Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR
Autunno 2014
� 7,90
A CACCIA
DELLE
CIVILTÀ
PERDUTE
D
AURORA
i alcuni, come i sudamericani Moche, non si
conosce neppure il vero nome né la forma di
governo, né si sa se fossero guidati da uomini
oppure da donne. Di altri, come i Popoli del
mare, che terrorizzarono gli abitanti del Mediterraneo alla fine
dell’Età del bronzo, si ignora addirittura se fossero un’unica
gente, una confederazione oppure un’alleanza composta da
svariate nazioni. Di altri ancora, come gli Etruschi, si sa molto
di più ma da secoli si prova inutilmente a interpretare la
lingua. Ma tutte le civiltà che trovano posto in questo numero
di Focus Storia Collection hanno qualcosa in comune: hanno
lasciato una traccia che è arrivata fino a noi. Sotto forma di
manufatti raffinatissimi, edifici misteriosi, sepolture ricche di
tesori nascosti. Ma anche, talvolta, semplicemente di epigrafi
o di racconti orali, tramandati da popoli a noi noti venuti
un tempo a contatto con loro. Su queste tracce perdute, nel
corso dei secoli si sono gettati avventurieri, archeologi e storici,
a caccia di oro e conoscenza nell’affascinante epopea che
ricostruiamo in queste pagine.
Jacopo Loredan direttore
6
24
Dove sono nate le civiltà del passato?
Una guida ai popoli scomparsi.
Guerrieri e navigatori, i Micenei
vivevano in città evolute e palazzi fastosi.
8
30
I popoli che abbiamo conosciuto nei
libri di scuola non sono spariti nel nulla.
I ricercatori hanno scoperto che...
A Hissarlik, in Turchia, si scava da oltre
un secolo in cerca di tracce dell’antica
Troia. Ecco le scoperte degli archeologi.
E le loro ipotesi.
pag. 12
12
36
Vede la luce con l’agricoltura. Cresce
intorno a capi abili e a valori comuni.
Crolla quando non ha più energie.
Un complesso sacro di 11mila anni
fa, a Göbekli Tepe, in Turchia, è il sito
monumentale più antico costruito
dall’uomo.
pag. 24
17
L’uomo che, seguendo Omero, trovò
Troia. E la gloria.
42
18
4mila anni fa una delle civiltà più
evolute si sviluppò in un’isola dell’Egeo:
Creta. Ma che fine fecero i Minoici?
pag. 42
Gi antichi li chiamavano così perché
venivano dal mare. E seminavano il
terrore tra Egizi, Ittiti, Micenei e altre
genti del Mediterraneo.
IN COPERTINA: MACHU PICCHU, FOTO DI SUSANNE KREMER/SIME
3
48
98
pag. 70
Il cuore del Sahara è ricco di graffiti e
pitture rupestri di straordinaria bellezza.
Sette scoperte archeologiche che
potrebbero cambiare le nostre idee sui
primi passi della Storia.
105
Ha “scoperto” Machu Picchu.
Ed ebbe una vita da romanzo.
50
3.600 anni fa la potente città siriana di
Ebla fu rasa al suolo. E dimenticata.
106
55
Le tappe delle civiltà che hanno fatto
grande l’America, prima di Colombo.
Il signore degli Etruschi è stato uno
studioso schivo e riservato.
108
56
In Perù, l’antica civiltà dei Moche
costruiva piramidi e celebrava riti hard.
pag. 78
6mila anni fa invasero l’Europa.
Ecco chi erano gli Indoeuropei.
pag. 98
116
I colonizzatori del Pacifico.
64
120
L’Italia che si affacciava alla Storia era un
caleidoscopio di popoli.
Album di famiglia millenari.
68
125
Da Stonehenge ai templi di Malta,
le radici megalitiche dell’Europa.
Trovò Angkor. E la rese famosa.
126
70
4-7mila anni fa colossali macigni furono
eretti con enormi sforzi. Perché?
Angkor era la capitale di una civiltà in
cui si fusero buddismo e induismo.
77
pag. 120
130
Lungo il Fiume Giallo, gli antichi
Cinesi mescolarono arte e guerra.
L’archeologo più geniale di tutti i tempi
era... un idraulico.
134
78
Sulle rive dell’Indo nacquero città
moderne. Poi dimenticate per millenni.
Alessandria era la New York
dell’ellenismo: una città multietnica.
138
pag. 134
84
Dalle steppe russe alle Ande, i tesori più
belli riportati alla luce dagli archeologi.
Come funzionava la biblioteca di
Alessandria, scrigno dell’antico sapere.
144
146
90
Abitavano le oasi del Sahara 2mila anni
fa e si opposero a Roma: i Garamanti.
