LUNEDÌ 18 APRILE 2005 LA SICILIA Spettacoli .23 L’ex velina sogna il musical TEATRO BELLINI Lo Chopin di Lortie CATANIA. Questa sera alle ore 21 per i soli abbonati al turno A della stagione sinfonica del Teatro Massimo Bellini, concerto del pianista Louis Lortie che proporrà musiche di Fryderick Chopin. Un programma monografico, come è nello stile di questo straordinario interprete, e centrato sulla produzione degli ultimi anni di vita del compositore polacco, tra il 1841 e il 1846, anni difficili per Chopin (Zelazowa Wola, Polonia, 1810 – Parigi, 1849) a causa della fine del suo rapporto con la scrittrice George Sand e dalla sempre più incalzante forma di tubercolosi. Si comincia con la Barcarola in fa diesis magg., op. 60 composta tra l’autunno del 1845 e l’estate del 1846, e il cui nome in realtà fa riferimento solo all’andamento cullante della composizione nonostante c’è chi abbia voluto rinvenirvi indizi d’ispirazione veneziana. Seguirà lo Scherzo n. 4 in mi magg., op. 54, composto nell’estate del 1842, ultimo dei quattro brani pianistici che recano questo titolo ma completamente differente dagli altri tre avendo le caratteristiche del tardo linguaggio chopiniano, cioè la rarefazione della materia sonora. Il recital proseguirà con la "PolonaisieFantaisie", in la bem. magg., op. 61, completata tra primavera ed estate del 1846 e che contiene un carattere differente dalla convenzionale Polacca, indicato dall’aggiunta del termine Fantasia; in essa Chopin riflette sulla sua Polonia. Quindi sarà la volta del Notturno in si magg., op. 62 n. 1 composto assieme al n. 2 nel 1846, entrambi poco noti ed eseguiti a dispetto del nome e nonostante si tratti di veri e propri capolavori. Il recital si concluderà con la Sonata n. 3 in si min., op 58, composta tra il settembre e il novembre del 1844, subito dopo il ritorno in Polonia della sorella Ludwika che assieme al marito nell’estate precedente lo aveva raggiunto a Nohant; nonostante una struttura "convenzionale", la Sonata op. 58 esprime un senso di distacco emotivo dell’autore che determina un forte contrasto di stile e contenuti con la precedente Sonata. Il successivo appuntamento con la Stagione Sinfonica del "Bellini" è per il 28 aprile (turno A) con Ars Chantica Choir and Consort diretta da Marco Berrini che eseguirà musiche di Adriano Banchieri. Elena Barolo è entrata nel cast della soap opera di Canale 5 «Centovetrine». «La prossima estate tornerò a studiare all’Actor’s Studio. Devo fare ancora tanta strada» ROMA. Elena Barolo è entrata nel cast di «Centovetrine», la soap opera di Canale 5 che sta per raggiungere il traguardo delle 1000 puntate con una media di 5 milioni di telespettatori. Il passaggio dalla scrivania di «Striscia» alla recitazione non ha procurato grossi traumi all’ex «velina» bionda che sogna ad occhi aperti un futuro nel mondo di celluloide, magari diretta da Bernardo Bertolucci o da Muccino. «L’estate scorsa - afferma Elena , 22 anni, da Torino - dopo due anni meravigliosi al Tg di Ricci, ho deciso di iscrivermi ad un corso intensivo di recitazione presso l’Actors Studio di Los Angeles. E’ stata una bella esperienza anche se non sono mancate le difficoltà. La lingua, innanzitutto. Conoscevo l’inglese solo a livello scolastico: i primi giorni ho faticato con lo slang americano. Ho studiato dodici ore al giorno, dalle dieci del mattino alle dieci di sera. Solo una breve pausa per il pranzo e la cena. L’unico conforto sono state le lezioni, tenute da registi tv e produttori di soap e sitcom, e l’incontro con tanti giovani attori americani, simpaticissimi». Dopo questa full-immersion americana, come è entrata nel