L`idea di Europa tra utopia e radicamento

Laboratorio di storia contemporanea
Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza «Ettore Gallo» - Istrevi
No. HP/2016/1
Tra storia e filosofia: riflessioni
Responsabile di collana Carla Poncina – [email protected]
L’idea di Europa tra utopia e radicamento
Il possibile ruolo della mediazione scolastica
nella costruzione dell’uomo europeo
Abstract
Historically, Europe has always dealt with its problems through the use of terminology and the Greco-Roman
classical model. Such was the case of not only the Italian humanists that created a new world through the
renaissance of antiquity but also the philosophers of the enlightenement whose ideas sprouted from the basic
model of the classics, consequently resulting in the fall of the ancien régime. This tradition of humanism and
universalism was once again used in the 20th century by the founding fathers of a New Europe post the
Second World War. Today this very idea of Europe has been put into question. As a result, there is the
necessity to rethink a New European Canon that could serve as a starting point for a New Humanism of
which education could constitute as an essential vehicle.
PER GENTILE CONCESSIONE DELLA PROF. ROBERTA DE MONTICELLI VIENE QUI PUBBLICATO IL SAGGIO APPARSO SU
“PHILOSOPHY AND THE FUTURE OF EUROPE” - NR.8 / 2015 DI PHENOMENOLOGY AND MIND, RIVISTA ONLINE DEL
PROGETTO EDITORIALE PHENOMENOLOGY LAB.
CARLA PONCINA, Direttore dell’ISTREVI. Docente di storia e filosofia, Supervisore SSIS per l’indirizzo di Scienze Umane
e docente a contratto di Didattica della Storia presso l’Università di Padova. Ha tra l’altro pubblicato: L’idea di Europa
tra utopia e radicamento (Cleup 2006), Insegnare filosofia oggi (Ed. Sapere 2008), Insegnare filosofia tra disciplinari
età e interdisciplinarietà (Ed. Sapere 2009), L’Etica della Responsabilità al femminile (Lampi di Stampa 2010).
I quaderni del Laboratorio di storia contemporanea sono pubblicati a cura dell’Istrevi e intendono
promuovere la circolazione di studi ancora preliminari e incompleti sulla storia contemporanea vicentina e
italiana, per suscitare commenti critici e suggerimenti. Si richiede di tener conto della natura provvisoria dei
lavori per citazioni e per ogni altro uso.
I quaderni del Laboratorio di storia contemporanea
sono scaricabili all’indirizzo: http://www.istrevi.it/laboratorio-di-storia
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Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
della provincia di Vicenza «Ettore Gallo»
Contrà S.Corona, 6 I-36100 Vicenza
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“L’idea del progetto europeo è l’idea più moderna,
più rivoluzionaria e socialmente più giusta
di queste ultime decadi”
(M.S.Tavares)
Gli anniversari sono spesso occasioni per celebrazioni vanamente retoriche, ma il
centenario della Grande Guerra, che viene ad intrecciarsi col 70° anniversario della
Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, possono diventare l’occasione per riflettere non
solo sui singoli eventi ma su tutto il trentennio 1914-1945, quello della cosiddetta “guerra
civile europea”, prestando attenzione ai due dopoguerra.
Il primo, a conclusione di trattati di pace animati più da spirito di vendetta che da amore
per la giustizia e la pace, aprirono la strada all’Europa dei totalitarismi.
I milioni di morti, “l’inutile strage”, secondo la definizione di Benedetto XV, a nulla erano
serviti. Il Papa, nella Lettera ai capi dei popoli belligeranti del 1 agosto 1917, aveva scritto:
«L’Europa, così gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale,
all’abisso, incontro ad un vero e proprio suicidio?»
I due decenni successivi sembrarono portare, quasi ineluttabilmente, alla realizzazione di
quella tragica profezia, videro infatti il trionfo dello stalinismo, del fascismo, infine del
nazismo, che rapidamente ricondusse alla guerra: una vera discesa agli inferi al cui centro
stava Auschwitz.
