CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO Rel. n. 33 Roma, 20 marzo 2007 LA SOPRAVVENUTA APPLICAZIONE DELL’ART. 43 D.P.R. N. 327 DEL 2001 (NUOVO T.U. SULL’ESPROPRIAZIONE PER P.U.) E I RELATIVI EFFETTI SULLA GIURISDIZIONE Oggetto: ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITA’) - COMPETENZA E GIURISDIZIONE - Perdita della proprietà per effetto di occupazione illegittima - Azione di risarcimento del danno dinanzi al giudice ordinario - Sopravvenuta emanazione di provvedimento di acquisizione sanante dell’utilizzazione senza titolo ai sensi dell’art. 43 T.U. n. 327 del 2001 Questione relativa all’applicabilità o meno di tale norma sui giudizi pendenti, in relazione al disposto dell’art. 57 cit. T.U. ed in considerazione anche dell’eventuale giudicato - Effetti sulla giurisdizione della sopravvenuta applicazione, in generale, dello stesso art. 43, in dipendenza delle sentenze nn. 204 del 2004 e 191 del 2006 della Corte Costituzionale, ed individuazione degli eventuali spazi di persistenza della giurisdizione del giudice ordinario. SOMMARIO: 1.- Il caso sottoposto all’esame delle Sezioni unite. 2.- La genesi dell’istituto dell’utilizzazione senza titolo e del conseguente provvedimento di acquisizione sanante di cui all’art. 43 T.U. n. 327 del 2001: la precedente alterazione patologica del procedimento espropriativo e le soluzioni individuate in giurisprudenza. 3.- La creazione pretoria della figura dell’occupazione appropriativa (o accessione invertita) e la successiva identificazione della c.d. occupazione usurpativa. 4.- Gli interventi della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei diritti dell’uomo. 5.- Il t.u. sulle espropriazioni per pubblica utilità di cui al d.P.R. n. 327/2001 e l’occupazione sine titulo. 6.- L’incidenza e la portata delle sentenze della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006: gli effetti riguardanti la determinazione della giurisdizione con riferimento alle azioni restitutorie e risarcitorie riconducibili ai comportamenti della P.A. 7.- L’art. 43 del T.U. n. 327/2001: la natura e i presupposti dell’istituto dell’utilizzazione senza titolo. 8.- La specifica disciplina positiva dello stesso art. 43 e distinzione tra l’atto di acquisizione previsto dai commi 1° e 2° e quello contemplato dai successivi commi 3° e 4°: aspetti funzionali, limiti inesplicati e spunti critici. 9.- Il regime transitorio relativo all’applicabilità del citato art. 43 e la sua correlazione con la disciplina contenuta nell’art. 57 dello stesso T.U. 10.- Gli effetti sulla giurisdizione della sopravvenuta applicazione a regime dell’art. 43 e la nuova ridefinizione delle controversie includibili nell’area di appartenenza alla giurisdizione del giudice ordinario sulla scorta del nuovo quadro normativo inciso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 191 del 2006. *********************** 1.- Il caso sottoposto all’esame delle Sezioni unite. (Omissis) 2.- La genesi dell’istituto dell’utilizzazione senza titolo e del conseguente provvedimento di acquisizione sanante di cui all’art. 43 T.U. n. 327 del 2001: la precedente alterazione patologica del procedimento espropriativo e le soluzioni individuate in giurisprudenza. In linea generale, nel sistema normativo antecedente a quello innovato con l’entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (a decorrere dal 30 giugno 2003), l’espropriazione per pubblica utilità presupponeva un provvedimento dichiarativo della pubblica utilità dell’opera alla quale era finalizzata, nonché la fissazione dei termini per l’inizio ed il termine dei lavori (secondo quanto emergente soprattutto dalle previsioni degli artt. 9 e 13 della cosiddetta legge fondamentale in materia di espropriazione per p.u. n. 2359 del 25 giugno 1865). Nelle ipotesi di indifferibilità ed urgenza, l’espropriazione definitiva veniva, peraltro, preceduta dall’emissione di un provvedimento di occupazione (appunto “d’urgenza” 1 , richiamato nell’art. 71, comma secondo, della stessa legge n. 2359/1865) in funzione del soddisfacimento 1 Le altre forme principali di occupazione previste erano quelle temporanee, l’una contemplata dall’art. 64, concepita come direttamente strumentale alla predisposizione dei lavori, e l’altra prevista nello stesso art. 71, al comma 1°, ma configurata in considerazione della posizione naturale del fondo rispetto all’opera pubblica da realizzare. 2 dell’esigenza di accelerare l’esecuzione dell’opera pubblica mediante l’intervento dell’anticipata immissione, da parte della P.A., nel possesso dell’immobile destinato a tale finalità. Nella sua impostazione di fondo, quindi, la predetta legge fondamentale del 1865 individuava un sostanziale “punto di equilibrio” tra le due esigenze basilari alle quali avrebbe dovuto essere improntato il procedimento espropriativo, ovvero quella della garanzia (e, quindi, della tutela della proprietà privata) e quella della celerità (alla quale si sarebbe dovuta ispirare l’azione della P.A. espropriante) 2 . Nello sviluppo della successiva legislazione, soprattutto di quella prodottasi a decorrere dagli anni settanta del secolo scorso 3 , si era, però, assistito all’avvio di un percorso distorsivo del meccanismo procedimentale fisiologico espropriativo poiché l’istituto dell’occupazione d’urgenza da strumento eccezionale era stato elevato al rango di strumento ordinariamente utilizzato nell’ambito di siffatto procedimento ablatorio in funzione della valutazione in termini di prevalenza della necessità della P.A. di dar corso al più sollecito inizio dell’opera pubblica attraverso una immediata apprensione della disponibilità materiale degli immobili privati interessati. In particolare, fu soprattutto con la importante L. 22 ottobre 1971, n. 865 (cosiddetta “legge sulla casa”) - e in dipendenza del suo vasto ambito di applicabilità come individuato nel suo art. 9 - che questa deviazione (pur nel rafforzamento delle garanzie partecipative) cominciò ad evidenziarsi mediante la previsione della concentrazione in un’unica fase della dichiarazione di pubblica utilità e della identificazione dei beni da espropriare e tale tendenza raggiunse il suo culmine nella disciplina (sulle opere pubbliche) introdotta dalla L. 3 gennaio 1978, n. 1, il cui articolo iniziale incise profondamente sull’istituto della dichiarazione di pubblica utilità, la quale venne ricollegata - unitamente alla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza delle opere pubbliche - automaticamente all’approvazione dei progetti delle opere stesse da parte dei competenti organi statali, regionali e degli altri enti territoriali. Si era così giunti ad un’accentuazione massima delle fasi procedimentali, con un sostanziale ridimensionamento 4 delle garanzie partecipative del privato proprietario in virtù della legittimazione normativa di una sorta di saldatura tra il momento pianificatorio e quello espropriativo: in tal senso i più acuti indirizzi scientifici 5 hanno sostenuto che, nel quadro normativo venutosi così a configurare, l’approvazione di uno strumento urbanistico o di un progetto di opera pubblica implicante finalità pianificatorie assumeva un ruolo ben definito nel corso del procedimento espropriativo, 2 V., ad es., in questo senso ANDREIS M., sub art. 43 T.U. n. 327/2001, in La nuova disciplina dell’espropriazione - Commentario al d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) a cura di Francesco Piterà, Torino, 2004, spec. 304-306; sull’argomento, in generale, relativo al quadro normativo individuato dalla L. n. 2359 del 1865 e ai successivi sviluppi legislativi, cfr., anche, SATURNO A., sub art. 43 T.U. n. 327/2001, in L’espropriazione per pubblica utilità - Commentario al T.U. n. 327/2001, a cura di Angelo Saturno e Pasquale Stanzione, Milano, 2002, 402 e segg., nonché MARUOTTI L., sub art. 43 T.U. n. 327/2001, in L’espropriazione per pubblica utilità - Commento al testo unico emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 come modificato dal d. lgs. 302/2002, a cura di Caringella-De Marzo-De Nictolis-Maruotti, Milano, 2003, II ed., 575 e segg. 3 Ma già con la legge n. 167 del 1962 (art. 9) il legislatore aveva previsto l’equivalenza dell’approvazione dei progetti di opere pubbliche alla dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza e indifferibilità delle opere. 4 Forse sarebbe meglio discorrere di incisiva compromissione. 5 V., per tutti, ANDREIS, op. cit., 306. 3 connotandosi quale presupposto per la valutazione dell’interesse pubblico all’esecuzione dell’opera e, quindi, per la produzione dell’effetto ablatorio che a tale realizzazione era strumentale. Nell’impianto normativo conseguito alla riferita produzione legislativa risaltava, inoltre, la peculiarità della contestualità tra la dichiarazione (implicita) di pubblica utilità e quella di indifferibilità ed urgenza dell’opera, dalla quale derivava la immediata applicabilità dell’istituto dell’occupazione d’urgenza, preordinata, appunto, al risultato dell’espropriazione finale. Così strutturato per grandi linee il procedimento espropriativo, con la evidenziata compressione e concentrazione della fase relativa alla dichiarazione di pubblica utilità, non fu difficile riscontrare che ben presto, al momento dell’impatto applicativo, si erano venute a verificare alcune situazioni patologiche che sfociavano nell’accertamento dell’occupazione sine titulo 6 da parte della P.A., come nel caso dell’inizio dell’esecuzione dell’opera pubblica in virtù di anticipato spossessamento (legale) dell’area a sfavore del privato, con successiva ultimazione dell’opera, senza, però, l’intervento della legittima conclusione del procedimento espropriativo nei termini di legge con l’adozione del provvedimento definitivo traslativo della proprietà in capo all’Amministrazione espropriante (verso il riconoscimento della dovuta indennità in favore del privato espropriato). A fronte di questa - non rara - eventualità, il privato aveva pensato all’attivazione dell’esperimento dell’azione di restituzione dei fondi assoggettati illegittimamente alla procedura espropriativa, affiancandola a quella risarcitoria (quando non si accontentava in via esclusiva dell’esercizio di quest’ultima, anche in funzione sostitutiva dell’altra). Ricorrendo uno dei casi di occupazione non titolata 7 , la giurisprudenza 8 aveva, fin dall’inizio, fatto ricorso all’applicazione del principio della specialità del diritto pubblico rispetto alle ordinarie regole del diritto comune, così escludendo l’operatività della disciplina dell’accessione (artt. 934-936 cod. civ., applicabile solo tra privati) e ravvisando la problematicità dell’attuazione della tutela restitutoria (anche successivamente all’entrata in vigore del codice civile del 1942), dal momento che l’art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, impediva ai giudici ordinari di annullare principaliter gli atti amministrativi e tale divieto veniva esteso, in via interpretativa, a tutti gli ordini implicanti un facere nei confronti della P.A. Sulla scorta di questo inquadramento, gli indirizzi giurisprudenziali in argomento ritennero che al privato andasse riconosciuta la sola azione risarcitoria rapportata ai danni subiti in conseguenza della perdita delle utilità ritraibili dalla sua proprietà incisa dall’espropriazione illegittimamente attuata, il cui illecito era da qualificarsi come permanente con inassoggettabilità di detta azione al termine di prescrizione 6 Altre ipotesi riconducibili a questa situazione sono state pacificamente individuate, a titolo esemplificativo, nella sopravvenuta scadenza del termine di efficacia del provvedimento di occupazione d’urgenza, nella carenza ab origine di un valido provvedimento di occupazione, nella persistente occupazione a seguito di annullamento del decreto di espropriazione da parte del giudice amministrativo oppure nel caso della disapplicazione di quest’ultimo provvedimento da parte del giudice ordinario sul presupposto della rilevazione della carenza di potere in concreto in capo alla P.A. 7 Per patologia propria (come nel caso di mancata tempestiva emanazione del decreto di espropriazione) oppure derivata (siccome dipendente da annullamento o disapplicazione del decreto di espropriazione). 8 Per un panorama di massima sugli orientamenti giurisprudenziali in materia nel periodo in questione v., ad es., ORIANI R., Occupazione d’urgrnza, costruzione dell’opera pubblica, decreto di espropriazione tardivo, tutela giurisdizionale del proprietario; contribuo ad uno studio interdisciplinare, in Foro it., 1982, V, 205 e segg. 4 quinquennale. Non si escludeva, peraltro, che la P.A. potesse divenire proprietaria dell’area illegittimamente occupata per effetto di una condotta “sanante” susseguente, concretantesi nell’adozione di un rituale provvedimento di espropriazione, idoneo a reincanalare nell’ambito della legittimità la pregressa disposta occupazione d’urgenza, pervenendosi addirittura al riconoscimento della possibilità, qualora fosse stato emanato il decreto di esproprio in sanatoria anteriormente all’emanazione della sentenza di condanna all’integrale risarcimento del danno, della conversione della domanda risarcitoria - in virtù di un assunto principio di economia processuale - in opposizione alla stima 9 . 9 Con l’effetto che al privato, intervenendo il richiamato atto autoritativo in sanatoria, spettava il diritto al risarcimento del danno per il periodo di occupazione senza titolo ed all’indennità di espropriazione per la perdita definitiva del bene. Sulla figura della riferita conversione di domande (da risarcitoria in opposizione alla stima) v., soprattutto, Cass., SS.UU., 22 luglio 1960, n. 2087, in Riv. giur. edil., 1960, I, 605, con nota di A.M. SANDULLI, e Cass. 30 dicembre 1968, n. 4086, in Giust. civ., 1969, I, 613. Sul riconoscimento, in ogni caso, della sola tutela risarcitoria v., tra le più recenti fino alla svolta avutasi con la sentenza delle Sezioni unite n. 1464 del 1983, Cass. 18 novembre 1977, n. 5054; Cass. 22 luglio 1978, n. 3668; Cass. 6 giugno 1979, n. 3204; Cass. 3 dicembre 1980, n. 6308; Cass. 13 gennaio 1981, n. 288. 5 3.- La creazione pretoria della figura dell’occupazione appropriativa (o accessione invertita) e la successiva identificazione della c.d. occupazione usurpativa. In presenza di una tendenza al consolidamento dell’orientamento (non propriamente convincente) propugnante - a fronte della varietà delle ipotesi di occupazioni illegittime verificabili - l’inammissibilità dell’azione di rivendicazione in favore del privato proprietario dell’immobile interessato, con la fondamentale sentenza n. 1464 del 26 febbraio 1983 10 le Sezioni unite abbracciarono una diversa ed innovativa prospettiva che introduceva nell’elaborazione giurisprudenziale l’istituto della c.d. “occupazione acquisitiva” 11 , asserendo che la destinazione irreversibile del suolo privato illegittimamente occupato ai fini della costruzione dell’opera pubblica comportava l’acquisto a titolo originario da parte dell’ente pubblico costruttore della proprietà del suolo e la contestuale estinzione del diritto di proprietà del privato: questa ricostruzione 12 - ricondotta al fenomeno ribattezzato della c.d. “accessione invertita” (o, anche, per alcuni, definibile come “espropriazione sostanziale”) consentiva, secondo le Sezioni unite, di superare, per un verso, le incongruenze cui dava luogo la permanenza in capo al privato della titolarità della proprietà separata definitivamente dalla possibilità effettiva di godimento e, per altro verso, attestava la rilevanza del decreto sopravvenuto di espropriazione e, quindi, permetteva di sormontare tutti i problemi connessi alla “conversione” in opposizione alla stima della originaria azione risarcitoria 13 . Con tale indirizzo, stabilizzatosi nel tempo 14 , la giurisprudenza aveva, in sostanza, ritenuto che, allorquando l’occupazione di un immobile da parte della P.A. fosse stata qualificabile come illegittima perché non assistita da un valido titolo 15 , l’edificazione sul fondo stesso di un’opera pubblica che importasse una trasformazione così radicale da determinare la perdita, in forma irreversibile, dei caratteri e della destinazione 10 Edita, tra le altre riviste, in Foro it. 1983, I, 1983, 626 e segg., con nota di ORIANI; in Giust. civ, 1983, I, 707 e segg., con nota di MASTROCINQUE; in Riv. amm. 1983, 337, con nota di PALLOTTINO. 11 Definita anche “occupazione appropriativa”, la cui concezione era stata, peraltro, già accolta da Cass. 8 giugno 1979, n. 3243, in Giust. civ. 1979, I, 1629. 12 È importante rilevare come la dottrina più perspicace (v., ad es., SALVAGO S., Occupazione acquisitiva nelle espropriazioni per p.u., Milano, 1997, 120 e segg.; CARBONE V., Espropri illeciti, risarcimenti dimezzati, in Corr. giur. 1996, 139 e segg.) aveva evidenziato che, in effetti, l’occupazione acquisitiva esisteva sicuramente nella realtà giuridica quantomeno dall’epoca della L. n. 2359 del 1865, sottolineando che la dottrina e la giurisprudenza ne avevano soltanto ritardato il riconoscimento formale a causa di un malinteso senso di difesa della proprietà privata e dei suoi modi tradizionali di acquisto, ricorrendo alle più contorte e contrastanti costruzioni giuridiche quali erano quelle che ammettevano, da un lato, che la compressione del diritto dominicale potesse egualmente conseguire ad un’apprensione illecita del terreno privato e protrarsi sine die, mentre, dall’altro, escludevano, appellandosi al quadro normativo della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, che il proprietario del suolo avesse la facoltà di ottenerne la restituzione, previa rimozione dell’opera, così assegnandogli la proprietà meramente nominale e catastale dell’immobile. 13 Dall’affermazione di tali principi le Sezioni unite avevano fatto derivare la trasformazione dell’illecito permanente in illecito istantaneo e l’applicabilità del termine di prescrizione quinquennale per l’esercizio dell’azione risarcitoria. 14 Smentito solo da Cass., sez. II, 18 aprile 1987, n. 3872, in Foro it. 1987, I, 1727, e in Corr. giur. 1987, 642 (annotata da CARBONE V., Una clamorosa riproposta in tema di occupazione espropriativa) che aveva ripreso il concetto della c.d. elasticità del diritto di proprietà e riaffermato il principio di legalità espresso dal secondo comma dell’art. 42 Cost. 15 Per difetto originario del provvedimento di occupazione, o per scadenza dello stesso in virtù del decorso dei termine di cinque anni, ossia perché non era intervenuto un formale, valido ed efficace provvedimento di esproprio. 6 propria dell’immobile, avrebbe prodotto l’acquisto a titolo originario della proprietà del suolo occupato senza titolo, secondo i principi tipici - ma, come detto, applicati all’inverso - dell’accessione. La ragione giustificativa del nuovo orientamento era incentrato, ancora una volta, sull’asserita prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato. Tuttavia, nella sentenza n. 1464 del 1983, era rimasto in ombra l’aspetto relativo alla essenziale valorizzazione - per l’iscrizione dell’occupazione appropriativa nell’ambito del fenomeno espropriativo - della preventiva necessità della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera pubblica e, perciò, con la successiva sentenza n. 3940 del 10 giugno 1988 16 , le stesse Sezioni unite ridefinirono la figura dell’occupazione acquisitiva, ponendo in luce come la stessa non si riferisse indeterminatamente e genericamente ad ogni occupazione senza titolo da parte della P.A., bensì ad un fenomeno specifico “caratterizzato quale suo indefettibile punto di partenza da una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e quale suo indefettibile punto di arrivo dalla realizzazione dell’opera stessa”, trovando, quindi, il suo presupposto necessario in una valida e corretta dichiarazione di pubblica utilità, quale provvedimento, non inficiato da vizi, che sanciva la valutazione della prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato. Nella stessa sentenza - accanto al riconoscimento dell’essenzialità, ai fini del perfezionamento della fattispecie estintivo-acquisitiva riconducibile all’occupazione appropriativa 17 , della preesistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità - si rinviene, per la prima volta, in un’ottica di contrapposizione, il riferimento al fenomeno della c.d. “occupazione usurpativa”18 , che si sarebbe, invece, venuto a realizzare nel caso in cui l’occupazione di un’area, o genericamente di un immobile privato, fosse avvenuta senza la preventiva dichiarazione di pubblica utilità, oppure quando questa fosse stata viziata o fosse decaduta per intervenuta scadenza19 e, 16 Con la quale (edita in Foro it. 1988, I, 2242 e segg.) fu risolto il contrasto sollevato proprio con la richiamata sentenza della II sezione n. 3872 del 1987. In particolare, con la sentenza n. 3940 del 1988 fu, a chiare lettere, sottolineato che solo l’esistenza della dichiarazione di p.u. costituiva “la guarentigia prima e fondamentale del cittadino e la pietra angolare su cui deve poggiare, per legge, l’espropriazione per pubblico interesse”. 17 Sulle cui complessive problematiche v., anche, più recentemente, con i primi importanti riferimenti anche alle nuove questioni indotte dalla successiva entrata in vigore dell’art. 43 T.U. n. 327 del 2001, BENINI S., L’occupazione appropriativa è proprio da epurare?, in Foro it. 2002, I, 2591 e segg., in nota a Cass., sez. I, 29 agosto 2002, n. 12650. 18 Isolato dogmaticamente e sistematicamente inquadrato soprattutto nell’importante successiva sentenza delle stesse Sezioni unite n. 1907 del 4 marzo 1997, in Foro it. 1997, I, 721, con nota di ANNUNZIATA, con la quale si provvide a completare la tutela del privato prevedendo la possibilità per il titolare del diritto dominicale di avvalersi, in alternativa con le azioni restitutorie, di un’azione di risarcimento del danno per perdita definitiva del bene, ponendo in essere un meccanismo abdicatario del diritto reale del tutto analogo a quello previsto in altre ipotesi rilevanti sul piano privatistico, quali quelle di cui all’art. 1070 cod. civ. o quelle contemplate dagli artt. 1104 o 550 cod. civ., così consentendo anche al privato di ottenere l’equivalente del valore del bene in conseguenza di una libera scelta. Nella stessa sentenza, peraltro, si ribadiva che “il fenomeno dell’occupazione appropriativa può essere giustificato solo nella misura in cui all’attività di costruzione sia attribuito un vincolo di rispondenza in concreto a fini pubblici mediante una dichiarazione di p.u.”. 