UNIVERSITÀ DI ROMA TRE Roma, 22-23 ottobre 2008 200 ANNI FAUST Convegno internazionale In collaborazione con la Libera Università San Pio V, Casa di Goethe, Roma e Goethe-Institut Rom Interventi: Achom Auernhammer, Freiburg im B.; Paolo d’Angelo, Roma Tre; Matilde de Pasquale, San Pio V; Giorgio de Vincenti, Roma Tre; Francesco Fiorentino, Roma Tre; Wernedr Frick, Freiburg im B.; Christine Maillard, Strasbourg; Elio Matassi, Roma Tre; Gianluca Paolucci, Università di Cassino; Terence Jim Reed, Oxford; Gilberto Sacerdoti, Roma Tre; Giovanni Sampaolo, Roma Tre; Marisa Siguan, Barcelona. A cura di Marino Freschi, Università di Roma Tre Nel 1808 Goethe pubblicava Faust der Tragödie erster Theil con cui concludeva la prima grande parte del suo capolavoro, cui aveva cominciato a lavorare già negli anni giovanili, come risulta da numerose tracce nelle lettere. In realtà lo scrittore aveva già cominciato a lavorare alla seconda parte che concluse pochi mesi prima di morire – nel luglio del 1831 – e che destinò alla pubblicazione solo dopo la sua morte. Ma il Faust conosciuto, letto e ammirato è soprattutto quello del 1808, che riprende il Fragment del 1790 e la stesura giovanile – l’Urfaust. Il dramma goethiano s’inserisce organicamente nell’alveo della tradizione del mito, quello inaugurato dal Faustbuch – Historia von D. Johann Fausten – del 1587 e poi ripreso creativamente da Marlowe già nel 1592-3 con The historie of the damnable life and deserued death of Doctor Iohn Faustus. E il mito del mago umanista continuò a prosperare nella letteratura europea e sulle scene, riprendendo proprio con Goethe tutto il suo trascinante travolgente fascino spirituale e drammatico, identificando uno dei grandi topoi della modernità: la nostalgia di onnipotenza e il senso d’impotenza dell’uomo. Dopo Goethe la fortuna del Faust non conosce più interruzioni con sempre nuove opere poetiche, teatrali e musicali che s’ispirano al capolavoro goethiano e al mito del mago. Goethe, che già nella sua fase str_meriana aveva individuato nella figura titanica del dottore umanista e mago uno dei simboli della poetica del Genie, tornò a lavorare al dramma-poema a Roma, quando comprese la sua vera e principale vocazione nella poesia. La forza simbolica del riconoscimento della sua missione più autentica consiste nel fatto che proprio a Roma, nel 1786-1788, Goethe superò quella profonda crisi creatrice che l’aveva bloccato nei precedenti 11 anni al servizio del duca di Weimar, ricoprendo le principali cariche politiche fino a diventare primo ministro. Ma quegli anni durante i quali aveva saputo dimostrare a se stesso straordinarie capacità di uomo pubblico, avevano limitato la sua attività poetica. Inoltre l’amore, morbosamente intenso, ma ormai sterile, per Charlotte von Stein, l’aveva frustrato. Quindi: la fuga in segreto il 3 settembre del 1786 versola città dei suoi sogni, Roma. E qui tira fuori dal sacco di viaggio l’abbozzo di una confusissima creazione giovanile: il Faust, da anni interrotto, ma mai dimenticato. In una giornata di sole a Villa Borghese, scrive di nuovo e scrive la scena più gotica, più germanica di tutta la tragedia: la Cucina della strega, dove il protagonista del dramma intravede tramite il filtro magico ElenaMargherita,«la più stupenda immagine di donna, … il compendio di ogni cielo». E da quella magica e divina visione riparte il viaggio di Faust dalla terra al cielo. Un itinerario che ha ispirato per tutta la vita Goethe e dopo di lui tanti altri artisti, musicisti, filosofi di tutto l’Occidente, poiché Faust incarna l’estrema sintesi del sogno occidentale di potenza, di eros, di dominio e infine di spiritualità attraverso il riconoscimento della necessità della prassi, dell’azione, della vita nel proprio tempo per i propri simili. Per ritrovare questo equilibrio Goethe doveva venire a Roma, amare l’arte e Faustina, la giovane romana che lo iniziò all’eros maturo, per divenire così ciò che principalmente era: poeta. È da questo superamento della crisi più profonda che sorge – o risorge – il Faust per riprendere nuova vita e tramutarsi prima nel Fragment e infine – anche in virtù del fecondo sodalizio con Schiller – nel Faust del 1808, che possiamo considerare come un’opera «archetipa» della successiva civiltà intellettuale e artistica europea, come confermano i tanti «Fausti» presenti in ogni ambito di letterature nazionali. Il convegno vuole ripercorrere sia l’identità del capolavoro goethiano in una prospettiva di coralità, per cui il dramma di Goethe è il culmine di un lunghissimo percorso drammaturgico e poetico e allo stesso tempo il segnale di una nuova spiritualità, non ancora esaurita, che conta voci straordinarie, da Nerval a Valéry, da Heine a Lenau, Spengler a Thomas Mann, da Bulgakov a Durrell, da Liszt a Boito, da Mahler a Busoni. Il nucleo intimo di quella nostalgia di totalità, d’onnipotenza, quella incandescente libido sciendi, quell’eros straripante, romantico e titanico, identificano Faust e l’uomo faustiano, che costituisce ancora tanta parte dell’antropologia della contemporaneità e che oggi con la sperimentazione genetica ritorna prepotentemente a occupare l’orizzonte spiritale dell’Occidente.