ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Catalogo a cura della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche – Servizio comunicazione e iniziative culturali. Comitato Scientifico: Mario Lolli Ghetti, Luciano Garella, Maria Luisa Polichetti, Alba Macripò, Edvige Percossi, Eugenio Galdieri. Comitato redazione catalogo: Alba Macripò, Edvige Percossi, Stefano Cesarini, Moreno Farina, Francesco Bravi, Paolo Canullo. Referenze fotografiche: Archivio Fotografico Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Marche, Stefano Cesarini, Francesco Bravi, Carlo Campelli, Paolo Canullo. Documentazione archivi: Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Marche. Progetto grafico e stampa: Tecnostampa di Recanati Mostra organizzata in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2005: Rocca Roveresca di Senigallia 24 settembre – 30 ottobre 2005 Enti promotori: Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Marche Comune di Senigallia – Assessorato alla Cultura Comitato scientifico: Mario Lolli Ghetti, Luciano Garella, Maria Luisa Polichetti, Alba Macripò, Edvige Percossi, Eugenio Galdieri, Ada Antonietti, Remo Morpurgo Comitato organizzatore: Alba Macripò, Alberto Pugliese, Museo di Storia della Mezzadria “Sergio Anselmi” - Senigallia, Stefano Cesarini, Moreno Farina, Francesco Bravi, Carlo Campelli, Paolo Canullo Referenze fotografiche e archivistiche: Archivi Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Marche, Stefano Cesarini, Francesco Bravi, Carlo Campelli, Paolo Canullo Progetto allestimento di: Alberto Pugliese, Moreno Farina; collaborazione di Gianfranco Gasparetti Si ringrazia tutto il personale della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche che ha contribuito alla realizzazione dell’iniziativa; in particolare si ringraziano per la fattiva collaborazione Marina e Michela Mengarelli, Tiziana Pierantoni ed il personale in servizio presso la Rocca Roveresca. Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Edizioni Tecnostampa Indice Presentazione Mario Lolli Ghetti Studi e ricerche Considerazioni introduttive al problema della conservazione e tutela dei manufatti architettonici in terra Luciano Garella pag. 9 Tecniche, metodi di conservazione e restauro dei manufatti architettonici di terra Eugenio Galdieri pag. 11 La casa di terra nelle Marche Maria Luisa Polichetti pag. 17 La casa Perlini-Santini di Ostra Vetere (AN) La prima tutela di una casa di terra Alberto Pugliese pag. 21 La casa Perlini-Santini di Ostra Vetere (AN) L’intervento di restauro (1988-1992) Stefano Cesarini pag. 25 Monteroberto (AN)-La casa di terra e paglia in via Ponte Magno. L’intervento di restauro conservativo Alessandra Pacheco pag. 31 I lavori della Commissione Tecnica e le Linee Guida per le redazione del piano di recupero di Villa Ficana Pierluigi Salvati pag. 35 Censimento e catalogazione delle architetture di terra nella regione Marche Francesco Bravi, Paolo Canullo pag. 45 Provincia di Macerata pag. 55 Provincia di Ascoli Piceno pag. 151 Provincia di Ancona pag. 247 Provincia di Pesaro-Urbino pag. 273 Tutela e Conservazione Censimento e catalogazione Bibliografia di riferimento pag. 285 Presentazione Architetture di terra nelle Marche Quando si parla di architettura di terra, l’immaginazione corre subito a rappresentare paesaggi lontani, caratterizzati da costruzioni realizzate in materiali dai nomi stravaganti come pisè, adobe, chinè. In Africa o in Oriente, infatti, gli amalgami di terra, acqua, paglia e rari inerti, seccati al fortissimo sole locale, sono consueti e di norma. Immediatamente ci vengono in mente le vedute dei Tell mesopotamici, grandi colline di terra dilavata che si sono formate a causa dell’accumulo e dalla stratificazione di successive fasi insediative, spesso risalenti ad epoche molto remote, ritornate plasticamente alla natura dopo l’abbandono dell’uomo. Un ritorno che il viaggiatore occidentale, sopraffatto dall’invadenza del cemento