Tracce tematiche generali Nella filosofia greca l’Aria è uno dei quattro elementi naturali. I filosofi greci individuarono nell'aria uno degli archè (o origine) del cosmo, cioè una delle diverse soluzioni proposte dai presocratici per cercare di ricondurre a un'unica sostanza i mutamenti della natura. E’ con Empedocle di Agrigento (495 - 435 a.C.) che l'aria divenne uno dei quattro elementi classici della filosofia greca, insieme alla terra, al fuoco, e all'acqua. Platone (427 - 347 a.C.) accolse nella sua filosofia la dottrina dei quattro elementi di Empedocle, collocando l'aria in una posizione intermedia tra il fuoco e l'acqua per la sua mobilità, la sua nitidezza e la sua capacità di penetrare i corpi. Tra tutti gli elementi, l'aria è quello più sottile, in quanto invisibile, non può essere afferrata e trattenuta; è lo spazio intangibile che avvolge e permea l’intero universo, rappresenta la linea di demarcazione tra la terra e il cielo, cioè il punto di contatto tra la spiritualità e la materia. La sua apparente delicatezza, la sua impalpabilità, potrebbero far supporre che si tratti dell'elemento più debole tra i quattro, forse quello dotato di minor energia e potenza, ma dinanzi alla furia di un tornado, o di un ciclone, ben poco resta saldamente ancorato alla terra. L'aria è brezza, è vento, è tempesta. Alla potenza devastatrice dell'aria non sfugge nulla. Porta la morte, poiché sradica e strappa, ma anche la vita, spargendo semi dove non vi sono alberi o piante, e il cambiamento là dove è necessario. Senza contare l'importanza che essa ha avuto per lo sviluppo della vita sulla terra; senza aria, l’uomo non esisterebbe, come non esisterebbero le piante, gli animali, l'acqua e il fuoco. Si tratta di un elemento percepito come immateriale, ma che possiamo: percepire - in ogni momento della nostra vita siamo circondati dall’aria, ma la percepiamo in modo particolare quando siamo in movimento. Quando c’è vento l’aria si muove verso di noi, ne avvertiamo il soffio sulla pelle. Se c’è forte vento dobbiamo tenere ben stretto il cappello sulla testa, altrimenti vola via; annusare - senz’aria non saremmo in grado di percepire alcun odore, di annusare la purezza dell’aria fresca di montagna, il profumo dei fiori o la fragranza del pane appena sfornato; sentire - l’aria non porta con sé soltanto odori, ma anche suoni e rumori. Sentiamo le voci e la musica, i clacson delle automobili o l’abbaiare del cane. Tutti i rumori arrivano alle nostre orecchie tramite l’aria. Ma l’aria stessa produce molti rumori, quando ad esempio c’è una forte corrente e il vento sferza gli oggetti, muove le fronde di un albero o sibila alle finestre. parlare - l'Aria è anche parola, fiato che fuoriesce dalla bocca in forma di suono, portando con sé le vibrazioni necessarie a provocare un rumore. Quando si tratta di conoscenza e di comunicazione tra persone, il soffio ha una connessione naturale con la parola. Infatti per parlare adoperiamo il nostro soffio. Le corde vocali fanno vibrare il nostro soffio, il quale trasmette così i suoni delle parole; vedere - l’aria in sé è invisibile e incolore in quanto trasparente. Ma è possibile vedere l’aria in rapporto agli oggetti, basta pensare a una girandola, al volo di una piuma, ai coriandoli che lanciati dall’alto cadono a terra, ecc.; respirare - Il gesto del respirare, da quando lo abbiamo fatto per la prima volta, distaccandoci da nostra madre, sino a quando ci vuoteremo dell’aria inspirata per l’ultima volta, è, assieme a molti gesti essenziali al vivere corporeo, quanto di più naturale e di più automatico ci possa accadere ma, nello stesso tempo, è uno dei gesti più carichi di grandi e misteriosi significati, perché ci pone in un dialogo di interscambio con tutto il creato: le piante ci forniscono ossigeno ed assorbono anidride carbonica durante il giorno mentre succede l’opposto durante la notte. RESPIRO In Grecia, il respiro vitale è chiamato pneuma, una parola usata per la prima volta da Anassimene (ca. 545 a.C.). Anassimene ha affermato che la vita comincia con il respiro. Tutte le cose vengono da esso e si dissolvono in esso con la morte. L'anima è respiro, ed è il controllo del respiro stesso che "mantiene insieme" (previene la disintegrazione o dalla decomposizione) gli esseri umani. Come l’aria o il vento