Paradossalmente proprio dal fondo di tali orrori, da una sperduta isola del Mediterraneo
venne lanciata ad una Europa stremata, un’ancora di salvezza che inizialmente sembrava
avere poco più che la consistenza di un sogno. Mi riferisco naturalmente al Manifesto di
Ventotene, redatto da un piccolo gruppo di intellettuali italiani che fin dall’agosto del 1941,
dal confino cui li avevano costretti i tribunali fascisti redassero il Si chiamavano Ernesto
Rossi, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni. Il Manifesto portava questa intestazione: «Per
un’Europa libera ed unita». Scritto nel momento più tragico del conflitto, quando la
potenza del nazismo dilagava per tutta Europa, questo documento anticipò e ispirò
l’Unione Europea, la cui realizzazione fu avviata poi, terminato il conflitto, insieme ad altri
uomini di buona volontà: Monnet, Schuman, De Gasperi, Adenauer.
L’idea di una nuova Europa, che avrebbe dovuto mettere al bando una logica di potenza
già chiaramente esplicitata nel mondo antico da Tucidide, nel famoso dialogo tra i Melii e
gli Ateniesi1, così come da Platone, nel Gorgia, attraverso le parole del sofista e politico
Callicle2. In età moderna fu Machiavelli a rivelare “di che lagrime grondi e di che
sangue”3 il potere politico esercitato dai Principi. Certo il Cristianesimo aveva capovolta
tale logica, introducendo un linguaggio radicalmente diverso. Tuttavia la Storia continuò a
manifestarsi per lo più come quel grande mattatoio di cui ci parla Hegel. Dal mito
originario della guerra di Troia una serie infinita di altre guerre è culminata nella violenza
inaudita dei due conflitti mondiali.
Tutto questo non ha impedito il costituirsi nei secoli di una civiltà fondata su una serie di
valori largamente condivisi, ricca di un ingente sostrato culturale comune che, a partire
dalla civiltà greco-latina, attraverso la Magna Charta, L’Umanesimo, la Rivoluzione
scientifica e quant’altro, ha dato senso e significato alla parola Europa. Il Cristianesimo
1
“Il diritto si giudica a parità di condizioni, altrimenti i potenti fanno quello che possono e ai deboli tocca dichiararsi
d’accordo.” (Tucidide, La Guerra del Peloponneso, dialogo tra i Melii e gli Ateniesi).
Aggiungo qui che anche a questo dialogo, oltre che al pensiero di Machiavelli letto in conformità, si ispirano i neocon
americani (Richard Perle, Paul Wolwoviz, Donald Rumsfeld etc.) il cui padre viene considerato il filosofo Leo Strauss,
ispiratori della politica di George W. Bush.
2
Nel Gorgia platonico Callicle, contrapponendosi a Socrate, sostiene “essere giusto che il migliore prevalga sul
peggiore, il più capace sul meno capace, che il più forte comandi e prevalga sul più debole”.
3
Cfr. Ugo Foscolo, I Sepolcri, v.158.
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per molti aspetti ne ha rappresentato il collante, unendo l’universalismo ereditato dal
mondo greco al sentimento del tutto originale dell’uguglianza tra gli uomini espresso
stupendamente nel famoso passo di San Paolo contenuto nella lettera ai Galati: “Non c’è
più né giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché
tutti voi siete uno in Cristo Gesù.” Testi di questa natura, classici possiamo chiamarli,
prescindendo dal loro valore religioso, non esauriscono mai completamente il loro
significato, che va arricchendosi via via secondo il principio dell’inclusione di valori
sempre più alti.
L’Europa sembra aver camminato lungo due percorsi paralleli e allo stesso tempo del tutto
antitetici, perseguendo da un lato una logica di puro potere, fondata sulla forza 4, dall’altro
costruendo attraverso la comunità dei filosofi e degli uomini di buona volontà, un
umanesimo sempre più ricco.
