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Newsletter - Edizione n. 24, 21-27 Giugno 2011
A CURA DI GUIDA AL DIRITTO
In questo numero
RIFORME IN CANTIERE
Un passo avanti nell’azione di contrasto alla mafia che avrà certo bisogno di significative
integrazioni
di Paolo Giordano - Procuratore della Repubblica di Caltagirone
Lo schema di testo unico delle leggi antimafia dà nel contenuto un po’ meno di quanto prometta nel
titolo. La legge delega, 136/2010, contiene tre oggetti, è ricognitiva e di coordinamento per il
cosiddetto codice delle leggi antimafia, innovativa per la materia delle misure di prevenzione e la
documentazione antimafia. ...>>
Primo piano
OSSERVATORIO LUISS-GUIDA AL DIRITTO
Azione di adempimento, continua il dibattito dopo la sentenza del Tar Lombardia
di Giovanni Verde (Guida al Diritto), 1 luglio 2011
La recente sentenza del Tar Lombardia n. 1428/2011 costituisce un'applicazione importante dei
principi posti dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2011 che ha aperto la strada
all'azione di adempimento nel processo amministrativo. Dopo l’analisi di Andrea Carbone e di
Alberto Di Mario e Fabio Merusi, ospitiamo l'intervento di Giovanni Verde . ...>>
Sentenze del giorno
PROCEDIMENTO PENALE
Sì alla nuova richiesta di patteggiamento dopo un primo rifiuto
Corte di cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 4 luglio 2011 n. 26058 ...>>
CODICE DELLA STRADA
Valida la multa fatta con autovelox anche senza numero di matricola sul verbale
Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenza 4 luglio 2011 n. 14564 ...>>
SEPARAZIONE E DIVORZIO
La casa utilizzata solo per le vacanze non può essere assegnata all'affidatario dei figli
Corte di cassazione - Sezione I civile - Sentenza 4 luglio 2011 n. 14553 ...>>
LAVORATORI INTRA UE
L'assegno di non autosufficienza spetta anche dopo il rientro nel paese d'origine
Corte di giustizia Ue - Sentenza 30 giugno 2011 - Causa C-388/09 ...>>
A CURA DI LEX24
CALCOLO DEL DANNO
Risarcibile il danno esistenziale
Giovanni Negri, Il Sole 24 Ore Norme e Tributi 1 luglio 2011 - Pagina 33
ENTI LOCALI
La tariffa idrica degli enti locali non è suscettibile di riscossione coattiva con l'ingiunzione fiscale e
l'iscrizione a ruolo
Francesco Palumbo, Lex24 Il Merito, 30 giugno 2011
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CONTRATTI TIPICI
La natura del contratto di riporto, focus giurisprudenziale
di Raffaele Cusmai, Contratti - Percorso operativo (Lex24)
DEONTOLOGIA PROFESSIONALE
Stop al legale "complice"
Carmelo Padalino, Il Sole 24 Ore del lunedì Norme e Tributi 4 luglio 2011 - Pagina 12
Gli approfondimenti di Lex24
RISARCIMENTO DEL DANNO
La responsabilità genitoriale nel diritto comunitario
di Cristina Caricato, Responsabilità civile - Percorso operativo (Lex24), 1 luglio 2011
RISARCIMENTO DANNI
Danno automatico per violazione delle distanze legali
Corte di Cassazione, sez III, civ., sentenza 24 maggio 2011, n. 11382 - Rassegna di giurisprudenza
(Lex24)
REATI CONTRO LA PERSONA
Anche una pacca sulla coscia può diventare violenza sessuale
Corte d'Appello di Cagliari, Sezione 2, Sentenza 16 aprile 2011, n. 683 - Rassegna di giurisprudenza
(Lex24)
CONDOMINIO
La raccomandata è prova dell'invio
Luana Tagliolini, Il Sole 24 Ore Norme e Tributi 4 luglio 2011 - Pagina 48
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RIFORME IN CANTIERE
Un passo avanti nell’azione di contrasto alla mafia
che avrà certo bisogno di significative integrazioni
DI
PAOLO GIORDANO - Procuratore della Repubblica di Caltagirone
L
o schema di testo unico delle leggi antimafia dà
della legge 203/1991, dove peraltro risiede la regola fonnel contenuto un po’ meno di quanto prometta
damentale in materia di investigazioni antimafia:
nel titolo. La legge delega, 136/2010, contiene tre
«quando procede a indagini per delitti di criminalità
oggetti, è ricognitiva e di coordinamento per il cosiddetorganizzata, il pubblico ministero si avvale di regola,
to codice delle leggi antimafia, innovativa per la materia
congiuntamente, dei servizi di polizia giudiziaria». La
delle misure di prevenzione e la documentazione antivalenza binaria e specializzante dell’edificio antimafia
mafia. V’è poi l’armonizzazione e il coordinamento delrispetto alla disciplina comune nasce proprio grazie a
le varie disposizioni con la legge 50/2010, in materia di
tale complesso di norme. Si legge, nella relazione, come
Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinaziomotivazione di questa scelta, l’intento di «evitare di altene dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità orgarare eccessivamente la vigente sistematica codicistica e
nizzata. Non è chi non veda la particolare complessità
di creare problemi e difficoltà nell’interpretazione delle
dell’elaborato richiesto dalle norme primarie. Il decreto
norme». Ma, così la prudenza compilativa rischia di
delegato deve essere adottato entro la data del 7 settemtradire il principio fondamentale della legge delega, la
bre 2011, previa acquisizione
redazione di un testo davvedi un parere obbligatorio ma
ro “unico”.
non vincolante che le comSulla disciplina antimamissioni parlamentari devofia, l’opzione di fondo del
niziata la discussione al Senato, in seduta congiunta delle
no esprimere entro 60 giorni
legislatore delegato, attriCommissioni Affari Costituzionali e Giustizia del codice antidalla presentazione al Parla- mafia approvato dal Consiglio dei ministri il 9 giugno scorso. Il buire al delitto di associamento. Il bilancio complessi- Dlgs è il frutto di un lungo lavoro tra i tecnici del ministero zione mafiosa il carattere
vo dell’operazione è senz’al- dell’Interno e di quelli della Giustizia e si compone di quattro di cardine della legislaziotro positivo, ci si consenta so- “libri”; uno elaborato dal Viminale e gli altri dal dicastero di via ne speciale, è superata da
lamente qualche osservazio- Arenula. Considerato uno dei fiori all’occhiello delle scelte tempo, perché il baricendell’Esecutivo nella lotta alla criminalità organizzata rappresen- tro è divenuto il complesso
ne critica.
Dal punto di vista dell’ade- ta un importante passo avanti nel contrasto anche se non ha il di reati previsti dall’articocarattere di completezza che ci si aspettava, come evidenzia il
renza ai criteri e ai principi procuratore Paolo Giordano.
lo 51, comma 3-bis, del
delle due deleghe, il risultato
Cpp, pure assente nel testo
finale migliora il corpo norunico. Di questa mutaziomativo precedente, anche se si presenta incompleto.
ne genetica dell’impianto legislativo, che rispecDal punto di vista degli obiettivi di una moderna legislachia sia le trasformazioni radicali del sistema crimizione antimafia, si è persa un’occasione preziosa per
nale, sia l’abbandono della legislazione dell’emerintrodurre alcune riforme altrettanto importanti.
genza in favore della stabilità della normazione, il
Le norme processuali - Mancano nel testo unico moltesto unico sembra non avere tenuto conto. L’amte norme processuali, che costituiscono il nerbo fondapiezza della delega avrebbe consentito di inserire
mentale della legislazione antimafia, accanto ad alcune
nel testo anche talune definizioni, prima fra tutte
presenti, per esempio in materia di intercettazioni prequella di «criminalità organizzata», unificando atventive, sarebbe stato necessario l’inserimento di altre,
torno a questa nozione il presupposto di applicabilisulle intercettazioni nel procedimento di indagine, sultà di tutte le norme speciali. Sorprende come non
le operazioni sotto copertura, sui contrasti fra pubblici
abbiano trovato collocazione nel testo unico le norministeri, sulle misure cautelari, sui requisiti della prome sulla videoconferenza e sul telesame, come puva, sul giudice per le indagini preliminari distrettuale o
re i colloqui investigativi, la disciplina del regime
sui termini delle indagini, sugli organi centrali e interspeciale di cui all’articolo 41-bis dell’ordinamento
provinciali della polizia giudiziaria di cui all’articolo 12
penitenziario, last but not least, sui collaboratori di
Il tema della settimana
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giustizia, parte essenziale della legislazione, fa capofunzionalità della banca dati a uno o più regolamenti
lino solo l’attenuante a effetto speciale, denominaattuativi, che si potevano evitare, prevedendo linee-guita «diminuente speciale» della dissociazione.
da o addirittura direttamente norme di dettaglio (articoLe occasioni mancate - La questione centrale, elusa
lo 109), di non eccessiva complessità. C’è il gusto italiadalla legge delega, è la rinuncia di alcune riforme necesno o la presunzione di dettare discipline onnicomprensarie per continuare quel processo di aggiornamento
sive, moltiplicando le regole, a discapito dell’esigenza
normativo che ha reso il nostro Paese all’avanguardia
unificatrice.
nel settore da circa vent’anni. In primo luogo, la riscrittuMisure di prevenzione - Il libro II è dedicato alle misura del reato di scambio elettorale politico-mafioso, il dire di prevenzione, settore che aveva beneficiato di una
vieto di applicazione della disciplina della continuazionotevole ristrutturazione, già con il pacchetto sicurezza
ne ai reati di mafia, l’innovazione del delitto di autoricidel 2008, la legge 125/2008, processo poi proseguito nel
claggio, e la modifica in senso più rigoristico del reato di
2009 e nel 2010 con altre norme integrative, prima fra
divieto di subappalti non autorizzati.
tutte l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amminiCertificazione antimafia - Venendo a qualche osserstrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confivazione di dettaglio, la disciplina sulla
scati alla criminalità organizzata. Già
documentazione antimafia, la cui ennel 2008 erano state introdotte moltetrata in vigore è differita rispetto alle
plici rilevanti novità, di sicuro affidaUna parte consistente
altre disposizioni (articolo 131), semmento, atte ad aggiornare lo strudella normativa
plifica gli adempimenti, basati sull’aumento normativo, divenuto troppo
rimarrà lettera morta
tocertificazione, sulla comunicazione
stratificato, con non poche sbavatuperché al di sotto
e sull’informazione antimafia, liberare, e non incisivo. L’applicazione didell’importo di 500mila euro, sgiunta delle misure patrimoniali e
toria e interdittiva, e amplia a livello
nazionale la piattaforma di dati per le
delle misure personali, con la fine del
come previsto dal codice
valutazioni sul rischio di infiltrazione
nesso di accessorietà, l’introduzione
dei contratti pubblici
mafiosa nei pubblici appalti. Ma è aldel sequestro per equivalente, la die recepito dal testo unico,
trettanto vero che una parte consisciplina dei termini, anche per il senon è richiesta alcuna
stente della normativa rimarrà lettera
condo grado, il riparto di attribuzioni
certificazione antimafia
morta, perché al di sotto dell’importo
fra Dda e procure ordinarie, il coordiobbligatoria
di 150mila euro, secondo la previsionamento della Dna, la pubblicità delne del codice dei contratti pubblici rele udienze a richiesta, in conformità
cepita dal testo unico, non è richiesta
al dettato della Corte costituzionale
alcuna certificazione antimafia obbligatoria (articolo
(sentenza n. 93 del 2010), sono alcune delle nuove rego93), ed è discutibile la scelta di demandare a un regolale. L’unica sovrapposizione residuata è nell’articolo
mento l’individuazione delle tipologie per le quali è pos12-quinquies della legge 356 del 1992, reato comune
sibile richiedere acquisizioni di documentazione indinon incluso nell’articolo 51 comma 3-bis del Cpp, per
pendentemente dal valore del contratto (articolo 101
cui le indagini in ordine a tale fattispecie sono di compecomma 8), obbligo sussistente, per la durata di cinque
tenza del Pm non distrettuale, mentre la legittimazione
anni, solo per gli enti locali i cui organi elettivi sono
alla richiesta di applicazione della misura di prevenziosciolti per infiltrazioni mafiose. Da tempo sono noti i
ne è, con riferimento a fatti riconducibili a tale titolo di
nervi scoperti nel settore e un pregevole studio del Cnel
reato, della Dda (articolo 15). La disciplina risistemata
del 2008 ne rivela ogni profilo. I noli a caldo non sono
adesso è molto più leggibile rispetto a prima, e ne va
considerati nemmeno subappalti se di importo inferiodato atto favorevolmente, talora contiene anche richiare a 100mila euro o al 2% dell’importo delle prestazioni
mi a punte avanzate della tecnologia, per esempio al
affidate e gran parte delle infiltrazioni mafiose si annida
decreto sulla digitalizzazione degli atti (articolo 22). In
proprio in questo versante, dal movimento terra al ciclo
materia di confisca, da registrare la riformulazione deldegli inerti, ai servizi di trasporto e di guardianìa. Sulla
l’articolo 12-sexies della legge 356 del 1992, per effetto
banca dati nazionale, le questioni più importanti sarandelle innovazioni apportate dal pacchetto sicurezza del
no l’omogeneità e la continuità dell’implementazione,
2008, nel senso della soppressione dei riferimenti all’asoltreché l’effettività delle garanzie di controllo sull’agsociazione mafiosa e alle condotte agevolative dell’assogiornamento dei dati. La nuova disciplina subordina la
ciazione, ricomprese ora nei nuovi articoli 7 e 8 del testo
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unico, dov’è prevista, per i soli delitti ivi richiamati, la
cenno di sostituzione. Infine, gli articoli 30 e 31 della
«confisca per equivalente» nel caso di sproporzione fra
legge n. 646 del 1982, strumenti di straordinaria efficaricchezza disponibile e reddito dichiarato. L’articolo 56
cia, a torto poco visitati dagli operatori, nonostante siadel testo unico introduce la «restituzione per equivalenno usciti rilegittimati da importanti pronunce della Corte», a carico del Fug (Fondo Unico Giustizia), in linea
te di cassazione (n. 23213 del 2010 della prima sezione)
con la legge delega, che aveva recepito suggerimenti
e della Corte costituzionale (ordinanza n. 362 del 2002),
della giurisprudenza delle sezioni Unite della Corte di
sono tuttora in vigore, anche se l’articolo 90 del testo
cassazione (sentenza n. 57 del 2007), circa l’insorgenza
unico si esprime in una versione inedita perché fa salvo
di un effetto riparatorio della perdita patrimoniale, in
il testo dell’articolo 30 della legge n. 646 del 1982, pur
caso di invalidità del titolo dell’ablazione.
