Dipartimento Jonico in Sistemi Giuridici ed Economici del Mediterraneo: Società, Ambiente, Culture Jonian Department - Mediterranean Economic and Legal Systems: Society, Environment, Cultures ANNALI 2016 – anno IV (Estratto) Maria R. Piccinni Brevi note a Corte Cost. n. 52/2016: il principio di bilateralità e l’insindacabilità delle scelte del governo nella stipulazione delle intese con le confessioni religiose http://www.annalidipartimentojonico.org Creative Commons cc-by-nc-nd 3.0 ISBN: 978-88-909569-6-6 DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO Bruno Notarnicola COORDINATORE DELLA COLLANA Francesco Mastroberti COMMISSIONE PER GLI ANNALI DEL DIPARTIMENTO JONICO Bruno Notarnicola, Domenico Garofalo, Riccardo Pagano, Giuseppe Labanca, Francesco Mastroberti, Nicola Triggiani, Aurelio Arnese, Stefano Vinci COMITATO SCIENTIFICO Domenico Garofalo, Bruno Notarnicola, Riccardo Pagano, Antonio Felice Uricchio, Annamaria Bonomo, Maria Teresa Paola Caputi Jambrenghi, Daniela Caterino, Michele Indellicato, Ivan Ingravallo, Giuseppe Labanca, Antonio Leandro, Tommaso Losacco, Giuseppe Losappio, Pamela Martino, Francesco Mastroberti, Francesco Moliterni, Concetta Maria Nanna, Fabrizio Panza, Paolo Pardolesi, Ferdinando Parente, Giovanna Reali, Paolo Stefanì, Laura Tafaro, Giuseppe Tassielli, Sebastiano Tafaro, Nicola Triggiani, Umberto Violante COMITATO REDAZIONALE Stefano Vinci (coordinatore), Cosima Ilaria Buonocore, Patrizia Montefusco, Maria Rosaria Piccinni, Adriana Schiedi Redazione: Prof. Francesco Mastroberti Dipartimento Jonico in Sistemi Economici e Giuridici del Mediterraneo: Società, Ambiente, Culture Convento San Francesco, Via Duomo, 259 - 74123 Taranto, Italy E-mail: [email protected] Telefono: + 39 099 372382 Fax: + 39 099 7340595 http://www.annalidipartimentojonico.org Maria Rosaria Piccinni BREVI NOTE A CORTE COST. N. 52/2016: IL PRINCIPIO DI BILATERALITÀ E L’INSINDACABILITÀ DELLE SCELTE DEL GOVERNO NELLA STIPULAZIONE DELLE INTESE CON LE CONFESSIONI RELIGIOSE. ∗ ABSTRACT Il contributo prende in esame la Sentenza della The contribution examines the Judgment of the Corte Costituzionale n. 52 del 16 marzo 2016, Constitutional Court n. 52 of 16 March 2016, la quale rappresenta il punto di approdo di un which is the landing point of a complex judicial complesso iter giudiziario riguardante la process concerning the request of the UAAR richiesta dell’UAAR (Unione Atei, Agnostici (Union of Atheists, Agnostics and Rationalists) e Razionalisti) di stipulare un’Intesa con lo to have an agreement with Italian State according Stato italiano ai sensi dell’art. 8 Cost. Le to art. 8 Cost. The main issues in this questioni sottese a tale pronunciamento, sono pronouncement, are multiple and complex, and molteplici e complesse e riguardano la concern the definition of religion in Italian law, definizione di confessione religiosa the meaning of the equal freedom accorded by nell’ordinamento giuridico italiano, il the Constituent Assembly to religious significato dell’uguale libertà riconosciuta dal confessions, and the nature of the act by which Costituente alle confessioni religiose, nonché the Government decides whether to begin la natura (e di conseguenza la sindacabilità in negotiations for the conclusion of an agreement. sede giudiziaria) dell’atto con cui il Governo decide se dare avvio alle trattative per la stipulazione di un’Intesa. UAAR – Confessioni religiose – Intese UAAR – Religious groups - Agreements SOMMARIO: 1. La vicenda giudiziaria. – 2. Le argomentazioni della Corte Costituzionale nella sentenza n. 52/2016. – 3. Il problema della definizione giuridica di “confessione religiosa” e la dimensione della libertà religiosa negativa: il caso UAAR. – 4. L’art. 8 della Costituzione tra principio di bilateralità e indisponibilità. – 5. L’avvio delle trattative: diritto o mero interesse di fatto? 1. La Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 52 del 10 marzo 2016, ha risolto un conflitto di attribuzione sollevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri avverso la Corte di Cassazione, sancendo che il Governo non ha l’obbligo di avviare le trattative ∗ Saggio sottoposto a referaggio secondo il sistema del doppio cieco. Maria Rosaria Piccinni per la stipulazione di un’Intesa ex art. 8, comma terzo Cost. e che il mancato soddisfacimento della richiesta di un’Intesa non può essere soggetto ad un sindacato in sede giurisdizionale. Tale pronuncia rappresenta il punto di approdo di un articolato excursus giurisprudenziale che ha avuto origine nel 2003 attraverso un ricorso presso il TAR Lazio, a cui hanno fatto seguito sentenze del Consiglio di Stato e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Il casus belli è la delibera del Consiglio dei Ministri del 27 novembre 2003, con la quale, recependo il parere dell’Avvocatura generale dello Stato, si decideva di respingere la richiesta dell’UAAR (Unione Atei, Agnostici e Razionalisti) e di non avviare le trattative volte alla stipulazione dell’Intesa ai sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione, ritenendo che la professione di ateismo non possa essere assimilata ad una confessione religiosa, né, pertanto, regolata in modo analogo a quanto esplicitamente disposto dall’art. 8 della Costituzione per le sole confessioni religiose. 1. L’UAAR impugnava innanzi al TAR Lazio tale delibera, sul presupposto della violazione degli artt. 3 e 8 Cost., lamentando disparità di trattamento e violazione del principio costituzionale di laicità dello Stato. In base alle argomentazioni addotte dall’UAAR, se la professione dell’ateismo rientra nell’esercizio della libertà di religione, così come riconosciuto nella delibera impugnata, il rifiuto di trattare la ricorrente come una confessione religiosa rappresenterebbe una disparità di trattamento, in violazione delle norme costituzionali sull’eguaglianza e sull’uguale libertà di tutte le confessioni religiose e del principio 1 Cfr. Delibera del Consiglio dei Ministri del 27 novembre 2003 e nota della Presidenza del Consiglio del 5 dicembre 2003, prot. USG/5140/03. I.6.7. «Il Consiglio dei Ministri ha condiviso il parere espresso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale ritiene che la professione dell’ateismo, certamente da ammettersi al pari di quella religiosa quanto al libero esercizio in qualsiasi forma, individuale ed associata, purché non integrante riti contrari al buon costume (art. 19 della Costituzione), non possa essere regolata in modo analogo a quanto esplicitamente disposto dall’art. 8 della Costituzione per le sole confessioni religiose. La possibilità ivi contemplata di addivenire ad una regolamentazione bilaterale dei rapporti mediante la conclusione di intese è infatti, secondo il Consiglio dei Ministri, espressamente riservata alle confessioni religiose diverse dalla cattolica. Sostiene inoltre l’Avvocatura Generale nel citato parere che per “confessione religiosa” si intende generalmente un fatto di fede rivolto al divino vissuto in comune tra più persone che lo rendono manifesto nella società