Paradossalmente i due tracciati sono sembrati sovrapporsi con la salita al potere di Hitler
in Germania, la nazione forse più colta e avanzata d’Europa, e ciò costituisce motivo di
sempre rinnovato stupore. Sappiamo quali sono stati gli esiti di questo tremendo
cortocircuito. Ma l’aver perseguito nel modo più ferreo la finalità della sopraffazione e
della violenza ha prodotto, quasi secondo una logica degli opposti, il riemergere in piena
luce di quei valori positivi che, nascosti a volte sotto traccia nel contesto della Civilisation
europea, hanno infine consentito, per la prima volta dai tempi della pax romana, un
lungo periodo di fattiva collaborazione tra popoli che nei secoli precedenti si erano
ferocemente combattuti.
Ciò ha reso possibile un processo di integrazione, inizialmente solo economica, avente
come fine la nascita dell’Europa Unita: non più una semplice utopia, un’utopia ormai
necessaria, per certi aspetti esemplare nel momento in cui, caduto il colosso sovietico,
all’equilibrio del terrore non si è sostituita una auspicabile pacificazione globale, ma lo
scontro tra una super-potenza troppo forte e un terrorismo terribile quanto oscuro e,
almeno apparentemente, inafferrabile.
A questo punto il ruolo dell’Europa, non privo di una sua ambigua debolezza, può
diventare centrale, qualora essa sappia porsi in difesa di quei valori di democrazia, libertà,
solidarietà, riemersi e divenuti oggetto di riflessione di tanto pensiero politico, filosofico,
giuridico contemporaneo5. È l’Europa dei diritti, del solidarismo sociale, della tolleranza
priva di pretese egemoniche ma non subalterna, che può costituirsi come punto di
riferimento per la realizzazione di un nuovo umanesimo.
4
È bene qui ricordare Simone Weil, che tanto a lungo e profondamente ha riflettuto sul tema della forza e della guerra,
a partire da L’Iliade, poema della forza.
5
Proprio a partire dalle tremende distruzioni delle due guerre mondiali, in particolare nella seconda metà del secolo
scorso, si è intensificata una forte riflessione filosofica tesa a fondare quei valori di libertà, tolleranza, democrazia,
pluralismo che i tragici totalitarismi del XIX sec. avevano conculcato. Si è recuperata pertanto una tradizione di
pensiero occidentale riconducibile in particolare al liberalismo inglese e all’illuminismo francese, che ha trovato in Kant
la sintesi più alta. Si fa riferimento a pensatori come Habermas, Rawls, McIntyre, per non dire di Martha Nussbaum,
che si richiama addirittura ad Aristotele, e Amartya Sen, economista-filosofo e teorico di una globalizzazione
democratica e solidale. In particolare preme sottolineare quanta cultura americana guarda all’Europa, e come sia
difficile immaginare come sarebbe questa stessa cultura senza l’apporto delle migliaia di intellettuali europei, in larga
misura di origine ebraica, che le tremende persecuzioni nazifasciste costrinsero all’emigrazione.
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Lavorare nella scuola, per l’Europa
Scrive Husserl6 che non c’è Europa senza filosofia, nata nell’antica Grecia ad incarnare
“l’eidos stesso della cultura”, movimento teso verso la libertà, che è rinnovamento
perpetuo di sé e del proprio mondo, educazione universale all’umanità o a “coltivare
l’umanità”, come direbbe Nussbaum. Il compito della cultura è indubbiamente
fondamentale in un processo di integrazione europea che non può essere fatto solo di
economia, tecnologia e politica. Ma non possiamo dimenticare che fondamentale cinghia
di trasmissione tra élite culturali e società è la scuola7. Del resto già nel Manifesto di
Ventotene (1941) se ne sottolinea l’importanza per la formazione di una sensibilità non
nazionalista8. È inevitabile quindi porsi la domanda: quanto è utile per la rinascita
dell’Europa il lento e faticoso lavoro della scuola, nella scuola?