riproducendone pedissequamente il contenuto. MenConfische - Non sembra, invece, esercitata la delega
tre l’articolo 31 non è più riproposto, malgrado il testo
sulle confische eseguite anche nei confronti di beni locadell’articolo 7 comma 1 lettera c) della legge delega; semlizzati in territorio estero (articolo 3 lettera b) n. 2 della
bra un lapsus, ma se ciò fosse imputabile a una scelta
legge delega). Mentre altre modifiche, come l’articolo
consapevole, sarebbe grave, visto che verrebbe a manca58 n. 5, secondo cui «i beni di cui al
re ingiustificatamente una norma incomma 3, di cui non sia possibile efcriminatrice di base, l’omessa comufettuare la destinazione o il trasferinicazione delle variazioni patrimoIl settore delle misure
mento per le finalità di pubblico inteniali cui è collegata la confisca del bedi prevenzione
resse ivi contemplate, sono destinati
ne, anche per equivalente, secondo
aveva già beneficiato
con provvedimento dell’Agenzia alla
la riforma del 2008. Ci si augura che,
di una notevole
vendita, osservate, in quanto compatialmeno nella versione finale, comparistrutturazione
bili, le disposizioni del codice di proriranno, sia le norme abrogate, sia,
cedura civile», appaiono non condivisotto la rubrica dei nuovi articoli, ancon il pacchetto sicurezza
sibili, per il rischio che beni confiscati
che le norme precedentemente in vie, a seguire,
alla criminalità organizzata possano,
gore, per un rapido e più sicuro rafcon l’introduzione
per vie oblique, ritornare nelle mani
fronto, così com’è avvenuto per altri
dell’Agenzia nazionale
mafiose da cui erano usciti. L’Agenimportanti testi unici, dell’edilizia,
per la gestione dei beni
zia, comunque, deve amministrare e
sulle spese di giustizia, dei beni cultusequestrati e confiscati
destinare i beni inerenti ai sequestri
rali, dell’ambiente, dei contratti pubdi prevenzione, quale che sia la norblici e della sicurezza sul lavoro.
mativa applicata, nonché quelli ineIn conclusione, lo schema di terenti ai sequestri penali adottati con riferimento ai delitsto unico segna, soprattutto sulle misure di prevenzioti di cui all’articolo 51 comma 3-bis del Cpp, ai sensi
ne e sulla documentazione antimafia, un passo avandegli articoli 12-sexies della legge 356/1992 o 321 del
ti nell’azione di contrasto e nel disegno di semplificaCpp (articolo 2 della legge 50/2010), negli altri casi sozione legislativa, perché è positiva la raccolta di alcupravvive la competenza della prefettura e dell’Agenzia
ne delle norme affastellate nel tempo, ma in taluni
del demanio.
tratti significativi il nuovo prodotto normativo non
Le abrogazioni - Nel libro V, nel titolo si parla di «abrosembra corrispondere del tutto alle aspettative, sia
gazioni» di norme, ma non ne è indicata alcuna nel
per quanto riguarda la completezza dello schema in
corpo del testo, i riferimenti esistono nella relazione di
relazione alla normativa a regime attuale, sia per le
accompagnamento, dove sono menzionate sia le noresigenze di riforma del tessuto antimafia. Ma il Goverme abrogate espressamente sia quelle abrogate implicino ha tre anni di tempo per apportare altre innovaziotamente, per esempio gli articoli 18 e 19 della legge
ni integrative (articoli 1 n. 5 e 2 n. 4 della legge dele152/1975, che estendevano l’applicazione della legge anga). E si vuole credere che questo testo unico sia l’initimafia n. 575 del 1965 a due delle tre categorie di soggetzio di un processo virtuoso che prosegua con altre
n
ti pericolosi, previste nella legge 1423 del 1956 (articoli 4
importanti riforme.
e 26). Il registro delle misure di prevenzione che nella
Per saperne di più:
vecchia disciplina era nell’articolo 34 della legge
55/1990, è ora regolato dall’articolo 91, che riformula
www.parlamento.it
completamente la vecchia disposizione senza alcun
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A CURA DI GUIDA AL DIRITTO
PRIMO PIANO
OSSERVATORIO LUISS-GUIDA AL DIRITTO
Azione di adempimento, continua il dibattito dopo la sentenza del Tar Lombardia
Tar Lombardia - Sezione III - Sentenza 8 giugno 2011 n. 1428
Giovanni Verde (Guida al Diritto) 01 luglio 2011
Azione di adempimento, dibattito aperto dopo la sentenza del Tar
La recente sentenza del Tar Lombardia n. 1428/2011 costituisce un'applicazione importante dei principi posti
dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2011 che ha aperto la strada all'azione di adempimento nel
processo amministrativo.
Dopo l’analisi di Andrea Carbone e Alberto Di Mario e Fabio Merusi proseguiamo il dibattito con un
commento di Giovanni Verde.
Il dibattito, dunque, è aperto, per eventuali contributi l'indirizzo è sempre [email protected]
di Giovanni Verde
E’ nell’ordine naturale delle cose che il giudice amministrativo attribuisca al codice del processo
amministrativo “il merito di avere abbandonato definitivamente ogni residuo della concezione oggettiva del
giudizio amministrativo di annullamento come strumento di controllo dell’azione amministrativa, e di aver
consolidato lo spostamento dell’oggetto del giudizio amministrativo dall’atto, teso a vagliarne la legittimità
alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, al
rapporto regolato dal medesimo, al fine di scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata,
sempre che non vi si frapponga l’ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali riservate alla
pubblica amministrazione” (così l’Adunanza plenaria del 23 marzo 2011 n. 3, ripresa dal Tar Lombardia,
sede di Milano, nella sentenza che è l’occasione delle mie riflessioni).
Diffidenza da superare
Ma è proprio così? A me sembra che il codice sia una tappa di un’evoluzione in corso, che incontra
numerosi ostacoli sul suo cammino. Innanzitutto vi è la diffidenza dei pubblici poteri ad acconsentire ad un
controllo dei giudici sul loro operato così incisivo e penetrante da permettere ai giudici di sostituirsi
all’amministrazione nell’emanazione di atti amministrativi in luogo di quelli ritenuti illegittimi ed annullati. E
ciò non tanto perché ancora oggi si creda nella possibilità di dare completa ed integrale attuazione al
principio della separazione dei poteri, che storicamente si pone come un dato tendenziale, quanto perché il
porsi la magistratura come un corpo indipendente e sostanzialmente irresponsabile accentua il rischio che la
stessa fuoriesca dall’orbita istituzionale a guisa di scheggia impazzita, senza che nei suoi confronti siano
utilizzabili i rimedi che di solito si possono adoperare nei confronti degli altri organi dello Stato (a partire dal
controllo dei cittadini nelle varie forme elaborate dai sistemi democratici). In secondo luogo, vi è la forte
preoccupazione per la tenuta dei conti pubblici. Infatti, un sistema di controllo giudiziario “effettivo” sugli atti e
comportamenti della pubblica amministrazione, presuppone che i meccanismi attraverso i quali si dipana
l’azione amministrativa siano tali da garantire - sempre o quasi sempre o, comunque, in percentuale assai
rilevante - che la soluzione cui si perviene all’esito del procedimento amministrativo sia quella corretta. Se
ciò avvenisse, le ipotesi di intervento del giudice sarebbero del tutto residuali, così che altrettanto residuali
sarebbero le pretese risarcitorie collegate all’azione amministrativa illegittima. Poiché l’esperienza di questi
anni ci insegna che, da un lato, i giudici sono risucchiati in operazioni di supplenza sempre più frequenti (le
cui cause sono molte e complesse e non possono essere qui investigate) e, dall’altro lato, che l’azione
amministrativa è tutt’altro che limpida e corretta, in ciò favorita assai spesso anche da chi dell’azione è
destinatario e che vuol vedere soddisfatte pretese che non andrebbero perseguite e soddisfatte, è evidente
che trasferire nel processo amministrativo soluzioni proprie dei giudizi civili comporta molti rischi e richiede
molta prudenza.
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L’ambito d’azione del giudice amministrativo
Fa senso che lo dica chi come me da tempo ha previsto che i canoni di giudizio del giudice civile e quelli del
giudice amministrativo si andassero sempre più ed inevitabilmente avvicinando. Non è che intenda fare
“marcia indietro”. La mia convinzione poggia su alcune premesse. In primo luogo, non ho mai creduto nella
esistenza “ontologica” delle situazioni giuridiche soggettive; queste sono qualifiche riassuntive di cui ci
serviamo per ragioni di semplicità espositiva, che rimandano necessariamente alle discipline giuridiche e alle
forme di tutela ammesse; in tal modo la vicenda della tutela del cittadino nei confronti dell’amministrazione è
contrassegnata dal lento e progressivo riempirsi di contenuti della posizione giuridica che la sintetizza;
pertanto, l’interesse legittimo, che era rappresentativo di una tutela di annullamento e che come tale, a ben
vedere, è stato accolto nella stessa Carta costituzionale, si è vieppiù arricchito, quando ne è stata ammessa
la tutela risarcitoria. E’ stato allora che è diventato chiaro che la tutela sottostante alla figura dell’interesse
legittimo riguarda il “bene della vita” cui il soggetto aspira non diversamente da ciò che fa quando vuole
tutelare un diritto soggettivo. Del resto, l’esito di questa evoluzione era inevitabilmente segnato da ciò che in
Europa diritti soggettivi ed interessi legittimi sono stati sempre posti sullo stesso piano e, spesso, tra gli
stessi non si fa differenza. In secondo luogo, ho letto la legge sul procedimento amministrativo come il
portato di un’esigenza oramai ineludibile, che ha fatto abbandonare alla pubblica amministrazione lo scranno
del potere per indurla a colloquiare, da pari a pari, con gli interessati, non più sudditi, ma cittadini. Ma se ciò
è vero, mi è sempre sembrato che non avesse e non abbia senso discorrere della possibilità di “riesercizio”
del potere da parte della pubblica amministrazione. Se il processo amministrativo ha una ragione di essere,
l’atto conclusivo del procedimento non può non inglobare al suo interno il potere di cui il provvedimento è
espressione, salvo che, in sede di controllo giurisdizionale, non emerga che il procedimento non si è svolto
correttamente e che esso debba essere ripetuto. Che senso ha stabilire per legge (articolo 10 bis lege
241/90) che l’amministrazione, onde consentire un corretto e pieno contraddittorio già nel corso della fase
procedimentale, deve indicare le ragioni per le quali è orientata per l’adozione di un provvedimento di un
determinato contenuto, se, poi, può rideliberare sulla base di motivi diversi e che non hanno fatto parte del
dibattito precontenzioso? Ho sempre ritenuto strano, insomma, che al procedimento non si applichi una
legge ineludibile del processo, secondo la quale il giudice, una volta emanata la decisione, “functus est
munere suo”, così che l’idea, ancora oggi corrente, che, concluso il procedimento amministrativo e finanche
il processo di legittimità dinanzi al giudice, il potere dell’amministrazione si ”rieffonda” mi è sempre apparsa
alquanto contraddittoria e legata ad una concezione del processo che ha ad oggetto l’atto e non il rapporto.
Tutto ciò mi ha indotto ad una conclusione, generalmente non condivisa, secondo cui il giudice
amministrativo non interviene sul persistente potere dell’amministrazione, ma giudica del suo consumato
esercizio.
Il carattere risarcitorio della tutela
La prudenza e, più a monte, una cultura giuridica, abituata a dare sostanza alla contrapposizione fra
interessi legittimi e diritti soggettivi, inducono a un’evoluzione per gradi, piena di esitazioni e, in fin di conti, di
contraddizioni. Oggi, di fronte alla pubblica amministrazione, il soggetto è per metà suddito e per metà
cittadino. Se così non fosse, non avrebbe ragione di porsi l’idea che egli debba rivolgersi al giudice
amministrativo quando non abbia o non abbia più interesse all’adempimento in forma specifica (ex articolo
31 Cpa), ma preferisca la tutela risarcitoria, non avendo l’amministrazione emesso il provvedimento dovuto
ovvero avendo tenuto un comportamento che ha leso il suo legittimo affidamento, come emerge, in primo
luogo, dall’articolo 7, comma 4 Cpa (del che la Suprema corte non sembra avere tenuto conto in alcune
recenti pronunzie: SU 23 marzo 2011, nn. 6594-5-6). Un’azione risarcitoria del genere prescinde, infatti, da
un qualsiasi esercizio di potere pubblico ed ha per oggetto l’illiceità di un comportamento che ha violato il
principio del neminem laedere, così che la scelta del giudice amministrativo si spiega soltanto per il fatto che
il soggetto convenuto è una pubblica amministrazione, alla quale si finiscono col riservare un giudice ed un
processo differenziato. A meno che non si ritenga che il solo fatto che il soggetto responsabile sia una
pubblica amministrazione - come talvolta ci è toccato di leggere - depotenzi il diritto dell’interessato,
rendendolo cedevole in tutto o in parte di fronte alle esigenze della finanza pubblica, così che soltanto il
giudice amministrativo abbia l’idoneità necessaria per valutare l’incidenza di tale depotenziamento. Ma,
forse, è proprio questa la ragione sottostante all’attuale disciplina, che verrebbe logicamente meno qualora il
giudice amministrativo dovesse smentire tale fiducia, somministrando una tutela risarcitoria non diversa da
quella somministrata dal giudice ordinario.