19 Risultano incanalate nella stessa direzione anche Cass., SS.UU., 3 ottobre 1989, n. 3963, in Giust. civ. 1990, I, 370; Cass., SS.UU., 13 aprile 1992, n. 4477, in Resp. civ. e prev. 1993, 582; Cass., sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1814, in Foro it.. 2000, I, 1857 e segg., con nota di SALVAGO, L’occupazione “usurpativa” non può essere espropriazione, nella quale viene oculatamente rimarcata la mera apparenza dell’analogia tra i due istituti dell’occupazione appropriativa e di quella usurpativa, poiché solo la prima appartiene alla materia delle espropriazioni per p.u., tant’è che tutti i profili di costituzionalità (riproposti attualmente con le ordinanze della Corte di cassazione nn. 11887, 12810 e 22357 del 2006) che l’hanno riguardata sono stati sollevati e risolti in base ai precetti contenuti nell’art. 42 Cost. e che il 6° comma dell’art. 5 bis della L. n. 359 del 1992 la considera(va) uno dei 7 perciò, senza che il fenomeno ablatorio avesse avuto un valido collegamento con l’esplicazione in concreto della pubblica funzione indirizzata all’ottenimento della finalità espropriativa. In quest’ultima fattispecie 20 , dunque, la carenza di potere espropriativo avrebbe determinato la non qualificabilità in termini di opera di pubblica utilità di quanto realizzato sul fondo del privato e, pertanto, avrebbe comportato l’esclusione della perdita del diritto dominicale da parte del proprietario. In altri termini, l’inoperatività in tal caso dell’istituto dell’occupazione appropriativa, in assenza dell’ineludibile presupposto del riconoscimento, da parte degli organi competenti, della pubblica utilità dell’opera, avrebbe dovuto comportare la conseguenza che il privato, durante l’illegittima occupazione, potesse fruire dei rimedi reipersecutori a tutela della proprietà non perduta. Sulla scia di questo inquadramento, la successiva giurisprudenza si era venuta assestando, rimarcando come l’acquisto a favore della P.A. del fondo occupato si determinava solamente se l’opera era funzionale ad una destinazione pubblicistica e che ciò avveniva solo per effetto di una pubblica utilità formale o connessa ad atto amministrativo che, per legge, producesse una tale conseguenza21 , precisando che la mancanza della dichiarazione di pubblica utilità, o perché mai formalmente dichiarata o conseguente ad un successivo annullamento o alla scadenza dei relativi termini, non comportava il succitato acquisto, escludendo che, in tal caso, si potesse concretizzare la fattispecie dell’occupazione appropriativa, configurandosi, piuttosto, quella dell’occupazione usurpativa. Il fenomeno della cosiddetta occupazione appropriativa veniva a presentare, in sintesi, i seguenti caratteri: a) la trasformazione irreversibile del fondo, con destinazione ad opera pubblica o ad uso pubblico, determinava l’acquisizione della proprietà da parte della P.A.; b) il fenomeno, in assenza di formale decreto di esproprio, aveva il carattere dell’illiceità, che si consumava alla scadenza del periodo di occupazione autorizzata (e, quindi, legittima) se nel frattempo l’opera pubblica era stata realizzata, oppure al momento della trasformazione qualora l’ingerenza nella proprietà privata avesse già carattere abusivo o se essa acquistasse tale carattere perché la trasformazione medesima avveniva dopo la scadenza del periodo di occupazione legittima; c) l’acquisto a favore della P.A. si determinava soltanto qualora l’opera fosse funzionale ad una destinazione pubblicistica e ciò avveniva solo per effetto di una dichiarazione di pubblica utilità formale o connessa ad un atto amministrativo che, per legge, producesse tale effetto, con conseguente esclusione dall'ambito applicativo dell'istituto dei comportamenti della P.A. non collegati ad alcuna utilità pubblica formalmente dichiarata (cosiddetta occupazione usurpativa), o per mancanza “ab inizio” della dichiarazione di pubblica utilità o perché questa era venuta meno in modi normali di definizione del procedimento ablatorio accanto alla cessione volontaria ed al decreto di esproprio; diversamente, l’occupazione usurpativa esula da tale materia e rientra fra i comuni fatti illeciti disciplinati dall’art. 2043 cod. civ., in cui non è ravvisabile l’espressione di alcuna funzione amministrativa. 20 Tra gli ulteriori commenti in proposito si segnalano SAN GIORGIO M.R., Un limite al “sacrificio” della proprietà, in Diritto&Giustizia 2000, n. 8, 49 e segg.; GRECO G. G., Occupazione appropriativa e occupazione usurpativa: due illeciti a confronto, in Urb. e app. 2000, I, 1204 e segg.; IACONE F.C., Le occupazioni illegittime tra espropriazione e usurpazione, in Giust. civ. 2000, I, 2667 e segg. 21 V., ad es., in questi termini, la più recente Cass., SS.UU., 6 maggio 2003, n. 6853 (in Danno e resp. 2004, I, 91, e in Foro it. 2003, I, 2368). 8 seguito ad annullamento dell’atto in cui essa era contenuta o per scadenza dei relativi termini (in tal caso non si produceva l’effetto acquisitivo a favore della P.A. ed il proprietario poteva chiedere la restituzione del fondo occupato e, se a tanto non aveva interesse e quindi vi rinunziava, poteva avanzare domanda di risarcimento del danno, che avrebbe dovuto essere liquidato in misura integrale); d) il soggetto che aveva subito l’ablazione di fatto, per ottenere il risarcimento del danno, aveva l’onere di proporre domanda in sede giudiziale entro il termine di prescrizione quinquennale (art. 2947 cod. civ.), la cui decorrenza era ancorata alla data di scadenza dell'occupazione legittima, se l’opera pubblica era realizzata nel corso di tale occupazione, oppure al momento dell’irreversibile trasformazione del fondo, se essa era avvenuta dopo quella scadenza (o in assenza di decreto di occupazione d’urgenza, ma sempre nell’ambito di valida dichiarazione di pubblica utilità). 4.- Gli interventi della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Nella ricostruzione dell’istituto dell’espropriazione acquisitiva non possono essere trascurati gli interventi diretti a valutare la conformità di tale istituto con i parametri fondamentali dell’ordinamento interno (e, quindi, con i correlativi principi costituzionali) e di quello internazionale, risultando anzi, a quest’ultimo proposito, risolutivi proprio gli interventi della Corte di Strasburgo ai fini dell’approvazione della riforma in materia di espropriazione per pubblica utilità recepita nel d.P.R. n. 327 del 2001. Già con la sentenza n. 188 del 23 maggio 1995 22 , il giudice delle leggi, per ritenere conforme alla Costituzione il modo di acquisto della proprietà originato dall’affermata accessione invertita aveva dovuto rielaborare la problematica in questione isolando al suo interno due diversi momenti operandone una netta separazione 23 . In particolare, la Corte Costituzionale aveva scisso, in proposito, la fase dello spossessamento con radicale ed irreversibile trasformazione del bene (ovvero il momento della configurazione del fatto illecito correlato all’atto della realizzazione dell’opera pubblica) da quella consequenziale relativa alla non restituibilità dell’area di sedime sulla quale essa insisteva e su cui si era venuta ad innestare in modo irreversibile (e, quindi, relativa al momento del fatto casualmente generatore dell’acquisto dell’opera di pubblica utilità, edificata a vantaggio della collettività). Sulla scorta di tali premesse, i giudici della Consulta erano giunti ad escludere la fondatezza dei dubbi di costituzionalità sollevati, in particolar modo, in relazione al principio che non consentiva la produzione di effetti positivi a mezzo di atto illecito a favore dell’autore dell’illecito stesso 24 . 22 Pubblicata in Foro it. 1996, I, 464 e segg. Si ricorda che, nel frattempo, il legislatore, ancorché in un circoscritto settore (ovvero quello dell’edilizia residenziale pubblica), aveva propriamente normativizzato l’istituto dell’accessione invertita prevedendolo nell’art. 3 della L. 27 ottobre 1988, n. 458. 24 Cfr., per tali richiami, ANDREIS, op. cit., 312. 23 9 Successivamente, la stessa Corte Costituzionale, con la sentenza 4 febbraio 2000, n. 24 25 , aveva chiarito che l’istituto dell’occupazione appropriativa, ritenuto applicabile alla P.A., non aveva, in realtà, alcunché in comune con la fattispecie disciplinata dall’art. 938 cod. civ., risultando completamente diversi la ratio e l’interesse tutelato, ragion per cui il fondamento giustificativo dell’accessione invertita in favore della P.A. si sarebbe dovuto considerare insito, piuttosto, nella funzione sociale della proprietà, resa attuale e concreta dalla dichiarazione di pubblica utilità, per il cui assolvimento poteva ritenersi giustificato il sacrificio del privato. Anche alla luce dell’approccio che con esso aveva avuto la giurisprudenza costituzionale, rimane, tuttavia, confermato che, in effetti, all’istituto dell’occupazione acquisitiva risultava conferita una chiara connotazione rimediale, poiché concepito in funzione di evitare la perdita di un’area che avrebbe potuto essere legittimamente appresa e di un’opera che avrebbe potuto essere altrettanto legittimamente costruita alla semplice condizione della tempestiva emanazione del decreto di esproprio. Secondo la ricostruzione della giurisprudenza, in fondo, la P.A., diventata detentrice senza titolo dell’area di proprietà privata, avrebbe dovuto essere, in linea di principio, obbligata alla restituzione della stessa e, tuttavia, l’intrapreso procedimento ablatorio attualizzava la funzione sociale della proprietà, legittimandone il sacrificio, sicché, nell’ipotesi in cui il bene fosse già stato utilizzato per l’esecuzione delle opere destinate in modo permanente al soddisfacimento di un pubblico interesse, il privato non avrebbe potuto chiedere al giudice ordinario la restituzione del fondo, bensì solo il risarcimento del danno, perdendo la proprietà sull’immobile in favore della P.A., che, perciò, in virtù di questa manifestazione invertita dell’accessione, l’acquisiva 26 (in questo senso, perciò, da parte di alcuni, si era fatto ricorso alla definizione di “espropriazione sostanziale”, in via alternativa a quella di “occupazione appropriativa o acquisitiva” 27 ). 25 In Giur. cost. 2000, 171; in Giust. civ. 2000, I, 965 e 1631, con nota di DE SANTIS S.; in Corr. giur. 2000, 540; in Giur. it. 2000, I, 1, 827 e 1717, con nota di FERIOLI E., e in Urb. e app. 2000, 379, con nota di LIGUORI A. Con questa sentenza il giudice delle leggi aveva dichiarato infondata, con riferimento all’art. 3 cost. - in relazione all’art. 938 cod. civ. - la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, bis comma 7 bis, d.l. 11 luglio 1992 n. 333, conv. con modificazioni in l. 8 agosto 1992 n. 359, introdotto dall’art. 3, comma 65 l. 23 dicembre 1996 n. 662, nella parte in cui, nel disciplinare gli effetti della c.d. accessione invertita, prevede la corresponsione in favore del soggetto privato della proprietà del suolo ad opera della P.A. in seguito alla costruzione sullo stesso di un’opera di pubblica utilità, di una somma corrispondente alla indennità di esproprio (senza abbattimento del 40%), maggiorata del 10%, pressoché pari al valore dimezzato del bene (per la discriminazione, ritenuta irragionevole, che si verificherebbe rispetto alla previsione di cui all’art. 938 c.c., che, con riferimento alla occupazione, nella costruzione di un edificio da parte di un proprietario su una porzione di fondo attiguo, prevede invece la corresponsione al proprietario del suolo del doppio del valore della superficie occupata, oltre al risarcimento del danno), in quanto il termine di comparazione invocato non è suscettibile di essere utilizzato, trattandosi di ipotesi di accessione palesemente non comparabili perché completamente diverse, sia sotto il profilo dei soggetti, che dei presupposti di applicabilità e della natura delle norme. 26 E’ importante sottolineare che la giurisprudenza ha, in ogni caso, escluso l’applicabilità della disciplina dell’occupazione appropriativa alle opere private di interesse pubblico, trovando, in questa ipotesi, spazio l’operatività della norma generale di cui all’art. 934 cod. civ.: v., da ultimo, Cass., sez. I, 8 novembre 2006, n. 23798, in Urb. e app. 2007, 324 e segg., con nota di MARZANO. 27 In proposito, però, il SATURNO A., sub art. 43 T.U. 327/01, in op. cit., 408, evidenzia come non potesse discorrersi propriamente di un’espropriazione sostanziale contrapposta a quella, normativamente prevista, qualificabile in termini di “espropriazione formale”, dal momento che, in ogni caso, l’occupazione acquisitiva costituisce un’ipotesi di fatto illecito perpetrato dalla P.A. nei confronti di un soggetto privato, che, tuttavia, risolvendosi nella realizzazione di un’opera dichiarata di pubblica utilità, provoca l’acquisto a titolo originario dell’area di sedime in capo alla stessa P.A. 10 Malgrado l’attività di “salvataggio” profusa dalla giurisprudenza costituzionale, l’istituto dell’occupazione appropriativa profilatosi nel contesto giurisprudenziale generale non si è sottratto allo scrutinio negativo della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, manifestatosi in prima battuta nelle due famose sentenze del 30 maggio 2000 (note, rispettivamente, come Soc. Belvedere alberghiera e Carbonara-Ventura 28 ), sulla conformità al principio di legalità sancito dall’art. 1 del protocollo n. 1 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo. Con queste decisioni la Corte di Strasburgo ebbe a muovere delle forti critiche agli istituti dell’occupazione acquisitiva ed usurpativa sul presupposto che una condotta illegittima o illecita della P.A. non potesse produrre in capo alla medesima l’acquisto di un diritto. In particolare, la cosiddetta C.E.D.U. rilevava che il nostro quadro normativo comportava la violazione del suddetto principio di legalità, poiché le condizioni di legge - per qualificarsi legittime avrebbero dovuto garantire il rispetto di un giusto equilibrio tra le esigenze di carattere generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo. In questo senso, perciò, questo organismo giurisdizionale internazionale aveva considerato come profilo assorbente la completa mancanza di base legale dell’acquisizione alla proprietà pubblica quale effetto dell’occupazione illegittima. La predetta Corte Europea non aveva, quindi, seguito il ragionamento, pur fatto proprio dalla Corte Costituzionale nelle due richiamate sentenze (di infondatezza delle questioni sollevate), secondo cui non sarebbe il comportamento illecito dell’Amministrazione a determinare il trasferimento di proprietà alla stessa P.A., per doversi tenere distinta la radicale trasformazione del fondo dall’acquisto a titolo originario. Nell’analisi argomentativa della C.E.D.U., invero, ciò che rilevava è che tale effetto si producesse con l’occupazione appropriativa, ovvero in dipendenza di un comportamento illecito della P.A., perché non previsto da legge chiara, precisa e dagli effetti prevedibili (con la conseguenza paradossale che era stata la creazione giurisprudenziale a dover supplire alla carenza normativa in materia). Con riguardo ai rimedi astrattamente prospettabili, la stessa Corte Europea, nei distinti casi sottoposti al suo esame, aveva riconosciuto più consone nel caso Belvedere, in virtù delle circostanze di fatto dedotte - in cui la società ricorrente aveva invocato la restituito in integrum - le misure congiunte della reimmissione in possesso del fondo e del risarcimento tanto del pregiudizio economico che del danno morale. Nel caso Carbonara, invece, il petitum puramente risarcitorio aveva precluso alla Corte ogni futura statuizione che non fosse di condanna pecuniaria. In definitiva, comunque, la C.E.D.U., nel sancire la sussistenza della violazione del riferito principio di legalità, si 28 In Foro it. 2001, IV, 233 e segg., con nota di SABATO. Su tali decisioni si richiamano, soprattutto, i commenti di CARBONE V., Occupazione appropriativa: l’intervento dirompente della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Corr. giur. 2001, 466-488; DAMONTE R., La Corte di Strasburgo “condanna” l’accessione invertita, in Riv. giur. edil. 2000, I, 792; PONTICELLI M., L’accessione invertita viola la convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Giornale di dir. amm. 2001, 146; BONATTI S., Il crepuscolo dell’occupazione acquisitiva, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario 2000, I, 2591; INVERNIZZI R., Accessione invertita e CEDU: punti di vista, in Riv. giur. edil. 2000, I, 595. Per una completa ricostruzione delle vicende e delle motivazioni poste a fondamento delle due sentenze della CEDU si rimanda, soprattutto, a BENINI S., L’occupazione appropriativa è proprio da epurare?, cit. spec. 25912596. 11 era espressa per la possibile restituzione del fondo al legittimo proprietario, oltre al risarcimento dei danno economico per la temporanea perdita del bene 29 . Le riflessioni dottrinali immediatamente successive alle due riportate pronunce della Corte Europea di Strasburgo sembravano convergere verso il graduale declino dell’istituto dell’occupazione acquisitiva 30 . Il principio di legalità in discorso, nei termini di certezza dei mezzi e delle modalità della tutela dei diritti riconosciuti e garantiti dall’ordinamento, è stato ulteriormente riaffermato dalla Corte di Strasburgo con una pronuncia del 2004 31 , con la quale si è nuovamente sottolineata l’imprescindibile esigenza del rispetto di detto principio, non solo sotto un profilo meramente formale, ma anche attraverso l’effettiva attuazione delle prescrizioni normative, soprattutto quando è in gioco un diritto fondamentale quale il diritto di proprietà. 5.- Il t.u. sulle espropriazioni per pubblica utilità di cui al d.P.R. n. 327/2001 e l’occupazione sine titulo. Sulla scorta delle sollecitazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della variegata problematicità delle questioni relative alla patologia del procedimento espropriativo il legislatore, con l’emanazione del nuovo testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità contenuto (nella sua versione complessiva riferibile sia alle disposizioni legislative che a quelle regolamentari) nel d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 32 , ha inteso provvedere ad un riordino della materia, individuando, sostanzialmente, con riguardo ai rapporti intercorrenti tra lo stesso procedimento espropriativo e il suo atto terminale (l’atto di esproprio), un tendenziale ritorno alle origini. 29 Anche con la successiva decisione (in Urb. e app. 2004, 286 e segg., con nota di SCIULLO G., La Corte europea dei diritti dell’uomo “sanziona” l’occupazione appropriativa) del 30 ottobre 2003 (Belvedere Alberghera s.r.l. c. Gov. Italiano), riferita ancora al quadro antecedente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001, la stessa Corte di Strasburgo ebbe a riconfermare, sotto ulteriori profili, che “nel caso di pronuncia che accerti l’illegittimità dell’occupazione di un terreno di proprietà privata incombe allo Stato convenuto provvedere alla restitutio in integrum. Qualora il diritto nazionale non permetta di realizzarla, l’art. 41 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo abilita la Corte ad accordare alla parte lesa la riparazione appropriata. Questa comprende il valore attuale del terreno, il mancato godimento dello stesso e la perdita di reddito dal momento dell’occupazione, nonché il deprezzamento dell’immobile residuo. Va inoltre corrisposta una somma a titolo d’indennizzo per i danni morali subiti, ancorché la parte lesa sia una persona giuridica”. 30 V., soprattutto, BONATTI, op. ult. cit., il quale ebbe a preconizzarne “un rapido declino, a meno di un intervento del legislatore che ponesse fine a quella situazione di confusione e incertezza normativa che era parsa inaccettabile alla Corte europea”. BENINI, op. ult. cit., 2595, osserva come il “mito della prevalenza, sempre e comunque, dell’interesse pubblico su quello privato, era stato smentito dalla Corte europea che aveva affermato la priorità dell’accertamento circa la legittimità e non arbitrarietà dell’interferenza dell’autorità nel godimento del bene privato”. 31 E, precisamente, del 15 luglio 2004 (Sez. I), in Riv. giur. edil. 2005, I, 681 e segg., con nota di INVERNIZZI R.; sull’argomento v., anche, SCIULLO G., op. ult. cit., 290 e segg.; COMPORTI M., La nozione europea della proprietà e il giusto indennizzo espropriativo, in Riv. giur. edil. 2005, I, 10. 32 Per una prima immediata sottolineatura delle luci e delle ombre del nuovo testo unico v., ad es., CARBONE V., Epicedio per il “fatto illecito” da occupazione appropriativa?, in Danno e resp. 2001, 901-909, e Il nuovo t.u. in materia di espropriazione: scompare l’occupazione appropriativa?, in Corr. giur. 2001, 1265 e segg. 12 Le linee innovative essenziali 33 di detto T.U. si identificano con l’abrogazione dell’istituto della dichiarazione di indifferibilità ed urgenza e l’eliminazione dell’occupazione d’urgenza 34 , prevedendosi che la Pubbliche Amministrazioni potranno (legittimamente) iniziare i lavori solo in attuazione del decreto di espropriazione, così imponendosi alle stesse di realizzare le opere pubbliche su beni delle quali siano già divenute legittimamente proprietarie. Il nuovo Testo unico ha comportato una incisiva semplificazione della procedura per giungere al decreto di espropriazione, che potrà essere emanato subito dopo la dichiarazione di pubblica utilità, precisandosi, però, che l’effetto traslativo della proprietà, dal privato alla P.A., si verificherà soltanto con l’effettiva immissione in possesso del fondo, che funge da condizione sospensiva dell’effetto ablativo. Sulla base di questa impostazione di fondo, nel parere del Consiglio di Stato n. 4/2001 si asserisce, sul piano dei risultati perseguibili, che: “Si torna alla regola per cui la P.A. realizza l’opera sull’area ormai sua con riduzione delle ipotesi di occupazione appropriativa (o usurpativa); si ottengono vari risparmi, perché l’amministrazione occupa l’area e ne diventa proprietaria solo se l’area è stata finanziata ed è subito realizzabile; si riducono le ipotesi di retrocessione divenendo difficilmente ipotizzabili i casi di acquisto delle aree private in assenza della loro utilizzazione; si riduce, conseguentemente, il contenzioso”. In questo rinnovato contesto normativo il legislatore del 2001, per superare le anomalie evidenziate dalla Corte di Strasburgo ed evitare la permanenza del contrasto sulla materia, ha introdotto, nell’art. 43 del citato T.U., una complessiva disciplina che consente alla P.A. l’emanazione di un provvedimento amministrativo di acquisizione del bene, per sanare la commessa illegalità riconducibile all’attuata occupazione senza titolo 35 . Infatti, con tale disposizione si prevede che, qualora l’opera sia stata realizzata in assenza di un valido decreto di esproprio, viene riconosciuta alla P.A. l’attribuzione del potere di acquisire l’area al proprio patrimonio indisponibile e garantito all’espropriato il diritto di conseguire il risarcimento del danno, salvo il sindacato in sede giurisdizionale del provvedimento di acquisizione. Risulta così introdotto nel sistema un istituto che legittima l’acquisto dell’area privata ove sia già stata realizzata un’opera pubblica in assenza del valido decreto di espropriazione, poiché tale norma consente che l’illecito aquiliano conseguente alla intervenuta occupazione senza titolo venga meno al momento dell’atto di acquisizione 36 . 