4
pag. 138
Intervista a Paolo Matthiae.
IERI E OGGI
I POPOLI che abbiamo conosciuto nei libri di scuola non sono spariti
nel nulla. Seguendo le loro tracce, i RICERCATORI hanno scoperto...
CHE FINE
HANNO FATTO?
F
enici, Celti, Unni, Vichinghi imperversano
in tutti i libri di scuola ma, esaurita in poche pagine la loro storia, sembra che di loro
non se ne sia saputo più nulla: che fine hanno fatto in realtà? I ricercatori hanno scovato le loro tracce nei geni e nell’aspetto di alcune popolazioni moderne, oppure tra i nomi geografici che si sono
tramandati dall’antichità. «Per esempio», spiega Nazario Capello, dell’Università di Torino, «fra gli abitanti della punta nord-occidentale della Sicilia si trovano ancora caratteristiche genetiche riconducibili ai
N ORD A MERIC A
Fenici». Qui, sull’isola di San Pantaleo era stata fondata Mozia, una delle principali colonie fenicie del
Mediterraneo Occidentale. In altri casi è stata la linguistica a darci importanti notizie di popoli scomparsi: la maggior parte dei nomi geografici dell’Italia Settentrionale, per esempio, ha origine nella
lingua dei Celti. Come il termine Alpi, che deriva
da una parola celtica che designava i pascoli estivi.
Nelle schede che seguono abbiamo riassunto qual
è stato il destino di otto importanti popoli.
•
Riccardo Tonani
GROENL ANDI A
Conquiste
normanne
Terre di origine
dei Normanni
Stati fondati dai
Normanni in Europa
ISL ANDA
VICHINGHI
O
Quell’inconfondibile accento norreno
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P
er incontrare un vichingo nel XXI secolo basta fare
un viaggio in Norvegia, Danimarca, Svezia oppure
in Islanda. Qui infatti vivono i discendenti diretti
dei “guerrieri di Odino”. Da mille anni a questa parte,
poco è cambiato dal punto di vista genetico: infatti, in
queste regioni, specialmente nella fascia settentrionale,
la fusione con altre popolazioni è stata scarsa.
Stessi geni. In Islanda è ancora possibile ascoltare la
lingua vichinga (il “norreno”), poiché l’islandese, la sua
diretta discendente, ne ha conservato le caratteristiche
con poche variazioni. Alcuni studi britannici, inoltre,
hanno mostrato che buona parte della popolazione
della regione centro-orientale dell’Inghilterra (la zona
d’insediamento vichinga chiamata Danelaw) ha tratti
genetici simili a quelli degli abitanti della Danimarca.
In Italia, i pronipoti dei Vichinghi (i Normanni, provenienti dalla Francia) arrivarono nel Meridione verso il
Mille. Nel 1130 Ruggero II fu incoronato re di Sicilia. La
presenza dei Normanni ha lasciato tracce nei capelli
biondi e negli occhi azzurri di molti siciliani.
R M
EDI
TER
RANE
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R NERO
A MERIC A DEL N ORD
MOICANI “L’ultimo dei Moicani” vive ancora
Lago
Sup e r i o r e
Alla fine del XVIII secolo, pochissimi Moicani
sopravvivevano ancora nei loro territori,
in parte perché sterminati dalle malattie
portate dagli europei e dalle guerre con i
bianchi, in parte perché la loro zona d’origine
fu completamente occupata dal nuovo Stato
americano. La maggior parte di loro dovette
vendere per cifre irrisorie le proprie terre e
migrare a ovest, nel Wyoming, dove si fusero
con gli indiani Delaware, e nello Stato del Wisconsin. Qui fondarono Red Springs, città che
ospita alcune migliaia dei loro discendenti.
Con la cittadinanza statunitense, gli ultimi
Moicani mantengono vive le tradizioni degli
antenati nelle danze e nel modo di vestire.
Lago
Mi chig a n
New York
attuale
Tetzcoco
Tlacopán
sicani di bassa statura, carnagione rossiccia,
capelli neri e lisci.
Nei dintorni della città di Cuernavaca, a sud
di Città del Messico, i diretti discendenti
degli Aztechi coltivano ancora le terre in riva
al lago con le medesime tecniche dei loro
antenati, usando solamente una zappa con
la lama ricurva e senza avvalersi dell’aratro
né di sistemi di irrigazione. Parlano ancora
il nahuatl, la lingua degli Aztechi e, come i
loro antenati, si spostano su canoe spinte da
lunghe pertiche nel labirinto di canali che
si snoda tra i “giardini galleggianti”, piccoli
isolotti di terra su cui fu costruita anche
Tenochtitlán, oggi Città del Messico.