Il rinvio all’amministrazione affinché provveda
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Questa è la verità, nonostante che il Cpa affermi che il giudice amministrativo assicura tutela piena ed
effettiva, in tempi ragionevoli e nel rispetto del principio della parità delle parti (articoli 1 e 2). Ma può mai
essere piena ed effettiva una tutela di legittimità che, di regola, si conclude con un provvedimento di
annullamento che rinvia all’amministrazione perché provveda? Di più: con un provvedimento che, soltanto in
seconda battuta, ossia nel corso del giudizio di ottemperanza, dà al giudice il potere di dichiarare nulli i
provvedimenti emessi in violazione o elusione del giudicato (potere che di recente addirittura il Consiglio
superiore della magistratura ha messo in discussione) e (non quello di provvedere, ma) di ordinare
l’ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del
provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione (articolo 114,
comma 4 Cpa)? La risposta sensata è negativa. Ma il rispetto coerente dei principi di cui agli articoli 1 e 2
avrebbe comportato ben altra disciplina, che sarebbe dovuta partire dall’idea che, dopo la sentenza, è
contraddittoria con tali principi l’idea che il potere della pubblica amministrazione “si rieffonda”, là dove è
sotto gli occhi di tutti che il rispetto di tale idea, quasi che si tratti di un dogma, porta a soluzioni di
compromesso, di natura pretoria, delle quali la sentenza del Tar Lombardia-Milano dà conto.
Il contenuto del giudicato di annullamento
Il problema di fondo, che il codice lascia irrisolto, è quello del contenuto del giudicato di annullamento. Il
codice sembra avallare la conclusione che nel giudizio di cognizione di legittimità la decisione giudiziale sia
“più effettiva” quando l’attività amministrativa è vincolata “o quando risulti che non residuano ulteriori margini
di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti
dall’amministrazione” (così l’articolo 31, comma 3). La portata innovativa o, se si vuole, pretoria della
decisione del Tar Lombardia sta nell’avere esteso questa soluzione, che l’articolo 31 prevede soltanto per il
caso di silenzio o, comunque, di inerzia nel provvedere, anche nel caso in cui, avendo l’amministrazione
provveduto, la parte abbia chiesto in giudizio l’annullamento dell’atto e non l’accertamento dell’obbligo di
provvedere. Estensione che il Tar ha ritenuto possibile, valorizzando ciò che emerge dall’articolo 34, comma
1, lett. e), secondo il quale “anche in sede di cognizione con effetto alla scadenza di un termine assegnato
per l’ottemperanza” il giudice può disporre le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle
pronunce sospese, “compresa la nomina di un commissario ad acta”.
La soluzione individuata dal Tar Lombardia
Il risultato finale è che non solo nel caso di attività vincolata, ma anche quando non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità, il giudice, annullando l’atto amministrativo, detta all’amministrazione
il contenuto dell’atto da emanare per “conformarsi” al giudicato, non potendo il giudice “adottare” il nuovo
atto o modificarlo o riformarlo, essendo questa un’attività consentita soltanto in sede di giurisdizione di
merito (articolo 34, comma 1, lett. d)). Il che è ciò che ha fatto il Tar Lombardia nella decisione di cui ci
stiamo occupando.
Pur facendo proprie queste conclusioni, il problema si sposta al momento in cui si può ritenere che non
residuano margini di discrezionalità e che non debbono essere compiuti ulteriori atti istruttori. Qui la
decisione del Tar accetta l’idea che il vincolo per l’amministrazione nasce quando, pur essendo stata offerta
una chance di provvedere in maniera legittima (anche, secondo il Tar, in forza di un’ordinanza cautelare
propulsiva), essa non l’abbia colta. Ma è evidente che ciò non è scritto nella legge e finisce con l’essere
creazione giurisprudenziale.
I rischi della giurisprudenza creativa
Se il fine ultimo è commendevole, la via percorsa è opinabile, come tutte le soluzioni che fanno forza al dato
normativo e che si risolvono in esercizi di giurisprudenza creativa, i cui rischi non mi stancherò mai di
sottolineare. Il problema nasce dall’idea che dopo la pronuncia di annullamento il potere
dell’amministrazione, nel caso di attività discrezionale, si “rieffonda”. È, tuttavia, possibile chiedersi se questo
presupposto non sia contraddetto da disposizioni dalle quali ricavare la conclusione che, all’interno del
processo, si determinano a carico delle parti e, quindi, anche dell’amministrazione, preclusioni che giochino
un ruolo anche sul piano sostanziale. Alludo alla nuova disciplina dell’istruzione probatoria, che fa perno
sull’onere della prova, sul principio dispositivo (temperato) e sul principio di non contestazione (v., in
particolare, l’art. 64, comma 2). Quest’ultima disposizione è, all’apparenza, di portata generale e non limitata
soltanto ai casi di giurisdizione esclusiva e di controversie su diritti. Posto che nessuno dubita che il principio
di non contestazione riguarda soltanto le situazioni disponibili, possiamo, tuttavia, ritenere che esso vale
anche per il caso in cui siano in discussione i cd. interessi legittimi, che, secondo la tradizione, non sono
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disponibili? Se dovessimo propendere per la tesi che l’indisponibilità dell’interesse è conseguenza del
permanente potere dell’amministrazione di provvedere, specialmente se il suo esercizio è frutto di scelte
discrezionali, l’articolo 64, comma 2, nonostante la sua formulazione generale, non riguarderebbe le
controversie relative a interessi legittimi, così che nessun argomento potremmo ricavare a favore della
creazione di qualche preclusione all’interno del processo. Qualora, invece, si partisse dall’idea che il potere
amministrativo si è già consumato o, comunque, si consuma dinanzi al giudice, la non contestazione
potrebbe avere rilievo perché riguarderebbe l’assetto degli interessi contrapposti quale si è cristallizzato nel
processo, così che il controllo del giudice avrebbe ad oggetto il passato (e non si proietterebbe nel futuro).
L'ottemperanza dell'amministrazione
Se si accogliesse questa prospettiva, non avrebbe senso chiedersi se le azioni nel processo amministrativo
sono quelle tipiche e se sia stata o non ammessa la cd. azione di adempimento, ad imitazione di esperienze
altrui. Fermo che il giudice, nel giudizio di legittimità, dovrebbe limitarsi a pronunciare l’annullamento dell’atto
illegittimo, l’ottemperanza dell’amministrazione sarebbe sempre attività vincolata, non potendo essa
rimettere in discussione i presupposti già discussi nel giudizio di merito e non potendo motivare il suo
ulteriore provvedimento sulla base di premesse non versate nel corso del giudizio medesimo. Resterebbe
ferma - è chiaro - la possibilità di non dare esecuzione in forma specifica al provvedimento qualora non fosse
possibile o fosse eccessivamente onerosa in relazione all’interesse pubblico da tutelare (ex articolo 2059
Cc). Del resto, una soluzione del genere è esplicitamente accolta dall’articolo 121, comma 2 Cpa.
Il ruolo propulsivo del giudice
La posizione tradizionale, ispirata a quella prudenza di cui ho fatto cenno, nasce dalla sfiducia
nell’amministrazione, così che il giudice spesso è portato a forgiare decisioni che si risolvono in
raccomandazioni od inviti più o meno perentori a ben deliberare, soprattutto là dove il giudice avverte che a
causa di una non compiuta difesa dell’amministrazione si potrebbe dare un avallo giurisdizionale a soluzioni
che l’amministrazione non vuole assumere in prima persona. Ma, posto che i giudici fanno ciò che possono
e non possono tenere sotto tutela l’amministrazione, a mio avviso è preferibile che il giudice amministrativo
si avvalga con ogni solerzia del potere di istruzione (sussidiaria) previsto dall’articolo 64, comma 3 piuttosto
che rassegnarsi a parlare con decisioni scarsamente effettive.
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SENTENZE DEL GIORNO
PROCEDIMENTO PENALE
Sì alla nuova richiesta di patteggiamento dopo un primo rifiuto
Corte di cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 4 luglio 2011 n. 26058
Nulla impedisce una successiva richiesta di pena patteggiata prima dell’apertura del nuovo dibattimento.
L’economia processuale prevale sui rigidi formalismi del patteggiamento. Con un orientamento finalizzato a
“salvare” soluzioni processuali condivise da entrambe le parti in causa, la Corte di cassazione ha
“recuperato” un’istanza dichiarata inammissibile dal Tribunale di Massa nel corso di un procedimento a
carico di un imputato riconosciuto colpevole di spaccio di cocaina. La Corte di cassazione penale, con la
sentenza n. 26058 del 4 luglio, salva la successiva proposta dell’imputato davanti a un giudice diverso,
all’apertura della nuova udienza. Per i giudici è possibile “che dopo il rigetto di una prima richiesta di
applicazione della pena da parte del giudice del dibattimento, a una successiva udienza cui il dibattimento
sia stato rinviato le parti si accordino per una diversa richiesta davanti a un diverso decisore, sempre che ciò
avvenga prima dell’apertura del dibattimento”.
La soluzione individuata dalla Cassazione è stata possibile dando continuità all’originario consenso alla
proposta riformulata prestato dal Pm titolare del procedimento. Secondo i giudici di piazza Cavour, “nulla
ostava che il nuovo giudice del dibattimento la prendesse in considerazione, essendo d’altro canto irrilevante
che il pubblico ministero di udienza avesse espresso dissenso, dato che una volta che consenso sia prestato
da qualunque delle parti sulla proposta formulata dall’altra, esso è irretrattabile”.
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CODICE DELLA STRADA
Valida la multa fatta con autovelox anche senza numero di matricola sul verbale
Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenza 4 luglio 2011 n. 14564
Non può essere annullata una multa fatta con l'autovelox perchè nel verbale non viene indicato il numero di
matricola dell'apparecchio. Lo ha precisato la seconda sezione civile della Cassazione con la sentenza 4
luglio 2011 n. 14564. La decisione dei giudici di legittimità ha ribaltato quanto deciso in primo e secondo
grado. In entrambe i gradi di giudizio il verbale era stato annullato proprio per l'assenza dell'indicazoione del
numero di matricola sul verbale. I giudici di piazzale Clodio colgono l'occasione per enunciare il seguente
principio di diritto: "la mancata indicazione del numero di matricola dell'apparecchiatura, non prevista dal
codice quale contenuto necessario del verbale, non può mai essere motivo di nullità della sanzione per
violazione del diritto di difesa".
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SEPARAZIONE E DIVORZIO
La casa utilizzata solo per le vacanze non può essere assegnata all'affidatario dei figli
Corte di cassazione - Sezione I civile - Sentenza 4 luglio 2011 n. 14553
La casa utilizzata dai coniugi durante i periodi di vacanza non può essere considerata la residenza familiare
e, pertanto, non può essere assegnata a uno dei due in sede di separazione. Lo ha chiarito la prima sezione
civile della Cassazione con la sentenza 14553/2011 che ha accolto il ricorso del marito nei confronti della ex
moglie alla quale il giudice aveva assegnato la casa delle vacanze in sede di separazione. Secondo la
Cassazione, al fine dell'assegnazione a uno dei coniugi separati o divorziati della casa familiare, occorre che
si tratti della stessa abitazione in cui si svolgeva la vita della famiglia allorché era unita. L'assegnazione,
infatti, rispondendo all'esigenza di conservare l'habitat domestico, inteso come centro degli affetti, degli
interessi e delle consuetudini in cui si articola la vita familiare, è consentita unicamente con riguardo a
quell'immiobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con
esclusione di ogni altro bene di cui i coniugi avessero la disponibilità.
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LAVORATORI INTRA UE
L'assegno di non autosufficienza spetta anche dopo il rientro nel paese d'origine
Corte di giustizia Ue - Sentenza 30 giugno 2011 - Causa C-388/09
Il lavoratore che al termine della propria attività lavorativa, torni nel proprio paese d’origine, conserva il diritto
di beneficiare dell’assistenza derivante dall’affiliazione facoltativa continuata ad un regime autonomo di
assicurazione contro il rischio di perdita dell’autosufficienza. Lo ha stabilito la Corte di giusitizia dell’Ue nella
causa C-388/09.
Infatti, il regolamento (Cee) relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai
lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno non osta “a che una persona, in una
situazione come quella oggetto della causa principale, che percepisca una pensione di vecchiaia dagli enti
pensionistici tanto del proprio Stato membro di origine quanto di quello in cui abbia svolto la maggior parte
della propria vita lavorativa, e che abbia trasferito la propria residenza da quest’ultimo Stato membro verso il
proprio Stato membro di origine, possa continuare a beneficiare, per effetto dell’affiliazione facoltativa
continuata, nello Stato membro in cui abbia trascorso la maggior parte della propria vita lavorativa, ad un
regime autonomo di assicurazione contro il rischio di perdita dell’autosufficienza, di una prestazione in
denaro corrispondente a tale affiliazione”. E ciò “in particolare nell’ipotesi in cui non sussistano, nello Stato
membro di residenza, prestazioni in denaro riguardanti il rischio specifico di perdita dell’autosufficienza,
circostanza di cui il giudice del rinvio dovrà verificare l’effettività”.
Al contrario, nel caso in cui lo Stato membro di residenza preveda prestazioni in denaro per il rischio di
perdita dell’autosufficienza - peraltro solo in misura inferiore a quella delle prestazioni relative al rischio
medesimo previste dall’altro Stato membro debitore di pensione - dev’essere interpretato nel senso che tale
persona ha diritto, nei confronti dell’ente competente di quest’ultimo Stato, a percepire un’integrazione di
prestazioni pari alla differenza tra i due importi.