tramite una propria particolare struttura istituzionale. La connotazione oggettiva voluta dal Costituente nel quadro dell’art. 8, secondo comma, è chiaramente individuata da un contenuto religioso di tipo positivo, di tal che il Consiglio dei Ministri, concorde l’Avvocatura dello Stato, ha ritenuto la norma non estensibile per analogia a situazioni non riconducibili a quella fattispecie». In realtà l’UAAR aveva richiesto già nel 1991 l’avvio delle trattative, richiesta che fu respinta nel 1996 con una semplice “missiva” del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, impugnata con ricorso straordinario al Capo dello Stato con varie motivazioni, tra cui la mancanza della deliberazione del Consiglio dei Ministri richiesta dall’art. 2, lett l), della legge n. 400/1988, per tutti gli atti concernenti i rapporti previsti dall’art. 8 della Costituzione. A seguito dell’accoglimento di tale ricorso l’UAAR cercò di forzare l’avvio del procedimento per l’Intesa mediante la richiesta di un intervento sostitutivo della Magistratura amministrativa; dichiarato inammissibile. Dopo diversi anni caratterizzati da scambi di note e comunicazioni, una nuova richiesta di Intesa fu respinta con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 27 novembre del 2003. Per la ricostruzione della vicenda si rinvia a Berlingò, 2014, 6; Alicino, 2013, 185 ss. 390 Brevi note a Corte Cost. n. 52/2016 stesso di laicità, il quale presuppone, in base all’interpretazione adottata dalla tesi difensiva dell’UAAR, «equidistanza e imparzialità rispetto a tutte le confessioni religiose, tra le quali sarebbe ricompreso anche l’ateismo in forma organizzata». Il TAR Lazio, Sezione prima, con sentenza 31 dicembre 2008, n. 12539, dichiarava il ricorso inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione, ritenendo che la determinazione impugnata avesse natura di atto politico non impugnabile innanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7, co. I, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Avverso tale pronuncia l’UAAR proponeva appello innanzi al Consiglio di Stato, sez. IV, il quale, con la sentenza 18 novembre 2011, n. 6083, ribaltava la sentenza di primo grado affermando la sussistenza del sindacato giurisdizionale amministrativo e rinviando la causa al giudice di prime cure. Il focus della questione riguardava la delimitazione della categoria degli “atti politici” sottratta al sindacato giurisdizionale: data la non impugnabilità di tali atti, in deroga ai principi fondamentali in materia di diritto di azione e tutela delle situazioni giuridiche soggettive, ex artt. 24 e 113 Cost., si tratta di previsioni eccezionali, per le quali è opportuno che siano individuati criteri definitori ben precisi. La dottrina e la giurisprudenza prevalente ritengono fondamentale la sussistenza, nella definizione di “atto politico”, di due requisiti, uno di carattere soggettivo e l’altro di carattere oggettivo: il primo è che «l’atto debba promanare da un organo di vertice della pubblica amministrazione, individuato fra quelli preposti all’indirizzo e alla direzione della cosa pubblica al massimo livello»; il secondo riguarda l’oggetto dell’atto, che «deve concernere la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione»2. Il Consiglio di Stato, con la Sentenza n. 6083/2011, ha escluso la natura politica delle scelte relative all’avvio di trattative finalizzate alla conclusione di un’Intesa. In particolare, nella citata Sentenza viene affermato che l’art. 8 Cost., al comma 3 costituisce una norma sulle fonti, che sancisce l’obbligo della bilateralità per la regolamentazione dei rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose e pone una riserva di legge assoluta in materia, sia pure limitando la sovranità legislativa del Parlamento, che non può apportare modifiche al testo dell’Intesa. La norma individua nell’Intesa lo strumento tecnico-giuridico più adatto a tener conto della specificità delle confessioni religiose e ad assicurarne l’uguaglianza 2 Cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2007, nr. 209; Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2001, nr. 1397; id., 29 febbraio 1996, nr. 217. Anche la Corte Costituzionale ha evidenziato che l’individuazione di aree sottratte al sindacato giurisdizionale va confinata entro limiti rigorosi: «Gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate» (Corte Cost. 5 aprile 2012 n. 81). Dickmann, 2012; Bilancia, 2012; Blando, 2012; Pagano, 2013, 863 ss. 391 Maria Rosaria Piccinni sostanziale, fungendo da strumento di raccordo tra diritto dello Stato e ordinamenti religiosi. A parere del Consiglio di Stato, pur restando salva la potestà del legislatore di non tradurre in legge i contenuti di un’eventuale Intesa, l’art. 8 è una norma posta, come corollario del principio di uguale libertà, nell’interesse delle confessioni religiose, le quali nell’esercizio della propria autonomia organizzativa possono chiedere di addivenire ad una definizione bilaterale dei propri rapporti con lo Stato. Sulla base di tali argomentazioni, in questa sede molto sinteticamente riportate, si concludeva che «quanto meno l’avvio delle trattative può addirittura considerarsi obbligatorio sol che si possa pervenire a un giudizio di qualificabilità del soggetto istante come confessione religiosa». Per quanto riguarda l’accertamento dell’ascrivibilità dell’organizzazione richiedente al novero delle “confessioni religiose”, per il Consiglio di Stato non può essere ritenuto un atto insindacabile, bensì esercizio di una discrezionalità valutativa come ponderazione di interessi. Per tali motivi, in accoglimento delle richieste dell’UAAR, il Consiglio di Stato annullava la pronuncia impugnata, rinviando la causa al Giudice di primo grado. Avverso questa pronuncia, il Consiglio dei Ministri proponeva tempestivo ricorso per Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, sulla base della considerazione che il rifiuto espresso nei confronti dell’UAAR, motivato peraltro dalla non qualificabilità dell’associazione istante come confessione religiosa, fosse da considerare atto politico non giustiziabile. Le ragioni addotte dall’Avvocatura dello Stato a sostegno di tale tesi si fondano sulla considerazione che le confessioni religiose acattoliche che mirino ad un’Intesa sarebbero portatrici di una mera aspirazione di fatto, che coinvolge la responsabilità politica del Governo, non la responsabilità dell’amministrazione. Inoltre, anche dopo la stipula di un’Intesa il Governo è libero di non darvi ulteriore corso in sede legislativa; peraltro le confessioni religiose sono libere di organizzarsi e la mancanza dell’Intesa non compromette la garanzia di eguale libertà. