Felice Accame e Carola Catenacci
Culture della sinestesia
1.
Proust, nelle prime pagine della Recherche, ricorda le ore trascorse davanti
alla sua lanterna magica. Vede Golo, il cavallo, e vede Genoveffa di
Brabante, e già riflette sulla “sonorité mondorée du nom de Brabante”. Ma le
immagini si susseguono e si trova a constatare che “le château et la lande
étaient jaunes et je n’avais pas attendu de les voir pour connaître leur
couleur”. Sul rapporto tra designanti, o tratti morfemici di questi designanti, e
percezioni cromatiche, lo scrittore francese tornerà ancora. Sia in Du côté de
chez Swann che in Le côté de Guermantes, allorquando si sofferma sulla
sillaba finale del nome “Guermantes”, “-antes”. Una prima volta, per dire che
da questa sillaba emana una “lumière orangée” (che la Ginzburg tradusse,
pudicamente, “luce ranciata”) e una seconda, per dire che, invece, la stessa è
caratterizzata dal color “amaranto” (“amarante”). La diffidenza parrebbe
legittima – l’amaranto non è l’aranciato, e, presumibilmente, sarebbe stato
sufficiente un cambio di stagione perché il colore dei campi intorno al
castello di Brabante potesse essere diverso dal giallo.
2.
La trottola di Prometeo (Laterza, Roma-Bari 1996) è il titolo di un bel libro
di Ruggero Pierantoni dedicato alla percezione acustica, alla percezione
visiva ed alle loro interazioni. Nella premessa, l’autore spiega che il titolo va
inteso come una sorta di dedica in memoriam di Alexander Nikolaievic
Skrjabin (1872-1915) – l’autore del Prometeo. Il poema del fuoco – e “del
suo insensato, struggente e per sempre inceppato delirio di far musica con la
luce”.
Dal medesimo libro, apprendiamo, allora, che Newton (1643-1727) aveva
“scoperto una sua speciale scala dei colori dello spettro solare in cui gli
intervalli tra i colori percepiti erano distribuiti come quelli di una scala
diatonica”. A parere di Jean-Jacques Dortous de Mairan (1678-1771), un
fisico, consigliere scientifico di Jean-Philippe Rameau (1683-1764), il senso
della cosa – coerentemente con il proprio modello di descrizione del suono
che faceva a meno delle onde - doveva derivare dall’esistenza di particelle
d’aria che risuonavano per certi colori.
Da lì apprendiamo anche che è ormai individuabile un “sistema” in cui
“fenomeni immensamente diversi” divengono “comparabili, assimilabili,
forse addirittura sommabili o sottraibili o moltiplicabili” – un sistema in cui
ci si possa muovere “senza sforzo” tra “la descrizione di un lampo luminoso
giallo e un accordo in Sol maggiore, tra la forma concava di un muro bianco
e un’onda sonora, tra l’asperità di una superficie e una dissonanza”, un
sistema che, peraltro, sarebbe già configurabile a partire dallo sviluppo delle
facoltà percettive nel neonato.
3.
Proust inizia a scrivere la Recherche nel 1909 e Skrjabin rappresenta il
Prometeo nel 1911. Le date coinciderebbero fin troppo. Sarà bene, dunque,
tenere presente che i progetti di Skrjabin – come le suggestioni proustiane sono già ben rappresentati da E.T.A. Hoffmann (1776-1822), scrittore sì, ma
altrettanto musicista – tanto almeno da poterne approfittare. Così, il suo
maestro di cappella Kreisler (pseudonimo smesso dall’autore e protagonista,
per l’appunto, della Kreisleriana, pubblicata nel 1814) indossa un abito “che
sfuma verso il do diesis minore”, ornato da un “colletto color mi maggiore”.
Le fortune artistiche della sinestesia sono fortune di non breve durata.
Includono Rimbaud come Pascoli, con le sue “voci di tenebra azzurra” (il
calco di Arpino per il suo calcistico Azzurro tenebra), e ci agguantano
direttamente con Montale (“fredde luci / parlano”, che sembra un perfetto
controesempio per la teoria dei tipi logici di Russell).
4.