e delle tecnologie costruttive dure anche in ambienti paesaggistici di pregio, invidia fortemente, riflettendo al contrario sull’antinaturalistico sfacelo delle nostre architetture “moderne”. Queste indubbiamente invecchiano assai male e senza nessuna possibilità di restituzione dei loro materiali alla terra. Come potranno mai essere metabolizzati il cemento armato e i suoi ferri rugginosi, la plastica invadente, il vetro, l’alluminio o i nuovi materiali sintetici sempre più avveniristici e sempre meno naturali? Quanta invidia di conseguenza per la morbida morte degli impasti di terra e quanta ammirazione per le dolci forme organiche, modellate dagli intonaci protettivi, che caratterizzano questa particolare architettura, così intelligentemente concepita per sfruttare al meglio le risorse locali e i materiali disponibili, ottenendo al contempo i risultati più efficaci. Infatti, accanto alle realizzazioni in impasto di terra dentro cassoni, meno duttili, l’ingegnosità dell’uomo ha da millenni sviluppato la tecnologia modulare del mattone crudo (terra impastata, semplicemente seccata al sole) che consente di realizzare strutture più complesse e permette soprattutto di impostare le volte, come già gli antichissimi esempi delle lunghe volte a botte inclinate dei magazzini dei santuari a Luxor in Egitto ci dimostrano. Tutto questo lo immaginiamo in un remoto ed esotico “Altrove”. In Italia, paese di grandi architetture di astratta e matematica perfezione e di elaborata e ricchissima realizzazione, pensiamo e siamo abituati a credere che le costruzioni siano tutte realizzate in marmo, in pietra, o in bei mattoni cotti. Pochissimi sanno invece che anche da noi l’utilizzazione del mattone crudo, se pur limitata a costruzioni di un più modesto impegno, ebbe una notevole diffusione, grazie alla sua economicità ed alle buone prestazioni offerte, in particolare dal punto di vista dell’isolamento termico. Ovviamente si tratta quasi esclusivamente della costruzione di muri di recinzione, di edifici rurali o di residenze per i ceti meno abbienti, non prestandosi il crudo, nelle condizioni climatiche italiane, alle realizzazioni di strutture complesse ed elaborate. La difficoltà di manutenzione e l’industrializzazione, con la conseguente facilità di reperire a costo inferiore laterizi forati di migliori qualità meccaniche e di simili caratteristiche d’isolamento termico, hanno determinato, quasi dovunque in Italia, l’ab- ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE bandono di questa tradizione costruttiva. Inoltre per la sua buona conservazione è necessario un costante e oneroso rifacimento degli intonaci, dal momento che il mattone crudo, privo di protezione superficiale, non può resistere all’azione disgregatrice delle acque meteoriche da noi così frequenti. E’ perciò molto importante procedere alla ricognizione ed al censimento delle strutture ancora superstiti, provvedendo a tutelarle adeguatamente e, ove possibile, a recuperarle in quanto significativa testimonianza della nostra identità culturale. Quasi inaspettatamente le Marche hanno rivelato una considerevole quantità di costruzioni in “ terra” e molto meritoriamente l’Università, la Regione e le Istituzioni locali si sono dedicate allo studio degli esempi più significativi, producendo anche delle interessanti pubblicazioni specifiche. Da parte sua la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Marche, già pioniera in tale settore con un vincolo degli anni ’80 su di una casa ad Ostra Vetere (AN), ha provveduto recentemente a tutelare un settore omogeneo del centro storico di Macerata, il quartiere Villa Ficana, quasi interamente costruito in terra; tale vincolo può risultare quanto mai opportuno e necessario perché offre ai proprietari incentivi ed aiuti d’ ordine economico e fiscale per la conservazione dei loro beni. Affiancando l’azione di tutela viene oggi ben volentieri pubblicato questo volume sull’ “Architettura di terra nelle