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione 3, con sentenza n. 16305 del 2013, premettendo di aderire all’orientamento largamente condiviso che confina la categoria degli atti politici in ambiti operativi molto ristretti (per i motivi già sopra richiamati), hanno confermato la tesi già espressa dal Consiglio di Stato, sostenendo che la qualificazione dell’organizzazione richiedente come confessione religiosa costituisca esercizio di discrezionalità tecnica da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri e sia pertanto sindacabile in sede giurisdizionale. La Cassazione sostiene tali argomentazioni ritenendo che il primo comma dell’art. 8 Cost. (che sancisce l’uguale libertà delle confessioni religiose) costituisce il 3 Tra gli autorevoli commenti si segnalano i seguenti: Pasquali Cerioli, 2012a; Canonico, 2012a; Di Prima, 2015, 131 ss.; Bertolini, 2012, 625 ss; Fascio, 2012, 1204 ss. 392 Brevi note a Corte Cost. n. 52/2016 presupposto interpretativo del terzo comma: in sintesi, dato che la stipulazione dell’Intesa sarebbe finalizzata ad una più compiuta attuazione dei valori di eguaglianza tra confessioni religiose, l’attitudine di un’organizzazione a stipulare accordi con lo Stato (art. 8, comma 3) non potrebbe essere sottoposta all’assoluta discrezionalità del Governo, a pena di sacrificare l’eguale libertà (art. 8, comma 1). Da questo punto di vista, secondo la Cassazione, il Governo avrebbe avuto l’obbligo giuridico di avviare le trattative ex art. 8 Cost. per il solo fatto che vi fosse stata una richiesta, a prescindere dalle evenienze verificabili nel prosieguo dell’iter legislativo della correlata legge di approvazione. Veniva così confermata l’interpretazione più garantista, che in mancanza di precisi parametri legislativi prevede l’obbligo del Governo di avviare le trattative con le confessioni o organizzazioni che ne facciano richiesta, per le quali tuttavia non è configurabile un diritto all’Intesa 4. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, in nome proprio e per conto del Consiglio dei Ministri, non condividendo tale orientamento, sollevava dinanzi alla Corte Costituzionale conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, osservando che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16305 del 2013, avrebbe illegittimamente esercitato il suo potere giurisdizionale, menomando la funzione di indirizzo politico che la Costituzione assegna al Governo in materia religiosa (artt. 7, 8, terzo comma, 92 e 95 Cost.), funzione «assolutamente libera nel fine» e quindi «insuscettibile di controllo da parte dei giudici comuni». In base alla tesi difensiva sostenuta dall’Avvocatura dello Stato, non può essere previsto alcun obbligo all’avvio delle trattative per la conclusione dell’intesa ex art. 8, terzo comma, Cost., trattandosi di atto politico libero che rientra tra le determinazioni sottratte al controllo dei giudici. Così come il Governo è libero di non dare seguito alla stipulazione dell’intesa, omettendo di esercitare l’iniziativa per l’approvazione della legge prevista dall’art. 8, terzo comma, Cost., a maggior ragione dovrebbe essere libero, nell’esercizio delle sue valutazioni politiche, di non avviare alcuna trattativa: l’apertura delle trattative, pertanto, non è un diritto, ma un «interesse di mero fatto non qualificato, privo di protezione giuridica». Sulla base di tali considerazioni si demandava alla Corte Costituzionale il compito di dichiarare l’insindacabilità, ad opera dei giudici comuni, del rifiuto del Consiglio dei Ministri di avviare le trattative con l’UAAR per la stipulazione dell’Intesa. 4 Colaianni, 2014a. Secondo l’Autore, se la generalizzazione dell’obbligo di avviare trattative è funzionale ad impedire una «immotivata e incontrollata selezione degli interlocutori confessionali» frenando l’arbitrio del Governo in violazione dell’eguale libertà sancita dall’art. 8 cost., bisogna riconoscere che non esiste un diritto all’eguaglianza se non nella misura di un meta-diritto, cioè di un’aspettativa a non essere discriminati, la quale trova protezione, come in generale nei confronti del potere amministrativo in presenza di un provvedimento (l’avvio delle trattative) che soddisfa l’interesse legittimo allo svolgimento imparziale dell’azione amministrativa, in conformità alle regole poste dall’ordinamento e in funzione della non disparità di trattamento. 393 Maria Rosaria Piccinni 2. La Corte Costituzionale, nel dirimere il conflitto, parte dall’esegesi dell’art. 8 Cost. e dal valore che lo strumento delle Intese assume nella regolazione dei rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni religiose diverse dalla cattolica. Il metodo della negoziazione bilaterale è stato ritenuto dal legislatore il più idoneo a dare attuazione al principio di uguale libertà tra le confessioni religiose, tenendo ben presente le specificità di ognuna nel riconoscimento delle peculiari esigenze manifestate. Per evitare che una disciplina unilaterale da parte dello Stato potesse generare disparità di trattamento e diseguaglianze, il legislatore ha voluto garantire, attraverso la disciplina degli accordi bilaterali, l’“uguaglianza sostanziale”, che consiste non nell’attribuire a ciascuno lo stesso trattamento, bensì nel valorizzare le differenze e rimuovere gli ostacoli per una compiuta partecipazione alla vita democratica e per un effettivo riconoscimento dei diritti fondamentali 5. Tuttavia, prosegue la Corte, i primi due commi dell’art. 8 Cost. garantiscono alla confessioni religiose l’uguale libertà e la potestà di auto-organizzazione: si tratta di norme fondamentali a tutela della libertà religiosa in forma associata, che prescindono dalla stipulazione di Intese, tanto è vero che, per costante giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale, non sono ammesse discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o non abbiano regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese (si vedano, ex multis, le sentenze n.195/1993 e n. 346/2002 in tema di edilizia di culto, le quali hanno affermato che la mancanza di stipulazione di un’Intesa non può essere motivo di discriminazione nell’accesso ai contributi pubblici in materia di edilizia di culto) 6. Per tale ragione, la Corte Costituzionale ha ritenuto non condivisibile quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione, la quale invece asseriva che l’esclusione dalle trattative per l’Intesa pregiudica l’uguale libertà delle confessioni religiose. Pur in assenza di una legge generale sulla libertà religiosa, tale libertà è riconosciuta e garantita dagli artt. 3, 8, 19 e 20 della Costituzione, che la tutelano indistintamente in forma individuale e associata, in conformità al carattere laico e pluralista che caratterizza l’impianto costituzionale. Per Corte Costituzionale dunque (confutando le argomentazioni della Corte di Cassazione), l’ art. 8, III co., della Costituzione non è una norma procedurale 5 Tra la vasta letteratura giuridica sul punto cfr. Finocchiaro, 1958a; Casuscelli, 2000a, 66 ss; Tozzi, 1990, 166 ss.; Randazzo, 2008. 