I Fogli di ORISS Etnopsichiatria (1993 - 2010) 1. Tracce di un percorso Seguendo l’indice degli articoli apparsi sulla rivista «i Fogli di ORISS» dal 1993 a oggi e pertinenti al tema “Etnopsichiatria”, si possono ricavare alcune indicazioni di percorso su almeno due assi. 1.1. Connessione tra i temi trattati e il contesto culturale e politico circostante. In una prima fase, i contributi pubblicati testimoniano di una ricerca di metodo che partiva da esperienze sul terreno, nelle quali veniva messa alla prova la nuova prospettiva etnopsichiatrica. "Nuova", dunque: per dare un’idea del contesto scientifico dell’epoca, si può portare ad esempio il testo che ha fondato il primo progetto di cooperazione internazionale finanziato dal Ministero degli Esteri ed eseguito dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Psicologia. In Médecine Traditionnelle, Psychiatrie et Psychologie en Afrique (a cura di P. Coppo, Il Pensiero Scientifico, Roma 1988) vengono ampiamente citati i lavori del gruppo di H. Collomb (Auguin, Collignon, Zempléni), quelli della scuola canadese (Bibeau, Murphy) e quelli degli antropologi più attivi nella descrizione di altri sistemi di cura; ma non appare nessun riferimento né ai lavori né di Devereux e Nathan, né a quelli di Ernesto de Martino. E però, il primo consultorio di etnopsichiatria aperto da Nathan a Bobigny, dopo la rottura con il suo Maestro Devereux, era del 1981; e il lavoro di de Martino sul tarantismo pugliese, primo esempio italiano di applicazione dell’approccio multidisciplinare all’insieme sindrome-determinata-culturalmente/dispositivo-deputato-alavorarla, risaliva al 1961. Nonostante, dunque, fossero già disponibili lavori che più tardi sarebbero stati riuniti nella prospettiva etnopsichiatrica, fino ai primi anni Novanta non si era ancora costituita (almeno in Italia) quell’area disciplinare riconoscibile poi denominata “etnopsichiatria”. La rivista «i Fogli di ORISS» fu fondata nel 1993 da alcuni (medici, psichiatri, psicologi, antropologi, terapeuti) provenienti da esperienze di cooperazione in altri paesi (Bianchi, Coppo, Pisani: Africa, America Latina) o impegnati nell’aprire discipline allora di frontiera (Lionetti: Antropologia medica) o nello sforzo dell’importazione di altri sistemi di cura (Taccola: Medicina Tradizionale Cinese). Nel primo numero della rivista, nel testo di Inglese (1/993), compare una prima citazione di un lavoro di Nathan (Le sperme du diable); un più corposo riferimento all’etnopsichiatria francese è presente nell’articolo di Beneduce (2/1993), che cita sia Devereux sia il primo libro di Nathan tradotto in italiano, La follia degli altri. Nei numeri successivi, si assiste a una messa alla prova, ad opera del piccolo gruppo degli allora giovani psichiatri e antropologi che si interessavano alla questione, delle categorie e dei metodi etnopsichiatrici nel lavoro clinico e di ricerca sul campo di ciascuno. Questa messa alla prova genera interrogativi di metodo (Inglese 1/1993, 2/1993, ecc.; Beneduce 2/1993, 3/1995, ecc.) e provoca i primi tentativi di estrazione di teoria (Inglese 3-1995). La prima tournée italiana di Tobie Nathan che coinvolge un vasto pubblico ebbe luogo nel marzo 1996 (Inglese 5/1996), e seguì alcune sue partecipazioni sporadiche in contesti aperti a un vasto panorama, non ancora centrati sull’etnopsichiatria e sull'esperienza parigina (per esempio, il seminario svoltosi a Napoli nel 1994 intitolato Le dimensioni antropologiche della cura, al quale parteciparono, tra gli altri, Collignon, Bibeau, Crapanzano, Pandolfi, Lanternari, Cardamone, Schirripa, Coppo, Piazza: Inglese 1-2/1994). In quella tournée, l’evento di Bologna (due giorni: 24 e 25 marzo presso la Clinica Psichiatrica dell’Università) fu organizzato da ORISS col gruppo Psicoterapia e Scienze Umane, gruppo presso il quale Coppo aveva già fatto alcuni interventi formativi di apertura all’etnopsichiatria. Sempre nel 1996 Bollati Boringhieri pubblicò la traduzione italiana di due testi importanti per i fondamenti della disciplina: uno di Nathan, Principi dei etnopsicoanalisi; e uno di Nathan e Stengers, Medici e stregoni. Quei due giorni di lavoro a Bologna lasciarono tracce: da un lato, confermando la convergenza dei percorsi di alcuni dei fondatori di ORISS con il discorso nathaniano (critica dell’ambizione universalistica delle discipline della psiche e valorizzazione dei saperi e delle pratiche altre – elementi centrali, per esempio, nell’impostazione del Progetto Bandiagara); dall’altro, le posizioni e le provocazioni nathaniane finirono per creare problemi anche all’interno del gruppo di ORISS: Schirripa per esempio, antropologo, reputò necessario prendere per scritto distanze dal postulato di una identità etnica come nucleo profondo immodificabile della persona, parte fondamentale dell’epistemologia nathaniana (Schirripa 6/1996). Negli anni successivi si assiste sia alla diffusione in Italia del messaggio nathaniano attraverso seminari, conferenze, articoli, che all’emergere in modo sempre più imperioso del “problema” portato dalla migrazione. In quel periodo, il gruppo di ORISS lavora da un lato per tenere aperto un orizzonte di riflessione più ampio, non monopolizzato né dall’uno né dall’altro fatto. Nel 1997, per esempio, propone e contribuisce a organizzare presso l’Università di Verona il Convegno Il corpo assente, dedicato ai disturbi dell’alimentazione visti anche da una prospettiva antropologica ed etnopsichiatrica. La relazione principale è affidata a Evelyne Pewzner Apeloig, psicoanalista parigina non affiliata al gruppo