Si è usato consapevolmente il termine rinascita, perché non dobbiamo dimenticare che
ben prima del farsi delle Nazioni, con tutto quanto ne è conseguito per il nostro
continente, in particolare in relazione alla guerra e alla pace, l’Europa era una realtà
fortemente sentita e vissuta, almeno all’interno di quella che possiamo chiamare “la
Repubblica delle lettere”. Il grande storico Giorgio Falco chiama l’Europa medievale: la
Santa Romana Repubblica”. L’Europa cristiana e romana veniva sentita come madre
comune quanto meno da tutta la comunità dei dotti. Possiamo tranquillamente affermare
l’esistenza dell’uomo europeo9. Ne citiamo uno per tutti: Dante Alighieri, che nel De
Monarchia ipotizza del tutto naturalmente un sovrano tedesco come collante politico
armonicamente parallelo all’autorità spirituale del pontefice romano. La funzione dell’uno
e dell’altro andava universalmente riconosciuta in un mondo che in realtà corrispondeva
allora, anche nella mente dei più grandi intellettuali, con i confini dell’Europa. Tornando a
Dante, era vivamente, seppure polemicamente fiorentino. Era Italiano così
consapevolmente da fondarne la lingua. Ma il suo pensiero politico può a ragion veduta
farne il primo o almeno il più illustre teorizzatore di una Res Publica Europea.
Il primo ma non l’unico. E questa Res Publica possedeva una sua lingua, il latino, cui in
alcuni periodi, dato il prestigio della cultura italiana, si accostò pure l’italiano, grazie ad
intellettuali come Francesco Petrarca che, nato in Italia, crebbe in Francia, viaggiò molto e
può anch’egli, a ragion veduta, essere considerato cittadino europeo. È chiaro che si fa qui
riferimento ad una élite di intellettuali, in molti casi uomini di chiesa, che costituivano
una comunità legata dalla lingua, dalle comuni letture di testi di origine per lo più grecolatina10, dalla fede cristiana. Una élite culturale che viaggiava, studiava, insegnava in
università spesso lontanissime dal luogo di nascita, scambiandosi conoscenze e dando
origine a sempre nuovi saperi.
Sono diffusi molti luoghi comuni sui secoli passati. Lo storicismo trionfante fino alla metà
del secolo scorso ha fatto dimenticare ciò che balza agli occhi, prima ancora che alla
mente, se solo si visita, presso l’ateneo padovano, l’aula magna del Bo. Sono lì raccolte le
immagini dei molti sapienti che hanno studiato o insegnato in questa università, e risulta
impressionante il numero di Paesi, alcuni ancor oggi considerati remoti (penso alle
regioni dell’Europa orientale) da cui provenivano molti di loro.
Del resto proprio noi europei non possiamo dimenticare che la straordinaria civiltà greca
di cui andiamo giustamente fieri, ed in particolare la filosofia che ne costituisce forse
6
Edmund Husserl, L’idea di Europa, Milano 1999. p. XIV.
“L’insegnamento […] come lo intende la terza repubblica, […] ha costruito l’unità spirituale della nazione.” E. R.
Curtius, cit. in: Che cos’è una Nazione, di E. Renan, Roma 1993, p. XXVII.
8
Esattamente al contrario di quanto si fece nei primi decenni del secolo scorso, quando proprio la scuola, all’interno
delle singole nazioni, contribuì a suscitare funesti odii nazionalistici.
9
Cfr. Giovanni Reale, Le radici culturali e spirituali dell’Europa, Raffaello Cortina, Milano 2003, p.25 e sgg.
10
Non dimentichiamo, soprattutto in un momento in cui non manca chi ci spinge allo scontro di civiltà, la quantità di
testi, soprattutto scientifici, di origine araba.
7
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l’esito più alto, ha avuto origine nelle colonie greche dell’Asia minore, non nella purezza
della madrepatria, bensì nel meticciato vitale e multiculturale di città come Efeso, dove i
greci poterono rendere fertili le loro intelligenze grazie al concime offerto dalla sapienza
orientale. Il frutto straordinario della filosofia greca, di cui tutti andiamo assai
giustamente orgogliosi, è giunto a maturazione ad Atene, ma è germogliato sulle coste
dell’Asia minore, laddove il mescolarsi del genio greco con la sapienza, la scienza, la
tecnica delle più antiche civiltà orientali consentì l’innesto fecondo.