33 Desumibili, in particolar modo, dal parere allo schema di decreto legislativo reso dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato del 29 marzo 2001, n. 4/2001, in Cons. Stato 2001, III, 1891 e segg. 34 Peraltro poi reintrodotta per effetto dell’art. 22 bis innestato in virtù delle modifiche ed integrazioni apportate dal successivo d. lgs. n. 302/2002. 35 In dottrina (cfr., per tutti, ANDREIS, op. cit., 314) si evidenzia che, nel disegno originario del T.U. n. 327 /2001, lo scopo del legislatore sembrava quello di prevedere che, una volta fissata la regola a regime, gli effetti patologici del sistema fossero da disciplinare, per così dire, ad esaurimento in quanto destinati a non verificarsi più. Ed in questo quadro normativo originario si sarebbe dovuta intendere la collocazione dell’art. 43, il quale, si occupa appunto dell’utilizzazione senza titolo e, nella prospettiva della riorganizzazione complessiva del sistema normativo in tema di espropriazione per p.u., sembrava acquistare il significato di disposizione transitoria. Tuttavia le modificazioni ed integrazioni disposte dal successivo d. lgs. n. 302 del 2002 (allo scopo di adeguare il T.U. n. 327/2001 alla c.d. legge obiettivo n. 443 del 2001) hanno determinato il sostanziale svilimento di tale funzione. 36 Non sono mancate, nell’immediato, le critiche - anche sferzanti - avverso la concezione del nuovo istituto del provvedimento amministrativo acquisitivo sanante; in particolare, CARBONE V., Il nuovo t.u. in materia di espropriazione: scompare l’occupazione appropriativa?, cit., 1268, dopo aver evidenziato che il legislatore non ha avuto il coraggio di eliminare in radice l’istituto dell’occupazione appropriativa disciplinandola appositamente nell’art. 43 del nuovo t.u. con una diversa denominazione (“utilizzazione senza titolo” per scopi di interesse 13 Tale istituto trova, dunque, la sua ragion d’essere nell’esigenza di regolarizzare e di sanare una situazione di illegittimità posta in essere dalla P.A. nel corso di una procedura espropriativa e, perciò, l’emanazione di un legittimo provvedimento di acquisizione c.d. “sanante” previsto dalla norma in questione si pone come l’unico attuale rimedio riconosciuto dall’ordinamento alla P.A. per evitare la restituzione dell’area in favore del privato, in assenza del quale, perciò, non può addurre l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica quale causa di impossibilità oggettiva e, quindi, come impedimento alla suddetta restituzione 37 . Sul piano generale - come evidenziato nel primo comma dello stesso art. 43 in discorso - l’atto di acquisizione in oggetto presuppone una valutazione degli interessi in conflitto da condurre con particolare rigore, poiché - assorbendo la dichiarazione di pubblica utilità e decreto di esproprio - deve, non solo, valutare la pubblica utilità dell’opera ma tener conto, altresì, della circostanza che il potere acquisitivo in parola (avente, come detto, valore “sanante” dell’illegittimità della procedura espropriativa) ha natura eccezionale e non può risolversi in una mera alternativa alla procedura ordinaria. Ne consegue che il nuovo provvedimento tardivo acquisitivo deve trovare la sua giustificazione nella particolare rilevanza dell’interesse pubblico comparato con quello del privato, esigenza, peraltro, ritenuta imprescindibile dallo stesso Consiglio di Stato, nell’anzidetto parere n. 4/2001, dopo la reintroduzione, ad opera del d. lgs. n. 302 del 2002, dell’istituto dell’occupazione d’urgenza 38 . 6.- L’incidenza e la portata delle sentenze della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006: gli effetti riguardanti la determinazione della giurisdizione con riferimento alle azioni restitutorie e risarcitorie riconducibili ai comportamenti della P.A. E’ risaputo che con l’avvento del d.lgs. n. 80 del 1998 il legislatore aveva optato per una tendenziale suddivisione dei criteri attributivi della giurisdizione per le controversie nei confronti della P.A. secondo un modello di ripartizione per blocchi pubblico), osserva: “resta il <<pasticciaccio>> del capo VII, titolo II del t.u. che con l’art. 43 rappresenta un’ambigua legittimazione di <<utilizzazione senza titolo>> cioè di nuovi comportamenti illeciti della P.A. che vengono giustificati per il solo fatto che la P.A. si trinceri dietro un interesse pubblico anche se non ha rispetto per l’iter procedimentale normativamente previsto. E’ grave che uno Stato preveda il rifiuto di tutela del diritto del privato anche nel caso espressamente previsto di <<fondatezza>> del ricorso; la tutela del diritto di proprietà del privato non dovrebbe ancora una volta ridursi al risarcimento del danno con esclusione della restituzione del bene senza limiti”; l’autore, poi, così conclude: “violazioni di legge e comportamenti illeciti non devono essere consentiti a nessuno, neppure alla P.A. che anzi dovrebbe essere d’esempio rispettando, per prima, il principio di legalità di cui all’art. 97 Cost., ribadito dall’art. 2 d.P.R. n. 327/2001, senza tentare giustificazioni con la machiavellica affermazione che il fine, <<la costruzione dell’opera pubblica>>, giustifica i mezzi adoperati, e quindi anche l’attività illecita della P.A., in quanto il primo segno della corruzione di una società è la giustificazione dei mezzi adoperati con il fine che si vorrebbe perseguire”. 37 Sul punto v., specialmente, ROLFI G., La mancata irreversibile trasformazione del fondo non configura l’ipotesi di occupazione acquisitiva, in nota a T.A.R. Puglia - sez. Lecce, 4 aprile 2006, n. 1830, in Riv. giur. edil. 2006, 1041 e segg. 38 ROLFI G., in op. ult. cit., 1044, sottolinea come, alla luce della richiamata prospettiva, la motivazione dell’atto di acquisizione sanante debba essere particolarmente esaustiva in merito alla valutazione degli “interessi in conflitto”, evidenziando, inoltre, come l’intento del legislatore, con l’introduzione dell’art. 43 T.U. n. 327/2001, sembri indirizzato nel senso di giungere all’eliminazione dell’automatismo traslativo dell’acquisto del diritto di proprietà, conseguente all’attività di trasformazione della P.A. per fini di pubblica utilità. 14 di materie. In base a questa logica di fondo la previsione dei “comportamenti” 39 in una condizione di equiparazione con gli “atti e provvedimenti”, quale attività di manifestazione della P.A., aveva costituito lo strumento attraverso il quale il legislatore si era premurato di operare l'indiscriminata devoluzione delle controversie in “materia edilizia ed urbanistica” alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: la categoria espletava nella previsione dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 una funzione “di chiusura”, idonea ad avvalorare l’attribuzione onnicomprensiva della materia alla giurisdizione amministrativa (e ad attestare, simultaneamente, l’eccezionalità della giurisdizione ordinaria). L’equivocità e l’inidoneità nell’ambito del sistema giuridico del termine “comportamenti” ricollegato al profilo della giurisdizione sono state poste in risalto e, quindi, in crisi, dapprima con la sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 40 (alla quale è collegata la sentenza 28 luglio 2004, n. 281), e, poi, nell’ottica della sua riferibilità all’attività materiale scollegata dall’esercizio di qualsiasi potere pubblicistico, dalla sentenza della stessa Corte n. 191 del 2006 41 . Per effetto della sentenza costituzionale del 2004, la n. 204 del 6 luglio, vengono riscritti sia l’art. 33 che l’art. 34 d.lgs. 80/98: in particolare, la parola “comportamenti” è stata espunta dal testo dell’art. 34. La pronuncia, del tipo manipolativo, è pervenuta, quindi, alla riformulazione del dettato normativo in modo da renderlo indenne da censure 42 . 39 Con riferimento all’impostazione originaria dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 parte della dottrina (v., ad es., AVANZINO G., La giurisdizione in materia di azione di nunciazione dopo il d.lgs. 80 del 1998, in Urb. e app. 1999, 435) proponeva un’interpretazione restrittiva, basata sulla ricostruzione sistematica dell’art. 34, sostenendo la rilevanza dei comportamenti solo nel caso in cui ci si fosse trovati di fronte all’esecuzione di un precedente atto; se così non fosse stato, si sarebbe rischiato di estendere la cognizione del giudice amministrativo anche a fattispecie tipicamente di diritto comune. Per un inquadramento sistematico della nozione di “comportamento” v. DI NOTO F. M., I comportamenti della P.A. in materia espropriativa – tutela giurisdizionale, 2005, su www.diritto.it, 14 e segg. 40 Edita, tra le tante riviste, in Foro it. 2004, I, 2594, con note di BENINI S. - TRAVI A. e FRACCHIA F.; in Guida al dir. 2004, n. 29, 88 e segg., con nota di FORLENZA O.; in Foro amm.-C.d.S. 7/8, 2004, 1903 e segg., con nota di SATTA F.; in Dir. proc. amm. N. 4/2005, 849 e segg., con nota di DOMENICHELLI e ivi n. 1/2005, 241 e segg., con nota di MAZZAROLLI. 41 In Foro it. 2006, I, 1625, con nota di TRAVI A. e DE MARZO G.; in Riv. giur. edil. 2006, I, 465 e segg. e 779 e segg., con nota di IUDICA. 42 L’argomentazione attraverso cui si perviene alla dichiarazione di illegittimità “nei limiti” da essa precisati, è sintetizzabile nei seguenti passaggi: - muovendo dall’esame dei lavori dell’Assemblea Costituente, al fine di rettamente intendere il disposto dell’art. 103 Cost., si afferma che il potere di indicare le “particolari materie” in cui il giudice amministrativo può conoscere anche di diritti soggettivi “non è assoluto né incondizionato”, ma deve pur considerare la natura delle posizioni giuridiche coinvolte; - la peculiarità concerne il rapporto di tali questioni rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che esse devono fondamentalmente partecipare della medesima natura, costituita dall’agire la pubblica amministrazione come autorità nei confronti della quale al cittadino sia dato di agire davanti al giudice amministrativo, non essendo sufficiente la mera partecipazione al giudizio del soggetto munito di pubblici poteri, o il mero coinvolgimento di un interesse pubblico nella controversia; - riguardo alla formulazione dell’art. 34 d. lgs. 80 del 1998, quale recata dall’art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 205 del 2000, che oltre “gli atti e i provvedimenti” attraverso i quali le pubbliche amministrazioni (direttamente ovvero attraverso “soggetti alle stesse equiparati”) svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia, comprende nella giurisdizione esclusiva anche “i comportamenti”, l’estensione riguarda inaccettabilmente le controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita - nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici - alcun pubblico potere. 15 I commenti alla predetta sentenza n. 204 del 2004 43 , nella parte concernente l’art. 34 cit., hanno evidenziato, in larga misura, la necessità di correlare la scarna indicazione del dispositivo con il frammento di motivazione ad esso riferito: la giurisdizione esclusiva sui comportamenti in materia urbanistico-edilizia si sarebbe dovuta considerare illegittima, in quanto estesa a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita - nemmeno mediatamente - alcun pubblico potere 44 . L’eliminazione dei comportamenti dall’anzidetta formula normativa portava ad avvalorare, con particolare riguardo alle occupazioni illegittime, la ricostruzione che la giurisprudenza aveva nel frattempo elaborato, distinguendo le occupazioni non assistite da dichiarazione di pubblica utilità da quelle semplicemente carenti del provvedimento conclusivo della procedura ablatoria, ma caratterizzate, tuttavia, dall’esercizio del potere espropriativo 45 . Era stata, però, proposta una diversa lettura della sentenza 204 del 2004, che da un lato si sforzasse di essere esente da pregiudizi dottrinali, in particolare sull’uso dei termini (“comportamento” tra tutti), e dall’altro ristabilisse un corretto ordine logico, nel rapporto tra dispositivo e motivazione 46 . Ci si era chiesti se la lettura di questa sentenza autorizzasse davvero una distinzione tra i comportamenti, secondo quanto la motivazione della sentenza sembrava implicare, con il risultato di limitare la dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 34 d. lgs. n. 80/1998 a quelli che non costituivano esercizio di alcun potere, o se invece l’espulsione dei comportamenti quale modalità di manifestazione dell’azione della P.A., dall’ambito della giurisdizione esclusiva, fosse da intendere in modo assoluto e generalizzato, come pareva dovesse ricavarsi, senza alcuna incertezza, dal dispositivo della sentenza 47 . 43 Per una ricognizione complessiva delle inerenti questioni v., tra gli altri, FRASCA R., Giurisdizione civile e Corte Costituzionale, relazione n. 80 del 23 maggio 2005 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, in www.cortedicassazione.it, nonché LAMORGESE A., Il punto su…il riparto della giurisdizione dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004, in Giur. mer. 2006, 1341-1366. 44 Così, tra gli altri, MATTARELLA B.G., Il lessico amministrativo della Consulta e il rilievo costituzionale dell’attività amministrativa, Giorn. dir. amm. 2004, 979; MADDALENA M.L., Comportamenti della p.a. in materia urbanistica e riparto di giurisdizione dopo Corte cost. 204/2004, Urb. e.app. 2005, 86; CINTIOLI F., La giurisdizione piena del giudice amministrativo dopo la sentenza 204 del 2004 della Corte costituzionale, Dir. e form., 2004, 1352. 45 La giurisdizione esclusiva era da riconoscere per l’azione risarcitoria da occupazione appropriativa, dunque in costanza di dichiarazione di pubblica utilità (Cass. 15 ottobre 2003, n. 15471, rv. 567471; Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 2002, n. 5443, in Cons. Stato, 2002, I, 2188; sez. IV, 13 settembre 2001, n. 4783, in Giust. amm., 2001, 1071; 14 giugno 2001, n. 3169, in Giur. it., 2001, 2386; Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 14 giugno 2001, n. 296, in Cons. Stato, 2001, I, 1501), ed esclusa riguardo all’occupazione detta usurpativa, che configura un comportamento del tutto scollegato dal potere amministrativo e provoca una lesione del cui risarcimento è competente il giudice ordinario (Cass. 6 giugno 2003, n. 9139, in Corr. giur., 2003, 1594; 19 aprile 2004, n. 7460, rv. 572167; 9 giugno 2004, n. 10978, rv. 573494; Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3819,in Cons. Stato, 2002, I, 1542; 20 maggio 2004, n. 3267, id., 2004, I, 1104). 46 V., in proposito, DE BERARDINIS P., Il riparto di giurisdizione nelle controversie risarcitorie in materia di occupazione appropriativa ed usurpativa, Urb. e app. 2005, 1055 e segg. 47 L’opinione tendenzialmente maggioritaria nella dottrina costituzionalista è nel senso che ove vi sia contraddittorietà tra gli elementi di cui si compone la sentenza, prevale il dispositivo: la volontà emergente dal corpo della motivazione non può sovrapporsi a quella espressa da un dispositivo di significato univoco (v., ad es., GARDINO CARLI A., Giudici e Corte costituzionale nel sindacato sulle leggi, Milano, 1988, 114-115). 16 Tale impostazione aveva portato a concludere, logicamente, che le controversie risarcitorie in tema di occupazione appropriativa fossero da attribuire alla giurisdizione ordinaria 48 . Le riportate riflessioni indotte dalla necessità di conferire un significato assoluto alla sottrazione del termine “comportamenti” dal testo dell’art. 34 d.lgs. 80 del 1998, trovavano applicazione preferenziale nelle fattispecie relative ai casi in cui alla procedura di occupazione d’urgenza dell’immobile non avesse fatto seguito la conclusione del procedimento espropriativo nel termine di validità del decreto di occupazione d’urgenza (occupazione c.d. appropriativa), e a maggior ragione, nelle fattispecie in cui difettasse la dichiarazione di pubblica utilità (occupazione c.d. usurpativa). Per tali comportamenti, in quanto incidenti su posizioni di diritto soggettivo, sembrava doversi ritenere sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, posto che principio fondamentale, nel nostro ordinamento, ribadito dalla sentenza n. 204 del 2004, è quello secondo cui, salvi i casi espressamente previsti da specifiche disposizioni di legge, la tutela dei diritti soggettivi viene esercitata davanti al giudice ordinario. In dette ipotesi non si sarebbe potuta, invero, ravvisare neppure la giurisdizione generale di legittimità dello stesso giudice amministrativo, in quanto nell’illecito che si sostanzia attraverso l’irreversibile trasformazione del fondo - si tratti di occupazione usurpativa o di occupazione appropriativa - non sono configurabili situazioni giuridiche aventi consistenza di interesse legittimo, bensì solo situazioni di diritto soggettivo 49 . Ove la Corte Costituzionale avesse semplicemente avvalorato le interpretazioni dell’art. 34 in discorso, fino a quel momento operate dalla Corte di cassazione e dal Consiglio di Stato, nel senso dell’attribuzione alla giurisdizione esclusiva, nell’ambito dei comportamenti in materia urbanistica, della sola occupazione appropriativa, la decisione avrebbe dovuto conformarsi come una statuizione interpretativa di rigetto. L’espulsione dei comportamenti dal testo del citato art. 34 ha determinato una presunzione di esclusione della fattispecie comportamentale dalla giurisdizione esclusiva, superabile solo ove si ravvisino riscontri inequivoci sulla diretta riconducibilità dell’azione fattuale della P.A. all’attuazione di provvedimenti autoritativi: inquadrata in una diversa ottica, la dichiarazione d’incostituzionalità sarebbe intervenuta inutilmente 50 . Sul versante processuale, ove una domanda di restituzione o risarcimento avesse denunciato l’abusività del comportamento amministrativo di occupazione, l’eccezione dell’amministrazione convenuta, per cui quell’attività era autorizzata da un decreto, sarebbe valsa a qualificare la controversia, nella contrapposizione domanda-eccezione, come attinente all’esercizio del potere, ovvero non già ad un comportamento, ma all’attuazione di un determinato provvedimento autoritativo. Non altrettanto si sarebbe potuto affermare con 48 Vedi, più diffusamente, S. BENINI, I comportamenti in materia urbanistica ed edilizia, rel. n. 128 del 24 ottobre 2005 a cura dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo, Corte di Cassazione, in www.cortedicassazione.it. 49 Non sembrava decisiva l’osservazione, per un recupero dell’occupazione appropriativa alla giurisdizione esclusiva, che in tale figura, a differenza della fattispecie usurpativa, vi sarebbe comunque esercizio di potere, per dipanarsi l’azione amministrativa, pur in violazione delle regole del procedimento espropriativo, sotto il baluardo della dichiarazione di pubblica utilità. 50 Cfr. MARZANO L., La Corte costituzionale restituisce i comportamenti di cui all’art. 34 d.lgs. 80/98 al giudice ordinario: in tema di occupazione appropriativa una pronuncia inutiliter data?, Foro amm. - Cds 2004, 2486. 17 riferimento all’ipotesi in cui, pur competendo il potere alla P.A., esso non fosse stato riscontrabile nella specifica condotta dell’ente pubblico, per difetto dei presupposti per l’uso del potere medesimo 51 . Nell’ottica della sentenza n. 204 del 2004 non era, dunque, sufficiente che il rapporto traesse origine da un provvedimento, o fosse inquadrabile nell’ambito del procedimento amministrativo, ma era necessario che la controversia investisse lo svolgimento del potere, estrinsecato in atti 52 : nella controversia risarcitoria per il danno derivante dalla perdita della proprietà, la causa petendi si sarebbe dovuta identificare con il fatto illecito immediatamente lesivo del diritto dominicale, per via dell’irreversibile trasformazione del fondo, perpetrata su un bene altrui, perché non espropriato, ed in cui la riconducibilità ad un potere espropriativo in astratto non si poneva in relazione diretta. Se il senso storico della sentenza n. 204 del 2004 è stato quello di un ritorno al passato 53 , almeno nella riaffermazione della centralità della giurisdizione in materia di diritti, non si può non ricordare il costante rifiuto della tesi secondo cui la semplice dichiarazione di pubblica utilità avrebbe determinato l’affievolimento del diritto 54 . Il conflitto fra le opposte interpretazioni sul significato dell’espunzione dei comportamenti dalla formula dell’art. 34 d.lgs. 80 del 1998 si è venuto a riprodurre fedelmente con riguardo alla vicenda dell’occupazione appropriativa, sulla quale, adottando difformi accezioni di comportamento, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 55 e le Sezioni unite della Cassazione, si sono rispettivamente attribuite la giurisdizione 56 . La sentenza n. 204 del 2004 non ha toccato l’art. 53 d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 (t.u. espropriazioni), che riproduce la previsione della giurisdizione esclusiva, già 51 Va tenuto conto che, in linea di principio, il fondamento della giurisdizione esclusiva risiede pur sempre nel collegamento del diritto con l’esplicazione “attuale” di un potere, e non sembra ammissibile un’interpretazione troppo ampia della nuova formula. La dilatazione del concetto di titolarità del potere, idonea ad obliterare la titolarità di diritti soggettivi di cui si lamenti la lesione, finirebbe per teorizzare, quale indice di radicamento della giurisdizione esclusiva, quel riferimento generico al potere, o quell’essere l’amministrazione parte in causa nella controversia, che la sentenza 204 del 2004 non ha ritenuto sufficienti alla creazione di ipotesi di giurisdizione amministrativa sui diritti. 52 Secondo FRANCO I., Alcune postille alla sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, Cons. Stato, 2005, II, 259, si è in presenza di comportamenti ove non si verifichi l’esistenza di provvedimenti (o di atti); diverso problema viene a configurarsi ove siffatti comportamenti esistano, ma debbano ritenersi illegittimi perché affetti da vizi determinanti (solo) l’illegittimità o l’invalidità. 53 Anteriormente al d.lgs. 80/1998, l’azione risarcitoria per occupazione appropriativa era pacificamente attribuita alla giurisdizione ordinaria (v., per tutte, Cass. 2 aprile 2003, n. 5082, Foro it., Rep. 2003, voce Espropriazione per p.i., n.. 362). 54 Cfr. Cass. 24 novembre 1993, n. 11607, Foro it., Rep. 1993, voce Espropriazione per p.i., n. 456. 55 Cons. Stato, ad. plen., 30 agosto 2005, n. 4, in Foro it. 2006, III, 65, e Cons. Stato, ad. plen., 16 novembre 2005, n. 9, in Riv. giur. edil. 2005, 1604 e segg., con nota di DI LEO G., Occupazione usurpativa: questioni di giurisdizione, ove si pone riferimento anche alla sottodistinzione tra “occupazione usurpativa pura” (riconducibile alla mancanza ab origine della dichiarazione di p.u. e “occupazione usurpativa spuria” (ricorrente nel caso di successivo annullamento della dichiarazione di p.u. per vizi di legittimità), utilizzata anche in T.A.R. L’Aquila, 22 marzo 2004, in Foro amm.