Golfo
del Me s s ic o
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AZ TEC HI
1100 C A .
C
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Tenochtitlán
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Lega di città
Invasioni
Impero azteco
dal 1300
Impero azteco
dal 1525
CELTI
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Cultura di La Tène
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Nella politica, nell’arte e nel sangue
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SCOZ I A
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GALLES
Conquiste celtiche
Invasione dei Celti
ISOL A
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Presenza celtica
nell’Europa moderna
C AN Z I
OC
ra il VI e il V secolo a.C. i Celti, di origine indoeuropea, occupavano in Europa quasi tutti i territori
compresi tra le coste dell’Atlantico del nord e
i Carpazi (nella penisola balcanica) e tra le sponde
settentrionali del Mediterraneo e le grandi pianure
della Germania del nord. I loro discendenti vivono oggi
in Bretagna (Francia), in Irlanda, nel Galles, in Scozia e
sull’Isola di Man (Inghilterra) e parlano ancora le lingue
celtiche. Questa etnia è ancora capace di accendere
passioni politiche (come la richiesta di autonomia
e indipendenza) e artistiche (che si rivelano nella
musica, nella scultura e nell’arte di incidere i metalli).
Ma la lingua tradizionale arretra di fronte all’avanzare
dell’inglese e del francese: in Cornovaglia, per esempio,
le parlate celtiche sono scomparse all’inizio del ’900.
In Italia. Qualche goccia del sangue dei Celti scorre
anche in Italia. Secondo uno studio dell’Università di
Torino alcune tracce genetiche riconducibili a questo
popolo si ritrovano nelle regioni nord-occidentali. Qui
però si fuse ben presto con i più antichi popoli Veneti e
Liguri ai quali sono riconducibili le principali caratteristiche genetiche di chi vive nell’Italia Settentrionale.
MOIC ANI
Lago
Er i e
AZTECHI Gli eredi di Montezuma? Agricoltori
e nel Messico dei nostri giorni si
togliessero gli indios “purosangue”, si
perderebbero i due quinti della popolazione; e se si dovesse togliere anche chi ha un
po’ di sangue indio nelle vene, la popolazione
sarebbe ridotta a un ventesimo.
L’invasione europea. La civiltà azteca fu annientata tra il 1519 e il 1521 da un manipolo
di soldati spagnoli agguerriti e ben armati,
guidati da Hernán Cortés. Ciò che resta della
loro cultura è in gran parte il risultato della
fusione fra le antiche pratiche e gli insegnamenti dei monaci cattolici del XVI secolo, che
seguirono i soldati spagnoli. L’aspetto fisico
azteco è però ancora riconoscibile nei mes-
Lago
Hur on L ag o
O n t a r io
YU
A
lla metà del XVII secolo, la tribù indiana
dei Moicani (Mahican in lingua pellerossa) era stanziata sulle rive del fiume
Hudson e sull’odierna isola di Manhattan, sulla
costa orientale dei moderni Usa. Allargò poi il
territorio spingendosi fino ai grandi laghi.
Agricoltori, cacciatori e pescatori, i Moicani
vivevano in fiorenti villaggi cinti da palizzate,
descritti dai primi esploratori.
Guerre e malattie. A metà del ’700 parteciparono a fianco degli inglesi, in qualità di
guide e truppe ausiliarie, ai conflitti contro i
francesi. Combatterono poi insieme ai ribelli
nella guerra di liberazione che, nel 1776, rese
l’America indipendente dall’Inghilterra.
T REV E RI
BRETAGNA
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Roma
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9
SCOPERTE
BUSSOLA
COSMICA
Una delle stele
centrali in un
tempio di Göbekli
Tepe, in Turchia:
secondo uno
studio recente,
puntava
la stella Sirio.
36
L’ENIGMA
DEL TEMPIO
U
na serie di aree sacre, circolari, dove
svettano colonne a forma di “T” su cui
sono incise figure di animali di tutti i
generi: leoni, volpi, orsi, avvoltoi e persino scorpioni. Al centro di ogni area due monoliti più grandi rappresentano figure umane stilizzate. Tutto questo troneggia su una collina chiamata Göbekli Tepe (il “monte dell’ombelico”), nella
provincia di Urfa, Sud-Est della Turchia, a formare
il più antico tempio di cui si abbia notizia. Il complesso sacro risale a più di 11mila anni fa. Cioè a un
tempo in cui non doveva esserci. Uno dei punti fermi dell’evoluzione culturale umana è infatti che i
primi templi furono concepiti solo dopo la scoperta dell’agricoltura, quando l’aggregazione in centri
urbani e l’organizzazione sociale resa efficiente sotto il controllo di re-sacerdoti permisero la realizzazione di opere pubbliche e religiose.