nathaniano. Del 1998 è poi il grande convegno Psicoterapie e culture, organizzato a Firenze dalla Società Italiana di Psicosintesi Terapeutica. Tengono relazioni, tra gli altri, Stan e Christina Grof, Raymond Prince, Paul Watzlawick, Tobie Nathan, Piero Coppo, Sudhir Kakar (10/1998). L’afflusso di partecipanti è notevole, e alle relazioni si alternano sessioni di lavoro e laboratori che lasceranno per parecchio tempo un segno tra i partecipanti (motivando, per esempio, l’apertura in Italia di un percorso di formazione in Respirazione Olotropica). A partire dal 1999, con il precipitare dell’intervento NATO contro la Serbia, l’orizzonte si fa minaccioso e i temi trattati dalla rivista seguono. Alcuni contributi sono dedicati alle nevrosi postraumatiche e ai disastri provocati dalle "guerre umanitarie" e dalla pretesa di imporre universalmente visioni del mondo, saperi e pratiche “psi” nei nuovi contesti di conflitto e di guerra (Sironi 11-12/1999). Nel 2000 l’esperienza nathaniana a Parigi è messa sotto attacco da vari interventi di antropologi ed etnologi qualificati; Coppo cerca di provocare un chiarimento circa alcuni impliciti "politici" degli assunti nathaniani con un contributo che sarà poi pubblicato anche sul sito del Centre Devereux (Coppo 13-14/2000). A fianco dei temi dominanti, lungo tutto questo percorso contributi sparsi continuano ad arricchire la rivista con testimonianze su altri sistemi di interpretazione e cura e sui tentativi di applicazione del metodo etnopsichiatrico sia in attività cliniche che in attività di cooperazione (Inglese 4/1995; Mosca et al. 1314/2000). Inoltre, per allargare la base delle informazioni disponibili in Italia, la redazione recupera testi classici, non disponibili in italiano, e ne pubblica la traduzione (Nathan 3/1995; Malinosowski 5/1996; Devereux 13-14/2000 e 15-16/2001) L’11 Settembre 2001 estremizza la crisi nei rapporti tra politica – le relazioni di potere tra gruppi, la distribuzione del diritto alla parola e all’alterità – e "cultura". La reazione dell’Occidente all’attacco terroristico impone una riflessione sui fondamenti politici e culturali che animano la rivista, che spinge a prendere partiti contrastanti anche i soggetti che si erano fino ad allora riconosciuti nel progetto ORISS. La crisi si ripercuote nella redazione della rivista e traspare dagli argomenti che, a partire da quella data, vengono più frequentemente trattati. La questione identitaria diventa centrale (Coppo 17-18/2002, Genovese 17-18/2002) e culmina nel Seminario sull'ibridazione culturale del Settembre 2003 (19-20/2003). Anche la questione di come comprendere altre cosmovisioni, altre esperienze, e altri sistemi che lavorano con l’"invisibile" appare utile ad arginare la tendenza, che ha preso piede nell’ombra nathaniana, a naturalizzare le entità e appartenenze culturali (Coppo 21-22/2004; Hell 23/2005; Bresciani 23/2005 e 24/2005). In quel travaglio, la posizione di Latour sugli attaccamenti sembra permettere una via di uscita tra fondamentalismo identitario e l’identità molle necessaria, tra l’altro, ai processi di globalizzazione (Latour 25/2006, Coppo 26/2006). Il gruppo che ancora si riconosce nelle posizioni di ORISS e si esprime nella rivista cerca, insomma, uno sbocco, un'evoluzione dello sfondo culturale (la visione del mondo, degli umani nei loro mondi, delle relazioni tra loro) in cui collocare anche l’etnopsichiatria post-nathaniana. In quegli anni continua però anche la pubblicazione di testi fondamentali sull'etnopsichiatria (Suryani 1718/2002; Castellani 19-20 2003; Bohr 19-20/2003) e i resoconti di ricerche e attività svolte su vari terreni (Casadei 17-18/2002, Amadei 21-22/2004, Coppo e Pisani 24/2005). Nel tentativo di costruire alleanze, fra cui anche col gruppo francese che continua a lavorare al Centre Devereux dopo la partenza di Nathan, vengono pubblicate interviste a rappresentanti di percorsi giudicati interessanti (Carrino 19-20/2003, Amorth 23/2005, Hellinger 27-28/2007) e articoli provenienti da Parigi e Bruxelles o di commento a questi (Stengers 27-28/2007, Sironi 27-28/2007, Singleton 27-28/2007, Sartor 29-30/2008). Da alcuni contributi traspare il tentativo di costruire basi solide per l’etnopsichiatria e un consenso attorno ad esse cercando di ridefinirne le premesse epistemologiche (Stengers 29-30/2008, Sartor 29-30/2008, Latour 29-30/2008, Consigliere 29-30/2008); in questo senso vengono anche utilizzati materiali provenienti dalle lezioni tenute al Master di Genova in "Etnomedicina ed etnopsichiatria" (Stengers 31-32/2009, Grandsard 31-32/2009). Una serie di testimonianze relative ai tirocini dei discenti dello stesso Master (Cirillo, Santilli, Zavaroni, Amici, Scortecci, Careno-Calderon, Mastrogiacomo, Micucci, Albesi, Pompili, Petraglia) offrono un panorama della ampiezza dell’orizzonte in cui gruppo di ORISS ha inteso collocare l’approccio etnopsichiatrico. 