Introduzione ai fenomeni elettrostatici 1 Cariche elettriche e forze elettriche1 L’ambra, che i Greci chiamavano ἤλεχτρον (electron), ha suscitato interesse fin dai tempi più antichi per le sue curiose proprietà. Si tratta di una resina colata molto tempo fa da alberi di legno dolce, come il pino, e che successivamente, durante molti secoli, si è indurita fino ad assumere l’aspetto di un solido semitrasparente di colore variabile dal giallo al marrone. Quando è pulita si presenta come una bella pietra ornamentale, e talora vi sono inclusi resti di insetti intrappolati quando era ancora allo stato fluido. Gli antichi Greci scoprirono una curiosa proprietà dell’ambra: quando viene strofinata vigorosamente contro un pezzo di stoffa può attrarre oggetti come pezzetti di paglia o semi, purché siano sufficientemente vicini. Molte altre sostanze possiedono proprietà simili a quelle del- Figura 1: Esperimenti di elettricità, da una stampa l’ambra: tra le più comuni, il vetro, molte materie plastiche e le del ’700 resine sintetiche. I fenomeni elettrici sono molteplici e non è facile ricavarne immediatamente conclusioni semplici. Possiamo raccogliere le osservazioni in quattro gruppi: (a) Alcuni materiali acquistano proprietà elettriche per strofinio. Altri, come i metalli, non sembrano elettrizzarsi. (b) Due oggetti dello stesso materiale, elettrizzati strofinandoli con lo stesso tipo di tessuto (per esempio due bacchette di vetro strofinate con seta) si respingono. (c) Invece oggetti di materiali diversi elettrizzati (per esempio una bacchetta di vetro e una di gomma rigida) in alcuni casi si attraggono. (d) Due oggetti inizialmente non elettrizzati, dopo essere stati strofinati l’uno contro l’altro, si attraggono (per esempio il vetro e la seta). 1 liberamente tratto e adattato da: Project Physics Course, PROGETTO FISICA, edizione italiana a cura di A. Prat Bastai, B. Quassiati de Alfaro, V. de Alfaro, P. Violino, Zanichelli 1986 1 Per interpretare queste proprietà occorre introdurre una nuova grandezza fisica: la carica elettrica. Certamente ne avrete già sentito parlare: è bene che ricordiate che non si tratta di una grandezza osservabile direttamente, ma solo di un concetto usato per interpretare e descrivere dei fenomeni. Vediamo in che modo è possibile costruire un modello dei fenomeni elettrici utilizzando tale concetto. Innanzitutto diciamo che un oggetto “possiede una carica elettrica”, oppure “è carico elettricamente”, quando ha acquistato, per strofinio, la capacità di attrarre corpi di piccole dimensioni. Per interpretare l’esistenza di attrazioni e repulsioni, dobbiamo supporre che esistano due tipi di cariche, presenti negli oggetti elettrizzati, con le seguenti proprietà: (1) Esistono solo due tipi di carica elettrica. (2) Due oggetti che hanno lo stesso tipo di carica si respingono. Figura 2: Cariche elet(3) Due oggetti con cariche di tipo opposto si attraggono. triche dello stesso tipo si respingono; cariche elettriche di tipo diverso si In questo modo è possibile interpretare i fenomeni del tipo (b) e (c). attraggono. Gli scienziati del ’700 immaginavano la carica come un fluido che si sposta attraverso i corpi: fluidi non materiali, come il calorico e l’etere, sono stati presi in considerazione abbastanza spesso. Nel caso della carica elettrica si poteva pensare all’esistenza di un solo fluido o di due tipi di fluidi. Nella teoria a due fluidi esistevano appunto due fluidi elettrici, chiamati positivo e negativo. Quando su un oggetto essi sono presenti in quantità uguali l’oggetto appare neutro, o scarico, cioè non presenta proprietà elettriche; se invece presenta un eccesso di carica di un tipo, apparirà carico di quel segno. Questo modello consente di interpretare il fenomeno (d): quando strofiniamo due oggetti neutri tra loro, può avvenire che un po’ di carica passi dall’uno all’altro. Se la carica spostata è, per esempio, positiva, l’oggetto che la riceve avrà un eccesso di carica positiva, mentre l’altro risulterà carico negativamente. Benjamin Franklin dopo una lunga e accurata serie di esperimenti suggerì invece la possibilità di interpretare i fenomeni elettrici supponendo l’esistenza di un solo fluido. Secondo questo modello, i corpi neutri contengono◦ una ben determinata quantità di fluido elettrico: la presenza di un eccesso di fluido si manifesta come carica «positiva» mentre la mancanza dello stesso fluido dà luogo a una carica «negativa». Quando due corpi vengono strofinati e un po’ di fluido passa da uno all’altro, quello con un po’ di fluido in eccesso diventa positivo, mentre l’altro appare negativo. 