esso circonda e conserva il mondo. Il respiro vitale crea un’unità tra il microcosmo ed il macrocosmo. Spirito è una parola latina che deriva da quella greca pneuma che vuol dire vita, tutto ciò che respira. In latino spiritus viene da "spiro" che vuol dire respirare, vivere, soffiare. Respirare, per l'uomo, è una necessità e un mistero. In questa funzione, l'uomo scorge il segreto della vita. Il respiro è essenzialmente una esperienza ritmica, continua, dove c’è respiro c’è vita, ed è realtà comune a tutti i viventi. Noi veniamo alla vita con un respiro e moriamo emettendo un respiro. L’inspirare e l’espirare costituisce il ritmo stesso della nostra vita, il respiro coinvolge il nostro corpo in ogni sua parte, e con esso facciamo diventare interno ciò che è esterno e viceversa, in un dialogo di interscambio con tutto il creato. Appena nato il bambino, con la bocca spalancata, cerca di placare la sua fame d’aria; espulso dal ventre materno, con gli occhi chiusi, le braccia che si agitano, si trova all’improvviso in mezzo a qualcosa di estraneo: deve iniziare a respirare ma non sa come. VOLO L'uomo ha sempre desiderato volare. Vincere la forza di gravità che lo ancora a terra. Sfidare i limiti imposti dalla fisica e dalla realtà. Fondersi con il vento e accompagnare i tuoni, salire nel cielo come un palloncino, su una mongolfiera o un aquilone… L’uomo guarda ammirato e invidioso gli uccelli, e in diversi modi ha tentato di imitarne le caratteristiche per raggiungerli in cielo. E ci è anche riuscito: vola il trapezista del circo, l'atleta nel salto, il ballerino nel volteggio. Vola infine l'uomo, aiutato dalla scienza, con le macchine volanti: ha iniziato con i goffi tentativi di Icaro, per continuare poi coi progetti di Leonardo, fino all’invenzione dell’aereo e dell’elicottero. IL SACRO CELESTE: SIGNIFICATO RELIGIOSO DEL CIELO La più popolare preghiera del mondo è rivolta al ‘Padre nostro che è nei Cieli’, un’altra preghiera della tribù africana degli Ewe recita: ‘Dove è il Cielo, ivi è anche Dio’. Il Cielo, per il suo essere infinito all’occhio dell’uomo, prima di venir valorizzato religiosamente, rivelò direttamente la sua trascendenza, la sua forza e la sua sacralità. La contemplazione della volta celeste, da sola, suscita nella coscienza primitiva un'esperienza religiosa. La volta celeste è per eccellenza ‘cosa del tutto diversa’ dalla pochezza dell'uomo e del suo spazio vitale. Nelle esperienze religiose dell’umanità, fin dalle origini, l’ “Altissimo’ diventa, in modo naturale, un attributo della divinità. L'‘alto’ è una categoria inaccessibile all'uomo in quanto tale; appartiene di diritto alle forze e agli esseri sovrumani; colui che si innalza salendo i gradini di un santuario o la scala rituale che porta al Cielo, cessa allora di essere un uomo; le anime dei morti privilegiati, nella loro ascensione celeste, hanno abbandonato la condizione umana. DIVINITA’ DEL CIELO Che il semplice fatto di essere ‘alto’, di trovarsi ‘in alto’, equivalga ad essere ‘potente’ (nel senso religioso della parola) è dimostrato dall'etimologia stessa di certi dèi. Per gli Irochesi, tutto quel che possiede la forza della divinità si chiama "oki", ma il senso della parola "oki" sembra sia ‘chi sta in alto’; troviamo perfino un Essere Supremo celeste chiamato Oke. Le popolazioni Sioux dell'America del Nord esprimono la forza magico-religiosa col termine "wakan", foneticamente molto vicino a "wakan", "wankan", che in lingua dakota significa ‘in alto, al disopra’; il sole, la luna, il fulmine, il vento possiedono "wakan", e questa forza è stata personificata, sebbene imperfettamente, in Wakan, che i missionari traducono ‘Signore’, ma che è, più esattamente, un Essere Supremo celeste, manifestantesi specialmente nel fulmine. La divinità suprema dei Maori si chiama Iho; "iho" vuol dire ‘eccelso, in alto’. I negri Akposo conoscono un dio supremo Uvolavu; il nome significa ‘ciò che sta in alto, le regioni superiori’. Si potrebbero moltiplicare gli esempi ‘L'altissimo, il lucente, il cielo’, sono nozioni esistite più o meno manifestamente nelle espressioni arcaiche con le quali i popoli civili esprimevano l'idea di divinità. La trascendenza divina si rivela direttamente nell'inaccessibilità, l'infinità, l'eternità e la forza del cielo che si manifesta soprattutto