1.2. Persistenza di alcuni temi dal 1993 a oggi: il nucleo tematico dell’etnopsichiatria? Percorrendo gli articoli citati non è difficile identificare una serie di punti attorno ai quali ruota la riflessione dei vari Autori; punti che, quindi, sembrano costituire il nucleo identitario dell’etnopsichiatria – o quantomeno di quella rappresentata dai diversi intervenenti. a) Etnografia dei sistemi di cura, in particolare nel campo che la scienza definisce dei disturbi “psichici”. (Nathan 3/1995, Inglese 4/1995, Cardamone-Zorzetto e Inglese 9/1998, Allovio 1516/2001, Baldini-Basse 15-16/2001, Casadei e Suryani 17-18/2002, Hell 23/2005, Cirillo e Petraglia e Santilli 31-32/2009) b) Interventi nell’ambito della Cooperazione Internazionale attinenti all’etnopsichiatria (Baldini-Basse 15-16/2001, Coppo-Carrino 19-20/2003, Coppo-Pisani 24/2005) c) Pratiche della multidisciplinarietà: questioni di metodo (Inglese 1/1993, Beneduce 2/1993, Inglese 2/1993, Malinowski 5/1996, Castellani e Bohr 19-20/2003, Bresciani 23/2005 e 24/2005) d) Epistemologia ed epistemologie locali (Coppo 21-22/2004, Latour 25/2006, Castellani 26/2006, Singleton 27-28/2007, Sartor e Stengers e Latour 29-30/2008, Stengers 31-32/2009) e) Identità, ibridazioni, antropopoiesi (Schirripa 6/1996, Littlewood e Beneduce 7-8/1997, Devereux 13-14/2000 e 15-16/2001, Coppo e Genovese 17-18/2002, Seminario sull’ibridazione culturale 1920/2003, Latour 25/2006, Coppo 36/2006, Consigliere 29-30/2008, Amici 31-32/2009) f) Psicopatologia e sindromi “culturalmente ordinate” (Beneduce 3/1995, Inglese 9/1998, Coppo 23/2005). g) Pratiche cliniche (Inglese 1/1993, Nathan 3/1995, Inglese 4/1995, Kakar 10/1998, Inglese 1112/1999, Beneduce-Taliani 11-12/1999, Inglese 13-14/2000, Profita-Lo Mauro 15-16/2001, Grandsard 31-32/2009, Pompili 31-32/2009) Questa lista non è evidentemente esaustiva, ma può servire come una iniziale e approssimativa definizione dei campi d'interesse dell’etnopsichiatria, così come essa è stata trattato nella rivista “i Fogli di ORISS”. Ci sarebbero da aggiungere infine le aperture, praticate soprattutto nel corso del Master 2008 in Etnomedicina ed Etnopsichiatria (si veda in proposito la descrizione del percorso formativo adottato nel numero dedicato a quella esperienza, 31-32/2009), verso quella che è stata definita come la funzione generale di mediazione etnopsichiatria tra sistemi culturali diversi, nel campo della salute come in quello dell’educazione (Scortecci, Careno-Calderon, Mastrogiacomo, 31-32/2009). 2. Gli articoli 1-1993 Salvatore Inglese, L’inquieta alleanza fra psicopatologia e antropologia. (34-63) L’Autore descrive la sua esperienza di terreno, da giovane psichiatra, in un paese dell’Italia del Sud. L’area è delimitata da un orizzonte mitico-rituale in via di profonda trasformazione. Tale cambiamento è stato provocato dall’emigrazione di massa di cui vengono descritte le dinamiche, gli effetti e i costi sociali e psicopatologici. Anche i presupposti, gli atteggiamenti, gli approdi soggettivi del ricercatore nel corso dell’esperienza di campo sono messi in evidenza. 2-1993 Roberto Beneduce, L’angoscia e il metodo: eventi e pensieri nel lavoro etnopsichiatrico. (39-55) A partire dalla sua esperienza come medico psichiatra in un progetto di Cooperazione in Mali, Roberto Beneduce tratta della teoria etnopsichiatrica e del dibattito in antropologia sui modi della ricerca. Il problema della depressione nelle culture africane e le modalità di relazione tra i vari soggetti della ricerca (informanti, interpreti, ecc.) sono discusse a partire da quella esperienza di campo. 2-1993 Salvatore Inglese, Su E. de Martino, ripensato. (142-148) Una riflessione sintetica ispirata da un più generale e progressivo piano di studio sui rapporti tra antropologia e psicopatologia. 1-2/1994 Salvatore Inglese, Le dimensioni antropologiche della cura. (137-147) Resoconto (e riflessioni sul tema) di un seminario di studi tenutosi a Napoli all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici nel gennaio 1994, al quale hanno partecipato, tra gli altri, Tobie Nathan, Rène Collignon, Gilles Bibeau, Vincent Crapanzano, Mariella Pandolfi, Vittorio Lanternari, Giuseppe Cardamone, Pino Schirripa, Piero Coppo e Rosalba Piazza. 3/1995 Roberto Beneduce, Depressione e ‘lavoro della cultura’. (9-32) L’Autore ripropone alcuni contributi dell’etnopsichiatria sul tema della depressione attraverso un’analisi delle ricerche che hanno contribuito negli ultimi anni a riproblematizzarne senso, valore ed effetti di questa diagnosi e sottolinea il ruolo delle dimensioni sociali e culturali nella costruzione di questa condizione di sofferenza. 3/1995 Tobie Nathan, Figure culturali della guerra dei due sessi. Conflitti di persone, conflitti di famiglie, conflitti di culture. (139-151) Traduzione da un testo pubblicato in Francia nel 1993 in cui Tobie Nathan descrive la consultazione etnopsichiatria e, anche a partire dalla presentazione di alcuni casi, entra in particolare nell’analisi di situazioni di conflitto tra coppie e in situazioni matrimoniali e su come affrontarle. 3/1995 Salvatore Inglese, Fondazione dell’etnopsichiatria clinica. Piste e sorgenti di una disciplina nomade. (153-160) In questo breve testo Inglese introduce il lettore italiano all’etnopsichiatria nathaniana. 4/1995 Salvatore Inglese, Rappresentazioni del male e della malattia nell’Italia meridionale (Calabria), un approccio etnopsichiatrico. (63-81) L’Autore propone di applicare una metodologia di intervento etnopsicoterapeutico in situazioni cliniche caratterizzate da elementi sintomatologici e da costrutti interpretativi derivanti dalle ideologie tradizionali dell’Italia del Sud (esempio: scantu). 5/1996 Salvatore Inglese, Appunti per un etnopsichiatria critica. Viaggiando in Italia con Tobie Nathan. Bologna, Genova, Torino, marzo 1996. (155-171) Inglese racconta i momenti salienti di una “tournée” italiana di Tobie Nathan, cercando da un lato di isolare qualche nuovo nucleo concettuale recentemente sedimentatosi nella variegata stratificazione tecnica e teorica di Tobie Nathan, dall’altro cercando di estrarre alcuni elementi per un programma di iniziativa etnopsichiatria nel contesto italiano. 