2 Vi fu una disputa abbastanza vivace tra i sostenitori delle due teorie che però, con i dati dell’epoca, portavano a previsioni sperimentali del tutto equivalenti. La terminologia ancor oggi adottata (cariche «positive» e «negative») è quella proposta da Franklin. Dalla seconda meta dell’ ’800 in poi divenne sempre più chiaro che non esistono dei fluidi elettrici indipendenti, ma che la carica è una proprietà delle particelle che compongono la materia. Come vedremo più avanti, le particelle possiedono due tipi di carica, positiva e negativa, e in questo senso i sostenitori della teoria a due fluidi avevano ragione. Tuttavia, nella maggior parte dei corpi le particelle negative, chiamate elettroni, sono molto più leggere e si spostano più facilmente di quelle positive, chiamate protoni: quindi quasi tutti i fenomeni più comuni si spiegano mediante lo spostamento di un solo tipo di carica, come voleva Franklin. Ciò mostra che teorie apparentemente incompatibili possono essere riconciliate nell’ambito di una teoria più generale. È notevole, comunque, il fatto che per interpretare i fenomeni elettrici (e, come vedremo, anche quelli magnetici) siano necessarie così poche grandezze fondamentali. Due tipi di carica, + e -, bastano per spiegare i comportamenti degli oggetti carichi e di quelli neutri, fermi o in moto; non è mai necessario introdurre un terzo o un quarto tipo di carica elettrica. La teoria di Franklin era basata su un’intuizione fondamentale: quella che la carica elettrica non si crea e non si distrugge, ma può solo ridistribuirsi tra i corpi. Questa proprietà è nota come principio di conservazione della carica ed è una legge fondamentale della natura, come i princìpi di conservazione dell’energia e della quantità di moto. La quantità totale di carica di un corpo è data dalla somma algebrica delle cariche positive e di quelle negative: per esempio, 11 unità di carica positiva e 10 di carica negativa corrispondono a 1 unità positiva di carica totale, esattamente come se fosse presente una sola unità di carica positiva. Il principio di conservazione della carica è di fondamentale importanza nell’analisi di un gran numero di processi, dal passaggio di corrente nei circuiti alle reazioni atomiche e subatomiche. È interessante notare che il principio di conservazione consente la possibilità che le cariche compaiano o spariscano improvvisamente in un sistema isolato, purché la quantità totale rimanga costante e quindi la variazione della quantità di carica positiva sia uguale in grandezza a quella della carica negativa. Conduttori e isolanti. Il modello che abbiamo introdotto ci permette di spiegare le proprietà dei corpi che si elettrizzano per strofinio. Se vogliamo mantenere l’idea che tutte le sostanze contengono cariche elettriche, possiamo supporre che gli oggetti, come quelli metallici, che sembrano non elettrizzarsi per strofinio, lascino in realtà sfuggire molto velocemente la carica elettrica. Secondo quest’ipotesi, esistono due categorie di sostanze: gli isolanti o dielettrici, in cui le cariche sono fisse o si muovono con molta difficoltà, e i conduttori, in cui le 3 La quantità totale di carica in un sistema isolato rimane costante, qualunque cambiamento avvenga nel sistema cariche si spostano molto velocemente. Sono isolanti i corpi come il vetro, l’ambra, le materie plastiche, che si caricano facilmente per strofinio. Tipici conduttori sono invece i metalli. Per non ricevere