cast della soap di Canale 5? «Con un semplice provino che il mio agente mi ha consigliato di tentare. Con mia grande sorpresa sono stata scritturata fino al prossimo dicembre. Sono felicissima. La recitazione è sempre stata la mia più grande aspirazione e non mi sembra vero, alla mia età, essere entrata nel cast di una serie così fortunata». Qual è il suo ruolo? «Il personaggio di Vittoria Della Roc- ELENA BAROLO NEL CAST DI «CENTOVETRINE» ca, sorella di Marco, (entrambi appartenenti ad una delle famiglie più potenti della soap) in qualche modo mi somiglia. E’ una ragazza spigliata ma anche ingenua, solare, molto legata alla famiglia. Ritorna da New York insieme ai genitori e, tra una novità e l’altra, ci sarà posto anche per l’amore». Dopo due anni da «velina», come si è trovata nei panni dell’attrice? «All’inizio ho faticato ad abituarmi ad un altro ruolo. Ho passato due anni indimenticabili a "Striscia". Il distacco è stato doloroso. Sul set di "Centovetrine" ho trovato una bella atmosfera ma capisco che ancora devo fare tanta strada prima di dichiararmi attrice. La prossima estate, intanto, tornerò all’Actor’s Studio». Come sono i ritmi delle riprese? «Sono impegnata tutti i giorni, dalla mattina alla sera. I ritmi delle riprese, rispetto a quelli di "Striscia", sono meno veloci e frenetici. A casa, poi, devo imparare il copione. E’ faticoso ma anche molto stimolante». Dove vive? «Grazie alle riprese di "Centovetrine" sono tornata a Torino, la mia città di origine. Ho mantenuto, però, il mio appartamento a Milano dove ho vissuto. LILIA GENTILI Anche su Sicilia Channel al numero 874 di Sky Presenta STA TASERA 18 aprile SALVO LA ROSA Ricchi e Poveri - Antonello Costa Francesco Scimemi Angela Melillo - Gianni Nanfa 9 1 I N A M O D Francesco Scimemi aprile PRENO TAZION I PRIMO ATTO 095/722 2309 MERCOLEDI’ 20 Il meglio di... «Insieme» OVEDI’ 21 GIOV Massimo Spata - Tre e un quarto Stefano Zarfati aprile aprile NERO GIALLO CIANO MAGENTA VISTI & SENTITI Un superbo Bordoni a Milo per l’«Atelier» Il catanese pioniere del cinema australiano MILO. Con un superbo programma di musiche di Schubert, Weber e Chopin, eseguite presso la sala del Centro Servizi dal pianista Paolo Bordoni, procede la rassegna di concerti promossa dalla Provincia Regionale di Catania per l’Atelier Internazionale. Pagine di ineffabile bellezza musicale, di sorprendenti trovate compositive e di forti accenti tragici caratterizzano la Sonata incompiuta in Do, D 840 "Reliquie" (titolo apocrifo dell’editore Whistling) di Schubert che consta solo di due movimenti, Moderato e Andante. Dalla scrittura pianistica scarna ma di forte e incisivo contrasto tra impeto e dolcezza, dagli insoliti e imprevedibili assetti formali e tonali nonché dalle impressionanti tinte drammatiche. Il pianoforte di Bordoni penetra nel profondo dell’animo schubertiano creando con classe,impeccabile precisione tecnica e stile un caleidoscopio di sfumature sonore ed espressive. E ancora nella Sonata n. 4 in Mi minore op. 70 per pianoforte, in quattro movimenti, di Weber, composta tra il 1819 e il 1822, è presente uno spirito che anela a lasciarsi dietro il passato,l’antica e classica Forma-Sonata, per approdare a lidi musicali futuribili; agitato e assorto il primo movimento lascia il posto al "Menuetto", agile e scattante nel suo andamento di danza, fino ad arrivare al terzo tempo ed alla tarantella del quarto, un’onda trascinante di puro virtuosismo dove le dita instancabili dell’interprete sfoggiano una maestria di alto livello con dovizia di sfaccettature. Dedicata a Chopin è la seconda parte del concerto con l’Impromptu n°2 op.36 e la Sonata