6 Cfr. Corte Cost., sent. n. 195 del 1993, in www.giurcost.org, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 1 della legge della Regione Abruzzo 16 marzo 1988 n. 29 nella misura in cui in materia di edilizia di culto, subordinava la concessioni di contributi pubblici alle sole confessioni che avessero stipulato un’Intesa con lo Stato. Conformemente, Corte Cost., sentenza n. 346/2002, in Quad. dir. pol. eccl., n. 3/2002, pp. 701-706, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 1 della legge della Regione Lombardia 9 maggio 1992, n. 20. Per approfondimenti cfr. D’Andrea, 2003, 667 ss; Parolin, 2003, 351 e ss. Cfr. Corte Cost., sentenza n. 346/2002, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. 3/2002, pp. 701-706. Più in generale, sulla questione, cfr. Tozzi, 2006, 335 ss.; Persano, 2008. 394 Brevi note a Corte Cost. n. 52/2016 meramente servente e dipendente dal primo comma, finalizzata a realizzare i principi di uguaglianza e uguale libertà, ma ha un significato e un valore autonomo, che è quello di estendere anche alle confessioni religiose diverse dalla Cattolica il “metodo bilaterale”, ove sussista il requisito di una concorde volontà delle parti in tal senso, tra cui pre-requisito fondamentale è da intendersi la disponibilità del Governo ad avviare le trattative. Pertanto è da ritenersi insindacabile da parte dei giudici comuni il rifiuto, opposto dal Governo, all’avvio delle trattative preordinate alla conclusione di un’intesa ex art. 8, terzo comma, Cost., almeno finché il legislatore non decida di emanare una normativa esplicita che regoli il procedimento, indicando parametri oggettivi per l’individuazione degli interlocutori. La sindacabilità delle scelte del Governo, in tal senso, costituirebbe una violazione del principio di bilateralità, il cui presupposto, come poc’anzi evidenziato, è proprio la libera e comune volontà di entrambe le parti, il cui momento genetico è da ravvisarsi nella scelta dell’avvio delle trattative. Oltretutto, argomenta la Consulta, il procedimento che porta alla stipulazione dell’Intesa è una serie di atti tra loro collegati e preordinati al raggiungimento di uno scopo unitario: sarebbe pertanto contraddittorio negare il “diritto” all’intesa quale risultato finale delle trattative e contemporaneamente affermare la giustiziabilità del diniego all’avvio delle stesse. Non si comprenderebbe infatti perché si dovrebbe imporre l’apertura di trattative, visto che non è possibile pretenderne, né garantirne in alcun modo la positiva conclusione, rimessa alla valutazione governativa. Le valutazioni fatte dal Governo nell’individuazione dei soggetti che possono essere ammessi alle trattative, limitandoli alle sole confessioni religiose ed escludendo le associazioni, rientrano nella sua ampia sfera di discrezionalità e sono motivate da ragioni di opportunità politica, tenendo conto «della realtà mutevole e imprevedibile dei rapporti politici interni ed internazionali». Per tali ragioni, in mancanza di norme procedurali specifiche e dell’obbligo di negoziare un’Intesa, solo il Consiglio dei Ministri può valutare l’opportunità di avviare trattative volte alla regolazione bilaterale dei rapporti reciproci. Della decisione di non avviare le trattative il Governo può essere chiamato a rispondere politicamente di fronte al Parlamento, ma non in sede giudiziaria. Va pertanto annullata l’impugnata sentenza della Corte di Cassazione, sezioni unite civili. 3. Le questioni affrontate nella sentenza sono molteplici e complesse, destinate a generare un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di libertà religiosa, uguaglianza ed attuazione delle garanzie costituzionali. Si tratta di una tematica di grande interesse ed attualità, data la composizione sempre più variegata ed eterogenea del panorama religioso italiano e le crescenti problematiche legate alla necessità di individuare gli strumenti normativi più adatti a garantire le esigenze religiose in conformità ai princìpi costituzionali. 395 Maria Rosaria Piccinni La prima delle problematiche da esaminare riguarda la definizione giuridica di “confessione religiosa”, che il nostro legislatore non ha mai voluto esplicitare, lasciando alla dottrina ed alla giurisprudenza questo compito, anche se si tratta di una definizione essenziale per individuare i destinatari delle garanzie previste dall’art. 8 Cost. 7 La difficoltà di trovare una qualificazione giuridica per un fenomeno tanto articolato quale quello religioso è accentuata nella società attuale, in cui si sono sviluppati e diffusi movimenti religiosi non ascrivibili ai paradigmi tradizionali: la dottrina maggioritaria considera confessione religiosa «un gruppo sociale stabile, con una propria ed originale concezione del mondo radicata nella credenza in un Essere trascendente in rapporto con gli uomini, e ad esso teleologicamente ordinato»8. L’elemento distintivo rispetto alle associazioni con finalità di religione e di culto, dunque, sarebbe l’originalità della concezione del mondo e il rapporto con l’elemento divino, da ricercare nel trascendente o nell’immanente. La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha successivamente individuato degli elementi “sintomatici” del carattere di confessione religiosa, ancorché non esaustivi, quali la presenza di uno statuto, il riconoscimento pubblico o la “comune considerazione” (Corte Cost., sentenza 195/1993) 9. Il secondo comma dell’art. 8 Cost., nel prevedere che le confessioni religiose possano organizzarsi secondo i propri statuti, contempla l’esistenza di confessioni che possano qualificarsi tali ed usufruire della stessa tutela garantita dal primo comma della medesima norma pur non presentando alcuna forma di organizzazione statutaria, anche se, per l’attribuzione di tale qualifica, è ragionevole ritenere necessario almeno un minimo di struttura organizzativa. Dotarsi di uno statuto, in altre parole, è un diritto delle confessioni religiose, ma non un dovere che inficia la possibilità di godere dell’uguale libertà che la Costituzione accorda a tali formazioni sociali 10. Non è sufficiente l’autoqualificazione del gruppo quale confessione religiosa, se non supportata da elementi di riscontro oggettivi e pratici, come la presenza di riti, la cura dei fedeli, la presenza di testi sacri, ecc. Tuttavia, se l’autoqualificazione non è un requisito sufficiente, esso è nondimeno necessario: non sarebbe possibile, infatti, per lo Stato, attribuire la qualifica di confessione religiosa ad un gruppo che non si ritenga 7 Prima dell’avvento della Costituzione repubblicana non esisteva il termine “confessione religiosa”, ma si faceva riferimento ai “culti”. Lo Statuto albertino faceva riferimento ai “culti ammessi”, così come la legge che regolava in epoca fascista le relazioni tra lo Stato e le confessioni religiose n. 1159/1929, “Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi”, in G.U. 16 luglio 1929, n. 164. 8 Cfr. Finocchiaro, 2000b, 68 ss. 9 Corte Cost., sent. 27 aprile 1993, n. 195, in Diritto Ecclesiastico, II, 1993, p. 189 e ss. Sul problema giuridico della definizione di confessione religiosa si rinvia a Ferrari, 1995, 20. 10 Cfr. Chizzoniti, 2000, 140; Colaianni, 1990b, 53 ss.; Di Cosimo, 1998, 434; Cardia, 1998, 934 ss.; Mirabelli, 2006, 1244 ss; Mantineo, 2009. 