scariche elettriche, chi lavora su conduttori che possono possedere delle cariche adopera cacciaviti e strumenti muniti di manici isolanti, in genere di resina sintetica Secondo la nostra ipotesi, deve essere possibile caricare anche oggetti metallici, purché si impedisca alle cariche di sfuggire. Ciò può essere fatto, per esempio, munendo una bacchetta metallica di un manico isolante: si vede allora che la bacchetta può essere caricata con facilità, strofinandola o toccandola con un oggetto carico. La carica acquistata si distribuisce rapidamente in tutto il metallo. Toccando invece una bacchetta di vetro priva di carica con una bacchetta carica, la prima subisce pochissimi cambiamenti: infatti passa dall’una all’altra solo quel po’ di carica che si trova nella zona di contatto. Abbiamo parlato finora di corpi solidi: la distinzione tra conduttori e isolanti si può L’acqua pura è un buon isolante: tuttavia, spesso contiene delle sostanze saline disciolte che la rendono conduttrice applicare anche alle sostanze liquide e gassose, che si comportano in modo diverso a seconda che contengano meno cariche libere di muoversi. Ad esempio, i gas sono in genere isolanti, perché le cariche elettriche sono bloccate all’interno delle molecole e non possono passare dall’una all’altra: se però un numero rilevante di molecole si spezza, le particelle così ottenute possono essere cariche e il gas diventa conduttore. Le particelle cariche vengono chiamate ioni (dal verbo greco che significa spostarsi, proprio perché si spostano sotto l’azione delle forze elettriche) e il gas diventa «ionizzato». Lo spazio vuoto. in cui non sono presenti cariche, è considerato isolante. La distinzione tra conduttori e isolanti e un po’ schematica, perché in nessun corpo le cariche possono essere completamente libere (se non altro perché interagiscono tra loro) o completamente bloccate (il che richiederebbe forze infinitamente grandi per trattenerle). Esistono poi sostanze con caratteristiche intermedie e proprietà molto particolari, chiamate semiconduttori, che hanno acquistato grande importanza pratica e di cui parleremo più avanti. Vediamo così che il nostro modello, basato sull’esistenza di due tipi di carica elettrica, si articola e si arricchisce mano a mano che cerchiamo di interpretare nuovi fenomeni, come è caratteristico di un buon modello. Esso ci suggerisce anche nuovi campi di ricerca: per esempio lo studio del modo in cui varia la forza tra due corpi carichi, che vedremo nel prossimo paragrafo, o la costruzione di uno strumento che indichi la carica esistente su un corpo. Per quest’ultimo scopo gli scienziati del ’700 costruirono uno strumento chiamato elettroscopio. Una sferetta di rame è collegata per mezzo di un’asticciola metallica a due leggerissime foglioline, anch’esse metalliche. Spesso, per renderle ancor più leggere, erano d’oro (che è molto malleabile, cioè può essere tirato in fogli molto sottili). Se si tocca la sferetta di rame con un oggetto carico, ad esempio positivamente, la sferetta e le foglioline si caricano anch’esse dello stesso segno; respingendosi, le foglioline divergono, indicando la presenza di una carica. Per trovarne il segno, si da preventivamente 4 all’elettroscopio una carica di segno noto: quando lo si tocca con l’oggetto carico da esaminare, la divergenza delle foglioline aumenta o diminuisce a seconda del segno della nuova carica. Il nome di elettroscopio indica il fatto che lo strumento può solo indicare l’esistenza e il segno della carica, non la sua grandezza. Rispondere sul quaderno alle seguenti domande: 1 Nelle seguenti frasi, alcuni termini si riferiscono alle osservazioni sperimentali, altre parole al modello proposto per descriverle. Sottolineate le parole che fanno parte del linguaggio relativo ai modello. (a) Cariche di segno uguale si respingono. Un corpo che ha una carica totale di segno positivo respinge qualsiasi altro corpo che abbia anch’esso una carica totale di segno positivo. Per esempio, due bacchette di vetro che siano state entrambe strofinate, si respingeranno l’una con l’altra. Un corpo che ha aria carica totale di segno negativo respinge qualsiasi altro corpo che abbia una carica totale disegno negativo. (b) Cariche di segno opposto si attraggono: un corpo che ha una carica totale di segno positivo attrae qualsiasi altro corpo che abbia una carica totale di segno negativo, e viceversa, 2 Per quale motivo Franklin propose l’esistenza di un solo tipo di carica elettrica? 