- T.A.R. 2004, 746. Di contrario avviso erano stati Cons. Stato, sez. IV, 21 gennaio 2005, n. 99, in Giur. it., 2005, 1091; sez. IV, 27 settembre 2004, n. 6329, in Foro it. 2004, III, 541. 56 Affermano la giurisdizione ordinaria - anche a prescindere dalla declaratoria di illegittimità costituzionale parziale dell’art. 34 - in ordine alla domanda di risarcimento del danno per occupazione usurpativa: Cass. 4 febbraio 2005, n. 2198, rv. 578976; 25 maggio 2005, n. 10962, rv. 582277; 30 maggio 2005, n. 11335. Hanno affermato la sussistenza della giurisdizione ordinaria per l’occupazione appropriativa, con espresso riferimento alla dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 34 del d. lgs. n. 80 del 1998, relativamente ai comportamenti, anche le più recenti Cass. 25 maggio 2005, n. 10962, rv. 582277; 20 aprile 2005, n. 8209, rv. 580289; 4 maggio 2006, n. 10222, rv. 589270. 18 trasparente dall’art. 34 d.lgs. 80 del 1998, anche in tema di comportamenti, nelle controversie conseguenti all’applicazione del nuovo T.U. Pur essendo vero che il primo reca in più, rispetto al secondo, la previsione degli “accordi” quale oggetto della controversia in materia urbanistico-edilizia, bisogna però evidenziare che tale categoria era già stata ritenuta implicita tra gli “atti”, nella previsione dell’art. 34 stesso 57 . Si era ritenuto che l’identità del dato letterale e lo stretto collegamento sistematico facessero ricondurre l’art. 53 t.u. all’art. 34 d.lgs. 80/98, per cui si sarebbe dovuto ritenere che anche la prima norma fosse stata travolta dalla declaratoria d’incostituzionalità della seconda, senza bisogno di ulteriore rimessione alla Corte costituzionale 58 . A ciò ostava, però, l’art. 27 L. 11 marzo 1953 n. 87, in base al quale, quando la Corte costituzionale accoglie un’istanza o un ricorso relativo a questioni di legittimità costituzionale di una legge, dichiara altresì quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza della decisione adottata: da ciò si deduce la inconfigurabilità, nel dispositivo della sentenza 204 del 2004, di una declaratoria implicita di illegittimità costituzionale dell’art. 53, e dunque la persistente vigenza di quest’ultima norma 59 . La tesi dell’identità delle due menzionate disposizioni normative non è stata condivisa dalla Corte Costituzionale che, con la richiamata sentenza n. 191 del 2006, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma primo, nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a “i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati”, non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, precisazione, quest’ultima, particolarmente importante in quanto assente nel dispositivo della sentenza n. 204 del 2004. Per il giudice delle leggi, dunque, le materie considerate dall’art. 34 e dall’art. 53 non sono da considerarsi del 57 CARINGELLA - DE MARZO - DELLA VALLE - GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (La materia urbanistica ed edilizia), Milano, 2000, 298. Nello stesso richiamato parere del Consiglio di Stato n. 4/2001 si era affermata la sostanziale identità delle due disposizioni, considerandosi la previsione dell’art. 53, primo comma, non innovativa rispetto all’art. 34 del d. lgs. n. 80 del 1998, essendosi aggiunto solo il richiamo agli accordi, “…sia per evitare i dubbi sorti dall’applicazione dell’art. 11 della L. n. 241 del 1990, sia perché gli accordi di cessione producono effetti equivalenti ai decreti di espropriazione”. Va, però, osservato che tali accordi vanno comunque inquadrati nell’esercizio del potere, come la sentenza 204 del 2004 ha ribadito, osservando che la giurisdizione del giudice amministrativo non è esclusa dalla facoltà, riconosciuta dalla legge all’amministrazione, di “adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo”, e precisando che tale facoltà “presuppone l’esistenza del potere autoritativo”. In tal modo pare definitivamente superato l’orientamento che riconduce gli accordi (in particolare: quelli sostitutivi di provvedimento) allo schema contrattuale privatistico, appalesandosi invece la loro intrinseca natura pubblicistica. 58 V., ad es., T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. I, 29 ottobre 2004, n. 2422, in Foro amm. - Tar, 204, 3174; sostanzialmente in tal senso, CINTIOLI F., op. cit., 1349. 59 Ciò nonostante, considerandosi l’art. 53 riproduzione dell’art. 34, si era opinato che sussistessero tutti gli elementi per configurare l’illegittimità costituzionale della norma del t.u. espropriazioni, per le stesse ragioni per cui la sentenza 204 aveva già caducato la previsione dei comportamenti quale elemento scriminante in materia urbanistica, ai fini del riparto di giurisdizione: v. DE NICTOLIS R. - POLI V., La sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale: le implicazioni in tema di occupazione ed espropriazione, in Cons. Stato, 2005, II, 443; MOSCARINI L.V., “Riassetto costituzionale” del riparto di giurisdizione per materie e pregiudiziale amministrativa, in Giur. cost., 2004, 3340. Ne conseguiva che l’art. 53, comma primo, si sarebbe dovuto considerare come una norma inefficace, con l’effetto che, ove il giudice amministrativo fosse stato adito in relazione a comportamenti in materia espropriativa, avrebbe potuto limitarsi alla disapplicazione della norma. 19 tutto omogenee 60 , donde la necessità dell’espressa dichiarazione di illegittimità costituzionale. In sintesi - come rilevato in dottrina 61 - la Corte Costituzionale, pur richiamandosi alla sentenza n. 204 del 2004, introduce in motivazione alcune puntualizzazioni di rilievo. In primo luogo, viene confermato che la devoluzione al giudice amministrativo delle controversie relative a meri comportamenti, ovvero a condotte del tutto astratte dall’esercizio di un potere, deve qualificarsi illegittima. In seconda battuta il giudice delle leggi identifica come esorbitanti dai limiti costituzionali della giurisdizione esclusiva le vertenze su comportamenti dell’Amministrazione (e dei soggetti alla medesima equiparati) a condizione che essi non siano riconducibili, “nemmeno mediatamente”, all’esercizio di un pubblico potere. Da ciò si desume che l’art. 53, primo comma, in questione è stato dichiarato illegittimo solo per la parte eccedente tale limite. A contrario si ricava che se i comportamenti sono ricollegabili, almeno “mediatamente”, all’esplicazione di una pubblica funzione autoritativa, la previsione della giurisdizione esclusiva in favore del giudice amministrativo non comporta la violazione di principi costituzionali (anzi, in tal caso, secondo la Corte, potrebbe attuarsi un’esigenza di concentrazione dei giudizi - di tipo demolitorio e di carattere risarcitorio - coerente con gli artt. 24 e 111 Cost. 62 ). La sentenza n. 191 del 2006 introduce, così, la differenziazione tra comportamenti non muniti di alcun nesso di collegamento con l’esercizio di un pubblico potere e comportamenti riconducibili “mediatamente” all’esercizio di un siffatto potere. Ai primi, da ritenersi sottratti alla giurisdizione esclusiva, la Corte Costituzionale assimila i comportamenti posti in essere “in carenza di potere” o “in via di mero fatto”; fra i secondi manifesta l’intenzione di voler includere, invece, i comportamenti i cui effetti giuridici sono comunque condizionati da un provvedimento amministrativo, anche se illegittimo 63 . 60 Ancorché l’opinione dominante fosse schierata nel senso che la materia urbanistica ed edilizia conteneva la materia espropriativa, con la conseguenza della scarsa rilevanza di un’ulteriore decisione che dichiarasse esplicitamente l’incostituzionalità del citato art. 53. 61 V. TRAVI A., Principi costituzionali sulla giurisdizione esclusiva ed occupazione senza titolo dell’amministrazione, in Foro it. 2006, I, 1625 e segg., in nota a Corte Cost. 11 maggio 2006, n. 191. 62 A questo approdo, escludente la necessità della risoluzione della c.d. pregiudiziale amministrativa in funzione dell’esercitabilità dell’azione risarcitoria nei riguardi della P.A., è giunta recentemente anche la Corte di cassazione, con le ordinanze del 2006 delle Sezioni unite nn. 13659 (in Guida al dir. 2006, n. 28, 48 e segg., con nota di CARUSO G.; in Resp. civ. e prev. 2006, 1259 e segg.; in Resp. civ. 2006, 988 e segg., con nota di FERRI A.; in Urb. e app. 2006, 1175 e segg., con nota di LAMORGESE A.), 13660 (Nuovo dir. 2006, II, 641, con nota di ZAVAGLIA D., e in Giust. civ. 2006, I, 2000 e segg.) e 13911 (in Riv. giur. edil. 2006, I, 880 e segg., con note di SANDULLI M.A. e MARI G.). Anticipazioni in tal senso erano contenute in Cass. 9 marzo 2005, n. 5078, in Corr. giur. 2005, 627, in tema di azione risarcitoria per la lesione di interessi pretensivi, ed in Cass. 24 febbraio 2005, n. 3822, in Foro it. 2006, I, 1054, con nota di SCODITTI E., in tema di azione di danni, successiva all’annullamento giurisdizionale di autorizzazione alla rivendita di giornali. L’azione risarcitoria autonoma (ed a scelta del danneggiato) era stata, invece, ammessa da Cass. 23 gennaio 2006, n. 1207, in Corr. merito, 2006, 403, con nota di MADDALENA M.L. e da Cass. 25 gennaio 2006, n. 1373, in Foro it. 2006, I, 1053. Sulle complessive problematiche indotte dalle richiamate pronunce delle Sezioni unite v., in dottrina, anche PICOZZA E. e CARCIONE M.G., Potere amministrativo e responsabilità civile, in Corr. giur. 2007, 113-130; CARPENTIERI P., Il nuovo riparto della giurisdizione, in Foro amm.-T.A.R. 2006, 2778-2782; PARTISANI P., L’abrogazione della pregiudiziale amministrativa nella responsabilità civile della p.a., in La Resp. civ., n. 2, 163-170, nonché TARANTINO L., La pregiudiziale amministrativa alla ricerca di un’improbabile legittimazione sistematica, in Giur. mer. 2007, 205-215 (in nota a T.A.R. Puglia - sez. Lecce, 4 luglio 2006, n. 3710). 63 La Corte Costituzionale conclude, perciò, affermando che la previsione dell’art. 53, comma primo, T.U. espropriazioni, è costituzionalmente illegittima là dove la locuzione, prescindendo da ogni qualificazione di tali “comportamenti”, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie nelle quali sia 20 Trasferendo l’enunciazione teorica sul piano applicativo, non può non inferirsene che, con riferimento alle occupazioni sine titulo, lo sbarramento alla giurisdizione esclusiva si ponga per le sole occupazioni usurpative laddove le occupazioni appropriative restano definitivamente sottratte al giudice ordinario titolare di una giurisdizione meramente residuale. Si profila evidente, nel percorso argomentativo della Corte costituzionale, che le fattispecie di occupazione appropriativa siano da attribuire alla giurisdizione del giudice amministrativo, perché il comportamento causativo di danno ingiusto (la realizzazione dell’opera) costituisce esecuzione di provvedimento amministrativo (la dichiarazione di pubblica utilità), ed è quindi riconducibile all’esercizio, ancorché illegittimo, del potere pubblico; e dove, per converso, ritiene costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di comportamenti posti in essere in carenza di potere, o in via di mero fatto, la Consulta pone chiaramente riferimento all’occupazione usurpativa. In altri termini la Corte Costituzionale sembra voler porre termine al dibattito dottrinale sorto in seguito alla sentenza 204 del 2004 e risolvere d’autorità l’aperto contrasto tra i due comparti giurisdizionali: il riferimento ai comportamenti come il veicolo attraverso il quale il legislatore aveva esteso la giurisdizione esclusiva “a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita - nemmeno mediatamente e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici - alcun pubblico potere” che, nella sentenza n. 204 del 2004, era stato un passaggio esplicativo (risultante dalla motivazione) della incostituzionalità della devoluzione al giudice amministrativo di interi blocchi di materie, assurge, nella pronuncia del maggio 2006, a linea di demarcazione (esplicitata in dispositivo), peraltro sottile ed incerta per espressa ammissione della stessa Corte, tra una sempre più corposa giurisdizione amministrativa ed una residuale ed impoverita giurisdizione ordinaria 64 . Mentre nella sentenza n. 204/2004 il comportamento, alla luce della lapidarietà del dispositivo ma anche del percorso motivazionale, costituiva una figura sintomatica della carenza di potere, nella sentenza n. 191/2006 il comportamento assurge alla dignità di espressione tipizzata dell’esercizio del potere, ancorché illegittimo, con l’unica marginale esclusione dei comportamenti posti in essere in “carenza di potere” o “in via di mero fatto” 65 . In quest’ultimo caso scatta la giurisdizione del giudice parte - e per ciò solo che essa è parte - la pubblica amministrazione, e cioè fa del giudice amministrativo il giudice dell’amministrazione piuttosto che l’organo di garanzia della giustizia nell’amministrazione (art. 100 Cost.). Viceversa, nelle ipotesi in cui i “comportamenti” causativi di danno ingiusto - e cioè, nella specie, la realizzazione dell’opera - costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere dell’amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali comportamenti esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione. 64 Anche il TRAVI, op. ult. cit., si schiera in tale direzione sostenendo che, con riferimento alle occupazioni senza titolo, nella logica seguita dalla Consulta, la linea di confine sembra identificabile nella distinzione tra occupazione appropriativa (o acquisitiva) e occupazione usurpativa. Tuttavia, lo stesso autore pone in luce come la stessa Corte Costituzionale non prende espressione posizione sul punto (e quindi sulle questioni di riparto di giurisdizione in materia oggetto del contrasto fra la Corte di cassazione e il Consiglio di Stato) e quando tratta delle due tipologie di occupazione senza titolo rileva che la loro differenza non è sempre pacifica: sono menzionate, come di incerta collocazione, le occupazioni nel caso di annullamento della dichiarazione di p.u. che abbia perso successivamente efficacia, per la decorrenza dei termini finali in assenza di decreto di esproprio. 65 Peraltro già nella sent. n. 9 del 2005 dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato si poneva riferimento, quali comportamenti da escludere dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, quelli riconducibili alle mere 21 ordinario poiché la richiesta del privato non impinge su scelte o atti autoritativi della P.A. ma su mere attività di fatto della stessa. E, così, in relazione a tali principi, la più recente giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di statuire che “ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo rilevano due momenti e, in particolare, la situazione soggettiva del cittadino considerata nel suo aspetto statico e gli effetti che l’ordinamento ricollega all’azione amministrativa una volta che questa sia stata esercitata. La tutela giurisdizionale contro l’agire illegittimo della P.A. spetta al giudice ordinario, quante volte il diritto del privato non sopporti compressione per effetto di un potere esercitato in modo illegittimo o, se lo sopporti, quante volte l’azione della P.A. non trovi rispondenza in un precedente esercizio del potere, che sia riconoscibile come tale, perché a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto” 66 . Alla stregua di questo criterio dirimente, perciò, nel settore delle occupazioni illegittime si prospettano chiaramente ascrivibili alla giurisdizione ordinaria le forme di occupazione “usurpativa” caratterizzate dal fatto che la trasformazione irreversibile del fondo si produce in una situazione in cui una dichiarazione di pubblica utilità manca affatto; alla stessa conclusione si deve pervenire nel caso in cui il decreto di espropriazione è pur stato emesso e però in relazione ad un bene, la cui destinazione ad opera di pubblica utilità non può dirsi che sia mai avvenuta giuridicamente o si debba considerare ormai venuta meno, per mancanza iniziale o sopravvenuta scadenza del suo termine di efficacia 67 . Diversamente, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, come delimitata nelle sentenze della Corte Cost. n. 204 del 2004 e 191 del 2006, sussiste nei casi in cui la domanda investe scelte ed atti amministrativi del soggetto pubblico collegati ad un concreto esercizio del potere amministrativo 68 . attività materiali o voi de fait, quali manifestazioni abnormi del pubblico potere. Il DI LEO, in nota cit. a questa decisione, concludeva - già nel quadro normativo venutosi a determinare dopo la sentenza n. 204 del 2004 ma prima della n. 191 del 2006 - come, in queste ipotesi, da identificarsi essenzialmente con i casi di comportamenti implicanti la configurazione di un’occupazione usurpativa pura, non era in alcun modo possibile trovare appigli o legami con la spendita di potere autoritativo, trattandosi palesemente di mero atto illecito, come tale soggetto alla normale responsabilità aquiliana (e, in generale, alle regole del diritto civile), che doveva essere conosciuta dal giudice ordinario. 66 Cfr. Cass., SS.UU., ord. 15 giugno 2006, n. 13911, cit. 67 V. sempre la cit. Cass., SS.UU., n. 13911/2006. Da ultimo cfr. Cass., SS.UU., ord. 7 febbraio 2007, n. 2688, con cui è stata ravvisata la sussistenza della giurisdizione ordinaria con riferimento al caso nel quale il provvedimento contenente la dichiarazione di p.u. era privo del termine iniziale di espropriazione, con la conseguenza che tale carenza viziava in radice la stessa dichiarazione di p.u., la quale, comportandone l’originaria invalidità, si traduceva in giuridica inesistenza per difetto di un suo essenziale carattere tipico. In altri termini, l’occupazione del bene nella fattispecie oggetto di quest’ultima sentenza non era collegabile ad un provvedimento emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali della P.A., ma si concretava in una mera attività materiale, con l’effetto che tale occupazione non poteva ricondursi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, così come prevista dall’art. 103 Cost. 68 Per cui va proposta dinanzi al giudice ordinario la domanda di risarcimento dei danni patiti dal privato per inosservanza da parte della P.A., nella sistemazione e manutenzione di strade o suoli pubblici, delle regole tecniche o anche dei comuni principi di diligenza e prudenza: cfr. Cass., SS.UU., sentenza 20 ottobre 2006, n. 22521, in Urb. e app. 2007, 49 e segg., con nota di MEALE A., sulla scorta della non ravvisabilità, nella fattispecie, di un comportamento del soggetto pubblico collegato all’esercizio di un potere autoritativo, bensì di un fatto omissivo incidente negativamente su di una situazione di diritto soggettivo, senza l’insorgenza di alcun “contatto” procedimentale nell’ambito di un rapporto amministrativo. Anche le pronunce ancor più recenti hanno evidenziato che “nel contesto ermeneutico delle sentenze della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, dichiarative della illegittimità costituzionale di nuove ipotesi legislative di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia urbanistico-edilizia ed espropriativa, se estese a comportamenti non riconducibili nemmeno mediatamente all’esercizio di un pubblico potere, devono ascriversi a tale giurisdizione le controversie in 22 In definitiva, in termini essenziali, avuto riguardo al particolare settore delle occupazioni illegittime così come ridisegnato dalle due fondamentali sentenze esaminate della Corte Costituzionale, la più recente giurisprudenza delle Sezioni unite 69 ha riconosciuto la giurisdizione del giudice amministrativo, anzitutto, in presenza di un concreto esercizio del potere, individuabile come tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano; e, perciò, nella situazione affrontata con la sentenza n. 191 del 2006 della Corte Costituzionale, nell’ipotesi in cui l’esercizio del potere si è venuto a manifestare con l’adozione della dichiarazione di p.u. pur se l’ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione siano avvenute senza alcun titolo che le consentiva, ovvero nonostante detto titolo (come, ad es., il decreto di espropriazione) sia stato annullato dalla stessa P.A. in sede di autotutela o per intervento del giudice amministrativo. Peraltro la giurisdizione amministrativa sussiste - secondo la più recente evoluzione giurisprudenziale della Corte di legittimità - anche nel caso (pure ritenuto conforme alla Costituzione dal Giudice delle leggi) in cui la dichiarazione di p.u. sia stata emessa e, poi, successivamente annullata in sede amministrativa o giurisdizionale perché, anche in questa eventualità, ci si trova in presenza di un concreto riconoscibile atto di esercizio del potere, pur se lo stesso si sia rivelato posteriormente come illegittimo e per effetto dell’annullamento abbia cessato retroattivamente di esplicare la sua efficacia; invero, ancorché la lesione del diritto soggettivo di proprietà risulti rapportabile ad un comportamento materiale della P.A., tuttavia il medesimo appare riconducibile all’avvenuta adozione ed esecuzione della dichiarazione di p.u. e divenuto tale in seguito al provvedimento che ne ha prodotto la caducazione. Conseguentemente, in entrambi i casi, spetta al giudice amministrativo disporre le diverse forme di tutela che l’ordinamento appresta per le situazioni soggettive sacrificate dall’esercizio illegittimo del potere ablativo, e tra queste forme di tutela si include anche quella risarcitoria, in forma specifica o per equivalente, la quale, per il disposto dell’art. 35 d.lgs. n. 80/1998, non può più essere oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della determinazione della giurisdizione. Allo stesso giudice amministrativo, dunque, può essere domandata solo la tutela risarcitoria, senza dover rispettare il termine di decadenza pertinente all’azione di annullamento e, a maggior ragione, potrà essere chiesta la tutela demolitoria e, insieme o successivamente, la tutela risarcitoria c.d. completiva, senza che rilevi a nulla in quest’ultimo caso la scelta di un momento postumo per proporre la domanda di risarcimento del danno, poiché dal contesto complessivo e combinato degli artt. 34 e 35 del d.lgs. n. 80/1998 non risulta imposta una situazione di contestualità fra sindacato di legittimità e cognizione tema di risarcimento del danno da comportamenti causativi di danno ingiusto, che, pur se illegittimi, costituiscano esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi e che, quindi, siano riconducibili all’esercizio del potere della P.A.: v. Cass., SS.UU., ordinanze nn. 27190, 27191 e 27193 del 2006 (rispettivamente rv. 593461, rv. 593462 e 593464). In tal senso, ancora più recentemente, cfr. le ordinanze di Cass., SS.UU., nn. 2689, 2690, 2691 e 3185 del 2007. 69 Cfr., in motivazione, tra le più recenti, la cit. Cass. n. 3185 del 2007. 