Alla “famiglia” di Skrjabin, secondo il neuropsicologo Aleksandr
Romanovich Lurija (1902-1977), apparteneva anche S. (Shereshevskii), un
suo paziente destinato a notorietà (cfr. A.R. Lurija, Un piccolo libro una
grande memoria, 1991), perché in lui “ogni suono (…) provocava
immediatamente sensazioni di luce e di colore, e anche (…) di gusto e di
tatto”. Uno, insomma, cui era stato negato “quel confine ben netto che, per
tutti noi, divide la vista dall’udito, l’udito dal tatto o dal gusto”.
S., al ristorante, sceglie i cibi a seconda del suono del nome con cui li si
designa (“la maionese è molto gustosa, ma quella esse dolce [majonez] guasta
tutto il sapore”), un refuso nel menu gli fa perdere l’appetito, può
automodificarsi la frequenza del battito cardiaco e la temperatura corporea, sa
trasferire il dolore di un dente trapanato in un’altra persona che impara a
vedere – e d’altronde, nel suo elettroencefalogramma, “si determina una netta
depressione del ritmo alfa non appena egli si immagina che la viva luce di
una lampada da 500 W venga a battergli sugli occhi” -, e, soprattutto, ha una
memoria spaventosa. Una tabella di quattro file di tredici cifre ciascuna,
mostratagli per pochi secondi, veniva da lui ripetuta senza il minimo errore –
“leggendo” le cifre in orizzontale, in verticale o anche in ordine inverso dopo mesi.
Anche il signor Jonathan I. di cui parla Oliver Sacks, il “pittore che non
vedeva i colori” (cfr. Un antropologo su Marte, 1995), prima dell’incidente
automobilistico che avrebbe mutato i suoi risultati percettivi, possedeva il
dono di tradurre le diverse tonalità musicali in un “gioco tumultuoso e
simultaneo di colori interiori”.
5.
Tutto ciò giustifica, allora, la sopravvivenza della sinestesia come oggetto di
studio, a prescindere dalla correttezza delle elaborazioni letterario-musicali
del passato. Dalla letteratura dedicata all’argomento, scopriamo che, in
campo neurologico, l’origine della categoria diagnostica risale ad almeno due
secoli fa. Ci aggiorniamo, dunque, e c’imbattiamo, fra l’altro, nelle tesi di
Richard Edmund Cytowic - neurologo, buddista zen, ed autore del "romanzo
neurologico" The Man Who Tasted Shapes, del 1993 - un libro che, già dal
titolo (ovvero, “L’uomo che assaggiava le forme”), preannuncia la cospicuità
dell’interesse nei confronti delle sinestesie. La sua tesi di fondo, basata sullo
studio dell'attività cerebrale di svariati "casi", è che i fenomeni di sinestesia
siano esperienze del tutto "fisiche" del cervello, non dell'immaginazione
(sono automatiche, non deliberate), ed a base non-linguistica (a differenza
delle metafore o altri "accostamenti" intenzionalmente ricercati). In
particolare, sostiene Cytowic, le sinestesie sono funzione del cervello limbico
- quella parte del sistema nervoso, più antica dal punto di vista evolutivo e
tipica dei mammiferi, che si trova sotto la corteccia cerebrale; ancora più in
particolare, esse sono funzione della parte di sistema limbico che si trova
nell'emisfero sinistro.
Badando a cose serie come la paura, la fame e l’appetito sessuale, ovvero
gestendone la reazione emotiva immediata, il sistema limbico processa le
informazioni sensoriali in modo più "veloce e sporco" rispetto alla corteccia diciamo, alla “sperindio”: meglio un falso allarme che lasciarci le penne.
Questa porzione di cervello ha costituito il cavallo di battaglia di una
generazione di neuroscienziati e neuronarratori che comprende Gerald
Edelman, Antonio Damasio, Joseph Ledoux e Daniel Goleman, i quali, dopo
averne debitamente evidenziato la densa interconnessione con la corteccia,
gli hanno assegnato l’onore di cooperare con questa alla gestione dei nostri
comportamenti, sia per gli aspetti cognitivi, sia per quelli emozionali.