5/1996 Bronislaw Malionowski Psicoanalisi e antropologia. (215-218) Traduzione di una breve nota pubblicata su Nature nel 1923 a proposito del valore del contributo di S. Freud all’antropologia. 6/1996 Pino Schirripa, Identità come nucleo profondo della persona. Alcune riflessioni su Tobie Nathan (137-148) Pino Schirripa, antropologo, propone qui alcune riflessioni su un aspetto particolare della complessa costruzione teorica nathaniana, quella che riguarda il costituirsi dell’identità, mettendo in luce alcune questioni che nella costruzione epistemologica dell’etnopsicoanalista francese creano problema. 7-8/1997 Gilles Bibeau, Psichiatria culturale in un mondo in creolizzazione: temi per le future ricerche. (2163); Roland Littlewood, L’identità e le sue vicissitudini: patologie del futuro (85 – 101); Marika Moisseeff, Scienza sovversiva pratica sovversiva (103-119); Roberto Beneduce, Creolizzazione, conflitto sociale ed etnopsichiatria (123-132); G. Cardamone, Profili innovativi in etnopsichiatria (133-137); Salvatore Inglese About creolizing world (139-148); Pino Schirripa, I mondo creoli, l’antropologia medica e la sovversione (149-156). Questo “dossier” si apre con la traduzione di un provocatorio intervento di Gilles Bibeau pubblicato sulla rivista Transcultural Psychiatry. L’antropologo canadese chiama alla definizione di una “nuova agenda di ricerca per la psichiatria culturale” e la rivista canadese pubblica una serie di risposte al suo invito; tra le altre, sono qui tradotte quella di Roland Littlewwod e quella di Marika Moisseeff. A queste, ne i Fogli di ORISS si aggiungono i commenti di Roberto Beneduce, Salvatore Inglese, Giuseppe Cardamone e Pino Schirripa a rappresentare lo stato del dibattito in Italia. 9/1998 Evelyne Pewzner Apeloig, Anoressia mentale, paradigma della postmodernità? (11-30) Relazione tenuta dalla psicoanalista francese al Convegno organizzato dall’Università di Verona, ORISS e METIS nel 1997 a Verona “Il corpo assente”. Vi si discute l’anoressia mentale in quanto sindrome legata alla cultura occidentale (Culture Bound Sydrome). 9/1998 Giuseppe Cardamonne e Sergio Zorzetto, Scoprirsi esotici. Un’analisi critica del rapporto fra sindromi anoressiche e cultura. (83-111) Lo scopo dell’articolo è presentare alcune delle linee teoriche lungo le quali si dipana il dibattito internazionale sulla relazione tra i disturbi alimentari psicogeni e i fattori socioculturali, analizzando in particolare la letteratura che inquadra l’anoressia nervosa come Culture Bound Syndrome. 9/1998 Salvatore Inglese, Un secolo che ha fame. Appunti per una lettura etnopsichiatrica delle patologie anoressiformi. (113-128) Una disamina delle possibili letture etnopsichiatriche delle patologie anoressiformi che porterebbe alla riclassificazione del disturbo come disturbo sacro piuttosto che disturbo etnico. 10/1998 Piero Coppo, Etnopsicoterapie (41-61); Sudhir Kakar, Lavoro clinico e immaginazione culturale (109-124); Tobie Nathan, Forme culturali di scissione del sintomo e delle persone. (151-164) Tre interventi con particolare attinenza all’etnopsichiatria in un numero della rivista dedicata interamente agli Atti del Congresso Internazionale Psicoterapia e Cultura tenutosi nell’aprile 1995 a Firenze e organizzato dalla Società Italiana di Psicosintesi Terapeutica. Nello stesso numero si trovano contributi di Andrea Bocconi e Massimo Rosselli, Alfredo Ancora, Sandro Candreva, Cristina Grof, Stanislav Grof, Luh Ketut Suryani e Gordon D. Jensen, Pier Nicola Marasco, Raymond Prince, Brion Sweeney, Paul Watzlawick. 11-12/1999 Salvatore Inglese, Un passo avanti e due indietro: claudicazioni intermittenti e senza meta intorno alle condizioni psicotraumatiche in tempo di guerra asintotica… (73-99) Considerazioni sulle relazioni tra disturbi psichici e traumi a partire da situazioni passate e dalla pratica dell’Autore nella Calabria con gruppi di profughi kossovari. La storia delle nevrosi post-traumatiche viene riletta a partire dalle elaborazioni che hanno accompagnato la prima guerra mondiale. Alcune indicazioni sulla presa in carico di questi disturbi concludono l’articolo. 11-12/1999 Roberto Beneduce, Simona Taliani, Politiche della memoria e retoriche del trauma (101-122) I due Autori si propongono di articolare riflessioni maturate in tempi e luoghi diversi (Eritrea e Etiopia, Bosnia e Albania) nel corso della loro pratica clinica con soggetti vittime di traumi. 11-12/1999 Françoise Sironi, L’universalità è una tortura? (153-167) Traduzione di un articolo apparso su Nouvelle Revue d’Ethnopsychiatrie. A partire da alcune considerazioni generali sull’etnopsichiatria come metodo clinico, Françoise Sironi analizza le conseguenze della esportazione della psicologia negli interventi “umanitari”: in situazione di guerra, di conflitto o di disastri. In particolare presenta gli oggetti (concetti, teorie, ecc.) utilizzati dagli psicologi dell’emergenza come, a loro volta, armi da guerra. Il concetto di “diritti umani”, di “psichismo umano”, di “universalità” possono in certe condizioni trasformarsi in strumenti di violenza. 13-14/2000 Sabrina Mosca, Bruno Biancosino, Alberto Merini, La ‘visione’: allucinazioni e cultura, una revisione etnopsichiatrica. (51-61) Gli autori considerano i fenomeni visionari alla luce della prospettiva psichiatrica, poi transculturale e alla fine antropologica. Intendono mettere in risalto la complessità di questo fenomeno e propongono l’ottica etnopsichiatrica come sede di un arricchente accostamento fra più prospettive di ricerca. 