3 Il principio di conservazione della carica afferma che: (a) nessuna carica può aumentare o diminuire; (b) il numero di cariche esistenti nell’Universo è costante; (c) la quantità totale di carica in un sistema isolato è costante. 2 La forza tra due cariche Come varia la forza tra le cariche elettriche? In altre parole, come dipende questa forza dalla quantità di carica e dalla distanza tra i corpi carichi? La prima informazione sperimentale sulla natura della forza tra le cariche elettriche fu ottenuta in maniera indiretta. Intorno al 1775, Benjamin Franklin notò che un piccolo sughero appeso con un filo di seta vicino al bordo esterno di un cilindro metallico cavo carico, veniva attratto fortemente; se però il sughero veniva abbas- sato in una posizione qualsiasi ma interna al cilindro, non subiva più alcuna forza. Franklin non riusciva a capire perché le pareti del cilindro metallico non attraevano più il sughero quando esso era posto all’interno e chiese a un suo amico, Joseph Priestley, di ripetere l’esperimento. 5 Priestley verificò i risultati di Franklin e contribuì a ricavare da essi una brillante conclusione. Egli ricordava che, nei Principia, Newton aveva riportato una dimostrazione con la quale prevedeva per le forze gravitazionali un comportamento analogo a quello che essi avevano osservato per le forze elettriche: la forza gravitazionale totale che agisce su un oggetto posto all’interno di un pianeta cavo si ottiene sommando tutte le forze prodotte da ogni singola parte in cui si può scomporre il pianeta ed è esattamente uguale a zero. Questo risultato era stato dedotto matematicamente da Newton applicando la legge della forza gravitazionale, che afferma che la forza di attrazione tra due quantità qualsiasi di materia è inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Priestley propose perciò che anche le forze generate dalle cariche elettriche fossero inversamente proporzionali al quadrato della distanza, esattamente come avviene per le forze gravitazionali. Il ragionamento di Priestley, basato su un’audace analogia, non era sufficiente a dimostrare che le forze elettriche sono inversamente proporzionali al quadrato della distanza tra le cariche, ma incoraggiò altri fisici a verificare sperimentalmente questa ipotesi. Il fisico francese Charles Coulomb fornì la conferma sperimentale diretta della legge dell’inverso del quadrato della distanza, suggerita da Priestley. Per far ciò, Coulomb usò una bilancia a torsione, da lui stesso progettata, analoga a quella riportata nella figura. Una bacchetta isolante, bilanciata in modo che si mantenga orizzontale, è sospesa a un sottile filo di argento, che si torce quando si applica una forza a un’estremità della bacchetta. Si utilizza l’angolo di rotazione per misurare la forza che si esercita tra un corpo carico A attaccato a un’estremità della bacchetta e un altro corpo, pure carico, B posto vicino a esso. Misurando l’angolo di cui ruota la bacchetta, per diversi valori della distanza tra i centri dei corpi sferici A e B, Coulomb dimostrò che la forza tra le sfere cariche è proporzionale a 1/R2 : Il simbolo “∝” significa “è proporzionale a” Fel ∝ 1/R2 confermando sperimentalmente l’ipotesi che le forze elettriche, di repulsione tra cariche dello stesso tipo e di attrazione tra quelle di tipo opposto, sono inversamente proporzionali al quadrato della distanza tra le cariche. Coulomb dimostrò anche che l’intensità delle forze elettriche dipende dalla quantità di carica. Non si conosceva ancora alcun metodo per misurare quantitativamente la carica di un