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A CURA DI LEX24
CALCOLO DEL DANNO
Risarcibile il danno esistenziale
Giovanni Negri, Il Sole 24 Ore Norme e Tributi 1 luglio 2011 - Pagina 33
Danno esistenziale da risarcire. Se possibile con il ricorso alle tabelle del tribunale di Milano. Ma anche no,
se queste non permettono un'adeguata personalizzazione. Sono queste le conclusioni cui approda
un'importante sentenza della terza sezione civile della Corte di cassazione, la n. 14402, depositata ieri. La
pronuncia si è trovata a dover affrontare il caso di un giovane che, a causa di un grave incidente stradale,
aveva subìto l'amputazione di un braccio e di una gamba. Sia in primo grado sia in appello, l'uomo aveva
visto respinta la richiesta di un risarcimento ampio, che comprendesse anche il danno esistenziale a causa
della gravità delle lesioni riportate, nei confronti del conducente del veicolo che aveva provocato lo scontro e
della compagnia di assicurazione.
La Cassazione, che già pochi giorni fa (il 7 giugno con sentenza n. 12408) aveva pienamente legittimato le
tabelle del tribunale di Milano come riferimento per i risarcimenti del danno biologico, adesso fa un passo in
più e precisa alcuni punti. Innanzitutto sdogana a pieno titolo il danno esistenziale, sul quale dottrina e
giurisprudenza da tempo sono ai ferri corti, chiarendo che questo costituisce lo sconvolgimento
dell'esistenza accertabile in maniera oggettiva «in ragione dell'alterazione del modo di rapportarsi con gli altri
nell'ambito della vita comune di relazione, sia all'interno sia all'esterno del nucleo familiare». Una danno tale
da condurre l'interessato a dovere compiere scelte di vita diverse.
Così, il risarcimento deve essere complessivo e prendere in considerazione tutti gli aspetti negativi che
derivano dal l'illecito. Duplicazioni si possono riscontrare, osserva la sentenza, solo se la stessa voce viene
calcolata due o più volte sulla base di diverse e solo formali denominazioni.
In questa prospettiva soccorrono le tabelle. Soprattutto quelle del tribunale di Milano delle quali la sentenza
ribadisce l'importanza come «valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex
articolo 1226 del Codice civile, laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze che richiedano la
relativa variazione in aumento o in diminuzione, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla circolazione».
Le tabelle devono però prendere in considerazione anche il danno esistenziale perché, mette nero su bianco
la Cassazione, vanno ristorati anche gli «aspetti relazionali propri del danno da perdita del rapporto
parentale o del cosidetto danno esistenziale»: per questo è necessario verificare se i parametri indicati dalle
tabelle tengono conto anche dell'alterazione e del cambiamento della personalità della persona danneggiata.
Un cambiamento che si traduce in uno sconvolgimento dell'esistenza e in radicali cambiamenti di vita.
In caso contrario, i giudici dovranno procedere a una sorta di "personalizzazione" riconsiderando i parametri
tabellari sotto questo profilo, in maniera tale da permettere un risarcimento pieno e completo alla persona
danneggiata.
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ENTI LOCALI
La tariffa idrica degli enti locali non è suscettibile di riscossione coattiva con l'ingiunzione fiscale e
l'iscrizione a ruolo
Francesco Palumbo, Lex24 Il Merito, 30 giugno 2011
Tribunale di Latina, Sentenza 15 marzo 2011, n. 334 - Giudice dott.ssa Laura Mancini
Il principio. Con l'interessante provvedimento in esame, e dopo un articolato excursus logico-giuridico
compiuto dal magistrato, viene affermato l'innovativo principio di diritto in virtù del quale viene esclusa la
possibilità per gli enti locali di procedere alla riscossione coattiva mediante i peculiari istituti dell'ingiunzione
fiscale e dell'iscrizione a ruolo, dei crediti che traggono origine da rapporti privatistici (ed in particolare dei
crediti per fornitura del servizio idrico integrato), i quali per poter essere riscossi esigono quindi, un titolo
esecutivo propedeutico all'iscrizione a ruolo.
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La questione. Una società mista a prevalente capitale pubblico che gestisce il servizio idrico integrato emette
fatture di pagamento per fornitura di acqua, che il privato contesta sotto vari profili, successivamente viene
notificata la cartella esattoriale di pagamento da parte del concessionario per la riscossione dell'ente locale,
che viene impugnata. Viene istruito il giudizio che il Tribunale definisce con la sentenza in oggetto e con
declaratoria di insussistenza del diritto di procedere esecutivamente del gestore del servizio idrico e per esso
del concessionario della riscossione.
La Giurisprudenza superata. Tale orientamento sosteneva la legittimità dell'utilizzazione del ruolo per la
riscossione della tariffa idrica, ritenendo che la sua espressa previsione nell'art. 17 c. 2 del d.lgs n. 46/1999
renda incontrovertibile la possibilità di utilizzare la forma di riscossione coattiva prevista dal d.p.r. 602/73. In
particolare detta inclusione, in quanto operata attraverso un'integrazione successiva del d.lgs. n. 46/1999
(operata dall'art. 2 c. 1 d.l. 262/06 conv. con modificazioni nella l. 286/06), renderebbe evidente la
prevalenza di tale previsione sulla norma di cui all'art. 21 del medesimo decreto legislativo (Tribunale di
Rovigo, ord. 27.11.2008; Tribunale di Roma, 6.9.2010).
La sentenza del Tribunale di Latina n. 334 del 15 marzo 2011. Preliminarmente il magistrato ripercorre
l'evoluzione legislativa che ha caratterizzato la riscossione delle entrate patrimoniali degli enti locali al cui
genus deve sicuramente essere ricondotta la tariffa idrica integrata in quanto corrispettivo di un servizio
pubblico locale di rilevanza economica ai sensi dell'art. 113 del d.lgs. 267/2000 (c.d. Testo Unico degli enti
Locali) (invero tanto l'art. 9, comma 2, della l. n. 36/1994 (la cosiddetta “legge Galli”) e dell'art. 150 del d.lgs.
3 aprile 2006, n. 152, per cui gli aspetti organizzativi e gestionali ad esso relativi debbano trovare
regolamentazione nella normativa di carattere generale contenuta nell'art. 113 richiamato).
Prima della riforma generale dell'esecuzione esattoriale introdotta con il d.lgs. 46/1999 l'art. 52, c. 6, del D.
Lgs. n. 446/1997 prevedeva che la riscossione coattiva dei tributi e delle entrate di spettanza delle province
e dei comuni venisse effettuata con la procedura di cui al D.P.R. n. 602/1973 (“ruolo” affidato al
concessionario del servizio di riscossione), oppure con la procedura indicata dal R.D. n. 639/1910 (c.d.
“ingiunzione fiscale”).
Quest'ultimo strumento era applicabile se la riscossione veniva svolta in proprio dall'ente locale o se era
affidata ai soggetti indicati nel quarto comma, lettera b), del medesimo articolo (società miste, soggetti iscritti
all'albo, ecc.).
Con la riforma introdotta con il d.lgs. n. 46/1999, da un lato, il ruolo è divenuto lo strumento generale di
riscossione delle entrate dello Stato e degli Enti pubblici, dall'altro per gli enti locali è divenuto uno strumento
facoltativo di esazione delle entrate tributarie e patrimoniali.
Successivamente l'art. 3 del d. lgs. n. 112/1999 ha stabilito che la riscossione coattiva delle entrate comunali
e provinciali dovesse essere effettuata dai concessionari del servizio nazionale della riscossione solo
qualora tali enti (comuni e province) non avessero esercitato la facoltà di cui agli artt. 52 e 59, comma 1,
lettera n) del d.lgs. n. 446/1997.
La legge 22 novembre 2002, n. 265 (di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 24/09/2002 n. 209)
ha, quindi, consentito ai comuni e ai concessionari iscritti all'albo ministeriale (ex art. 53 d.lgs. 446/97) di
effettuare la riscossione coattiva delle ingiunzioni fiscali ex R.D. n. 639/1910 secondo le disposizioni
contenute nel titolo II del D.P.R. 602/1973, che disciplina, appunto, la riscossione coattiva c.d. esattoriale.
Con legge 244/2007 l'articolo 52 c. 6 del D. Lgs. 446/97 è stato abrogato, ma l'articolo 36 del decreto legge
n. 248/2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 31/2008, ha disposto che “La riscossione coattiva dei
tributi e di tutte le altre entrate degli enti locali continua a potere essere effettuata con: a) la procedura
dell'ingiunzione di cui al r.d. 639/2010, seguendo anche le disposizioni contenute nel titolo II del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili, nel caso in cui la riscossione
coattiva e' svolta in proprio dall'ente locale o e' affidata ai soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b),
del d.lgs. n. 446/1997; b) la procedura del ruolo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 602, se la riscossione coattiva è affidata agli agenti della riscossione di cui all'articolo 3
del d.l., n. 203/2005, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 248/2005”.
Dall'esame della vigente normativa, emerge, dunque, che gli strumenti con i quali si attua la riscossione
coattiva delle entrate degli enti locali sono rappresentati dal ruolo (D.P.R. 602/73; D.Lgs. 46/99 e 112/99) e
dalla c.d. ingiunzione fiscale (R.D. 639/1910).
Va detto che dal punto di vista procedimentale i due sistemi sono sostanzialmente assimilabili, oltre che
alternativi: assimilabili, in quanto la legge 265/2002 ha esteso all'ingiunzione fiscale la procedura esattoriale
prevista dal D.P.R. 602/73; alternativi, poiché a seguito della riforma della riscossione (d.lgs. 46/1999 e
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d.lgs. 112/99) il ruolo non rappresenta più l'unico strumento per procedere alla riscossione coattiva delle
entrate degli enti locali, tributarie e patrimoniali.
Come chiarito dalla Suprema Corte, l'ingiunzione fiscale cumula in sé la duplice natura e funzione di titolo
esecutivo unilateralmente formato dalla pubblica amministrazione nell'esercizio del suo potere di
autoaccertamento e di autotutela e di atto prodromico all'inizio dell'esecuzione coattiva equipollente al
precetto civilistico (Cass., n. 10496/2002; Cass., n. 9421/2003).
Il ruolo, secondo la definizione fornita dall'art. 10 del d.p.r. 602/1973 è, invece, l'elenco dei debitori e delle
somme da essi dovute formato dall'ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario, oggi agente
per la riscossione. Si tratta, pertanto, di un atto amministrativo emesso da un ente pubblico nell'esercizio
delle sue funzioni ed in quanto tale costituisce titolo esecutivo ai sensi degli artt. 12 e 49 d.p.r. 602/1973.
Con riguardo a tale ultima forma di riscossione coattiva, Il Tribunale di Latina, con la sentenza in esame,
ritiene che neanche l'espressa previsione, in apposita disciplina, della sua utilizzabilità da parte degli enti
territoriali come sistema alternativo all'ingiunzione fiscale sia per le entrate tributarie che per quelle
patrimoniali, consenta di superare la prescrizione di cui all'art. 21 d.lgs. n. 46/1999, la quale sancisce una
portata differenziata del ruolo secondo che si tratti di entrata pubblicistica o privatistica dell'ente.
Si impone, a questo punto, un'importante precisazione.
Tanto l'ingiunzione fiscale quanto il ruolo, come si è già detto, costituiscono strumenti di riscossone coattiva
delle entrate degli enti locali, siano esse di natura tributaria o patrimoniale.
La nozione di entrata patrimoniale ricomprende sia le entrate che hanno causa nei rapporti di diritto privato,
sia quelle ritratte da rapporti di natura pubblicistica.
Solo queste ultime hanno natura pubblicistica in quanto traggono origine in un atto di imperio della pubblica
amministrazione (ad esempio una concessione, si pensi al canone per l'occupazione di spazi ed aree
pubbliche, al canone per l'installazione degli impianti pubblicitari, etc.).
Orbene dalla lettura combinata degli artt. 17 e 21 si desume il seguente corollario: sono suscettibili di
riscossione coattiva mediante i peculiari istituti dell'ingiunzione fiscale e dell'iscrizione a ruolo, nell'accezione
sopra chiarita, le sole entrate pubblicistiche, ovvero, le entrate tributarie e quelle patrimoniali derivanti da
provvedimenti amministrativi; le entrate patrimoniali che traggono origine da rapporti privatistici per poter
essere riscosse mediante gli strumenti in questione esigono un titolo esecutivo propedeutico all'iscrizione a
ruolo.
In effetti, dall'art. 21 si desume, infatti, il principio in forza del quale il ruolo assume una duplice connotazione
funzionale, di titolo esecutivo e di precetto, per le entrate c.d. di diritto pubblico (in tal senso espressamente
l'art. 49 del d.lgs. n. 46/1999 che dispone che per la riscossione delle somme non pagate il concessionario
procede ad espropriazione forzata sulla base del ruolo che costituisce titolo esecutivo) e di solo precetto per
le entrate di diritto privato per le quali permane, invece, la necessità di un autonomo titolo esecutivo.
In quest'ultimo caso la specialità della tecnica utilizzata per la riscossione in base a ruolo è strettamente
limitata alla fase espropriativa, ma non riguarda la fase dell'accertamento del credito, il quale rimane
assoggettato alle regole comuni.
L'assunto sembra essere condiviso dalla stessa giurisprudenza di legittimità, la quale ha stabilito che “il
ruolo, che costituisce il titolo esecutivo in senso documentale, è formato, può esserlo, quando si sono
determinate le situazioni che consentono di procedere all'esecuzione forzata per la riscossione di un credito,
situazioni che configurano il titolo esecutivo in senso sostanziale (e che l'art. 21 del D.Lgs. 26 febbraio 1999,
n. 46 denomina presupposti dell'iscrizione a ruolo). A monte del ruolo, dunque, sono i procedimenti ordinati
all'accertamento del credito, cui si correlano le difese giudiziarie del soggetto passivo dell'accertamento e
che mettono capo alla situazione per cui il titolare del credito acquista il diritto a riscuoterlo coattivamente. A
valle del ruolo sono gli atti con cui l'esattore prima comunica al debitore che è stato formato in suo confronto
il ruolo (art. 25 del D.P.R. 602/1973 e art. 11 del D.Lgs. 46 del 1999, che lo ha sostituito), poi, se sia
mancato il pagamento, compie gli ulteriori atti che la legge richiede (art. 46 del D.P.R. 602 del 1973 nel testo
originario e art. 50.2. dello stesso decreto nel testo sostituito dall'art. 16 del D.Lgs. 46 del 1999) e quindi, se
il pagamento manca ancora, dà inizio all'espropriazione forzata mediante il pignoramento” (in tal senso
Cass., sez. un., n. 1122/2000, in motivazione).