13-14/2000 Piero Coppo, Politiche e derive dell’etnopsichiatria. Note a margine di una polemica francese. (119-140) Il contributo di Coppo s’inserisce in un dibattito fra interpretazioni diverse di alcune affermazioni di Nathan (in special modo contenute in L’influence qui guérit) che si prestano a equivoci. Riproponendo una definizione di "etnopsichiatria" Coppo affronta il caso di Tobie Nathan e del Centre Devereux per cercare di mettere in luce gli impliciti politici delle posizioni nathaniane. 13-14/2000 Salvatore Inglese, Dalla psicopatologia delle migrazioni all’etnopsichiatria.(141-158) In questo testo Inglese prosegue nella sua esplorazione del percorso che dalle prime risposte alle sofferenze portate dalla migrazione (fin dai tempi del Regno d’Italia) sta portando all’approccio inedito dell’etnopsichiatria. Alcune indicazioni sulla metodologia di approccio che lo psichiatra contemporaneo dovrebbe assumere quando decide di lavorare in situazioni alloculturali sono anche presentate e discusse. 13-14/2000 Georges Devereux, La rinuncia all’identità: difesa contro l’annientamento (prima parte) (185208) Traduzione di una parte della conferenza tenuta da G. Devereux a Parigi nel 1964 e pubblicata nella Revue française de psychanalyse nel 1967. Così inizia il testo: “L’oggetto di questo studio è la fantasia che possedere un’identità sia una autentica arroganza capace, automaticamente, di incitare gli altri ad annientare non solo questa identità ma anche l’esistenza stessa del presuntuoso per mezzo, in genere, di un atto di cannibalismo che trasforma il soggetto in oggetto.” Questo porta i pazienti più gravi a proteggersi da questo rischio rinunciando a ogni vera identità; quelli meno afflitti si costruiscono false identità. 15-16/2001 Stefano Allovio, Fabbricazione e riparazione del corpo tra culti degli antenati e culti dei discendenti (11-29) A partire dall’assunzione di una prospettiva antropopoietica, l’autore considera alcune varietà di pratiche culturali inerenti il trattamento del cadavere. La riflessione è compiuta in relazione ai temi seguenti: fabbricazione, riparazione e culto degli antenati. In particolare è presentata la pratica della criogenia (conservazione del cadavere a bassissime temperature): inserimento di un evento traumatico – la morte – in un mondo ordinato sulla base dello sviluppo tecnologico che si esprime nel mito incorporato che rassicura i vivi e congela i morti. 15-16/2001 Gabriele Profita e Valentina Lo Mauro, Harat al Gadidah, Luoghi della memoria e della cura (91-108) Gli autori raccontano come hanno pensato e organizzato il lavoro di consultazione e sostegno psicologico presso il Poliambulatorio per Immigrati "S. Chiara", a Palermo. Due i problemi messi a tema: la complessa relazione fra malattia, rappresentazioni della malattia e sistemi di cura; la costruzione dei contesti di cura (set e setting). 15-16/2001 Iside Baldini e Famara Basse, Le pratiche della medicina tradizionale nel trattamento della ‘follia’. Il caso dei Sérère del Senegal (109-138) Trascrizione di una conferenza tenutasi a Padova nel 1999, coordinata da Iside Baldini, psicologa, e promossa da Sadi Marhaba, docente della Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova. Famara Basse, relatore, in qualità di guaritore della medicina tradizionale sérère (Senegal) interviene presentando la concezione tradizionale della follia, la formazione e l’educazione fa i sérère, il rapporto con l’Occidente, la diagnosi e la cura. 15-16/2001 Georges Devereux, La rinuncia all’identità: difesa contro l’annientamento (Seconda parte) (163186) Seconda parte, e conclusione, del testo pubblicato con lo stesso titolo nel numero 13-14/2000 17-18/2002 Piero Coppo, L’avventura identitaria (35-58) L’Autore tratta dell’identità collocando il tema in un contesto storico drammatico (l’attentato alle Twin Towers), e nel quadro del dibattito che ne è seguito, in cui negatori della consistenza identitaria si opponevano ai fautori del fondamentalismo identitario. Tra i due poli, Coppo cerca una posizione a partire dalla quale orientare gli interventi psicoterapeutici ed etnopsichiatrici. 17-18/2002 Rino Genovese, Significati dell’ibridazione (59-63) Sempre nel quadro del travaglio culturale seguito all’attentato alle Torri Gemelle, e alla reazione americana e dei suoi alleati, Genovese tratta dell’ibridazione culturale, analizzando anche la posizione dei rappresentanti delle discipline umane, come l’antropologia, che, per non dare spazio, tramite l’idea di differenza etnica, al nuovo razzismo differenzialista, contestano addirittura alla radice, con una mossa che pare autolesionista, il termine “cultura”. 17-18/2002 Filippo Casadei, La cura dell’Itsuua tra i Téké (Rep. Pop. Congo) (67-90) L’Autore descrive l’interpretazione della malattia e le modalità di cura nel sistema tradizionale Téké in Congo a partire dalla pratica di una terapeuta locale. 17-18/2002 Luh Ketut Surayani, Basi concettuali per una psichiatria balinese (89-102) Traduzione italiana della relazione presentata dall’Autrice, psichiatra balinese, al Seminario Internazionale Integration of Traditional Healing and Modern Psychiatry tenutosi a Bali nel 2000. L’Autrice descrive le basi culturali (visioni del mondo, della salute e della malattia) proprie al popolo balinese e i possibili punti di contatto con la psichiatria. 19-20/2003 Seminario sull’ibridazione culturale (65-80) Sono qui trascritte alcune fasi del seminario sull’ibridazione culturale che si è tenuto nel Settembre 2003 nella sede di ORISS e che prevedeva due relazioni (Mario Pezzella e Massimo Cappitti) e una discussione libera. Il tema è sempre quello dell’identità a partire dal trauma subito dalla cultura Occidentale in seguito all’attentato alle Torri Gemelle e alla reazione degli Stati Uniti e dei loro alleati. 