396 Brevi note a Corte Cost. n. 52/2016 tale, se non entrando nel merito delle credenze e dei riti praticati, il che costituirebbe una forma di giurisdizionalismo in contrasto con il principio supremo di laicità dello Stato 11. Nel caso di specie, l’UAAR (Unione Atei, Agnostici e Razionalisti) si definisce, nel proprio statuto. “organizzazione filosofica non confessionale” e associazione di promozione sociale ai sensi della Legge 7 dicembre 2000, n. 383: è evidente che si tratti di un fenomeno associativo e non confessionale, tutelato dunque non ai sensi dell’art. 8 della Costituzione, bensì degli artt. 18 (diritto di associazione) ed eventualmente 19 Cost., che si estende alla libertà religiosa e di coscienza individuale. Anche gli scopi che l’UAAR persegue sono tipicamente associativi e si concretizzano nella «tutela dei diritti degli atei e degli agnostici» in funzione antidiscriminatoria, in particolare, «pretendendo l’abolizione di ogni privilegio accordato, di diritto o di fatto, a qualsiasi religione, in virtù dell’uguaglianza di fronte alla legge di religioni e associazioni filosofiche non confessionali». Nei proclami diffusi attraverso il sito ufficiale dell’organizzazione, per “eliminazione di ogni forma di discriminazione” non si intende l’accesso alle garanzie ed ai benefici concessi alle altre confessioni religiose, bensì la loro abolizione (abolizione dell’otto per mille, dell’insegnamento religioso nelle scuole, ecc.) 12. Le modalità indicate per perseguire le proprie finalità comprendono campagne di informazione, dibattiti, cerimonie civili e strumenti di propaganda dell’ateismo che rientrano tipicamente nelle manifestazioni della libertà di religione individuale di cui all’art. 19 Cost., le cui previsioni si estendono anche alla libertà cosiddetta “negativa”, ossia il diritto di non credere 13, pur in mancanza di un riferimento esplicito alla libertà di coscienza 14. La Costituzione repubblicana ha introdotto una serie di norme a garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali, che certamente valgono anche per la propaganda di idee antireligiose: non sarebbe corretto, peraltro, restringere arbitrariamente il contenuto 11 Cfr. Finocchiaro, 2012c, 77. E’ evidente, però, che questa modalità di “rimozione delle discriminazioni” non può trovare accoglimento senza ledere la sfera giuridica di altri soggetti, in questo caso la Chiesa Cattolica e le confessioni religiose che abbiano stipulato un’Intesa con lo Stato ai sensi dell’art. 8 Cost. 13 Fiorita, Onida, 2011, 32. In Italia, l’ateismo ha sempre assunto la forma di un rifiuto della religione, manifestatosi in plurime sfaccettature. In Italia l’ateismo si è sempre sostanziato nell’opzione individuale di rifiuto della religione, manifestata in plurime modalità e sfaccettature. La dimensione collettiva dell’ateismo è frutto della deriva anticlericale ottocentesca, storicamente determinata dal conflitto StatoChiesa Cattolica, che affondava le sue radici nella necessità di restringere lo spazio pubblico della religione stigmatizzando il controllo del clero sulle coscienze dei cittadini e ridimensionando le attività degli enti ecclesiastici e il loro ruolo in settori di rilevanza sociale (istruzione, beneficienza, assistenza, ecc.). Cimbalo, 2011, 119 ss. Conformemente, Grossi, 2005, 113, afferma che la libertà religiosa individuale garantita dall’art. 19 della Costituzione si articola secondo una formulazione che si riallaccia alla tradizione liberale ottocentesca. 14 Sul tema della libertà religiosa e dell’esegesi dell’art. 19 Cost., ex multis, si rinvia a Tedeschi, 2002a. 12 397 Maria Rosaria Piccinni della libertà di religione giungendo a negare che esso comprenda anche l’ateismo attivo, ossia «il completo operare per trasformare in atei i soggetti religiosi» 15. Il diritto di professare le proprie idee comprende anche forme anomale ed individuali che si discostino dalle dottrine religiose tradizionali ed ortodosse per approdare a fenomeni di miscredenza o antireligiosità. Qualora l’ateismo dia vita a strutture istituzionali ed organizzate, tuttavia, è necessario riconoscere la differenza sostanziale che impedisce qualunque assimilazione alle confessioni religiose: si tratta di associazioni o “circoli di liberi pensatori” che, al pari di ogni associazione che non persegua scopi illeciti o contrari al buon costume e all’ordine pubblico, possono trovare tutela in base alle norme costituzionali che garantiscono la libertà di associazione e alla disciplina di diritto comune 16. Molte delle richieste formulate dall’UAAR riguardano l’esercizio della libertà religiosa nella sua declinazione collettiva, come ad esempio l’assistenza morale non confessionale nelle strutture obbliganti, la possibilità di disporre di luoghi idonei alle esequie non religiose, agevolazioni economiche e tributarie. Si tratta di domande concrete che trovano la loro giustificazione nella lettura delle norme costituzionali e nell’ambito del percorso tratteggiato dalla Corte Costituzionale, che partendo dalla considerazione delle esigenze individuali, giustifica il ruolo delle organizzazioni di appartenenza, considerate entità strumentali al soddisfacimento delle esigenze dei loro aderenti, per arrivare a dar conto della posizione di eguale libertà di tali organizzazioni 17. Tuttavia è l’UAAR stessa a qualificarsi come associazione e pur avendo delle finalità sociali e riscontrandosi una certa “affinità” tra i fenomeni sociali a rilevanza religiosa e l’ateismo militante (affinità che in alcuni Stati europei hanno dato luogo ad una assimilazione dei fenomeni e non di rado ad una disciplina comune) 18, non può 15 Cfr. Catalano, 2007. Cfr. Jemolo, 1979, 66 ss.; D’Avack, 1964; Ruffini, 1992. 17 Cfr. Floris, 2011, 106. 18 L’art. 17 del TFUE pone sullo stesso piano le confessioni religiose e le organizzazioni filosofiche e non confessionali per quanto riguarda il dialogo con le istituzioni dell’Unione. Si tratta di una norma, non priva di ambiguità interpretative, che esprime la posizione a-teista dell’Europa, priva, cioè, di una sua religione ufficiale, che tuttavia non ignora il fenomeno religioso, mantenendo con esso, così come con le organizzazioni non confessionali, un dialogo regolare. Cfr. Colaianni, 2011c. Se il terzo comma dell’art. 17 TFUE è ascrivibile ad una filosofia federalista nel riconosce alle istituzioni europee il diritto d’instaurare un dialogo aperto, trasparente e regolare con le confessioni e le organizzazioni filosofiche, il primo comma, nel prevedere che « l' Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale» esprime, la formale rinuncia d’esercizio di sovranità da parte delle istituzioni europee a vantaggio dei singoli Stati e delle organizzazioni religiose nazionali maggiormente rappresentative. Sul punto cfr. Feliciani, 2012; Margiotta Broglio, 2010a, 2. Secondo Margiotta Broglio (cfr. Margiotta Broglio 2013b, p. 17), l’art. 17 TFUE è una disposizione che, combinata con la Carta dei diritti fondamentali della UE e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo assicura alle organizzazioni degli atei e degli agnostici uno status e una dignità che mettono credenti e non credenti allo stesso livello di diritti anche collettivi e di garanzia contro ogni tipo di discriminazione, anche con riferimento a eventuali regimi di privilegio. Coglievina, 2011. 