Se nel nostro quotidiano lavoro in classe illuminassimo, ogni volta che se ne presenta
l’occasione, queste mesaillances che segnano costantemente il progresso dell’umanità. Se
insistessimo su quanto si immiserì l’Europa tra il crollo dell’impero romano e l’età delle
crociate, quando isolata da ogni contatto col mondo orientale vide decadere la cultura, e
indurirsi e imbarbarirsi i costumi e la qualità della vita. Se sottolineassimo non solo le
grandi conquiste della rivoluzione scientifica e degli stati moderni, ma le nefandezze di cui
ci siamo macchiati, dalla pratica della schiavitù alle guerre coloniali, fino agli orrori dei
totalitarismi. Se, ripeto, cercassimo di essere sempre intellettualmente onesti, non
ideologicamente orientati, con i giovani che ci sono affidati, potremmo allora
naturalmente formarli al giusto riconoscimento della nostre molteplici e intricate radici e
al rispetto di quei valori alti che la civiltà greco-romana prima, il cristianesimo poi, ci
hanno lasciato in eredità. Senza peraltro peccare di stupida supponenza, orgogliosi e
insieme umili e rispettosi delle altrui identità. Questo ci hanno insegnato secoli di storia
ricchissima di luci ma non priva di zone oscure, culminata in quello che avrebbe potuto
essere il suicidio dell’Europa, l’ultima guerra mondiale, e va visto invece come la perdita di
un primato politico foriera, se sapremo ben lavorare, di un nuovo primato morale. Perché
questo potrebbe diventare l’Europa del terzo millennio: un modello di rispetto dei diritti
dell’uomo, universalmente valido. Può accadere a noi quello che capitò alla Grecia
sconfitta da Roma, di diventarne maestra, conservando del proprio patrimonio culturale
solo gli aspetti più alti, rinnegando per sé e per gli altri popoli quelli più violenti e
barbarici.
Si è detto dell’enorme peso che la cultura, in tutte le sue espressioni, ha avuto nella
costruzione dell’identità europea. Lo stesso processo, è bene ricordare, ha riguardato
l’Italia, la cui identità di Nazione si è forgiata nei secoli attravesso uno straordinario
patrimonio culturale, accumulato ben prima della sua realizzazione politica.
Anche all’Europa va riconosciuta una forte identità, che i vari popoli hanno tessuto
ininterrottamente per secoli. Essa è tale non solo nei confronti delle civiltà orientali, ma
rispetto agli Stati Uniti e all’America Latina, che pure ne sono in qualche modo filiazioni.
Se è evidente che Goethe piuttosto che Shakespeare o Cervantes (ma si potrebbero fare
centinaia di altri nomi) appartengono in toto all’Europa, risulta evidente come la Scuola,
l’educazione, rivestano un ruolo grandissimo nel formare e consolidare tra i giovani la
consapevolezza dell’appartenenza alla comune patria europea.
Del resto, lo ribadisco, un processo simile si produsse, in misura ridotta, nell’Ottocento
nella politicamente frammentata penisola italica, quando si trattò, una volta raggiunta
l’unità politica (1861), di “fare gli italiani”. Attraverso l’alfabetizzazione e lo studio di un
canone di italianità trasmesso dalla scuola, comprendente Dante e San Francesco (non a
caso patrono d’Italia), Petrarca e Machiavelli, Alfieri, Foscolo e molti altri11, come ben
sappiamo, passò la costruzione di un profondo senso di appartenenza comune. Molto più
profondo di quello fondato sul primato militare e politico che il fascismo tentò
pretestuosamente di costruire.
11
Un’opera come La Storia della Letteratura Italiana di Francesco De Sanctis, legando strettamente letteratura e civiltà
italiana, ha probabilmente contribuito più di quanto non venga riconosciuto al nascere del sentimento nazionale nel
nostro paese. Ci si dovrebbe riflettere in epoca di devolution.