19-20/2003 Piero Coppo, intervista a Luciano Carrino Possibili alleanze. Etnopsichiatria, psichiatria antistituzionale e cooperazione internazionale. (117-142) Coppo intervista Carrino, medico psichiatra, attivo nel campo della Cooperazione Internazionale e uno dei protagonisti della “rivoluzione psichiatrica” italiana. Carrino ricorda la sua esperienza con Basaglia e Risso negli anni ’60 e come quella stessa impostazione si sia andata declinando nel suo lavoro all’interno del Ministero degli Esteri, Direzione Generale della Cooperazione. Nel corso del colloquio, si cercano analogie e dissonanze rispetto alla impostazione teorica e pratica dell’etnopsichiatria. 19-20/2003 Caterina Castellani, dell’etnopsichiatria. (151-157) Georges Devereux, il complementarismo e la fondazione A partire dalla formulazione di Niels Bohr, Castellani tratta di come del principio di complementarietà sia stato utilizzato da G. Devereux nella fondazione metodologica dell’etnopsichiatria. 19-20/2003 Niels Bohr, Causalità e complementarietà (158-167) Traduzione del testo della relazione presentata al Secondo Congresso per l’Unità della Scienza a Copenaghen nel 1937. Bohr vi sviluppa il principio di complementarità, ampiamente utilizzato da G. Devereux, secondo il quale nella descrizione della natura dei processi microfisici entrano in gioco aspetti complementari ma mutuamente esclusivi, come l'aspetto ondulatorio e corpuscolare della luce. 21-22/2004 Novita Amadei, Raccontare la migrazione. (61-67) Sulla base di una ricerca condotta in collaborazione col Centre Devereux, l'autrice riflette in chiave etnopsichiatrica sulla narrazione biografica e autobiografica nella migrazione, dallo sradicamento alla costruzione dell'identità migratoria. 21-22/2004 Piero Coppo, Ma gli sciamani volano davvero? E. de Martino e l’etnometapsichica. (179-207) Che statuto dare a quelle che la psichiatria, l’antropologia e in generale le discipline che si riferiscono alla Scienza hanno sempre classificato come “credenze”, negando loro la qualifica di “Verità”? Spiriti, dèi, forze impersonali, esistono davvero, o la stessa formulazione di questa domanda pone un problema che riguarda l’epistemologia di chi si riferisce alla Scienza? A partire dalla corposa postfazione di Silvia Mancini all’edizione francese di Il mondo magico di E. de Martino, Coppo riflette su quale via di conoscenza permette di evitare riduzioni, liquidazioni e giudizi sbrigativi. 21-22/2004 Piero Coppo intervista Pakuy Pierre Mounkoro, Possibili alleanze. 2. Etnopsichiatria e medicina tradizionale.(211-220) In questa intervista al medico maliano responsabile del Centro Regionale di Medicina Tradizionale di Bandiagara, Mali, vengono discusse le possibili sinergie tra Medicine Tradizionali ed Etnopsichiatria e su come organizzare terreni di lavoro comuni. 23/2005 Bertrand Hell, Il sentiero dell’invisibile. (25-47) Bertrand Hell è antropologo e autore di alcuni libri fondamentali sulle confraternite Gnawa del Marocco. Qui descrive il percorso iniziatico che si trova, riassunto e simbolizzato, nella struttura della cerimonia gnawi della Lila. 23-2005 Chiara Bresciani, L’esorcista, l’antropologa e lo psichiatra. (119-127) Analizzando il fenomeno dell’esorcismo, l’autrice sceglie di considerare l’oggetto di studio attraverso tre discipline, seguendo la scia del principio di complementarietà elaborato da Georges Devereux. Ha intervistato don Gabriele Amorth, sacerdote esorcista (si veda il numero 23 del 2005 ne i Fogli di ORISS); Alessandro Tamino, psichiatra; e Adelina Talamonti, antropologa (si veda il numero 24 del 2005 ne i Fogli di ORISS). Una delle ipotesi da sottoporre a verifica è che, oltre a essere un rito, l'esorcismo sia anche una terapia inserita in una specifica cultura e tradizione. 23-2005 Chiara Bresciani, Intervista a Don Gabriele Amorth. (128-150) L’intervista è stata raccolta a Roma nel marzo del 2004, colloca il fenomeno all’interno della cornice religiosa e verte sulle caratteristiche della formazione di don Gabriele Amorth, le specificità e le tipologie di coloro che interpellano l’esorcista, il rapporto fra esorcisti e psichiatri. 23/2005 Piero Coppo, Paralisi nel sonno (157-161) Partendo da un articolo apparso sulla rivista canadese «Transcultural Psychiatry», Coppo riferisce i dati relativi alla sindrome della “Paralisi nel sonno” e discute le possibili implicazioni etnopsichiatriche di una esperienza genericamente umana ma fortemente caratterizzata dalla messa in forma ad opera delle culture locali. 24/2005 Piero Coppo, Lelia Pisani, Per riattivare gli altari. Una ricerca-azione tra salute mentale e medicina tradizionale in Mali (9-30) Cooperanti in Mali, gli Autori rendono conto di un intervento di cooperazione in sostegno di un santuario abbandonato dedicato alla cura della “follia”. L’intervento è stato motivato dalla assenza di altre risorse per la presa in carico delle sofferenze “psichiche” su un territorio dove le risorse della medicina tradizionale in questo ambito si stanno esaurendo. 24/2005 Chiara Bresciani, L’antropologa e l’esorcista. Intervista a Adelina Talamonti. (140-162) Continuazione della ricerca sull’esorcismo introdotta nel numero precedente de i Fogli di ORISS (23/2005). L’esorcismo è qui affrontato dal punto di vista antropologico attraverso l’intervista con Adelina Talmonti che racconta le sue ricerche sugli esorcismi di don Gabriele Amorth e la sua collaborazione con Alessandro Tamino. 