Per questo motivo, da quando nel 1998 Klaus Schmidt, dell’Istituto di archeologia di Berlino, pubblicò il primo studio sull’eccezionale ritrovamento di
Göbekli Tepe, si è aperta una delle più grandi sfide
interpretative dell’archeologia. Come avevano fatto
semplici bande di cacciatori e raccoglitori, ovvero le
popolazioni del posto, a realizzare megaliti del genere? E perché lo fecero? Chi o che cosa adoravano?
Adorata stella. Oggi uno studio preliminare di un fisico e archeoastronomo al Politecnico di
Milano, Giulio Magli, propone una nuova e affascinante spiegazione: gli uomini del Neolitico costruirono il tempio di Göbekli Tepe in onore della “nascita” di una nuova stella. Adoravano Sirio, la stella
più luminosa del cielo notturno, quarto corpo celeste più brillante dopo la Luna, Venere e Giove. «Ri-
costruendo al computer il cielo stellato nella preistoria alla latitudine di Göbekli Tepe, abbiamo constatato che proprio 11mila anni fa, dopo qualche migliaio d’anni di assenza dalla volta celeste (che muta
nel corso del tempo, ndr), Sirio era tornata visibile», spiega Magli.
Molte aree sacre del sito devono ancora essere scavate dagli archeologi (in totale ne sono state rilevate una ventina), ma tre sono state portate completamente alla luce. Lo studioso italiano ha potuto così verificare il loro allineamento con Sirio nelle varie
epoche, considerando la linea che corre parallelamente ai due monoliti centrali (v. foto grande a sinistra). In particolare, una struttura circolare denominata “D” era allineata con Sirio nel 9100 a.C., un’altra detta “C” nell’8750 a.C, e la “B” nell’8300 a.C.
«I progettisti del Neolitico, insomma, ricostruirono più volte il tempio, concependolo come osservatorio astronomico, in base all’allineamento con
la stella Sirio, o meglio con il punto in cui nasceva
all’orizzonte, che mutava nei secoli per effetto della precessione». Il fenomeno della precessione consiste nel cambiamento dell’inclinazione dell’asse
terrestre nel tempo: la Terra si comporta infatti come una trottola, il cui asse di rotazione (inclinato) si
muove lungo la superficie di un cono, con il risultato che da un dato punto della superficie terrestre alcune stelle possono sparire per millenni sotto l’orizzonte, e altre invece comparire.
Come gli Egizi? «La comparsa di una stella così
luminosa rappresentò un motivo valido per istituire il culto di una nuova divinità», rileva Magli. «A
spingermi verso questo studio su Göbekli Tepe basato sull’ipotesi di un culto astrale è stata la straor-
BERTHOLD STEINHILBER/LAIF/CONTRASTO
Un complesso sacro di 11mila anni fa, in TURCHIA, è
il sito monumentale più ANTICO costruito dall’uomo.
Fu “solo” tempio o anche osservatorio ASTRONOMICO?
Ecco gli studi che fanno luce sui MISTERI
ARCHEOLOGIA
1 Cucuteni,
la città senza mura
2 Sintashta e
i carri da guerra
3 La Civiltà
del Sole
Lat. 47° 16’ 40.58’’ N
Long. 26° 56’ 12.43’’ E
Lat. 52° 30’ 3.22’’ N
Long. 60° 31’ 49.87’’ E
Lat. 37° 33’ 43.19’’ N
Long. 62° 20’ 11.13’’ E
Ucraina e Romania
N
el 1960 ricerche cartografiche nell’area di
Cucuteni-Tripoliye, tra
Ucraina e Romania, portarono
alla scoperta di megalopoli
del 3800 a.C. Alcune di esse
(Talianki, Dobrovody, Maydanets) rivaleggiano per estensione con le più tarde città
sumeriche e raggiungono i 450
ettari: dimensioni spropositate
e inconcepibili per il Neolitico.
I siti, che potevano accogliere
10-15.000 abitanti, erano privi
di sistemi difensivi e non hanno
restituito alcun edificio di culto
o palazzo, a dimostrazione che
si trattava di una società pacifica
ed egualitaria. La genesi e il crollo di queste “protocittà” restano,
però, per molti versi ancora un
enigma. Si pensa che drastici
cambiamenti climatici, accompagnati da una sorta di “collasso
ecologico”, causato forse da
un eccessivo sfruttamento del
territorio, abbiano portato a un
rapido abbandono del sito.