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Mi preme qui sottolineare quanto i feroci nazionalismo otto-novecenteschi hanno
volutamente messo in ombra: come cioè non esiste grande spirito italiano, così come
tedesco, francese, spagnolo o altro, che non si sia sentito in qualche modo intensamente e
in primis europeo. Ed infatti delle personalità più modeste si dice che sono “provinciali”,
indicando con ciò un’appartenenza ed un orizzonte localistici e limitati. È importante non
confondere l’amore, anche struggente, per il proprio paese e la lingua materni con il
provincialismo. Il nostro Goldoni scrive commedie straordinarie in veneziano, eppure vive
a lungo e muore in Francia lasciando in eredità a tutta l’Europa la sua voglia di pace e
armonia. Mazzini, come ben si sa, non fondò solo la Giovane Italia, ma anche la Giovane
Europa, profeticamente anticipando il fine ultimo del suo intenso lavoro politico. Questo
fatto mi ha sempre molto colpito e lo sottolineo fortemente in classe quando se ne
presenta l’occasione, dal momento che la tradizionale manualistica normalmente non lo
fa.
Ogni buon testo di storia ci racconta come nell’Ottocento, con la formazione del Regno
d’Italia e quella di poco successiva del Reich tedesco, giunge a termine quel secolare
processo di nascita degli stati nazionali iniziato grosso modo nel tardo Medioevo,
contestualmente al disgregarsi dell’idea stessa di Impero Europeo. In realtà a ben vedere
le biografie dei vari patrioti che hanno lottato per la libertà e l’indipendenza delle loro
patrie, si tratti dell’italiano Mazzini, del polacco Teodoro Körner o di altri, ciò che colpisce
è il senso di fratellanza in nome della libertà che li accumuna. Il sentimento patriottico
dei romantici del primo Ottocento ha in realtà poco a che fare con gli esasperati
nazionalismi novecenteschi, con il loro terrificante seguito di guerre e di morte, giunti
quasi a cancellare ogni senso di solidarità comune. Va fortemente sottolineato pertanto il
fatto che, nelle varie guerre per l’indipendenza delle nazioni, a partire dalla lotta per
l’indipendenza della Grecia, troviamo generosamente impegnati, fino alla morte,
intellettuali provenienti da tutta Europa e accumunati dalla fede nei valori di libertà e
tolleranza.
Un canone culturale europeo
Come si è detto, proprio a partire dal secondo dopoguerra è iniziato il cammino inverso, in
direzione della riscoperta delle radici comuni, e paesi come la Francia, la Germania,
l’Italia, hanno sviluppato il primo germe di una nuova Europa.
Ci vorrebbe un De Sanctis europeo, capace di costruire una storia della letteratura che sia
insieme una storia della civiltà, individuando i poeti, gli artisti, i pensatori, gli scienziati, i
politici che hanno saputo costruire una casa comune, capace di accogliere quelle voci che,
pur nella diversità, hanno prodotto un sentire condiviso.
Un canone comune non solo letterario dunque, ma storico, filosofico, scientifico, artistico,
trasmesso attraverso la scuola in tutti i paesi d’Europa, sarebbe fondamentale per dare
vita ad una diffusa e condivisa identità europea.
Va detto tuttavia che, molto più degli adulti, le nuove generazioni si assomigliano già per
certi aspetti. Vestono allo stesso modo, ascoltano la stessa musica, comunicano attraverso
una lingua, un inglese “semplificato”, che costituisce in un certo senso la moderna koinè.
Ma qui siamo nel campo di una globalizzazione che va ben oltre l’Europa e che risulta
sostanzialmente piuttosto superficiale. A noi interessa invece individuare uno specifico
europeo, una particolare Weltanschaung avente origine nella storia d’Europa, che si
esprime in valori di libertà, tolleranza, rispetto per l’altro, in un senso di cittadinanza che,
nato nel mondo greco-latino, il Cristianesimo ha poi arricchito di un sentimento di
fratellanza che compare anche in quella sintesi della rivoluzione francese: liberté, égalité,
fraternité, che poco accortamente spesso si identifica con uno spirito laico, anticristano,
proprio perché si sottovaluta quel termine: fraternité, che discende direttamente
dall’agape cristiana.