Poco, a parere di Cytowic, troppo poco. Perché, a suo modo di vedere, la
corteccia non sarebbe altro che una sopravvalutata buccia rugosa deputata al
mero controllo degli stimoli esterni, mentre coscienza, emozioni, creatività e
valori “spirituali” avrebbero sede proprio nel sistema limbico. E, come prova
a sostegno della tesi, Cytowic porta proprio il caso delle sinestesie. I fortunati
sinesteti sarebbero tutti straordinariamente creativi, spesso (come Lurija,
attraverso S., insegna) dotati di memoria prodigiosa, quasi sempre artisti. E’
vero che qualche problemino non gli manca – è vero, per esempio, che
incontrino spesso difficoltà nel riconoscimento dei volti, o nell’orientarsi, o
nel calcolo (ed è il caso di ricordare che il povero S. ha vissuto, stando a
quanto Lurija stesso ne dice, in una sorta di “nebbia” percettiva, piena di
incontrollabili sbuffi di vapore e macchie di colore..) Ma tutto ciò, secondo
Cytowic, non è nulla in rapporto al “privilegio” che è capitato loro in sorte.
Orbene, durante le percezioni sinestetiche – tecniche d’indagine non invasiva
sul cervello alla mano – il sistema limbico diventerebbe un vulcano, mentre
nulla avverrebbe nella corteccia. Apparentemente, non sarebbe lì la festa.
Tuttavia, sul perché qualcuno sia sinesteta e gli altri no, Cytowic non sembra
sbilanciarsi troppo: di sinesteti se ne troverebbe uno ogni 25.000 persone,
molti sarebbero non destrimani, le femmine avrebbero una probabilità più
che doppia e meno che tripla di esserlo, ed avrebbero ereditato la
caratteristica (una spiegazione di ordine genetico si baserebbe
sull’associazione della sinestesia al cromosoma X, in qualità di tratto
dominante). Nonostante chi scrive non se lo ricordi affatto, poi, tutti quanti,
secondo il nostro autore, avremmo beneficiato del dono della sinestesia - fino
alla pubertà, cioè fino a quando non si finisce sotto la tirannia della corteccia
(una tesi, questa, già rintracciabile nella terminologia di Lurija, che aveva
parlato di “residui” e di “conservazione” nel caso di S.). Da adulti messi in
riga, l’unica speranza di ribellione – e quindi di recupero delle sensazioni
perdute – starebbe, ovviamente (dato che il neurologo in questione è
buddista), nella meditazione zen.
6.
V.S. Ramachandran, che ha scritto, con Sandra Blakeslee, La donna che morì
dal ridere (1999) e che dirige il Brain Perception Laboratory all’Università di
San Diego, discute brevemente la tesi di Cytowic ed accenna ad una “ipotesi
radicale” che potrebbe anche essere verificata, ancora una volta, tramite le
attuali tecniche di scansione non invasiva (tomografia ad emissione di
positroni, risonanza magnetica e suoi derivati). Ramachandran osserva
innanzitutto che certi casi di sinestesia appaiono piuttosto dubbi – come è il
caso di chi riscontra nel pollo un sapore più o meno “appuntito” (si veda, per
l’appunto, il “caso” descritto da Cytowic), o di chi afferma che la lettera “u”
ha un colore fra il giallo e il marrone chiaro (o anche, aggiungiamo noi, il
caso di un Hoffmann o di un Proust) -, ma assicura anche che la maggior
parte dei casi di cui parla la letteratura scientifica è “assolutamente
autentica”.
Racconta, poi, il caso di un bambino che, a cinque anni – a causa di una
retinite pigmentosa – perde la vista, ma, dopo un po’, si accorge che,
toccando oggetti o leggendo in Braille, riceve improvvise sensazioni visive o,
meglio, “produce” improvvise sensazioni visive, lampi di luce o vere e
proprie “forme” in qualche modo connessi agli oggetti o alle parole in
questione.