16 398 Brevi note a Corte Cost. n. 52/2016 definirsi confessione religiosa, dunque non può, in base alla normativa italiana, beneficiare delle garanzie previste dall’art. 8, III comma, per le confessioni religiose 19. Il fatto che l’Unione Europea rispetti e non pregiudichi lo status di confessioni religiose e associazioni filosofiche riconoscendo loro un ruolo attivo nella costruzione della società democratica e considerandoli interlocutori di dialogo, non implica uniformità di trattamento tra confessioni religiose e associazioni filosofiche, essendo questo un ambito rimesso alla sovranità statale, che l’Unione Europea “rispetta e non pregiudica”. 4. Resta da analizzare il rilievo critico che evidenzia la sussistenza di un trattamento discriminatorio a carico delle organizzazioni qualora vengano tout court escluse dalla possibilità di richiedere l’avvio delle trattative ai fini della stipulazione di un’Intesa. Su questo punto la Corte di Cassazione, SS.UU. 1635/2013, aveva fondato il proprio convincimento interpretando il comma 3 dell’art. 8 Cost. come un corollario dell’ “eguale libertà” garantita al primo comma e sostenendo che «l’ampia discrezionalità che connoterebbe le scelte del Governo in materia di stipulazione dell’Intesa e, prima ancora, di individuazione dell’interlocutore come confessione religiosa sarebbe invero suscettibile di dar vita a un sistema fondato su evidenti discriminazioni non consentite in virtù dell’eguale libertà da garantire», se non si desse sindacato giurisdizionale quanto meno sull’avvio delle trattative e sul preliminare accertamento della riconducibilità dell’organizzazione richiedente nel novero delle confessioni religiose 20. La Corte Costituzionale, di contro, non aderisce a tale indirizzo interpretativo, fondando le proprie argomentazioni su due postulati essenziali: il primo, in base al quale la garanzia di eguaglianza tra confessioni religiose prescinde dalla stipulazione dell’Intesa, e il secondo, per cui la stipulazione dell’Intesa non può essere considerata una pretesa, né tantomeno essere soggetta a sindacato giurisdizionale. Quanto al primo rilievo, giova soffermarsi sull’esegesi dell’art. 8 Cost. e sull’applicazione del principio di bilateralità in esso sancito: a dire il vero, analizzando il dibattito dell’Assemblea costituente nell’elaborazione della norma, emerge che la finalità dell’art. 8 è quella di garantire il pluralismo religioso e di evitare disparità alla luce dell’art. 7 Cost. che, riconoscendo l’indipendenza e la sovranità della Chiesa Cattolica rispetto allo Stato, costituzionalizzava il principio concordatario. 19 Del resto un ulteriore considerazione critica può essere svolta con riferimento alla rappresentatività dell’associazione UAAR: se l’ateismo e l’agnosticismo sono, come abbiamo visto, qualificabili all’interno della libertà di coscienza (a prescindere dalla circostanza che questo tipo di aggregazioni possano essere definite “religiose” ai fini dell’intesa), è più problematico dimostrare che l’UAAR esprima una dimensione di aggregazione comunitaria, pur dichiarandosi “l’unica associazione nazionale che rappresenta le ragioni dei cittadini atei e agnostici, in quanto l’ateismo e l’agnosticismo indubbiamente sono caratterizzati da una declinazione comunitaria meno accentuata dei culti religiosi. Cfr. Pin, 2016. 20 Cfr. Pasquali Cerioli, 2013b, 23 e ss.; Pasquali Cerioli, 2012c, 2.; Ferrari A., 2012, 126 ss. 399 Maria Rosaria Piccinni La tradizione legislativa in tema di confessioni religiose diverse dalla cattolica, ai tempi dell’Assemblea costituente, era abbastanza limitata, in quanto prendeva in considerazione solo realtà religiose storicamente presenti sul territorio italiano, quali le comunità israelitiche, le chiese valdesi e le comunità ortodosse, per cui non era possibile, all’epoca, prevedere le problematiche a cui può attualmente dar luogo la gestione di un panorama religioso decisamente eterogeneo, caratterizzato da realtà culturalmente e giuridicamente non sempre assimilabili ed identificabili nell’alveo del paradigma tradizionale delle “confessioni religiose”. Anche se le confessioni religiose sono libere dal punto di vista delle opzioni fideistiche e dei contenuti religiosi, è sempre lo Stato che detiene il compito di qualificare “confessione religiosa” un gruppo, di verificare la presenza di elementi che lo contraddistinguono rispetto ad un mero movimento o associazione di pensiero e di stabilire misure legislative adeguate, valutando se sussistano i presupposti per instaurare con esse un rapporto giuridico 21. E’ lo Stato che qualifica le confessioni religiose, le quali, vivendo ed operando nell’alveo dell’ordinamento giuridico italiano, traggono da esso il riconoscimento della loro attività normativa 22: non tutti i gruppi che hanno i requisiti per poter essere considerati confessioni religiose sono qualificati tali, né lo Stato è disposto a sottoscrivere con essi intese. L’art. 8 Cost. non è l’unica norma ad occuparsi del “fenomeno religioso superindividuale” 23, né può costituire “la regola fondamentale del diritto ecclesiastico italiano”: diversamente si arriverebbe a ipervalorizzare l’art. 7 Cost., mentre è più corretto inquadrare le due norme nell’ambito dei principi fondamentali che tutelano i diritti collettivi e individuali di libertà, senza ignorare la presenza di altre norme e altri principi ugualmente fondamentali 24. Secondo la Corte Costituzionale, l’uguale libertà delle confessioni religiose non è garantita dalla presenza di un’Intesa, bensì dagli artt. 3, 8 I e II comma e 19 Cost.: il terzo comma dell’art. 8 Cost. «i loro rapporti sono regolati sulla base di intese con le relative rappresentanze» non è una mera norma procedurale in applicazione dei primi due: in altre parole la negoziazione dei rapporti con lo Stato sarebbe una facoltà aggiuntiva, ma non un passaggio necessario per il riconoscimento delle garanzie fondamentali del diritto di libertà religiosa 25. Se così non fosse, si depriverebbe la tutela della libertà religiosa dei gruppi senza intesa, subordinandola alla conclusione di un 21 Cfr. Tedeschi, 1999b. Cfr. Tedeschi, 1977c, 425 ss. 23 Cfr. Casuscelli, 2011b. 24 Cfr. Tedeschi, 2007d, 97. 