Russia
S
Asia Centrale
intashta è una poderosa
fortezza circolare venuta
alla luce nelle steppe a sud
dei Monti Urali, insieme ad altri
siti archeologici di impianto simile. Il mistero sulla loro genesi
è fittissimo. Sappiamo che dagli
scavi delle necropoli, costituite
in molti casi da grandi tumuli funerari, chiamati in russo kurgan,
sono emerse ampie fosse sepolcrali dotate di carri da guerra,
cavalli e armi sepolti con rituali
incredibilmente complessi.
La scoperta di carri da guerra
databili al 2100 a.C. farebbe
pensare che questi mezzi rivoluzionari non fossero un’invenzione sumerica, come si è sempre
sostenuto, ma di popolazioni
delle steppe dotate di una
tecnologia molto più avanzata
del previsto. Gli studiosi hanno
ipotizzato che questi guerrieri
potrebbero essere gli antenati
di quelle tribù indo-iraniche che
conquistarono l’India circa 3.500
anni fa.
N
egli Anni ’70 gli
archeologi sovietici
svelarono l’esistenza di
una civiltà fiorita alla fine del
III millennio a.C. nei deserti
dell’Asia Centrale. Emersero dalle
sabbie città fortificate e necropoli (Gonur e Togolok) di un’incredibile complessità architettonica,
impianti difensivi, una cultura
materiale molto avanzata e indizi
di scambi commerciali con le
contemporanee civiltà mesopotamiche e dell’Indo. Allo stato
attuale delle ricerche, chi fossero
queste genti è ancora ignoto, ma
alcuni studiosi hanno formulato
ipotesi affascinanti: l’archeologo
uzbeco Viktor Sarianidi, che ha
condotto gli scavi qui, è dell’idea
che oggetti e rituali abbiano
affinità con la religione zoroastriana, mentre lo studioso degli
indoeuropei James Patrick Mallory sostiene che queste fortezze
somigliano a quelle descritte nei
più antichi testi sacri indiani (Rig
Veda).
Sette SCOPERTE archeologiche che potrebbero cambiare le nostre
Le altre CULLE
4 Il popolo
di Jiroft
Iran
Lat. 28° 40’ 17.47’’ N
Long. 57° 43’ 58.59’’ E
48
N
el 2001 un’alluvione nella
Valle dell’Halil, a sud della
città di Jiroft, ha svelato
la presenza di una civiltà datata
al 3000 a.C. di cui fino a poco
tempo fa si ignorava l’esistenza. Gli scavi successivi hanno
riportato alla luce straordinari
corredi funerari, tra cui spiccano
vasi in pietre semipreziose con
articolate scene mitologiche, un
sorprendente complesso urbano
e i resti di una piramide in mattoni crudi di quasi 400 metri di lato,
simile alle ziggurat sumeriche.
Alcune tavolette incise, poi, ci
hanno rivelato una forma di scrittura simile a quella cuneiforme. Si
tratterebbe, secondo alcuni studiosi, della mitica Aratta, favolosa
terra citata nei più antichi testi
sumerici (come la famosa Epopea di Gilgamesh), in cui si narra
dei conflitti tra i re di Uruk e un
enigmatico regno a oriente di
Sumer. Le iscrizioni comunque
documentano che la cultura di
Jiroft era una cultura letterata,
retta probabilmente da committenze reali.
5 Paradiso
in Terra
Bahrain,
Golfo Persico
Lat. 26° 10’ 39.45’’ N
Long. 50° 31’ 53.82’’ E
M
igliaia di tumuli funerari
nella parte nord dell’isola di Bahrain sono
stati meta di molte spedizioni
archeologiche, per svelare uno
dei misteri più affascinanti
dell’antichità. La sproporzione
tra la ridotta superficie dell’isola
e l’enorme concentrazione di
tombe è stata spiegata con il racconto del mitico Paese di Dilmun,
citato nei testi sumerici come
1
7
6
5
una terra oltre il mare dove i defunti trovavano sepoltura in una
sorta di Giardino dell’Eden, una
terra arida addolcita da sorgenti
d’acqua dolce. Nel 1954 l’archeologo Geoffrey Bibby rinvenne a
Barbar un tempio monumentale
edificato 4.500 anni fa circa,
con una vasca alimentata da una
fonte perenne, che ricorda per
l’architettura i templi della più
antica città sumera, Eridu.
2
3
4
6 Stonehenge
d’Asia
Turchia
Lat. 37° 13’ 24’’ N
Long. 38° 55’ 21’’ E
N
el 1994 una missione
tedesca ha portato alla
luce nella Turchia SudOrientale il sito di Göbekli Tepe,
datato al 9500 a.C. (vedi pag. 36).