Secondo Ramachandran, il fatto che la sinestesia sia riscontrabile, a volte, nei
casi di epilessia del lobo temporale induce effettivamente a pensare che, nella
fusione di modalità sensoriali, siano implicate strutture limbiche, ma la
spiegazione del fenomeno in quanto tale andrebbe cercata nel rapporto fra la
mappa somatosensoriale e le aree visive (vuoi degenerate, vuoi “sanamente”
geneticamente determinate). Questa mappa – dovuta agli esperimenti
condotti dal neurochirurgo canadese Wilder Penfield fra gli anni Trenta e
Quaranta del secolo scorso - è costituita da quella sorta di homunculus che
sarebbe rappresentato topograficamente sulla corteccia di tutti noi. In caso di
“incidente” – per esempio, l’amputazione di un arto, o, per l’appunto, una
patologia di una modalità sensoriale – certe tipologie di segnali
raggiungerebbero ugualmente le aree compromesse “affamate” di input. Da
ciò il sovrapporsi caotico che può dar luogo alla sinestesia (come, nel caso
delle amputazioni, al dolore del cosiddetto “arto fantasma”).
7.
Attestata la consistenza neurologica del fenomeno, si può provare a
formulare una considerazione di ordine ideologico. Come spesso capita
allorquando una “facoltà” diventa una sindrome, competono due processi di
valorizzazione di segno opposto. Da un lato, all’insegna della classica quanto
ingenua analogia fra bambino e artista – l’età dell’oro perduta, il dono della
creatività, il “sentire” un po’ speciale – stanno gli investimenti positivi e,
dall’altro, all’insegna della patologia o del “disordine” della percezione
sensoriale, stanno gli investimenti negativi. Spesso, d’altronde – originando
la formazione di due partiti contrapposti dai confini ideologici piuttosto
mobili -, qualcuno ha tentato di reprimere in nome della scienza, quanto,
altrettanto spesso, qualcun altro ha promosso in nome dell’arte. Un’ulteriore
interpretazione, di tipo neo-darwiniano, tuttavia, potrebbe rimescolare le
carte in tavola, proponendo la ricategorizzazione di ciò che è sintomo in
termini di vantaggio – come quando, ad esempio, si considera la febbre non
come una “malattia” da sopprimere immediatamente, bensì come, piuttosto,
una positiva battaglia del nostro sistema immunitario contro l’antigene
invasore; o come quando, per fare un altro esempio, si considera la nausea da
gravidanza un’ottima invenzione contro l’assunzione di alimenti
potenzialmente dannosi per il feto. Ammesso e non concesso, nel caso dei
“residui” di sinestesia, che qualche diritto in più al sistema limbico nella
contrattazione con la corteccia possa costituire un vantaggio per qualcuno
nella società in cui, volente o nolente, si troverà a vivere.
Glossa 1
Ramachandran sostiene che, nella sindrome sinestetica, la distinzione fra
letterale e metaforico è “assai vaga”. Sarebbe meglio affermare che la
distinzione è assai vaga ovunque. A maggior ragione in filosofia, con la serie
di guasti che ciò comporta. Basti pensare al cruciale verbo “conoscere” che,
come ha notato Ceccato, è passato, per metaforizzazione, dal designare una
ripetizione di ordine temporale al designare una ripetizione di ordine spaziale
– da cui la pretesa di confrontare i due ripetuti per scoprire la verità o la
falsità delle cose, per distinguere una “conoscenza vera” da una “conoscenza
falsa”.
Glossa 2
A Carola Catenacci capita che, ogni qualvolta con il suo computer scriva
“limbico”, ciò le venga segnalato immediatamente come errore – il correttore
automatico proponendole, al contempo, una plausibile correzione: “libico”. A
Felice Accame, invece, capita che, ogniqualvolta scriva “limbico”, il
computer corregga subito in “libico” – senza neppure sottoporgli il problema.
La vicenda dovrebbe dirci qualcosa dello stadio al quale sono giunti due
ordini di sistemi evolutivi: quello dei computer e quello di quegli esseri
umani che dei computer si dicono responsabili.
Glossa 3
A chiunque sia, come noi, interessato a leggere gli scritti originali di
Skrjabin, alla ricerca di testimonianze dirette della sua esperienza sinestetica,
ma non sia affetto dai nostri medesimi limiti linguistici, segnaliamo la
seguente “sezione speciale” di bibliografia:
1) Skrjabin, A.N., " Avtobiograficheskaya Zapiska" ( Autobiographical
Sketch), Russkaya Muzykal`naya Gazeta 17-18 (1915).