25 «Le Intese non sono una condizione imposta dai pubblici poteri allo scopo di consentire alle confessioni religiose di usufruire della libertà di organizzazione e di azione» (Corte Cost., sentenza 10 marzo 2016 n. 52, 5.1) 22 400 Brevi note a Corte Cost. n. 52/2016 patto: l’area di operatività dell’intesa sarebbe pertanto quella di elaborare la disciplina di ambiti collegati ai caratteri peculiari delle singole confessioni religiose. La politica ecclesiastica attuale, che tra i suoi elementi fondanti annovera il pluralismo, la laicità e la libertà di religione, si trova attualmente stretta tra l’ esigenza di porre fine alle politiche discriminatorie e quella di non compromettere, anche solo potenzialmente, il regime “privilegiato” assicurato alle confessioni che hanno prescelto la via pattizia tra cui, in primis, la posizione “dominante” della alla Chiesa Cattolica26. L’evoluzione normativa in materia di diritto ecclesiastico degli ultimi anni è stata caratterizzata dalla proliferazione di “intese-fotocopia” e dalla mancanza di una legge generale sulla libertà religiosa 27: tali circostanze, tuttavia, non possono essere invocate allo scopo di paralizzare le garanzie costituzionali di cui godono tutte le confessioni religiose. E’ alla legislazione unilaterale che dovrebbe essere affidato il ruolo di garanzia, in via generale, delle libertà fondamentali, non potendo considerare le intese in un “corpus premiale privilegiario” 28. E’ pur vero, però, che lo strumento dell’Intesa (e, in genere, del metodo bilaterale), è funzionale a realizzare una più compiuta applicazione dei principi fondamentali sopra richiamati, tenendo conto della specificità delle esigenze dei diversi gruppi religiosi che attraverso la negoziazione dei propri rapporti con lo Stato così possono esprimere la propria soggettività identitaria evitando che lo Stato possa, unilateralmente, emanare normative che riguardino la condizione delle confessioni religiose diverse dalla cattolica 29. Il metodo bilaterale, anche se non può essere inteso riduttivisticamente in senso antidiscriminatorio come uno strumento per eliminare disparità di trattamento e dare attuazione al principio di uguale libertà (come invece affermato dalla Corte di Cassazione), è tuttavia funzionale a risolvere i potenziali conflitti tra la società civile e i gruppi religiosi, in attuazione del principio di laicità positiva che caratterizza il nostro ordinamento 30. Non si può negare che le confessioni religiose siano portatrici di un interesse alla conclusione di un accordo con lo Stato: verificata l’insussistenza di un diritto alla stipulazione dell’intesa e di un corrispondente obbligo dello Stato, occorre capire se, dinanzi ad una richiesta espressa, il Governo goda di piena libertà oppure se sia 26 Cfr. Casucelli, 1998c, 397. Sul tema della legge generale in materia di libertà religiosa si rinvia, ex multis, a Tozzi, Macrì, Parisi, 2010. Di diverso orientamento, Canonico, 2010b. 28 Dieni, 2006, 171. 29 La previsione costituzionale in materia di Intese introduce una limitazione a carico del potere legislativo, il cui esercizio può legittimamente esplicarsi solo entro i confini delimitati dall’art. 7, secondo comma, e dall’art. 8, terzo comma, Cost., e cioè nel rispetto dei contenuti pattuiti di volta in volta con i soggetti interessati. Funzione primaria dell’intesa è quella di modificare la condizione giuridica della confessione religiosa nell’ambito ordinamentale, emancipandola dalla legislazione unilaterale statale per farla concorrere ad un negoziato diretto a definire un regime pattizio compiuto. Cardia, 224. 30 Alicino, 2013, 187 ss.; Modugno, 1985, 49 ss. 27 401 Maria Rosaria Piccinni vincolato a rispondere accettando almeno di avviare trattative, ferma restando, in capo ad entrambe le parti, la facoltà di interromperle e di non portarle a compimento 31. 5. La Corte Costituzionale, nel riconoscere che, in base al diritto vigente, il Governo può essere chiamato a rispondere del mancato avvio delle intese di fronte al Parlamento, ma non in sede giudiziaria, ammette che la questione potrebbe prospettarsi diversamente qualora il legislatore «decidesse, nella sua discrezionalità, di introdurre una compiuta regolazione del procedimento di stipulazione delle intese, recante anche parametri oggettivi, idonei a guidare il Governo nella scelta dell’interlocutore. Se ciò accadesse, il rispetto di tali vincoli costituirebbe un requisito di legittimità e di validità delle scelte governative, sindacabile nelle sedi appropriate». In realtà, però, è la stessa Corte a non vedere di buon occhio questa ipotesi, riconoscendo che la decisione del Governo di non aderire alla richiesta di avvio delle trattative può essere influenzata da una molteplicità di fattori sociali e culturali e giungendo alla conclusione che, a fronte di un’estrema varietà di situazioni non tipizzabili, al Governo competa una discrezionalità molto ampia. Sulla base di tali considerazioni sembra difficile, se non inopportuno, che il Parlamento possa vincolare il Governo nella scelta dell’interlocutore, anche alla luce di parametri oggettivi, poiché è proprio nell’alveo della discrezionalità e della responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento, che si colloca la valutazione circa le condizioni per avviare un’Intesa 32. In base all’interpretazione offerta dalla Corte Costituzionale, in caso di diniego di avvio delle trattative, a carico del Governo si può configurare soltanto una responsabilità politica davanti al Parlamento, ai sensi dell’art. 2, III co., lettera l), della legge n. 400 del 1988, la quale sottopone alla deliberazione del Consiglio dei Ministri gli atti concernenti i rapporti previsti dall’art. 8 Cost. 33 Tra questi atti, argomenta la Corte Costituzionale, è sicuramente compresa la decisione riguardante l’avvio delle trattative, per la quale il Governo risponde solo di fronte al Parlamento, con le modalità attraverso le quali la responsabilità politica dell’esecutivo è attivabile in una forma di governo parlamentare 34. Tuttavia, tale conclusione induce a chiedersi se l’insindacabilità di tale decisione del Governo in sede giurisdizionale non comporti, a ben vedere, una lesione della 31 Canonico, 2012c. Pin, 2016. 33 Sull’iniziativa Pasquali Cerioli, 2006d; Placanica, 2002, 4259. 34 Il ruolo del Parlamento circa l’operato del Governo assume tuttavia una valenza pregnante, considerando che l’esito è rappresentato dalla decisione di approvare o meno con legge i contenuti dell’Intesa. La riserva di competenza prevista in favore del Consiglio dei Ministri, secondo la Corte «ha l’effetto di rendere possibile, secondo i principi propri del governo parlamentare, l’effettività del controllo del Parlamento fin dalla fase preliminare all’apertura vera e propria delle trattative, controllo ben giustificato alla luce dei delicati interessi protetti dal terzo comma dell’art. 8 Cost.». 