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Le fondamenta dell’Europa
“Fin dall’alba della storia gli uomini
si sono mescolati, divisi e ancora mescolati; tutto
ciò non può essere annullato, anche se fosse desiderabile”
(Karl Popper, la società aperta e i suoi nemici, 1973)
Nodo cruciale e punto di scontro nel dibattito sulle radici dell’Europa è il posto da
attribuire al Cristianesimo.
Il tema delle fondamenta o radici dell’Europa è stato tra i più dibattuti quando si è trattato
di individuarle e nominarle nel preambolo della Costituzione Europea. Si è discusso
animatamente soprattutto sul ruolo da attribuire alla religione cristiana in tale contesto.
Parlare di cultura o civiltà è sembrato a molti diverso che parlare di fede.
Il problema consiste nel fatto, indiscutibile e sotto gli occhi di tutti, della presenza del
Cristianesimo nel tessuto stesso della storia d’Europa. Non conoscere e riconoscere il peso
della fede cristiana significa negarsi la possibilità di accedere all’idea d’Europa. Pensiamo,
solo per fare un minimo esempio, alla storia dell’arte, che ha avuto la massima fonte
d’ispirazione negli episodi e nei personaggi del Vangelo (e prima ancora della Bibbia).
Assurdo ignorare tutto questo.
Resta il fatto che nell’Europa d’oggi vivono almeno quattrordici milioni di musulmani. Sei
nella sola Francia, tre in Germania, cinque nel Regno Unito, un numero considerevole
ormai anche in Italia. Costoro per far parte a pieno titolo della nazione europea devono
riconoscere il peso della tradizione cristiana, ma non possiamo costringerli a convertirsi
alla nostra fede. L’Europa ha sperimentato sulla propria pelle la drammaticità delle guerre
di religione tra cinquecento e seicento. Il laicismo nacque proprio dallo sforzo di andare
oltre gli odi di religione, consentendo a tutti di vivere in interiore animo la propria fede,
distinguendo politica e cultura da religione. Merita una riflessione l’atteggiamento laico
rivendicato ante litteram già da Dante o Marsilio e perfettamente conciliabile con la più
profonda delle fedi, spesso confuso oggi con un antistorico e rozzo anticlericalismo. Nel
momento dello scontro più violento tra Stato e Chiesa in Italia, l’età del Risorgimento,
Manzoni e Rosmini sono fulgida testimonianza di ciò che significa essere profondamente
credenti e allo stesso tempo laici, non clericali. Dovrebbe essere chiaro che clericale e
anticlericale sono coppie di opposti, a mio parere entrambe di valenza negativa, mentre
laico e credente sono perfettamente anche se non necessariamente conciliabili, e
proprio questa conciliabilità costituisce una delle acquisizioni fondamentali della civiltà
europea, così come l’idea di democrazia. Il che non significa che si tratti di ricchezze che
una volta accantonate restano nostre per sempre. Il più bell’elogio della democrazia si
trova forse all’interno del discorso di Pericle contenuto nella Guerra del Peloponneso di
Tucidide, ma ci sono voluti più di duemila anni perché la democrazia stessa divenisse una
realtò in Europa e, su modello europeo, in poche altre parti del mondo. Quanto al diritto
di professare liberamente la propria fede, non dimentichiamo quanto accaduto nella ex
Jugoslavia, dove dopo decenni di serena convivenza tra cattolici, ortodossi e musulmani,
negli anni ’90 del secolo passato è ripresa una inaspettata e atroce carneficina. Va spiegato
ai giovani che nessuna conquista è “per sempre”. Anzi, quanto più un bene è prezioso,
tanto più va difeso con assoluta dedizione. La Civilitas di cui l’Europa è indubbiamente
portatrice, è un tesoro fragile, una eredità preziosa che va costantemente protetta.
