Il desiderio di un figlio, il diritto d`amare

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la Repubblica DOMENICA 13 APRILE 2014
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Il desiderio di un figlio, il diritto d’amare
aro Augias, l’8 settembre 2004 il ministro della Salute Girolamo Sirchia gioì perché in Italia era riuscito il trapianto di
cellule staminali dal cordone ombelicale di due gemellini — il cui embrione era stato selezionato perché sano — e
destinate a un altro fratellino malato di talassemia. Scoppiò una polemica, perché la selezione era vietata in Italia e
infatti i genitori l’avevano ottenuta in Turchia. Il ministro Stefania Prestigiacomo, si attivò dichiarando che la legge 40
sulla procreazione assistita andava cambiata perché «ideologica e non liberale», introducendo la diagnosi preimpianto e
la fecondazione eterologa. Non è mai stato fatto. Da allora numerose sentenze hanno ridotto in brandelli la legge 40:
ultima quella della Consulta dell’8 aprile. Allora e oggi l’on. Carlo Giovanardi si è distinto: allora evocando l’eugenetica e
oggi definendo la sentenza della Corte «un altro colpo alla democrazia italiana, perché un organo formato da 15 signori
“con le loro idee” rende vana una legge approvata dal Parlamento e confermata da un referendum». Sic. Non sappiamo se
Giovanardi si ritenga o no «idelogico e non liberale», sappiamo che Prestigiacomo conosce meglio la Costituzione.
C
Giovanni Moschini — [email protected]
CORRADO AUGIAS
[email protected]
Twitter @corradoaugias
l commento del deputato Giovanardi non è nemmeno il peggiore alla sentenza della Corte Costituzionale che permette,
come nel resto del mondo civile, la fecondazione eterologa ovvero con seme o ovociti presi fuori dalla coppia. Il cardinale Ruini, che nel 2005 arrivò a violare la legge elettorale pur di far fallire il referendum, ha detto: «Non esiste un “diritto al figlio” perché il figlio è una persona e come tale non è disponibile». Belle parole ma senza senso.
Mi chiede il signor Attilio Doni ([email protected]): « Se
non esiste un diritto al figlio, allora bisognerebbe negare
qualsiasi aiuto a chiunque per un motivo o un altro non possa averne. Ma perché parlare di diritto e non di amore, desiderio di avere un figlio per crescerlo ed amarlo?». Già, per-
I
ché? Altri hanno paventato il commercio di gameti, di uteri
e altre sciagure. È possibile che ciò accada, come del resto accade oggi, come accadeva con gli aborti clandestini quando
non c’era la possibilità di farli legalmente. Si dovrà studiare
il modo di scoraggiare queste pratiche. Non c’è quasi attività
umana che non possa essere piegata a interessi illeciti o impropri; le leggi servono appunto a ridurre (eliminare è impossibile) tali rischi. A chi appartenga il Dna di un individuo
non ha rilevanza pubblica, se un coppia desidera un figlio non
si vede perché lo Stato debba proibirgli di averlo. Nascono
tanti bambini non voluti, solo per un “incidente”, perché costringere ad andare in Turchia chi un figlio lo vuole per desiderio d’amore?
Il mio cane aggredito
IL CODICE DELLA MEZZA MAFIA
<SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
FRANCESCO MERLO
ELL'UTRI voleva godersela nella Beirut a 5 stelle, con carte di credito e telefonino, e
non infilarsi nella botola dei mafiosi veri come il Malpassoto e Provenzano, e neppure in un'altra vita comeBuscetta e forse Matteo Messina Denaro.
La mezza mafia, nel codice penale, si chiama concorso esterno. Prima che un reato
è un'antropologia fatta di mafiosità (che è diversa dalla mafia) e di narcisismo. Dell'Utri è di
quelli che si mettono in posa con i libri al posto delle pupe, e ora la sua fuga è sgangherata come i diari finti di Mussolini che storici autorevoli accreditarono mentre il mezzamafia li definiva «presunti veri» con il sigaro della sbruffoneria al posto della cicoria di Provenzano.
E fu presunzione da mezza mafia ridurre il boss Mangano a corpo scelto di Silvio e poi dirgli al telefono: Berlusconi «non suda», non sgancia. Pensava di prendere a servizio la mafia
senza mettersene a servizio, credeva di avere più corna del diavolo. Raffaele Lombardo, per
esempio, governava con l'antimafia a Palermo mentre a Catania trafficava (dall'esterno) con
la mafia sempre esibendo un sicilianismo fatto di baffi, riportino e “sgruscio di carrettu”. L'antropologia da mezza mafia è la stessa di Cuffaro che, dopo l'orgia di baci e di cannoli, teneramente fu l'unico ad infilarsi in carcere.
Ed è quella di Mannino, che esibiva il latino e
il greco come prezzo che il vizio paga alla
virtù: è stato assolto perché l'antropologia
non esclude l'innocenza penale.
Solo in Dell'Utri la mezza mafia diventa
paradigmatica , a partire dal gessato e dalla
scriminatura “come te l'aspetti”, l'incedere
con la spalla “sciddicata”, gli odori di barbiere - allume, Prep e Floid - e quel parlargli all'orecchio e il suo rispondere a occhiate che da
“Fortunato al Pantheon”, tra Pera, Previti,
Verdini, Jannuzzi e Micciché, lo rendevano
capotavola di un tavolo rotondo: tutti gli occhi a lui mentre Fortunato (buonanima)
grattava una razione doppia di tartufo al predatore alfa. Finché arrivava Silvio e, per stare al gioco, gli faceva il baciamano e lo chiamava “don Dell'Utro” .
Nessuno ha mai capito chi, tra loro, era il
doppio, chi il servo e chi il padrone, ma solo
che l'uno era l'autenticità dell'altro. L'uno
portava “la Sicilia come metodo”, la sostanza
di un “saperci fare”, e l'altro lo copriva d'oro
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