oggetto (e finora non abbiamo detto nulla che suggerisca come ciò si possa fare). Ma Coulomb usò una tecnica ingegnosa, basata sulla simmetria, per confrontare gli effetti prodotti da differenti quantità di carica. Per prima cosa, egli dimostrò che per caricare una sfera metallica inizialmente scarica è sufficiente metterla a contatto con un’altra già carica. (Possiamo immaginare che, durante il contatto, alcune cariche «fluiscano > dalla prima alla seconda sfera). Osservò 6 anche che dopo il contatto tra sfere identiche la carica iniziale era ripartita tra esse in parti uguali. (Questo fatto si può verificare sperimentalmente avvicinando ciascuna sfera a un elettroscopio e osservando che le divergenze delle foglioline sono uguali). In maniera analoga, partendo da una data quantità di carica su una sfera e dividendola mediante contatti successivi con altre sfere identiche ma inizialmente scariche, Coulomb ottenne delle cariche metà, un quarto, un ottavo, ecc..., della quantità iniziale e dimostrò che quando, ad esempio, si dimezza la carica di due sfere la forza si riduce a un quarto del valore iniziale, e così via. Egli stabilì che in generale l’intensità delle forze elettriche è proporzionale al prodotto delle cariche. Se usiamo i simboli qA e qB per la quantità di carica dei corpi A e B, l’intensità Fel della forza elettrica che ciascuno di essi esercita sull’altro è proporzionale al prodotto qA × qB . Coulomb riassunse i suoi risultati in un’unica relazione, che descrive le forze elettriche esercitate l’una sull’altra da due piccole sfere cariche A e B: Fel = k qAqB R2 dove R è la distanza tra i centri delle sfere e k è una costante. La legge della forza tra due cariche elettriche scritta in questa forma è nota come legge di Coulomb. Osservate come essa abbia una struttura straordinariamente simile a quella che descrive la legge di gravitazione universale di Newton, nonostante queste due leggi siano state ottenute da osservazioni sperimentali completamente diverse e si applichino a fenomeni anch’essi differenti. Il motivo di questa analogia è, ancor oggi, un problema Figura 3: La bilancia di torsione fu inventata da Coulomb durante i suoi studi sulL’unità di carica. Possiamo usare la legge di Coulomb per defi- le macchine. Con questa binire un’unità di carica. Per esempio, potremmo arbitrariamente lancia egli studio in modo particolareggiato le forze di porre il valore di k nel vuoto uguale a 1 e definire come carica attrazione e di repulsione tra unitaria quella che, posta a distanza unitaria da un’altra carica le cariche elettriche. affascinante e non risolto. uguale, esercita su di essa una forza di valore unitario. Esiste un sistema di misura (chiamato sistema elettrostatico assoluto) basato su questa scelta. Tuttavia, nel Sistema Internazionale, da noi usato, l’unità di carica non è derivata dall’elettrostatica, ma dall’unità di misura dell’intensità di corrente, l’«ampere». L’unità di carica è chiamata «coulomb», si indica col simbolo C, ed è definita come la quantità di carica che fluisce attraverso una sezione di un conduttore in un secondo quando l’intensità di corrente.è uguale a 1 ampere. 7 L’ampere, A, è un’unità molto nota, perché viene comunemente usata per misurare l’intensità di corrente nelle apparecchiature elettriche. La corrente assorbita da una comune lampada da 200 watt è circa un ampere, quindi la quantità di carica che attraversa la lampada in un secondo è circa un coulomb. Potrebbe quindi sembrare che il coulomb sia una quantità di carica piuttosto piccola, mentre invece se fosse tutta concentrata in una regione abbastanza limitata risulterebbe talmente grande da non essere controllabile, come vedremo meglio tra poco! Il filamento della lampada è percorso, in ogni secondo, da un coulomb di cariche negative, già presenti nei conduttori, che si muovono attraverso una distribuzione più o meno stazionaria di cariche positive, mentre la carica totale del filamento è nulla in ogni istante. Il valore della forza che agisce tra due cariche