Su un’area di 10 ettari sono stati
scoperti 4 circoli megalitici caratterizzati da giganteschi pilastri a
forma di “T” e una sorprendente
iconografia di animali selvatici e
figure antropomorfe. Nessuno
studioso avrebbe mai potuto
ipotizzare che una popolazione
di cacciatori-raccoglitori mesolitici potesse edificare un’opera
tanto monumentale con così
poche risorse a disposizione.
Questa scoperta ha rivoluzionato
le tappe di avvicinamento alla
“Rivoluzione Neolitica”. Fu una
forma di religiosità primitiva, ma
potente, a permettere le prime
strutture di aggregazione e
sfruttamento delle risorse, che
saranno alla base delle successive e fondamentali conquiste
neolitiche: agricoltura, allevamento, ceramica, metallurgia.
idee sui primi passi della STORIA, ma ancora ENIGMATICHE
della CIVILTÀ
a cura di Antonio Ratti
7 Fort Knox
preistorica
Bulgaria
Lat. 43° 12’ 59.92’’ N
Long. 27° 54’ 42.50’’ E
N
el 1972 fu scoperta a Varna
una necropoli che negli
anni ha restituito il più
antico tesoro in oro finora rinvenuto, databile a circa 7mila anni
fa. Gli scavi archeologici hanno
dissotterrato oltre 300 sepolture,
che contenevano offerte di una
ricchezza senza pari e in alcuni
casi gioielli e armi lavorati con
una tecnologia metallurgica raffinatissima. Le ceramiche rinvenute nelle tombe sono considerate
tra le più belle mai prodotte nel
periodo preistorico. Nella Tomba
del Re, un adulto è stato sepolto
con un corredo in oro di quasi 2
chili di peso e la presenza di uno
scettro fa pensare che si trattasse
di una figura dotata di un grande
potere. Varna è uno dei principali siti mondiali per lo studio
della preistoria e di quella
che è stata definita la più
antica “Civiltà d’Europa”. Chi
fossero queste genti, capaci di
raggiungere livelli tecnologici
così avanzati, resta ancora un
enigma, così come le ragioni
della loro scomparsa.
49
CULTURA
Tutto il
SAPERE
del mondo
Come funzionava
la BIBLIOTECA
di Alessandria,
per secoli scrigno
dei TESORI
(perduti) della
conoscenza antica
Q
“
uanto ai libri che tu hai nominato, ecco la risposta: se il loro contenuto si accorda con il libro di Allah, noi possiamo farne a meno, dal momento che in
tal caso il libro di Allah è più che sufficiente. Se invece
contengono qualcosa di difforme rispetto al libro di Allah, non c’è alcun bisogno di conservarli. Procedi e distruggili”. Per più di sei mesi i 4mila bagni pubblici della città conquistata dai musulmani furono riscaldati dal prezioso contenuto della più celebrata
84
biblioteca dell’antichità: così, nel 642 d.C., secondo il cronista arabo Al-Qifti, dopo la conquista araba dell’Egitto il secondo califfo Omar segnò la fine
della biblioteca di Alessandria, per mano del suo generale Amr ibn al-As.
In cerca della verità. Poche sono le notizie
su questa meraviglia d’Egitto, come venne definita,
alla sua nascita, dal poeta Eroda nel III secolo a.C.
Di sicuro però, se volete immaginarvela, dovete dimenticare tessere d’iscrizione e prestito al pubblico.
CENTRO
DI RICERCA
Ricostruzione
ipotetica di una
sala del Mouseion (il
“tempio delle Muse”),
come si chiamava la
biblioteca fondata
sotto Tolomeo I.
I segreti dei papiri
I
L. TARLAZZI
frequentatori della biblioteca alessandrina non
leggevano libri. Almeno
non come li conosciamo
oggi: i codici, cioè i libri
rilegati, entrarono in uso
solo in epoca cristiana. Le
biblioteche ellenistiche
raccoglievano invece opere
scritte su rotoli di papiro.
Questo materiale, ricavato
da una varietà di canna che
cresceva in abbondanza
lungo le rive del Nilo, era
molto diffuso, nonostante
fosse fragile. Una volta steso,
il foglio di papiro si induriva
grazie all’azione dei succhi
della pianta che agivano da
collante e fissavano le fibre.
Quando si asciugava, veniva
arrotolato intorno all’umbilicus, un bastoncino di legno
o di avorio da cui pendeva
l’etichetta col titolo e l’autore
del manoscritto. Per sfuggire
al monopolio egizio, nel
regno ellenistico di Pergamo
(Turchia) si inventò la pergamena, ricavata da pelle di
pecora essiccata.