Alla luce della distinzione appena delineata non può essere valorizzata, come ritenuto dalla giurisprudenza
precedente, l'espressa previsione della tariffa di cui all'art. 154 d.lgs. n. 152/2006 nell'art. 17 c. 2 d.lgs. n.
46/1999, atteso che non vi sono argomenti testuali o sistematici che consentano di differenziarne il regime
giuridico rispetto altre entrate ivi menzionate, le quali sono soggette alla prescrizione di cui all'art. 21 perché
in esso espressamente richiamate.
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Tanto premesso, l'opinione maggioritaria annovera il corrispettivo del servizio idrico integrato tra le entrate di
natura privatistica facendo leva sulla stessa formulazione dell'art. 154 d.lgs. 152/2006 che dispone che la
tariffa “costituisce corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della
risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione
delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di
salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'Autorità d'ambito, in modo che sia
assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei
costi e secondo il principio “chi inquina paga”».
La definizione normativa è evidentemente ispirata alla rigorosa applicazione del principio di corrispettività, al
quale sono improntate “tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato” (articolo 154, comma 1, ult.
per. d.lgs n. 152/2006)
Sulla base di tale disposizione la Corte Costituzionale ha stabilito che “l'inestricabile concatenazione tra
prestazione e corrispettivo è evidenziata, in particolare, dal fatto che, a fronte del pagamento della tariffa,
l'utente riceve un complesso di prestazioni, afferenti fondamentalmente alla somministrazione della risorsa
idrica (ed alla connessa fornitura dei servizi di fognatura e depurazione)” (cfr. Corte cost., n. 335/2008).
La natura privatistica della tariffa idrica è stata, inoltre, più volte riconosciuta dalle Sezioni Unite della Corte
di Cassazione (per tutte, Cass., sez. un., n. 11720/2010) e dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., da
ultimo, T.A.R. Campania, sez. Salerno, n. 24/2009).
Alla luce delle considerazioni che precedono il Tribunale di Latina ritiene che alla tariffa idrica integrata sia
applicabile la speciale disciplina della riscossione ex d.p.r. 602/1973 in relazione alla sola fase espropriativa,
senza che l'iscrizione a ruolo possa sopperire alla mancanza di un titolo esecutivo che ne accerti la debenza.
Nel caso di specie l'iscrizione a ruolo, essendo stata compiuta sulla base delle sole fatture relative al
rapporto di utenza idrica, e, dunque, in mancanza di un titolo esecutivo, è stata pertanto, ritenuta
palesemente illegittima.
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CONTRATTI TIPICI
La natura del contratto di riporto, focus giurisprudenziale
di Raffaele Cusmai, Contratti - Percorso operativo (Lex24)
Sommario
Nozioni
1. Natura del contratto;
2. Il c.d. riporto staccato e la revoca del mandato all'istituto di credito;
3. La consegna dei titoli, le istruzioni e gli ordini alla banca, il riporto
consensuale;
4. Contratto di riporto e fallimento.
Nozioni
Il contratto di riporto è disciplinato dagli artt. da 1548 a 1551 del Codice Civile. Il contratto in oggetto
costituisce uno degli strumenti di carattere finanziario, il cui uso è diffuso sia nel mercato borsistico sia nel
mercato mobiliare in genere.
Ai sensi dell'art. 1548, con il contratto in esame, un soggetto (c.d. riportato) trasferisce in proprietà ad un
altro soggetto (c.d riportatore), per un determinato prezzo, titoli di credito di una data specie, e il riportatore
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si assume l'obbligo di trasferire al primo, alla scadenza del termine stabilito, la proprietà di altrettanti titoli
della stessa specie, verso rimborso del prezzo, che può essere aumentato o diminuito, nella misura
convenuta.
Il riporto costituisce un contratto unitario che produce il trasferimento immediato della proprietà dal
riportato al riportatore e crea al tempo stesso l'obbligo per il riportatore di trasferire altrettanti titoli al
riportato.
Dall'art. 1549 c.c. si desume che il riporto, diversamente dalla compravendita è un contratto reale
contestuale a prestazioni corrispettive che si perfeziona con la consegna dei titoli. I diritti accessori e gli
obblighi inerenti ai titoli dati a riporto spettano al riportato ex art. 1550 c.c., mentre spetta al riportatore il
diritto di voto ex art. 1551 c.c. Le parti possono, tuttavia, accordarsi diversamente stabilendo ad esempio
che al riportato spetti il diritto di voto inerenti alle azioni trasferite in proprietà al riportatore.
Normalmente si procede alla stipulazione di un contratto di riporto nel caso in cui un soggetto, che
disponga di titoli obbligazionari o di azioni che non vuole alienare, abbia la necessità di denaro liquido.
Con il riporto questo soggetto entra in possesso della somma di denaro di cui ha necessità e la
controparte, normalmente una banca, è a sua volta tutelata dalla proprietà dei titoli e può trarre profitto
dalla differenza realizzabile nel momento in cui i titoli saranno "riportati" in proprietà dell'alienante alla
scadenza del termine pattuito. Secondo autorevole dottrina, sta nella possibilità di esercitare il diritto di
voto inerente alle azioni di società l'interesse pratico che le banche hanno per tale figura contrattuale. Le
banche possono così garantirsi una certa influenza nelle assemblee,a differenza del singolo azionista che
da solo ha scarsa possibilità di incidere sulla vita sociale. L'azionista, a sua volta, tramite il riporto può
ottenere, oltre al compenso per la temporanea privazione dei titoli, il riacquisto ad un prezzo diminuito, in
considerazioni delle avvenute oscillazioni del valore del titolo dato a riporto.
Il contratto di riporto può essere altresì stipulato per speculare sulle variazioni delle quotazioni tra il
momento dell'accensione del riporto e quello della sua estensione.
Distinto dal riporto è il c.d. "riporto proroga", un'operazione contrattuale che si caratterizza per l'accordo
delle parti nel prorogare l'esecuzione di un contratto a termine ex art. 1535 c.c. con la conseguenza che
non potendo o non volendo far luogo alla consegna dei titoli, il compratore, il quale li dovrebbe riceverli,
concorda il rinvio della consegna dando a riporto all'altra parte quei titoli che questa gli dovrebbe
consegnare. Nel qual caso il contratto, diversamente dal riporto tout court è un contratto consensuale non
facendosi luogo ad alcuna consegna di titoli.
Riferimenti normativi:
Codice Civile, articoli da 1548 a 1551.
(Sommario)
1. Natura del contratto
Focus Giurisprudenziale
La giurisprudenza analizza il contratto di riporto sotto molteplici profili. In ordine alla natura del contratto,
una risalente pronuncia della Cassazione mette in rilievo la sua qualità di negozio giuridico complesso
configurante una doppia vendita, la prima a pronti di titoli di credito dal riportato al riportatore, e la seconda
quale retrovendita a termine di altrettanti tioli della stessa specie. La dottrina, peraltro, contesta tale
impostazione evidenziando l'unitarietà del contratto di riporto il quale produce un trasferimento immediato
della proprietà dal riportato al riportatore. (effetto reale contestuale) e crea al tempo stesso l'obbligo per il
riportatore di trasferire altrettanti titoli al riportato (effetto obbligatorio successivo). Di conseguenza, non si
tratta di una doppia vendita ed è propriamente nel nesso di interdipendenza tra i due trasferimenti che va
rinvenuto l'elemento causale del contratto di riporto e che lo distingue dall'insieme di due contratti di
compravendita collegati tra loro. Si potrebbe affermare che il riporto vale a conferire unitarietà causale,
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dunque negoziale al collegamento negoziale tra due vendite.
§ Sulla natura del contratto
Corte di Cassazione, Sezione I, 27 maggio 1975, n. 2127
Contratti singoli - contratti tipici - riporto - natura - negozio complesso - fallimento - legge fallimentare applicabilità
Data la natura del contratto di riporto quale negozio giuridico complesso, comprendente una vendita a
pronti di titoli di credito dal riportato al riportatore ed una retrovendita a termine di altrettanti titoli della
stessa specie, l'art. 76 della l. fallimentare, che disciplina gli effetti della dichiarazione di fallimento sui
contratti di borsa a termine, si applica anche al contratto di riporto e più analiticamente, alla vendita a
termine che di esso fa parte, con la conseguenza che l'eventuale eccedenza del valore dei titoli, nel
momento della dichiarazione di fallimento del riportato, rispetto al prezzo contrattuale deve essere versata
dal riportatore al fallimento. (Sommario)
2. Il c.d. riporto staccato e la revoca del mandato all'istituto di credito
Focus giurisprudenziale
La pratica commerciale ha prodotto la particolare figura contrattuale del riporto c.d. staccato. Tale contratto
si caratterizza quale combinazione di due operazioni una di acquisto e una di vendita di titoli, effettuate
contemporaneamente, ma per scadenze diverse, allo scopo di prorogare una posizione in titoli senza
ricorrere alla stipulazione di un contratto di riporto. Il riporto staccato può configurarsi con: la combinazione
di un contratto a pronti con un contratto a termine fermo di segno opposto; la combinazione di due contratti
a termine di segno opposto stipulati con scadenze differenti. Si ricorre al riporto staccato, in alternativa al
riporto ordinario, principalmente per eliminare l'onere connesso all'esborso dello scarto di garanzia, oppure
quando non è possibile reperire una contropartita per la stipulazione di un contratto di riporto o quando tale
contratto è considerato più oneroso del riporto staccato. La differenza tra il prezzo dell'operazione a
contanti o a fine corrente e prezzo dell'operazione a fine prossimo viene denominato "stacco" ed è nella
maggior parte dei casi più elevata degli interessi correnti sul riporto. La giurisprudenza ha esaminato detta
operazione contrattuale in relazione al rapporto tra cliente ed istituto di credito evidenziando che per
determinare la revoca del mandato ad eseguire operazioni speculative, affidato mediante lo strumento del
c.d. riporto staccato, è necessario un comportamento secondo gli usi di borsa consenta di ravvisare la
revoca del mandato stesso, come il formale invito a desistere da ulteriori operazioni.
§ Sul c.d riporto staccato e la revoca del mandato all'istituto di credito
Corte di Cassazione Sezione 1 Civile Sentenza del 14 giugno 1990, n. 5845
Contratti singoli - contratti tipici - riporto - in genere - cosiddetto riporto "staccato" - revoca del mandato
all'istituto di credito - requisiti.
Il conferimento ad un istituto di credito del mandato continuativo ad eseguire operazioni speculative in
borsa mediante lo strumento del c.d. "riporto staccato" e cioè allo scoperto, regolandosi in contanti solo la
differenza fra i prezzi di acquisto e quelli di vendita dei titoli, con la registrazione della differenza medesima
nel conto corrente aperto a nome del mandante, a tale specifico fine non può ritenersi revocato per effetto
della sola inerzia del cliente che ometta la restituzione con sottoscrizione dei fissati bollati inviatigli in
relazione alle operazioni compiute, esigendosi, all'opposto, un comportamento che, secondo le regole
codicistiche del mandato e, più puntualmente, secondo gli usi di borsa, consenta di ravvisare la revoca del
mandato stesso, come il formale invito a desistere da ulteriori operazioni, seguito dal disconoscimento
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specifico di quelle ciò nonostante effettuate e comunicate con l'invio dei documenti suddetti, o, quanto
meno la contestazione dell'estratto del conto corrente contenente le relative annotazioni, fermo restando,
comunque, che, conformemente alla caratteristica propria di operazioni siffatte, la cessazione del descritto
rapporto implica la chiusura dello stesso conto ad esse strumentale, accompagnata dal pagamento dei
titoli acquistati o trattenuti per successiva negoziazione. (Sommario)
3. La consegna dei titoli, le istruzioni e gli ordini alla banca, il riporto
consensuale
Focus giurisprudenziale
L'art. 1549 c.c. inquadra esplicitamente il riporto tra i contratti reali. Essi si perfezionano con la consegna
della res nel senso che oltre al consenso delle parti, l'ordinamento richiede per la venuta in esistenza del
un ulteriore elemento di perfezione, appunto la consegna. In relazione al riporto la giurisprudenza ha da
sempre inteso non necessaria, purché ne esistano i presupposti che la rendano possibile, la consegna
effettiva dei titoli. Così come non è prevista una forma legale per la validità del contratto di riporto. Anzi,
nei rapporti commerciali, è frequente il collegamento del riporto con altre forme contrattuali, ad esempio
nel contesto di più ampie operazioni bancarie; ne consegue un approccio della giurisprudenza volto a
valorizzare le prassi e gli usi delle operazioni di borsa. Infine, può essere opportuno precisare che lo
schema contrattuale astratto del contratto di riporto di borsa è costituito non soltanto dal paradigma
normativo del codice civile ma anche dalle disposizioni in tema di contratti di borsa e dagli usi ad essi
relativi.
§ La consegna dei titoli, le istruzioni e gli ordini alla banca, il riporto consensuale
Corte di Cassazione Civile, Sezione I, 15 novembre 1969, n. 3727
Contratti singoli - contratti tipici - riporto - contratto reale - perfezionamento - consegna dei titoli effettività.
Per la perfezione del contratto di riporto può prescindersi dalla consegna effettiva dei titoli allorché
sussistano i presupposti della traditio brevi manu o del costituto possessorio.
Corte di Cassazione Civile, Sezione I del 29 gennaio 1982, n. 575
Contratti singoli - contratti tipici - riporto - istruzioni e ordini alla banca - forma scritta - non richiesta operazioni di borsa.