23 degli effetti di carattere patrimoniale per la devoluzione della controversia al giudice amministrativo 70 . Ad avviso della stessa giurisprudenza attuale della Corte di cassazione la giurisdizione - di tipo essenzialmente residuale - del giudice ordinario è, per converso, invocabile solo quando i comportamenti materiali della P.A., implicanti immissione in possesso del fondo privato, la sua mera detenzione o la sua irreversibile trasformazione, si siano prodotti in carenza di qualsiasi dichiarazione di p.u., ovvero quando il decreto di espropriazione (o altro provvedimento ablatorio) sia stato adottato con riferimento ad un bene la cui destinazione ad un’opera di pubblica utilità non abbia avuto mai luogo (casi rientranti nella categoria delle cc.dd. occupazioni usurpative pure) 71 . 7.- L’art. 43 del T.U. n. 327/2001: la natura e i presupposti dell’istituto dell’utilizzazione senza titolo. In un’ottica di riassetto ordinamentale tenuto presente dal legislatore a fronte del variegato quadro normativo preesistente e dei risultati applicativi giurisprudenziali, a dir poco complessi, conseguiti anche successivamente al duplice rilevante intervento indotto dalle due analizzate sentenze nn. 204/2004 e 191/2006 della Corte Costituzionale, l’istituto della “utilizzazione senza titolo per scopi di interesse pubblico” introdotto dall’art. 43 del T.U. n. 327 del 2001 è stato, in linea principale, previsto con l’evidente intento pratico di ovviare alle innumerevoli ablazioni dei beni privati avvenute in violazione delle regole del procedimento espropriativo e nell’auspicata osservanza del principio - fermamente asserito dalla Corte di Strasburgo nelle richiamate pronunce - secondo cui “l’ingerenza di una pubblica autorità nell’esercizio del diritto al rispetto dei beni deve essere legale” e di quello in base al quale “l’interferenza delle autorità nel diritto al rispetto dei beni deve assicurare un equo bilanciamento tra le esigenze dell’interesse generale della collettività e quelle della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo” 72 . Si profila subito importante chiarire che il menzionato art. 43 non è rimasto coinvolto dagli effetti della sentenza n. 191/2006 della Corte Costituzionale, il cui dispositivo incide direttamente soltanto sull’art. 53, comma primo, dello stesso T.U. Del resto, dalla stessa motivazione di questa sentenza emerge che la questione di legittimità sottoposta al vaglio del giudice delle leggi concerneva il suddetto primo comma dell’art. 53 esclusivamente nella sua valenza di norma attributiva della giurisdizione al giudice amministrativo, senza che pertanto potesse rimanerne coinvolta la stessa norma nella parte in cui - essendo applicabile l’art. 43 citato 70 E perché, in caso contrario, sarebbe rimessa al ricorrente la scelta del giudice munito della competenza giurisdizionale proponendo insieme o distintamente le due domande, pur non mutando i presupposti di fatto e di diritto sui quali si fondano. 71 Diversamente, in applicazione delle considerazioni compiute, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo con riguardo ai comportamenti causativi di danno ingiusto (e cioè le occupazioni ed utilizzazioni dei loro terreni ), pur se rientranti fra le condotte, in senso lato, c.d. usurpative, che costituiscono comunque esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi e che sono, perciò, riconducibili all’esercizio del potere ablativo della P.A., pur se viziato da illegittimità che ne abbia comportato l’annullamento da parte del giudice amministrativo. 72 Le espressioni virgolettate si riferiscono al passaggio principale delle due più volte citate decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 30 maggio 2000. 24 presupponeva la possibilità che fosse sindacato dal giudice amministrativo l’esercizio, da parte della P.A., del potere di acquisire al suo patrimonio indisponibile l’immobile modificato. Nella sua portata essenziale l’art. 43 in discorso prevede che la P.A. possa adottare un “atto di acquisizione” 73 allo scopo di farla divenire titolare di un immobile da essa utilizzato per fini di interesse pubblico e modificato in assenza “del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità”. Inoltre, avuto riguardo alle disposizioni processuali specificamente contenute nei commi terzo e quarto, risulta stabilito che, nel giudizio su un atto espropriativo o su “un atto di acquisizione” ovvero involgente l’esercizio di un’azione diretta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, la P.A. possa “chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna 74 al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene” 75 . Così come strutturato e concepito dal legislatore del 2001 l’istituto contemplato dall’art. 43 in esame, ancorché ispirato dalla necessità di superare le richiamate critiche formulate dalla Corte di Strasburgo, ha destato fin dall’inizio serie perplessità sul piano della garanzia dell’effettività della tutela sostanziale del diritto di proprietà previsto dall’art. 42 Cost. Si è detto che, con tale rimedio provvedimentale postumo, si perviene al risultato di una sorta di “legalizzazione dell’illegale” 76 , atteso che predisporre una regolamentazione scritta per l’appropriazione indebita dei suoli privati non sembra scriminare la condotta della PA. alla stregua del precetto costituzionale di buon andamento ed imparzialità. Sotto il profilo sostanziale, con l’operatività di tale istituto, è venuto a tramontare anche il principio consolidatosi in giurisprudenza riconducibile alla irrinunciabilità della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera come indefettibile punto di partenza ed ineludibile punto di arrivo della realizzazione dell’opera medesima, perché ciò che viene a rilevare, nell’ottica fatta propria dalla disposizione in questione, è una valutazione a posteriori sull’opportunità di utilizzo e di conseguente acquisizione dei suoli 77 . 73 Assimilabile fondamentalmente ad una sorta di decreto di espropriazione tardivo sanante. Disposizione questa che introduce nel sistema la legittimità di una domanda di “autocondanna” da parte della P.A. che postula l’effettiva utilizzazione per scopi di interesse pubblico dell’immobile dedotto in controversia e, quindi, la prevalenza dello stesso interesse pubblico rispetto a quello dedotto dal ricorrente privato proprietario. 75 La dottrina più recente (v. MEA R., Utilizzazione di un bene in assenza di un valido provvedimento ablatorio: nuove frontiere per il giudice amministrativo, in Giur. mer. 2006, 2566-2573, spec. 2571) evidenzia che, in ogni caso, l’art. 43 in discorso (così come l’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, novellata nel 2005) non legittima una sanatoria ope iudicis, essendo necessaria l’esplicazione di un’attività amministrativa provvedimentale, per cui tale norma sembra attribuire al giudice, dietro opportuna attività della P.A., il potere di disporre una sanatoria in jure e non ope iudicis, configurando, quindi, una “convalida post litem contestatam”. 76 V. BENINI S., L’occupazione appropriativa è proprio da epurare?, cit., 2597. 77 In dottrina (v. GOGGIAMANI F., Limiti scritti e non scritti all’art. 43 del Testo unico 327 del 2001, in Foro amm. - T.A.R. 2005, 1679-1681, in nota a T.A.R. Puglia - sez. Lecce, 10 giugno 2005) si è asserito che nella “originalità” del potere sanante l’elemento cardine della fattispecie non è, quindi, altro che il pubblico interesse che deve essere tanto lo scopo per cui il bene è utilizzato quanto l’elemento prevalente nel giudizio di bilanciamento, sottolineandosi come la duplice valenza dell’interesse pubblico è, però, più letterale che sostanziale, essendo difficile ipotizzare che, ove sia riscontrabile l’asservimento dell’immobile alla pubblica utilità, ve ne sia uno privato in grado di prevalere. 74 25 Così inquadrato lo strumento ricollegabile alla nuova figura di espropriazione provvedimentale risultante dal citato art. 43, larghi settori della dottrina 78 hanno espresso molti dubbi anche sulla compatibilità della “utilizzazione senza titolo” con il principio di legalità sostanziale, dal momento che il potere sanante previsto da tale norma esautora il significato dei doveri, obblighi e limiti che scandiscono il procedimento espropriativo, nel senso che il legislatore prima li impone a garanzia degli interessi coinvolti, legittimando, poi, il raggiungimento del risultato ablatorio anche in ipotesi del loro mancato rispetto, ove il privato non si sia dimostrato più celere nel reagire all’occupazione illegittima del bene di quanto non si sia manifestata avanzata la progressione dello stato dei lavori inerenti l’opera pubblica 79 . Malgrado i molteplici rilievi mossi (sui quali si ritornerà anche in seguito), l’emanazione del provvedimento di acquisizione ex art. 43 si profila come l’unico rimedio effettivo 80 , in caso di illegittimità della procedura espropriativa e di realizzazione dell’opera pubblica, riconosciuto in favore della P.A. per evitare la restituzione dell’area al privato, poiché, in difetto della sua emanazione, la stessa P.A. non può addurre l’intervenuta esecuzione dell’opera di pubblica utilità come causa di impossibilità oggettiva e, quindi, quale impedimento alla restituzione. La norma in questione, oltretutto, conforma il potere di acquisizione in esame con caratteristiche tali da consentire alla P.A. di ricorrervi agevolmente, permettendole, quando essa abbia travalicato le relative condizioni legittimanti, di impedire la restituzione del bene rivolgendo - come già accennato - apposita domanda al giudice adito per l’annullamento o la restituzione, ai sensi del comma terzo della medesima disposizione normativa. Da un punto di vista generale, si osserva che l’art. 43 T.U. n. 327/2001 subordina l’“utilizzazione senza titolo” alla sussistenza del duplice presupposto della modificazione dell’immobile da parte della P.A., pur nella violazione delle regole del procedimento espropriativo, e dell’uso del bene per scopi di pubblico interesse. Innanzitutto, dai primi orientamenti teorici sviluppatisi sull’istituto è stato rilevato che il concetto di “modifica” implica la perpetrazione di un impatto sul bene certamente minore di quello ravvisabile con la irreversibile trasformazione richiesta dalla giurisprudenza consolidatasi prima dell’approvazione del T.U. in questione. Malgrado quest’ultima avesse, nel suo percorso evolutivo, aderito ad 78 Cfr., tra gli altri, CARINGELLA F., Diritto amministrativo, Milano, 2003, II, 235 e segg.; CONTI R., Utilizzazione senza titolo per scopi di pubblico interesse, in L’espropriazione per pubblica utilità nel nuovo testo unico, a cura di CARINGELLA-DE MARZO, Milano, 2002, 551 e segg.; difende, al contrario, l’istituto in questione, affermando che esso “attua il principio di legalità formale e rafforza sul piano procedimentale e sostanziale la posizione del privato”, MARUOTTI L., Commento all’art. 43, in L’espropriazione per pubblica utilità. Commento al testo unico emanato con d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, come modificato dal d. lgs. 302/2002, cit., 576 e segg. 79 GOGGIAMANI F., op. ult. cit., 1680-1681, aggiunge che le perplessità rispetto alla previsione dell’acquisizione implicante la sanatoria delle violazioni del procedimento espropriativo aumentano sottolineandosi, da un lato, che essa consente di derogare a vincoli sostanziali ed a quelli formali di significato rilevante del “giusto procedimento espropriativo” e, dall’altro, che permette di regolarizzare la fattispecie ablatoria senza che vi sia, come nei provvedimenti di secondo grado di riforma, l’eliminazione dell’illegittimità, in via integrativa o sostitutiva. 80 In quanto la perdita della proprietà da parte del privato e l’acquisto in capo alla P.A. possono conseguire solo all’emanazione di un provvedimento formale. 26 un’interpretazione più ampia e relativa del concetto di trasformazione irreversibile 81 , si prospetta evidente che il concetto di modifica utilizzato dalla norma in discorso ha comportato un arretramento della soglia relativa all’individuazione del mutamento necessario per la formazione della fattispecie complessa dell’occupazione, ponendo riferimento alla sufficienza di uno stadio dei lavori antecedente a quello in cui l’opera possa considerarsi già riconoscibile o, comunque, in grado di imprimere al bene nuova consistenza giuridica 82 . Pertanto, nonostante la formula legislativa si atteggi in modo piuttosto ambiguo o, in ogni caso, insufficientemente determinato, sembra che la stessa sia idonea a comportare l’attrazione nella sua previsione delle ipotesi in cui la realizzazione dell’opera comporti non la stabile ed inscindibile incorporazione del suolo occupato al manufatto, bensì un asservimento di fatto del fondo con limitazione della facoltà di godimento da parte del proprietario 83 . Quanto al requisito insito nella necessità dell’utilizzazione da parte della P.A. di quanto occupato “per scopi di interesse pubblico”, si afferma che lo stesso si risolve quasi in una tautologia 84 , poiché risulterebbe difficile ravvisare l’ipotesi in cui la P.A. non possa giustificare il suo operato, in via diretta od indiretta, con la finalità del raggiungimento di un pubblico scopo, considerato che, così come è configurata, la norma non sembra pretendere che il fine pubblico si ponga in rapporto immediato con il prodotto della modifica, al contrario di quanto non accade per l’occupazione appropriativa, in cui la dichiarazione di pubblica utilità imprime una connessione diretta tra scopo e bene trasformato. Un’ulteriore importante condizione evincibile dal testo del citato art. 43 alla quale è subordinato l’esercizio del potere acquisitivo sanante è rappresentata dalla necessaria - ancorché destinata a risolversi su un piano squisitamente formale - comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato configgente. Il riferimento contenuto nell’incipit del primo comma della norma (“Valutati gli interessi in conflitto...”) lascia trasparire la chiara natura discrezionale del provvedimento in esame e l’indispensabilità 81 Ritenendola ricorrente non nei casi di manipolazione perpetua ed ineliminabile, bensì nella semplice impossibilità del ripristino dello stato originario senza nuovi interventi eversivi dell’attuale fisionomia del bene ove l’opera pubblica presentasse i suoi connotati ormai definitivi e le caratteristiche previste: cfr., ad es., tra le più recenti, Cass., sez. I, 28 giugno 2002, n. 9507, in Riv. giur. edil. 2002, 1131. 82 La modifica risultante dal primo comma dell’art. 43 T.U. n. 327/2001 si sofferma, invero, sullo stato del bene e non sulla condizione e sugli effetti di quanto su questo realizzato; secondo parte della giurisprudenza amministrativa (v. T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, 12 febbraio 2006, n. 322, in Giur. mer. 2006, 1005 e segg.) ai fini del concetto di modifica in questione sarebbe necessario considerare lo stato avanzato dei lavori di realizzazione dell’opera e la competenza per l’emanazione dell’atto di acquisizione ex art. 43 spetta al consiglio comunale ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. l) del d.lgs. n. 267/2000. Determinati orientamenti dottrinali (v., ad es., RAIMONDI S., Dall’occupazione senza titolo alla nuova ”occupazione provvedimentale” del T.U. n. 327 del 2001, in Foro amm.T.A.R. 2004, 998-1007, spec. 1000) ha paventato il rischio che venga ampliato oltre misura l’effetto compressivo del diritto di proprietà, facendo sì che questo diventi conseguenza automatica anche di trascurabili modificazioni dei beni immobili; in questo modo, viene meno l’unico punto di riferimento certo per il privato costituito dal momento della trasformazione irreversibile, nel quale si consumava il trasferimento della proprietà a favore dell’Amministrazione. 83 V., in questi termini, ANDREIS M., op. cit., 319. Per quanto attiene all’ambito soggettivo dell’art 43, quest’ultimo autore sottolinea che la previsione ricavabile dal quinto comma della stessa norma induce a ritenere che soggetto attivo dell’utilizzazione senza titolo possa essere sia una P.A., sia un privato nell’ambito dell’utilizzazione per finalità residenziale, pubblica, agevolata e convenzionata; del resto, l’art. 43 fa propria l’estensione della disciplina dell’occupazione appropriativa già prevista dall’art. 3 della L. n. 458 del 1988 ed, infatti, tale disposizione risulta espressamente abrogata dal T.U. n. 327/2001. 84 Cfr. GOGGIAMANI F., op. ult. cit., 1678. 27 dell’adozione di una ineludibile motivazione adeguata in proposito dalla quale emerga la valutazione dell’operato bilanciamento tra gli interessi, così come, del resto, si desume inequivocabilmente dal testo della lett. b) del secondo comma della stessa norma, laddove impone che il provvedimento dia atto delle circostanze che hanno condotto l’Amministrazione alla indebita utilizzazione dell’area, indicando, ove risulti, la data dalla quale essa si è verificata 85 . 8.- La specifica disciplina positiva dello stesso art. 43 e distinzione tra l’atto di acquisizione previsto dai commi 1° e 2° e quello contemplato dai successivi commi 3° e 4°: aspetti funzionali, limiti inesplicati e spunti critici. Come rilevato, dunque, l’istituto di cui all’art. 43 in commento 86 , prefigurante un nuovo modo di ablazione della proprietà privata (che dovrebbe conformarsi come un rimedio di natura residuale), è ricondotto, nell’ipotesi di cui ai primi due commi, all’emanazione di un atto di acquisizione al patrimonio indisponibile del bene immobile utilizzato per scopi di interesse pubblico e modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità e, sotto questo profilo, la disposizione in questione si configura in termini di norma “sostanziale” 87 . Diversamente le disposizioni trasparenti dai commi terzo e quarto dello stesso art. 43 individuano un istituto prettamente processuale allorquando consentono alla P.A., che ne ha interesse o a chi utilizza il bene, di chiedere al giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, che disponga la condanna al risarcimento del danno a carico della P.A., con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo. Integrando l’analisi dei presupposti strettamente attinenti all’adottabilità, sul piano sostanziale, del provvedimento di acquisizione sanante è importante sottolineare che il primo comma dell’art. 43 impone - al di là della necessaria valutazione degli interessi in conflitto e della verificatasi (scontata) utilizzazione del bene immobile per imprescindibili scopi di interesse pubblico - che la “modifica” del bene immobile 85 Del resto anche l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella richiamata sentenza n. 2 del 2005, ha posto l’accento sulla necessità dell’esaustività della motivazione del provvedimento e dell’accurato controllo da parte del giudice amministrativo giustificando tale esigenza con l’eccezionalità del ricorso ad un potere “sanante” delle illegittimità della procedura espropriativa che, per la sua natura, non può risolversi in una mera alternativa alla procedura ordinaria. La dottrina più incisiva (v. GOGGIAMANI F., op. ult. cit., 1679) ha rilevato, al riguardo, che l’eccezionalità della previsione correlata a questo istituto è sinonimo di una sua esegesi restrittiva, con la conseguenza che il potere residuale di acquisizione deve essere strettamente e rigidamente interpretato innanzitutto nei suoi presupposti e nel suo ambito applicativo e, oltretutto, nel senso di un rigoroso approccio ermeneutico depongono la necessità di rispettare l’art. 42 Cost. (per l’esternazione di un possibile sospetto di illegittimità costituzionale dell’art. 43 al riguardo v. CARBONE V., Epicedio per il “fatto illecito” da occupazione appropriativa?, cit., 93 e segg.), nonché i principi di legalità sostanziale e di doverosità che informano il diritto amministrativo. 86 Che ha determinato il definitivo passaggio da un’espropriazione sostanziale, fondata sul solo fatto compiuto, ad un’espropriazione provvedimentale, così provocando la fine dell’epoca in cui l’occupazione acquisitiva costituiva lo strumento più utilizzato per realizzare espropri in tempi assai veloci sacrificando qualsiasi garanzia di legalità. 87 È in questo senso che sembra doversi intendere come la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 191/2006, abbia contrapposto la qualificazione di norma “processuale” dell’art. 53 T.U. n. 327/2001 alla valutazione dell’art. 43 medesimo T.U. come norma “sostanziale”: cfr. DE MARZO G., Occupazioni illegittime e giurisdizione: le incertezze della Consulta, in Foro it. 2006, I, 1629-1631, spec. 1630. 28 inciso dall’intervento finalizzato alla realizzazione dell’opera di pubblica utilità sia avvenuta “in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità” 88 . Con riferimento a quest’ultima condizione la dottrina prevalente ritiene che l’esame letterale della disposizione sembra autorizzare l’esercizio del potere in sanatoria tanto nella fattispecie dell’occupazione appropriativa, quanto in quella dell’occupazione usurpativa e, di questa, sia nell’ipotesi c.d. “pura”, in cui la dichiarazione di pubblica utilità non vi è mai stata o sia nulla, sia nell’ipotesi c.d. “spuria” in cui tale provvedimento sia stato annullato 89 . Affrontando l’esame del comma secondo dell’art. 43, si rileva che la precisazione contenuta nella lett. a) di tale comma (ove si afferma che l’atto di acquisizione “può essere emanato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio”) si prospetta comunque riconducibile all’ambito della richiamata ipotesi già prevista nel primo comma, poiché un valido provvedimento può mancare in quanto quello originariamente adottato: - sia illegittimo e sia stato oggetto di doverosa attività di autotutela; - sia illegittimo e sia stato annullato dal giudice amministrativo o, in ipotesi, disapplicato in via principale dal giudice ordinario 90 . Oltre all’elemento fondamentale della congruità della necessaria motivazione (che attesti la compiuta comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato, anche in applicazione della regola generale implicata dall’obbligo scaturente dall’art. 3 della L. n. 241 del 1990), l’atto di acquisizione in discorso deve fondarsi anche su idonei presupposti di fatto (pur essi da manifestare, in modo trasparente, nello stesso provvedimento), che si identificano essenzialmente con le circostanze conducenti alla indebita utilizzazione dell’area preordinata, in ogni caso, al soddisfacimento di un interesse pubblico specifico (appunto coincidente con l’esecuzione di un intervento modificativo per scopo di pubblica utilità). Ulteriore elemento indefettibile del 88 In altri termini, l’art. 43 in questione richiede un’attuale “utilizzazione” e “modifica” “senza titolo” del bene da parte della P.A. Pertanto, si sostiene che perno del sistema dell’acquisizione della proprietà privata da parte della P.A. non è più, come per il passato, la pubblica utilità dichiarata, ma la pubblica utilità tout court, nel senso che soltanto l’assenza, radicale ed oggettiva, di una ragione di pubblica utilità, non la mancanza o l’invalidità del provvedimento che la dichiara, può condurre alla impossibilità per la P.A. di apprendere beni privati: cfr. SATURNO A., sub art. 43 T.U. 327/01, in op. cit., 429-430. 