaria; oggi come oggi, le previsioni del tempo sono ottenute di solito in questa
maniera. In alcuni casi però, come esperienza insegna, le previsioni ”non ci prendono”.
Quello che succede in questi casi è che evoluzioni diverse a partire da condizioni iniziali
simili sono possibili; si parla in questi casi di forte dipendenza dalle condizioni iniziale e si
dice che il sistema meteorologico, globalmente, è caotico.
In linea di principio, il problema si potrebbe risolvere rendendo più precise le condizioni
iniziali del problema. La situazione è analoga al lancio di una moneta, in cui, controllando
il lancio e studiando in dettaglio l’urto con il tavolo, si potrebbe determinare in anticipo se
viene testa o croce. Ci sono però diverse limitazioni. In primo luogo, un simile discorso si
applica solo a previsioni a breve scadenza: a tempi lunghi ci sono molti ”lanci di moneta”
nella evoluzione del tempo e fare previsioni richiederebbe una precisione esponenzialmente
alta; si ha difatti il cosı̀ detto ”effetto farfalla”: un battito di ali di una farfalla, contribuisce
a tempi sufficientemente lunghi (diciamo un mese) a determinare se una certa condizione
meteorologica si verifica o meno. La seconda limitazione è nella natura approssimata delle
equazioni utilizzate. In particolare, vi è un problema serio di microscala: le equazioni semplificate hanno una risoluzione finita, per cui, eventi al di sotto di una certa scala vengono
tenuti in conto in maniera statistica attraverso parametri nelle equazioni. Un esempio è
il concetto di eddy diffusivity che si introdurrà nel Capitolo 5. La situazione è diversa
da quello che si verifica passando da livello atomico a scala macroscopica, ad esempio in
un gas, in cui le proprietà atomiche si perdono quando se ne considera la termodinamica.
Nella evoluzione di un fronte, invece, non è chiaro quanto (per dire) i contributi dei singoli
cumulonembi possano essere mediati a priori attraverso una parametrizzazione. Vi è quindi
una limitazione intrinseca alla precisione di una previsione, che va oltre quella ottenibile
affinando le misure (per esempio dati da satellite) per le condizioni iniziali.
1.5
Clima
Considerando scale di tempo più lunghe, si ha la transizione da previsioni meteorologiche a
previsioni a scala stagionale e infine a scala climatica. Quello che si verifica al crescere della
scala di tempo è il contributo crescente da parte delle condizioni al contorno del problema,
in particolare gli scambi di calore con l’oceano. Per avere un’idea, meno degli ultimi 10m
di oceano contengono la stessa energia termica della atmosfera al di sopra. Nel caso dei
monsoni, si è visto un esempio del ruolo di serbatoio di energia giocato dall’oceano nel
determinare i regimi di precipitazione a scala stagionale.
A scala più lunga, l’oceano inizia a giocare un ruolo piuttosto complesso, che va oltre
quello di fornire un volano per il bilancio energetico dell’atmosfera. In assenza di volani,
un cambio ad esempio nella percentuale di CO2 dell’atmosfera si riperquoterebbe in un
effetto serra maggiore, probabilmente una modificazione della circolazione, e un rapido
adattamento della temperatura terrestre al nuovo regime. L’effetto di volano fa sı̀ che
questo cambiamento non sia istantaneo. Oltre che attraverso la sua inerzia, però, l’oceano
contribuisce alla dinamica atmosferica a scala climatica attraverso le correnti oceaniche;
12
CAPITOLO 1. CONSIDERAZIONI GENERALI
Figura 1.4: Schema di circolazione oceanica; blu acque profonde, rosso superficiali.
un esempio è la Corrente del Golfo. Queste correnti, il cui percorso è indicato in Fig.
1.4, portano in superficie le acque profonde dell’oceano e permettono loro di contribuire al
forzaggio dell’atmosfera. Questo sistema di correnti costituisce la cosı̀ detta circolazione
termoalina dell’oceano, dove il termine ”termoalino” indica che si ha trasporto sia di calore
che di sale. L’oceano, è scaldato in superficie dalla radiazione solare; è quindi stratificato
in maniera stabile (almeno trascurando l’effetto del sale), con acqua più calda poco densa
in superficie e acqua fredda più densa in profondità. Di fatto, la temperatura non decresce
in maniera graduale con la profondita. Lo strato superficiale, sino a un centinaio di metri
di profondità, è mescolato dalle correnti turbolente innescate in superficie dal vento e dalle
onde. Quindi, la temperatura è abbastanza uniforme. Al di sotto, si ha una fascia di rapida
decrescita di temperatura (circa un altro centinaio di metri), detto termoclino, al di sotto
del quale, iniziano le acque profonde, in cui si raggiungono temperature dell’ordine di 0o C.
La fascia di mixing e il termoclino sono evidentemente molto meno pronunciati nei mari
polari a causa delle basse temperature in superficie.
La presenza del sale varia la densità dell’acqua, in modo che acque meno salate sono
anche meno dense. Le variazioni di salinità nell’acqua sono il motore che innesca le correnti
oceaniche. Infatti, l’evaporazione prodotta dal vento e la formazione di ghiaccio nei mari
polari, sono entrambi processi che aumentano la salinità dell’acqua in superficie (il processo
di congelamento porta a rilascio di sale nell’acqua circostante). Il risultato è la destabilizzazione della debole stratificazione dell’oceano in area polare e la subsidenza delle acque
superficiali verso il fondo. Queste acque scorrono poi sul fondo verso l’equatore (tempo di
percorrenza circa 1000 anni!) da dove ritornano ai poli in superficie, contribuendo cosı̀ al
trasporto di calore verso le alte latitudini.
Un esempio di interazione non banale tra oceano e clima è l’effetto dello scioglimento
dei ghiacci: diminuendo la salinità dell’oceano a latitudini polari e diminuendo la destabilizzazione indotta dai processi di evaporazione e formazione di ghiaccio, si potrebbe
1.5. CLIMA
13
infatti bloccare il processo di subsidenza e modificare la circolazione oceanica. Questo
modificherebbe in conseguenza la circolazione atmosferica.
Purtroppo, spostandosi dalla scala meteorologica a quella climatica, aumenta il numero dei processi che potrebbero influenzare la dinamica atmosferica. Per esempio, grandi
quantità di CO2 sono presenti negli abissi oceanici e potrebbero essere destabilizzati anch’essi da un cambio nella circolazione termoalina, ed essere rilasciati in atmosfera. Un
altro esempio è fornito dalla biosfera: è certo che essa contribuisce in maniera importante
al clima, ma le dinamiche che entrano in gioco sono estremamente complesse e non ancora
ben comprese.
Un illuminante esempio dei complicati feedback che entrano in gioco considerando il
problema dei cambiamenti climatici è l’effetto degli aerosol. Un aumento di aerosol può
portare a una diminuzione di irraggiamento solare alla superficie terrestre (global dimming). Allo stesso tempo però, se l’questo aerosol è anche un buon assorbitore di radiazione
termica, potrebbe contribuire all’effetto serra. Se poi le particelle hanno dimensioni sufficientemente piccole e sono presenti nella bassa troposfera, siccome agiscono come nuclei di
aggregazione per la condensazione dell’acqua, potrebbero influenzare, incrementandola, la
formazione di nuvole e quindi di pioggia. Ma se i nuclei sono troppi, si potrebbero formare
nuvole con molte goccioline troppo piccole per permettere poi la formazione di pioggia. E
cosı̀ via.
Non si dispone al momento di un sistema di equazioni semplificate per modellare i cambiamenti climatici, analogo a quello utilizzato a scala meteorologica. In particolare, non
si sa di preciso cosa potrebbe succedere in conseguenza dell’incremento di CO2 in atmosfera, se non l’ovvia osservazione che, date le attuali condizioni di riscaldamento globale,
l’umanità potrebbe davvero stare ”giocando col fuoco”.
Riferimenti
• M.L. Salby, ”Fundamentals of atmospheric physics”, Chapter 1.
• J. Houghton, ”Global warming”
14
CAPITOLO 1. CONSIDERAZIONI GENERALI
Capitolo 2
Richiami di probabilità e statistica
2.1
Definizioni principali
Concetti di probabilità e statistica entrano in varie forme in fisica dell’atmosfera. La
derivazione di parametrizzazioni delle scale non risolte nelle equazioni per la dinamica atmosferica, richiede una trattazione statistica degli effetti della microscala sulle scale risolte.
A causa della presenza di caos in queste equazioni, le stesse previsioni meteorologiche andrebbero intese in senso probabilistico, e infatti alcune tecniche di previsione (ensemble
forecast) sono basate sulla simulazione tipo Monte Carlo di evoluzione della situazione meteorologica a partire da dati iniziali leggermente diversi. Si richiamano di seguito alcune
definizioni di base di probabilità e statistica.
Dato un insieme di possibili risultati, per esempio misure di temperatura T1 e T2 in due
istanti diversi, possiamo calcolare la probabilità P (A) di eventi, definiti come insiemi di
possibili risultati. Dal punto di vista probabilistico, le variabili T1 e T2 sono dette variabili
random o aleatorie. Ecco un esempio semplice di evento A:
A = {T1 < 20o C; T2 qualsiasi}
ecco un un esempio più complicato:
A = {T1 < 20o C e se T1 < 10o C, allora T2 < 5o C}.
Per risultati che variano in modo continuo, definiamo la funzione densità di probabilità o
PDF. Nel nostro caso bi-dimensionale, la PDF ρ è definita a partire da un generico evento
A come:
Z
P (A) =
dT1 dT2 ρ(T1 , T2 );
A
Per evitare ambiguità, si usa spesso la scrittura ρT1,2 (T̄1 , T̄2 ), con la quale si intende ”il
valore della PDF per le variabili aleatorie T1,2 calcolata in T1,2 = T̄1,2 . Possiamo avere
PDF più complicate in cui una variabile è integrata e l’altra no; ad esempio:
Z
ρ(T1 , B) =
dT2 ρ(T1 , T2 )
B
15
16
CAPITOLO 2. RICHIAMI DI PROBABILITÀ E STATISTICA
Una PDF nella forma ρ(T1 , T2 ) è detta PDF congiunta di T1 e T2 . Dalla PDF congiunta
possiamo ottenere le cosı̀ dette PDF marginali dei valori di ciascuna delle due variabili
indipendentemente dal valore assunto dall’altra:
Z
Z
ρ(T1 ) = dT2 ρ(T1 , T2 )
ρ(T2 ) = dT1 ρ(T1 , T2 )
Da qui otteniamo le PDF condizionate:
ρ(T1 |T2 ) =
ρ(T1 , T2 )
;
ρ(T2 )
ρ(T2 |T1 ) =
ρ(T1 , T2 )
ρ(T1 )
che hanno senso qualora la PDF dell’evento condizionante (la condizione su T2 nel primo
caso, su T1 nel secondo) sia non nulla.
Le due variabili T1 e T2 sono dette statisticamente indipendenti se la PDF congiunta è
il prodotto delle PDF marginali:
ρ(T1 , T2 ) = ρ(T1 )ρ(T2 )
Notare che dalla definizione di PDF condizionale abbiamo che, se le variabili T1,2 sono
statisticamente indipendenti, le PDF marginali e condizionate coincidono:
ρ(T1 |T2 ) = ρ(T1 );
ρ(T2 |T1 ) = ρ(T2 ).
Ovviamente, se le variabili sono indipendenti, il risultato della misura di una delle due
deve essere indipendente dal fatto che l’altra abbia un certo valore o meno.
Notare che l’evento in cui T1 e T2 hanno valori definiti (per capirsi T̄1,2 ) può essere
scritto come l’intersezione di due eventi
{T1 = T̄1 e T2 qualsiasi};
{T1 qualsiasi e T2 = T̄2 }.
La definizione usuale di probabilità congiunta è data infatti di solito in forma insiemistica:
dati due eventi A e B la loro probabilità congiunta è:
P (AB) = P (A ∩ B).
Possiamo quindi definire probabilità e PDF condizionate ad eventi diversi da T1 = T̄2 o
T1 = T̄1 :
P (AB)
ρ({T1,2 = T̄1,2 } ∩ B)
P (A|B) =
,
ρ(T̄1 , T̄2 |B) =
P (B)
P (B)
Data una funzione f (T1 , T2 ), definiamo la sua media:
Z
hf i = dT1 dT2 f (T1 , T2 ).
In maniera analoga alle PDF e probabilità condizionate, definiamo la media condizionata:
Z
hf |Bi = dT1 dT2 ρ(T1 , T2 |B)f (T1 , T2 ).
17
2.2. SOMME DI VARIABILI ALEATORIE
La media gode di ovvie proprietà di linearità, e cioè, se f e g sono variabili aleatorie e c è
una costante:
h(f + g)i = hf i + hgi;
hcf i = chf i.
L’esempio più semplice di funzione che possiamo prendere è la variabile aleatoria stessa;
abbiamo quindi la media della distribuzione (nel nostro caso un vettore a due componenti):
µTk = hTk i,
k = 1, 2
Abbiamo poi le due varianze:
σT2k = h(Tk − µk )2 i = hTk2 i − µ2k ,
k = 1, 2
Un’altra funzione importante è la cosı̀ detta funzione indicatrice, che non è altro che la
delta di Dirac:
δT̄1,2 (T1 , T2 ) = δ(T1 − T̄1 )δ(T2 − T̄2 )
La sua media per definizione non è altro che la PDF stessa:
Z
hδT̄1,2 i = dT1 dT2 ρ(T1 , T2 )δ(T1 − T̄1 )δ(T2 − T̄2 ) = ρ(T̄1 , T̄2 )
Date due funzioni f (T1 , T2 ) e g(T1 , T2 ), definiamo correlazione delle due funzioni la media
del prodotto: hf gi; f e g si diranno scorrelate se la loro correlazione è uguale al prodotto
delle medie. Abbiamo il risultato ovvio che variabili statisticamente indipendente saranno
anche scorrelate; per esempio, se T1 e T2 sono statisticamente indipendenti, avremo:
Z
Z
Z
hT1 T2 i = dT1 dT2 ρ(T1 , T2 )T1 T2 = dT1 ρ(T1 )T1 dT2 ρ(T2 )T2 = hT1 ihT2 i
Il viceversa non è vero: possiamo avere variabili aleatorie scorrelate che non sono statisticamente indipendenti.
2.2
Somme di variabili aleatorie
Dal punto di vista statistico, la media è stimata dalla media campionaria. Se Tk è il
risultato della k-esima misura della variabile T , la media campionaria sarà definita come
N
1 X
hT iN =
Tk
N k=1
Questa è ancora una variabile aleatoria che assumerà valori diversi in diversi campioni. Nel
limite N → ∞ ci aspettiamo però che hT iN → hT i. Questa affermazione è resa più precisa
dalla legge dei grandi numeri: se gli esperimenti sono indipendenti e se media e varianza
di T sono finite, la deviazione hT iN − hT i sarà una variabile aleatoria la cui varianza tende
a zero per N → ∞ come N −1 σT2 .
18
CAPITOLO 2. RICHIAMI DI PROBABILITÀ E STATISTICA
Diamo la dimostrazione di questo risultato. La varianza della deviazione hT iN − hT i è
data da
N
N
Dh 1 X
i2 E
i2 E
1 Dh X
σhT iN =
[Tk − hT i]
Tk − hT i
= 2
N k=1
N
k=1
Espandendo il quadrato e portando la somma fuori dalla media troviamo:
N
N
N
1 X
1 X
1 X
2
h[Tk − hT i][Tj − hT i]i = 2
h[Tk − hT i] i + 2
h[Tk − hT i][Tj − hT i]i.
N 2 k,j=1
N k
N k6=j=1
Ora essendo Tk diversi variabili aleatorie statisticamente indipendenti, le correlazioni nell’ultima somma nella espressione qui sopra saranno uguali ai prodotti delle medie dei singoli
fattori
h[Tk − hT i][Tj − hT i]i = h[Tk − hT i]ih[Tj − hT i]i = 0
giacché hTk i = hT i. Abbiamo quindi che solo i termini diagonali nella somma contribuiscono e otteniamo
1
σhT iN = 2 h[Tk − hT i]2 i = N −1 σT2 .
N
Un ulteriore risultato, detto teorema del limite centrale, ci dice che le deviazioni hT iN −hT i
nel limite di grandi N sono distribuite secondo una Gaussiana:
ρ(hT iN ) =
1
(2π)1/2 σhT iN
exp
[hT i − hT i]2 N
.
2σhT iN
Esercizi
1. Supponiamo le variabili aleatorie T1,2 distribuite in modo equiprobabile nel triangolo
con vertici (0, 0), (0, 1), (1, 1). Calcolare le PDF e probabilità condizionate ρ(x|y >
0.5) e P (y > 0.5|x)
Capitolo 3
Radiazione e ottica atmosferica
3.1
La diffusione di Raileigh
La radiazione elettromagnetica interagisce con le molecola d’aria fondamentalmente in due
modi: può essere assorbita oppure diffusa. Componenti di radiazione con frequenze lontane
da quelle di transizione delle molecole, subiranno principalmente un processo di diffusione,
detto diffusione di Raileigh. Non si ha assorbimento di energia da parte delle molecole
e i fotoni sono semplicemente diffusi dalle molecole. Questa è l’interazione dominante a
frequenze corrispondenti alla finestra del visibile.
Il processo di diffusione può essere descritto in maniera pressoché classica. Le dimensioni delle molecole sono molto minori della lunghezza d’onda della luce (diciamo 10−8 cm
per una molecola di O2 contro 4 · 10−5 cm per la luce violetta), pertanto, le molecole vedono il campo della radiazione come se fosse uniforme. Le cariche all’interno delle molecole
d’aria sono non relativistiche; inoltre, il campo elettrico E0 e magnetico B0 in un onda
elettromagnetica hanno uguale intensità; pertanto la forza di Lorentz ∼ ev/c B0 con cui
il campo elettromagnetico agisce su una carica è trascurabile rispetto alla forza elettrica
eE0 . Se la molecola è neutra, essa reagirà al campo elettrico polarizzandosi e assumendo
un momento di dipolo elettrico d proporzionale a E0
d(t) ≃ γE0 (x0 , t),
(3.1)
dove x0 è la posizione della molecola e γ è detta la polarizzabilità della molecola. La polarizzabilità elettrica della molecola può essere espressa in termini di proprietà macroscopiche
del mezzo, tramite la legge di Clausius-Mossotti:
ǫ ∼ 1 + αnγ,
(3.2)
dove n è la densità numerica (molecole in unità di volume) del gas, ǫ è la costante dielettrica
ed α è una costante adimensionale.
Si può vedere la polarizzazione come il risultato della perturbazione delle traiettorie
elettroniche in risposta al campo elettrico. Questa risposta sarà dipendente dalla intensità del campo E0 e dalla frequenza naturale ω0 degli elettroni (la ”molla” di richiamo).
19
20
CAPITOLO 3. RADIAZIONE E OTTICA ATMOSFERICA
Nota bene che molecole come N2 ed O2 hanno momento di dipolo elettrico nullo allo
stato fondamentale; nel caso di molecole asimmetriche quali H2 O, una analisi più accurata dell’orientazione del dipolo naturale in risposta al campo, tenendo in conto l’effetto
dell’agitazione termica, sarebbe necessaria.
In risposta alla presenza di cariche accelerate all’interno del dipolo oscillante, si genera
un’onda elettromagnetica diffusa, approssimativamente sferica e in fase con la radiazione
incidente. A partire dalle equazioni di Maxwell è possibile mostrare che il campo elettrico
dell’onda diffusa è:
|d̈|
E(x, t) ∼ 2
.
(3.3)
c |x − x′ |
Immaginando che il campo elettromagnetico incidente sia quello di un’onda piana monocromatica (più precisamente, focalizzandosi su una delle componenti di Fourier del campo
incidente), è possibile determinare la frazione di energia dell’onda incidente, diffusa dalla
molecola. La frazione di energia diffusa è definita in maniera precisa a partire dal flusso Φ0
(più esattamente densità di flusso) di energia dell’onda incidente, cioè l’energia del campo
elettromagnetico che attraversa l’unità di superficie (perpendicolare alla direzione di propagazione dell’onda) nell’unità di tempo. Dal punto di vista quantistico, Φ0 /(~ω) fornisce
il numero di fotoni di energia ~ω, con ~ ≃ 10−34 J s la costante di Planck e ω la frequenza
dell’onda, che attraversano l’unità di superficie nell’unità di tempo. La probabilità che
un fotone che attraversa l’unità di superficie, venga diffuso dalla molecola, sarà quindi il
rapporto tra la potenza diffusa W e il flusso Φ0 , e avrà le dimensioni di una superficie.
Il rapporto σs = W/Φ0 è detto la sezione di diffusione di Raileigh della molecola e può
essere determinato in funzione della polarizzabilità della molecola a partire dalle Eq. (3.1)
e (3.3). Com’è noto, il flusso di energia di un onda elettromagnetica è dato dal vettore di
Poynting; prendendone il modulo, si ha, nel caso dell’onda incidente:
Φ0 =
c
|E0 × B0 | ∝ cE02
4π
(3.4)
Nel caso dell’onda diffusa, il flusso sarà Φ ∼ cE 2 e la potenza totale emessa sarà il flusso
integrale attraverso una superficie chiusa attorno al dipolo. Considerando la superficie
sferica di raggio |x − x0 | centrata in x0 , si avrà
W = 4π|x − x0 |2 Φ ∼ c|x − x0 |2 E 2 .
Se ω è la frequenza dell’onda incidente, si avrà dalla (3.1) d(t) ∝ e−ωt e la (3.3) diventerà
2 γE
0
E ∼ cω2 x−x
. Sostituendo in W e utilizzando la (3.4), si ottene per la sezione d’urto di
0|
diffusione di Rayleigh:
W
γ 2ω4
σs =
∼ 4
(3.5)
Φ0
c
L’equazione (3.5) ci dice che le alte frequenze sono diffuse in maniera più efficace. Questo
spiega il colore azzurro del cielo come il risultato della diffusione della componente di più
alta frequenza della luce solare dalle molecole in atmosfera. In maniera analoga è spiegato
il colore rosso al tramonto del sole e della porzione di cielo circostante: la luce diretta è già
3.2. DIFFUSIONE E LUNGHEZZA DI ESTINZIONE
21
stata privata delle componenti di alta frequenza e anche la luce diffusa che ci raggiunge è
dominata dalla componente di bassa frequenza.
Per frequenze sufficientemente alte, la lunghezza d’onda della luce incidente diventa
dell’ordine delle dimensione della particella diffondente e le approssimazioni utilizzate per
raggiungere la Eq (3.5) cessano di essere valide. La sezione d’urto di diffusione cessa di
crescere con ω. Questa situazione si verifica nel caso di diffusione da particelle di aerosol,
le quali possono raggiungere dimensioni di svariati micron, ben al di sopra della lunghezza
d’onda della luce visibile. La diffusione di radiazione elettromagnetica da sfere dielettriche
di dimensioni dell’ordine o superiori alla lunghezza d’onda è detta diffusione di Mie. A
grandi linee, ci aspettiamo che la sezione d’urto di diffusione di un corpo di dimensioni
a ≫ λ, dove λ è la lunghezza d’onda, sia dell’ordine dell’area ∼ a2 con cui intercetta il fascio
e che cessi quindi di essere dipendente dalla frequenza. Questo spiega il colore bianco delle
nubi, in cui le goccioline d’acqua diffondono tutte le componenti spettrali della luce visibile
con uguale intensità. Il processo di diffusione per particelle con a ∼ λ è accompagnato
inoltre da fenomeni di diffrazione e rifrazione i quali portano alla formazione di aloni e altri
effetti ottici.
3.2
Diffusione e lunghezza di estinzione
Conosciamo a questo punto, tramite Eq. (3.5), la potenza emessa da una singola molecola
in atmosfera. Vogliamo determinare il flusso di energia che le molecole in un volume V
centrato in xV determineranno, tramite diffusione di Raileigh, in un osservatore posto in
x che guarda ad un angolo θ rispetto al sole (vedi Fig. 3.1). Considerando che stiamo
considerando scale spaziali molto superiori a quelle di una molecola, il campo elettrico sarà
caratterizzato da oscillazioni spaziali molto veloci e bisogna prestare attenzione alle fasi
relative dei contributi da diverse molecole quando si calcola il campo elettrico totale in x.
Se il volume non è troppo grande, la componente della luce incidente su ciascuna molecola in esso, dovuta a luce diffusa dalle altre molecole nel volume sarà piccola. Consideriamo
poi l’osservatore sufficientemente lontano rispetto al volume perché i raggi di luce diffusa lo
raggiungano paralleli. Il campo elettrico generato in x dalla molecola l-esima avrà pertanto
la forma, utilizzando Eq. (3.3) e (3.1)
El (x, t) =
γ Ë0 (xl , t′ ) ,
c2 |x − xl | t′ =t−|x−xl |/c
dove xl = xl (t′ ) ed E0 è il campo elettrico della luce incidente. Per una componente
monocromatica, avremo quindi:
El (x, t) =
γω 2 E0
exp(i(k · xl + q · (x − xl ) − ωt))
c2 |x − xl |
Vediamo che El (x, t) dipende dalla posizione della molecola n-esima in forma veloce tramite
la fase (k − q) · xl , mentre possiamo approssimare |x − xl | ≃ |x − xV |. Il campo dovuto
22
CAPITOLO 3. RADIAZIONE E OTTICA ATMOSFERICA
V
..
.
k
q
θ
Figura 3.1: Diffusione luminosa da un volume V ad angolo θ rispetto alla direzione della
luce incidente
alla luce diffusa in x da V sarà pertanto
E(x, t) =
X
ω 2 γE0
exp(i(k
·
x
−
ωt))
exp(i(k − q) · xl ).
c2 |x − xV |
l
(3.6)
Ora, le molecole in un gas sono disposte in maniera casuale, quindi, a meno che |k − q| = 0
(oppure che il volume sia più piccolo della lunghezza d’onda della luce), i termini nella
somma in Eq. (3.6) saranno essi stessi dei numeri random. Pertanto, il flusso d’energia
sull’osservatore sarà
nV γ 2 ω 4 Φ0
Φ ∼ cE 2 ∼ 4
,
c |x − xV |2
dove n è la densità numerica dell’aria e Φ0 ∼ E02 c è il flusso di energia del flusso incidente.
Confrontando con Eq. (3.5) per la diffusione da una singola molecola:
Φ∼
nV σs Φ0
.
|x − xV |2
(3.7)
L’aspetto centrale è che i contributi al campo elettrico in x dalle singole molecole sono
scorrelati e parliamo infatti in questo caso di diffusione incoerente. La diffusione in avanti
(cioè θ = 0) è prodotta al contrario da onde in fase con la luce incidente e il flusso incidente
sarà ∝ (nV )2 ≫ nV . (Di fatto, la sovrapposizione con il fascio incidente della parte
coerente delle onde diffuse costituisce il fascio rifratto).
È interessante notare che, se le molecole fossero state disposte in modo ordinato, i
termini in Eq. (3.6) per θ 6= 0 non sarebbero stati numeri random, ma avrebbero avuto la
forma exp(ilα), con α in genere irrazionale. La somma in Eq. (3.6) sarebbe stata limitata
invece di crescere con la radice quadrata del numero di termini.