in Si minore op.58 in tre movimenti, dove la riesposizione poco ortodossa dei temi è dettata non da cedimenti della struttura motivica , ma dal desiderio del superamento dei canoni classici compositivi prospettando il culmine emotivo in continuo cambiamento senza riproporre, quindi, una ripresa dei temi, e di conseguenza il relativo trasporto emozionale, in tutto e per tutto uguale al momento del loro apparire così come dettava invece la grande Scuola di Vienna. CATANIA. Curata dall’Associazione Lacunae con cooperative Officine e Azdak, la retrospettiva dedicata al cinema di Giorgio Mangiamele ha presentato per la prima volta i film del cineasta nella sua città natale. Le proiezioni, svoltesi presso il centro Zo per «Fuoricircuito», hanno compreso i film più importanti del regista italo-australiano: i primi cortometraggi «The Brothers» (1958), «The Spag» (1961), «Ninety nine percent» (1963) e il lungometraggio «Clay» (1964). «Il cinema di mio padre», recente intervista a Claudia Mangiamele, figlia del regista, ha ricordato i momenti salienti della sua vita artistica. Sono state altresì proiettate alcune belle e intense fotografie scattate da Mangiamele a Melbourne durante gli anni ’50 e ’60. «Il regista più povero del mondo» - formula inventata da un giornalista della «Domenica del Corriere» (16 maggio 1965) che lo intervistò sulla nave che lo portava al festival di Cannes- è caduto nell’oblio italiano (ma non solo). Tuttavia la sua opera, ricca e coraggiosa potrebbe essere quella di un artista della mondializzazione che ha prodotto le sue opere in condizioni avverse e ha saputo portare la sua identità culturale, i suoi «saperi», all’interno di un diverso mondo culturale, facendone scaturire una cosa del tutto nuova, l’intuizione e la complessità che stanno alla base del miglior cinema australiano. Oggi possiamo vedere i suoi film, a volte tecnicamente esili, spesso folgoranti, e considerare Mangiamele con equità, al di là delle etichette di appartenenza. A Carlton, il quartiere italiano di Melbourne, diede vita ad un ambiente artistico ricco di stimoli, coinvolgendo attori, registi e operatori cinematografici, alcuni dei quali sarebbero diventate le figure più importanti del cinema australiano - Phillip Adams, Terry Donovan e Tim Burstall. Alla fine degli anni ’50 aprì una scuola di cinema a Melbourne, in Russell Street. Quattordici titoli ne fanno oggi uno dei creatori del "cinema d’autore" in Australia. La casa editrice Le Mani pubblicherà a breve (giugno 2005) la prima lettura critica dell’opera di Mangiamele nel volume «Sguardi australiani». ROBERTO PASTURA L.S. Le rumorose solitudini di Romano Bernardi Raffaele e Justine due stelle sotto la pioggia GIARRE. Dice di averlo scovato tra i racconti di Giuseppe Marotta (19021963) il filo conduttore per le sue «Solitudini», ma è Romano Bernardi il vero autore dei due atti ora riproposti al Teatro Rex di Giarre (e che suscitarono vasto consenso di critica al loro primo apparire nel ’94): la pagina narrata crea le atmosfere attraverso la descrizione, si sofferma sui panorami, lascia poco spazio al dialogo. Invece Bernardi (autore) concentra tutta l’attenzione sul dialogo, sul confronto tra persone. I protagonisti delle vicende narrate sono sempre soli (anche nel finale, quando sono in due, appaiono come due solitudini che si accostano, restando quasi sempre su piani diversi): e tuttavia parlano con gli altri, con le diverse persone sulle quali hanno riversato i loro affetti, che sono state motivo di dispiaceri, di delusioni, di rimpianti. Questa è la poesia: immaginare gli altri, quando non ci sono, dare loro la parola come la