Non è richiesta la forma scritta per le istruzioni e gli ordini che di volta in volta il cliente impartisce alla
banca per operazione di borsa (compravendita di titoli, riporti) da compiere per suo conto. Pertanto, gli usi
bancari che riconoscono all'accordo orale delle parti una netta prevalenza rispetto ai "fissati bollati" ed ai
"foglietti provvisori" ai fini della perfezione e validità del contratto, sono conformi al principio secondo cui il
mandato in genere, e quindi anche la commissione, non appartiene al novero dei contratti formali.
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 28 maggio 1998, n. 5295
Contratti singoli - contratti tipici - riporto - consegna - riporto consensuale - contratti di borsa - usi applicabili.
Lo schema contrattuale astratto del contratto di riporto di borsa è costituito non soltanto dal paradigma
normativo fissato dal codice, ma anche dalle disposizioni in tema di contratti di borsa e dagli usi ad essi
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relativi (Nella specie la Suprema Corte con riferimento ad una fattispecie contrattuale in cui il riportatore,
con sede in Svizzera, aveva sostenuto che il contratto di riporto su titoli stipulato con un agente di cambio
italiano doveva ritenersi concluso in Svizzera poiché perfezionandosi il negozio de quo con la "consegna
dei titoli" ex art. 1549 c.c., tale consegna sarebbe dovuta avvenire appunto, in territorio elvetico, sede del
riportatore. La Suprema Corte nell'affermare il principio di diritto di cui in massima, ha, invece, ritenuto la
legittimità della consegna dei titoli in Italia, attraverso il meccanismo della stanza di compensazione, con
conseguente perfezionamento del contratto in territorio nazionale). (Sommario)
4. Contratto di riporto e fallimento
Focus giurisprudenziale
Inquadrando il riporto tra i contratti di borsa, la giurisprudenza assoggetta alla disciplina dell'art. 76 della
legge fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267) anche detta figura contrattuale evidenziando
che alla data del fallimento il contratto di riporto è soggetto a scioglimento. Tale conseguenza viene altresì
estesa alla procedura concorsuale della liquidazione coatta amministrativa in applicazione del rinvio
contenuto nella citata legge fallimentare. Peraltro, è possibile l'esclusione dell'esercizio della revocatoria
fallimentare del contratto di riporto soltanto nell'ipotesi in cui il contratto sia stato concluso nell'anno
anteriore al fallimento.
Corte di Cassazione Sezione 1 Civile Sentenza del 10 marzo 1975, n. 882
Contratti singoli - contratti tipici - riporto - fallimento - effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti contratto di borsa - contratto di riporto
Il contratto di riporto (nella specie, stipulato con una banca) rientra fra i contratti di borsa a termine dei
quali l'art. 76 della legge fallimentare prevede lo scioglimento alla data del fallimento. Tale scioglimento si
verifica anche nell'ipotesi di liquidazione coatta amministrativa, in applicazione del generico rinvio
contenuto nell'art. 201 della legge medesima, e lo scioglimento del rapporto produce la conseguenza,
prevista dalla legge, della liquidazione dei debiti e dei crediti.
Corte d'Appello Roma Sentenza del 5 dicembre 1989
Contratti singoli - contratti tipici - riporto - fallimento - effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai
creditori - azione revocatoria fallimentare - contratto di riporto - esperibilità - limiti.
L'esclusione dell'esercizio della revocatoria fallimentare del contratto di riporto (art. 5 r.d.l. n. 1607/32), può
ritenersi applicabile soltanto all'ipotesi di contratto concluso nell'anno anteriore alla dichiarazione
fallimentare (art. 67, comma 2, legge fallim.) e non risulta, viceversa, applicabile nel caso (art. 67, comma
1, n. 1, legge fallim.) di atto a titolo oneroso caratterizzato dalla sproporzione delle prestazioni.
Contratti singoli - contratti tipici - riporto - fallimento - azione revocatoria fallimentare
In caso di fallimento di una delle parti del contratto di riporto, per stabilire se fra le prestazioni del fallito e
quelle del contraente "in bonis" vi sia o non notevole sproporzione, agli effetti della revocatoria di cui all'art.
67, primo comma, n. 1, della legge fallimentare occorre porre a raffronto il corrispettivo del primo scambio
e quello del secondo, valutando l'entità della differenza eventualmente esistente, atteso che soltanto
questa, attesa l'unitaria struttura del contratto -ancorché articolato in un doppio scambio di titoli-, viene
definitivamente acquisita al patrimonio dell'una o dell'altra parte e risulta essere, con riguardo alle
prestazioni in sinallagma, il costo dell'operazione. (Sommario)
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DEONTOLOGIA PROFESSIONALE
Stop al legale "complice"
Carmelo Padalino, Il Sole 24 Ore del lunedì Norme e Tributi 4 luglio 2011 - Pagina 12
È contrario ai doveri deontologici e non ha nulla a che vedere con la tutela del legittimo diritto di difesa del
cliente il comportamento dell'avvocato che si adoperi al fine di consentire all'assistito, in causa con la propria
moglie, di vendere la casa familiare, vanificando, in tal modo, il diritto delle figlie minori di abitarvi e
sottraendo l'unica possibile fonte di soddisfacimento dei loro diritti familiari.
Tale principio è stato affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione, sentenza 26 maggio 2011 n. 11564,
che hanno confermato la sospensione di cinque mesi dall'esercizio della professione forense nei confronti di
un avvocato che, con il proprio comportamento scorretto (attuato, anche, mediante corrispondenza con il
collega di controparte, funzionale alla necessità di far trascorrere il tempo), aveva consentito, da un lato, alla
società di cui era titolare di quote societarie (e di cui la figlia era amministratrice) di acquistare un immobile
del proprio cliente a un prezzo inferiore a quello di mercato, e, dall'altro, aveva agevolato il marito, in
pendenza di una controversia con la moglie, a disfarsi dell'immobile adibito a casa familiare, vanificando il
diritto delle due figlie minori ad abitarvi, poiché la citata società, subito dopo l'acquisto, aveva avviato la
procedura di rilascio nei confronti della moglie e delle figlie con lei conviventi.
La pronuncia si inquadra nel solco di quell'orientamento in base al quale l'esercizio della professione forense
nelle procedure in cui sono coinvolti i minori (in generale nelle procedure familiari) richiede il possesso di
«competenze adeguate alla particolarità e alla delicatezza della funzione da assolvere» (Corte
costituzionale, sentenza 22 giugno 2004 n. 178).
Ciò significa che l'avvocato, in tali procedure, ha il dovere di assolvere la propria funzione con lealtà e
correttezza, considerato che egli rappresenta, dopo la crisi familiare, il primo referente dei genitori e
costituisce il canale di collegamento tra questi e l'autorità giudiziaria, in quanto veicola le domande delle parti
e prospetta la vicenda familiare nei termini ritenuti più opportuni. Ne consegue che la conflittualità dei coniugi
potrebbe aumentare o diminuire a seconda del parere reso dal legale, ovvero del comportamento assunto
nella gestione del conflitto coniugale.
In questa materia, compito primario dell'avvocato è quello di responsabilizzare i coniugi, sollecitandoli a
rispettare il dovere di leale cooperazione e collaborazione nell'accertamento dei fatti rilevanti ai fini della
decisione (sia in ordine alle esigenze economiche e personali dei figli, sia alla determinazione delle loro
capacità patrimoniali), fino al punto di fornire in giudizio anche elementi contrari al proprio personale
interesse, in applicazione del principio di responsabilità genitoriale (che rappresenta uno dei criteri
informatori del diritto di famiglia e minorile). D'altra parte, le peculiarità delle regole che disciplinano gli oneri
processuali delle parti differenziano i processi matrimoniali da ogni altro processo civile e il temperamento
del diritto di difesa, garantito a ogni parte ai sensi dell'articolo 24 della Costituzione, trova fondamento in altri
valori costituzionali, indicati dagli articoli 29 e 30.
Non solo le parti, ma anche i loro difensori hanno un obbligo di lealtà ulteriore rispetto a quello previsto
dall'articolo 88 del Codice di procedura civile; un onere di trasparenza che impone a ciascuno dei genitori di
palesare la propria posizione economica e personale, senza potersi trincerare dietro lo scudo del diritto di
difesa.
Un forte richiamo ai doveri dell'avvocato al fine di garantire una gestione civile del giudizio di separazione
personale dei coniugi è contenuto in una recente pronuncia della corte d'appello di Cagliari (ordinanza 26
marzo 2011), secondo cui, nell'interesse dell'equilibrio psicofisico dei figli minori, sarebbe necessario che
nessuno dei coniugi si radicasse nella difesa della propria presunta ragione e della certezza dell'altrui torto:
«riconoscere in tali termini il conflitto sarebbe l'unico presupposto che, con una accorta attività dei difensori
ed un aiuto efficace dei servizi sociali competenti, potrebbe portare ad una auspicabile definizione
conciliativa della controversia o, quanto meno, ad una civile gestione della stessa» (in quel caso, i coniugi
erano animati da un reciproco rancore che superava la normale instabilità emotiva che seguiva alla
separazione).
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19
GLI APPROFONDIMENTI DI LEX24
RISARCIMENTO DEL DANNO
La responsabilità genitoriale nel diritto comunitario
di Cristina Caricato, Responsabilità civile - Percorso operativo (Lex24), 1 luglio 2011
Sommario
Nozioni
Le norme comunitarie e il diritto europeo.
La normativa interna.
Conclusioni.
Nozioni
La potestà genitoriale (o responsabilità genitoriale) è quel complesso di diritti e di doveri, che la legge
riconosce ai genitori sui figli minori nel loro esclusivo interesse. Essa è disciplinata dal Titolo IX del Libro
Primo del codice civile agli artt. 315-337. Alla potestà dei genitori sono sottoposti tutti i figli minori non
emancipati, siano essi legittimi, legittimati, adottivi o naturali: tali soggetti sono infatti incapaci di agire e per
tale motivo i genitori si sostituiscono ai propri figli esercitando, da un lato, i poteri finalizzati alla loro cura ed
educazione, dall'altro, i poteri di rappresentanza e di gestione degli interessi economici di cui i minori siano
titolari.
Nell'ordinamento italiano la potestà genitoriale è di regola attribuita a entrambi i genitori (art. 316, 2° comma,
c.c.). In mancanza di essi, per sopravvenuta morte o per decadenza dalla potestà genitoriale (art. 330 c.c.),
spetta al tutore, nominato dal Tribunale, che provvede alla cura della persona del minore e ne amministra i
beni.
Prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, la potestà genitoriale competeva al solo padre: si parlava
pertanto di patria potestà. Attualmente -soprattutto grazie alle sollecitazioni provenienti dalle legislazioni di
altri paesi e ai risultati raggiunti a livello comunitario ed europeo- alla locuzione "potestà genitoriale" si tende
a preferire quella che fa riferimento alla "responsabilità genitoria", quasi a volere sottolineare che, anche
sotto il profilo terminologico, l'attenzione si è spostata dall'aspetto del potere a quello del dovere.
La potestà genitoriale è, difatti, funzionalizzata alla cura degli interessi personali e patrimoniali del figlio. Da
un lato, con riguardo alla personalità del minore, il genitore ha un potere-dovere di cura, di educazione, di
formazione e di vigilanza; dall'altro, con riguardo all'amministrazione dei beni del minore ed alla sua
rappresentanza, vige la regola per cui gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti
disgiuntamente da ciascun genitore, laddove quelli di straordinaria amministrazione richiedono
l'autorizzazione del giudice tutelare (art. 320 c.c.).
Il tema risulta oggi valorizzato dalla particolare attenzione che esso ha ricevuto sia da parte di regolamenti
comunitari, sia nell'ottica dell'armonizzazione del diritto europeo della famiglia, sia ancora in nuove norme di
diritto interno.
Norme di riferimento
- Costituzione, art. 30
- Codice civile, artt. 147-148, 155-bis - 155-sexies, 315-337
- Codice di procedura civile, art. 709-ter
(Sommario)
20
Le norme comunitarie e il diritto europeo
Sotto il profilo del diritto comunitario, infatti, il 1° marzo 2005 è entrato in vigore il regolamento CE n.
2201/2003, del Consiglio, del 27 novembre 2003 (c.d. Bruxelles II-bis), relativo alla competenza, al
riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità
genitoriale (in G.U.U.E. L 338 del 23 dicembre 2003, pp. 1-29), che ha abrogato il regolamento CE n.
1347/2000, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia
matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, (in G.U.U.E. L 160 del 30
giugno 2000, p. 19), e, pur ispirandosi ai medesimi principi di quest'ultimo, ha proposto una disciplina
normativa più approfondita e un ambito di applicazione più ampio, che si estende, tra l'altro, anche alle
cause in materia di responsabilità genitoriale su figli minori di coppie non coniugate.
Il 5° considerando del suddetto regolamento ne chiarisce l'ambito di applicazione comprensivo di "tutte le
decisioni in materia di responsabilità genitoriale, incluse le misure di protezione del minore,
indipendentemente da qualsiasi nesso con un procedimento matrimoniale", come meglio posto in luce
dall'art. 1 del regolamento citato. L'obiettivo dichiaratamente perseguito è quello di predisporre uno
strumento unico in materia matrimoniale e di responsabilità dei genitori.
Il regolamento del 2000 riguardava solo le questioni -nascenti in occasione dello scioglimento del vincolo
coniugale- concernenti la responsabilità dei coniugi sui figli di entrambi. Il regolamento Bruxelles II-bis
rimuove tali limitazioni, applicandosi a ogni controversia riguardante la responsabilità dei genitori sui figli,
anche se non di entrambi i coniugi e indipendentemente da quando essa sorga, quindi pure se, come detto,
non dipenda da un procedimento di divorzio.
Inoltre, il regolamento abrogato non conteneva una definizione di potestà (rectius, responsabilità) genitoriale
e si riteneva che essa dovesse essere determinata con riferimento alla lex fori, con il rischio di pregiudicare
l'interpretazione uniforme del campo applicativo del regolamento. Ora l'art. 2 n. 7 del regolamento n.