23
3.3. IL RUOLO DELLE FLUTTUAZIONI
Moltiplicando il flusso Φ a distanza R = |x − xV | (sufficientemente grande rispetto
alle dimensioni del volume) per l’area della superficie sferica di raggio R, otteniamo da
Eq. (3.7) la potenza WV emessa dal volume in funzione di W [la potenza emessa da una
singola molecola; vedi Eq. (3.5)]:
WV = nV W = nV σs Φ0 .
Possiamo calcolare a questo punto come un fascio di luce viene attenuato per la diffusione. Se prendiamo come volume uno strato perpendicolare al fascio incidente di spessore
infinitesimo l e area A, la potenza diffusa per unità di area dello strato, e persa quindi dal
fascio incidente, sarà
WV
= nlσS Φ0 .
A
Otteniamo in questo modo l’equazione per l’attenuazione del flusso:
Φ0
dΦ0
=−
dl
ls
ls = (nσs )−1 .
(3.8)
La quantità ls è detta lunghezza di estinzione del fascio dovuta a diffusione e ci dice a quale
profondità nel mezzo la luce diffusa diventa più intensa della luce trasmessa. L’attenuazione
del flusso in uno spessore dl, calcolata per unità di flusso è dl/ls ; questa è la frazione di
flusso persa nello spessore e coincide pertanto con la probabilità di diffusione di un fotone
in dl.
3.3
Il ruolo delle fluttuazioni
Si è accennato al fatto che la diffusione in avanti è fortemente legata alla rifrazione. Si è
anche accennato al fatto che in un mezzo ordinato (un cristallo), a causa della interferenza
distruttiva delle onde emesse dalle singole molecole, non vi è diffusione fuori dalla direzione
del raggio incidente.
Una teoria della diffusione alternativa, sviluppata da Einstein e Smoluchowski unifica
diffusione e rifrazione in una singola teoria, dove la diffusione di Raileigh è il risultato della
rifrazione dalle fluttuazioni di densità del gas. Le variazioni di densità del gas portano
a fluttuazioni nella costante dielettrica ǫ, e quindi nell’indice di rifrazione n ≃ ǫ1/2 , ed a
rifrazioni casuali dei raggi di luce.
A grandi linee, l’aspetto centrale è che le fluttuazioni di densità sono maggiori in volumi
piccoli e questo spiega perché è valida la teoria di Raileigh basata sulla diffusione da singole
molecole. La fluttuazione del numero di particelle in un volume V di gas di densità n è dato
dalla formula di Poisson ∆N 2 ∼ N = nV , cioè ∆n/n ∼ (nV )−1/2 , che diventa O(1) quando
le dimensioni del volume sono dell’ordine della distanza tipica intermolecolare n−1/3 .
Fluttuazioni di densità nell’aria sono prodotte oltre che dalla natura discreta del gas
dalla presenza di turbolenza. Queste fluttuazioni hanno dimensioni caratteristiche dell’ordine di quelle dei vortici, che in atmosfera sono comprese tra svariate centinaia di metri
24
CAPITOLO 3. RADIAZIONE E OTTICA ATMOSFERICA
l
θ
n
n’
θ’
L
Figura 3.2: Propagazione di un raggio in un mezzo disomogeneo; deviazione del raggio in
corrispondenza di un cambio dell’indice di rifrazione della luce incidente
e decimi di millimetro. In ogni caso, siamo ben al di sopra della lunghezza d’onda della
luce. Queste fluttuazioni sono responsabili del fenomeno della cosı̀detta scintillazione delle
stelle (le stelle ”brillano”). Questo fenomeno è legato alla presenza di piccole fluttuazioni
nella direzione dei raggi luminosi che attraversano l’atmosfera, rispetto la loro direzione
originaria, come illustrato in Fig. 3.2. La rifrazione in presenza di un gradiente nell’indice
di rifrazione diretto ad un angolo θ rispetto alla direzione del fascio incidente è governata
dalla legge di Snell:
ǫ 1/2 1 + αγn 1/2
sin θ
n
= ′ ≃ ′
≃
,
sin θ′
n
ǫ
1 + αγn′
dove abbiamo utilizzato la legge di Clausius-Mossotti (3.2) Espandendo per piccole fluttuazioni di densità, otteniamo
1
θ′ − θ ≃ αγ(n′ − n) tan θ.
2
In turbolenza, siamo in presenza di una sovrapposizione di vortici di diverse dimensioni.
Focalizziamoci sulla deviazione prodotta da vortici di dimensione l in un cammino di lunghezza L. Risulta in turbolenza che i vortici possono considerarsi in prima approssimazione
indipendenti, cosı̀ che la deviazione ∆L θ del raggio su un cammino L sarà mediamente zero,
con varianza:
h(∆L θ)2 i ∼ (L/l)h(∆l θ)2 i ∼ (L/l)h(tan θ)2 ih(∆l n)2 i.
(3.9)
Dalla teoria della turbolenza, risulta che le fluttuazioni di densità associate a vortici di
scala l hanno varianza h(∆l n)2 i ∝ l2/3 (sono proporzionali alle fluttuazioni di temperatura
e queste hanno le stesse proprietà di scala di quelle della velocità, descritte dalla teoria di
Kolmogorov). Sostituendo in Eq. (3.9), vediamo quindi che
h∆L θ)2 i ∝ l−1/3
e il contributo dominante verrà dalle fluttuazioni alla scala più piccola nella turbolenza.
3.4. L’ASSORBIMENTO DELLA LUCE E IL CORPO NERO
3.4
25
L’assorbimento della luce e il corpo nero
Se la frequenza del campo elettromagnetica coincide con una delle frequenze di transizione
della molecole, si può avere assorbimento di radiazione. Il processo di assorbimento è
puramente quantistico: quanti discreti (fotoni) di energia ~ω sono trasferiti dal campo
elettromagnetico alle molecole. Queste passano a uno stato eccitato e cedono poi energia
di nuovo al campo tramite emissione di fotoni (non necessariamente alla stessa frequenza)
o alle altre molecole tramite urti. Le frequenze caratteristiche di assorbimento dei gas
atmosferici sono quelle a cui l’atmosfera è opaca alla radiazione elettromagnetica. Nel caso
della radiazione termica, si hanno di fatto bande di assorbimento, corrispondenti ai livelli
vibrazionali e rotazionali di molecole come la CO2 e l’acqua, e finestre di trasmissione
corrispondenti alle frequenze a cui l’atmosfera è trasparente. Un esempio di finestra è
evidentemente quella della luce visibile.
Possiamo introdurre in modo analogo alla sezione d’urto di diffusione, la sezione d’urto
di assorbimento σa come il rapporto fra la potenza assorbita da una molecola e il flusso di
energia della radiazione incidente:
Wa = σa Φ0 .
(3.10)
Tenuto conto della natura discreta dell’assorbimento, la potenza assorbita Wa è in sostanza
il prodotto della energia ~ω del fotone e la probabilità di assorbimento per unità di tempo
pa della molecola. [Quindi la probabilità di assorbimento di un fotone in un tempo ∆t di
una molecola sarà ∆P = pa ∆t = (~ω)−1 σa Φ0 ∆t].
Possiamo ripetere il ragionamento che ci ha portato a defire la lunghezza di estinzione dovuta alla diffusione, in presenza di assorbimento e otteniamo l’equazione per
l’attenuazione del fascio:
dΦ0
Φ0
=− ;
dl
lt
1
1
1
= + ;
lt
ls la
la = (nσa )−1 ,
(3.11)
dove n è di nuovo il numero di molecole nell’unità di volume e la è la lunghezza di estinzione
dovuta all’assorbimento.
Il modo in cui la radiazione viene assorbita e riemessa dalle molecole è caratterizzata
da spettri che dipendono in maniera complessa dalla frequenza. Le cose diventano più
semplici se ammettiamo che ci sia uno stato di equilibrio termodinamico, cioè che diverse
zone del gas non subiscano raffreddamento o riscaldamento (in media) in seguito ad assorbimento o emissione di radiazione. A questo punto, la radiazione elettromagnetica nel
mezzo sarà caratterizzata da uno spettro di frequenze che sarà lo spettro di equilibrio per
la temperatura data, indipendente quindi dalle proprietà microscopiche del mezzo.
La condizione perché si abbia equilibrio termodinamico fra le molecole e la radiazione è
che si verifichi un numero sufficiente di emissioni e assorbimenti nel volume. La condizione
ideale perché questo si verifichi è quella di avere un corpo nero, definito come un mezzo
perfettamente assorbente.
A partire da Eq. (3.11), vediamo che uno strato assorbente sufficientemente profondo
26
CAPITOLO 3. RADIAZIONE E OTTICA ATMOSFERICA
k
n
k’
A
Figura 3.3: Radiazione incidente da un lato su una superficie A
sarà sicuramente un corpo nero; infatti la soluzione di Eq. (3.11) è
Z l dl′ Φ0 (l) = Φ0 (0) exp −
,
′
0 lt (l )
che tende a zero per l → ∞ (a patto che n e σa rimangano differenti da zero e che prendiamo
il punto l = 0 lontano dai bordi del mezzo).
Richiamo i principali risultati riguardanti la radiazione di corpo nero. La distribuzione
di equilibrio della radiazione in un corpo nero può essere descritta decomponendo il flusso
di energia su un lato di un elemento di superficie A, come illustrato in Fig. 3.3, in termini
dei vettori d’onda k. Integrando sopra le direzioni dei vettori d’onda k che attraversano
da un solo lato la superficie, otteniamo la decomposizione in termini della frequenza, che
è descritta dalla legge di Planck:
i−1
~ω
~ω 3 h
exp(
)
−
1
,
(3.12)
ΦB
(T
)
∝
ω
c2
KT
dove K ≃ 1.4 · 10−23 J o K−1 è la costante di Boltzmann. Il flusso totale d’energia è invece
dato dalla legge di Stefan-Boltzmann
Z
B
4
Φ (T ) = ΦB
(3.13)
ω (T ) dω = σT ,
dove σ = 5.7 · 10−8 W m−2 o K−4 è detta la costante di Stefan-Boltzmann. Vediamo quindi
che la radiazione di corpo nero è concentrata a frequenze ω ∼ KT /~ che crescono linearmente con la temperatura (il calor ”bianco” corrisponde a più alte temperature che il calor
”rosso”). Chiaramente, all’interno di un corpo nero ideale infinito (e quindi omogeneo e
isotropo), i flussi da un lato e l’altro della superficie A si cancellano. Se invece A è un
elemento della frontiera del corpo nero, le espressioni in Eqs. (3.12-3.13) rappresenteranno
i flussi emessi dalla superficie del corpo nero nell’ambiente circostante.
Nei ragionamenti fatti sin’ora si è trascurato il ruolo di eventuali disomogeneità spaziali
e di una evoluzione temporale nel mezzo. Il punto cruciale risulta essere la possibilità di
3.5. BILANCIO RADIATIVO IN ATMOSFERA
27
un equilibrio termodinamico locale. Questo significa che le scale di variazione devono
essere maggiori di quelle associate al libero cammino medio delle molecole e dei fotoni (e le
relative frequenze di collisione), responsabili dello scambio di calore e del raggiungimento
dell’equilibrio termico. In bassa e media atmosfera (per intenderci, sino a circa 60KM di
altezza), la frequenza di collisione delle molecole è sufficientemente alta da far sı̀ che le
molecole eccitate in seguito ad assorbimento di radiazione termalizzino tramite urti prima
di riemettere. Questo permette una condizione di equilibrio termodinamico locale.
In condizioni di equilibrio termodinamico (anche solo locale), i tassi di emissione e di
assorbimento delle diverse porzioni del mezzo devono essere uguali. Definiamo l’assorbanza a, come la percentuale di flusso incidente assorbito dallo stesso, e in modo analogo,
l’emittanza ǫ, come il contributo ceduto al flusso attraverso emissione:
W in = aA Φ0 (T );
W out = ǫA ΦB (T ),
(3.14)
dove A è l’area dello strato e W in e W out sono le potenze assorbite ed emesse. L’assorbanza
di uno strato di spessore l ≪ la , in particolare, può essere espressa tramite la relazione
W in
lΦ0
≃
= aΦ0 ⇒ a ≃ l/la .
A
la
(3.15)
In modo analogo possiamo definire assorbanze e emittanze aω e ǫω alla frequenza ω, e,
se lo strato si comportasse come un corpo nero, avremmo chiaramente aω = 1 a tutte le
frequenze; in generale aω < 1. In condizioni di equilibrio termodinamico,
la porzione di
R
mezzo assorbe ed emette radiazione con uguale intensità: W in −W out = [Wωin −Wωout ] dω =
0, unita alla condizione che ΦB
ω (T ) sia la distribuzione di equilibrio per la radiazione [e
B
quindi Φ0 → Φ (T ) nella (3.14)], stabilisce l’eguaglianza fra emittanza ed assorbanza:
aω = ǫ ω ,
(3.16)
detta legge di Kirchhoff.
3.5
Bilancio radiativo in atmosfera
La gran parte della radiazione che raggiunge la terra viene emessa dalla fotosfera solare
ad una temperatura ∼ 6000o K. Del flusso associato Φs , una frazione AΦs , dove A ≃ 0.3
è l’albedo della terra, viene riflessa o diffusa direttamente nello spazio. La rimanente
radiazione di alta frequenza (SW; luce visibile) Φ0 = (1 − A)Φs viene assorbita dalla
superficie terrestre e riemessa come una radiazione di corpo nero a una temperatura Te ∼
300o K, e quindi anche a frequenza molto più bassa (LW; radiazione termica). Il coefficiente
aSW = 1 − A è quindi l’assorbanza SW della terra.a
L’effetto serra introdotto nel Capitolo 1 può essere riformulato attraverso i concetti di
assorbanza è emittanza. Giacché tutta la radiazione LW viene assorbita dall’atmosfera
o dalla superficie terrestre, la terra vista dallo spazio è un corpo nero per la radiazione
LW. La superficie terrestre si comporta essa stessa come un corpo nero a queste frequenze,
28
CAPITOLO 3. RADIAZIONE E OTTICA ATMOSFERICA
ma la presenza dell’atmosfera ne diminuisce la assorbanza (e quindi l’emittanza) misurata
dallo spazio: solo una frazione di fotoni LW provenienti dallo spazio sono assorbiti dalla
superficie; il resto sono assorbiti dalla atmosfera. Per la legge di Kirchhoff, l’emittanza LW
è anch’essa ridotta: ǫLW = aLW < 1 e questo non è altro che il fatto che, dei fotoni emessi
dalla superficie, solo una frazione passa la barriera dell’atmosfera. La ridotta emittanza ǫLW
della superficie terrestre nello spazio richiede quindi una maggiore temperatura superficiale
per bilanciare il flusso entrante SW aSW Φ0 .
La radiazione LW emessa dalla superficie terrestre viene continuamente assorbita e
riemessa dalla atmosfera sovrastante sino a emergere nella alta troposfera, da dove vengono
emessi nello spazio. Come si è detto, la terra (di fatto l’atmosfera), vista dallo spazio, è un
corpo nero per la radiazione termica, e quindi, la temperatura a cui viene emessa questa
radiazione è quella che avrebbe la superficie terrestre senza effetto serra. L’atmosfera, si
comporta come una coperta, calda all’interno e fredda all’esterno. Il gradiente termico è
mantenuto dal flusso di calore verso l’esterno, di cui una componente fondamentale, come
illustrato nella Fig. 4.24, è il trasporto di radiazione.
Per capire il meccanismo di trasporto di radiazione e la conseguente stratificazione
in temperatura dell’atmosfera, consideriamo un modello semplificato, in cui l’unico flusso
di calore è quello prodotto da assorbimento e emissione LW delle molecole. Per semplicità trascuriamo la diffusione della radiazione. Trascuriamo inoltre la curvatura terrestre
e disomogeneità orizzontali, cosı̀ che possiamo limitarci a considerare il flusso ΦLW (x3 )
attraverso una generica superficie orizzontale posta a quota x3 . Una variazione con x3 di
ΦLW vorrebbe dire che viene ceduta o tolta energia, riscaldandoli o raffreddandoli, a diversi
strati atmosferici. In condizioni stazionarie avremo pertanto:
ΦLW (x3 ) = Φ0 = costante.
(3.17)
Procedendo come in Fig. 3.3, possiamo decomporre il flusso attraverso la superficie, in una
componente dal basso e una dall’alto:
ΦLW = Φ↑LW − Φ↓LW = Φ0 .
(3.18)
Chiaramente, se il mezzo fosse infinito in direzione verticale, avremmo per simmetria
Φ↑LW = Φ↓LW = ΦB e ΦLW = 0. Ora, Φ↑LW si attenuerà propagandosi verso l’alto da
quota x3 a quota x3 + dx3 , secondo la Eq. (3.11), con un contributo
−Φ↑LW dx3 /la
(3.19)
(trascuriamo la diffusione). A quota x3 + dx3 , l’atmosfera al di sotto emetterà verso l’alto
un ammontare di radiazione in più rispetto a quota x3 pari a
ΦB (T (x3 ))nσa dx3 =
1 B
Φ (T (x3 ))dx3 ,
la
(3.20)
dove T (x3 ) è la temperatura dell’atmosfera a quota x3 [comparare con Eq. (3.15)]. In
maniera simile si comporterà il flusso di radiazione discendente passando da x3 a x3 − dx3 .
29
3.5. BILANCIO RADIATIVO IN ATMOSFERA
Mettendo a sistema Eqs. (3.19-3.20) otteniamo pertanto:
la
dΦ↑LW
+ Φ↑LW = ΦB ;
dx3
la
dΦ↓LW
− Φ↓LW = −ΦB ;
dx3
(3.21)
Sommando e sottraendo le due equazioni e definendo
Φ̄LW = Φ↑LW + Φ↓LW ,
possiamo riscrivere:
la
dΦLW
+ Φ̄LW = 2ΦB ;
dx3
la
dΦ̄LW
+ ΦLW = 0.
dx3
(3.22)
Ora, dalla Eq. (3.17) sappiamo che dΦLW /dx3 = 0 e quindi dalla prima delle (3.22)
abbiamo Φ̄LW = 2ΦB ; sostituendo nella seconda insieme ad Eq. (3.17) otteniamo infine:
2la
dΦB
= −Φ0 .
dx3
(3.23)
Da qui otteniamo la soluzione
B
B
Φ (T (x3 )) = Φ (T (∞)) + Φ0
Z
∞
x3
dx′3
,
2la (x′3 )
(3.24)
e utilizzando la legge di Planck ΦB (T ) = σT 4 , vediamo che la temperatura decresce con
l’altezza, come ci aspettavamo.
La costante d’integrazione ΦB (T (∞)) è calcolata richiedendo che per x3 → ∞ Φ↑LW =
ΦLW ≡ Φ0 ; questo perché, essendo la radiazione incidente interamente SW, Φ↓LW (x3 →
∞) = 0. Utilizzando la Eq. (3.18) e il risultato Φ↑LW + Φ↓LW = 2ΦB , otteniamo
Φ↑LW (x3 ) = ΦB (T (x3 )) +
Φ0
2
e quindi ΦB (T (∞)) = Φ0 /2. Sostitutuendo in Eq. (3.24):
Z ∞
Φ0 h
dx′3 i
B
Φ (T (x3 )) =
1+
.
′
2
x3 la (x3 )
(3.25)
(3.26)
In maniera analoga determiniamo la temperatura della superficie terrestre Te , imponendo
il bilancio radiativo
ΦB (Te ) = Φ↓LW (0) + Φ0 .
(3.27)
Il flusso LW verso il basso è determinato analogamente a quello verso l’alto
Φ0
2
[più semplicemente, basta sostituire la (3.18) nella (3.25)]. Sostituendo nella Eq. (3.27)
troviamo infine
Φ0
ΦB (Te ) = ΦB (T (0)) +
;
(3.28)
2
che ci permette di determinare il salto di temperatura tra suolo e atmosfera al di sopra.
Φ↓LW (x3 ) = ΦB (T (x3 )) −
30
CAPITOLO 3. RADIAZIONE E OTTICA ATMOSFERICA
Esercizi
1. Calcolare la temperatura di un piatto che orbita intorno al sole alla stessa distanza
della terra. Supporre il corpo nero, con la superficie orientata al sole nera e quella
opposta totalmente riflettente (cioè aω = 0 a tutte le frequenze). Supporre il piatto
orientato perpendicolare alla luce incidente. Cosa cambia se la superficie posteriore
è nera? Come cambiano le cose se invece la superficie anteriore ha assorbanza aω =
const. < 1?
2. Ripetere l’esercizio nel caso la superficie anteriore abbia assorbanze aSW = 1 e aLW =
0.5, mentre quella posteriore sia di nuovo perfettamente riflettente.
3. Uno strato di nebbia ha spessore L ∼ la ≫ ls ; quindi il sole non si vede, ma c’è
luce diffusa. Calcolare di quanto è smorzata la luce diffusa al suolo rispetto al caso
la → ∞. (Suggerimento: stimare la lunghezza tipica del percorso di un fotone che
viene diffuso di gocciolina in gocciolina dalla cima della nube sino a terra).
Riferimenti
• Diffusione: J.D. Jackson, ”Classical electromagnetism”, sezioni 10.1, 10.2
• Corpo nero e bilancio radiativo: M.L. Salby, ”Fundamentals of atmospheric physics”,
sezioni 1.3, 1.4, 8.2.1-3, 8.5.1
Capitolo 4
Termodinamica atmosferica
4.1
Equilibrio termodinamico ed entropia
I processi atmosferici sono caratterizzati in genere da forti fluttuazioni spazio-temporali. In
alcuni casi, la scala temporale di questi processi, per esempio per alcune reazioni chimiche,
è molto più rapida di quella delle altre variabili, come la temperatura o la pressione, e le
sostanze coinvolte sono in grado di raggiungere uno stato di equilibrio con l’ambiente circostante. In altri casi, come ad esempio cambiamenti di fase in presenza di vapore acqueo,
questa separazione di scale vale solo in prima approssimazione, ma è conveniente trascurare
fluttuazioni e relativi processi irreversibili in porzioni di atmosfera il cui comportamento è
poi modellato come fossero in uno stato di equilibrio termodinamico.
Richiamiamo alcuni concetti fondamentali. Trascurando inizialmente la composizione
chimica e l’effetto di cambiamenti di fase, una porzione omogenea di atmosfera (il nostro
sistema termodinamico) è caratterizzata dalla pressione P , il volume V e la temperatura T .
Microscopicamente, è possibile derivare una relazione tra pressione, volume e temperatura,
detta legge di stato, che fa sı̀ che solo due variabili siano indipendenti; prendendo V e T :
P = P (T, V ).
Dal punto di vista termodinamico, la temperatura ci dice che le diverse parti della porzione
sono in equilibrio termodinamico fra loro, cioè non scambiano in media energia sotto forma
di calore. Microscopicamente, la temperatura è legata all’energia interna U del sistema
tramite una relazione
U = U (T, V ).
L’atmosfera è in prima approssimazione un gas ideale, che significa che i contributi dalle
interazioni molecolari all’energia interna sono trascurabili; in questo caso U = U (T ) e vale
la legge, detta di equipartizione:
lKT
U =N
,
(4.1)
2
dove N è il numero di molecole nel sistema, K ≃ 1.4 · 10−23 J o K−1 è la costante di
Boltzmann e l è a grandi linee il numero di gradi di libertà di ciascuna molecola (l = 3 per
31
32
CAPITOLO 4. TERMODINAMICA ATMOSFERICA
una molecola monoatomica). Vale inoltre la legge di stato
P V = N KT.
(4.2)
Il sistema può scambiare energia col sistema circostante compiendo lavoro o scambiando
calore. L’idealizzazione detta processo reversibile consiste nel limite in cui la differenze di
temperatura e di pressione fra sistema e ambiente circostante, responsabili per lo scambio di
energia, tendono a zero. In questo caso la trasformazione si svolge in un regime idealmente
di equilibrio meccanico e termodinamico, ed è possibile assegnare ad ogni istante valori di
P e T (oltre che di V ) al sistema.
Per differenti trasformazioni reversibili infinitesime, il sistema sarà caratterizzato da
un trasferimento di calore dU + P dV e un cambio di temperatura dT . La variazione di
energia interna del sistema sarà associata a un cambio di temperatura e volume. Ora,
mentre la variazione infinitesima di volume è associata univocamente al lavoro reversibile
−P dV effettuato sul sistema, non è possibile fare lo stesso con la variazione di T e lo
scambio di calore. Per esempio, nel caso di un gas ideale, U = U (T ), e la variazione di T
è associata a tutta la variazione di energia interna, non solo allo scambio di calore.
Definiamo quindi una variabile di stato del sistema, che si comporti in uno scambio
di calore in maniera analoga al volume nel lavoro reversibile. Chiamiamo questa variabile
entropia S e chiediamo che lo scambio di calore possa essere scritto nella forma f (T, V )dS,
dove f ha lo stesso ruolo della pressione nel lavoro reversibile: Chiediamo inoltre che, come
il volume, l’entropia totale nella trasformazione reversibile sia conservata; questo implica,
poiché il calore reversibile assorbito dal sistema è uguale a quello ceduto dall’esterno, che
gli f del sistema e dell’esterno siano uguali. In questo modo, come il volume di due sistemi
distinti è la somma dei relativi volumi, l’entropia totale sarà la somma delle entropie.
Variabili termodinamiche che godono di questa proprietà sono dette estensive. Ora, perché
l’entropia totale si conservi indipendentemente dal volume delle parti (stiamo considerando
il caso reversibile, quindi le temperature sono uguali), dobbiamo avere f = f (T ). Il calore
assorbito dal sistema sarà quindi
f (T ) dS = dU + P dV.
Considerando V e T come variabili indipendenti ed esplicitando dU = ∂T U (T, V )dT +
∂V U (T, V )dV :
∂U
∂U
f dS =
dT +
+ P dV.
∂T
∂V
Nel caso di un gas ideale, utilizzando le Eqs. (4.1) e (4.2), abbiamo:
dS =
N lK
N KT
dT +
dV.
2f (T )
V f (T )
(4.3)
Imponendo che S sia una funzione delle variabili V e T , sostituendo dS = ∂T S(T, V )dT +
∂V S(T, V )dV nella Eq. (4.3) e imponendo ∂T ∂V S(T, V ) = ∂V ∂T S(T, V ) (cioè che dS
sia un differenziale esatto), otteniamo pertanto, a meno di una costante a moltiplicare:
4.2. I POTENZIALI TERMODINAMICI
33
f (T ) = T . Possiamo quindi scrivere l’energia di un gas ideale come una funzione di S e V :
U (T (S, V )) := Ũ (S, V ), il cui differenziale avrà la forma:
dU = T dS − P dV
(4.4)
(per avere una notazione più leggera, trascuriamo di indicare il tilde; è chiaro che una
differente scelta di variabili indipendenti corrisponderà a diverse dipendenze funzionali
di U e delle altre variabili termodinamiche dal loro argomento). È possibile dimostrare
che Eq. (4.4) continua ad essere valida per sistemi diversi da un gas ideale, a patto che
sia soddisfatta la relazione ∂V U (T, V ) = T ∂T P (T, V ) − P (T, V ). È da notare che le
variabili termodinamiche vengono a coppie: due variabili estensive S e V e due associate
alle proprietà di equilibrio P e T , cosı̀ dette intensive.