25/2006 Bruno Latour, Fatture/fratture: dalla nozione di rete a quella di attaccamento (11-32) Sociologo della scienza celebre per il suo Laboratory life, in cui analizzava le condizioni della "produzioni di verità" nella scienza, Latour propone in questo articolo di passare oltre la "grande partizione" fra dati e valori tramite la nozione di attaccamento, ovvero qualcosa che al contempo ci fa fare ed è da noi fatto. Contro la vecchia opposizione fra la "progressista" libertà dagli attaccamenti e la "reazionaria" necessità dell'asservimento, Latour propone di distinguere fra buoni e cattivi attaccamenti, e di interpretare la libertà come possibilità di lavorare i propri attaccamenti. 26/2006 Piero Coppo, Attaccamenti, identità, dipendenze (89-100) Riferendosi alla teoria degli attaccamenti come formulata da Bruno Latour (v. sopra) e utilizzata in etnopsichiatria (come risposta alla naturalizzazione ontologica degli attaccamenti originari), l’Autore propone di adottare la differenza tra “soggetti attaccati” e “soggetti assoggettati” come possibile via di uscita dall’individualismo, considerato in Occidente come l’unico modello portatore di libertà. 26/2006 Caterina Castellani, Questioni epistemologiche. La costruzione del dato nelle scienze psicologiche. (179-187) L’Autrice, filosofa, ripensa la costruzione del dato scientifico a partire da un convegno organizzato dall’Università di Padova che aveva per tema la critica della diagnosi nosografica nelle sue applicazioni alla psicologia clinica. La psicanalisi si è posta dall’inizio come scienza della psiche all’interno di un quadro oggettivo-realista in cui tuttavia la natura interattiva del dato poneva problema. Attraverso le analisi di Devereux e di Stengers l’autrice indaga l’assunzione del carattere costruito dei quadri teorici e clinici da parte dell’Etnopsichiatria di stampo nathaniano. 27-28/2007 Isabelle Stengers, Utenti: lobbies o creazione politica? (65-76) A partire dal dibattito attorno al Disease Mongering, e cioè alla pratica "pubblicitaria", ampiamente denunciata, di convincere persone sostanzialmente sane di essere malate, e persone leggermente malate di esserlo in modo grave, al fine di aumentare le vendite di farmaci, Stengers descrive come le associazioni di utenti reagiscono a questa denuncia e come potrebbero, eventualmente reagire. 27-28/2007 Françoise Sironi, Saggio di psicologia geopolitica clinica. Un oggetto attivo alle interfacce tra mondi (77-92) Françoise Sironi descrive qui un approccio “innovatore e fecondo” alle violenze politiche a partire dai fondamenti dell’etnopsichiatria, e in particolare dal suo mettere i pazienti in posizione di esperti e di porsi come meta-teoria, approccio che propone di chiamare «psicologia geopolitica clinica». Fornisce alcuni esempi (i veterani della guerra in Afghanistan, il traumatismo intenzionale) utili a illustrare l’approccio proposto. 27-28/2007 Mike Singleton, Dalla psichiatria (nostra) attraverso l’etno-psichiatria (loro) alle etno-psichiatrie (per tutti) … per finire al di là di ogni psichiatria! (93-122) Mike Singleton, antropologo ex-Padre bianco ed ex-missionario, propone di dismettere una volta per tutte l'atteggiamento di chi, credendo di disporre dell'unica vera scienza della natura, considera le conoscenze altrui come credenze o, al meglio, come etno-scienze (ovvero varianti locali dell'unica verità a cui solo l'Occidente sarebbe giunto)... partendo proprio dall'etno-psichiatria. 27-28/2007 Piero Coppo, Una intervista a Bert Hellinger. (207-212) Bert Hellinger è uno dei rappresentanti di spicco di un approccio, quello delle “Costellazioni famigliari”, che si sta rapidamente diffondendo nei paesi dell’Occidente. Coppo lo intervista cercando di mettere in luce analogie e diversità con i sistemi tradizionali africani e con certi assunti e pratiche dell’etnopsichiatria. 29-30/2008 Roberta Sartor, Il medico in città. Stengers, Latour e il Centre Devereux (33-46) Roberta Sartor, filosofa, introduce gli articoli di Isabelle Stengers e Bruno Latour (v. sotto) ponendoli sullo sfondo delle discussioni epistemologiche, dell’antropologia della scienza e del campo etnopsichiatrico nell’accezione nathaniana. 29-30/2008 Isabelle Stengers, La grande partizione (47-61) In questo intervento del 1993 al congresso «Pouvoir de sorcier, pouvoir de médecin. Question del théorie», la filosofa belga riflette sulla "grande partizione", sull'«l'eroica separazione fra la soggettività umana e la natura votata al sapere oggettivo», che separerebbe la cultura occidentale da tutte le altre; e approfondisce di rete proposta da Latour per interpretare i dispositivi (sociali, economici, di credenze ecc.) che rendono vere le teorie. 29-30/2008 Bruno Latour, Nota su alcuni oggetti capelluti (62-78) Contro l'idea che esista una "grande partizione" fra l'Occidente che sa per via scientifica e il resto del mondo che crede, o fra i fatti di cui si occupa la scienza e i valori che informano le pratiche sociali, Latour propone l'immagine degli oggetti cappelluti, concrezioni di fatti e di valori, e procede a mostrare come gli stessi oggetti scientifici siano tutt'altro che alieni dalle (e anzi, pienamente informati delle) dinamiche sociali relative ai valori. 29-30/2008 Stefania Consigliere, Nuovi doveri e più alti. Una rilettura del Mondo Magico di de Martino (79102) Stefania Consigliere, antropologa, rilegge Il mondo magico alla luce del fallimento dell'universalismo occidentale che ancora poteva essere orizzonte per De Martino. Nel misurare la distanza che gli ultimi quarant'anni hanno messo fra noi e lui, resta nell'opera di De Martino, attraverso la categoria della presenza al mondo, una tensione etica e una chiamata al pensiero critico che sono, forse, la sua più importante eredità. 