2201/2003 definisce la responsabilità genitoriale come "i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o
giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i
beni di un minore. Il termine comprende, in particolare, il diritto di affidamento e il diritto di visita".
Sotto il profilo dell'armonizzazione del diritto europeo, all'inizio del 2007 la Commission on European Family
Law (CEFL) ha presentato i principi di diritto europeo della famiglia sulla responsabilità genitoria, volti a
favorire il processo di armonizzazione in tale materia.
Anch'essi contengono una definizione di responsabilità genitoria, intesa come "l'insieme di diritti e doveri
finalizzati a soddisfare e garantire l'interesse del minore. Essa comprende in particolare: a) la cura, la tutela
e l'educazione; b) la conservazione dei rapporti personali; c) la fissazione della residenza; d)
l'amministrazione del patrimonio e e) la rappresentanza legale" (Principio 3:1), il cui contenuto risulta meglio
specificato nel Capitolo 5 (Principi da 3:19 a 3:24).
Norme di riferimento
- Regolamento CE n. 2201/2003, del Consiglio, del 27 novembre 2003, art. 2
- Principi della Commission on European Family Law (CEFL), 3:19-3:24
(Sommario)
La normativa interna
Sotto il profilo del diritto interno l'emanazione di nuove norme relative al rapporto tra genitori e figli ha
condotto a una interpretazione (anche delle norme già esistenti) tendente a valorizzare il profilo della
responsabilità rispetto a quello del potere.
Di recente, la riforma che ha introdotto la regola dell'affidamento condiviso dei figli in tutte le ipotesi di crisi
della famiglia (l. 54/2006), ha accentuato il contenuto di responsabilità che connota la nozione di potestà.
21
Focus giurisprudenziale
Il rinnovato interesse per le forme con le quali deve esercitarsi, nelle sue concrete modalità, la pari
responsabilità, che già la legge sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio (art. 6, l. div.) e ancora
prima la Costituzione (art. 30) riconosceva, e ora la nuova normativa sull'affidamento condiviso impone ai
genitori, a prescindere dalla disgregazione del loro rapporto, nasce dalla necessità di assicurare al genitore
che rimane necessariamente più al di fuori della vita dei figli (in quanto non collocatario) una concreta
partecipazione alla vita degli stessi, allo scopo di garantire la realizzazione del diritto del minore alla
"bigenitorialità", prevedendo così ulteriori e diverse modalità con le quali il genitore che non convive
abitualmente con il figlio può porsi su un piano di eguaglianza.
Ad esempio, di recente, la giurisprudenza ha riconosciuto il danno patrimoniale sofferto da due sorelle
gemelle, che -a causa del disinteresse del padre nei loro confronti a seguito della morte della madre
suicidatasi un mese e mezzo dopo la loro nascita- erano state cresciute e mantenute da parenti, costrette
per tale motivo a separarsi.
Trib. Lecce, sezione Maglie, 3 settembre 2008
Famiglia, maternità ed infanzia - Filiazione legittima - Potestà dei genitori - Violazione dei doveri di padre Responsabilità per danno morale - Risarcibilità - Fattispecie.
Il contegno del padre, consistente nell'assoluto disinteresse per la crescita delle due figlie gemelle,
allontanate dal nucleo familiare e reciprocamente separate -pur tutto questo in seguito alla morte improvvisa
e tragica della madre e alla conseguente situazione di disagio del padre rimasto solo con altri figli- è
sicuramente fonte di responsabilità dello stesso e del conseguente diritto al risarcimento del danno non
patrimoniale a favore delle due figlie.
Al tema della responsabilità genitoria può, infine, connettersi l'art. 709-ter c.p.c., di recente introdotto dalla
legge sull'affidamento condiviso dei figli (l. 54/2006), il cui 2° comma, dopo avere statuito che "a seguito del
ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni", prevede che, in ipotesi di gravi
inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento
delle modalità dell'affidamento, il giudice può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche
congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un
minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
La norma sembra predisporre un "crescendo" di reazioni alle inadempienze o agli atti pregiudizievoli al
minore o di ostacolo allo svolgimento delle modalità di affidamento, che il giudice può adottare nei confronti
del genitore, a partire dalla semplice "ammonizione", idonea a creare un "precedente" di rilievo "storico
processuale" sino a giungere alla "sanzione amministrativa pecuniaria", limitata nel massimo a euro
5.000,00, da versarsi alla Cassa delle ammende, in ipotesi particolarmente gravi di ostinato e ostentato
inadempimento alle disposizioni del giudice, favorendo un clima di "pressione all'adempimento". A metà
strada si pongono le misure del risarcimento del danno a carico di uno dei genitori nei confronti del figlio
ovvero nei confronti dell'altro genitore.
Tutte queste misure testimoniano un accentuata responsabilizzazione dei genitori e, dunque, il compimento
di un processo di evoluzione della potestà.
Focus giurisprudenziale
22
La giurisprudenza ha affermato che l'iniziativa unilaterale di uno dei genitori di trasferirsi all'estero con la
prole costituisce comportamento valutabile ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c.
App. Venezia, decr. 17 settembre 2007
Matrimonio - Separazione e divorzio - Applicazione dell'art. 709-ter c.p.c. - Trasferimento della residenza Modifica delle condizioni - Trasferimento all'estero di uno dei genitori con la prole - Comportamento
valutabile ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. - Ammissibilità - Allontanamento della figlia dall'altro genitore - Atto
pregiudizievole - Oggettivo ostacolo all'esercizio delle modalità dell'affidamento - Configurabilità
L'unilaterale iniziativa di uno dei genitori (nella specie: la madre) di trasferirsi all'estero con la figlia minore
costituisce un comportamento valutabile ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c., stante l'ampia previsione della citata
disposizione normativa, finalizzata a dirimere i contrasti sull'esercizio della potestà genitoriale ovvero riferibili
alle modalità dell'affidamento e/o all'irrogazione delle sanzioni conseguenti alle inadempienze ed alle
condotte pregiudizievoli dei genitori. Ciò in quanto, per un verso, l'allontanamento della minore costituisce un
oggettivo ostacolo all'esercizio delle modalità dell'affidamento (se non altro condizionando significativamente
l'esercizio del diritto-dovere spettante al genitore non collocatario), e, per altro verso, non apparendo
contestabile che il significativo diradarsi degli incontri col padre concreti un pregiudizio per la minore.
In alcuni casi, la giurisprudenza si è limitata all'ammonimento del genitore che ponga in essere
comportamenti ostruzionistici, volti ad ostacolare il corretto svolgimento del rapporto padre-figli (l'ordinanza
conferma, in ipotesi di perdurante inadempienza, l'applicabilità delle più gravi sanzioni previste dall'art. 709ter c.p.c.):
Trib. Catania, ord. 11 luglio 2006
Separazione e divorzio - Effetti riguardo ai figli - Affidamento - Assegnazione casa familiare
In ipotesi di comportamenti posti in essere dalla madre e volti a impedire di tenere con sé la prole, il giudice
deve ammonire il genitore inadempiente ad astenersi da tale condotta, altamente pregiudizievole per il
corretto sviluppo dei rapporti padre-figli, la quale potrà in prosieguo, ove perdurante, comportare l'adozione
delle misure previste dall'art. 709-ter c.p.c.
Ancora, ammonisce il genitore che rifiuti di concordare con l'altro la data in cui quest'ultimo potrà prelevare la
figlia per il periodo estivo, adducendo la decadenza da tale diritto per l'inutile decorso del termine fissato dal
tribunale per l'accordo tra i genitori:
App. Catania, ord. 18 febbraio 2010
Separazione personale - Sentenza di secondo grado - Controversie insorte tra i genitori in ordine
all'esercizio delle modalità dell'affidamento - Vacanze estive - Termine per l'accordo tra i genitori - Natura
perentoria - Esclusione.
In tema di esercizio delle modalità dell'affidamento dei figli, il termine, fissato dal giudice della separazione,
entro il quale i coniugi devono concordare il periodo di vacanze estive che il figlio trascorrerà con il genitore
non collocatario non ha natura perentoria e serve solo ad attenuare, ponendo una regola, i conflitti tra le
parti, tutelando, non tanto le esigenze del minore, quanto quelle del genitore collocatario a organizzare il
proprio tempo, conoscendo, tempestivamente, il periodo in cui non dovrà occuparsi del figlio. Ne discende
che deve essere ammonito il genitore che rifiuti di concordare con l'altro la data in cui quest'ultimo potrà
prelevare la figlia per il periodo estivo, adducendo la decadenza da tale diritto per l'inutile decorso del
termine fissato dal tribunale per l'accordo tra i genitori.
Applica l'art. 709-ter c.p.c. a carico della madre, presso cui -in regime di affido condiviso- era collocato il
figlio minore, tenuto conto anche dei diversi mutamenti del luogo di residenza della stessa:
App. Napoli, 12 dicembre 2008
23
Separazione di coniugi - Minore - Affido condiviso - Genitore collocatario - Luogo di residenza - Mutamento
non autorizzato - Collocamento presso l'altro genitore - Interesse del minore - Fattispecie.
In tema di separazione dei coniugi, il mutamento del luogo di residenza del genitore presso cui sono collocati
i figli minori, senza il consenso dell'altro ovvero senza l'autorizzazione giudiziale, pur in regime di
affidamento condiviso, può comportare - ove il giudice riscontri che ciò corrisponda all'interesse dei minori - il
collocamento degli stessi presso l'altro genitore (nella specie, la corte d'appello ha revocato il collocamento
del minore preadolescente presso la madre, che aveva cambiato comune di residenza, trasferendolo presso
il padre, sul rilievo che questi poteva accudirlo più compiutamente, con l'aiuto dei familiari, tenuto anche
conto dei gravosi impegni lavorativi della madre). (Sommario)
Conclusioni
Anche se la portata delle norme interne e comunitarie sopra richiamate (così come dei Principi elaborati
dalla CEFL) non può essere ignorata, è opportuno tuttavia non enfatizzare eccessivamente, considerandolo
quasi "una rivoluzione", il menzionato passaggio dalla "potestà" alla "responsabilità" genitoria, quasi che in
precedenza la potestà non implicasse necessariamente una responsabilità in capo ai suoi titolari. La
capacità innovativa in siffatta materia deve essere probabilmente individuata nella differente ottica di tale
potere-dovere all'interno di un processo di democratizzazione della famiglia con il progressivo mutamento
dei valori alla sua base. Invero, occorre prendere coscienza del contenuto non autoritario della potestà dei
genitori: già in tempi ormai lontani, attenta dottrina (C.M. Bianca, Le autorità private, Napoli, 1977, p. 9 ss.)
aveva posto in luce come la potestà dei genitori deve essere intesa soprattutto "in senso funzionale", cioè
come strumento per realizzare l'interesse del minore. Se ciò è vero, il profilo della responsabilità non
rappresenta una novità e ci si può limitare a rilevare come la nuova locuzione valga a valorizzare il profilo
"funzionale" della potestà rispetto ad altri aspetti, pur importanti.
Il connotato di responsabilità insito nel concetto di potestà è stato colto anche dalla giurisprudenza, che ha
posto in luce tale apertura verso una concezione democratica dei rapporti familiari, esaltando sempre più
spesso il profilo funzionale della potestà su quello autoritario:
Cass., 4 gennaio 2005, n. 116
Affidamento dei figli minori - Rilevanza all'interesse morale e materiale della prole - Obblighi dei genitori.
In materia di affidamento dei figli minori il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio
fondamentale rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel
genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo, nei limiti consentiti da una situazione comunque
traumatizzante, i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo
possibile della personalità del minore. In tale prospettiva consegue, da un lato, che la stessa posizione del
genitore affidatario si configuri piuttosto che come un diritto, come un munus, e che la stessa
regolamentazione del cosiddetto "diritto di visita" del genitore non affidatario debba far conto del profilo per
cui un tale diritto si configuri esso stesso come uno strumento in forma affievolita o ridotta per l'esercizio del
fondamentale diritto-dovere di entrambi i genitori, di mantenere, istruire ed educare i figli, il quale trova
riconoscimento costituzionale nell'articolo 30, comma primo, della Costituzione, e viene posto, dall'articolo
147 c.c., fra gli effetti del matrimonio. (Sommario)
RISARCIMENTO DANNI
Danno automatico per violazione delle distanze legali
Corte di Cassazione, sez III, civ., sentenza 24 maggio 2011, n. 11382
SELEZIONE TRATTA DALLA BANCA DATI GIURIDICA LEX24
Edilizia ed urbanistica - Distanze legali - Proprietà e diritti reali - Proprietà edilizia - Realizzazione di una
terza corsia - Danni arrecati a un complesso edilizio - Istanza di risarcimento - Tutela in forma specifica e
tutela risarcitoria - Necessità - Danno - Sussistente - Attività probatoria - Irrilevante
in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello
stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia
24
la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia
quella risarcitoria; ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l'effetto
certo ed indiscutibile dell'abusiva imposizione di una servitu' nel proprio fondo, e quindi della limitazione del
relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprieta' medesima, deve
ritenersi sussistente senza necessita' di una specifica attivita' probatoria.
Corte di Cassazione, sez III, civ., sentenza 24 maggio 2011, n. 11382
***
Distanze - Inosservanza - Azione risarcitoria - Funzione. (Cc, articolo 872)
L'atto edificatorio del vicino in violazione delle norme, del codice o regolamenti comunali, sulle distanze, oltre
a ledere gli interessi pubblici sottesi alla disciplina concernente l'assetto del territorio, pone in essere
un'attività edilizia eccedente quanto è previsto, nei rapporti tra confinanti, dalla normativa conformativa del
diritto di proprietà, sicché il privato che, nei confronti dell'edificante illegittimo, lamenti la lesione della sua
sfera proprietaria, ha diritto, ai sensi dell'articolo 872, comma 2, del Cc, a una doppia tutela: all'eliminazione
dello stato di cose che si è illegittimamente creato e al risarcimento del danno patito medio tempore.