Il significato dell’entropia, che diventa manifesto in un approccio basato sulla meccanica
statistica, è quello di quantificare in qualche maniera la transizione all’equilibrio termodinamico. Questa transizione è un processo irreversibile e la caratteristica fondamentale
dell’entropia e che il suo valore totale cresce nel processo, al contrario del caso reversibile
in cui, per definizione, si conserva.
Consideriamo prima uno scambio irreversibile di calore a volume costante tra il sistema
a temperatura Ta e l’esterno a temperatura Tb e prendiamo per fissare le idee Ta > Tb . I
cambi di entropia saranno quindi
Z T
Z T
dUsys (T ′ )
dUext (T ′ )
∆Q
∆Q
∆Ssys =
∆S
=
=
−
= ′
ext
′
′
′
T
Ta
T
Tb
Ta
Tb
dove T con Tb < T < Ta è la temperatura finale di equilibrio, ∆Q > 0 è l’energia passata
dal sistema all’esterno e Ta′ e Tb′ sono valori di temperatura intermedi in [T, Ta ] e [Tb , T ]
rispettivamente. Chiaramente Ta′ > Tb′ e quindi
∆Q/Ta′ < ∆Q/Tb′ ⇒ ∆S = ∆Ssys + ∆Sext > 0.
Nel caso di lavoro irreversibile in condizioni isoterme, abbiamo una differenza di pressione
tra sistema e ambiente esterno che si trasforma in movimento macroscopico e da qui in
calore per forze d’attrito (la viscosità). Essendo quest’ultimo positivo, l’entropia generata
sarà di nuovo positiva. Abbiamo quindi per un sistema termodinamicamente isolato la
diseguaglianza
dU ≤ T dS − P dV
(4.5)
con l’eguaglianza verificata nel caso reversibile.
4.2
I potenziali termodinamici
La equazione (4.4) permette di intepretare l’energia interna U come l’abilità di svolgere
lavoro e scambiare calore del sistema. In particolare, dU è il calore scambiato reversibilmente a volume costante e −P dV la variazione di energia interna in una trasformazione
34
CAPITOLO 4. TERMODINAMICA ATMOSFERICA
adiabatica. I potenziali termodinamici danno l’attitudine di svolgere lavoro o scambiare
calore in condizioni particolari, precisamente in condizioni isobariche o isoterme.
Il primo potenziale che introduciamo descrive l’attitudine a scambiare calore in condizioni isobariche ed è detto entalpia (o funzione termica):
A(S, P ) = U (S, V (S, P )) + P V (S, P );
dA = T dS + V dP,
(4.6)
dove la seconda equazione vale per trasformazioni reversibili. Vediamo che la variazione di
A a pressione costante coincide con il calore scambiato: dA = dU + d(P V ) = dU + P dV .
In conseguenza di ciò, possiamo scrivere i calori specifici a volume e a pressione costante
in maniera simmetrica:
1 ∂U 1 ∂A cV =
;
cP =
,
(4.7)
N K ∂T V
N K ∂T P
dove i suffissi V e P indicano che la derivata parziale rispetto a T è effettuata tenendo fissi
V e P rispettivamente (se avessimo lavorato di partenza con T invece di S come variabile
indipendente, i suffissi V e P non sarebbero stati necessari). Nel caso di un gas ideale,
prendendo la differenza delle due definizioni in Eq. (4.7) e utilizzando la legge di stato
V = N KT /P , otteniamo il noto risultato
P ∂V cP − cV =
=1
(4.8)
N K ∂T P
Il meccanismo con cui si effettua il cambio di variabili (S, V ) → (S, P ) è una trasformazione
di Legendre la cui costruzione geometrica è illustrata in Fig. 4.1. Il volume V (S, P ) è
definito dalla condizione di minimo rispetto a V per U (S, V ) + P V , cioè
P (S, V ) = −
∂U (S, V )
∂V
la cui inversa ci fornisce V = V (S, P ). Attraverso questa condizione di minimo, possiamo vedere l’entalpia come la somma dell’energia interna del sistema e di uno stantuffo a
pressione P che spinge il volume del sistema ad assumere il valore V (S, P ). Una volta che
abbiamo a disposizione l’espressione esplicita dell’entalpia, possiamo esprimere in maniera
alternativa il volume in funzione della pressione a partire dalla seconda nella Eq. (4.6):
V (S, P ) =
∂A(S, P )
∂P
È da notare il ruolo centrale della trasformata di Legendre nel cambio di variabili. Una
semplice redifinizione della energia come funzione di S e P : U = U (S, V (S, P )) avrebbe
fatto sı̀ che la variazione di energia a pressione costante fosse dU = (T − P ∂S V )dS che non
è uguale al calore trasferito nella trasformazione.
Il secondo potenziale che introduciamo descrive l’attitudine a compiere lavoro a temperatura costante ed è detto energia libera, o energia libera di Helmholtz:
F (T, V ) = U (S(T, V ), V ) − T S(T, V );
dF = −SdT − P dV
(4.9)
35
4.2. I POTENZIALI TERMODINAMICI
U
U(S,V)
V
.
A(S,P)=U(S,V(P))+PV(P)
V=V(P)
−PV
Figura 4.1: Costruzione geometrica della trasformazione di Legendre per il passaggio
dall’energia all’entalpia.
e di nuovo la seconda vale solo in trasformazioni reversibili. La variazione di energia
libera a temperatura costante dF = dU − d(T S) = −P dV non è altro che il lavoro
compiuto sul sistema. In modo analogo all’entalpia, la dipendenza dell’entropia rispetto
a (T, V ) è determinata tramite una trasformazione di Legendre di U rispetto a S. In
questo caso la condizione di minimo è fatta rispetto a S su U (S, T ) − T S, la quale ci dà
S(T, V ) = ∂S U (S, V ), e poi invertendo S(T, V ). Quando l’espressione esplicita di F (T, V )
sia nota, possiamo utilizzare la seconda nella Eq. (4.9) per determinare S(T, V ):
S(T, V ) =
∂F (T, V )
∂T
Possiamo definire un terzo potenziale termodinamico detto semplicemente potenziale termodinamico o energia libera di Gibbs, funzione delle sole variabili intensive T e P :
G(T, P ) = F (T, V (T, P )) + P V (T, P )
dG = −SdT + V dP
(4.10)
dove analogamente a quanto fatto per entalpia ed energia libera, V (T, P ) è ottenuto da
inversione di P (T, V ) = ∂V F (T, V ), e la seconda nella (4.10) vale per trasformazioni
reversibili.
Passando al caso delle trasformazioni irreversibili, la diseguaglianza (4.5) per variazioni
di energia interna U si traduce in diseguaglianze analoghe per i vari potenziali termodinamici. In particolare, per l’energia libera abbiamo che, se la temperatura del sistema rimane
costante (quindi dT = 0):
P dV ≤ −dU + T dS = −dU + d(T S) = −dF ;
cioè, un sistema in contatto con un bagno termico a temperatura T , può compiere un lavoro
P dV pari al massimo, nel caso di una trasformazione reversibile, alla perdita di energia
libera −dF . L’energia libera di Helmolz diminuirà, dF < 0, nel caso di una trasformazione
36
CAPITOLO 4. TERMODINAMICA ATMOSFERICA
irreversibile a temperatura e volume costante. In maniera analoga vediamo che il potenziale
termodinamico di Gibbs diminuisce in trasformazioni irreversibili a temperatura e pressioni
costanti:
0 > dU + P dV − T dS = dU + d(P V ) − d(T S) = dF + d(P V ) = dG.
Pertanto, l’energia libera e il potenziale termodinamico di Gibbs saranno minimi in condizioni di equilibrio termodinamico. È da notare di nuovo il ruolo essenziale svolto dalla
trasformazione di Legendre nel mantenere le proprietà di estremo dell’equilibrio termodinamico. Per esempio, il mero cambiamento di variabili (S, V ) → (T, V ) in U non porterebbe
ad altro che alla originaria espressione (4.1), la quale non varia per T costante e non assume
un valore estremo all’equilibrio per V e T costanti.
4.3
Cambiamenti di fase
Possiamo descrivere un sistema termodinamico in cui sono presenti differenti fasi della
stessa sostanza, in funzione dei numeri di molecole N1 , N2 , ... in ciascuna fase. L’energia
interna del sistema, in particolare, sarà dipendente dai numeri di molecole nelle diverse
fasi:
U = U (T, V, N1 , N2 , ...).
Consideriamo prima il caso di una fase sola. Per la fase gassosa, U (T, V, N ) è data dalla
Eq. (4.1); Per le fasi liquida e solida, U = U (T, V, N ), con una forte dipendenza da V
(quasi incomprimibilità) dovuta alle forze intermolecolari.
Passando ad una descrizione in termini di sole variabili estensive S, V, N , la variazione
di energia dovuta al cambio del numero di particelle generalizzerà la Eq. (4.4) alla forma:
dU = T dS − P dV + µdN
(4.11)
dove abbiamo introdotto una nuova variabile intensiva µ = µ(S, V, N ), coniugata ad N ,
che, in maniera analoga a pressione e temperatura rispetto a volume e calore, descriverà
l’equilibrio di massa tra le fasi.
È naturale domandarsi quale sarà la condizione di equilibrio per date condizioni di
temperatura e pressione, piuttosto che di volume ed entropia. In effetti, nei sistemi a
cui ci interessiamo, ciascuna molecola interagisce con un piccolo numero di altre molecole
(quelle in un volume di dimensioni dell’ordine del cammino libero medio) e non con tutto
il sistema. Pertanto, l’energia di una molecola non dipenderà da quantità estensive come
N e V , ma solo da quantità come P e T o al limite il volume e l’entropia specifica V /N e
S/N .
Il potenziale termodinamico introdotto nella Eq. (4.10) è ciò che ci permette una
simile descrizione. Analizziamo prima il caso di una singola specie. Considerando variabile
il numero di molecole, possiamo scrivere
dG = −SdT + V dP + µdN.
37
4.3. CAMBIAMENTI DI FASE
Nelle ipotesi di cui sopra, l’energia µ(T, P, N ) portata nel sistema a pressione e temperatura
costanti da una singola molecola, sarà indipendente da N , cioè µ = µ(T, P ). Il potenziale
chimico coinciderà quindi con il potenziale termodinamico specifico per una molecola:
G(T, P, N ) = N µ(T, P )
(4.12)
Questa espressione si generalizza nel caso di più fasi nella forma
G(T, P, N ) = N1 µ1 (T, P ) + N2 µ2 (T, P ) + . . .
(4.13)
È da notare che se, invece che con cambiamenti di fase avessimo avuto a che fare con
reazioni chimiche, i potenziali chimici e quindi i tassi di reazione sarebbero stati dipendenti
in genere da rapporti di concentrazione nella forma Nk /Nj , k 6= j. Nel nostro caso, questa
complicazione è assente, visto che una molecola è sempre o in una fase o nell’altra e non
interagisce con una distribuzione di molecole di ”fasi” diverse in rapporto stechiometrico
Nk /Nj . A partire da Eq. (4.13), la variazione del potenziale termodinamico del sistema,
sarà, nel caso di due fasi:
dG = −SdT + V dP + (µ1 − µ2 )dN1 ,
(4.14)
dove si è utilizzato la conservazione del numero totale di molecole.
La differenza µ1 − µ2 è il salto di energia di una molecola nel passare dalla fase 2 alla
fase 1 a pressione e temperatura costante. Perché vi sia equilibrio fra le fasi in condizioni
di P e T date, è quindi necessario che i potenziali chimici rispettivi siano uguali:
µ1 (T, P ) = µ2 (T, P ).
(4.15)
In caso contrario, le molecole transiterebbero nella fase con potenziale chimico minore,
minimizzando in questo modo il potenziale termodinamico G.
Dalla Eq. (4.15), vediamo che differenti fasi possono coesistere solo su una curva P =
P (T ); il fatto che i potenziali chimici sono indipendenti da N1,2 ci dice che le fasi possono
coesistere in rapporti di massa N1 /N2 arbitrari. Questo corrisponde al quadro fornito in
Fig. 4.2. Le porzioni orizzontali ad altezza Pk individuano differenti punti nella curva di
equilibrio P = P (T ), e i corrispondenti cambi di volume isobarici sono associati al passaggio
da una pura fase gassosa (estremo destro) a una pura fase liquida (estremo sinistro).
Possiamo determinare la curva di equilibrio a partire dalla Eq. (4.15), nel caso 1
corrisponda allo stato gassoso e 2 a quello liquido. La pressione P = P̄v (T ) corrispondente
a tale condizione di equilibrio è detta pressione di vapore alla temperatura T . Sfruttando il
fatto che µ1,2 (T, P ) sono i potenziali termodinamici specifici di una molecola nelle diverse
fasi, possiamo scrivere:
dµ1,2 (T, P ) =
1
dG1,2 (T, P ) = −s1,2 dT + v1,2 dP
N1,2
(4.16)
dove s1,2 = S1,2 /N1,2 e v1,2 = V1,2 /N1,2 sono l’entropie e i volumi specifici delle molecole
nelle due fasi (S1,2 e V1,2 sono l’entropia e il volume totali di ciascuna fase). La condizione
38
CAPITOLO 4. TERMODINAMICA ATMOSFERICA
P
Pv1
Pv2
Pv3
T3
T1
T2
V
Figura 4.2: Isoterme in presenza di una transizioni di fase liquido-gas, con indicazione delle
rispettive pressioni di vapore
di spostarsi sulla curva di equilibrio sarà dµ1 (T, P ) = dµ2 (T, P ), la quale ci dà, utilizzando
Eq. (4.16):
dP̄v
s1 − s2
=
(4.17)
dT
v1 − v2
Ora, s1 − s2 è la variazione di entropia di una molecola nel cambio di fase, che possiamo
scrivere nella forma s1 − s2 = L/T , dove L è il il calore assorbito dalla molecola durante
la transizione, cioè il cosı̀ detto calore latente. Per pressioni di tipo atmosferico, abbiamo
v1 ≫ v2 e possiamo esprimere v1 in funzione di temperatura e pressione utilizzando la Eq.
(4.2):
KT
v1 − v2 ≃
P
Sostituendo nella Eq. (4.17), otteniamo l’equazione di Clausius-Clapeyron:
LP̄v
dP̄v
=
dT
KT 2
(4.18)
È da ricordare che il calore latente è stato definito attraverso una trasformazione isobarica.
Pertanto non coincide con il cambio di energia della molecola (è infatti il suo cambio di
entalpia: l’entalpia di vaporizzazione; se le variazioni di energia ed entalpia nella trasformazione fossero uguali, le macchine a vapore non potrebbero funzionare). Il Cambio di
energia contiene infatti un contributo associato al lavoro:
∆u = L − P (v1 − v2 ) ≃ (L − K∆T ),
dove si è utilizzata di nuovo la Eq. (4.2).
39
4.4. TERMODINAMICA DELL’ARIA UMIDA
4.4
Termodinamica dell’aria umida
L’atmosfera è una miscela di aria secca ed acqua allo stato liquido e di vapore. Quando la
fase liquida e quella di vapore sono in equilibrio, diciamo che siamo in condizioni sature. Per
capire il meccanismo della saturazione, dobbiamo approfondire il significato della pressione
di vapore nella equazione di Clausius-Clapeyron (4.18). Nel caso di una sostanza pura,
infatti, la pressione della fase gassosa è data semplicemente dalla legge di stato Eq. (4.2):
P (T ) = nKT
dove n = N/V = 1/v. Dal punto di vista microscopico, possiamo immaginare su una
interfaccia liquido vapore un flusso di condensazione Φc e uno di evaporazione Φv che
saranno identici all’equilibrio. Il primo sarà proporzionale al flusso nvth di molecole dalla
fase gassosa verso l’interfaccia, dove vth è la velocità termica delle molecole. Il secondo
flusso Φv sarà determinato invece (oltre che dalla densità costante della fase liquida) dal
rapporto tra l’energia delle molecole ∼ KT e l’energia di legame di van der Waals nel
liquido. Vediamo quindi che la pressione di vapore ad una data temperatura, non è altro
che la pressione corrispondente a quella densità numerica n della fase gassosa che fa sı̀ che
i due flussi Φc e Φv si bilancino esattamente.
Questo argomento continuerà a valere in una miscela di aria secca e vapore a patto
che sostituiamo n → nv , dove nv è la densità numerica del vapore in aria. Analogamente,
l’equazione di Clausius-Clapeyron (4.18) continuerà a valere a patto che sostituiamo la
pressione totale con la pressione parziale di vapore Pv , data dalla legge di Dalton
Pv = P − Pd = nv KT ;
Pd = nd KT.
(4.19)
Nota che Pd sarebbe la pressione atmosferica alla data temperatura in assenza di umidità; la
presenza di umidità nell’aria è quindi associata ad un aumento di pressione. La condizione
di equilibrio delle fasi sarà quindi verificata quando la pressione parziale di vapore e la
pressione di vapore definita dalla Eq. (4.18) diventano uguali: Pv = P̄v (T ).
Piuttosto che in funzione della densità numerica nv , è conveniente esprimere la pressione
parziale Pv in funzione della umidità specifica dell’aria q, definita come il rapporto fra massa
di acqua e massa totale nel volume dato:
q=
Nv m v
Nm
(4.20)
dove mv è P
la massa di una molecola d’acqua e m è la massa media di una molecola d’aria:
−1
m = N
k Nk mk (k = ossigeno, azoto, vapore, etc). Sostituendo nelle Eq. (4.20) e
(4.19):
md
md
nv
≃
q ≃ 1.6q;
Pv ≃
qP ≃ 1.6qP,
(4.21)
n
mv
mv
dove all’ordine più basso in q possiamo approssimare P ≃ Pd .
Per date condizioni di pressione e temperatura atmosferiche (P, T ), saremo in condizioni
di saturazione quando Pv ≃ 1.6qP = P̄v (T ), che definisce l’umidità specifica in condizioni
40
CAPITOLO 4. TERMODINAMICA ATMOSFERICA
sature:
0.62P̄v (T )
,
(4.22)
P
dove P̄v (T ) è la pressione di vapore definita dalla equazione di Clausius-Clapeyron (4.18).
Possiamo determinare il profilo di P̄v (T ) in maniera esplicita integrando la (4.18); trascurando la dipendenza del calore latente dalla temperatura:
qsat (P, T ) ≃
L 1
1 −
P̄v (T ) ≃ P̄v (T0 ) exp
K T0 T
e usando la (4.22):
L 1
qsat (P, T )
1 ≃ exp
−
.
qsat (P, T0 )
K T0 T
Notare che T0 ∼ 300o K mentre T −T0 è tipicamente dell’ordine di qualche grado. Possiamo
quindi espandere in serie di Taylor:
L(T − T ) qsat (P, T )
0
≃ exp
.
2
qsat (P, T0 )
KT0
(4.23)
Vediamo quindi che l’umidità alla saturazione dipende in maniera esponenziale dalla temperatura ed è una funzione rapidamente crescente della stessa. Se, per date condizioni di
pressione e temperatura, q < qsat , non vi sarà acqua allo stato condensato in sospensione
in atmosfera. Il rapporto qrel = q/qsat è detto umidità relativa. Abbassando la temperatura a pressione fissata, il rapporto qrel cresce sino a raggiungere la saturazione qrel = 1
ad una temperatura detta punto di rugiada. Abbassando ulteriormente la temperatura,
il vapore presente in atmosfera condenserà, abbassando l’umidità specifica q sino all’equilibrio q = qsat . L’umidità alla saturazione è quindi il massimo contenuto di umidità che
l’atmosfera può sostenere in forma di vapore ad una certa temperatura.
4.5
L’atmosfera adiabatica
Tipicamente lo spostamento verticale di una massa d’aria in atmosfera avviene in maniera
adiabatica. Il calore viene trasferito all’ambiente circostante tramite turbolenza ed effetti
molecolari in maniera più lenta di quanto venga scambiata energia tramite lavoro dovuto
a compressione o espansione. Questo ha delle conseguenze su come si stratifica l’atmosfera
rispetto a temperatura e pressione.
In condizioni di equilibrio termodinamico, la stratificazione sarebbe quella determinata
dal bilancio idrostatico in un fluido a temperatura uniforme. La radiazione solare cambia le
cose producendo un profilo di temperatura decrescente con l’altezza, che si inverte durante
la notte, quando la direzione dell’irraggiamento cambia segno (la terra riscalda l’atmosfera
sovrastante mentre si raffredda tramite irraggiamento). Se il profilo di temperatura diurno
decresce in maniera sufficientemente rapida con l’altezza, ci aspettiamo che fenomeni di
convezione entreranno in gioco per ristabilire l’equilibrio.
41
4.5. L’ATMOSFERA ADIABATICA
Consideriamo prima il caso di un’atmosfera secca. Il bilancio idrostatico lega la pressione alla densità dell’aria (massa per unità di volume) ρ = nm tramite la relazione
dP
= −gρ.
dx3
(4.24)
Questa relazione è valida mediando su scale orizontali sufficientemente grandi da trascurare i moti verticali dell’atmosfera; utilizzando la legge di stato P = ρKT /m, vediamo
che in un’atmosfera isoterma la densità dell’aria varierebbe con l’altezza con una legge
esponenziale:
KT
ρ(x3 ) = ρ0 exp(−x3 /h),
h=
.
(4.25)
mg
Questa è l’altezza dalla quale dovrebbe cadere una molecola (nel vuoto) per raggiungere
una velocità dell’ordine di quella termica. Ponendo T ∼ 300o K, e utilizzando per l’aria
m ≃ Mmol /Nmol , dove Mmol ≃ 0.029Kg è la massa molare dell’aria e Nmol ≃ 6 · 1023 è il
numero di Avogadro, troviamo h ∼ 10Km, che è di fatto l’altezza della troposfera.
Nel caso di una atmosfera adiabatica, la temperatura varierà con l’altezza insieme alla
pressione secondo la legge
0 = dU + P dV = N KcV dT + P d
N KT P
= N KcP dT − V dP
(4.26)
dove si è utilizzata la relazione (4.8). Questa relazione, unita alla legge di stato P V =
N KT , ci dà l’andamento per la temperatura:
T P −1/cP = const.
(4.27)
Consideriamo lo spostamento dx3 verso l’alto di un volume d’aria in condizioni adiabatiche
(e di equilibrio meccanico con l’ambiente circostante). Combinando le (4.24) e (4.26),
otteniamo
gρV
dT mg
=−
(4.28)
=−
dx3 ad
N KcP
KcP
che ci dice che la temperatura decresce con l’altezza con il tasso costante mg/(KcP ),
dell’ordine di 10o K al chilometro. Supponiamo ora che l’atmosfera sia stratificata con un
profilo di temperatura generico T (x3 ). Vediamo che che il profilo sarà stabile o instabile a
seconda che
dT dT dT
dT
oppure
<
>
dx3 ad dx3
dx3 ad dx3
Scrivendo infatti la legge di stato nella forma
ρ=
mP
,
KT
(4.29)
vediamo che a parità di pressione, la densità del volume di aria spostato sarà maggiore di
quella dell’ambiente circostante nel primo caso, minore nel secondo. Pertanto, la forza di
42
CAPITOLO 4. TERMODINAMICA ATMOSFERICA
Archimede agirà nel primo caso nel senso di ripristinare le condizioni originarie, mentre
nel secondo continuerà a spingere verso l’alto il volume considerato. Vediamo dalla Eq.
(4.28) che una atmosfera isoterma è sicuramente stabile, mentre invece il riscaldamento
radiativo spinge l’atmosfera verso l’instabilità. Il profilo corrispondente alla transizione al
regime stabile è detto neutro. In condizioni instabili, si innescheranno correnti convettive
che spingono il profilo verso la neutralità.
La stabilità atmosferica è parametrizzata introducendo la cosı̀ detta temperatura potenziale Θ, definita come la temperatura che si avrebbe nel punto se il volume d’aria
che lo contiene fosse compresso adiabaticamente fino a una pressione di riferimento Pref .
Utilizzando la Eq. (4.27), abbiamo:
Θ = T (Pref /P )1/cP .
(4.30)
Tipicamente si prende per Pref la pressione al livello del mare. Per definizione quindi
la temperatura potenziale rimane costante in una trasformazione adiabatica. Questo ha
la conseguenza che in un profilo neutro, la temperatura potenziale sarà costante rispetto la quota, mentre crescerà o diminuirà con l’altezza nei due regimi stabile e instabile
rispettivamente.
Nel caso di aria umida, le cosa cambiano a seconda che siamo in condizioni sature o
meno. Al di sopra del punto di rugiada, l’umidità relativa q è una costante e il suo unico
effetto è una correzione della costante di Boltzmann a partire dalla formula
P V ≃ (1 + 1.6q)N KT,
dove N è il numero di molecole di aria secca nel volume. Questo effetto si può trascurare,
giacché q . 0.01. L’effetto importante è il contributo di calore latente in una trasformazione
adiabatica in presenza di cambiamenti di fase, essendo L/(KcP ) ∼ 500o K. Il cambiamento
di fase si verifica in condizioni di vapore saturo e la legge adiabatica è in questo caso
dU + P dV = −1.6N Ldqsat
(4.31)
dove 1.6N Ldqsat è il calore ceduto dall’aria per creare una massa di vapore N mdqsat .
Sostituendo nella Eq. (4.26):
N (KcP dT + 1.6Ldqsat ) − V dP = 0
La variazione dqsat è ottenuta differenziando la (4.22):
dqsat =
∂qsat
∂qsat
∂qsat
qsat
dT +
dP =
dT −
dP
∂T
∂P
∂T
P
Sostituendo nella (4.31), otteniamo per l’adiabatica satura:
∂qsat 1.6LN qsat N KcP + 1.6L
dT − V +
dP = 0.
∂T
P
(4.32)
4.5. L’ATMOSFERA ADIABATICA
43
In questo modo, l’equazione (4.28) per la variazione di temperatura con l’altezza in atmosfera adiabatica, diventa, in condizioni sature:
mg
dT c̃P (P, T ) 1.6Lqsat −1 1.6L ∂qsat ;
= 1+
1+
,
(4.33)
=−
dx3 ad
Kc̃P (P, T )
cP
KT
KcP ∂T
dove, in prima approssimazione, si è usata l’equazione di stato in assenza di umidità P V =
N KT . Ora, sfruttando la (4.23) abbiamo al numeratore (L/K)∂qsat /∂T ≃ L2 qsat /(KT )2 ,
da confrontare con il termine Lqsat /(KT ) al denominatore. Ricordando che L/(cp K) ≃
500o K −1 , e ponendo qsat ∼ 0.01, vediamo quindi che c̃P (P, T ) ≫ cP . La temperatura
decresce con l’altezza in atmosfera adiabatica, in condizioni sature, più lentamente che in
assenza di umidità.
In maniera analoga a quanto fatto in atmosfera secca, possiamo introdurre una temperatura potenziale equivalente che si conserva in trasformazioni adiabatiche umide. Come
nel caso della (4.26), possiamo esprimere la (4.31) in funzione di P e T : N KcP dT −V dP =
−1.6N Ldqsat . Dividendo ambo i lati per N KcP P T e usando P V ≃ N KT :
0=
dT
dP
1.6L
1.6L
−
+
dqsat = d ln Θ +
dqsat .