Quella di Alessandria non era una biblioteca come la intendiamo oggi: in greco bibliothèke era la
“teca dei libri”, in pratica lo scaffale in cui i sovrani della dinastia tolemaica fecero disporre la loro
enorme raccolta di rotoli di papiro. La collezione
era destinata a pochi fortunati studiosi, scelti dal
sovrano d’Alessandria e mantenuti a sue spese in
quel favoloso contenitore di sapienza che i Greci
chiamavano Museo, cioè “tempio delle Muse”, le
divinità protettrici delle arti e della cultura. «Nu-
merosi mouseia esistevano in Grecia sin dall’epoca arcaica e classica: in origine si trattava di santuari all’aperto, ma la sfera di influenza delle Muse
fu molto vasta e la parola mouseion giunse a comprendere anche le istituzioni e le attività culturali»,
spiega Monica Berti, dottore di ricerca in Scienze
Storiche dell’Antichità all’Università Tor Vergata di Roma e coautrice del saggio La biblioteca di
Alessandria. Storia di un paradiso perduto (Tored).
Il Museo di Alessandria, che era stato costruito in85
VALLINDI
Sulle rive dell’INDO, tra India e Pakistan, un’antica
civiltà fondò città modernissime.Poi ABBANDONATE
e DIMENTICATE per millenni
L’IMPERO DEI
PRETE
BARBUTO
Questa statuetta in
steatite (una pietra
morbida) è tra i più
importanti reperti
della civiltà dell’Indo.
Raffigura un
re-sacerdote, forse
al vertice della
società fiorita intorno
al fiume Indo più
di 4mila anni fa.
134
Tramonto sulle
rovine di Mohenjo
Daro (Pakistan),
cuore dell’impero dei
Vallindi con la città
gemella di Harappa,
che fu scoperta per
caso da un ingegnere
ferroviario.
MAESTRI DELLE FORNACI
Una tigre in terracotta. Gli artigiani dell’Indo erano
abilissimi nella lavorazione dell’argilla. La cuocevano nei
forni a 1.000 °C, rendendola quasi una porcellana.
GETTY IMAGES
SCAVA, SCAVA...
i diversi gruppi della regione si unirono e fondarono le grandi città gemelle di Harappa e Mohenjo
Daro, cuore di un nuovo impero. Ci vollero 1.700
anni prima che questo regno tramontasse.
L’area occupata dalla civiltà dell’Indo era vastissima: 650mila chilometri quadrati, circa il doppio di
quella controllata dai Babilonesi o dagli Egizi nello
stesso periodo. La vera ricchezza della regione era il
fiume, che assicurava vaste terre fertili, pesce, boschi per il legname e animali selvatici per la caccia:
tutto il necessario per il sostentamento di una popolazione numerosa.
Agricoltura e commercio erano infatti alla base
dell’economia. Si producevano cereali, piselli, datteri e meloni. Navigando lungo il fiume, i commercianti vallindi si spinsero fino al golfo Arabico,
AURORA (2)
L
e strade principali, larghe e ben tenute,
vanno da nord a sud e da est a ovest, dividendo in quartieri rettangolari la città.
Gli abitanti, 40mila circa, vivono in case di mattoni a due piani, con almeno un bagno
e dotate di acqua corrente. C’è chi lavora la terra,
chi va a pesca e chi fa il commerciante. Ci sono
luoghi di raccolta per i rifiuti, magazzini e un’estesa rete fognaria. Ma non si tratta di una cittadina
della nostra provincia: siamo nel 2300 a.C. in una
delle città lungo la valle dell’Indo. Qui, tra India e
Pakistan, nacque, prosperò e infine scomparve una
civiltà evoluta della quale per millenni – fino alla
scoperta fortuita delle sue rovine, all’inizio del Novecento – nessuno aveva immaginato l’esistenza.
Come gli Egizi. La più antica civiltà indiana fu
quasi contemporanea a quelle mesopotamica ed
egizia: come loro conobbe un sistema di scrittura,
stabilì unità di misura, fondò grandi città e avviò
una fiorente attività che sfruttava il fiume come via
d’acqua. Sviluppatasi intorno al 3000 a.C. nell’area compresa tra l’attuale India Nord-occidentale
e il confine con il moderno Pakistan, si estese verso
sud e lungo la costa dell’oceano. A partire dal 2600
Quante CIVILTÀ potrebbero tornare alla luce?
L’archeologo che ha scoperto EBLA ci racconta
Paolo Matthiae
Quel che resta...
da SCOPRIRE
L
o “scoop” archeologico alla
Heinrich Schliemann, lo scavo
epocale che con i suoi ritrovamenti riscrive i libri di Storia.