dipende anche dal mezzo che le separa: essa è massima nel vuoto e diminuisce in presenza di un isolante. La costante k della legge di Coulomb dipende quindi dal mezzo. Si usa scrivere: k= Se si fa uso del coulomb come unità di carica, la costante k che compare nella legge di Coulomb può essere determinata sperimentalmente misurando la forza tra due cariche di valore noto e poste a una distanza fissata. Si ottiene così per k nel vuoto il valore di 9 × 109 N m2 /C2 ; ciò significa che due oggetti, ciascuno con una carica totale di 1 coulomb, posti nel vuoto a una distanza di 1 metro esercitano l’uno sull’altro una forza di nove miliardi di newton, che corrisponde grosso modo al peso di un milione di tonnellate di materia. Non è possibile fare degli esperimenti con forze così grandi, perché non è possibile concentrare la carica di un coulomb su oggetti puntiformi e neppure esercitare delle forze sufficienti per portare queste due cariche alla distanza di un metro l’una dall’altra. La forza di repulsione tra le cariche elettriche è così elevata 1 che è difficile mantenere una carica superiore a un millesimo di coulomb su un oggetto 4π" di dimensioni normali. Ad esempio, se strofinate un pettine sul vostro abito in maniera dove " viene detta costante dielettrica del mezzo; se il mezzo è il vuoto, " = 8, 85 × 10−12 C2 /(N m2 ). tale da provocare una scintilla quando tocca la maniglia della porta, la carica totale del pettine sarà molto minore di un milionesimo di coulomb. Normalmente, i fulmini avvengono quando una nube ha accumulato una carica totale di qualche centinaio di coulomb, distribuiti su tutto il suo enorme volume. Induzione elettrostatica. Abbiamo notato, e probabilmente voi lo avevate già osser- vato, che un oggetto carico elettricamente attrae sovente dei piccoli pezzi di carta, anche se questi non sono carichi (infatti da soli essi non esercitano alcuna forza su altri pezzi di carta). A prima vista può sembrare che questo fenomeno non sia interpretabile con la legge di Coulomb, poiché la forza è zero quando una delle due cariche, qA o qB , è nulla. Tuttavia possiamo spiegare anche questo fenomeno di attrazione se ricordiamo che gli oggetti elettricamente neutri contengono quantità uguali di cariche positive e negative. Quando si porta un oggetto elettrizzato vicino a uno neutro, la forza di attrazione determina una ridistribuzione di una parte delle cariche elettriche del corpo neutro. Per esempio, se si tiene un pettine carico negativamente vicino a un pezzo di carta, alcune delle cariche positive contenute nella carta si sposteranno nelle zone più vicine al pettine e un numero uguale di cariche negative si sposterà dalla parte 8 opposta. Anche in questo caso la carta non ha una carica elettrica totale diversa da zero, ma una parte delle cariche positive si trova, rispetto al pettine, leggermente più vicina delle corrispondenti cariche negative, cosicché il pettine attrae la carta con una forza maggiore di quella con cui la respinge. (Ricordate che, secondo la legge di Coulomb, la forza decresce con il quadrato della distanza: cioè si riduce a un quarto se la distanza raddoppia). Ciò spiega, ad esempio, il ben noto effetto che l’ambra strofinata ha su pagliuzze e su altri oggetti analoghi. Un corpo carico induce in uno neutro uno spostamento di cariche elettriche, che si ridistribuiscono all’interno o sulla superficie del corpo: questo fenomeno è chiamato induzione elettrostatica. Rispondere sul quaderno alle seguenti domande: 1 Quali fatti sperimentali indussero Priestley a formulare l’ipotesi che le forze elettriche e gravitazionali dipendano nello stesso modo dalla distanza? 2 Quali caratteristiche delle forze che si esercitano tra le cariche elettriche furono dimostrate da Coulomb? 3 Se la distanza tra due oggetti carichi raddoppia, come varia la forza elettriche che si esercita tra essi? 4 Il coulomb e l’ampere sono entrambi delle unità di carica? 5 Confrontate la forza gravitazionale e quella elettrica: quali sono le analogie e quali le differenze? 9