89 Nel senso dell’applicabilità della potestà in sanatoria ad entrambe le ipotesi v. MARUOTTI L., op. cit., spec. 594 e 606; CONTI R., op. ult. cit., II ed., 480 e segg., il quale prende atto della insuperabilità del dato letterale dell’art. 43 e, cercando un’interpretazione rigorosa, afferma la necessità che l’Amministrazione che esercita l’acquisizione sanante debba essere in astratto dotata del potere espropriativo; CARINGELLA F., Diritto amministrativo, cit., II, 2304 e segg.; di avviso contrario è, ad es., FORLENZA O., Occupazione usurpativa, appropriazione e riparto di giurisdizione, in Il merito 2006, n. 2, 80 e segg., spec. 83, il quale osserva che il riferimento alla mancanza di un provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità “valido ed efficace”, e non alla mancanza tout court di un provvedimento acquisitivo tardivo, sembrerebbe deporre in favore dell’esclusione dell’occupazione usurpativa dall’ambito di applicazione dell’art. 43; così anche DE MARZO G., Art. 43. La situazione previgente e le soluzioni del d.P.R. n. 327/2001, in L’espropriazione per pubblica utilità. Commento al testo unico emanato con d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, come modificato dal d.lgs. 302/2002, cit., 683 e segg., secondo il quale l’atto dichiarativo della pubblica utilità non può mancare, interpretandosi la norma nel senso di richiedere un atto sia esso invalido ed efficace sia esso già annullato. In giurisprudenza l’applicabilità dell’art. 43 T.U. n. 327/2001 anche alle ipotesi di totale assenza di titolo emerge anche dalla citata decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 2005 e, del resto, si evince anche dal più volte richiamato parere del 29 marzo 2001, n. 4/2001 della stessa Adunanza plenaria. 90 V., ancora, ANDREIS M., op. cit., 321, il quale rileva che sia nell’uno che nell’altro caso si impone la regolarizzazione del procedimento espropriativo che, apparentemente concluso, si trova ad essere - per via di un provvedimento di autotutela o di natura giudiziale - nuovamente aperto. 29 provvedimento acquisitivo sanante è la determinazione della misura del risarcimento, prevista dalla lett. c) del secondo comma 91 dell’art. 43, i cui parametri di riferimento per il conseguente computo sono fissati nel successivo sesto comma, il quale fa, comunque, salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti. Nel contenuto dell’atto di acquisizione riportato nella c) del citato secondo comma dell’art. 43 non è specificato se il termine per il pagamento dell’importo dovuto a titolo risarcitorio sia o meno perentorio, né risulta precisato quali siano le possibili conseguenze derivanti dall’inosservanza dello stesso termine da parte della P.A. che adotta il provvedimento di espropriazione tardiva. La dottrina 92 occupatasi di tali questioni rileva in proposito che il termine di trenta giorni riportato in detta norma corrisponde a quello previsto in generale dall’art. 2 della L. n. 241 del 1990 con riguardo alla definizione del procedimento amministrativo, ma allo stesso, in consonanza con la giurisprudenza predominante, non può essere conferito che valore ordinatorio, rimanendo ovviamente salvo il diritto alla decorrenza degli interessi legali. L’atto di acquisizione deve essere notificato nelle forme degli atti processuali civili e, quindi, trascritto, senza alcun ritardo, presso l’ufficio dei registri immobiliari, per poter essere infine trasmesso all’ufficio competente degli elenchi da cui deriva la dichiarazione di pubblica utilità ovvero con i quali è disposta l’espropriazione, in relazione alla previsione risultante dall’art. 14, comma secondo, dello stesso T.U. n. 327/2001. La specifica indicazione della necessità di provvedere a quest’ultimo incombente unitamente alla testuale previsione che la legittima adozione formale dell’atto acquisitivo “comporta il passaggio del diritto di proprietà” induce la dottrina prevalente 93 a ritenere che questo provvedimento implicante l’espropriazione in sanatoria dell’area privata sia dotato di efficacia costitutiva e, perciò, rappresenti l’unico titolo comportante l’effetto traslativo del diritto di proprietà in capo alla P.A. La seconda fattispecie di atto acquisitivo, contemplata nei commi terzo e quarto, implica che l’esercizio della potestà espropriativa sanante si inserisce in un giudizio già promosso dal privato che sia finalizzato o all’ottenimento dell’annullamento dei provvedimenti indicati nei precedenti commi primo e secondo o della restituzione del bene utilizzato per scopi di interesse pubblico. In questi casi, il terzo comma prevede, 91 La quale fa espressamente salva l’ipotesi dell’eventuale azione risarcitoria già proposta, potendo, in effetti, la fattispecie acquisitiva in discorso interferire con un’azione giudiziale orientata al risarcimento dei danni, pur non operando, in questo caso, il singolare meccanismo preclusivo del diritto di azione previsto dal successivo comma quarto del medesimo art. 43, poiché, nell’ipotesi richiamata nel secondo comma, si verte in tema di questione esclusivamente patrimoniale, con la conseguenza che in tal caso è riconosciuta al privato la possibilità di proseguire il giudizio persistendo la controversia sul quantum del risarcimento. 92 V., per tutti, ancora ANDREIS M., op. cit., 323-324. 93 Si rimanda sempre ad ANDREIS M., op. cit., 324, il quale perspicacemente evidenzia come tale soluzione appaia senz’altro da privilegiare (anche rispetto all’indirizzo che ne propugna la natura dichiarativa), considerando il valore d’insieme dell’istituto trasparente dall’art. 43, che, muovendo dal rifiuto di identificare quale titolo acquisitivo il fatto illecito dell’occupazione senza titolo, riconduce tale titolo proprio all’adozione di uno specifico provvedimento amministrativo, analogamente a quanto avveniva in passato con il c.d. decreto di espropriazione in sanatoria. Lo stesso autore aggiunge altresì che l’univoco disposto della lett. e) del secondo comma dell’art. 43 implica l’esclusione dell’attribuzione all’atto acquisitivo di un’efficacia puramente ricognitiva di un effetto giuridico traslativo già verificatosi in precedenza, come del resto evincibile anche dalla previsione rinvenibile nella lett. d) dello stesso comma, laddove si impone la notificazione dell’atto “al proprietario”, con la conseguenza che, in virtù del carattere recettizio riconoscibile a tale atto, l’effetto traslativo verrà a configurarsi soltanto in virtù della realizzazione della fase integrativa dell’efficacia prevista, appunto, con la notificazione dell’atto medesimo. 30 in particolare, che la P.A. convenuta possa richiedere 94 al giudice amministrativo che, nell’eventualità della fondatezza della domanda proposta, sia disposta la condanna della stessa Amministrazione al solo risarcimento del danno per equivalente (con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo) 95 . Da tale previsione scaturente specificamente dal terzo comma dell’art. 43, letta in coordinamento sistematico con la disposizione riportata nel primo comma, si desume, in primo luogo, che in pendenza del giudizio di annullamento, di quello per la restituzione o nelle more del giudizio di ottemperanza al giudicato di annullamento è precluso alla P.A. di emettere il provvedimento di acquisizione, potendo quest’ultima soltanto rivolgersi al giudice con la domanda di autocondanna al risarcimento del danno e, solo in seguito alla pronuncia giudiziale di accoglimento di detta domanda (con la contestuale esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo), l’Amministrazione è legittimata a disporre l’acquisizione tardiva dell’area emanando l’inerente provvedimento (nel quale deve essere attestato l’avvenuto risarcimento del danno) da trascriversi nei registri immobiliari a cura e spese delle medesima autorità, così come prevede il successivo comma quarto. In proposito, la dottrina più recente osserva che è questa l’interpretazione da preferire, poiché non vi sarebbe stato altrimenti ragione della previsione legislativa della richiesta giudiziale, e l’opposta soluzione non metterebbe in rilievo il fatto che l’eventuale acquisizione amministrativa costituirebbe un limite alla tutela giurisdizionale richiesta dal privato. In altri termini, l’instaurazione dei suddetti giudizi comporta l’effetto devolutivo della decisione sulla sorte del bene dall’Amministrazione al giudice 96 . 94 Parte della giurisprudenza amministrativa, che per prima si è occupata di questa procedura relativa al raggiungimento dell’obiettivo dell’emanazione del decreto di espropriazione sanante in seno alla controversia introdotta dal privato di tipo demolitorio o restitutorio, così come ricavabile dai citati commi terzo e quarto dell’art. 43 in questione, ha stabilito che l’istanza della P.A. rivolta a sollecitare la c.d. autocondanna al risarcimento del danno per evitare la pronuncia restitutoria non appartiene propriamente né al genus della domanda riconvenzionale, né a quello dell’eccezione riconvenzionale, costituendo piuttosto un mero atto difensivo che non va notificato alle controparti (mentre per la notificazione eventualmente ritenuta necessaria può essere riconosciuto l’errore scusabile), ma deve essere preannunciato con motivata istanza di rinvio, la cui domanda va prospettata, ai sensi dell’art. 167 cod. proc. civ, nella prima memoria di costituzione in giudizio della parte intimata: v., ad es., in questi termini, T.A.R. Emilia Romagna, 27 ottobre 2003, n. 2160 (solo massima) in Foro amm. - T.A.R. 2004, II, 997-998, con nota di RAIMONDI, cit. Con altra più recente sentenza (T.A.R. Sardegna - 16 febbraio 2006, n. 231, in Giur. mer. 2006, 1272 e segg., con nota di CONTI R.) si è sostenuto che la domanda di esclusione della restituzione senza limiti di tempo (formulabile dalla P.A. anche nel corso del giudizio di ottemperanza successivo alla declaratoria di illegittimità degli atti della procedura ablatoria) possa essere avanzata dal difensore dell’Amministrazione resistente, non occorrendo un formale provvedimento che valuti gli interessi in conflitto ai sensi del primo comma dell’art. 43 T.U. n. 327/2001. Parte della dottrina (v. ANDREIS M., op. cit., 328) sostiene, invece, che si tratta non di mera eccezione, bensì di domanda che, ancorché in via subordinata (quando la P.A. intende insistere in via principale per il rigetto della domanda), modifica la materia del contendere in senso ampliativo, poiché introduce nel processo una nuova domanda sulla quale potrà aprirsi un diverso ambito di lite. 95 Si prospetta evidente che la domanda di “autocondanna” al risarcimento del danno della P.A. di cui al terzo comma in esame postula l’effettiva utilizzazione per scopi di interesse pubblico del fondo oggetto della controversia e, quindi, la prevalenza dell’interesse pubblico su quello dedotto dal privato ricorrente, con la conseguenza della declaratoria di infondatezza della domanda ex art. 43, comma terzo, cit. in caso di insussistenza di detto presupposto: cfr. T.A.R. Puglia - sez. Lecce, 10 giugno 2005, cit. Lo stesso T.A.R., in sentenza 4 aprile 2006, n. 1830 (in Riv. giur. edil. 2006, I, 1039 e segg., con nota di ROLFI G.) è pervenuto anche alla conclusione che, in mancanza della irreversibile trasformazione del fondo, non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’istituto dell’occupazione acquisitiva c.d. “sanante” prevista dall’art. 43 in oggetto al fine di regolarizzare le procedure espropriative illegittime e i comportamenti illeciti della P.A. 96 Cfr. in tal senso GOGGIAMANI F., La potestà di cui all’art. 43 d.P.R. n. 327 del 2001 tra illegittimità ed illiceità, in Foro amm. - T.A.R. 2006, 503-513, spec. 511, la quale aggiunge, peraltro, che in considerazione, però, 31 Pur non avendo il legislatore posto un termine ad quem per l’emanazione del provvedimento acquisitivo 97 , non appare concepibile che, in funzione della tutela costituzionale della proprietà privata, la potestà sanante non incontri limiti temporali. In proposito si prospetta coerente con il sistema rinvenire il termine finale per l’adozione dell’atto acquisitivo di cui all’art. 43 in esame in conseguenza dell’utilizzazione senza titolo del fondo privato nell’intervenuto giudicato sul diritto del proprietario alla restituzione del bene, poiché quest’ultimo diritto soggettivo, quando risulta ormai cristallizzato in una sentenza irretrattabile sul punto, non potrebbe essere rimesso in discussione dall’esercizio di un potere acquisitivo sanante che sarebbe evidentemente tardivo in relazione alla formazione irreversibile degli effetti conseguenti alla decisione restitutoria 98 . Del resto, diversamente ragionando, verrebbe a verificarsi una grave lesione del principio generale dell’intangibilità del giudicato, il quale, peraltro, può essere sottoposto a deroga solo qualora questa sia esplicitamente prevista dalla legge 99 , ma di ciò non si rinviene traccia nel disposto del terzo comma dell’art. 43. Al termine dell’analisi dei requisiti strutturali e funzionali attinenti alla nuova disciplina risultante dall’art. 43 T.U. n. 327/2001 con riguardo all’atto di acquisizione per utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, si profila opportuno sottolineare che un settore rilevante della dottrina 100 continua a nutrire serie perplessità sulla previsione di questo potere restrittivo che stride con la tutela della previsione del comma secondo dello stesso art. 43 di ricorribilità al potere anche in ipotesi di annullamento di uno dei provvedimenti della vicenda espropriativa, la potestà acquisitiva dell’Amministrazione è destinata nuovamente a rivivere in seguito alla pronuncia della sentenza (esclusivamente) demolitoria. La stessa autrice rileva, inoltre, che il termine ultimo per l’esercizio della potestà ablatoria sanante di cui al primo comma va identificato, invece, con la proposizione della domanda di recupero del bene - avanzata in via esclusiva o contestualmente alla domanda di annullamento - o con la presentazione del ricorso per l’ottemperanza del giudicato della sentenza di annullamento, non avendo il legislatore espressamente concesso di ricorrervi anche nel caso di accoglimento di tali domande ed essendo l’eccezionalità del potere acquisitivo ostacolo insuperabile ad una diversa interpretazione in uno, ancora un volta, con il principio secondo cui la parte vittoriosa non può essere pregiudicata dalla durata del giudizio. 97 Consentendosi - come appena visto nel testo - alla P.A. addirittura di chiedere al giudice amministrativo di legittimare, in caso di fondatezza del ricorso per l’annullamento del provvedimento di acquisizione o di un altro della procedura ablatoria o ancora, della domanda di restituzione, il trattenimento del bene con condanna al risarcimento del danno. 98 V. GOGGIAMANI, op. ult. cit., 1682. Nella giurisprudenza amministrativa cfr., in tal senso, T.A.R. Emilia Romagna, 27 ottobre 2003, n. 2160, in Urb. e app. 2004, 467 e segg., con nota di PONTE D., e, più recentemente, T.A.R. Puglia - sez. Lecce, 10 giugno 2005, n. 3307, in Foro amm. - T.A.R. 2005, 1669 e segg., secondo la quale “il provvedimento di acquisizione di cui all’art. 43 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ha la finalità di “regolarizzazione” delle procedure ablatorie illegittime e dei comportamenti illeciti dell’Amministrazione in campo espropriativo e, pertanto, incontra l’unico limite del giudicato che esplicitamente riconosce al privato il diritto alla restituzione del bene”. T.A.R. Bolzano 17 gennaio 2006, n. 21, in Foro amm. - T.A.R. 2006, 495, ha statuito che il potere di cui all’art. 43 T.U. n. 327/2001, se pur può essere esercitato anche successivamente all’intervenuto giudicato formatosi sull’annullamento della procedura espropriativa, trova un insuperabile ostacolo nell’ordine del giudice di restituzione dell’immobile intervenuto in precedenza nei confronti dell’Amministrazione, così avallando l’indirizzo dottrinale che ritiene come la domanda giudiziale di restituzione debba essere, in nome dei principi e dell’interpretazione sistematica dei commi primo e terzo dell’art. 43 cit., necessariamente considerato il momento di cesura per l’acquisizione coattiva sanante. 99 Si ricorda che un illustre giurista (CARNELUTTI F., Delitto e processo, Napoli, 1958, 268) definiva il giudicato come “un fatto giuridico in grado di trasformare la lex generalis, che regola un possibile, in lex specialis, che regola un esistente”. 100 V., da ultimo, ancora GOGGIAMANI F., op. ult. cit., 512-513. 32 costituzionale della proprietà 101 oltre che con i principi di legalità sostanziale e doverosità che informato l’esercizio dell’azione amministrativa 102 . I dubbi che persistono sulla legittimità dell’istituto riconducibile alla suddetta norma sono stati oltretutto manifestati anche in due recenti pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo. Con la decisione dell’8 dicembre 2005 103 è stata apportata una incisiva critica all’assunto della decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 2005 nella parte in cui era stato ritenuto che l’istituto in questione fosse rispettoso dei parametri imposti dalla stessa Corte europea, sancendosi invece come l’espropriazione indiretta, anche nei termini tipizzati dal nuovo T.U., consentendo la deroga alle regole fissate per l’espropriazione crea il rischio di un risultato arbitrario ed imprevedibile in violazione del principio di certezza del diritto. Con altra statuizione del 12 gennaio 2006 104 la Corte di Strasburgo ha sostenuto che non è sufficiente per soddisfare il principio di legalità la sussistenza di una legge, dovendosi valutare la qualità di essa, poiché è, in ogni caso, necessario 101 Anche se la Corte Costituzionale ha inteso sminuirne la portata asserendo che “il comma terzo dell’art. 42 Cost. non implica che la potestà espropriativa debba riferirsi ad ipotesi ablative prefigurate in via generale ed accompagnate da sequenze procedimentali costanti ed unitarie”: v. Corte Cost. 31 luglio 1990, n. 384, in Foro it. 1992, I, 1073. 102 RAIMONDI S., op. ult. cit., 1000 e segg., ha sottolineato che con l’innovato regime normativo in tema di espropriazione si è prodotta una palese antinomia delle intenzioni riformatrici, poiché, da una parte, il legislatore ha conferito un maggior grado di certezza al privato di fronte alle pratiche illegittime di occupazione della mano pubblica rendendo obbligatoria l’emanazione di un provvedimento amministrativo nel quale si evidenzi a chiare lettere la prevalenza delle esigenze pubblicistiche e, dall’altra parte, ha fortemente danneggiato la posizione dello stesso privato non individuando affatto quale sia il grado di intensità dell’attività materiale della P.A. sufficiente per costituire la base del provvedimento ex art. 43. Da ciò, secondo l’autore, sorge il timore che il privato possa essere solo in apparenza più tutelato ed essere oggetto di abusi da parte della P.A. che per di più risulterebbero inattaccabili in quanto frutto di una dubbia operazione di legittimazione normativa. Lo stesso indirizzo teorico sostiene, in definitiva, che, con l’art. 43 del T.U. n. 327/2001, il legislatore ha portato a termine un’operazione che rientra in una generale tendenza dell’ordinamento amministrativo: la legalità di risultato. Con essa si pretende di rendere legittimo un comportamento che non è tale (compiendo, appunto, una “legalizzazione dell’illegale”) perché al di fuori dei principi generali dell’ordinamento, mediante l’espressa previsione di una norma di legge. Rendere possibile una legittimazione ex post di una condotta abusiva quale l’occupazione sine titulo sol perché interviene un provvedimento amministrativo significa conferire all’eccezione la medesima portata della regola a cui essa si riferisce. Il risultato è - conclude l’autore - un non senso logico oltre che giuridico. 103 In www.coe.int. In una precedente decisione del 15 novembre 2005, in causa Dominici c. Gov. Italiano n. 64111/00, si legge testualmente: “Il Tribunale constata che, in ognuno dei casi (occupazione appropriativa ed usurpativa), l’espropriazione indiretta tende a ratificare una situazione di fatto derivante dalle azioni illegali commesse dall’Amministrazione, tende a risolverne le conseguenze a livello sia privato che amministrativo e permette all’Amministrazione di trarre beneficio dal proprio comportamento illegale”. 