Un traguardo ancora possibile nel XXI
secolo? Lo chiediamo a Paolo Matthiae,
archeologo di lungo corso il cui nome
è legato a una delle più importanti scoperte degli ultimi decenni.
Ebla era confinata tra le nebbie della leggenda, finché il lavoro del suo
team non l’ha ricollocata nella Storia.
Un buon precedente per tenere viva la
speranza…
Senza dubbio. Le scoperte di monumenti, per lo più tombe, di straordinaria
magnificenza – da quella di Tutankhamon a Tebe a quelle di Filippo II di Macedonia a Vergina, o del Signore di Sipan in Perù – sono fondamentali, ma i
ritrovamenti che entrano nella leggenda
dell’archeologia sono quelli che innovano radicalmente le conoscenze pregresse, come appunto nel caso di Ebla (vedi
pag. 50). Traguardi eccezionali di questo
tipo sono certo ancora possibili: alcune
aree, per questioni legate spesso a situazioni geopolitiche, sono state esplorate
in maniera del tutto inadeguata.
In un’ideale “mappa del tesoro” quali
luoghi appaiono più promettenti?
L’India e soprattutto la Cina: un territorio vastissimo e a lungo trascurato dagli studiosi, nonostante sia stata la culla
di una delle più grandi civiltà del pianeta. Credo che l’epopea delle grandi scoperte archeologiche di fine Ottocento
sul mondo greco-romano si ripeterà in
futuro nell’Asia Centrale e Orientale.
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Proviamo a sognare un po’ e parliamo
di civiltà e luoghi perduti, magari citati in antiche fonti ma di cui non si sono
finora trovate evidenze archeologiche...
Porto qualche esempio dall’archeologia orientale, che è la mia disciplina. Anzitutto non è mai stata individuata con
sicurezza una delle città più importanti
dell’Oriente antico: quella Akkad che secondo le fonti coeve fu creata nella Mesopotamia Meridionale attorno al 2350
a.C. da Sargon, il fondatore del primo
impero universale della Storia. Un altro esempio arriva dalla Cina, con il celebre ritrovamento della tomba del Primo Imperatore e il suo esercito di terracotta: scoperta eccezionale ma ancora del
tutto incompleta. Perfino il mondo classico, su cui l’archeologia moderna è stata più attiva, può ancora riservare sorprese: basti pensare ad Alessandria d’Egitto
che solo da pochi anni ha iniziato a essere oggetto di indagini complesse. Anche
le novità archeologiche dell’ultima ora
sono ricche di promesse: in Macedonia
è in corso di scavo una ricca tomba monumentale, e i colleghi al lavoro sul sito
hanno azzardato che possa essere addi-
rittura il sepolcro di Roxane, la moglie
orientale di Alessandro Magno, o di uno
dei suoi grandi generali.
È possibile che dietro alcuni miti ancestrali si nascondano popoli e vicende
identificabili storicamente?
Nessuno dei racconti ancestrali di distruzione delle grandi civiltà antiche ha
un preciso fondamento storico, anche
se la memoria offuscata di tragici eventi
ha in più casi alimentato la creazione di
leggende. È dunque possibile, per esempio, che dietro il mito di Atlantide ci sia
l’eco dell’eruzione di Santorini e della
scomparsa nel Mar Egeo di un centro del
mondo preclassico della Grecia.
Il sogno di ogni archeologo?
Commentando il risultato di Ebla, il
decano degli orientalisti americani Ignace J. Gelb disse che lì noi italiani avevamo
scoperto “una nuova lingua, una nuova
cultura, una nuova Storia”. Ecco, credo
che il sogno più ambizioso di un archeologo sia proprio quello. È raro che si avveri, ma, quando accade, la soddisfazione di aver avuto in sorte un simile privilegio è difficile da esprimere.
•
Adriano Monti Buzzetti Colella
Una vita fra i libri e la terra
P
aolo Matthiae è accademico dei Lincei,
membro di prestigiose accademie internazionali e professore emerito
di Archeologia e Storia
dell’arte del Vicino Oriente
antico all’Università di
Roma “La Sapienza”. Nato a
Roma nel 1940, a 23 anni,
appena laureato, partecipa
a una campagna di scavi
in Turchia nel corso della
quale si “imbatte” in un
reperto che lo incuriosisce
molto. Proviene da Ebla,
la città che subito dopo
riporterà alla luce durante
la famosa spedizione
archeologica da lui diretta.
Ha partecipato ad altre
importanti campagne di
scavi in Siria ed è autore
di svariati libri sull’arte
dell’antica Mesopotamia.
È sposato con un’egittologa, Gabriella Scandone.