T
cP P
cP KT
cP KT
In prima approssimazione, possiamo scrivere T −1 dqsat = d(qsat /T ); abbiamo infatti, dalla
(4.23): −[T −1 ∂qsat /∂T ]−1 qsat ∂T −1 /∂T ∼ L/K ≫ 1. In una adiabatica satura, varrà
pertanto:
1.6Lqsat
d ln Θ + d
≃ 0.
cP KT
Possiamo quindi definire la seguente temperatura potenziale equivalente
1.6Lq sat
Θe = Θ exp
,
(4.34)
cP KT
che risulterà essere conservata in una adiabatica alla saturazione: dΘe |ad,sat = 0.
Un’osservazione immediata è che, mentre un volume d’aria sale e la sua temperatura
scende, si ha condensazione e cessione di calore alla fase gassosa. In conseguenza di ciò,
il volume d’aria si espanderà di più, e la forza di Archimede risultante sarà maggiore
rispetto al caso secco. In altre parole, dato un certo profilo di temperatura T (x3 ), una
stratificazione sarà più stabile se l’atmosfera è priva di umidità. Un profilo stabile in
atmosfera secca può quindi destabilizzarsi in presenza di umidità. Si parla in questo caso
di atmosfera condizionalmente stabile.
In maniera analoga a Θ, la temperatura potenziale equivalente permette di classificare
le classi di stabilità atmosferiche in presenza di umidità. Un profilo di Θe decrescente con
l’altezza corrisponderà a condizioni instabili; un profilo che cresce con l’altezza corrisponderà a condizioni stabili (in modo assoluto o condizionale, a seconda che anche Θ cresca
o decresca con l’altezza). Mediamente, l’atmosfera si trova in condizioni condizionalmente
stabili. Il ruolo destabilizzante dell’umidità è evidente nella dipendenza di Θe da qsat . Un
profilo di temperatura potenziale Θ neutro o anche stabile, se comunque T (x3 ) decresce
44
CAPITOLO 4. TERMODINAMICA ATMOSFERICA
con l’altezza, corrisponderà, in condizioni sature, a un profilo di umidità che decresce rapidamente con l’altezza secondo la (4.23). La dipendenza esponenziale di Θe da qsat spinge
quindi Θe a crescere meno o a decrescere con l’altezza e produce quindi instabilità.
Esercizi
1. Calcolare il cambio di entropia in una trasformazione reversibile (T0 , V0 ) → (T, V )
per un gas ideale. Suggerimento: utilizzare la proprietà del differenziale esatto che
l’integrale su dS è indipendente dal percorso e spaccarlo in due pezzi (T0 , V0 ) →
(T0 , V ) e (T0 , V ) → (T, V ).
2. Scrivere la variazione di energia del gas ideale nella trasformazione reversibile (S0 , V0 ) →
(S, V ) e usare il risultato per scrivere l’entalpia.
3. Calcolare il cambio di temperatura di una massa d’aria sospinta a valle (quota 0)
dalla cima di un altipiano a (quota 2000m), supponendo che la temperatura in cima
fosse 25o C. Come dipenderà la temperatura a valle dall’umidità dell’aria in quota?
Riferimenti
• Entropia: E. Fermi, ”Termodinamica”, paragrafi 11-14
• Potenziali termodinamici e cambi di fase: E. Fermi, ”Termodinamica”, paragrafi
17-18
• Atmosfera adiabatica: M.L. Salby, ”Fundamentals of atmospheric physics”, sezione
2.4
• Termodinamica umida: M.L. Salby, ”Fundamentals of atmospheric physics”, sezioni
5.1 e 5.4; G. Marshall & A. Plumb, ”Circulation of the atmosphere and ocean”,
sezione 4.5
Capitolo 5
Elementi di fisica dei fluidi
5.1
Le condizioni per una descrizione fluida
La densità dell’aria al livello del mare è di circa n ≃ 2 · 1019 molecole cm−3 . Questo
corrisponde a una tipica distanza intermolecolare
lmol = n−1/3 ≃ 3.7 · 10−7 cm,
(5.1)
da confrontare con un raggio molecolare
amol ≃ 1.5 · 10−8 cm.
Il cammino libero medio di una molecola, cioè la distanza percorsa fra due successive
collisioni, sarà
λ ∼ (nπa2mol )−1 ≃ 10−4 cm;
(5.2)
la probabilità di una molecola di incontrarne un’altra mentre attraversa un volume n−1 , è
infatti il prodotto del numero tipico di molecole nel volume (cioè 1), ed il rapporto tra la
sezione d’urto πa2 e la sezione del volume l02 . Il numero tipico di volumi di dimensioni n−1
2
attraversati prima di una collisione sarà quindi lmol
/(πa2mol ) e il percorso effettuato sarà l0
volte questo numero, cioè λ. A partire dalla Eq. (5.2) otteniamo per il tipico tempo di
collisione
τcoll ∼ λ/vth ∼ 3 · 10−9 s,
(5.3)
dove si è stimato per la velocità termica delle molecole d’aria dalla velocità del suono
vth ∼ c ∼ 340 m/s.
Nel caso generale, la condizione perché un gas possa essere descritto come un fluido,
è che in primo luogo lo si possa considerare un continuo. Questo richiede che le quantità
medie, in particolare la densità, varino poco sulla scala della separazione intermolecolare
lmol . In principio, potremmo sempre definire la densità in modo probabilistico, a partire
dal numero di molecole medio N̄ in un volumetto di dimensioni l arbitrarie (quindi anche
l . lmol ). Perché questo numero medio fornisca una indicazione concreta del numero tipico
di molecole nel volumetto, è necessario però che le fluttuazioni ∆N di quest’ultima quantità
45
46
CAPITOLO 5. ELEMENTI DI FISICA DEI FLUIDI
siano piccole in confronto, che richiede per l’appunto che N̄ sia grande e che quindi l ≫ lmol .
(Considerando le posizioni delle molecole indipendenti, avremmo infatti ∆N ∼ N̄ 1/2 ). Se
queste condizioni sono soddisfatte, la densità di massa:
N
1 X
ρ(x, t) =
mk
V k=1
(5.4)
la velocità media delle molecole nel volume:
N
1 X
vk (t)
u(x, t) =
N k=1
(5.5)
e la temperatura cinetica, proporzionale alla energia delle molecole dovuta a moto termico:
N
3
1 X
mk |u(x, t) − vk (t)|2 ,
KT (x, t) =
2
2N k=1
(5.6)
avranno senso come proprietà strutturali del mezzo, inteso come un continuo. Nelle precedenti equazioni, vk (t) è la velocità della molecola k-esima nel volumetto, mk la sua massa
e N = n(x, t)V con V il volume in questione; K ≃ 1.4 · 10−23 J o K−1 è la costante di
Boltzmann. Avendo all’equilibrio le molecole in media la stessa energia, vth,l ∼ (T /ml )1/2
sarà la velocità termica delle molecole della specie chimica l.
Una descrizione fluida avrà senso anche dal punto di vista dinamico, se si possono
scrivere equazioni in forma chiusa per l’evoluzione di n(x, t), u(x, t) e T (x, t). Questo sarà
possibile se l’evoluzione del sistema permette condizioni di equilibrio termodinamico locale.
Dal punto di vista microscopico, il raggiungimento dell’equilibrio termodinamico è associato
all’effetto che hanno le collisioni di eliminare disomogeneità spaziali nella distribuzione delle
molecole e delle loro velocità. (Questo equilibrio è associato alla distruzione di ogni moto
ordinato delle molecole, che fa sı̀ che una ipotesi di indipendenza statistica delle molecole
sia in prima approssimazione soddisfatta). In condizioni di equilibrio termodinamico locale,
pertanto, la dinamica del gas consisterà nella evoluzione di volumi di fluido di dimensioni
L ≫ λ, la cui interazione reciproca avviene su una scala di tempi τ molto più lunga di
quella interna di raggiungimento di equilibrio τcoll . In altre parole, la condizione per una
descrizione fluida è
L ≫ λ e τ ≫ τcoll .
(5.7)
Siccome l’interazione avviene localmente alla scala del cammino libero medio λ ≪ L, ci
aspettiamo che le equazioni che descrivono la dinamica saranno esse stesse locali, e cioè
che richiedano solo conoscenza delle proprietà del gas nel punto dato. Se questo non fosse
vero, ed L < λ, il gas in ogni punto (x, t) sarebbe una sovrapposizione di getti di molecole
provenienti da regioni distanti del sistema e quindi in condizioni differenti; una descrizione
in termini di equazioni locali non sarebbe in questo caso possibile.
47
5.2. INTERPRETAZIONE CINETICA DI PRESSIONE E VISCOSITÀ
5.2
Interpretazione cinetica di pressione e viscosità
Supponiamo di essere in condizioni di equilibrio termodinamico locale; ci domandiamo
quale sarà l’evoluzione di un elemento di fluido di dimensioni l, con λ ≪ l ≪ L. Per
elemento di fluido, intendiamo un volumetto V i cui bordi sono trasportati dal campo
di velocità u(x, t). Siccome u(x, t) è solo una velocità media, le molecole al bordo si
muoveranno, attraversandolo in un senso o nell’altro, rispetto al bordo stesso. Siccome
questi processi di scambio di molecole si verificano ad una scala λ ≪ l, l’idealizzazione di
un volume di fluido con una identità precisa ha un senso, almeno in prima approssimazione.
Questi processi sono però importanti perché attraverso di essi il resto del fluido esercita
forze o scambia calore con il volumetto.
Consideriamo per prima la forza esercitata sul volumetto. Possiamo trattare ciascuna
componente vettoriale dell’impulso dI(t) = F(t′ )dt′ comunicato al volumetto, come il risultato di un flusso attraverso la superficie del volumetto stesso. Avremo quindi equazioni
nella forma
Z
dIk
= − Πk (x, t) · dA(x),
k = 1, 2, 3
(5.8)
dt
dove dA è l’elemento di superficie di V orientato verso l’esterno del volume e Πk (x, t) è la
densità di corrente associata alla componente k-esima dell’impulso. L’oggetto Π è individuato da componenti Πkj a due indici (uno per la componente dell’impulso, uno per quella
della corrente) ed è detto tensore di pressione (o tensore degli sforzi) del fluido. Vediamo
dalla (5.8) che la componente Πkj è il flusso della componente k-esima di momento lineare,
attraverso una superficie perpendicolare a j. Pertanto, Πjj sarà la pressione esercitata sulla
superficie orientata perpendicolarmente a j, mentre Πkj , per k 6= j, sarà la componente
k-esima dello sforzo di taglio sullo stesso piano.
Utilizzando il teorema della divergenza, otteniamo l’equazione di continuità ∂t Ik + V ∇ ·
Πk = 0, e quindi,
fk = −∇ · Πk
(5.9)
non è altro che la componente k-esima della densità di forza esercitata sul volumetto.
La quantità Πk · dAdt è la somma delle componenti k-esime dei momenti lineari di
tutte le molecole che hanno attraversato dA uscendo da V nell’intervallo dt, meno il
contributo dalle molecole che hanno fatto il percorso inverso. Supponiamo allora che
f(x, v; t)d3 xd3 v sia il numero di molecole nell’elemento infinitesimo di spazio delle fasi
d3 xd3 v. Consideriamo prima il caso in cui il gas ha solo una componente per cui tutte le molecole hanno la stessa massa m e mettiamoci nel sistema di riferimento in moto
con l’elemento di superficie dA. Come illustrato in Fig. 5.1, vediamo che il contributo al flusso della componente k di momento attraverso una superficie orientata lungo
j, dovuta a velocità in d3 v, sarà mf(x, v; t)vj vk d3 v. [Nel sistema di laboratorio sarebbe mf(x, v; t)(vj − uj (x, t))(vk − uk (x, t))d3 v]. Per fissare le idee, prendiamo j = 1 e k = 2,
come in figura. Dobbiamo quindi prendere la differenza del contributo delle molecole che
<
vanno da sinistra a destra con quelle che vanno da destra a sinistra, cioè Π21 = Π>
21 + Π21 ,
48
CAPITOLO 5. ELEMENTI DI FISICA DEI FLUIDI
v
x2
dA
dΠ21 d A1dt
x1
=mf(...) d A1 v1 dt v2 d3v
v1 dt
Figura 5.1: Contributo da velocità in d3 v a Π21 ; f(x, v; t)dA1 v1 dtd3 v è il numero di molecole
in d3 v che attraversano dA nell’intervallo dt.
con
>
<
<
Π>
21 (x, t) = ρ (x, t)hv2 v1 |v1 > 0i e Π21 (x, t) = ρ (x, t)hv2 v1 |v1 < 0i
(5.10)
dove ρ> e ρ< sono le densità di particelle che vanno verso destra e verso sinistra (e quindi,
chiaramente, ρ = ρ> + ρ< ).
Nel caso di un gas uniforme, vediamo che per simmetria (più propriamente, per isotropia), le uniche componenti non nulle del tensore di pressione sono quelle diagonali.
Otteniamo quindi, utilizzando la definizione di temperatura (5.6):
Πkj = δkj P ;
P = ρhvk2 i = nKT,
(5.11)
che non è altro che la legge di stato dei gas ideali, con P la pressione del gas.
In presenza di più specie, la pressione sarà semplicemente la somma dei contributi delle
molecole delle diverse specie, ciascuna delle quali obbedisce la Eq. (5.11). Avremo quindi
la legge di Dalton:
X
Pl ,
Pl = nl KT
P =
l
dove Pl è detta la pressione parziale della specie l e nl è la sua densità numerica.
<
In presenza di disomogeneità nel gas, i due contributi Π>
21 e Π21 non si bilanceranno
in genere e saranno presenti sforzi di taglio. Questi sono gli sforzi viscosi del fluido e
possono essere stimati osservando che le molecole che attraversano da destra e da sinistra
dA originano da collisioni che si sono verificate a distanza ∼ λ da dA. Fuori da dA,
avremo u 6= 0 e avremo quindi
Π≷
21 (x, t) ∼ ±ρ(x1 ∓ λ, t)vth (x1 ∓ λ)u2 (x1 ∓ λ)
e otteniamo per Π12 , espandendo in serie di Taylor in λ:
Π21 ∼ −
∂
(ρλvth u2 ).
∂x1
49
5.3. DIFFUSIONE MOLECOLARE
vth
u
d θ= x1dt
2
dA(t+dt)
ρ
ρ
vth
Figura 5.2: Contributo a Π21 dalla rotazione di dA. Le molecole provenienti dall’alto
portano componente 2 del momento −mvth a destra; quelle dal basso ne tolgono mvth .
L’argomento della derivata spaziale in questa formula contiene un fattore puramente di
non equilibrio (la velocità fluida u, che sarebbe nulla infatti all’equilibrio termodinamico) mentre il resto, per piccole deviazioni dall’equilibrio, può essere considerato in prima
approssimazione costante. Possiamo quindi scrivere:
Π21 = −µ
∂u2
;
∂x1
µ = ρν;
ν ∼ λ2 /τcoll ,
(5.12)
dove µ e ν sono dette la viscosità dinamica e la viscosità cinematica del fluido. La Eq. (5.12)
è un esempio di relazione flusso-gradiente, in cui il flusso di momento si oppone al gradiente,
spingendo verso una situazione senza porzioni macroscopiche del gas in movimento.
Ulteriori contributi a Π21 sono prodotti dalla rotazione della superficie dovuti al gradiente verticale di u1 (vedi Fig. 5.2), e sono quindi proporzionali a ∂u1 /∂x2 piuttosto che
a ∂u2 /∂x1 come nella (5.12). Altri termini ancora produrranno correzioni alla pressione
nella forma Πkk = −ρλvth ∂uk /∂xk . Sostituendo nella Eq. (5.9), è possibile dimostrare che
la densità di forza è nella forma
f = −∇P + ρ[ν∇2 u + ν k ∇(∇ · u)]
(5.13)
dove il termine ν∇2 u viene dalla (5.12) e ν k ∇(∇ · u) contiene l’effetto della rotazione
descritto nella Fig. 5.2 e delle correzioni alla pressione.
5.3
Diffusione molecolare
Lo stesso tipo di ragionamento utilizzato per definire la viscosità si può seguire considerando
l’energia cinetica delle molecole. Avremo in questo caso un flusso di calore proveniente da
sinistra di dA
ΦT1 > (x, t) ∼ ρ> (x, t)hv 2 v1 |v1 > 0i ∼ ρ(x1 − λ)KT (x1 − λ)vth (x1 − λ)
(5.14)
e analoga espressione per ΦT1 < . Nelle stesse ipotesi della Eq. (5.12) otteniamo quindi per
il flusso di calore
ΦT = −cV κT K∇T,
κT ∼ λ2 /τcoll
(5.15)
50
CAPITOLO 5. ELEMENTI DI FISICA DEI FLUIDI
dove κT è detta diffusività termica. Per semplificare le formule che seguiranno, abbiamo
introdotto il fattore cV , uguale a 3/2 o 5/2 a seconda che le molecole del gas siano mono
o bi-atomiche. Di nuovo il flusso di calore è nella forma di una relazione flusso-gradiente
che opera nella direzione dell’equilibrio termico.
Ci domandiamo a questo punto se può esistere un flusso diffusivo di massa accanto a
quelli di momento lineare e di calore. Dalle definizioni (5.4) e (5.5), vediamo che la corrente
di massa totale è proprio ρu, quindi non ci sono flussi diffusivi per la massa totale. Le cose
cambiano se consideriamo una miscela di specie, ad esempio vapore acqueo e aria secca.
Ci aspettiamo infatti che in presenza di gradienti nella densità relativa delle diverse specie,
si instaurerà un flusso diffusivo che tenderà ad abbattere i gradienti e omogeneizzare la
miscela. La corrente di massa della specie a in presenza di un gradiente lungo x1 , sarà
infatti, in analogia alle equazioni (5.10) e (5.14):
ΦT1 ≷(x, t) ∼ ρ≷
a (x, t)hv1 |v1 ≷ 0ia ∼ ±ρa (x1 ∓ λa )va,th (x1 ∓ λa )
e quindi di nuovo una relazione flusso-gradiente:
a<
Φa1 = Φa>
1 + Φ1 ∼ −λa
∂ρa va,th
∂ρa
∼ −κa
∂x1
∂x1
(5.16)
dove κa ∼ λ2a /τa,coll è la diffusività della specie a, e Φa /ρa = −κρ−1
a ∇ρa può essere interpretata come la velocità con cui la specie a fluisce rispetto al resto del fluido, spinta dal
suo gradiente di concentrazione.
La diffusione termica di calore e sostanze chimiche (ma anche di momento lineare) è
legata al modo in cui evolve la traiettoria di una molecola in seguito alle collisioni con
le altre nel fluido. Infatti, la distanza percorsa da una particella in un tempo τ ≫ τcoll
sarà la somma di Ncoll ∼ τ /τcoll spostamenti casuali ∆x. Nel più semplice caso di un
gas spazialmente uniforme, h∆xi = 0 e h|∆x|2 i ∼ λ2 . Abbiamo quindi la somma di Ncoll
variabili aleatorie indipendenti, e la distanza percorsa nel tempo τ sarà
λ2 τ
h|x(τ ) − x(0)| i ∼ Ncoll h|∆x| i ∼
τcoll
2
2
(5.17)
Questa è la legge del moto di un cammino random, in cui la distanza percorsa cresce per
t ≫ τcoll come t1/2 , e non linearmente, come nel caso di un moto rettilineo uniforme. Si
dice in questo caso che la particella diffonde e la diffusività κ ∼ λ2 /τcoll è il parametro che
fornisce la velocità del processo.
5.4
Le equazioni fluide
La dinamica di un fluido potrebbe essere descritta in linea di principio studiando l’evoluzione dei singoli elementi di fluido nel loro spostamento, mentre si deformano e scambiano
calore con l’ambiente. Una descrizione di questo genere è detta Lagrangiana, ma, sebbene
51
5.4. LE EQUAZIONI FLUIDE
naturale dal punto di vista fisico, risulta estremamente complessa dal punto di vista matematico a causa della complessità delle traiettorie e delle deformazioni in gioco e del fatto
che queste entrerebbero in forma esplicita già nella scrittura delle equazioni.
La descrizione alternativa, detta Euleriana, si concentra invece sullo studio dell’evoluzione della densità e delle altre quantità fluide in un punto fissato in seguito al moto del
fluido. Le risultanti equazioni sono nella forma di equazioni di continuità il cui contenuto è
essenzialmente la conservazione della massa, del momento lineare e dell’energia. L’ultima
equazione risulterà essere un’equazione per il trasporto di calore, mentre il comportamento
meccanico del fluido sarà descritto essenzialmente dalle prime due.
L’equazione per la conservazione della massa è ottenuta a partire dal fatto che
f(x, v, t)d3 vv · dAdt
è il numero di particelle con velocità in d3 v che attraversa l’elemento d’area dA nel tempo
dt. Quindi, sommando su tutte le particelle e utilizzando l’equazione (5.5)
Z
n(x, t)u(x, t) · dAdt = d3 vf(x, v, t)v · dAdt
sarà il numero totale di particelle che attraversano dA nel tempo dt, e J(x, t) = n(x, t)u(x, t)
sarà la densità di corrente associata. Da cui otteniamo immediatamente l’equazione di
continuità:
∂ρ
+ ∇ · (ρu) = 0.
(5.18)
∂t
Questa equazione si può scrivere in forma alternativa come
Dρ
= −ρ∇ · u,
Dt
D
∂
=
+u·∇
Dt
∂t
(5.19)
dove D/Dt è detta derivata materiale (o Lagrangiana) e ci dice come varia la quantità
su cui opera al passare del tempo, lungo una traiettoria del fluido; u · ∇ è detto termine
avvettivo. Il termine ∇ · u nella equazione rappresenta il tasso di contrazione del volume
V dell’elemento di fluido. Infatti, V ρ è la massa totale dell’elemento ed si conserva nel
tempo. Utilizzando la (5.19):
0=
Dρ
DV
DV
DV ρ
=V
+ρ
= −V ρ∇ · u + ρ
Dt
Dt
Dt
Dt
che ci dà quindi
1 DV
= ∇ · u.
(5.20)
V Dt
In presenza di specie diverse, entrano in gioco processi di diffusione descritti dalla Eq.
(5.16) e l’equazione di continuità per la concentrazione della specie a avrà la forma
∂ρa
+ ∇ · (ρa u) = κa ∇2 ρa ,
∂t
(5.21)
52
CAPITOLO 5. ELEMENTI DI FISICA DEI FLUIDI
che può essere utilizzata ad esempio per descrivere il trasporto di una sostanza chimica
immessa nel fluido.
Passiamo alla equazione per il momento lineare. Consideriamo quindi un volumetto V
di fluido e domandiamoci come varierà il suo momento lineare p sotto l’effetto delle forze
esterne. L’equazione avrà la forma della seconda legge di Newton:
Dp
= Fext + Fin
Dt
(5.22)
dove Fext e Fin tengono conto rispettivamente delle forze esterne (ad esempio la gravità)
e degli sforzi dal resto del fluido. Notare la derivata materiale che ci dice che stiamo
guardando al volumetto in moto. Se questo è piccolo, il momento in esso contenuto sarà
p ≃ ρu(x, t)V e la sua variazione potrà essere scritta, utilizzando la Eq. (5.19):
Dp
Du
D(ρV )
Du
= ρV
+u
= ρV
,
Dt
Dt
Dt
Dt
(5.23)
Usando la Eq. (5.13), otteniamo l’equazione di conservazione del momento lineare, detta
equazione di Navier-Stokes:
∂
1
+ u · ∇ u + ∇P = ν∇2 u + ν k ∇(∇ · u) + f ext /ρ
∂t
ρ
(5.24)
dove f ext = Fext /V è la densità di forza esterna agente sul fluido [nel caso della gravità,
f ext (x, t) = −gρ(x, t)e3 con g ≃ 9.8 m s−2 l’accelerazione di gravità]. Il termine avvettivo
u · ∇u rende l’equazione non-lineare e non risolvibile nel caso generale.
Deriviamo infine l’equazione per la temperatura. La temperatura cinetica è connessa,
tramite la Eq. (5.6), alla densità di energia cinetica media delle molecole, che coincide
con la loro energia totale media quando esse sono monoatomiche. Possiamo scrivere in
generale, per l’energia termica di un volume V di gas:
U = nV cV KT
dove cV è il calore specifico a volume costante, con cV = 3/2 per un molocole monoatomiche
e cV = 5/2 per molecole biatomiche. In analogia con l’Eq. (5.22), possiamo scrivere:
DU
= W ext + W in
Dt
dove W ext è una eventuale fonte di calore (per esempio irraggiamento, oppure reazioni chimiche) e W in tiene conto sia del calore ricevuto tramite conduzione termica e dissipazione
viscosa, che del lavoro compiuto dal resto del fluido attraverso compressione. Ci limitiamo
a considerare il caso (di rilevanza nella troposfera) in cui, a parte possibili impurità, le specie chimiche dell’atmosfera sono ben mescolate e la massa media molecolare m è costante.
Questo significa che lungo in un elemento di fluido si conserverà nel tempo non solo la
5.5. INCOMPRIMIBILITÀ E APPROSSIMAZIONE DI BOUSSINESQ
53
massa totale ma anche il numero di molecole. In maniera analoga alla equazione (5.23)
possiamo quindi scrivere
DT
D(nV )
DT
1 DU
= nV
+T
= nV
.
KcV Dt
Dt
Dt
Dt
Il contributo dalla compressione a win = W in /V sarà semplicemente, usando la Eq. (5.19):
−P
DV
P V Dρ
=
= −P V ∇ · u
Dt
ρ Dt
dove P = nKT Combinando con la Eq. (5.15), e scrivendo W ext = V wext , W vis = V wvis ,
otteniamo infine l’equazione del calore:
∂
T
1
+ u · ∇ T + ∇ · u = κ∇2 T +
(wvis + wext ).
(5.25)
∂t
cV
nKcV
È da notare la struttura gerarchica delle equazioni fluide. Per ottenere la densità ρ dall’equazione di continuità (5.18) dovremmo conoscere la velocità media u. Questa potrebbe
essere ottenuta dalla equazione di Navier-Stokes (5.24) che richiede però conoscenza della
pressione, e quindi di T . Fortunatamente, l’equazione per T (5.25) non coinvolge nuove
quantità e il sistema è chiuso. È però interessante osservare che la ragione per cui questo si
verifica, è la possibilità di scrivere il flusso di calore (che ricordiamo è ∝ h|v − u|2 (v − u)i)
attraverso la relazione flusso-gradiente (5.15). Quest’ultima, come nel caso degli sforzi
viscosi (5.12-5.13), dipende però dalla presenza delle collisioni. Vediamo quindi che le collisioni e la condizione di equilibrio termodinamico locale entrano di nuovo in gioco, essendo
vitali alla possibilità di avere un sistema chiuso di equazioni fluide per il gas.
Ora, per l’aria a temperature e pressioni atmosferiche, abbiamo
ν ≃ 1.5 · 10−5 m2 /s;
κ ≃ 2.2 · 10−5 m2 /s.