Il nodo controverso da cui siamo partiti quindi: come conciliare il riconoscimento dovuto
al Cristianesimo con il rispetto di quei cittadini europei che professano fedi diverse, non
va drasticamente tagliato negando diritto di cittadinanza ai non cristiani, come va
rozzamente predicando una nuova generazione di “cattivi maestri”, insensatamente
definiti atei-bigotti, che traendo ispirazione dai neocon americani, cui abbiamo già fatto
riferimento, teorizzano lo “scontro di civiltà”, ma collocato all’interno dei concetti di
civiltà europea e democrazia, di rispetto reciproco e tolleranza che non possono
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prescindere dal reciproco riconoscimento. La lezione di Levinas12, il suo invito a far
crescere un’etica umana dell’altro da sé, fondata sul rispetto che ogni individuo deve
all’altro, va accolta e divulgata. Così come l’invito di Jonas: includi nella tua scelta attuale
l’integrità futura dell’uomo come oggetto della tua volontà 13. Per non parlare
dell’insegnamento di Hannah Arendt, che sui temi della responsabilità della politica e dei
singoli nei confronti dell’altro ha riflettuto a lungo, indicando nel nostro essere individui
“plurali” l’essenza stessa della libertà14.
Ecco tornare ancora in primo piano l’importanza della scuola. Passa di lì il reciproco
riconoscimento dell’altro, che non significa confuso meticciato culturale, ma
arricchimento delle vite individuali e quindi di tutta la società grazie agli stimoli accolti
con grazia ogni volta che ci vengono offerti con amicizia.
La vera fede non manca mai di rispetto per l’altro. Del resto Cristo non ha discriminato
nessuno, se non i presuntuosi farisei e gli avidi i mercanti dal tempio. Le ampie braccia
allargate con cui la tradizione iconografica spesso ce lo rappresenta, “significano”
l’apertura a chiunque, oppresso umiliato, sofferente, a Lui si rivolga, senza inutili pretese
identitarie.
Esistono indubbiamente, al di là della fede, valori etici universali, condivisi da tutte le
grandi religioni, che la filosofia occidentale ha contribuito non poco a definire.
La scuola ne costituisce il veicolo di trasmissione privilegiato. Questo non significa fare del
banale sincretismo, ma trasmettere attraverso l’istituzione scolastica il senso profondo di
diritti universalmente riconosciuti, in particolar modo dal pensiero occidentale, che ha
appreso l’universalismo fin dalle origini grazie alla civiltà greca, lasciando ai singoli
individui lo spazio interiore per coltivare la fede, senza confondere i piani. Per fare un
esempio: l’uso del velo da parte delle donne musulmane costituisce una scelta che sarebbe
crudele e stupido contestare, ma imporre loro una feroce sottomissione ai padri o mariti
limita gravemente i loro diritti di libertà e questo l’Europa che va nascendo non lo può
accettare.
Concludo citando le bellissime parole pronunciate da Claudio Magris in occasione del
conferimento del premio delle Asturie 2004 :
“Solo un’Europa realmente unita può far sì che le frontiere tra le sue nazioni e culture siano
ponti che le uniscono e non barriere che le dividono. L'unità europea non deve incutere
timore. Viviamo già, di fatto, in una realtà che non è più nazionale, ma europea; questa
unità europea di fatto dovrà diventare sempre di più un'unità pure istituzionale, anche se il
cammino per realizzarla sarà irto di difficoltà e di momentanei arretramenti. L’amore per
l'Europa non presuppone alcuna miope superbia eurocentrica: il centro del mondo oggi è
ovunque e non tollera alcuna iniqua dominanza di una sola parte del mondo.
L’umanesimo europeo è anche battaglia per questa pari dignità di ogni provincia
dell'uomo, come la chiama Canetti”.
12
In particolare di Levinas ricordiamo: Il tempo e l’altro (1949), Il Nuovo Melangolo, 2001. E ancora: Umanismo
dell’altro uomo (1972), Il Melangolo, 1985.
13
Hans Jonas, Il Principio di Responsabilità (1979), Einaudi, Torino, 1990, p. 16.
14
Hannah Arendt, Responsabilità e giudizio, Einaudi, Torino, 2004.
C. PONCINA - L’idea di Europa tra utopia e radicamento
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