104 Sciarrotta ed altri c. Gov. Italiano, in www.coe.int. In particolare, in questa sentenza, la Corte di Strasburgo, proprio esaminando la previsione della potestà acquisitiva sanante, non si capacita del fatto che « l’expropriation indirecte vise à entériner une situation de fait découlant des illégalités commises par l’administration, tend à régler les conséquences pour le particulier et l’administration, e permet à cette dernièr de tirer bénéfice de son comportement illégal» e ciò - come rilevato nella segnalata decisione del 15 novembre 2005 - sia che la fattispecie presupposta sia configurabile come occupazione usurpativa, sia come occupazione appropriativa. La dottrina osserva in proposito che se, quindi, la giurisprudenza italiana arriva a disconoscere la potestà ablatoria in virtù delle situazioni “patologiche” assurgenti ad illeciti, ai giudici della C.E.D.U. è sufficiente l’illegittimità per escludere la possibilità di un beneficio a favore del soggetto pubblico che ha perpetrato la fattispecie illegittima. Questa posizione avalla, pertanto, l’orientamento di quanti rimangono convinti nell’affermare che un potere ablatorio, per definizione maggiormente sottoposto all’imposizione di regole procedimentali, specie a garanzia egli interessi secondari, non può presupporre la violazione di questi. La dottrina più recente (v. GOGGIAMANI, op. ult. cit., 513) perciò conclude, in proposito, asserendo che non è necessario scomodare la Convenzione dei diritti dell’uomo per criticare la scelta di un legislatore la cui funzione in un moderno Stato di diritto è dettare le regole di azione della P.A. e non salvarne l’illegittimo operato, illecito o meno che sia. 33 garantire il rispetto della legalità sostanziale, del quale l’art. 43 in discorso non è propriamente portatore. Da ultimo le Comité des Ministres du Conseil de l’Europe ha adottato, nella riunione del 14 febbraio 2007, la « Résolution intérimaire ResDH(2007)3 pour le violations systémiques par l’Italie du droit de propriété par le biais des « expropriations indirectes », provvedendo ricordando le numerose decisioni in cui è stata riconosciuta a carico dello Stato italiano la violazione dell’art. 1 della Convenzione dei diritti dell’uomo 105 - ad impartire, dopo aver ripercorso il conflitto tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa e l’approccio particolarmente elastico di quest’ultima - una serie di indicazioni relative all’interpretazione dell’art. 43 in esame al fine di soddisfare le esigenze imposte dalla suddetta Convenzione, così riportate: 1. L’application et l’interprétation de l’article 43 du Répertoire doivent être claires, cohérentes et prévisibles, de manière à encadrer le pouvoir discrétionnaire de l’autorité nationale en la matière et ainsi satisfaire à la « qualité de la loi » exigée par la Convention; 2. La procédure prévue à l’article 43 ne constitue pas une alternative à la procédure ordinaire d’expropriation en bonne et due forme et, par conséquent, n’a pas d’application généralisée mais constitue une mesure exceptionnelle, utilisée uniquement en cas d’intérêt public particulièrement important; 3. L’acquisition formelle doit être établi dans un délai suffisamment rapide et seulement par les autorités publiques administratives compétentes; 4. En l’absence d’acquisition, prévue par l’article 43, la restitution doit être rapidement assurée ; 5. Tout caractère automatique d’acquisition du bien par l’administration, en raison de la réalisation d’une œuvre publique où d’une transformation, doit être exclu; 6. La procédure doit, dans les limites du possible, être appliquée à tous les cas d’occupation illégitime, même s’ils se sont produits avant l’entrée en vigueur du Répertoire et même s’ils font l’objet d’une procédure en cours. Alla fine della deliberazione il Consiglio dei Ministri aggiunge il seguente monito: “Le Gouvernement encourage toutes les autorités nationales à appliquer le nouveau Répertoire selon ces lignes afin de se conformer à leurs obligations en vertu de la Convention et des arrêts de la Cour qui consistent, entre autres, à remédier aux violations commises et à prévenir de nouvelles violations semblables. Le Gouvernement considère que l’effet direct, récemment accordé aux arrêts de la Cour par les plus hautes juridictions italiennes dans différents domaines, fournit les conditions nécessaires pour assurer le plein respect des exigences de la Convention lors de l’application du nouveau Répertoire. Le Gouvernement encourage et soutient le développement le plus large possible de l’effet direct des arrêts de la Cour en droit italien. Outre l’adoption du Répertoire, une autre mesure de taille a été prévue afin de dissuader les administrations de recourir à la pratique de l’expropriation indirecte. La loi n° 296 de 2006 prévoit aux termes de son article 1§1217 que le dédommagement accordé à un individu, au titre de l’occupation illégale du terrain, soit imputé sur le budget de l’administration concernée. L’administration peut également se retourner par la suite contre le fonctionnaire responsable de l’acte 105 L’ultima delle quali intervenuta il 13 luglio 2006 (Zaffuto ed altri c. Gov. iItaliano). Con tale decisione la C.E.D.U. ha ribadito che la privazione di un terreno in forza del meccanismo dell’occupazione acquisitiva viola, in quanto tale, il diritto dell’espropriato al rispetto dei propri beni, di cui all’art. 1, prot. n. 1, della Convenzione internazionale dei diritti dell’uomo, ed ha, inoltre, precisato che il riconoscimento da parte delle giurisdizioni interne di un risarcimento per equivalente al valore del bene al momento del trasferimento della proprietà non pregiudica la possibilità per la stessa Corte europea di accertare siffatta violazione. 34 illégal en cause. Le Gouvernement est d’avis que cette mesure ne manquera pas de contribuer à la prévention de violations de la Convention semblables à celles constatées dans ces affaires”. La dura presa di posizione del Governo del Consiglio d’Europa impone allo Stato italiano e agli organi di giustizia interna, proprio nell’ottica di garantire, sul piano dell’effettività, il principio di legalità sostanziale, di attenersi rigidamente ai “paletti” fissati dall’organismo europeo con riferimento all’applicazione in concreto dell’istituto previsto dall’art. 43 T.U. n. 327/2001, la cui violazione (in un’ottica, peraltro, di auspicabile rivisitazione normativa del sistema espropriativo) continuerà ad esporre il Governo italiano alla pronunce di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo 106 . 9.- Il regime transitorio relativo all’applicabilità del citato art. 43 e la sua correlazione con la disciplina contenuta nell’art. 57 dello stesso T.U. Nel nuovo sistema della disciplina del procedimento espropriativo alle occupazioni illegittime, ora denominate “utilizzazioni senza titolo”, in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta a decorrere dal 1° luglio 2003 (data di entrata in vigore del T.U. n. 327/2001) o, ove mancante, sia stata introdotta dopo detta data la controversia impugnatoria o restitutoria, è applicabile l’ art. 43 del nuovo T.U., il quale - come ampiamente riportato - facoltizza l’Amministrazione ad emettere un provvedimento di acquisizione in sanatoria, previo risarcimento integrale del danno, anche in pendenza del giudizio restitutorio o risarcitorio. Si è posto il problema se al citato art. 43 possa essere riconosciuta un’efficacia retroattiva e, quindi, sia possibile ritenere la sua applicabilità anche ai procedimenti in corso all’atto dell’entrata in vigore del T.U. n. 327/2001. L’esame di questo aspetto involge inevitabilmente la disciplina transitoria dettata più in generale dall’art. 57 dello stesso T.U. (la cui rubrica è proprio intitolata all’“ambito di applicazione della normativa sui procedimenti in corso”), nella sua versione finale come risultante a seguito della sostituzione operata per effetto dell’art. 1, comma primo, del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 302 107 . Questa norma prevede l’applicazione delle disposizioni del predetto T.U. (e, quindi, anche dell’art. 43) soltanto nel caso in cui alla data di entrata in vigore non sia già intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza; in altri termini, accantonato il principio del tempus regit actum, viene fissata la nuova regola in 106 La dottrina (v., ad es., da ultimo, MARZANO L., Inapplicabilità dell’occupazione appropriativa ad opere private di interesse pubblico, in nota a Cass., sez. I, 8 novembre 2006, n. 23798, edita in Urb. e app. 2007, 328-334) rileva, in proposito, come l’acquisizione coattiva sanante resta tuttora incriminata dalla Corte di Strasburgo, secondo la quale, sia che venga eseguita in virtù di un principio giurisprudenziale o di una norma di legge (id est l’art. 43 T.U.), l’espropriazione indiretta non può comunque costituire un’alternativa a un’espropriazione effettuata in maniera corretta, con la conseguenza che si profila comunque la violazione dell’art. 1 del prot. addiz. 1 alla C.E.D.U., pur dove l’irreversibile trasformazione del fondo e la realizzazione dell’opera pubblica siano avvenute in costanza di legittima dichiarazione di p.u. e di legittimo provvedimento di occupazione. Resta, perciò, da chiedersi quali potranno essere le sorti dell’istituto emergente dall’art. 43 T.U. alla luce dell’attuale quadro dei rapporti tra normativa nazionale e diritto vivente sopranazionale e ipotizzare nuovi interventi “creativi” del legislatore finalizzati a porre fine alla lunga teoria di condanne inflitte dalla predetta Corte europea al Governo italiano. 107 Nel suo testo originario l’art. 57 disponeva l’applicazione del T.U. sulla scorta del criterio del tempus regit actum e, dunque, anche se era stato già apposto su un bene un vincolo preordinato all’esproprio, ovvero se già vi era stata la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, per le fasi procedimentali non ancora concluse. 35 base alla quale il nuovo T.U. si applica soltanto ai procedimenti non ancora pervenuti alla fase della dichiarazione di pubblica utilità, con la conseguenza che quest’ultima diviene il discrimine relativo alla individuazione della disciplina delle occupazioni illegittime tra il vecchio e il nuovo regime. A contrario, pertanto, si desume che le norme del citato T.U. non si applicano per le opere i cui progetti definitivi siano stati approvati o che abbiano conseguito diversamente la dichiarazione di pubblica utilità prima di tale data 108 . Partendo da questo presupposto un incisivo settore della dottrina 109 ha rilevato che la disposizione dell’art. 57, così come congegnata, facendo salvi in ogni caso gli effetti del giudicato come precedentemente evidenziato, spezza in due il regime delle fattispecie di occupazione illegittima, sottolineando, per un verso, che l’occupazione usurpativa, caratterizzata (come è noto) dall’assenza di un valido provvedimento dichiarativo di pubblica utilità, dovrebbe rimanere assoggettabile alla nuova disciplina 110 , mentre, con riferimento all’occupazione acquisitiva, basata sulla presenza di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità a monte, occorre differenziare i casi a seconda che detta dichiarazione sia stata adottata prima o successivamente alla data di entrata in vigore del T.U. , con la conseguenza che nel primo si applicherà il regime previgente e nel secondo il nuovo art. 43 111 . Da un punto di vista generale, anche la giurisprudenza di legittimità - valorizzando il disposto del richiamato art. 57 - ha preso posizione nel senso dell’applicabilità dell’art. 43 T.U. n. 327/2001 solo per le procedure in cui la dichiarazione di pubblica utilità è intervenuta dopo l’entrata in vigore del testo unico 112 . In particolare, 108 Si schierano, in dottrina, in questa direzione, tra gli altri autori, CONTI R., sub art. 53, in L’espropriazione per pubblica utilità nel nuovo testo unico. Commentario, a cura di CARINGELLA F. e DE MARZO G., Milano, 2005, 800, nonché FABBRIZZI G., L’art. 53 t.u. espropriazioni: l’intervento della Corte Costituzionale, in nota a Corte Cost. 11 maggio 2006, n. 191, in Danno e resp. 2006, 969-975, spec. 973. 109 Cfr., ancora una volta, ANDREIS M., op. cit., 317. 110 Occorre, peraltro, ricordare che un’ulteriore modifica apportata dal d.lgs. n. 320/2002 ha comportato la separazione della fattispecie dell’occupazione usurpativa da quella dell’occupazione espropriativa. Si tratta della modifica arrecata all’art. 55 del T.U. inerente la disciplina transitoria delle occupazioni senza titolo anteriori al 30 settembre 1996. Mentre nella prima versione tale norma ricomprendeva le occupazioni illegittime anteriori a tale data in assenza di valido ed efficace provvedimento dichiarativo della p.u., il d.lgs. n. 320/2002 ha eliminato dal testo quest’ultimo riferimento, facendo rimanere pertanto estranea alla disciplina temporalmente limitata proprio la figura dell’occupazione usurpativa anteriore al 1996. Da ciò la dottrina appena citata (ANDREIS M.) ne ha fatto derivare un argomento a supporto dell’applicabilità del T.U. all’occupazione usurpativa e una valutazione di utilità in tal senso del citato art. 55. 111 ANDREIS M., ibidem, conclude, perciò, nel senso che l’attuale istituto dell’utilizzazione senza titolo risulta regolamentare il passato solo per una parte delle ipotesi di occupazione espropriativa affidando, a rigore, l’occupazione usurpativa sempre alla nuova disciplina, mentre, a regime, l’art. 43 si applica sia per ipotesi sostanziali (nuova occupazione d’urgenza non seguita dall’espropriazione), sia per ipotesi processuali (annullamento degli atti del procedimento espropriativo). 112 Cfr., per l’inapplicabilità dell’art. 43 T.U. a fattispecie anteriori all’entrata in vigore del medesimo, soprattutto Cass., sez. I, 8 maggio 2004, n. 8777 (in Foro it. 2005, I, 829 e segg.), secondo la quale “nelle controversie aventi ad oggetto la restituzione di un suolo, a seguito dell’annullamento del decreto d’esproprio, non sono applicabili le disposizioni del testo unico in materia di espropriazione, quante volte, anteriormente all’entrata in vigore di quest’ultimo, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità”. Con riferimento ad altre collegate questioni di diritto transitorio v., altresì, Cass., sez. un., 11 marzo 2004, n. 5048 e Cass., sez. un., 17 marzo 2004, n. 5414, in Giust. civ. 2004, I, 1717 e segg., che, proprio muovendo dall’art. 57 cit., hanno ritenuto, dovendo individuare il giudice del rinvio, la persistenza della giurisdizione della Giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte di appello di Napoli, con riguardo alle controversie introdotte successivamente all’entrata in vigore del nuovo T.U., delle nuove regole processuali, in virtù dell’art. 5 cod. proc. civ. 36 contrastandosi l’indirizzo della prevalente giurisprudenza amministrativa 113 favorevole all’applicabilità retroattiva dell’art. 43, la Corte di Cassazione, con la sentenza della prima sezione n. 18239 del 15 settembre 2005 114 , affrontando le problematiche esaminate anche dalla dottrina poc’anzi richiamata (in ordine alla distinzione tra i vari tipi di occupazione in relazione al disposto dell’art. 57 T.U.), ha, più recentemente, evidenziato che “l’esclusione della tutela restitutoria nell’ipotesi in cui l’attività di trasformazione del suolo privato non sia riconducibile ad alcun fine di pubblico interesse legalmente dichiarato (fattispecie cosiddetta di occupazione usurpativa) non è configurabile neppure ipotizzando l’applicazione retroattiva dell’art. 43 del t.u. espropriazioni, approvato con d.P.R. n. 327 del 2001, che ha introdotto l’istituto della cosiddetta acquisizione sanante, ove sia accertato che l’occupazione illegittima del bene, per mancanza o annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, sia anteriore all’entrata in vigore del T.U., giacché l’art. 57 dello stesso prevede la non applicabilità delle disposizioni del testo unico “ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza”, e non consente di utilizzare un criterio ermeneutico diverso dal mero riscontro temporale in ordine alla data del progetto contenente la dichiarazione di pubblica utilità, e neppure la distinzione, ove il progetto sia antecedente a tale data, tra procedure espropriative “in itinere” e procedure viziate in radice e caducate da un annullamento giurisdizionale”. Con la sentenza in questione la Suprema Corte ha, in special modo, criticato l’approccio interpretativo utilizzato dal massimo consesso della giurisdizione amministrativa, siccome non aderente alla regola generale imposta dall’art. 12, comma primo, disp. prel. cod. civ., non desumendosi dal principio fissato nel primo comma del citato art. 57 del T.U. n. 327/2001 altra possibilità per l’interprete che quella di utilizzare un criterio ermeneutico diverso dal mero riscontro temporale in ordine alla data del progetto contenente la dichiarazione di p.u., con la conseguenza che qualora siffatto progetto sia antecedente alla data di entrata in vigore del T.U., la normativa dell’art. 43 risulta comunque inapplicabile. Peraltro, nella stessa sentenza n. 18239 del 2005, si aggiunge perspicacemente che, al di là della chiara lettera del menzionato art. 57 T.U., il risultato interpretativo propendente per l’irretroattività del suddetto art. 43 si prospetta evincibile anche sulla scorta della ratio legis che ha caratterizzato il medesimo art. 57, il quale - come già evidenziato - è stato riformulato (anche con riferimento alla rubrica) con l’art. 1 del d.lgs. n. 302 del 2002 nel senso attualmente vigente proprio per eliminare gli equivoci che avrebbe potuto suscitare l’originaria versione, alla stregua della quale la nuova normativa sarebbe stata applicabile immediatamente a ciascuna delle fasi della procedura ablatoria non ancora concluse, ingenerando perciò problematiche di non agevole soluzione per stabilire quando una fase procedimentale dovesse considerarsi in itinere e quando già definita, o per converso difettante del tutto. 113 V., soprattutto, Cons. Stato, ad. plen. 29 aprile 2005, n. 2, Cons. Stato, 2005, I, 621 e in Urb. e app. 2005, 809 e segg., con nota di CONTI R., che prospetta l’applicabilità retroattiva dell’art. 43, anche al fine di ovviare alla grave situazione istituzionale configurata dalle condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano, in rapporto al fenomeno dell’occupazione appropriativa. Per l’applicabilità immediata dell’art. 43 T.U. a tutti i giudizi pendenti sul presupposto della sua natura processuale v. T.A.R. Emilia Romagna, 27 ottobre 2003, n. 2160, cit. 114 In Corr. giur. 2006, 225, con nota di CONTI R. 37 In definitiva, la Corte di legittimità conclude giustamente - oltre a contestare anche la ragione di fondo sostenuta dalla giurisprudenza amministrativa, in base alla quale soltanto l’istituto dell’acquisizione sanante introdotto dal citato art. 43, a differenza del regime pregresso, avrebbe consentito il rispetto dei parametri imposti dalla Corte europea (invero smentita dallo stesso sviluppo successivo della giurisprudenza della Corte di Strasburgo 115 e criticata, come visto, pure da le Comité des Ministres del Consiglio d’Europa) e dai principi costituzionali - con l’evidenziare che la questione relativa al regime transitorio dell’art. 43 T.U. (e, perciò, in ordine all’applicabilità di tale norma “ai procedimenti in corso”) va risolto, in relazione al disposto dell’art. 57 dello stesso T.U., sulla scorta del dato temporale del primo atto del procedimento espropriativo in senso stretto, a prescindere dunque dalle sue successive vicende e dalle illegittimità e dalla natura delle violazioni in cui l’ente espropriante può incorrere durante il prosieguo del procedimento stesso 116 . (Omissis) 10.- Gli effetti sulla giurisdizione della sopravvenuta applicazione a regime dell’art. 43 e la nuova ridefinizione delle controversie includibili nell’area di appartenenza alla giurisdizione del giudice ordinario sulla scorta del nuovo quadro normativo inciso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 191 del 2006. Fermi rimanendo i problemi di diritto transitorio affrontati nel paragrafo precedente, si profila necessario, a questo punto, concludendo il presente studio, verificare - sul presupposto univoco che la sentenza n. 191 del 2006 della Corte Costituzionale non ha investito l’art. 43 T.U. n. 327/2001 - quali siano state le conseguenze discendenti dall’efficacia di tale sentenza con riferimento alle nuove problematiche inerenti la giurisdizione che riguardino le fattispecie di occupazioni illegittime alle quali si applichi la nuova disciplina apportata dallo stesso art. 43. La Corte costituzionale, nel giudizio di legittimità sull’art. 53 T.U. culminato nella predetta sentenza n. 191 del 2006, ha, in particolare, osservato come questa norma non sia rimasta “coinvolta nella parte in cui - essendo applicabile l’art. 43 T.U. presuppone la possibilità che sia sindacato dal giudice amministrativo l’esercizio, da parte della pubblica amministrazione, del potere di acquisire al suo patrimonio indisponibile l’immobile modificato” 117 . 115 Nella sentenza in discorso n. 18239 del 2005 la Corte di cassazione pone riferimento soprattutto alla decisione del 17 maggio 2005 (causa 43662/98, Scordino c/Gov. Italiano), laddove si evidenziava che l’applicabilità del nuovo art. 43 avrebbe comportato il rischio di risultati imprevedibili ed arbitrari per i soggetti interessati. 116 Perciò - chiosa la sentenza n. 18239 del 2005 - non consentendo la distinzione proposta dalla giurisprudenza amministrativa tra procedure espropriative in corso e procedure travolte, perché viziate, da un annullamento giurisdizionale, che realizzerebbe proprio la conseguenza che, secondo la stessa Adunanza plenaria, il legislatore avrebbe voluto evitare: che, cioè, procedimenti avviati in applicazione della disciplina pregressa per fatti successivi ed eventuali trovino sviluppo e conclusione alla stregua di quella nuova introdotta dal T.U. n. 327/2001. 117 Un recente orientamento dottrinale (cfr. PORPORATO A., Comportamenti della P.A. “finalizzati” alla realizzazione dell’interesse pubblico: ambito di giurisdizione esclusiva, in Foro amm. - T.A.R. 2006, 3103-3115, spec. 3114.) ha parlato, in proposito di “occasione persa” anche per dare una risposta alla Corte europea dei diritti dell’uomo. 38 Orbene, deve in primo luogo osservarsi che, nel nuovo quadro normativo venutosi a determinare con l’entrata in vigore del citato art. 43, non si profila alcun dubbio che in presenza di un atto amministrativo, per di più discrezionale (improntato ad una necessaria valutazione, adeguatamente motivata, della comparazione tra l’interesse pubblico riconducibile all’opera di pubblica utilità e l’interesse privato sacrificato), di acquisizione di un bene privato al patrimonio pubblico, condizionatamente alla corresponsione della somma corrispondente al risarcimento del danno 118 (commisurato al valore del bene e agli interessi), sia giustificata l’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo. Tale giurisdizione si radica al momento in cui sia impugnato non solo l’atto di acquisizione, ma, eventualmente, prima che questo sia stato emanato, nel giudizio di legittimità di un atto della procedura espropriativa (come il comma terzo dell’art. 43 t.u. ammette, in relazione ai commi primo e secondo), nel corso della quale, appunto, l’Amministrazione può chiedere che la si condanni al risarcimento con esclusione della restituzione del bene, e, in seguito alla decisione, essa stessa provveda all’emanazione dell’atto di acquisizione. Può, però, configurarsi un’altra eventualità, che si prospetta ricollegabile all’ipotesi, pure prevista dal menzionato terzo comma dell’art. 43, in cui venga esercitata l’azione diretta alla restituzione del bene utilizzato per scopi d’interesse pubblico: è il caso dell’azione restitutoria pura, conseguente e corrispondente alla fattispecie di occupazione usurpativa, che l’art. 55 dello stesso T.U. pure regolava, equiparandola nel trattamento risarcitorio all’occupazione appropriativa, prima che l’art. 1 del citato d.lgs. 27 dicembre 2002 n. 302, intervenuto a modificare la medesima disposizione, non escludesse tale fattispecie dalla regolamentazione dello stesso, così rendendo applicabile il criterio di formazione giurisprudenziale della restituzione o, in caso di manifestata opzione di scelta da parte del privato proprietario, del risarcimento pieno. Un determinato settore della dottrina 119 ha inteso evidenziare che il riferimento nella sentenza n. 191 del 2006 del giudice delle leggi all’art. 43 poteva essere tranquillamente omesso, sol considerandosi che a fronte dell’adozione di un provvedimento amministrativo di acquisizione, peraltro da ritenersi connotato da un limitato tasso di discrezionalità, non si sarebbe potuto in alcun modo ipotizzare la giurisdizione del giudice ordinario, e ciò non soltanto nell’ipotesi di preesistente dichiarazione di pubblica utilità, ma anche in tutti i casi in cui l’atto di acquisizione venga adottato dall’Amministrazione in assenza di valida dichiarazione di p.u., vertendosi, comunque, in un’ipotesi di provvedimento amministrativo, ancorché eventualmente illegittimo 120 . Infatti, rileva l’indirizzo scientifico in questione, in tali evenienze, la norma attributiva del potere idonea a radicare la giurisdizione non deve 118 T.A.R. Abruzzo, 15 giugno 2006, n. 345, in Giur. mer. 2007, 185 e segg., ha precisato che va annullato l’atto di acquisizione adottato ai sensi dell’art. 43 d.P.R. n. 327/2001 dall’Amministrazione espropriante laddove questa abbia contestualmente dichiarato di non liquidare alcun risarcimento del danno per l’asserito decorso del termine di prescrizione. 