31-32/2009 Isabelle Stengers, Dalla lezione dell’8 aprile 2008 (25-35) Stengers spiega che cosa, come filosofa, ha trovato di interessante nell'etnopsichiatria praticata al Centre Devereux. Da un lato, l'etnopsichiatria propone di separare le credenze nei diversi invisibili dalla capacità di lavorare con essi sapendo che sono pericolosi; dall'altro, proprio la riflessione sugli invisibili altrui permette, infine, di arrivare a vedere gli invisibili propri – quelli che, ad esempio, muovono i filosofi. Infine riflette sull'inconscio freudiano come potente invisibile, e su che cosa sia una scienza, un sapere, infine "civilizzato". 31-32/2009 Catherine Grandsard, Dalla lezione del 21 e 22 luglio 2008 (55 – 73) Co-direttrice del Centre Devereux, Catherine Grandsard descrive dapprima i "miti di fondazione" del centro stesso, tracciando fra l'altro una breve biografia di Tobie Nathan; poi riflette sulle diverse logiche di appartenenza in azione fra gli ebrei, da un lato, e fra i cristiani dall'altro, evidenziando come i figli di coppie miste possano trovarsi, a un certo punto della loro vita, di fronte a una crisi causata proprio dal conflitto fra logiche differenti. 31-32/2009 Francesca Cirillo, Incontro con i guaritori della Valdera (87-99) Francesca Cirillo ha esplorato il paesaggio umbratile dei guaritori toscani, che in piena postmodernità praticano qualcosa che, qui da noi, si è fatto indicibile: la difficoltà nell'avvicinarsi a questo mondo è tanto rilevante quanto ciò che, al suo interno, vi si scopre. 31-32/2009 Cristina Santilli, Zingari e salute (100-112) Cristina Santilli, antropologa con esperienza di campo fra i Rom, indaga il rapporto fra i progetti sulla salute degli Zingari e l'idea che gli Zingari stessi hanno del loro stato di salute, dei loro bisogni, e della medicina benintenzionata che li vorrebbe tutelare. 31-32/2009 Cristina Zavaroni, Concetti vicini, concetti lontani: il doppio estraneamento e l’interpretazione in antropologia (113-124) Cristina Zavaroni, antropologa con esperienza di campo in Uganda alla sua prima missione in Messico, mette in tensione i due diversi campi etnografici, ricavandone una riflessione sulla necessità, e la perniciosità, degli "occhiali" etnografici. 31-32/2009 Costanza Amici, Danzare sull’orlo del paradosso. Etnoantropologia e lo studio dell’Alterità (125148) Costanza Amici, antropologa, riflette sulla fondamentale categoria antropologica dello straniamento che si prova nell'incontro con l'altro. Teorizzato come "esperienza intellettuale" esso è anche, e forse soprattutto, uno straniamento del corpo, che chiama in causa la partecipazione e, con essa, i limiti della riflessione antropologica. 31-32/2009 Fabrizia Scortecci, Il benessere a scuola: i laboratori incentrati sull’uso della lingua materna (149-157) Fabrizia Scortecci, linguista, analizza dei laboratori scolastici, proposti da una struttura del comune di Genova, sull'uso della lingua materna; ed evidenzia tanto la solidità dell'ipotesi pedagogica di partenza, quanto i rischi che corre una pratica non antropologicamente avveduta. 31-32/2009 Alejandra Careno Calderon, Narrazioni bambine: strategie per legare e slegare mondi (158-169) Alejandra Carreno Calderon ha saputo osservare ciò che accade nei laboratori per bambini stranieri, che si lascia vedere solo per piccoli segni, e da cui ha ricavato un quadro critico che mostra una via d'uscita dalle impasse delle soluzioni facili. 31-32/2009 Simona Mastrogiacomo, Ri-flessioni nel campo, tra pedagogia e terapia, salute e malattia (170182) Antropologa, Simona Mastrogiacomo coniuga la riflessione di Gregory Bateson con qualcosa che potremmo definire come intercultura quotidiana, così come praticata in una scuola romana; in quest'incrocio identifica anche alcune possibili linee di fuga teoriche e pratiche. 31-32/2009 Federica Micucci, La cartella clinica tra storia e antropologia (184-195) Federica Micucci, storica e antropologa, ha analizzato lo strumento "cartella clinica" in un servizio di salute mentale, ricavandone dati sul suo utilizzo effettivo e, quindi, sul suo senso in una situazione dove i vincoli sono molteplici e incrociati. 31-32/2009 Daniela Albesi, Pratiche “illegittime” di gestione del dolore: approccio etnopsichiatrico all’autolesionismo (196-206) L'autrice, psicologa e psicoterapeuta, propone una riflessione, a mezza strada fra epistemologia ed etica, sul dolore in psicoterapia e sulla funzione di certificazione del dolore della psicoterapia stessa; in particolare, discute del dolore "illegittimo" e paradossale dalle pratiche autolesioniste. 31-32/2009 Maddalena Pompili, “Parole d’ordine” al Centro di Consultazione Etnopsichiatria dell’Azienda Ospedaliera di Ca’ Granda – Niguarda Milano (207-219) Maddalena Pompili, psicologa, descrive le pratiche etnopsichiatriche di un servizio pubblico milanese, analizzandone i vincoli istituzionali, le scelte di campo e le premesse epistemologiche, e alla luce di differenti interpretazioni possibili di che cosa sia l'etnopsichiatria. 31-32/2009 Gaia Petraglia, La cucina dello psicoterapeuta. Esperienza di tirocinio dal Senegal alla Francia (220-231) Gaia Petraglia, psicologa e psicoterapeuta, propone un resoconto del suo viaggio fra Africa e Europa, alla ricerca delle connessioni fra le tradizioni terapeutiche in movimento e le diverse declinazioni possibili dell'etnopsichiatria europea.