2) Skrjabin, A.N., "Valeriyu Yakovlevichu Bryussovu" (To Valerii
Yakovlevich Bryssov: a Poem), Muzyka 229 (1915).
3) Gershenzon, M.O., ed., " Zapiski A. N. Skryabina." ( Skrjabin’s Notes),
Russkie Propilei, vol.6 (1916): 95-247.
4) Belyaev, V. M., ed., Perepiska A. N. Skryabina i M. P. Belyaeva 18941903 (Correspondence between A. N. Skrjabin and M. P. Belyaev 18941903), Petrograd: Gos. Akademicheskaya Filarmoniya, 1922.
5) Sabaneyev, L.L., ed., Pis`ma A. N. Skryabina (Skrjabin's Letters),
Moscow, 1923.
6) Skrjabin, A.N., Prometheische Phantasien, trans. O. Riesemann. Stuttgart,
1924, 2/1968.
7) Kashperov, A V, ed., Pis`ma (Letters). Moscow: Muzyka, 1965.
Glossa 4
A sollevare dubbi sull’applicabilità di una prospettiva neodarwiniana circa
l’eventuale vantaggio costituito dalla sinestesia, interviene un’ulteriore
posizione sostenuta in campo neurologico, ovvero la cosiddetta ipotesi
“evolutiva“. Avanzata inizialmente da Maurer (1993) e poi estesamente
esplorata da Baron-Cohen (1996), tale ipotesi prevede che la sinestesia sia
prerogativa certa non degli adolescenti, bensì dei neonati umani; una sorta di
caos percettivo originario, che si perderebbe poi attorno al quarto mese di
vita per sopraggiunta “modularizzazione” delle mappe sensoriali.
Bibliografia
Armel, K.C., Ramachandran, V.S., 1999, "Acquired synesthesia in retinis pigmentosa", Neurocase,
vol. 5, nr. 4: 293-296
Baron-Cohen, S., 1996, "Is there a normal phase of synaesthesia in development?" Psyche (online
journal) 2
Ceccato, Silvio, 1966, Un tecnico fra i filosofi, Marsilio: Padova, vol. II
Cytowic, Richard E., 1993, The Man Who Tasted Shapes, Abacus
Cytowic, Richard E., 1995, "Synesthesia: Phenomenology and Neuropsychology. A Review of
Current Knowledge", Psyche (online journal), 2 (10)
Damasio, Antonio R., 1994, Decartes’ Error. Emotion, Reason and the Human Brain, New York:
Grosset/Putnam, tr. it. L’errore di Cartesio, Milano: Adelphi, 1995
Edelman, Gerald M., 1989, The Remebered Present. A Biological Theory of Consciousness, New
York: Basic Books, tr. it. Il presente ricordato, Milano: Rizzoli, 1991
Goleman, Daniel, 1995, Emotional Intelligence: Why It Can Matter More than I.Q., New York:
Bantam, tr. it. Intelligenza emotiva, Milano: Rizzoli, 1996
Ledoux, Joseph, 1996, The Emotional Brain. The Mysterious Underpinnings of Emotional Life, New
York: Simon&Schuster, tr. it Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini e Castoldi, 1999.
Lurija, Aleksandr R., 1965 (ed. or.), tr. it. Un piccolo libro una grande memoria, Roma: Editori
Riuniti, 1991
Pierantoni, Ruggero, 1996, La trottola di Prometeo, Roma-Bari: Laterza
Ramachandran, V.S., Blakeslee, Sandra, 1998, Phantoms in the Brain: Probing the Mysteries of the
Human Mind, Quill/William Morrow, tr. it. La donna che morì dal ridere e altre storie incredibili sui
misteri della mente umana, Milano: Mondadori, 1999.
Sacks, Oliver, 1995, An Anthropologist on Mars: Seven Paradoxical Tales, Random House, tr. it. Un
antropologo su Marte, Milano: Adelphi, 1995