(5.26)
Se ci interessiamo a scale spaziali L & 1m, vediamo quindi che i termini viscosi e diffusivi
nelle equazioni di Navier-Stokes e del calore che agiscono su scale di tempi
L2
L2
∼
& 105 s
ν
κ
che sono estremamente lunghe. Nella equazione del calore, questo implica che il fluido
si muove dal punto di vista termodinamico in maniera adiabatica. Di fatto, le cose sono
complicate dalla turbolenza, che fa sı̀ che vortici di piccole dimensioni siano comunque
generati e tempi scala cosı̀ lunghi non vengano raggiunti.
τ∼
5.5
Incomprimibilità e approssimazione di Boussinesq
I processi che possono portare a variazioni di densità dell’aria in atmosfera sono in linea di
principio tre: la variazione della pressione atmosferica con l’altezza; le variazioni di pressione che si verificano dinamicamente a causa dei moti atmosferici; i fenomeni di espansione
termica. Consideriamo separatamente i tre effetti.
54
CAPITOLO 5. ELEMENTI DI FISICA DEI FLUIDI
t
t+τ
L
L~U τ
Figura 5.3: Moto di un elemento di fluido di dimensioni ∼ L; se la scala di velocità è U,
τ = L/U darà la scala di tempi per la variazione di ρ, u e T in un punto fissato.
Il primo effetto è associato ai fenomeni di stratificazione descritti nella Sez. 4.5 e
corrispondono al bilancio nella equazione di Navier-Stokes (5.24) tra le componenti verticali
delle forze esterne e di pressione:
∇P = f ext ,
che conducono alla equazione di bilancio idrostatico (4.24).
Il secondo e il terzo effetto corrispondono a fluttuazioni di densità generate in maniera
dinamica in seguito a moti del fluido e variazioni di temperatura. Immaginiamo una zona
di fluido di dimensioni ∼ L la cui la velocità e la sua variazione sono entrambe ∼ U.
Come illustrato in Fig. 5.3, questo significa che la corrispondente scala di tempo sarà
∼ τ = L/U. In assenza di forze esterne e viscose, i termini nella equazione di Navier-Stokes
(5.24) avranno pertanto ordine di grandezza, in sequenza:
U
U2
∆P
∼
∼
τ
L
ρL
dove ∆P è la scala di variazione di pressione corrispondente. Utilizzando l’equazione di
2
stato P = ρT /m ∼ ρvth
:
∆T
∆P
2 ∆ρ
∼ vth
+
ρ
ρ
m
e sostituendo nella precedente:
u2 ∆T ∆ρ
< max 2 ,
.
ρ
vth T
(5.27)
Lo stesso risultato può essere ottenuto più semplicemente domandandosi di quanto potrebbe comprimersi un volume V convertendo la propria energia cinetica 21 M V u2 in energia
termica. La compressione causata dall’arresto del volume, a meno che le velocità siano
estremamente basse, avverrà in maniera adiabatica: 21 M V u2 = ∆U = −P ∆V . Utilizzando
2
, otteniamo ∆V /V ∼ (u/vth )2 .
P = ρvth
5.5. INCOMPRIMIBILITÀ E APPROSSIMAZIONE DI BOUSSINESQ
55
Ricordiamo che, a meno di un fattore O(1), vth è per un gas ideale anche la velocità del
suono cs . Vediamo quindi che se il numero di Mach M = u/cs e le scala di variazione relativa
della temperatura ∆T /T sono entrambi piccoli, le variazioni di densità prodotte saranno
esse stesse piccole, cioè il moto del fluido sarà in prima approssimazione incomprimibile. In
troposfera, la prima condizione è sempre verificata e l’unico effetto che produce variazioni
di densità è la stratificazione. Pertanto, moti atmosferici a scala verticale ≪ h saranno in
buona approssimazione incomprimibili.
Utilizzando la Eq. (5.19), vediamo che la condizione di incomprimibilità si traduce in
una condizione di flusso senza divergenze:
∇ · u = 0.
(5.28)
Se il forzaggio del fluido è puramente meccanico, ed è portato avanti in un regime di bassi
numeri di Mach, le due equazioni le due equazioni (5.28) e (5.24) saranno sufficienti a
determinare la pressione.
In atmosfera, le cose sono più complicate, giacché variazioni di temperatura sono associate a variazioni di densità, e anche se i moti si verificano a scala ≪ h e sono in buona
approssimazione incomprimibili, le piccole variazioni di densità prodotte sono comunque
responsabili, attraverso la convezione, del moto stesso. Questi effetti possono essere tenuti
in conto in maniera perturbativa attraverso la cosı̀ detta approssimazione di Boussinesq.
Introduciamo densità e temperatura di riferimento ρ0 (x3 ) e T0 (x3 ), legate dalla condizione
di bilancio idrostatico e dalla legge di stato:
gρ0 = −
dP0
;
dx3
mP0 = ρ0 KT0 .
Supponiamo che la forza di Archimede dovuta alla differente densità di parti di fluido a
temperatura diversa sia l’unica sorgente di energia per il moto del fluido. Imponiamo che la
scala di variazione ∆T della temperatura e l’altezza L del dominio soddisfino le condizioni
∆T /T ∼ L/h ≪ 1, in modo che le condizioni di cui alla (5.27) possano essere soddisfatte.
Scrivendo:
ρ = ρ0 + ρ̃,
T = T0 + T̃ e P = P0 + P̃ ,
l’equazione di Navier-Stokes diventerà:
∂
(ρ0 + ρ̃)
+ u · ∇ u + ∇P̃ = ρν∇2 u − ρ̃ge3 .
∂t
(5.29)
Nell’equazione del calore entrano in gioco le variazioni di temperatura e densità e quindi
gli effetti di comprimibilità finita del flusso. Le variazioni di densità sono contenute nel
termine di compressione
T Dρ
T0 u3 dρ0
T0 Dρ̃
T
∇·u=−
≃−
−
cV
cV ρ Dt
cV ρ0 dx3 cV ρ0 Dt
dove si è utilizzata la Eq. (5.19). Notare che i due termini a lato destro dell’equazione
sono del medesimo ordine, essendo dρ0 /dx3 ∼ ρ0 /h ∼ ρ̃/L ∼ ∂ ρ̃/∂x3 . La densità e la
56
CAPITOLO 5. ELEMENTI DI FISICA DEI FLUIDI
temperatura sono legate attraverso la legge di stato ρ = mP/(KT ), dove P = P0 + P̃
è fissata ad ogni istante dalla quota e dall’equazione di Navier-Stokes sotto la condizione
∇ · u = 0. Abbiamo quindi
−
T0 Dρ̃
1 h DT̃
T0 DP̃ i
=
−
cV ρ0 Dt
cV Dt
P0 Dt
(5.30)
Il primo termine a lato destro è conseguenza diretta del rimescolamento di zone a temperatura diversa causato dalla convezione; il secondo è il riscaldamento prodotto dal cambio di
pressione indotto dalla condizione ∇ · u = 0 nel flusso (5.29). È facile convincersi che il termine DP̃ /Dt all’ordine più basso non contribuisce; abbiamo infatti dalla (5.29) P̃ ∼ ρ0 u2 ,
che è pari al più al lavoro per unità di volume esercitato dalle forze di Archimede nella
convezione. 1
Quest’ultimo è dell’ordine di ∆ρgL ∼ (T̃ /T0 )ρ0 gL. Abbiamo quindi
T0 P̃
gL
L
∼ 2 = ≪ 1.
vth
h
P0 T̃
Possiamo quindi trascurare il termine DP̃ /Dt nella (5.30). Procedendo nella stessa maniera
con la fluttuazione di densità nella Eq. (5.29), possiamo scrivere
ρ̃ ≃ −
ρ0
T̃
T0
(5.31)
Vediamo quindi che la convezione termica in condizioni di flusso quasi incomprimibile si
realizza nel fatto che l’unica sorgente di fluttuazioni di densità è prodotta dalle fluttuazioni
di temperatura, mentre le fluttuazioni di pressione indotte dal bilancio di momento sono
ininfluenti.
Sostituendo la (5.31) nella (5.29) otteniamo quindi, all’ordine più basso in ρ̃/ρ0 :
1
g T̃
+ u · ∇ u + ∇P̃ = ν∇2 u +
e3 .
∂t
ρ0
T0
∂
(5.32)
In modo analogo, abbiamo per l’equazione del calore,
wext
cV T0 dρ0 dT0 cV
u3 +
+ u · ∇ T̃ =
κ∇2 T̃ +
−
,
∂t
cP
cP cV ρ0 dx3 dx3
cp Kρ0
∂
(5.33)
1
Possiamo utilizzare la (5.30) per calcolare le fluttuazioni di temperatura indotte dal flusso in un fluido
inizialmente in condizioni isoterme e in assenza di fonti di calore. Trascurando il calore generato dalla
dissipazione viscosa, l’equazione del calore (5.33) diventa, in assenza di disomogeneità nei profili medi di
T0
T̃
D P̃
temperatura e densità, utilizzando la (5.30): D
Dt = (1+cV )P0 Dt ; trascurando contributi di condizioni al
contorno: T̃ =
T0
(1+cV )P0 P̃ .
Prendendo la divergenza dell’equazione di Navier-Stokes (5.29), trascurando a
ordine più basso le fluttuazioni di densità, otteniamo per la pressione: ∇2 P̃ = −ρ0 ∇·[(u·∇)u]; sostituendo
ρ0 T0
∇ · [(u · ∇)u]. Risolvendo l’equazione di Poisson, troviamo
nella equazione del calore: ∇2 T̃ = − (1+c
V )P0
quindi la fluttuazione di temperatura generata dal flusso.
5.6. IL PROBLEMA DELLE CONDIZIONI AL CONTORNO
57
dove si è trascurato il riscaldamento dovuto agli sforzi viscosi, che può essere mostrato
anch’esso essere al più dell’ordine del lavoro delle forze di Archimede. Il termine proporzionale a u3 a lato destro dell’equazione può essere riscritto in funzione della temperatura
potenziale. Utilizzando la definizione (4.30) e la legge di stato, possiamo scrivere
1−1/cP
Θ0 ∝ T0
−1/cP
ρ0
da cui otteniamo
dΘ0
cV 1 dρ0
1 dT0 =−
−
Θ0
dx3
cP cV ρ0 dx3 T0 dx3
Sostituendo nella Eq. (5.33), otteniamo quindi:
Θ̃
1
+ u · ∇ u + ∇P̃ = ν∇2 u + g e3 ;
∂t
ρ0
Θ0
∂
Θ0 wext
dΘ0
+ u · ∇ Θ̃ = κΘ ∇2 Θ̃ −
u3 +
,
∂t
dx3
cp mP0
∂
(5.34)
(5.35)
dove κΘ = (cP /cV )κ, si è sfruttata la condizione |P̃ /P0 | ≪ |T̃ /T0 | per scrivere, a partire
dalla Eq. (4.30): T̃ = (T0 /Θ0 )Θ̃, e si sono trascurate le derivate rispetto a x3 di T0 /Θ0
rispetto a quelle di Θ̃.
Gli ultimi due termini nella Eq. (5.35) agiscono di fatto come sorgenti di calore nell’equazione. Notare in particolare come il penultimo termine scompare in atmosfera neutra,
cambiando segno nel passaggio da atmosfera stabile a atmosfera instabile. Le due equazioni (5.34) e (5.35), insieme alla condizione di divergenza zero per la velocità (5.28),
costituiscono l’approssimazione di Boussinesq per il fluido.
5.6
Il problema delle condizioni al contorno
Nell’equazione di Navier-Stokes agiscono simultaneamente termini lineari (la forza viscosa), non-lineari [il termine avvettivo (u · ∇)u, che rende conto dell’inerzia del fluido] e di
forzaggio esterno. Il ruolo della pressione nel caso incomprimibile è compreso prendendo la
divergenza della equazione di Navier-Stokes (5.34), che, utilizzando la condizione ∇·u = 0,
diventa
ρ0 ∇ · (u · ∇)u + ∇2 P = ∇ · f ext
e vediamo che la pressione bilancia la parte delle forza d’inerzia e di quelle esterne che
tenderebbero a comprimere il fluido.
Supponiamo che U sia l’ordine di grandezza della variazione della velocità in una certa
regione del fluido a separazione L. L’equazione di Navier-Stokes ci fa stimare per l’ordine
di grandezza del contributo delle forze inerziali e viscose a scala L:
ν∇2 u ∼ νU/L2 ;
(u · ∇)u ∼ U 2 /L.
(5.36)
Giacché ci aspettiamo variazioni di velocità minori a piccole separazioni, le forze viscose
saranno dominanti a piccola scala. Questo effetto diventa importante in prossimità di
58
CAPITOLO 5. ELEMENTI DI FISICA DEI FLUIDI
t
A
t n+1
B
tn
?
xm−1 xm
xm+1
x
Figura 5.4: Trasferimento di informazione in una equazione del calore in 1D. Notare come l’evoluzione nel punto alla frontiera rimane indeterminata in assenza di condizioni al
contorno.
ostacoli solidi; avvicinandosi all’ostacolo, la dinamica del fluido sarà dominata dalle forze
viscose, e la velocità relativa del fluido rispetto all’ostacolo tenderà a zero alla superficie
dell’ostacolo stesso.
Dal punto di vista pratico, questa osservazione si concretizza nel fatto che, per determinare la soluzione della equazione di Navier-Stokes (5.24), è sufficiente imporre condizioni
al contorno sulla velocità sulla frontiera del dominio a cui siamo interessati (oltre che
condizioni iniziali sulla velocità nel dominio).
Il significato di questa affermazione diventa più chiaro, considerando il problema analogo delle condizioni al contorno di una equazione del calore lineare in una dimensione:
∂T
∂ 2T
=κ 2.
∂t
∂x
Discretizzando il problema e scrivendo quindi t → tn = n∆t, x → xm = m∆x, l’evoluzione
del campo di temperatura sarà descritta da:
T (xm , tn+1 ) = T (xm , tn ) +
∆t
[T (xm+1 , tn ) + T (xm−1 , tn ) − 2T (xm , tn )].
∆x2
Come illustrato in Fig. 5.4, il valore in un punto ad un istante dato è determinato dal valore
di T all’istante precedente nel punto e nei due adiacenti. Per determinare la soluzione è
quindi necessaria una condizione su tutto il campo ad un istante iniziale, più una condizione
sulla frontiera a tutti i tempi successivi.
Nel caso in cui la frontiera sia una superficie solida, le condizioni al contorno sulla
velocità assumono il significato evidente di condizioni impermeabilità della superficie e di
non-scivolamento (no-slip) sulla stessa. Su di una superficie fissa:
u⊥ (x, t) = 0 (impermeabilitá); uk (x, t) = 0 (no slip).
Comparando in modo analogo a quanto fatto nella Eq. (5.36), gli ordini di grandezza nella
equazione del calore (5.35), troviamo
κ∇2 T̃ ∼ ν T̃ /L2 ;
(u · ∇)T̃ ∼ U T̃ /L.
(5.37)
5.7. TURBOLENZA E TRASPORTO TURBOLENTO
59
Troviamo anche in questo caso che la diffusività domina per L → 0 e questo si traduce
nella possibilità di una condizione al contorno sulla temperatura. Dal punto di vista matematico, questo è vero anche quando la velocità fluida alla frontiera sia non nulla, ma
l’interpretazione fisica delle condizioni al contorno risulta in questo caso più complessa.
In generale, la soluzione di equazioni come quella di Navier-Stokes o del calore è nota
quando si diano condizioni al contorno sulla frontiera del dominio, o sulla variabile (quindi
u e T ), o sul flusso della quantità di cui le due equazioni esprimono la legge di conservazione;
nel nostro caso, il momento lineare e il calore. Ricordiamo che il flusso di momento non è
altro che la densità di forza sulla superficie, quindi la soluzione dell’equazione di NavierStokes diventa determinata quando siano noti o i valori della velocità o le forze che agiscono
sulla frontiera del dominio.
Nota bene che la densità di forza ha due componenti: una normale (la pressione) ed
una tangenziale (lo sforzo di taglio viscoso); la condizione sulla pressione si sostituisce
alla condizione di impermeabilità mentre quella sullo sforzo di taglio si sostituisce a quella
di no-slip. Ecco un esempio pratico: calcolare il profilo della velocità in un canale, nota
la pressione all’imbocco e all’uscita e trascurando l’effetto di trascinamento dell’aria al
di sopra. La condizione sulle pareti e sul fondo è chiaramente u = 0 (impermeabilità
più no-slip). La condizione al pelo dell’acqua, in assenza di onde, è u3 = 0; trascurare
l’effetto di trascinamento dell’aria, equivale a imporre sforzo tangente nullo, cioè ∂u1 /∂x3 =
∂u2 /∂x3 = 0 [confrontare con la Eq. (5.12)].
Ritorniamo ora alla temperatura e servendoci di nuovo dell’esempio del canale, ci domandiamo che significato hanno diverse condizioni al contorno, specie quando la velocità
non è zero alla frontiera. La condizione sul fondo e le pareti non crea problemi visto che
la velocità è nulla e quindi il calore è trasportato per pura conduzione. Sulla superficie
superiore, la condizione al contorno è equivalente a una posta su elementi di superficie
che si spostano con il fluido. Nel caso però si vogliano imporre condizioni di flusso sulle
superfici in entrata o in uscita, bisogna ricordarsi che a causa del fatto che u⊥ 6= 0, il flusso
ha una componente convettiva e la condizione sulla derivata normale della temperatura da
sola non è in grado di determinarlo.
5.7
Turbolenza e trasporto turbolento
L’intensità delle forze viscose e dell’inerzia nella equazione di Navier-Stokes è data dalla
Eq. (5.36); il loro rapporto è un numero adimensionale
Re =
UL
,
ν
(5.38)
detto numero di Reynolds, che sarà tanto più grande quanto più è importante l’effetto
dell’inerzia.
È noto che se Re ≫ 1, il flusso, da laminare diventa turbolento. Questo significa che
il flusso, che nel caso laminare aveva un profilo dolce caratterizzato da una singola scala
spaziale L (e una singola scala di velocità U), si rompe in correnti a scala sempre più
60
CAPITOLO 5. ELEMENTI DI FISICA DEI FLUIDI
piccola (vortici), che fluttuano in maniera casuale. Misurando differenze di velocità ∆l u
a scala l < L, si osserva infatti che, mentre nel caso laminare, questo può essere stimato
espandendo localmente in serie di Taylor il campo di velocità
l
∆l u ∼ lu′ ∼ U ,
L
in quello turbolento:
l 1/3
l
(5.39)
≫U ;
L
L
in altre parole, il campo di velocità sembra non essere differenziabile.
La differenza di velocità ∆l u può essere interpretata come la scala di velocità tipica di
vortici di dimensione l, che avranno quindi anche tempo tipico di ”rotazione” (e di durata
in vita) l/∆l u. Vediamo che non abbiamo più una sola scala L caratteristica del flusso,
ma tutto un intervallo di scale . L caratteristiche delle fluttuazioni turbolente. Possiamo
introdurre un numero di Reynolds caratteristico di fluttuazioni a scala l:
l 4/3
∆l ul
Rel =
∼ Re
(5.40)
ν
L
∆l u ∼ U
e questo ci fa vedere che le forze viscose diventano importanti per i vortici più piccoli. Si
osserva infatti anche che non vi sono vortici al di sotto della scala l0 (la cosı̀ detta scala
interna o scala di Kolmogorov) a cui Rel0 ∼ 1. Al di sotto di questa scala, il campo di
velocità ritorna ad avere un profilo differenziabile. Notare che questo implica che possiamo
stimare il gradiente del campo di velocità come
∂uk
∆l u
∼ 0
∂xj
l0
Avremo analogamente per derivate di ordine più alto ∂ n u/∂xn ∼ ∆l0 u/l0n (notare come
l’ordine di grandezza della differenza finita di ordine n continui ad essere ∆l0 u).
Per i flussi incomprimibili a cui siamo interessati, risulta che la scala di Kolmogorov è
tipicamente dell’ordine del millimetro o poco meno, ma sempre al di sopra della scala λ
sotto la quale una descrizione fluida del gas cesserebbe di essere valida.
Tutto ciò ha una interpretazione dinamica ben precisa. Le forze esterne che mettono in
moto il fluido agiscono alla scala ”esterna” L e portano allo stabilirsi di correnti a velocità
∼ U. In atmosfera, prendendo L ∼ 1000m e U ∼ 10m/s, ci ritroveremmo Re ∼ 109 .
Questo significherebbe forze viscose trascurabili, che non potrebbero dissipare in alcun
modo il lavoro delle forze esterne (il fluido dovrebbe quindi continuare ad accelerare). La
transizione ad un regime turbolento fa sı̀ invece che questo lavoro sia trasferito ai vortici
più piccoli, sino alla scala interna l0 alla quale la dissipazione viscosa è dominante. I piccoli
vortici innescati dalla turbolenza forniscono perciò il meccanismo di dissipazione (scala l0 )
per l’energia comunicata al flusso dalle forze esterne (scala L). Questo meccanismo di
trasferimento di energia è noto con il nome di cascata turbolenta.
L’aumentata efficienza della dissipazione viscosa è associata ad un incremento delle
forze effettive di attrito nel fluido. La maniera in cui si modella di solito questo effetto
5.7. TURBOLENZA E TRASPORTO TURBOLENTO
61
Figura 5.5: Raffigurazione schematica della traiettoria di un elemento di fluido in
turbolenza omogenea.
è immaginando che vi sia un trasporto di momento lineare mutuato dai vortici, analogo
a quello generato dai moti termici, descritto dalla Eq. (5.12). Questo approccio è detto
”teoria di lunghezza di mescolamento” (teoria di mixing-length).
Nel caso della viscosità molecolare, quantità come il momento lineare, l’energia termica
e sostanze varie disperse nel fluido, sono trasportate dalle collisioni a distanze dell’ordine
del cammino libero medio λ. Questo porta a variazioni delle rispettive medie a scala ≫ λ:
u, T e ρa .
Nel caso della turbolenza, si procede in maniera analoga a quanto fatto con lo studio
dell’equilibrio termodinamico in cui si è considerato prima il regime di equilibrio globale.
Consideriamo quindi una situazione di turbolenza omogenea, illustrata in Fig. 5.5, in
cui vortici di lunghezza e velocità tipiche L e U indipendenti in media dalla posizione,
trasportano un tracciante che si muove con la velocità istantanea del fluido nel punto. In
analogia con la Eq. (5.17), questo corrisponde a una diffusività ”turbolenta”.
κturb ∼ LU.
(5.41)
Si introducono viscosità e diffusività termiche turbolente che avranno lo stesso ordine
di grandezza di κturb . Questo implica un rapporto tra viscosità turbolente e molecolari
νturb /ν ∼ Re. La situazione corrispondente a condizioni di equilibrio termodinamico locale
nel caso della diffusione molecolare, sarebbe quindi ottenuta immaginando variazioni dei
parametri medi del flusso a scala ≫ L. Quindi si avrebbero velocità ū(x, t) e parametri
della turbolenza L(x, t) e U(x, t) ottenuti mediando spazialmente a scala intermedia tra L
e la scala del campo medio.
La situazione reale in flussi turbolenti (e questa è una delle difficoltà principali del
problema) è però la scala del campo medio coincide con L. Questo fatto ha conseguenze
del tipo illustrato in Fig. 5.6: scale piccole (ed alla fine quindi diffusione molecolare) sono
prodotte nella sostanza mescolata da un processo che non è di tipo diffusivo.
62
CAPITOLO 5. ELEMENTI DI FISICA DEI FLUIDI
Nonostante le limitazioni descritte, il concetto di viscosità e diffusività turbolente insieme alla procedura di media spaziale a scale confrontabili con L, sono l’ingrediente fondamentale di qualsiasi modello di turbolenza di utilizzo pratico. In particolare, un codice
numerico per la simulazione di un flusso atmosferico non potrebbe mai risolvere intervalli
di scala che vanno dal chilometro al millimetro (con i calcolatori attuali, si potrebbe pensare al massimo a un fattore mille tra scala interna e scala esterna). Si utilizzano quindi
nei modelli versioni filtrate delle equazioni fluide; per esempio, nel caso della equazione di
Navier Stokes:
∂ ū
1
+ (u · ∇)u + ∇P̄ = ν∇2 ū + f̄ ext /ρ0
(5.42)
∂t
ρ0
dove la barra indica media spaziale ad una scala l che potrebbe in generale non coincidere
con L (tipicamente l . L). Vortici a scala < l non sono quindi tenuti in conto (se l < l0 ,
tutti i vortici sarebbero risolti). In una dimensione avremmo ad esempio
Z
1 l
Ā(x, t) =
A(x + x′ , t)dx′
2l −l
e il risultato dell’operazione è illustrato in Fig. 5.7. Sfortunatamente, essendo in genere la
media di un prodotto differente dal prodotto delle medie:
(u · ∇)u 6= (ū · ∇)ū.
Una viscosità turbolenta e l’uso di ipotesi di tipo mixing-length permettono di esprimere
il termine u · ∇u in funzione di ū in forma chiusa:
(u · ∇)u = (ū · ∇)ū − ∇ · (νturb ∇)ū.
(5.43)
dove νturb ≡ νturb (l) indica qui la viscosità turbolenta prodotta dai vortici a scala < l, e
teniamo in conto che in generale νturb (l) = νturb (l(x, t); x, t). Utilizzando la Eq. (5.39),
possiamo scrivere:
νturb (l) ∼ ∆l u l ∼ Ul4/3 L−1/3 .
Sostituendo nella Eq. (5.42) ci ritroviamo una equazione identica a quella di NavierStokes originaria, solo con il termine di viscosità turbolenta νturb che si aggiunge a quello
molecolare. In maniera analoga, le equazioni del calore e di trasporto di un inquinante
mantengono la loro forma con l’aggiunta di opportuni termini di diffusività turbolenta.
Notare che il termine viscoso turbolento ∇ · (νturb ∇ūk ) ∼ ∆l u2 /l e il termine di avvezione
residuo (ū · ∇)ūk sono ora dello stesso ordine di grandezza ∆l u/l, come a dire che il numero
di Reynolds ”turbolento” ∆l ul/νturb è di ordine uno. Strutture del campo ū a scala più
piccola di l sono quindi smorzate dalla viscosità turbolenta nella stessa maniera in cui
vortici a scala < l0 nel campo originario u erano smorzati dalla viscosità molecolare.
Notare infine come la dissipazione viscosa ”turbolenta” non sia altro che l’energia trasferita dal flusso medio alla cascata turbolenta e poi dissipata in calore dalla viscosità
molecolare. La potenza ”dissipata” dalla viscosità turbolenta è difatti:
U3
ū · (∇ · (νturb ∇)ū) ∼
L
5.7. TURBOLENZA E TRASPORTO TURBOLENTO
63
Figura 5.6: Mescolamento di una ”bolla” di sostanza di dimensioni ∼ L da parte di un flusso
anch’esso a scala L. Il modello mixing-length si limiterebbe a descrivere lo spostamento in
blocco della bolla da vortice a vortice e non darebbe conto del processo di stiramento.
l
Figura 5.7: Esempio di segnale filtrato a scala l (linea spessa) sovrapposto al segnale
random originale.
La potenza dissipata dalla turbolenza è invece, indicando û ≡ ∆l0 u e utilizzando la Eq.
(5.39):
ν û · ∇2 û ∼ νU 2 l−4/3 L−2/3 .