L'inosservanza delle distanze legali nelle costruzioni sui fondi finitimi costituisce per il vicino una limitazione
al godimento del bene, e quindi, all'esercizio di una delle facoltà che si riconnettono al diritto di proprietà: per
questo il danno è in re ipsa, perché l'azione risarcitoria è volta a porre rimedio all'imposizione di una servitù
di fatto e alla conseguente diminuzione di valore del fondo subita dal proprietario in conseguenza
dell'edificazione illegittima del vicino, per il periodo di tempo anteriore all'eliminazione dell'abuso. (M.Pis.)
(Repertorio24 - PUBBLICAZIONE: Il Sole 24 Ore,Guida al Diritto, 2011, 18, pg. 48)
Corte di Cassazione, sez. II, civ., sentenza del 16 dicembre 2010, n. 25475
Proprieta' - Distanze nelle costruzioni - Prova del danno
Il danno conseguente alla violazione delle norme del cod. civ. e integrative di queste, relative alla distanze
nelle costruzioni, si identifica nella violazione stessa, determinando quest'ultima un asservimento di fatto del
fondo del vicino, al quale, pertanto, compete il risarcimento senza la necessità di una specifica attività
probatoria (nella specie la Suprema Corte, sulla base di tale principio, ha cassato senza rinvio la sentenza
d'appello che - nel presupposto della mancata prova del danno - aveva rigettato la domanda di condanna
generica al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, ed ha deciso nel merito su detta
domanda, accogliendola).
Corte di Cassazione, sez. II, civ., sentenza del 25 settembre 1999, n. 10600
Norme di edilizia - Violazione - Risarcimento dela danno
Il danno conseguente alla violazione delle norme del codice civile e integrative di queste relative alle
distanze nelle costruzioni si identifica nella violazione stessa, costituendo un asservimento "de facto" del
fondo del vicino al quale, pertanto, compete il risarcimento senza la necessita` di una specifica attivita`
probatoria,. Nel caso, invece, di violazioni di norme speciali di edilizia non integrative della disciplina del
codice, mancando un asservimento di fatto del fondo contiguo, il proprietario di questo e` tenuto a fornire
una prova precisa del danno, sia in ordine alla sua potenziale esistenza che alla sua entita` obiettiva, in
termini di amenita`, comodita`, tranquillita` ed altro.
Corte di Cassazione, sez. II, civ., sentenza del 15 dicembre 1994, n. 10775
***
Immobili & Diritto 1 giugno 2009, N. 6 pg. 40 (Campanile Valeria)
Distanze legali: un elemento di equilibrio nell'interesse della società e dei privati
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Violenza contro la sfera sessuale - Circostanze del reato - Presupposti di configurabilità - Offesa alla
capacità di autodeterminazione delle vittima nella propria sfera più intima e riservata. (Cp, art. 609 bis)
E' imputabile del delitto di violenza sessuale il prevenuto che volutamente tocchi sulla natica la ragazza
(approfittando del fatto che la stessa, barista, fosse salita sulla scala per prendere una bottiglia di vino) e
scusandosi subito dopo, asserisca che era sua intenzione colpirla sulla coscia e che solo il movimento di
quest'ultima ne aveva deviato il colpo. Orbene, ritenuto che una pacca sulla coscia non può ritenersi meno
grave né meno offensiva rispetto ad una pacca sulla natica, ne consegue che si configura il reato di violenza
sessuale in tutti i casi in cui atti sessuali vengano in qualunque modo imposti offendendo la capacità di
autodeterminazione della vittima nella propria sfera più intima e riservata.
Corte d'Appello di Cagliari, Sez. 2, Sentenza 16 aprile 2011, n. 683
REATI CONTRO LA PERSONA
Anche una pacca sulla coscia può diventare violenza sessuale
Corte d'Appello di Cagliari, Sezione 2, Sentenza 16 aprile 2011, n. 683 - Rassegna di giurisprudenza
(Lex24)
Delitti contro la libertà personale - Violenza sessuale - Tipologie
Devono includersi nella nozione di atti sessuali tutti quegli atti indirizzati verso zone erogene idonei a
compromettere la libera determinazione della sessualità del soggetto passivo ed entrare nella sua sfera
sessuale con modalità connotate da costrizione. Anche una fuggevole pacca sul sedere può integrare il
soddisfacimento dell'istinto sessuale.
Corte di Cassazione, Sezione 3 Penale, Sentenza 3 luglio 2003, n. 28505
Violenza sessuale - Elemento oggettivo - Toccamenti e palpeggiamenti - Ipotesi di reato ex art. 609-bis c.p. Sussistenza.
Deve includersi nella nozione di atti sessuali il «palpeggiamento » delle natiche in quanto tale
comportamento costituisce una effettiva e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima e, sebbene
superficiale, integra una oggettiva manifestazione di sessualità.
Corte di Cassazione, Sezione 3 Penale, Sentenza 3 luglio 2003, n. 28505
Violenza sessuale, atti sessuali con o in presenza di minorenni, divulgazioni di generalità o immagine della
persona offesa - Violenza sessuale - Pacca sul sedere - Reato - Configurabilità.
II palpeggiamento delle natiche (anche di breve durata) costituisce atto sessuale che integra il reato di
violenza, in quanto l'autore commette un'effettiva e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, ed
essendo del tutto irrilevante, ai fini della consumazione, che il soggetto consegua o meno la soddisfazione
erotica.
Corte di Cassazione, Sezione 3 Penale, Sentenza 22 maggio 2003
CONTRA
Reati contro l'onore - Ingiuria - Occasionale e veloce pacca sul sedere - È tale - Violenza sessuale Esclusione.
La occasionale e veloce pacca sul sedere non può intendersi come atto avente valenza sessuale e,
pertanto, non può integrare il reato di violenza sessuale di cui all'articolo 609 bis del Cp bensì il reato di
ingiuria di cui all'articolo 594 del Cp laddove, in concreto, il gesto abbia leso l'onore e il decoro della persona
offesa.
Tribunale Crotone, Penale, Sentenza 10 luglio 2008, n. 136
Violenza sessuale - Nozione di atto sessuale - Isolata e repentina pacca sul sedere - Reato - Esclusione.
Un'isolata e repentina pacca sul sedere non integra gli estremi del reato di cui all'art. 609-bis, là dove non
emergano elementi per ritenere che il toccamento sia rappresentativo di un gesto di concupiscenza di natura
sessuale.
Corte di Cassazione, Sezione 5 Penale, Sentenza 23 gennaio 2001, n. 623
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Delitti contor la libertà personale - Violenza sessuale - Tipologie
Il gesto incriminato della isolata e repentina pacca sul sedere risulta pur sempre avere un'obiettiva incidenza
sulla sfera della riservatezza sessuale, ma in difetto di prova sull'intento propriamente libidinoso dell'agente,
esso risulta non punibile.
Corte di Cassazione, Sezione 5 Penale, Sentenza 23 gennaio 2001, n. 623
Violenza sessuale, atti sessuali con o in presenza di minorenni, divulgazione di generalità o immagine della
persona offesa - Atti di libidine - Pacca sul sedere - Reato - Esclusione - Fattispecie.
La condotta del dirigente pubblico che, abusando della sua posizione di superiorità gerarchica, palpeggia in
modo isolato e repentino il sedere della vittima, sua dipendente, non integra il reato (oggi abrogato) di atti di
libidine, se non vi è la prova che quel gesto sia di concupiscenza di natura sessuale.
Corte di Cassazione, Sezione 5 Penale, Sentenza 24 novembre 2000
È pacifico che in tema di condominio l'avviso di convocazione e la sua notifica non siano soggetti ad alcuna
prescrizione formale. La convocazione può essere compiuta in qualsiasi forma idonea e «l'esigenza che tutti
i condomini siano stati preventivamente informati può ritenersi soddisfatta quando risulti che, in qualunque
modo, i condomini ne abbiano avuto notizia» (Cassazione, 8449/2008); pertanto la convocazione
dell'assemblea può essere esperita anche con il telegramma purché contenga tutte le informazioni relative
all'assemblea (Tribunale di Catanzaro, sentenza 15 marzo 2011).
L'uso della forma scritta, salvo prescrizione specifica contenuta nel regolamento contrattuale di condominio,
assume quindi il ruolo di mezzo di prova della convocazione e non condizione di validità.
Un problema affrontato ora dalla Cassazione (sentenza 13488/2011) consiste nello stabilire se la produzione
in giudizio del telegramma o della raccomandata, anche senza l'avviso di ricevimento, costituisca prova certa
della spedizione e da essa consegua la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della
spedizione e di arrivo dell'atto al destinatario e della sua conoscenza da parte dello stesso e, se a fronte di
tale presunzione semplice, il destinatario potesse limitarsi, in giudizio, ad affermare genericamente di non
aver ricevuto l'atto o, invece, spetti al medesimo l'onere di dare la prova con qualsiasi mezzo di non avere
avuto notizia dell'atto senza sua colpa.
Nella fattispecie affrontata, si trattava in realtà di un telegramma inviato dal ricorrente danneggiato alla
controparte, per interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni (il ricorrente-danneggiato si
poneva l'ulteriore problema se l'atto di costituzione in mora, inviato al debitore con telegramma, poteva
costituire atto di interruzione della prescrizione).
La Corte ha ribadito che un telegramma (così come una raccomandata, anche senza avviso di ricevimento)
costituisce prova certa della spedizione, attestata dall'ufficio postale attraverso la relativa ricevuta.
Tutto questo, ovviamente, non dà luogo a una presunzione iuris et de iure di avvenuto ricevimento dell'atto,
essendo sempre possibile la specifica confutazione della circostanza e la prova contraria da parte di chi ha
interesse che deve fornire elementi di prova al riguardo (quali la circostanza che il plico non contenga alcuna
lettera o ne contenga una di contenuto diverso, l'assenza del destinatario dalla residenza o domicilio indicati
nel telegramma all'epoca della convocazione) o sollecitati accertamenti (presso gli uffici dell'amministrazione
postale) atti a verificare l'assunta mancata ricezione (nella fattispecie il danneggiante, dopo l'esibizione del
telegramma in giudizio ad opera del danneggiato, si era limitato a negare di avere ricevuto atti interruttivi
senza contestare la concreta rilevanza probatoria del telegramma).
In ambito condominiale vale lo stesso principio, nel senso che, qualora un condomino adducesse la mancata
convocazione e l'amministratore avesse dimostrato di aver convocato tutti i condomini con mezzo idoneo,
per i giudici di legittimità risulta irrilevante che un condomino, respingendo la raccomandata pervenutagli nei
termini, si sia posto in condizione di non poter conoscere la data di convocazione.
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CONDOMINIO
La raccomandata è prova dell'invio
Luana Tagliolini, Il Sole 24 Ore Norme e Tributi 4 luglio 2011 - Pagina 48
È pacifico che in tema di condominio l'avviso di convocazione e la sua notifica non siano soggetti ad alcuna
prescrizione formale. La convocazione può essere compiuta in qualsiasi forma idonea e «l'esigenza che tutti
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i condomini siano stati preventivamente informati può ritenersi soddisfatta quando risulti che, in qualunque
modo, i condomini ne abbiano avuto notizia» (Cassazione, 8449/2008); pertanto la convocazione
dell'assemblea può essere esperita anche con il telegramma purché contenga tutte le informazioni relative
all'assemblea (Tribunale di Catanzaro, sentenza 15 marzo 2011).
L'uso della forma scritta, salvo prescrizione specifica contenuta nel regolamento contrattuale di condominio,
assume quindi il ruolo di mezzo di prova della convocazione e non condizione di validità.
Un problema affrontato ora dalla Cassazione (sentenza 13488/2011) consiste nello stabilire se la produzione
in giudizio del telegramma o della raccomandata, anche senza l'avviso di ricevimento, costituisca prova certa
della spedizione e da essa consegua la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della
spedizione e di arrivo dell'atto al destinatario e della sua conoscenza da parte dello stesso e, se a fronte di
tale presunzione semplice, il destinatario potesse limitarsi, in giudizio, ad affermare genericamente di non
aver ricevuto l'atto o, invece, spetti al medesimo l'onere di dare la prova con qualsiasi mezzo di non avere
avuto notizia dell'atto senza sua colpa.
Nella fattispecie affrontata, si trattava in realtà di un telegramma inviato dal ricorrente danneggiato alla
controparte, per interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni (il ricorrente-danneggiato si
poneva l'ulteriore problema se l'atto di costituzione in mora, inviato al debitore con telegramma, poteva
costituire atto di interruzione della prescrizione).
La Corte ha ribadito che un telegramma (così come una raccomandata, anche senza avviso di ricevimento)
costituisce prova certa della spedizione, attestata dall'ufficio postale attraverso la relativa ricevuta.
Tutto questo, ovviamente, non dà luogo a una presunzione iuris et de iure di avvenuto ricevimento dell'atto,
essendo sempre possibile la specifica confutazione della circostanza e la prova contraria da parte di chi ha
interesse che deve fornire elementi di prova al riguardo (quali la circostanza che il plico non contenga alcuna
lettera o ne contenga una di contenuto diverso, l'assenza del destinatario dalla residenza o domicilio indicati
nel telegramma all'epoca della convocazione) o sollecitati accertamenti (presso gli uffici dell'amministrazione
postale) atti a verificare l'assunta mancata ricezione (nella fattispecie il danneggiante, dopo l'esibizione del
telegramma in giudizio ad opera del danneggiato, si era limitato a negare di avere ricevuto atti interruttivi
senza contestare la concreta rilevanza probatoria del telegramma).
In ambito condominiale vale lo stesso principio, nel senso che, qualora un condomino adducesse la mancata
convocazione e l'amministratore avesse dimostrato di aver convocato tutti i condomini con mezzo idoneo,
per i giudici di legittimità risulta irrilevante che un condomino, respingendo la raccomandata pervenutagli nei
termini, si sia posto in condizione di non poter conoscere la data di convocazione.
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