119 V., da ultimo, CONTI R., Nessun atto di acquisizione sanante senza contestuale risarcimento del danno, in nota a T.A.R. Abruzzo, 15 giugno 2006, n. 345, in Giur. mer. 2007, 185 e segg., cit. 120 Il CONTI, in nota ult cit., afferma ciò condizionatamente alla condivisione dell’ottica prescelta dal legislatore delegato di depotenziare il valore della dichiarazione di p.u. 39 essere ricercata nella dichiarazione di p.u. bensì, appunto, nello stesso art. 43 che attribuisce all’espropriante il potere di adottare un atto amministrativo capace di produrre il trasferimento della proprietà incidendo su una situazione illegale. Pertanto, ad avviso di tale orientamento, non sembrerebbe potersi riconoscere alcuna nicchia di giurisdizione al giudice ordinario anche nelle ipotesi in cui l’acquisizione dovesse sopraggiungere nelle ipotesi di assenza - originaria o sopravvenuta - della dichiarazione di pubblica utilità 121 . Da parte di altro indirizzo scientifico 122 è stato rilevato come la devoluzione delle controversie (restitutorie e/o risarcitorie) in tema di occupazione usurpativa al giudice ordinario poterebbe essere temporalmente confinata e, cioè, limitata sino al momento in cui la P.A. interessata non faccia ricorso al potere di cui al citato art. 43. In tal caso, infatti, di fronte all’esercizio del potere di acquisizione in sanatoria, le predette controversie non potrebbero più proseguire dinanzi al giudice ordinario, rientrando, ormai, nell’ambito della giurisdizione della giurisdizione amministrativa. Vi sarebbe, dunque, la possibilità 123 che si realizzi una vera e propria “navetta” tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Secondo lo stesso filone dottrinale si potrebbe pervenire ad una soluzione impeditiva di questo sistema condizionato di devoluzione in itinere della giurisdizione da quella ordinaria a quella amministrativa valorizzando il criterio adottato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 191 del 2006 relativo all’esercizio del potere pubblico (o della pubblica funzione), nel senso di considerarlo, non solo e non tanto, come esercizio in atto, quanto, piuttosto, come esercizio in potenza. Estremizzando tale valutazione, ne conseguirebbe che potrebbero reputarsi espressione di esercizio di pubblico potere della P.A., non solo i comportamenti che sono “esecuzione” di atti o provvedimenti amministrativi, ma, più in generale, tutti quei comportamenti che risultino comunque “collegati” all’esercizio di un pubblico potere, in quanto suscettibili di essere, in qualche modo, “coperti” da esso, anche solo ex post in via di sanatoria. La prospettiva interpretativa appena riportata non appare condividibile sol che si consideri che essa costituisce il frutto di un’evidente forzatura e di un’illegittima estensione della portata e degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 191 del 2006, la quale - se non si vuole approdare alla soluzione più fisiologica di sollevare la questione di legittimità costituzionale che investa direttamente l’art. 43 del T.U. n. 121 Suggestivamente acrobatica e ultra litteram si profila l’opinione di un ulteriore orientamento teorico (v. IUDICA G., Note in tema di giurisdizione sulle occupazioni nella recente giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in nota a Corte Cost. 11 maggio 2006, n. 191, edita in Riv. giur. edil. 2006, I, 779-790, spec. 783-784), ad avviso del quale - tenendo presente il quadro conseguente alla sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale e qualificando l’art. 43, comma terzo, T.U. n. 327/2001 come norma consequenziale rispetto all’art. 34, primo comma, del d.lgs. n. 80/1998 - dovrebbe pervenirsi addirittura, così escludendosi ogni possibilità di configurazione di una giurisdizione ordinaria ancorché residuale, a ritenere lo stesso art. 43, comma terzo, implicitamente caducato nella parte in cui prevede l’esperibilità di un’azione restitutoria a fronte di un comportamento della P.A., mentre la medesima norma conserverebbe la sua vigenza per la parte in cui (in virtù del combinato disposto dei commi primo e terzo) prevede un giudizio di impugnazione con possibilità per la P.A. della cosiddetta richiesta di autocondanna. Peraltro, lo stesso indirizzo dottrinale rileva che la sentenza n. 191/2006 non avrebbe mutato tale aspetto problematico, non avendo considerato l’art. 43 cit. alla luce del rapporto tra occupazione di fatto e successivo atto di acquisizione in relazione alla dichiarazione di illegittimità dell’art. 53, comma primo, del T.U. n. 327/2001. 122 V. GASPARINI CASARI V., In tema di giurisdizione esclusiva sui “comportamenti” in materia di espropriazione per p.u. (nota a C. Cost. 11 maggio 2006, n. 191), in www.giustamm.it. 123 Come ricordato da PORPORATO A, op. cit., 3113, nel riportare la tesi del GASPARINI CASARI. 40 327/2001 in correlazione con i principi affermati nella stessa sentenza con riguardo all’ambito di applicabilità dell’art. 53, primo comma, dello stesso T.U. 124 - lascia, invece, propendere per la tesi della conservazione della giurisdizione ordinaria nelle controversie relative alle ipotesi di occupazione usurpativa 125 anche quando sopravvenga il decreto di acquisizione tardivo disciplinato dal citato art. 43 126 , il quale, perciò, almeno nelle riferite controversie, costituirà (eventualmente) una potenziale variabile inidonea ad incidere sulla giurisdizione che, alla stregua del principio generale stabilito dall’art. 5 cod. proc. civ., si individua e si radica avendo riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda giudiziale. Del resto, non si può dimenticare che - almeno allo stato dell’attuale quadro degli effetti prodotti sul sistema espropriativo dalle due pronunce della Corte Costituzionale nn. 204/2004 e 191/2006 - il principio in ordine alla esclusione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dei comportamenti che non possono ricondursi, neppure in via mediata, all’esercizio di un potere pubblico, trova applicazione per quei comportamenti che non costituiscono esecuzione di precedenti atti o provvedimenti amministrativi (decreto di esproprio o dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) o perché tali atti e provvedimenti non sono stati mai emanati, o perché divenuti inefficaci, o, infine, perché sono stati annullati prima dell’utilizzo del bene. Pertanto, l’esclusione della giurisdizione esclusiva si fonda, in qualsiasi caso, sul difetto di esercizio, ancorché viziato da illegittimità, del potere amministrativo, con la conseguenza che è a tale difetto originario che bisogna aver riguardo per trarne la conclusione che le controversie - relative all’ambito dei comportamenti “usurpativi” rimangono devolute al giudice ordinario, restando irrilevante la sopravvenuta emissione, nel corso del giudizio restitutorio e/o risarcitorio intentato dal privato, del decreto di acquisizione sanante 127 . Di conseguenza, non essendosi voluta impegnare la Corte Costituzionale, sempre nella sentenza n. 191 del 2006, nella questione dell’attribuzione della giurisdizione nel caso in cui al comportamento sine titulo della P.A. segua l’emanazione del 124 Con il cui provvedimento risolutivo il Giudice delle leggi potrebbe chiarire - come evidenziato da PORPORATO A., op. ult. cit., 3114, la quale auspica proprio un intervento chiarificatore dei giudici della Consulta - se il “comportamento”, consistente nell’indebita utilizzazione del bene immobile, e sanato a posteriori dall’atto di acquisizione del bene stesso, possa ritenersi espressione dell’esercizio di un potere pubblico - ovvero, nel caso in questione, del potere di acquisizione della proprietà dell’immobile privato - anche se si tratta di un potere esercitato ex post, in via di sanatoria, e questo anche al fine di stabilire quale giurisdizione trovi applicazione nelle relative controversie. 125 Nelle quali è da ritenersi escluso qualsiasi collegamento con l’esercizio di una pubblica funzione, anche in prospettiva espropriativa. 126 La cui previsione - non si dimentichi - serve, in sostanza, a “coprire” le imprudenze, le inerzie e i ritardi ingiustificati della P.A. nella manifestazione della “potestà espropriativa”, con la conseguenza che l’istituto dell’acquisizione coattiva sanante “finisce per premiare un comportamento illecito della P.A.” (v., a quest’ultimo proposito, CARINGELLA F., Corso di dir. amm., IV ed., 2005, Milano, tomo II, 2493, con riferimento a quanto statuito dalla C.E.D.U. nella sentenza 17 maggio 2005, caso Scordino c. Italia). 127 ROLFI G., La mancata irreversibile trasformazione del fondo non configura l’ipotesi di occupazione acquisitiva, in nota cit. a T.A.R. Puglia - sez. Lecce, 4 aprile 2006, n. 1830, edita in Riv. giur. edil. 2006, I, 1039 e segg., sottolinea che, nel procedere al coordinamento tra il procedimento di acquisizione previsto dall’art. 43 d.P.R. n. 327/2001 e le nuove regole sulla giurisdizione tracciate dalla Corte Costituzionale, dovrebbe ritenersi che la situazione vantata dal privato a seguito dell’occupazione sine titulo, ovvero a seguito dell’annullamento dell’atto di acquisizione, non può che configurarsi quale diritto soggettivo pieno con conseguente cognizione del giudice ordinario. 41 provvedimento di acquisizione 128 , la questione problematica su come configurare l’iter processuale ove, in assenza o in sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità l’azione restitutoria sia iniziata, trattandosi di comportamento senza potere, tradizionalmente inquadrabile nell’ambito dell’occupazione usurpativa, davanti al giudice ordinario, potrebbe essere risolta nel senso che 129 l’unica strada percorribile appare quella di aderire ad una soluzione costituzionalmente orientata (ovvero ispirata proprio dai principi enucleati nelle due sentenze nn. 204/2004 e 191/2006), ovvero considerandosi che, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di restituzione, l’Amministrazione possa chiedere nell’ambito del giudizio civile la propria condanna al risarcimento, con esclusione della restituzione. Il riferimento al “giudice amministrativo”, contenuto nei commi terzo e quarto dell’art. 43 T.U. n. 327/2001, nelle ipotesi in cui la restituzione sia invocata indipendentemente dall’impugnazione di atti, andrebbe dunque inteso - nella suddetta ottica - come riferito al giudice ordinario 130 . In definitiva sembra maggiormente rispondente ad una visione sistematica della problematica la soluzione interpretativa che riserva uno spazio di giurisdizione al giudice ordinario nelle azioni di restituzione, riferite ai casi di occupazione usurpativa pura, nel corso delle quali sopravvenga la richiesta della P.A. della domanda di autocondanna al risarcimento del danno 131 , al fine di conseguire, in caso di accoglimento della stessa, la legittimazione postuma all’emissione del decreto di acquisizione tardiva sanante 132 . 128 Del resto la portata pratica della pronuncia di illegittimità - anche tenuto conto del contenuto delle ordinanze di rimessione della questione - deve ritenersi circoscritta alle controversie nelle quali non si possa applicare, per ragioni di ordine temporale, l’art. 43 in esame; peraltro, come già osservato, nella motivazione della sentenza, tale disposizione normativa viene in effetti esclusa dallo scrutinio di legittimità costituzionale e, d’altra parte, non era in discussione nei giudizi a quibus. 129 A meno di non voler di nuovo sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53 nella parte non considerata dalla Corte costituzionale anche se non si vede come il Giudice delle leggi, dopo la scontata conferma della linea per cui l’azione restitutoria, alla presenza di un comportamento senza potere dell’Amministrazione, spetta al giudice ordinario, possa configurare un meccanismo di raccordo con gli adempimenti dell’Amministrazione. 130 BENINI S. La giurisdizione in tema di occupazioni illegittime, 2007 www.espropriazionionline.it. 131 Sotto questo profilo si è già rilevato che l’art. 43, comma terzo, citato introduce un’ulteriore ipotesi di commutazione della pretesa restitutoria in risarcitoria, questa volta rimessa alla volontà del debitore, come si trattasse di un’obbligazione facoltativa. Quest’ultima è da ritenersi come obbligazione semplice, avente ad oggetto una prestazione principale, unica e determinata fin dall’origine, nonché, accanto a questa, una prestazione facoltativa, dovuta solo in via subordinata e secondaria, qualora venga scelta da una delle parti, e quindi costituisca l’oggetto di una sua specifica ed univoca opzione, opzione che, peraltro, può essere esercitata solo fino al momento in cui non vi sia stato l’adempimento della prestazione principale (Cass. 16 agosto 2000, n. 10853), e in particolare può essere operata dal debitore (Cass. 17 novembre 1977, n. 5030, rv. 388639). 132 Occorre rilevare solo che, a tali fini, non possono rinvenirsi indicazioni ostative nel comma quarto dello stesso art. 43, ove si condiziona l’attività postuma di acquisizione del bene utilizzato all’ipotesi in cui il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione ed abbia disposto il risarcimento, come se, di fronte all’electio solutionis da parte del debitore, potesse configurarsi anche l’ipotesi opposta, di mancata esclusione della restituzione, eventualmente connessa a valutazioni della discrezionalità amministrativa, che sarebbero precluse al giudice ordinario. In realtà la proposizione condizionale (“qualora il giudice abbia…”) non può che aver riferimento alle condizioni di fondatezza della domanda, come lo stesso comma terzo evidenzia (“l’amministrazione… può chiedere che il giudice…, nel caso di fondatezza … della domanda, disponga la condanna al risarcimento…”), e dunque all’accertamento dell’unica obbligazione, quella di restituzione, che consegue all’accertamento della lesione del diritto di proprietà. Le condizioni di fondatezza della domanda restitutoria sono (e rimangono) quelle normalmente richieste al giudice ordinario per i comportamenti senza potere (nel cui ambito è appunto inquadrabile l’occupazione usurpativa), accertati i quali, ed esercitata dalla P.A. debitrice la facultas solutionis, il giudice condanna la stessa al risarcimento commisurato al valore venale del bene, con esclusione della restituzione. 42 (Red. Aldo Carrato) 43 INDICE Riferimenti normativi: Art. 34 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 Art. 7 legge 21 luglio 2000, n. 205 Art. 43 d.P.R. 8 giugno 2001, art. 327 Art. 53 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 Art. 57 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 Riferimenti giurisprudenziali (in ordine cronologico e suddivisi per argomenti principali; per il richiamo degli estremi delle riviste sulle quali sono stati eventualmente pubblicati ci si riporta alle note della relazione): Le recenti pronunce della Corte Costituzionale in materia di giurisdizione nelle controversie attinenti ai cc.dd. comportamenti della P.A. e, con particolare riguardo, all’ambito dell’espropriazione per pubblica utilità: - Corte Cost. sentenza n. 204 del 6 luglio 2004 (n. massime 28356 e 28357) - Corte Cost. sentenza n. 281 del 28 luglio 2004 (n. massima 28724) - Corte Cost. sentenza n. 191 del 11 maggio 2006 (n. massima 30401) Sui presupposti per la formazione del giudicato sulla giurisdizione in caso di pronunzia sul merito divenuta irrevocabile adottata dal giudice ordinario o da quello amministrativo: - Cass., sez. un., sentenza n. 1233 del 29 novembre 2000 (Rv. 542239) - Cass., sez. un., sentenza n. 10977 del 9 agosto 2001 (Rv. 548915) - Cass., sez. un., ordinanza n. 6637 del 30 marzo 2005 (Rv. 579981) - Cass., sez. 1, sentenza n. 9171 del 3 maggio 2005 (Rv. 582173) - Cass., sez. un., sentenza n. 16779 del 10 agosto 2005 (Rv. 583392) - Cass., sez. un., ordinanza n. 7026 del 28 marzo 2006 (Rv. 589664) - Cass., sez. un., ordinanza n. 9337 del 21 aprile 2006 (Rv. 589887) - Cass., sez. un., sentenza n. 22427 del 19 ottobre 2006 (Rv. 592344) Sull’ininfluenza delle norme sopravvenute determinative di un diverso criterio di giurisdizione rispetto ad un già intervenuto giudicato sulla giurisdizione (anche nel caso di una successiva pronuncia della Corte Costituzionale): - Cass., sez. un., sentenza n. 2739 del 27 marzo 1997 (Rv. 503334) - Cass., sez. un., sentenza n. 1210 del 27 novembre 2000 (Rv. 542177) - Cass., sez. un., ordinanza n. 6637 del 30 marzo 2005 (Rv. 579982) Sull’inapplicabilità degli artt. 43 e 53 del t.u. n. 327 del 2001 con riguardo alle controversie in tema di occupazione appropriativa e usurpativa introdotte successivamente all’entrata in vigore della legge n. 205 del 2000 ma prima di quella del predetto T.U. (avvenuta a decorrere dal 30 giugno 2003) e sulla conseguente attribuzione della cognizione di dette controversie alla giurisdizione del giudice ordinario: - Cass., sez. un., ordinanza n. 9339 del 21 aprile 2006 (Rv. 589888) - Cass., sez. un., ordinanza n. 9343 del 21 aprile 2006 (Rv. 590400) - Cass., sez. un., sentenza n. 10222 del 4 maggio 2006 (Rv. 589270) Sull’interpretazione dell’art. 57 del d.P.R. n. 327 del 2001 e sull’individuazione delle relative condizioni di applicabilità delle disposizioni contenute in tale testo unico, con particolare riferimento all’art. 43: - Cass., sez. 1, sentenza n. 18239 del 15 settembre 2005 (Rv. 582762) Sull’applicabilità dell’art. 55 del citato d.P.R. n. 327 del 2001 ai giudizi in tema di espropriazione pendenti al 1° gennaio 1997: - Cass., sez. 1, sentenza n. 16519 del 5 agosto 2005 (Rv. 583717) 44 - Sull’incostituzionalità, per eccesso di delega, dell’art. 34 d. lgs. n. 80 del 1998 prima della sostituzione, per effetto dell’art. 7 della legge n. 205 del 2000 (ne consegue che le cause introdotte nel lasso di tempo tra il 1° luglio 1998 ed il 10 agosto 2000, tornano ad essere soggette al criterio di riparto diritti-interessi): - Cass., sez. un., ordinanza n. 21944 del 22 novembre 2004 (Rv. 578229) - Cass. , sez. un., ordinanza n. 600 del 14 gennaio 2005 (Rv. 579045) - Cass., sez. un., ordinanza n. 8204 del 20 aprile 2005 (Rv. 580313) - Cass., sez. un., ordinanza n. 8209 del 20 aprile 2005 (Rv. 580289) - Sull’incostituzionalità, comunque, dell’art. 34 d. lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, relativamente ai comportamenti in materia di uso del territorio: - Cass., sez. un., sentenza n. 15559 del 17 ottobre 2003 (Rv. 567503) - Cass., sez. un., ordinanza n. 10978 del 9 giugno 2004 (Rv. 573494) - Cass., sez. un., sentenza n. 28517 del 23 dicembre 2005 (Rv. 586383) - Sulla giurisdizione ordinaria riguardo all’azione risarcitoria per occupazione appropriativa, prima dell’entrata in vigore dell’art. 34 d. lgs. n. 80 del 1998: - Cass., sez. un., sentenza n. 23241 del 17 novembre 2005 (Rv. 584175) - Sulla giurisdizione ordinaria riguardo all’azione risarcitoria per occupazione appropriativa, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004: - Cass., sez. un., ordinanza n. 21411 dell’11 novembre 2004 (Rv. 578004) - Cass., sez. un., ordinanza n. 21635 del 16 novembre 2004 (Rv. 578044) - Cass., sez. un., ordinanza n. 22891 del 7 dicembre 2004 (Rv. 578173) - Cass., sez. un., ordinanza n. 386 del 12 gennaio 2005 (Rv. 578557) - Cass., sez. un., ordinanza n. 2198 del 4 febbraio 2005 (Rv. 578976) - Cass., sez. un., ordinanza n. 10962 del 25 maggio 2005 (Rv. 582277) - Cass., sez. un., ordinanza n. 20123 del 18 ottobre 2005 (Rv. 584001) - Cass., sez. un., sentenza n. 28517 del 23 dicembre 2005 (Rv. 586383) - Cass., sez. un., ordinanza n. 9339 del 21 aprile 2006 (Rv. 589888) - Cass., sez. un., ordinanza n. 9343 del 21 aprile 2006 (Rv. 590400) - Cass., sez. un., sentenza n. 10222 del 4 maggio 2006 (Rv. 589270) - Sulla giurisdizione ordinaria, anche indipendentemente dall’art. 34 d. lgs. n. 80 del 1998, in tema di occupazione usurpativa: - Cass., sez. un., ordinanza n. 10978 del 9 giugno 2004 (Rv. 573494) - Cass., sez. un., ordinanza n. 21637 del 16 novembre 2004 (Rv. 578046) - Cass., sez. un., ordinanza n. 600 del 14 gennaio 2005 (Rv. 579045) - Cass., sez. un., ordinanza n. 2198 del 4 febbraio 2005 (Rv. 578976) - Cass., sez. un., ordinanza n. 1207 del 23 gennaio 2006 (Rv. 585789) - Cass., sez. un., ordinanza n. 1373 del 25 gennaio 2006 (Rv. 585788) - Cass., sez. un., ordinanza n. 9343 del 21 aprile 2006 (Rv. 590400) - Cass., sez. un., ordinanza n. 13659 del 13 giugno 2006 (Rv. 589535) - Cass., sez. un., ordinanza n. 13660 del 13 giugno 2006 (Rv. 589538) - Cass., sez. un., sentenza n. 15615 del 10 luglio 2006 (Rv. 590414) - Sulla persistente giurisdizione in tema di risarcimento, ove riconducibile a materia già appartenente alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per effetto di Corte Cost. n. 281 del 2004: - Cass., sez. un., ordinanza n. 21097 del 4 novembre 2004 (Rv. 577945) - Cass., sez. un., ordinanza n. 21710 del 17 novembre 2004 (Rv. 578052) - Cass., sez. un., ordinanza n. 22274 del 26 novembre 2004 (Rv. 578127) - Cass., sez. un., ordinanza n. 732 del 17 gennaio 2005 (Rv. 578540) 45 - Sulla giurisdizione amministrativa in tema di occupazione usurpativa per annullamento della dichiarazione di pubblica utilità: - Cass., sez. un., sentenza n. 13431 del 9 giugno 2006 (Rv. 590062) - Cass., sez. un., ordinanza n. 14842 del 28 giugno 2006 (Rv. 590412) - Sulla recente affermazione dell’appartenenza – sulla scorta del contesto ermeneutico delle sentenze della Corte Costituzionale nn. 204 del 2004 e 191 del 2006 - della giurisdizione al giudice amministrativo delle controversie risarcitorie riconducibili a comportamenti causativi di danno ingiusto che, pur se illegittimi, costituiscano esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi e che, quindi, siano ricollegabili all’esercizio dell’azione della P.A., come nel caso di irreversibile trasformazione del suolo privato, con destinazione dell’opera pubblica, in parte in assenza di decreto di occupazione e in parte durante l’efficacia di tale decreto, ma comunque in presenza di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità: - Cass., sez. un., ordinanza n. 27190 del 20 dicembre 2006 (Rv. 593461) - Cass., sez. un., ordinanza n. 27191 del 20 dicembre 2006 (Rv. 593462) - Cass., sez. un., ordinanza n. 27191 del 20 dicembre 2006 (Rv. 593463) - Cass., sez. un., ordinanza n. 27193 del 20 dicembre 2006 (Rv. 593464) Riferimenti dottrinali (in ordine alfabetico): ANGELETTI A., La responsabilità dell’Amministrazione ed il conflitto tra le Corti, in Resp. civ. e prev., 2006, 1206-1222 BENINI S., La giurisdizione in tema di occupazione illegittime, 2007 ww.espropriazionionline.it BENINI S., L’occupazione appropriativa è proprio da epurare?, in Foro it., 2002, I, 2591-2605 (in nota a Cass., I sez., 29 agosto 2002, n. 12650) BENINI S., nota redaz. a Corte Cost. 28 luglio 2004, n. 281 e a Corte Cost. 6 luglio 2004, n. 204, in Foro it., 2004, I, 2596-2598 BONATTI S., Il crepuscolo dell’occupazione acquisitiva, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario 2000, I, 2591 e segg. 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