Ma, la relazione Rel0 ∼ 1 implica Ul4/3 L−1/3 ν −1 ∼ 1, che, sostituita nella equazione
precedente, ci dà infatti:
U3
ν û · ∇2 û ∼
L
e la potenza dissipata dalle forze viscose coincide con quella trasferita alla turbolenza dal
campo medio.
Esercizi
1. Lo space-shuttle è lungo una quarantina di metri. Calcolare l’altezza alla quale una
descrizione fluida delle sue proprietà aerodinamiche risulterebbe inefficace. Come
dipende il risultato dalla velocità del veicolo?
2. Una superficie piana scorre a velocità costante e ad altezza costante su un’altra superficie parallela fissa. Calcolare la forza per unità di superficie che bisogna esercitare
sulla superficie superiore per tenerla in moto. Considerare il limite Re → 0, corrispondente a trascurare il termine avvettivo nella equazione di Navier-Stokes e la
64
CAPITOLO 5. ELEMENTI DI FISICA DEI FLUIDI
possibilità di turbolenza. Supporre le superfici idealmente infinite e che non vi siano
gradienti di pressione orizontali. Trascurare variazioni di densità e di temperatura
dell’aria.
3. Nel problema precedente, considerare la metà inferiore e quella superiore del cuscino
d’aria tra le due superfici. Qual’è la forza per unità di superficie esercitata dalla metà
superiore su quella inferiore? Perché la porzione inferiore non accelera?
Riferimenti
• M.L. Salby, ”Fundamentals of atmospheric physics”, capitolo 10.
• Turbolenza: P. Kundu, ”Fluid Mechanics”, capitolo 12 (Sez. 12 e 17; ordinato in
biblioteca).
Capitolo 6
Dinamica atmosferica
6.1
Scale di lunghezza in atmosfera
La presenza di gradienti orizontali di pressione e la destabilizzazione dell’atmosfera prodotta dal riscaldamento solare del suolo, fanno sı̀ che l’atmosfera non sia in uno stato di
quiete. Come si vedrà, la dinamica è complicata dalla rotazione terrestre, che fa sı̀ che la
componente orizontale dei moti atmosferici non sia diretta lungo i gradienti di pressione.
Un aspetto in comune con flussi a scala più piccola (per esempio il flusso in una condotta)
è invece il ruolo del suolo (le pareti della condotta) nell’esercitare una forza di attrito sul
fluido. Questo fa sı̀ che il lavoro esercitato sul fluido dalle forze di pressione non porti a
un incremento di energia cinetica, ma, in condizioni stazionarie, si converta integralmente
in calore. Un secondo effetto è la formazione di un cosı̀ detto strato limite in prossimità
del suolo, dove la dinamica è dominata dall’attrito e la velocità media del fluido varia
rapidamente con l’altezza.
È facile capire la necessità di uno strato limite da considerazioni di bilancio di momento
lineare. Immaginiamo di avere una condotta di raggio h in cui il fluido è in moto grazie
a un gradiente uniforme di pressione P ′ lungo l’asse del canale. Per semplificarci la vita,
trascuriamo effetti di tipo termico e l’effetto della gravità. Il momento lineare comunicato a un elemento di fluido di lunghezza L nell’unità di tempo (cioè la forza che agisce
sull’elemento di fluido) sarà −πh2 LP ′ . Allo stato stazionario, questa è uguale e opposta
alla forza di attrito della parete del condotto sull’elemento di fluido. Consideriamo ora
uno strato cilindrico di fluido di spessore δ ≪ h vicino alla parete del condotto. La forza
di pressione che agisce sullo strato di fluido è circa −2πhδLP ′ . La forza di attrito della
parete è invece πh2 LP ′ ; il bilancio di momento è chiuso dalla condizione che il fluido non
acceleri imponendo che la forza del fluido nella parte interna del canale sullo strato esterno
sia −πh2 LP ′ + 2πhδLP ′ , cioè la forza totale sia nulla. Vediamo quindi che, se δ ≪ h, la
forza di attrito alla parete πh2 LP ′ e la forza di trascinamento esercitata sullo strato dalla
regione interna −πh2 LP ′ + 2πhδLP ′ ≃ −πh2 LP ′ saranno molto più intense della forza
di pressione −2πhδLP ′ . In altre parole, per δ ≪ h, la dinamica nello strato di fluido è
dominata dal trasferimento di momento lineare dal fluido nella parte interna del condotto,
65
66
CAPITOLO 6. DINAMICA ATMOSFERICA
alla parete, mentre il contributo della pressione è trascurabile.
In atmosfera, l’altezza dello strato limite (detto strato limite planetario) è dell’ordine
del chilometro. Lo strato al di sopra, dominato dal bilancio tra forze di pressione e rotazione
terrestre è detto atmosfera libera. La dinamica in entrambe le regioni è complicata dalla
convezione. Nello strato limite essa entra in gioco comunque in assenza di vento, quando i
gradienti di pressione sono deboli. La convezione entra in gioco anche nell’atmosfera libera,
in particolare durante formazione di nubi.
Come si è detto precedentemente, i flussi atmosferici sono turbolenti e la loro descrizione quantitativa richiede necessariamente filtrare in modo opportuno le equazioni fluide a
seconda dei casi nella loro versione originale (5.24,5.25) o in approssimazione di Boussinesq
(5.34,5.35). La scala di filtraggio dipende essenzialmente dal tipo di problema in esame.
Per analizzare la formazione di un cumulonembo, la scala orizontale non potrà superare
di molto il chilometro; per l’evoluzione di un’area di alta pressione, la scala sarà dell’ordine delle decine-centinaia di chilometri. La scala verticale potrà variare dal centinaio di
metri per risolvere lo strato limite, all’altezza della troposfera nel caso dell’atmosfera libera. Notiamo che l’approssimazione di Boussinesq potrebbe non essere applicabile volendo
risolvere fenomeni quali la formazione di cumulonembi, che coinvolgono correnti verticali
che si estendono per tutta l’altezza della troposfera.
Focalizziamo l’attenzione sull’intervallo di scale caratteristico della dinamica delle regioni di alta e bassa pressione e trascuriamo fenomeni intensi quali formazione di cumulonembi.
Ciò porta a importanti semplificazioni nella forma delle equazioni del modo. Per fissare le
idee, consideriamo l’equazione di Navier-Stokes (5.34) nella seguente forma filtrata:
∂
1
+ u · ∇ u + ∇P = ∇ · (νturb ∇u) − ge3 ,
∂t
ρ̄
(6.1)
in cui non abbiamo eliminato da P̄ il termine di pressione idrostatica. In primo luogo, i
moti verticali, mediando a scale dell’ordine di 10÷100KM diventano trascurabili. Pertanto
u ≃ (u1 , u2 , 0). In conseguenza di ciò, anche il termine di galleggiamento −ge3 scompare e
l’equazione del calore cessa di essere necessaria.
Le equazioni si possono ulteriormente semplificare filtrando verticalmente a scala h,
mediando cioè su tutta l’altezza della troposfera. Questo è abbastanza naturale, visto che a
scale del centinaio di chilometri, la dinamica atmosferica è sostanzialmente bidimensionale.
L’operazione di media è immediata, a parte il contributo di viscosità turbolenta
∂ ∂u(x, t) νturb (x, t)
∂x3
∂x3
nella (6.1), che perde di significato, visto che u non dipende più da x3 . Ora, questa non è
altro che una parametrizzazione dello sforzo turbolento −(∂/∂x3 )u1 u3 , evidentemente non
applicabile al caso in questione [confrontare con la (5.43); ricordo che u3 = 0]. Cerchiamone un’altra più appropriata. Notiamo che la quantità ρ̄ u1 u3 , per x3 < δ, non è altro che
la forza di attrito per unità di superficie (sforzo di attrito) esercitata dal suolo. Mediando
−(∂/∂x3 )u1 u3 orizontalmente, e poi verticalmente da una quota x3 < δ alla cima della
67
6.2. IL VENTO GEOSTROFICO
troposfera, otteniamo proprio h−1 [u1 u3 (x3 ) − u1 u3 (h)] ≃ h−1 u1 u3 (x3 ), che è lo sforzo di attrito del suolo diviso ρh [il termine trascurato u1 u3 (h) è lo sforzo esercitato sulla troposfera
dalla stratosfera].
È abbastanza naturale supporre la forza di attrito diretta lungo −u e possiamo scrivere
quindi −(∂/∂x3 )u1 u3 = −Γu, dove Γ = Γ(u) è detto attrito di Ekman. Il termine di
viscosità turbolenta nella Eq. (6.1) diventa quindi
∇ · (νturb ∇u) − Γu,
u = u(x1 , x2 , t).
(6.2)
L’attrito di Ekman è associato ai moti verticali non risolti, mentre ∇ · (νturb ∇u) parametrizza i moti orizontali non risolti, che hanno invece l’effetto di smorzare gradienti orizontali
di vento. La necessità dell’attrito di Ekman è un esempio delle limitazioni del concetto
di viscosità turbolenta: trascurando questo termine nella (6.2), un flusso orizontalmente
uniforme non subirebbe nessun attrito dal suolo.
6.2
Il vento geostrofico
A causa della rotazione della terra, un sistema di riferimento solidale con un punto della superficie terrestre sarà non inerziale. Saranno quindi presenti forze fittizie: la forza
centrifuga e la forza di Coriolis, che contribuiranno accanto alla gravità al termine di forza esterna della equazione di Navier-Stokes. In particolare, per la forza di Coriolis, un
elemento di atmosfera che si muove in direzione polare (equatoriale) sarà spinto verso est
(verso ovest), mentre uno che si muove verso est (ovest) sarà spinto in direzione equatoriale
(polare).
Ricordiamo che se le componenti della posizione x sono espresse in un sistema di
riferimento rotante:
3
X
x(t) =
xi (t)ei (t),
i=1
la velocità riceverà un contributo dal cambio di orientazione dei vettori di base:
3
dx X
V=
=
(ẋi ei + xi ėi ) = v + Ω × x
dt
i=1
P
dove Ω è la frequenza di rotazione della terra e v =
ẋi ei è la velocità misurata nel
sistema di riferimento rotante. In maniera analoga per l’accelerazione:
d
dV
= a + Ω × v + Ω × x = a + 2Ω × v + Ω × [Ω × x]
dt
dt
P
dove a =
v̇i ei è l’accelerazione misurata nel sistema di riferimento rotante, 2Ω × v è
l’accelerazione di Coriolis e Ω × [Ω × x] è l’accelerazione centripeta.
L’equazione di Navier-Stokes (5.24) e l’approssimazione di Boussinesq (5.34) sono state
derivate in un sistema di riferimento cartesiano, oltre che inerziale. Questo porterebbe
68
CAPITOLO 6. DINAMICA ATMOSFERICA
ulteriori termini di correzione associati alla curvatura della superficie terrestre che qui non
discutiamo. Trascuriamo inoltre l’effetto dell’accelerazione centripeta che produce una
correzione dipendente dalla latitudine alla forza di gravità. Ci interessiamo a fenomeni che
riguardano l’atmosfera libera a scala dell’ordine del centinaio di chilometri. Con queste
semplificazioni, l’equazione di Navier-Stokes opportunamente filtrata diventa:
∂
1
(6.3)
+ u · ∇ u + 2[Ω × u] + ∇P = ∇ · (νturb ∇u),
∂t
ρ̄
e in questa equazione le derivate agiscono sulle componenti e non sui versori ei i = 1, 2, 3.
Per fissare le idee, prendiamo la direzione di e1 verso est ed e2 verso nord (e3 continua ad
essere la normale alla superficie terrestre). A scale dell’ordine del centinaio di chilometri, i
moti verticali sono trascurabili. La componente orizontale dell’accelerazione di Coriolis (in
valore assoluto) è il cosı̀ detto parametro di Coriolis f = 2Ω sin θ, dove θ è la latitudine.
Per il momento consideriamo un filtraggio verticale che ci consenta di risolvere la struttura
verticale del campo di velocitá; quindi u = (u1 , u2 , 0), ma u = u(x, t), x = (x1 , x2 , x3 ).
Per scale atmosferiche di velocità e di lunghezza U e L, l’importanza relativa del termine
di Coriolis rispetto al termine avvettivo Du/Dt ∼ U 2 /L, è data dal numero di Rossby:
Ro =
U
.
fL
(6.4)
A latitudini medie per cui f ∼ 10−4 s−1 e per U ∼ 10m/s, vediamo che Ro < 1 e il termine
di Coriolis diventa importante quando L & 100Km. Considerando lo stato stazionario e
trascurando per il momento l’effetto degli sforzi turbolenti, la dinamica sarà governata da
un bilancio fra pressione e forza di Coriolis:
1
2Ω × ū + ∇P̄ = 0
ρ̄
la cui soluzione, in coordinate, è la seguente:
ū1 := ug1 = −
1 ∂ P̄
f ρ̄ ∂x2
ū2 := ug2 =
1 ∂ P̄
.
f ρ̄ ∂x1
(6.5)
Troviamo che gradienti di pressione portano all’instaurarsi di un vento, cosı̀ detto geostrofico, orientato perpendicolarmente al gradiente stesso. Un’area di alta pressione porterà
pertanto, nell’emisfero nord ad una circolazione in senso orario, cosı̀ detta anticiclonica
(contraria al senso di rotazione terrestre). Un esempio importante sono i venti occidentali
nella zona di passaggio dalla alta pressione tropicale alle latitudini temperate.
Il profilo verticale di vento risulta dipendere fortemente dalla stratificazione verticale
di pressione e temperatura. Dal punto di vista del vento geostrofico, abbiamo di fatto due
classi di stratificazione: atmosfera barotropica e atmosfera baroclina, definite rispettivamente come atmosfera in cui pressione e temperatura variano insieme, cioè P = P (T ), e
atmosfera in cui P e T variano separatamente. Come raffigurato in Fig. 6.1, questo corrisponde a condizioni atmosferiche orizontalmente uniformi. Difatti, la condizione P = P (T )
69
6.2. IL VENTO GEOSTROFICO
x3
P,T crescenti
x3
freddo
x2
caldo
x2
Figura 6.1: Rappresentazione schematica di stratificazione barotropica (sinistra) e
baroclina (destra). Le isobare sono indicate da linea continua; le isoterme sono tratteggiate.
implica che è possibile scrivere
P = P0 (x3 )f (x1 , x2 |x3 ) e T = T0 (x3 )f (x1 , x2 |x3 ).
Infatti, se P = P (T ), T (x1 , x2 , x3 ) = T (x′1 , x′2 , x3 ) per x′1,2 6= x1,2 , implica P (x1 , x2 , x3 ) =
P (x′1 , x′2 , x3 ), che significa che T e P devono variare insieme rispetto a x1,2 fissato x3 .
Ora, dalla legge di stato abbiamo ρ = mP/(KT ) = mP0 (x3 )/(KT0 (x3 )), e cioè che la
densità a quota fissata è indipendente dalla posizione. Ma questo, utilizzando l’equazione
di bilancio idrostatico ∂P/∂x3 = −gρ, implica P (x) = P (x1 , x2 , 0) + ∆P (x3 ), cioè, l’incremento di pressione rispetto al suolo non varia spostandosi orizontalmente. Lo stesso vale
per la temperatura. La soluzione in cui P e T sono indipendenti da x1,2 corrispondono in
genere ad una situazione di calma di vento. (Per una discussione del caso dipendente da
x1,2 , vedere il problema 3 alla fine di questa sezione).
Il profilo verticale del vento geostrofico può essere derivato in forma esplicita derivando
le due equazioni in (6.5) rispetto a x3 e sostituendo in entrambe l’equazione di bilancio
idrostatico
∂ P̄
= −g ρ̄.
∂x3
Otteniamo in questa maniera:
∂ug1
g ∂ ρ̄
1 ∂ ρ̄ ∂ P̄
=
+ 2
;
∂x3
ρ̄f ∂x2 f ρ̄ ∂x3 ∂x2
∂ug2
g ∂ ρ̄
1 ∂ ρ̄ ∂ P̄
=−
− 2
.
∂x3
ρ̄f ∂x1 f ρ̄ ∂x3 ∂x1
Utilizzando la legge di stato ρ = mP/(KT ) in ∂ ρ̄/∂x1,2 e le (6.5) in ∂ P̄ /∂x1,2 , possiamo
scrivere:
1 ∂ ρ̄
1 ∂ ρ̄
1 g
∂ug2
1 g
g ∂ T̄
g ∂ T̄
∂ug1
=−
+
;
=−
+
u1 −
u2 +
∂x3
ρ̄ ∂x3 h
∂x3
ρ̄ ∂x3 h
f T̄ ∂x2
f T̄ ∂x1
dove h = KT /(mg) è l’altezza della troposfera, definita come il valore di −ρ̄(∂ ρ̄/∂x3 )−1
in una atmosfera isoterma [vedere la (4.25)]. I termini in parentesi tonda rappresentano
70
CAPITOLO 6. DINAMICA ATMOSFERICA
−
H
H
H
−
+
H
+
Figura 6.2: Un esempio schematico di fronte fra due zone di alta pressione; le linee curve
indicano la direzione del vento; le linee diritte isoterme al suolo, on + e − per identificare
caldo e freddo.
quindi la deviazione nella stratificazione rispetto al caso isotermo, mentre
ug1,2
g ∂ T̄
.
∼
h
f T̄ ∂x1,2
Il termine di deviazione può essere trascurato e otteniamo cosı̀ le equazioni di vento termico:
g ∂ T̄
∂ug1
=−
;
∂x3
f T̄ ∂x2
∂ug2
g ∂ T̄
=
;
∂x3
f T̄ ∂x1
(6.6)
che descrivono la risposta dell’atmosfera alla presenza di gradienti termici orizontali. Come discusso, si tratta di un effetto associato alla atmosfera baroclina. Se i gradienti di
pressione e temperatura sono allineati, anche il gradiente di densità sarà allineato con essi
e confrontando le Eq. (6.5) e (6.6), ug e ∂ug /∂x3 saranno paralleli. Quindi il vento geostrofico varierà salendo in quota mantenendo la stessa direzione. Nel caso di Fig. 6.1, una
crescita simultanea di pressione e temperatura spostandosi lungo x2 sarà associata ad una
intensificazione del vento geostrofico salendo di quota. Questa risulta essere la situazione
tipica nel passaggio dalla alta pressione tropicale alle nostre latitudini; le presenza di correnti a getto nella tropopausa, che sono la parte superiore dei venti occidentali in superficie
citati in precedenza, sono prodotte da questo meccanismo. Nel caso in cui i gradienti di
pressione e temperatura non sono allineati, il vento cambierà di direzione in quota.
Come illustrato in Fig. 6.2, il non allineamento dei gradienti di temperatura e di
pressione porta alla formazione di fronti, cioè regioni di forte variazione di temperatura. Il
campo di vento dei due massimi di pressione stirano le isoterme aumentando i gradienti di
temperatura (la temperatura sulle isoterme rimane uguale, ma le isoterme vengono stirate e
avvicinate fra loro). Configurazioni di questo genere sono normalmente instabili e portano
all’instaurarsi di fenomeni meteorologici. Il meccanismo può essere capito considerando il
fatto che la regione fredda contiene aria più densa della regione calda adiacente. È quindi
vantaggioso per l’aria fredda incunearsi sotto la regione calda, facendo salire l’aria calda in
quota. Ciò porta alla formazione di nubi in corrispondenza del fronte. Il fenomeno è più
forte quando è la regione fredda che si sposta verso quella calda (fronte freddo: la parte di
sinistra del fronte in figura).
6.3. LO STRATO LIMITE PLANETARIO
6.3
71
Lo strato limite planetario
Scendendo di quota, la forza di attrito esercitata dalla superficie terrestre sul vento geostrofico inizia a farsi sentire, e modifica la dinamica sostanzialmente inviscida descritta dalle
Eq. (6.5) e (6.6). Come accennato nel paragrafo 6.1, l’atmosfera è divisa in uno strato
limite con un’altezza dell’ordine del chilometro, dominata dagli sforzi turbolenti, e l’atmosfera libera al di sopra. Di fatto, come si vedrà nel paragrafo 6.6, anche se la dinamica
dell’atmosfera libera, descritta dalle Eq. (6.5) e (6.6) è sostanzialmente inviscida, effetti
dissipativi, parametrizzati nell’attrito di Ekman, giocano comunque un ruolo importante.
Lo strato limite planetario è ulteriormente suddiviso in uno strato superficiale, dell’ordine del 15% dell’altezza dello strato limite in cui l’effetto della forza di Coriolis è
trascurabile, e il rimanente, detto strato di Ekman, in cui la forza di Corolis è importante,
ma gli sforzi turbolenti determinano il profilo verticale del vento.
La gran parte della turbolenza atmosferica è concentrata nello strato superficiale. In
esso, un ruolo importante è giocato dal tipo di stratificazione atmosferica e dalla presenza
di convezione. In condizioni puramente neutrali, la dinamica sarebbe dominata dal trasferimento di momento lineare, mediato dalla turbolenza, dall’atmosfera libera al suolo. Come
già accennato, questo trasferimento di momento lineare non è altro che la forza di reazione dell’atmosfera all’attrito del suolo. In condizioni instabili, i moti convettivi generano
ulteriore turbolenza, che diventa dominante in assenza di vento geostrofico. In condizioni
stabili, invece, l’aria densa in basso si comporta come se fosse una specie di mare e l’energia
delle fluttuazioni turbolente è trasferita in parte a delle onde di gravità. Conoscenza dei
profili medi di vento e delle fluttuazioni turbolente è essenziale per la determinazione del
trasporto di sostanze chimiche (in particolare di inquinanti) nello strato limite.
Consideriamo inizialmente il caso neutrale. Supponendo il vento diretto in direzione x1 ,
la componente lungo la direzione del vento dell’equazione di Navier-Stokes, mediata sulle
fluttuazioni turbolente, sarà, allo stato stazionario e trascurando disomogeneità orizontali:
∂u1 u3
= 0.
∂x3
Il flusso verticale u1 u3 di momento lineare lungo x1 , sarà costante in x3 (se non fosse cosı̀, vi
sarebbe accelerazione degli strati d’aria attraversati). La quantità ρ0 u1 u3 è quindi la forza
di attrito esercitata dall’unità di superficie del suolo. Se siamo a quota sufficientemente
maggiore della scala delle asperità del suolo, e allo stesso tempo ben all’interno dello strato
superficiale, ci aspettiamo che gli sforzi turbolenti dipendano come unici parametri dalla
quota x3 e dalla scala di velocità u∗ = (u1 u3 )1/2 . Questa strategia (seguita da Prandtl e da
von Karman) ci permette di determinare in maniera univoca l’espressione per la viscosità
turbolenta: νturb (x3 ) ∼ u∗ x3 . Utilizzando la (5.41), la condizione di flusso di momento
costante diventa quindi
du1 u3
d du1 d du1 0=
=−
νturb
= −u∗
x3
(6.7)
dx3
dx3
dx3
dx3
dx3
la quale ci dà come soluzione
u1 (x3 ) = ku∗ ln(x3 /r0 )
(6.8)
72
CAPITOLO 6. DINAMICA ATMOSFERICA
dove k è una costante adimensionale, detta costante di von Karman (sperimentalmente,
k ≃ 0.4), e r0 è una scala di lunghezza che definisce il limite inferiore di validità della
equazione (per x3 < r0 , il vento cambierebbe di verso). In atmosfera, r0 è ciò che definisce
in pratica la scala di rugosità del suolo, cioè l’altezza al di sotto della quale la superficie
terrestre non può essere trattata come una superficie uniforme. (Tipicamente, r0 è stimata
un decimo della scala delle asperità del terreno). La equazione (6.8) è detta legge di parete.
Scendendo ulteriormente di quota, alla scala delle asperità del terreno, si raggiungerebbe prima o poi il livello al quale la velocità fluida e la distanza dagli ostacoli diventano
abbastanza piccole da avere Re < 1, cosı̀ che la viscosità molecolare entrerebbe a questo
punto in gioco. Notiamo che, nel caso di una superficie levigata, il parametro r0 nella (6.8)
diventerebbe la scala al disotto della quale la viscosità molecolare è dominante.
La dipendenza dall’altezza della viscosità turbolenta: νturb (x3 ) ∼ u∗ x3 , ci fornisce un
quadro della struttura della turbolenza, in cui a quota x3 i vortici hanno dimensione tipica
x3 e velocità caratteristica u∗ . Questo ci dà una scala di tempi caratteristica dei vortici
T (x3 ) ∼ x3 /u∗ . Vediamo quindi che salendo di quota i vortici trasferiscono momento
ed energia con un tasso sempre più lento. Notare che questo tasso di trasferimento ci
fornisce (dimensionalmente) la forza del contributo di viscosità turbolenta nella equazione
di Navier-Stokes:
∂x3 ν turb (x3 )∂x3 ∼ 1/T (x3 ).
Notare che in un canale, il flusso turbolento ρu1 u3 a distanza x3 dalla parete, deve essere
comunque uguale al momento totale entrato a quote > x3 per effetto della forza di pressione.
Il flusso ρu1 u3 è quindi in genere una funzione di x3 e lo spessore dello strato limite è definito
dalla distanza dalla parete al di sotto della quale la dipendenza da x3 può essere trascurata.
In termini del tasso di trasferimento, 1/T (x3 ), questa condizione può essere interpretata
con il fatto che le forze di pressione fuori dallo strato limite trasferiscono momento con un
tasso non trascurabile rispetto a 1/T (x3 ).
In atmosfera, come si vedrà, il confronto è più diretto e va eseguito con la frequenza di
Coriolis f . L’altezza dello strato superficiale è quindi determinato dalla quota alla quale
la rotazione terrestre, tramite l’accelerazione di Coriolis, diventa il meccanismo dominante
di deformazione dei vortici turbolenti e di trasferimento di momento lineare.
6.4
Il ruolo della convezione
Allontanandosi dal caso neutrale, il termine di sorgente nella equazione di calore nella
approssimazione di Boussinesq (5.35) inizia a produrre fluttuazioni di temperatura, che si
riperquotono nella equazione di Navier-Stokes (5.34) attraverso la forza di galleggiamento.
Nel caso instabile, questo porterà a una sorgente ulteriore di fluttuazioni turbolente. A
seconda dell’intensità della convezione, le colonne ascendenti possono penetrare l’atmosfera
libera, come accade ad esempio durante la formazione di cumulonembi.
Abbiamo visto che i diversi contributi agli sforzi turbolenti possono essere determinati
a partire dalle rispettive frequenze caratteristiche. Abbiamo visto in particolare che la
73
6.4. IL RUOLO DELLA CONVEZIONE
frequenza della componente meccanica può essere stimata come
U/x3 ∼
du1
∼ u∗ /x3
dx3
La frequenza N della componente convettiva può invece essere stimata a partire dalla
approssimazione di Boussinesq per la terza componente della equazione di Navier-Stokes e
per l’equazione del calore:
−iN u3 ∼ g
Θ̃
,
Θ0
−iN Θ̃ ∼ −u3
dΘ0
.
dx3
Da qui otteniamo la definizione della cosı̀ detta frequenza di Brunt-Wäisällä N :
N2 =
g dΘ0
.
Θ0 dx3
(6.9)
Notare che la frequenza è definita immaginaria nel caso instabile, che corrisponde a una
crescita esponenziale piuttosto che ad un comportamento oscillatorio delle fluttuazioni. Nel
caso di stratificazione stabile, questa è la frequenza di oscillazione delle onde di gravità.