attraverso il vento e la pioggia. I Navajo (Indiani d’America) affermano che i Venti (nilch’i) dettero la vita agli esseri umani e a tutta la Natura, chiamano "Sacro Vento" ciò che ha generato la vita. Come i venti scorrono attraverso l’essere umano, lasciano il segno come linee sulle dita di piedi e mani. I venti sono anche poteri segreti, origine di guide guaritrici. Sono considerati messaggeri degli dei o dei sacri spiriti. Quando gli Indiani d’America pregano rivolti ai venti delle quattro direzioni, loro diventano intuitivamente coscienti delle soluzioni per i problemi della vita. Secondo un anziano Navajo, se non si seguono i consigli dei venti, se uno rifiuta di seguire le loro istruzioni, "Il Nostro Sacro Uno toglie il Vento che era dentro di sé. Ferma il suo cuore." Un canto al Grande Spirito divino degli Indiani Sioux: «Grande Spirito la cui voce ascolto nel vento e il cui respiro fa vivere il mondo, ascoltami. Sono uno dei tuoi tanti figli e vengo a te. Sono piccolo e debole, ho bisogno della tua forza e della tua sapienza. Lasciami camminare tra le cose belle e fa che i miei occhi possano ammirare il tramonto rosso e d’oro. Fa che le mie mani possano rispettare ciò che hai creato e le mie orecchie sentire chiaramente il suono della tua voce…». DIVINITA’ DELL’ARIA L’uomo ha da sempre personificato l’Essere Supremo, declinandolo in molteplici figure spesso corrispondenti agli elementi naturali. Sono innumerevoli le divinità legate all’Aria che i popoli hanno venerato nei secoli, ne citiamo solo alcune: Egitto - Shu simboleggia l’aria, intesa anche come soffio di vita. Viene raffigurato come un uomo barbuto, che sta sopra Geb nell’atto di sostenere Nut con le braccia tese (l’aria tra la terra ed il cielo). Spesso indossa sul capo una piuma di struzzo. Cultura Induista – Vayu è il dio del vento e dell’aria. Nei Veda è associato a Indra, mentre spinge la truppa dei Marut, gli dei della tempesta e dei monsoni. Vayu è anche il dio dell'alito divino che fa respirare e vivere il mondo. Viene raffigurato mentre guida il carro volante di Indra, trainato da migliaia di cavalli fiammeggianti. Il suo veicolo è l'antilope e reca spesso con sé una rosa dei venti e un vessillo, simbolo degli attributi atmosferici, o tiene amorevolmente in braccio il figlio Hanuman. Divinità dal carattere violento, che verrà ereditato dal figlio Bhima, ebbe uno screzio con Indra e dal diverbio che ne nacque si staccò un pezzo del monte Meru, che andò a formare l'isola di Sri Lanka. Shintoismo - Shina-Tsu-Hiko e Shina-To-Be sono rispettivamente il dio e la dea del vento. … ARUSPICI Gli Etruschi e i Romani riconoscevano un ruolo particolare agli aruspici, quei sacerdoti-maghi che praticavano l'aruspicina, la pratica etrusca di arte divinatoria che consisteva nell'esame degli eventi meteorologici, del comportamento degli animali ed in particolare delle viscere (soprattutto il fegato) per trarne segni e norme di condotta. Socialmente molto considerati, venivano avviati alle arti divinatorie sin da giovanissimi, e provenivano il più delle volte dalle grandi famiglie aristocratiche. L'osservazione dei fulmini, il volo degli uccelli e l'esame delle viscere degli animali sacrificati, erano le pratiche più utilizzate per interpretare la volontà degli Dei. L'arte aruspicina comprendeva la divisione del cielo secondo lo spazio sacro; il cielo veniva solitamente diviso in 16 settori dedicati alle divinità: le divinità del Nord-Est erano le più favorevoli e comprendevano il sovrano celeste Tinia e la sua consorte Uni; il settori a Nord-Ovest erano i più infausti ed erano dedicati ai demoni dell'oltretomba. A seconda dell'apparizione nei vari settori del cielo di fulmini, o del volo degli uccelli, o di meteore e altri fatti eccezionali, l'aruspice divinizzava la volontà degli dei che governavano quel settore del cielo. Per corrispondenza anche il fegato degli animali sacrificati veniva diviso in settori dedicati alle varie divinità, che servivano a divinare per mezzo delle particolarità osservate, ci resta un modello di fegato in bronzo con le divisioni e i nomi degli dei. Gli aruspici erano vestiti con una mantello frangiato e un alto cappello conico, e tenevano in mano un bastone con l'estremità a spirale chiamata lituo, dal loro abbigliamento deriva la figura del mago.