32 402 Brevi note a Corte Cost. n. 52/2016 legittima pretesa al rispetto dei parametri costituzionali in base ai quali la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si sviluppa la sua personalità. In presenza di parametri oggettivi e “figure sintomatiche” che, come abbiamo visto, sono state elaborate dalla giurisprudenza e dalla dottrina per attribuire alle diverse espressioni di fede la qualificazione di confessione religiosa (la presenza di un complesso di dottrine incentrate sulla ricerca del divino nella trascendenza o nell’immanenza, l’esistenza di riti e pratiche liturgiche, la presenza di uno statuto e riconoscimenti pubblici), la verifica della sussistenza di tali requisiti e della non contrarietà di tali formazioni all’ordinamento giuridico italiano rientrerebbe, come affermato dalla Corte di Cassazione, nell’ambito della discrezionalità tecnica. In altre parole, se il riconoscimento giuridico della confessione religiosa si basa su elementi di fatto oggettivi, tangibili e dimostrabili, non vi dovrebbe essere alcuna ragione per sottrarre la valutazione discrezionale ad un giudizio che non sia tecnicamente ispirato. Tuttavia, le motivazioni alla base della recente sentenza della Consulta non affrontano questo punto, bensì si fondano sulla qualificazione di “atto politico non giustiziabile”, in cui rientrerebbe la decisione governativa di non avviare trattative, a prescindere dalla qualificazione in senso confessionale o meno di un determinato gruppo o associazione. Alcune perplessità sorgono, se si pensa che il diniego ingiustificato di avviare le trattative, in quanto atto politico, possa intendersi sottratto anche al rispetto del principio costituzionale in base al quale la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli che, di fatto, limitano l’eguaglianza tra cittadini anche in base a distinzioni di ordine religioso. Negare l’accesso alle trattative ad un gruppo sociale che presenti tutti i requisiti di una confessione religiosa, riscontrabili in base ai sopra citati parametri oggettivi e secondo una valutazione tecnico-discrezionale, di fatto realizzerebbe un’ingiustificata privazione della possibilità di accedere ad uno status, quello della confessione religiosa con intesa, che comporta l’attribuzione di determinate prerogative e diritti. La Corte, su questo punto, in via riepilogativa afferma che «un conto è l’individuazione, in astratto, dei caratteri che fanno di un gruppo sociale con finalità religiose una confessione, rendendola, come tale, destinataria di tutte le norme predisposte dal diritto comune per questo genere di associazioni. Un altro conto è la valutazione del Governo circa l’avvio delle trattative ex art. 8, terzo comma, Cost., nel cui ambito ricade anche l’individuazione, in concreto, dell’interlocutore», ritenendo che al Consiglio dei Ministri spetti un’ampia discrezionalità politica, che non può essere sottoposta a sindacato giurisdizionale. La Corte Costituzionale, tuttavia, sembra non prendere in considerazione il dettato dell’art. 8 Cost., il quale prevede che i rapporti tra Stato e confessioni religiose non 403 Maria Rosaria Piccinni “possono essere”, ma “sono” regolati sulla base di Intese con le relative rappresentanze: se, in base al principio consensualistico, non è sempre possibile addivenire ad un accordo per varie ragioni, il rifiuto pregiudiziale e insindacabile all’avvio delle trattative appare comunque non conforme alla norma costituzionale. Per queste ragioni l’atto di diniego delle trattative, più che rientrare nella sfera dell’insindacabilità, della libertà dei fini e della non giustiziabilità, andrebbe forse più correttamente ascritto alla sfera della discrezionalità tecnica, o quantomeno dovrebbe essere espresso con atto motivato, adducendo una giustificazione logica alla scelta in questione, altrimenti censurabile 35. Nel caso in esame, con riferimento all’UAAR, la motivazione del diniego governativo all’avvio di trattative può essere correttamente ravvisata nella mancanza delle caratteristiche necessarie per poterlo qualificare confessione religiosa, trattandosi di valutazione che certamente compete agli organi di Governo. Il Governo può legittimamente rifiutare di ricevere la rappresentanza della confessione religiosa, a condizione che ne contesti l’identità dichiarata da quest’ultima, appunto il suo essere una “confessione”. Tuttavia, l’accertamento riguardante i requisiti soggettivi della formazione sociale, facendo riferimento a dei criteri predeterminati e oggettivi, non dovrebbe essere un atto insindacabile e non giustiziabile, altrimenti sarebbe come ammettere che ad un atto politico insindacabile competa far luogo all’interpretazione autentica di un disposto costituzionale che esprime un diritto fondamentale 36. Il riconoscimento al Governo di un potere del tutto libero nei fini e privo di controlli, se non quello politico del Parlamento, significa accettare il rischio che un atto governativo possa finire per prevalere sulla stessa Costituzione 37. Un atto governativo non rispondente ai principi costituzionali non può essere sanato dal Parlamento che, d’altro canto, non può autorizzare il Governo ad operare al di fuori della Costituzione. Sostenere dunque l’insindacabilità giuridica di un atto, a fronte del mero controllo politico operabile dal Parlamento, significherebbe attribuire al Parlamento il potere, se necessario, di consentire al Governo anche l’adozione di atti in contrasto con i principi costituzionali. Viceversa, la responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento è una responsabilità che opera in relazione ad atti posti in essere all’interno del perimetro della legalità costituzionale, che riguardano il merito politico delle scelte governative, tra quelle costituzionalmente legittime 38. La responsabilità politica del Governo, infatti, ha dei contorni molto più sfumati della responsabilità giuridica e si concretizza sostanzialmente nella possibilità che Parlamento non approvi uno o più atti posti in 35 Canonico, 2012d; Pasquali Cerioli, 2009e, 65-66. Cfr. Ruggieri, 2016. 37 Blando, 2012. 38 Cfr. Porena, 2016. 36 404 Brevi note a Corte Cost. n. 52/2016 essere dal Governo, minando così la stabilità del vincolo fiduciario che lega le Camere al Governo. Tale responsabilità però non riguarda la legittimità costituzionale degli atti governativi: se il controllo parlamentare è dunque un controllo politico e non un controllo di legittimità, il primo può aggiungersi ma non certo sostituire il secondo. L’affermazione della politicità dell’atto di avvio o di diniego delle trattative ascrive alla sfera politica del Governo la decisione su quale associazione sia confessione religiosa o meritevole di stipulare un’Intesa, con la conseguenza che l’eguale libertà delle confessioni religiose viene filtrata da argomentazioni che non sempre trovano in Parlamento la dialettica che si renderebbe necessaria 39. Invece il principio della bilateralità, che trova la sua più compiuta attuazione attraverso il metodo delle Intese, dovrebbe essere rigorosamente ispirato al principio della eguale libertà delle confessioni religiose. Riferimenti bibliografici: Alicino F. (2013), La legislazione sulla base di intese. I test delle religioni “altre” e degli ateismi. Bari: Cacucci. Berlingò S. (2014). L’affaire dell’U.A.A.R.: da mera querelle politica ad oggetto di tutela giudiziaria. Rivista Telematica Stato, Chiese e pluralismo confessionale, p. 6. Bertolini F. (2012). Obbligo del governo all’intesa con una confessione religiosa? Quad. cost., p. 625 ss. Bilancia F. (2012). Ancora sull’“atto politico” e sulla sua pretesa insindacabilità giurisdizionale. Una categoria tradizionale al tramonto? Rivista AIC. Blando F. (2012). «Atto politico» e «Stato di diritto» nella sentenza n. 81 del 2012 della Corte costituzionale. Forum di Quaderni costituzionali. Canonico M. (2010). 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