Nel caso instabile, il rapporto di N 2 con la corrispondente frequenza al quadrato delle
fluttuazioni meccaniche
gdΘ0 /dx3
Ri = −
(6.10)
Θ0 (du1 /dx3 )2
definisce il numero di Richardson, che segnala il passaggio da un regime di turbolenza
meccanica ad uno di turbolenza convettiva.
Comparando le Eq. (6.8) e (6.10), vediamo che la componente meccanica tende a
diventare più forte mano a mano che ci si avvicina al suolo (regime di convezione forzata),
mentre la convezione è più forte al di sopra (regime di convezione libera). Possiamo stimare
l’altezza LM O alla quale si ha la transizione da regime meccanico a convettivo, sostituendo
la (6.8) nella (6.10), e imponendo Ri = 1:
L2M O = −
Θ0 u2∗
.
gdΘ0 /dx3
(6.11)
La quantità LM O è detta lunghezza di Monin-Obukhov. Entrambe le Eq. (6.10) e (6.11)
sono state derivate confrontando una frequenza caratteristica turbolenta du1 /dx3 per la
turbolenza meccanica, con la frequenza di Brunt-Wäisällä N , che descrive il tasso di crescita
di instabilità a partire da un dato profilo iniziale di temperatura Θ0 .
Questa trattazione è sotto molti aspetti insoddisfacente. In primo luogo, N è associata
a un regime lineare di piccole fluttuazioni, mentre du1 /dx3 può essere ricondotto alla legge
di parete (6.8). Più problematico il fatto che N richiama un profilo Θ0 che è rapidamente
modificato dalla convezione, e che quindi non può essere osservato sperimentalmente in
condizioni instabili. Di fatto, la turbolenza convettiva rimescola la temperatura riportando
Θ0 verso un profilo neutrale.
74
CAPITOLO 6. DINAMICA ATMOSFERICA
x3
x3
x3
C
B
Θ
Θ
Notte
Mattino
A
Θ
Pomeriggio
Figura 6.3: Crescita diurna dello strato limite convettivo; A regione super-adiabatica; B
zona rimescolata; C regione di ”entrainment”.
Una possibile soluzione a questo genere di problemi è definire i tempi scala a partire dai
flussi turbolenti di momento e di calore u1 u3 e u3 Θ̃. Entrambe le quantità sono facilmente
determinabili da misure istantanee (tipicamente per mezzo di anemometri sonici) di temperatura e delle componenti orizontali e vericali di velocità del vento. Nello strato inferiore
x3 < LM O , la turbolenza è prevalentemente meccanica (convezione forzata) e possiamo
sfruttare le nostre conoscenze sulla turbolenza di parete, per sostituire nella (6.11):
−
u3 Θ̃
u3 Θ̃
dΘ0
→
∼
dx3
κturb
u∗ L M O
dove Θ0 è il profilo medio di temperatura potenziale effettivamente presente a x3 < LM O .
Sostituendo nella (6.11) otteniamo quindi:
LM O =
Θ0 u3∗
.
(6.12)
kgu3 Θ̃
È da notare come il profilo di temperatura sia caratterizzato da una variazione rapida per
x3 < LM O e lenta al di sopra. Quello che succede è che il forte gradiente di u1 per x3 < LM O
distrugge le colonne convettive, che invece sono libere di svilupparsi in tutta la loro altezza
nello strato superiore. Questo fa sı̀ che il rimescolamento di temperatura sia più intenso
nello strato superiore. Di fatto, uno strato di turbolenza meccanica viene generato a bassa
quota, anche in assenza di vento geostrofico, dalle colonne convettive stesse per il risucchio
al suolo che esse causano intorno. In conseguenza di ciò, anche in condizioni puramente
convettive, Θ0 è caratterizzato da una variazione rapida in prossimità del suolo e un profilo
piatto in quota.
Come illustrato in Fig. 6.3, la struttura dello strato limite convettivo risulta essere
fortemente non stazionaria. In condizioni di convezione libera, quello che si verifica è la
destabilizzazione di uno strato d’aria di altezza via via crescente lungo la durata della
giornata. La destabilizzazione provoca l’innesco di correnti convettive, che rimescolano il
profilo di temperatura spingendolo di nuovo verso la neutralità. Come discusso in precedenza, una regione instabile rimane presente vicino al suolo, e in questa zona si producono le
6.5. LO STATO DI EKMAN
75
colonne convettive, che si innalzano poi nello strato rimescolato. Il margine superiore della
zona rimescolata è la regione di entrainment che segnala il passaggio alla regione stabile
residua al di sopra e costituisce di fatto il limite superiore dello strato limite convettivo.
L’atmosfera libera al di sopra della zona di entrainment rimane in media in condizioni
neutrali o di debole stabilità (stabilità condizionale), con regioni di forte convezione e formazione di nubi, alternate a regioni di aria secca e fortemente stabile. Durante la notte, la
forte emissione termica del suolo provoca inversione del profilo di temperatura e di nuovo
stratificazione stabile.
Un’altra situazione in cui si osservano profili stabili è al confine tra zone tropicali e
zone temperate, in cui si ha la discesa dell’aria secca salita in quota in regioni tropicali
e subtropicali. Il riscaldamento adiabatico durante la discesa di quest’aria, porta alla
formazione di un’intenso e persistente strato stabile (inversione) a quote tra 400m e 1Km.
Ciò porta a sua volta all’intrappolamento dell’aria (ed eventuali inquinanti) al disotto
dello strato di inversione. Il fenomeno, comune nella stagione estiva alle nostre latitudini,
è associato a forti picchi di inquinamento nelle città.
Nel caso di atmosfera neutrale, la lunghezza di Monin-Obukhov tende all’infinito; raramente essa scende al di sotto della decina di metri; come già discusso, anche in assenza
di vento geostrofico, si ha in corrispondenza del suolo uno strato limite di tipo meccanico
governato dalla legge di parete (6.8). Nel caso stabile, LM O indica l’altezza al di sotto della
quale i vortici turbolenti sono abbastanza energetici da non venire bloccati dalla forza di
galleggiamento.
6.5
Lo stato di Ekman
La dinamica nello strato limite, al di sopra dello stato superficiale è caratterizzato dalla
formazione di quello che si chiama uno strato di Ekman, in cui il vento cambia direzione con
la quota come risultato del bilancio tra sforzi turbolenti e forza di Coriolis. In condizioni
neutrali, abbiamo visto che la transizione si verifica attorno a x3 ∼ δsup = u∗ /f , dove la
velocità di frizione u∗ è determinata dalla legge di parete (6.8) ponendo per la velocità
media al margine dello strato superficiale u(δsup ) ∼ ug .
Considerando sempre scale orizontali sufficientemente ampie perché i moti orizontali
possano essere considerati uniformi e quelli verticali medi siano trascurati, l’equazione di
Navier-Stokes avrà la forma:
1
∂ ∂ ū 2Ω × ū + ∇P̄ =
νturb
(6.13)
ρ0
∂x3
∂x3
dove in ū e ∇P teniamo solo le componenti orizontali. Come sempre, νturb parametrizza
l’effetto dei moti (in particolare quelli turbolenti) a scala inferiore a quella a cui abbiamo
mediato l’equazione.
La differenza importante tra lo strato di Ekman ed il sottostante strato superficiale è
nella struttura della turbolenza. Mentre nello strato superficiale, la dinamica è dominata
dagli sforzi turbolenti associati all’attrito del suolo, nello strato di Ekman, il bilancio è fra
76
CAPITOLO 6. DINAMICA ATMOSFERICA
gli sforzi turbolenti e la forza di Coriolis. Questo bilancio porta a definire una nuova scala
di lunghezza, a partire dalla velocità del vento geostrofico e il parametro di Coriolis:
δ ∼ u∗ /f.
(6.14)
Questa lunghezza determina anche l’altezza dello strato di Ekman, che risulta essere in
atmosfera dell’ordine del chilometro. Allo stesso tempo determina la dimensione dei vortici
più grandi nella turbolenza generata dallo scorrimento del vento geostrofico sulla superficie
terrestre. Da qui, in analogia alla Eq. (5.41), otteniamo la stima della viscosità turbolenta:
νturb ∼ δ 2 f . Possiamo utilizzare l’arbitrarietà della stima per tenerci come unico parametro
δ:
δ2f
νturb =
(6.15)
2
Questo fa sı̀ che nella Eq. (6.13), la dipendenza della viscosità dalla quota sia trascurata
e si possa scrivere, omettendo dipendenze da x1,2 e t:
d dū d2 ū
νturb
≃ νturb 2
dx3
dx3
dx3
Decomponendo ū = ug + û, e sostituendo nella Eq. (6.13) vediamo che la parte ageostrofica
û della velocità obbedisce l’equazione:
2Ω × û = νturb
in componenti:
d2 û1
f
û2 ;
=−
2
dx3
νturb
d2 û
;
dx23
d2 û2
f
û1 .
=
2
dx3
νturb
(6.16)
Le condizioni al contorno di questa equazione devono corrispondere a ū = ug per x3 → ∞
(cioè vento geostrofico in atmosfera libera) e ū = 0 per x3 → 0 (cioè condizione di no-slip
al suolo). Prendendo per semplicità ug lungo x1 , abbiamo quindi per û:
û1 (0) = −ug ,
e û2 (0) = u1 (∞) = û2 (∞) = 0.
(6.17)
Per risolvere la (6.16) è convieniente lavorare nel piano complesso; moltiplicando la seconda
per i e sommando alla prima:
if
d2 V
=
V,
(6.18)
2
dx3
νturb
dove V = û1 + iû2 . La soluzione della (6.18) è quindi nella forma, utilizzando la (6.15):
V = A exp((1 + i)x3 /δ) + B exp(−(1 + i)x3 /δ);
imponendo le condizioni al contorno (6.17) e sommando a ug :
ū1 (x3 ) = ug [1 − exp(−x3 /δ) cos(x3 /δ],
ū2 (x3 ) = ug exp(−x3 /δ) sin(x3 /δ).
(6.19)
77
6.6. DINAMICA QUASI BI-DIMENSIONALE
x3 /δ
u2
2π
nte
sce
re
x 3c
u2
u1
π
u g u1
ug
Figura 6.4: La spirale di Ekman.
La direzione del vento medio salendo in quota forma una spirale attorno a ug , detta spirale
di Ekman, raffigurata in Fig. 6.4. La deviazione rispetto al vento geostrofico del vento a
terra, predetta dalla Eq. (6.19) è pari a circa π/4. Sperimentalmente si osserva un valore
più vicino a π/8 e un profilo a spirale è osservato di rado. Va però ricordato che, vicino a
terra, l’ipotesi di viscosità turbolente indipendenti dall’altezza non è più soddisfatta e la
dinamica è quella propria dello strato superficiale.
6.6
Dinamica quasi bi-dimensionale
Le equazioni per il vento geostrofico descrivono nel limite spazialmente omogeneo una dinamica atmosferica sostanzialmente bi-dimensionale. Possiamo descrivere questa dinamica
nel caso non omogeneo, mediando l’equazione di Navier-Stokes verticalmente su tutto h,
e, orizontalmente, a scala l ∼ 100Km. A questa scala, l’effetto della curvatura terrestre
rimane trascurabile, e otteniamo:
∂
1
(6.20)
+ u · ∇ u + ∇P = −f e3 × u + ∇ · (νturb ∇)u − Γu
∂t
ρ
dove u, x e ∇ hanno solo componenti 1 e 2. È da notare che il campo di velocità u(x, t) sarà
incomprimibile solo se rimane strettamente bidimensionale. Come illustrato in Fig. 6.5,
se il flusso originario tridimensionale (quindi non filtrato) è incomprimibile, la presenza di
flussi verticali medi non-nulli sarà associata automaticamente a una divergenza non nulla
delle componenti orizontali: ∂1 · u1 + ∂2 · u2 = −∂u3 /∂x3 . Vedremo che solo in prima
approssimazione, è possibile trascurare le componenti verticali e la divergenza orizontale
di u. Una compressibilità orizontale non nulla del flusso rende necessario specificare una
equazione per la pressione. Senza andare nel dettaglio, osserviamo che la pressione può
essere determinata a partire dal bilancio idrostatico attraverso una relazione del tipo
Z ∞
dx3 ρ(x; t),
P (x1 , x2 ; t) = ghρ(x1 , x2 ; t) =
0
dove la densità mediata sull’altezza ρ obbedisce l’equazione di continuità sul piano:
∂t ρ + ∇ · (ρ u) = 0.
78
CAPITOLO 6. DINAMICA ATMOSFERICA
x3
x2
x1
Figura 6.5: Flusso incomprimibile che diventa comprimibile visto nel piano x1 x2 (una
spirale convergente)
Questo è il tipo di approccio che conduce alla cosı̀ detta approssimazione ”shallow water”.
L’equazione di Navier-Stokes bi-dimensionale (6.20) può essere riscritta in forma alternativa in funzione della vorticità
ω = e3 · [∇ × u] =
∂u2 ∂u1
−
.
∂x1 ∂x2
(6.21)
Prendendo il rotore della (6.20), otteniamo quindi:
∂
∂t
+ u · ∇ ω = −(f + ω)∇ · u + νturb ∇2 ω − e3 · [∇ × Γu]
(6.22)
e abbiamo considerato la possibilità di moti comprimibili nel piano, associati alla presenza
di correzioni u3 6= 0 alla velocità filtrata. [Ad essere precisi, si sarebbe quindi dovuto tenere
nella Eq. (6.20) un contributo di viscosità turbolenta analogo al termine ν k nella (5.24)].
La vorticità è legata alla densità di momento angolare del campo di velocità. Abbiamo
infatti dal teorema di Stokes:
Z
I
u(x, t) · dl
ω(x, t)dA =
A
∂A
dove ∂A è il bordo di A e dl è il vettore infinitesimo tangente. Prendendo per A un cerchio,
possiamo scrivere il secondo integrale in coordinate polari
I
I
u · dl = [R × u]dθ,
(6.23)
∂A
che è uguale a 2π volte il valore medio su ∂A della densità di momento angolare del campo
di velocità. L’aspetto fisicamente importante è che in assenza di forze esterne e termini
dissipativi, l’equazione (6.22) prende la forma di una equazione di continuità
∂ω
+ ∇ · (uω) = 0
∂t
79
6.6. DINAMICA QUASI BI-DIMENSIONALE
u
−f e3 x u
− P
∆
−Γ u
Figura 6.6: Bilancio fra forza di Coriolis, gradienti di pressione e attrito.
e il contenuto di vorticità di un elemento di area A trasportato dal flusso 2D è conservato.
Notare che, dalla (6.23), il flusso convergente della Fig. 6.5 sarebbe quindi accompagnato
da un incremento di velocità all’avvicinarsi all’asse di simmetria. Una situazione che si
verifica sia nel vortice generato nello scarico di un lavandino che negli uragani.
Possiamo verificare dalle Eq. (6.20) e (6.22) che la situazione illustrata in Fig. 6.5 è
generata in modo naturale in una zona di bassa pressione dal bilancio tra forza di Coriolis,
gradienti di pressione e attrito del suolo. Come illustrato in Fig. 6.6, l’introduzione di una
forza di attrito perpendicolare a quella di Coriolis, fa sı̀ che il bilancio non sia più lungo
la direzione del gradiente di pressione. La componente perpendicolare a ∇P della forza di
attrito deve essere cancellata da quella della forza di Coriolis e questo richiede che la velocità
abbia una componente nella direzione −∇P , cioè verso la zona di bassa pressione. Una
descrizione più quantitativa può essere ottenuta attraverso analisi perturbativa delle Eq.
(6.20) e (6.22), in cui si considera piccolo il termine di attrito. Continuiamo a considerare
un regime di piccoli numeri di Rossby. Pertanto, Γ/f, Ro ≪ 1 ed espandiamo:
u = u(0) + u(1) + . . . ;
P = P (0) + P (1) + . . .
Per semplicità consideriamo un profilo di pressione decrescente da un massimo in xM AX ,
stazionario ed isotropo rispetto a xM AX ; quindi: P (0) = P (0) (|x − xM AX |). Teniamo come
unico meccanismo di dissipazione una forza di attrito lineare: Γ 6= Γ(u); trascuriamo invece
la viscosità turbolenta (supponiamo in altre parole che non vi sia turbolenza 2D da filtrare
alla scala del gradiente orizontale di pressione).
Possiamo stimare la forza d’attrito a partire dalla velocità di frizione u∗ : u2∗ ∼ Γuh,
quindi, utilizzando la (6.8): Γ ∼ u/(h(ln δ/r0 )2 ), dove δ ∼ 1KM è l’altezza dello strato
limite e r0 la rugosità del suolo. Prendendo r0 ∼ 0.1m, e u ∼ 10M/s, otteniamo Γ ∼
10−5 s−1 .
All’ordine più basso, la (6.20) ci dà il vento geostrofico:
1
∇P (0) = −f e3 × u(0)
ρ
⇒
u(0) ≡ ug =
1
e3 × ∇P (0) .
fρ
(6.24)
Dalla (6.21), questo corrisponde ad una vorticità:
ω (0) =
1 2 (0)
∇P .
fρ
(6.25)
80
CAPITOLO 6. DINAMICA ATMOSFERICA
All’ordine successivo, entra in gioco l’attrito e la equazione per la vorticità (6.22) diventa:
ug · ∇ω (0) + f ∇ · u(1) = −Γω (0) ,
dove abbiamo sfruttato la stazionarietà del profilo di P (0) , cosı̀ che (Dω/Dt)(1) = ug · ∇ω (0) .
Ora, sia P (0) che ∇2 P (0) hanno simmetria cilindrica, quindi ug è tangente alle linee di livello
di ω (0) , cosı̀ che ug · ∇ω (0) = 0. Otteniamo pertanto l’equazione per la divergenza del flusso:
Γ
∇ · u(1) = − ω (0) .
(6.26)
f
Vediamo che in corrispondenza a un minimo di pressione, condizioni cicloniche (che significa
che ω (0) e f hanno lo stesso segno) portano a una divergenza negativa del campo di velocità,
cioè convergenza delle linee di campo in 2D. Quindi una corrente ascensionale nel minimo
di pressione.
Sostituendo nella Eq. (6.22) otteniamo una equazione per l’evoluzione della vorticità
al secondo ordine in Γ/f e Ro:
Dω (2)
Γω (0)2
(0)
(1)
= −ω ∇ · u =
Dt
f
Vediamo che in condizioni cicloniche la vorticità e la sua derivata hanno lo stesso segno
(positivo) e si avrà una intensificazione del vento. Allo stesso tempo, in presenza di aria
umida, come accennato nel paragrafo 4.5, le correnti ascensionali prodotte, si intensificheranno attraverso rilascio di calore latente (instabilità atmosferica, formazione di nubi e
precipitazioni).
Esercizi
1. Stimare l’attrito di Ekman in funzione dell’altezza dello strato superficiale, della scala
di rugosità e della velocità del vento mediata in altezza (consirerare quest’ultima dello
stesso ordine della velocità del vento al bordo superiore dello strato superficiale.
2. Calcolare in atmosfera barotropica il campo di temperatura T (x) in funzione del
campo di pressione P (x) = P (x1 , x2 , 0)+∆P (x3 ) e dimostrare che effettivamente P =
P (T ). Suggerimento: calcolare T0 (x3 ) e mostrare che f (x1 , x2 |x3 ) = P (x)/P0 (x3 ) =
T (x)/T0 (x3 ).
3. Discutere la possibilità di condizioni barotropiche con superfici di livello non orizontali (ma ovviamente tutte parallele). Cosa succede vicino al suolo? Suggerimento:
tenere in conto il vento geostrofico e come varia la direzione avvicinandosi al suolo; la soluzione rimarrebbe stazionaria? Come cambierebbero le cose in presenza di
orografia?
4. Descrivere qualitativamente il moto di due vortici bidimensionali nei due casi in cui
il loro senso di rotazione è identico od opposto. Supporre che il campo di velocità
generato dai vortici si estenda all’infinito senza cambiare senso di rotazione.
6.6. DINAMICA QUASI BI-DIMENSIONALE
81
Riferimenti
• M.L. Salby, ”Fundamentals of atmospheric physics”, Sez 12.2-12.3 e 13.2-13.3
• P. Kundu, ”Fluid mechanics”, Capitolo 12 (Sez. 11 e 14); Capitolo 13 (Sez. 1-7)
(ordinato in biblioteca)
82
CAPITOLO 6. DINAMICA ATMOSFERICA
Capitolo 7
Problematiche modellistiche
7.1
Sistemi dinamici ed atmosfera
Le equazioni per l’evoluzione dell’atmosfera possono nella maggior parte dei casi essere
risolte solo numericamente. Questo richiede discretizzarle opportunamento, o attraverso delle differenze finite o utilizzando delle funzioni di base. Prendendo come caso di
riferimento la temperatura, la sua rappresentazione attraverso differenze finite sarebbe:
T (x, t) → Tn (t) ≡ T (xn , t),
xn = (n1 ∆x1 , n2 , ∆x2 , n3 ∆x3 ).
Alternativamente, una approssimazione della dinamica tramite un numero finito di funzioni
di base, detto approccio alla Galerkin, condurrebbe a dei Tn (t) che sono le componenti del
campo sulle funzioni di base. Discretizzando il problema fa sı̀ che il sistema fisico non
sia più descritto da un insieme di campi continui che obbediscono equazioni differenziali
alle derivate parziali, ma da un insieme finito di variabili dinamiche che obbediscono un
sistema di equazioni differenziali ordinarie (ODE), cioè un sistema dinamico. Scrivendo in
forma compatta:
Ẏ = F(Y, t),
(7.1)
dove Y = Y(t) contiene i campi discretizzati ed è tipicamente un vettore con un numero
N molto alto di componenti (i gradi di libertà del sistema). Il punto Y rappresenta quindi
lo stato istantaneo della porzione di atmosfera in esame, e una traiettoria nello spazio delle
fasi, la sua evoluzione.
Come illustrato con il filtraggio delle equazioni fluide (vedi Sez. 5.7), una difficoltà
della discretizzazione è la corretta parametrizzazione delle scale non risolte. Un secondo
problema è però intrinseco alla dinamica ed è la instabilità delle traiettorie, nel senso che
piccole perturbazioni allo stato iniziale del sistema, portano a modificazioni drammatiche
nella sua evoluzione a tempi sufficientemente lunghi. Questo fa sı̀ che, più della forma
di una singola traiettoria (cioè l’evoluzione della porzione di atmosfera data una certa
condizione iniziale), sia importante capire le proprietà statistiche della evoluzione di un
insieme (un ”ensemble”) di traiettorie. In questo ambito, un ruolo centrale è giocato da
considerazioni di carattere geometrico.
83
84
CAPITOLO 7. PROBLEMATICHE MODELLISTICHE
L’evoluzione di un ensemble di punti di fase Y è descritto introducendo una funzione di
distribuzione nello spazio delle fasi ρ(Y, t) (numero di punti per unità di volume di fase),
che gioca l’identico ruolo della densità fluida ρ(x, t) nello spazio fisico con coordinate x
(vedi Sez. 5.4). In modo analogo a u(x, t), il vettore F(Y, t) gioca pertanto il ruolo di
velocità generalizzata nello spazio delle fasi, dove varrà una equazione di continuità analoga
alla (5.18):
∂
∂ρ
∂
+ ∇Y · (ρF) = 0,
∇Y ≡
,
,...
(7.2)
∂t
∂Y1 ∂Y2
Questa equazione, detta equazione di Louville, descrive l’evoluzione di un ensemble di
condizioni iniziali a un tempo t0 distribuite come ρ(Y, t0 ). Ci limitiamo a considerare il
caso in cui le forze che agiscono nel sistema sono sufficienti a prevenire situazioni in cui
Y → ∞. Condizioni al contorno naturali per il problema sono pertanto ρ(∞, t) = 0
Una equazione analoga alla (5.20) descriverà la contrazione o espansione di volumi dello
spazio delle fasi:
1 DV
= ∇Y · F.
(7.3)
V Dt
Se Y 9 ∞ e il sistema evolve in una regione finita di spazio delle fasi, la variazione media
di volume di spazio delle fasi non potrà essere positiva:
h∇Y · Fi ≤ 0.
La contrazione dei volumi è associata alla presenza di forze dissipative. L’esempio più
semplice è un sistema a un grado di libertà (N = 1):
Ẏ = −Y,
∇Y · F = −1.
L’elemento di volume è in questo caso un segmento sull’asse Y e la contrazione del volume
è associata al collasso dei punti nel segmento a Y = 0 per t → ∞. Un sottoinsieme dello
spazio delle fasi a cui tendono per t → ∞ le traiettorie del sistema è detto attrattore
(nell’esempio considerato, un punto).
La presenza di attrattori è una caratteristica di sistemi dinamici autonomi (in cui F è
indipendente dal tempo). Anche per sistemi non autonomi (come sicuramente è l’atmosfera), il concetto di attrattore può fornire indicazioni sulla struttura delle traiettorie; se la
dipendenza di F da t è lenta, ci possiamo infatti aspettare che un attrattore continui ad
esistere, sebbene dipendente dal tempo
Come illustrato in Fig. 7.1, l’attrattore di un sistema dissipativo con N > 1 sarà in generale una superficie di dimensione N < 1. Per definizione, punti al di fuori dell’attrattore
tenderanno ad avvicinarsi a quest’ultimo al passare del tempo. Coppie di punti sulla stessa
traiettoria nell’attrattore, invece, tenderanno a mantenere la stessa separazione. Infatti,
due punti su una traiettoria (nel caso autonomo) sono solo lo stesso punto di fase visto ad
istanti diversi. Collasso dei punti significherebbe quindi F → 0 (cioè punto fisso) mentre
divergenza implicherebbe F → ∞ (che può essere realizzato per t → ∞ solo se Y → ∞).
Coppie di punti sull’attrattore, ma non sulla stessa traiettoria, potrebbero invece tendere
a separarsi al passare del tempo.
85
7.1. SISTEMI DINAMICI ED ATMOSFERA
A
.
B
Figura 7.1: Attrattori per un sistema dissipativo con N = 2: punto fisso (A); ciclo limite
(B).
S
I
Figura 7.2: Compressione e stiramento di un volume di fase. È indicata la traiettoria di uno
dei punti contenuto nel volume. A destra, è raffigurata la sezione in un piano perpendicolare
alla traiettoria (sezione di Poincarè) del volume, con l’intersezione col piano della sezione,
della varietà stabile (S) e di quella instabile (I).