immaginiamo in un nostro interiore monologo non turbato da mancanza di comprensione dell’altro, dai suoi pudori o dalle sue sordità. Bernardi (regista) riduce al minimo l’apparato di scena: una bicicletta, una panca, un siparietto trasparente, una cucina: eppure vediamo i prati, la riva di un fiume, la felicità di un cuore che scoppia di gioia, la bellezza di una giovinezza sorridente: tutto affidato alla parola di Bernardi (attore) che con pochi gesti, con qualche accenno, una interruzione improvvisa, uno stacco del tono fa capire tutto. Alessandra Cacialli che sulla scena si alterna nei singoli monologhi vi aggiunge il dono raro di una femminilità raccolta, umana nel non detto, di una pienezza sentimentale che tocca lo spettatore: trovare la serenità nella veglia funebre potrebbe sembrare una assurdità, se non fosse confermato dalle cronache di santità di questi giorni. La morte è vista come il consuntivo della vita, compendio rapido di giorni festosi, di affetti profondi, di sapori gustati e poi serbati nel cuore. E c’è di mezzo anche la distanza spirituale tra Nord e Sud (Marotta intitolò «L’oro di Napoli» la prima raccolta di racconti e «A Milano non fa freddo» la seconda): vista non come antagonismo, ma come differenza nell’esprimere sentimenti altrettanto veri. Le languide canzoni d’epoca, sottolineate dalle note tracciate dal vivo da Nino Lombardo al pianoforte (con belle e originali variazioni stilistiche) completano la commozione intima della pièce. CATANIA. Ci sono film che entrano nella storia e sono indelebili nella nostra memoria. Chi non ricorda l’esilarante commedia del 1952 "Cantando sotto la pioggia", con Gene Kelly e Stanley Donen, e l’irresistibile motivetto del titolo a ritmo di tip tap del titolo? La Compagnia della Rancia torna a farci canticchiare e sognare in un riallestimento del celebre film in versione teatrale. Una vetrina emozionante che con splendidi tasselli musicali, balletti, gags, piume e lustrini ci riporta come per magia nella Hollywood degli anni ’20 durante il passaggio dal film muto al sonoro. A interpretare Don Lockwood, il protagonista, è Raffaele Paganini, ètoile della danza. Canta, piroetta, recita, si scatena in scena con generosità. Un’atmosfera caramellosa dentro la cornice di un grande quadro luminoso, che occupa gran parte della scena con spassosi filmati dei film interpretati da Don e la starlette Lina Lamon. Ad incarnare la diva del muto è Justine Matera con il suo improbabile accento, la vocetta stridula, la proverbiale stupidità delle stelline di Hollywood, i capelli biondo Marilyn, è credibile e di una simpatia travolgente. Giulia Ottonello, vincitrice della seconda edizione di "Amici" di Maria De Filippi è Katy Selden, dolce e talentuosa attrice sconosciuta, grazie all’avvento del sonoro conquista il palcoscenico e il cuore di Don. La Ottonello ha una voce melodiosa, la tenerezza e l’entusiasmo della debuttante e uno stuolo di fan estasiate tra il pubblico. D’altronde impersona il sogno di molte ragazzine di sfondare attraverso la selezione in tv. Divertente, arguto e agile Gianfranco Phino nel ruolo di Cosmo Brown. Due ore di divertimento spensierato, ritmo, brio, effetti speciali, costumi sfavillanti e accuratissimi, il tutto ben coordinato dall’armonica regia di Saverio Marconi. Pioggia vera in scena e applausi altrettanto scroscianti, da parte del numerosissimo pubblico del Teatro Metropolitan, all’happy end. Unica nota stonata il ritardo di dieci minuti completato da minuto di raccoglimento per Papa Wojtyla, fuori luogo data l’occasione, ma coerente con il detto "the show must go on". SERGIO SCIACCA FRANCESCA MOTTA C M Y N