La separazione delle traiettorie è una caratteristica dei sistemi non-lineari. Infatti,
la soluzione
P di un sistema di ODE lineari è una combinazione di esponenziali complessi
Y(t) = k Yk exp(γk t) (in generale gli Yk non sono ortogonali), e la separazione delle
traiettorie, richiedendo Re(γk ) > 0 per alcuni k, comporterebbe la presenza di traiettorie
che sfuggono ad infinito. La presenza di non-linearità permette che la separazione delle
traiettorie si verifichi solo localmente, saturando invece alla scala della porzione di spazio
delle fasi dove si sviluppano le traiettorie. Come illustrato in Fig. 7.2 nel caso N = 3,
questo comporta un processo di stiramento e piegamento dei volumi di fase, che si ripete
ogni volta che le traiettorie riattraversano le stesse regioni di spazio. Il fatto che il volume
si ripieghi su se stesso mano a mano che viene stirato è precisamente ciò che previene la
divergenza all’infinito delle traiettorie. Il volume è simultaneamente stirato (nelle direzioni
instabili) e assottigliato (in quelle stabili). Consideriamo un intorno abbastanza piccolo
86
CAPITOLO 7. PROBLEMATICHE MODELLISTICHE
es
ei
τ’
I
τ
en
S
Y
I
τ’
τ
S
Figura 7.3: Varietà stabile (S) e varietà instabile (I) associate alla traiettoria τ , insieme
ad un esempio di traiettoria τ ′ che si separa da τ nella direzione instabile. Sono indicati
anche i vettori di Lyapunov stabili (es ) instabili (ei ) e neutri (en ) in un punto Y.
di una traiettoria e un tempo non troppo lungo, cosı̀ che il ripiegamento dei volumi sia
trascurabile. Il processo di stiramento può essere descritto introducendo superfici cosı̀ dette
stabili e instabili che si intersecano nella traiettoria in esame, come illustrato in Fig. 7.3.
(Per N > 3 avremo varietà e non superfici stabili e instabili). La superficie instabile di
una traiettoria τ è definita come l’attrattore per t → ∞ di punti inizialmente vicini a τ
(ma non su τ ). La superficie stabile è definita invece come l’attrattore per t → −∞ degli
stessi punti. Punti inizialmente sulla superficie instabile (stabile) rimarranno su di essa
allontanandosi da (avvicinandosi a) τ al crescere di t.
Per studiare in maniera più quantitativa questo genere di processi, indichiamo con
∆Y(t|Y0 , ∆Y0 ; t0 ) il vettore separazione al tempo t di punti, le cui posizioni al tempo t0
sono rispettivamente Y0 e Y0 + ∆Y0 (t0 può quindi essere nel futuro come nel passato
rispetto a t). Indichiamo in maniera analoga con Y(t|Y0 ; t0 ) la posizione del punto al
tempo t sulla traiettoria che passa al tempo t0 per Y0 . Chiaramente:
Y(t|Y0 + ∆Y0 ; t0 ) = Y(t|Y0 ; t0 ) + ∆Y(t|Y0 , ∆Y0 ; t0 )
e abbiamo quindi l’equazione per l’evoluzione della separazione:
d∆Y
= F(Y + ∆Y, t) − F(Y, t)
dt
(7.4)
Nel nostro caso, la velocità generalizzata F è differenziabile negli argomenti, [ricordiamo
che la Eq. (7.1) non è altro che la discretizzazione di equazioni fluide i cui termini sono
tipicamente funzioni lineari e quadratiche degli argomenti]. Considerando piccole separazioni, possiamo espandere la (7.4) in serie di Taylor e otteniamo la seguente equazione
tangente:
d∆Yα X ∂
=
Fα (Y(t|Y0 ; t0 ), t)∆Yβ
(7.5)
dt
∂Y
β
β
7.1. SISTEMI DINAMICI ED ATMOSFERA
87
dove ∂Fα /∂Yβ non è altro che la matrice Jacobiana della Eq. (7.1) nel punto Y. Dalla
linearità della Eq. (7.5), possiamo scrivere in generale:
X
∆Y(t|Y0 , ∆Y0 ; t0 ) =
∆Y0α Λα (t0 |Y, t)eα (t0 |Y, t),
(7.6)
α
dove i vettori eα (t0 |Y, t) e i coefficienti Λα (t0 |Y, t) giocano il ruolo di autovettori e autovalori della trasformazione ∆Y0 → ∆Y. Nel nostro caso, Y evolve in una regione limitata
di spazio delle fasi ed F è priva di singolarità, cosı̀ che ci aspettiamo un comportamento
esponenziale rispetto al tempo: ln Λα (t0 |Y, t) ∝ t − t0 . La dipendenza dei termini a lato
destro nella (7.6) da Y0 è contenuta in forma implicita nella relazione Y = Y(t|Y0 , t0 ).
Sia il vettore eα (t0 |Y, t) che la quantità λα (t0 |Y, t) = (t − t0 )−1 ln Λα (t0 |Y, t), detti vettore
e esponente di Lyapunov locali in Y, dipendono da Y e dal tempo t − t0 . Sia eα che λα
sono quindi quantità fluttuanti, che, per t0 → t, coincidono con gli autovettori e autovalori
della matrice Jacobiana ∂Fα /∂Yβ in Y. Ci aspettiamo però che per t0 → −∞, fissati Y e
t, queste quantità abbiano limite eα (Y) e λα (Y). Ci aspettiamo inoltre che la somma in
(7.6) sia dominata dal termine con l’esponente maggiore:
∆Y(t|Y0 , ∆Y0 ; t0 ) ≃ ei (Y)∆Y0i exp(λ̄(Y)(t − t0 ))
dove il versore ei (Y ) giacerà sulla superficie instabile ed è detto vettore di Lyapunov nella
direzione instabile in Y, mentre λ̄(Y) è il cosı̀ detto esponente di Lyapunov dominante del
sistema. Ora, mentre il vettore ei (Y ) dipende necessariamente dal punto della traiettoria,
l’esponente λ̄(Y) cumula le separazioni infinitesime lungo tutta la traiettoria. Ci aspettiamo quindi che per t − t0 → ∞, λ̄(Y) rimanga una quantità dipendente dalla traiettoria,
ma non più da Y.
Un sistema in cui un esponente di Lyapunov è positivo (e quindi c’è separazione delle
traiettorie) e non dipende dalla traiettoria su cui è calcolato, è detto un sistema caotico.
Vedremo che l’indipendenza di λ̄ dalla traiettoria richiede in buona sostanza che ci sia un
solo attrattore, e quindi un’unica traiettoria caotica del sistema. In questo caso è possibile
calcolare l’esponente di Lyapunov come il limite:
1
|∆Y(t|Y0 , ∆Y0 ; t0 )|
log
,
∆Y0 →0 t→∞ |t − t0 |
|∆Y0 |
λ̄ = lim lim
(7.7)
dove l’errore nel porre ∆Y0i ≃ |∆Y0 | è trascurabile nel logaritmo, a meno che ∆Y0 non
sia stato scelto con componente nella varietà instabile in Y0 rigorosamente nulla.
Notare che tutte queste operazioni si possono ripetere per t → −∞ e questo ci dirà come
si separano le traiettorie nel passato, cioè quanto è difficile ricostruire la storia passata del
nostro sistema a partire da informazioni nell’istante dato. Otterremo quindi un esponente
di Lyapunov negativo e un vettore di Lyapunov es (Y) sulla superficie stabile. Abbiamo
infine un vettore di Lyapunov en (Y) cosı̀ detto neutro, allineato con la traiettoria, associato
ad un esponente di Lyapunov nullo.
Per un sistema a N gradi di libertà, avremo N esponenti di Lyapunov, alcuni con
parte reale positiva (quelli associati a vettori di Lyapunov nella varietà instabile), alcuni
88
CAPITOLO 7. PROBLEMATICHE MODELLISTICHE
negativa (quelli associati a vettori di Lyapunov in quella stabile) ed almeno uno nullo (quello
neutro). Gli esponenti di Lyapunov sono chiaramente associati al tasso di contrazione del
volume di fase. I vettori di Lyapunov nel punto Y definiscono infatti un volume che si
deformerà contraendosi ed espandendosi lungo i diversi assi con il tasso fissato dal rispettivo
esponente. La presenza di esponenti di Lyapunov positivi richiede pertanto, per soddisfare
la condizione che il volume di fase non cresca, che ci siano esponenti di Lyapunov negativi.
Notare che questo ha come conseguenza il fatto, che un sistema (autonomo) potrà essere
caotico solo per N > 2 (N = 3 è il minimo per avere una direzione stabile accanto a quella
instabile ed alla necessaria direzione neutrale).
7.2
Caos, dinamica stocastica e predicibilità
A causa delle separazione delle traiettorie, se le condizioni iniziali di un sistema caotico
sono note con una precisione finita ∆Y , il suo stato finale dopo un tempo t sarà noto con
una incertezza ∼ ∆Y exp(λ̄t), dove λ̄ è l’esponente di Lyapunov più grande del sistema.
La perdita di informazione che si verifica è simile a quella in un un processo stocastico,
cioè un sistema la cui dinamica contiene una componente aleatoria in modo esplicito.
Analizziamo in dettaglio quello che si verifica considerando l’esempio più semplice di
processo stocastico, cioè un cammino random in cui l’incremento di posizione dx in un
tempo dt ha media nulla e varianza hdx2 i = κdt [vedere la Eq. (5.17)]. La PDF ρ(x, t|x0 , 0)
della posizione della particella al tempo t, data una posizione iniziale x0 al tempo 0 coincide
con la densità al tempo t di una nuvola di particelle inizialmente in x0 . Il comportamento
di questo sistema in una scatola con pareti riflettenti è ovvio: la particella al tempo t = 0
è in x̄, quindi
ρ(x, 0|x0 , 0) = δ(x − x0 ).
Dopo un tempo piccolo rispetto al tempo di diffusione alle pareti della scatola (che sarà
∼ L2 /κ con L la dimensione della scatola), l’incertezza sulla posizione della particella sarà
∆x ∼ (κt)1/2 , ed è possibile dimostrare
ρ(x, t|x0 , 0) ≃ (2πκt)−1/2 exp(−
|x − x0 |2
).
2κt
Notiamo subito la differenza con il caso di un sistema dinamico: nel caso di quest’ultimo,
lo stato del sistema, in assenza di errore sulle condizioni iniziali, è noto esattamente:
ρ(Y, t) = δ(Y − Y(t|Y0 ; 0)).
(Notiamo inoltre il fatto che la separazione ∆x cresce come t1/2 invece che esponenzialmente). Per t → ∞, la posizione nella scatola sarà ignota ed avremo infine
ρ(x, ∞|x0 , 0) = ρ(x) =
1
,
L
che è detta la PDF di equilibrio del processo stocastico. La proprietà del processo stocastico, che qualsiasi condizione iniziale conduce alla stessa PDF limite, è detta proprietà
89
7.2. CAOS, DINAMICA STOCASTICA E PREDICIBILITÀ
...
Figura 7.4: Struttura frattale generata dal processo di stiramento e piegamento.
ergodica. Questo fa sı̀ che medie temporali su traiettorie che originano da condizione iniziali
diverse coincideranno comunque con la media effettuata direttamente su ρ.
Notare l’analogia con la condizione, nella definizione di un sistema caotico, che le medie
siano indipendenti dalle traiettorie. Per definizione, le traiettorie tendono a disporsi per
t → ∞ sull’attrattore (o sugli attrattori) del sistema. In presenza di esponenti di Lyapunov
positivi, e quindi separazione delle traiettorie, questi attrattori coincidono con le varietà
instabili del sistema. La condizione di caos può essere quindi vista come la condizione che
ci sia separazione delle traiettorie ed allo stesso tempo un solo attrattore del sistema, e
quindi un’unica varietà instabile associata ad un’unica traiettoria asintotica estremamente
convoluta. Come illustrato nelle Figure 7.2 e 7.4 la struttura dell’attrattore di un sistema
caotico è necessariamente frattale. e la PDF di equilibrio ρ(Y) sarà un oggetto altamente
singolare. Si parla in questo caso di attrattore strano, ed un esempio è l’attrattore di
Lorenz mostrato in Fig. 7.5.
Una descrizione consistente della dinamica atmosferica tramite un sistema caotico, richiederebbe di tenere conto non solo della precisione finita con cui sono assegnate le condizioni iniziali, ma anche del contributo delle scale non risolte alla perdita di informazione
sullo stato del sistema.
Tenendo conto della parte fluttuante del contributo dalle scale non risolte alla dinamica,
avremo al posto della Eq. (7.1) una equazione nella forma
Ẏ = F(Y, t) + F̃,
hF̃|Y, ti = 0,
(7.8)
dove il termine F̃ ha carattere aleatorio. Le scale non risolte sono anche quelle più veloci
e il termine F̃ può essere modellato sfruttando l’analogia con i moti molecolari. Nel caso
del trasporto di una sostanza, l’effetto delle collisioni molecolari portava all’aggiunta all’equazione di continuità nella forma (5.18) di un termine diffusivo che portava alla forma
(5.21). A livello di porzione di sostanza, questo portava a un cambio nella sua equazione
di evoluzione da una equazione deterministica:
ẋ = u(x, t)
(7.9)
a una stocastica:
dx = u(x, t)dt + dW,
h|dW|2 i ∼ κdt
(7.10)
90
CAPITOLO 7. PROBLEMATICHE MODELLISTICHE
Figura 7.5: L’attrattore di Lorenz
dove dW era lo spostamento prodotto dalle collisioni molecolari nel tempo dt, come
descritto dalla Eq. (5.17).
Nel caso presente, il ruolo della (7.9) è giocato dalla Eq. (7.1), mentre quello della (7.10)
sarà giocato dalla equazione che modella la (7.8). Nella forma più semplice F̃dt ∼ dW, e
quindi:
dY = F(Y, t)dt + dW
h|dW|2 i ∼ Kdt.
(7.11)
La equazione di Louville (7.2) assume quindi un termine diffusivo e diventa
∂ρ
+ ∇Y · (ρF) = K∇2Y ρ,
(7.12)
∂t
conosciuta in questo contesto con il nome di equazione di Fokker-Planck. In maniera
analoga al mescolamento di una sostanza in un fluido, in cui la porzione di sostanza è
prima stirata da u e poi diffusa da κ, nello spazio delle fasi, la struttura frattale descritta
nella Fig. 7.4 non raggiunge un limite singolare, ma i suoi punti vengono prima diffusi da
K nel volume circostante.
Va notato che, a causa del numero ridotto di stazioni di misura, il grado di incertezza
sulle condizioni iniziali che vanno assegnate in un modello atmosferico è piuttosto elevato, e
questo, unito alla difficoltà nel modellare le scale non risolte, fa sı̀ che l’effetto delle scale non
risolte non sia quasi mai preso in considerazione. Un tipico modello atmosferico è quindi
nella forma di un sistema dinamico (7.1) e la PDF ρ(Y, t) tiene conto dell’incertezza sulle
condizioni iniziali del problema, e della sua amplificazione a causa della natura caotica
delle traiettorie. Tecniche, dette di assimilazione dati, sono state introdotte per aumentare
l’affidabilità delle previsioni da un modello nella forma (7.1). Il problema, in soldoni, è
come affinare una previsione (per esempio le previsioni del tempo di domani effettuate ieri),
in presenza di nuovi dati osservativi (i dati meteo di oggi).
7.3. RISONANZA STOCASTICA E ALTRE STORIE
91
Il punto di partenza è l’affinamento, in presenza di dati osservativi all’istante corrente
t0 , della conoscenza dello stato corrente del sistema. La conoscenza dello stato corrente
del sistema prima dell’arrivo dei nuovi dati, è descritto da una PDF ρ(Y; t0 ), ottenuta a
partire da dati osservativi passati e integrazione del modello (7.1). Siano Zk , k = 1, ...M
i nuovi dati osservativi; tipicamente M ≪ N , quindi, essi non individuano in maniera
univoca lo stato Y del modello. Inoltre, le variabili Zk , che sono tipicamente il risultato
di misure puntuali, dipendono dalle scale non risolte dal modello, oltre che da errori osservativi. La relazione tra Z e Y è quindi espressa in maniera statistica tramite una PDF
di errore osservativo ρ(Z|Y), che ci fornisce la probabilità dei risultati delle osservazioni,
suppenendo l’atmosfera in uno stato compatibile Y. Di solito la PDF ρ(Z|Y) è stimata
da una Gaussiana centrata intorno a un valore medio Z̄(Y) che fornisce la previsione del
risultato della misura, dato lo stato del sistema. Va ricordato che questa è una stima teorica, essendo il vettore Y non direttamente osservato; lo stesso vale per la relativa matrice
di covarianza.
Una volta disponibile la PDF dell’errore osservativo, l’affinamento della PDF è ottenuta
a partire dal teorema di Bayes:
ρ(Y|Z) =
ρ(Z|Y)ρ(Y; t0 )
∝ ρ(Z|Y)ρ(Y; t0 )
ρ(Z)
dove la PDF affinata è nota in gergo con il nome di PDF di analisi. La previsione a un
istante successivo t1 sarà ottenuta propagando la probabilità tramite la relazione
Z
ρ(Y; t1 |Z; t0 ) = dY0 ρ(Y; t1 |Y0 , Z; t0 )ρ(Y0 |Z)
dove la PDF di transizione ρ(Y; t1 |Y0 , Z; t0 ) può essere stimata a partire dal modello (7.1) (che per definizione dipende solo da Y), in modo tale che ρ(Y; t1 |Y0 , Z; t0 ) →
ρ(Y; t1 |Y0 ; t0 ).
7.3
Risonanza stocastica e altre storie
La risoluzione finita di un modello atmosferico fa sı̀ che non si tenga conto dei processi più
rapidi, o che essi vengano considerati come un contributo stocastico alla dinamica. Allo
stesso tempo, l’evoluzione dell’atmosfera a scale di tempi più lunghe di quelle di interesse
comporta che gli attrattori che descrivono la dinamica del modello (se esistono) evolvano
essi stessi, oppure corrispondano a stati metastabili piuttosto che asintotici del sistema.
Di fatto, già l’attrattore di Lorenz è caratterizzato dalla presenza di due regimi (i due
lobi dell’attrattore) e di una zona critica nel mezzo dove si concentra la separazione di
traiettoria, e dove si decide se il punto continua a girare nella stessa ala oppure no. In
questo caso, il basso numero di gradi di libertà comporta permanenze non lunghissime nei
due stati del sistema. Il contrario si verifica in atmosfera, dove l’intervallo di scale temporali
è enorme (dalla frazione di secondo sino alla scala climatica, che in linea di principio si
estende sino a t → ∞), e lunghe permanenze in stati metastabili del sistema sono possibili.
92
CAPITOLO 7. PROBLEMATICHE MODELLISTICHE
U
Y
∆U
−Y
Y
Figura 7.6: Doppia buca di potenziale rappresentativo della coppia di attrattori ±Y (cioè
dentro o fuori da un’era glaciale).
A questo punto, c’è la possibilità che il processo che governa la transizione, se si svolge
ad una scala di tempi sufficientemente breve, sia più di natura stocastica che caotica. Un
processo che potrebbe essere importante nel causare transizioni tra stati metastabili, e che
di fatto è stato introdotto come modello per l’occorrenza delle ere glaciali, è la cosı̀ detta
risonanza stocastica.
Ciò che mantiene stabili lo stato con ghiaccio potrebbe essere ad esempio l’alta albedo
del ghiaccio e viceverso nel caso senza. Risulta che la variazione di distanza media terra
sole non è in grado da solo di generare la transizione da uno stato ad un altro solo a causa
della variazione di dell’energia solare media assorbita. Le fluttuazioni, come ci si potrebbe
immaginare, sono importanti. L’interessante è che le fluttuazioni e la forza periodica non
agiscono in maniera indipendente. Le fluttuazioni non si comportano come una perturbazione a una dinamica dominata dalle scale di tempo lente, ma forniscono un contributo
non triviale alla stessa.
La risonanza stocastica è spiegata in maniera più agevole con un semplice modello unidimensionale, in cui una doppia buca di potenziale simmetrica tiene conto della alternanza
tra ere glaciali e temperate (vedere figura 7.6). Il sistema q̀uindi descritto dalla equazione
differenzial stocastica:
dY = [F (Y ) + A cos Ωt]dt + dW,
hdW 2 i = Kdt,
(7.13)
in cui la variazione periodica della distanza terra-sole è tenuta in conto dal termine oscillante A cos Ωt, il rumore dW tiene conto dei fenomeni meteorologici, ed F (Y ) = −U ′ (Y ) è
il termine di rilassamento ai due stati metastabili Y ∼ ±Y . Il termine di rumore dW tiene
conto dei processi meteorologici. Il termine di rumore e il forzante periodico sono supposti
piccoli:
A ≪ |F (±Y )|.
(7.14)
K ≪ |U (±Y )|
Questo significa che il punto di fase, in assenza di rumore, rimarrebbe sempre nella stessa
buca. La piccolezza del rumore, inoltre, fa sı̀ che il tempo di fuga da una delle buche
7.3. RISONANZA STOCASTICA E ALTRE STORIE
93
di potenziale sia lungo rispetto tempo di rilassamento |Y /F (Y )| ∼ 1/U ′′ (Y ). Lo stesso
tempo di rilassamento è supposto piccolo rispetto al periodo di oscillazione della distanza
terra-sole:
(7.15)
Ω ≪ |F (Y )/Y | ∼ U ′′ (Y ).
In assenza di forzaggio periodico, il punto di fase si sposterebbe in maniera casuale da
una buca all’altra, sulla scala di tempi lenta individuata dall’ampiezza di rumore K e la
profondità della buca U (Y . La risonanza stocastica consiste nella sincronizzazione del salto
da uno stato all’altro con il forzaggio periodico. Questa si verifica a livello della equazione
master per la probabilità di trovare il sistema in uno stato o in un altro al passare del
tempo. Inoltre,
Per scrivere l’equazione master associata alla (7.13), è necessario conoscere la probabilità di transizione per unità di tempo (detta frequenza di Kramers) di un punto di fase da
una buca all’altra. L’inverso di questa frequenza è evidentemente il tempo tipico di permanenza in una buca. Possiamo stimare la frequenza di Kramers a partire dalla probabilità
che il punto in una delle buche (per fissare le idee, diciamo a sinistra) si trovi nella regione
di transizione Y ∼ 0. Come si vedrà, grazie alla prima delle (7.14) e la (7.15), la PDF del
punto di fase in una buca ha il tempo di rilassare a uno stato di equilibrio. Questa PDF
corrisponderà a una soluzione della equazione di Fokker-Planck associata alla (7.13):
∂ρ
∂
∂2ρ
+
[(F + A cos Ωt)ρ] = K
,
∂t ∂Y
∂Y 2
in cui si può trascurare la derivata temporale (approssimazione adiabatica). Integrando
questa equazione per ∂ρ/∂t = 0, otteniamo
(F + A cos Ωt)ρ ≃ K
∂ρ
+ Φ̄
∂Y
dove la costante di integrazione Φ̄ è fissata a zero dalla condizione ρ = ∂ρ/∂Y = 0 per
Y → −∞. Abbiamo quindi:
Z Y
ρ(Y, t|Y < 0) ≃ C(t) exp[
dY ′ (F (Y ′ ) + A cos Ωt)/K],
0
dove la normalizzazione può essere stimata C(t) ∼ |U ′′ (Y )/K|1/2 ρ(−Y , t); pertanto:
ρ(Y, t|Y < 0) ∼ |U ′′ (Y )/K|1/2 exp{[−Ū (Y, t) + Ū (Y , t)]/K},
(7.16)
dove Ū (Y, t) = U (Y ) − AY cos Ωt. La probabilità del punto di fase di trovarsi nella regione
Y ∼ 0 può essere stimata come P (Y ∼ 0) ∼ |K/U ′′ (0)|1/2 ρ(0). In maniera analoga, il
tempo τtr di transito da una buca all’altra per un punto che si trovi già nella regione
Y ∼ 0, può essere stimato come il tempo di diffusione a distanza |K/U ′′ (0)|1/2 (nella zona
Y ∼ 0: F ≃ 0). Abbiamo quindi τtr ∼ 1/|U ′′ (0)|, e per la la frequenza di Kramers:
W± (t) ∼ P (Y ∼ 0, t|Y ≶ 0, t)/τtr ∼ |U ′′ (0)U ′′ (Y )|1/2 exp[−∆Ū± (t)/K]
(7.17)
94
CAPITOLO 7. PROBLEMATICHE MODELLISTICHE
dove ± si riferisce rispettivamente a fuga dalla buca di destra e di sinistra e ∆Ū± (t) =
Ū (0, t) − Ū (±Y , t) Notare come la Eq. (7.17) coincida sostanzialmente con la formula di
Arrhenius per la probabilità di fuga da una buca di potenziale di una particella, a contatto
con un bagno termico a temperatura fissata.
Otteniamo infine, espandendo in serie di Taylor in A:
W∓ ≃ (1 ±
AY
cos Ωt)W̄ ;
K
W̄ ∼ |U ′′ (0)U ′′ (Y )|1/2 exp(−∆U/K),
(7.18)
dove W̄ , con ∆U = U (0) − U (Y ), è il valore della frequenza di Kramers in assenza di
termine periodico.
In generale, la probabilità di avere il punto di fase in una delle due buche di potenziale
(cioè il numero medio di punti di fase all’istante dato in ciascuna delle buche) non sarà
= 1. L’evoluzione di questa probabilità sarà governata dalla ”master equation”:
dp−
= (p+ W+ − p− W− );
dt
dp+
= (p− W− − p+ W+ ).
dt
(7.19)
Possiamo parametrizzare la nostra aspettativa di trovare il sistema ad un istante dato in
uno stato o in un altro attraverso la quantità
X(t) =
hY (t)i
= p+ (t) − p− (t),
Y
che sarà ≃ ±1 nel caso di certezza massima di trovare il sistema in uno stato fissato,
mentre X(t) = 0 significa che potrebbe essere con eguale probabilità in uno dei due stati.
Sottraendo le due equazioni (7.19) e utilizzando la (7.18) insieme a p− + p+ = 1, otteniamo
l’equazione per X:
2AY
Ẋ = −2W̄ X +
W̄ cos Ωt.
(7.20)
K
Notare la natura non-stazionaria del problema, dovuta al termine oscillatorio ∝ cos Ωt. La
risonanza si verifica precisamente nella (7.20). Prendendo la condizione iniziale a t0 → −∞,
cosı̀ da poterne trascurare l’effetto, ed integrando, troviamo:
X(t) =
1
AY
√
cos(Ωt − tan−1 Ω̄);
2
K 1 + Ω̄
Ω̄ =
Ω
.
2W̄
Vediamo che, per W̄ ≫ Ω, il termine in radice quadrata tende ad uno, ma il fattore K
cresce logaritmicamente; per W̄ ≪ Ω, invece, il fattore dominante è evidentemente la radice
quadrata e di nuovo l’ampiezza decresce. Come ci aspettavamo, l’ampiezza di oscillazione
presenta un massimo per Ω̄ ∼ 1. Vediamo quindi che il forzaggio periodico, sebbene non
sarebbe in grado per suo conto di causare la transizione di stato, è in grado di sincronizzare
le transizioni indotte dal rumore, che altrimenti sarebbero caratterizzate a tempi lunghi da
un andamento X(t) → 0.
7.3. RISONANZA STOCASTICA E ALTRE STORIE
95
Esercizi
1. Un sistema è descritto dalla equazione differenziale stocastica dY = F (Y )dt +
K(Y )dW , dove F (Y ) = (1 − Y 2 )Y , K(Y ) = (1 + Y 2 )−1 (K0 − Y 2 ) e W è il cammino
random: hdW 2 i = dt. Discutere in quali condizioni il sistema gode della proprietà
ergodica.
2. Scrivere il sistema dinamico che corrisponde all’equazione di vorticità (6.22) in rappresentazione di Fourier; considerare il caso di un dominio finito in modo di avere
una serie di Fourier. Calcolare il tasso di contrazione di volume di fase.
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