Marche” che raccoglie in forma completa e dettagliata la schedatura capillare di tutte le presenze realizzate in crudo nella regione, ordinate per tipologie, tesi di laurea di due attenti studenti della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, Francesco Bravi e Paolo Canullo. Si vuole in tal modo confermare una volta di più il mai sufficientemente affermato assioma che non esiste tutela e conservazione senza conoscenza preventiva. Mario Lolli Ghetti Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche Considerazioni introduttive al problema della conservazione e tutela dei manufatti architettonici in terra Luciano Garella Si giunge ad illustrare gli esiti di un’esperienza cognitiva e di valorizzazione che ha visto e vede come attori, ciascuno per i profili di competenza, Università ed Istituzioni. Il testo si propone infatti di raccogliere in modo articolato e con sufficiente completezza gli esiti di un lavoro comune fatto relativamente alle e per le “case di terra”. Atteso che già da tempo si è superato, anche facendo riferimento a studi ed esperienze condotti in altri ambiti territoriali, il concetto di “casa di terra” come elemento “provvisorio”, affetto per la sua stessa matericità da fisica deperibilità, era necessario procedere in tale fase ad un’approfondita indagine che consentisse una catalogazione, la più completa possibile, di questo particolare tipo di manufatti. Tale censimento, la cui illustrazione costituisce quindi la parte centrale, sicuramente la più ponderosa, consente dunque di avere un quadro sufficientemente attendibile sia del valore numerico che della densità sul territorio di questo genere di fabbriche. Il lavoro condotto con la sistematica illustrazione delle tipologie così come delle tecniche costruttive impiegate si evidenzia come un contributo fondamentale per la promozione dell’attività di tutela che è tra i compiti precipui dell’attività della Soprintendenza. D’altronde la “conoscenza” del bene culturale, intesa questa come sua individuazione e localizzazione, è il primo e fondamentale momento per l’accertamento delle peculiari caratteristiche monumentali, presupposto questo per l’avvio delle procedure del riconoscimento dell’importante interesse. In questa specifica fattispecie non può comunque essere sottaciuta, nel procedimento ricognitivo del bene culturale da sottoporre a tutela, la necessità di salvaguardare delle “case di terra” la specificità paesaggistica così come il loro valore di “memoria” vuoi di un periodo storico vuoi di una tradizione, quella “contadina”, di cui ancora il territorio marchigiano è fortemente esemplificativo e rappresentativo. L’accresciuta sensibilità delle Amministrazioni Comunali al rispetto ed alla salvaguardia di questo patrimonio edilizio “minore”, usando un termine abusato ed anche piuttosto datato, ha portato come nel caso del quartiere Ficana a Macerata all’individuazione di procedure nel campo dell’urbanistica finalizzate al recupero di questo genere di costruzioni. Alla salvaguardia di tipo urbanistico si è fatta seguire l’elaborazione di un progetto di restauro dell’agglomerato urbano; il progetto redatto anche con il contributo dei rappresentanti degli enti interessati ivi compresi quelli della Soprintendenza, di cui a breve si attende la concreta attuazione, è consapevolmente ispirato, indipendentemente dal valore intrinseco del manufatto, ai principi del “restauro conservativo”. In termini di assoluta concretezza questa circostanza fattuale viene a dimostrare dunque come la cooperazione tra le Amministrazioni statali e locali riesca a promuovere ed a conseguire la salvaguardia di porzioni e/o elementi caratteristici della città e del suburbio con il dichiarato intento di proteggere quegli “interessi pubblici diffusi che sono elemento connotativo dell’azione di “governo” del territorio. Nel fare riferimento ai principi informatori, per così dire, del “restauro conservativo” non può essere sottaciuto il valore che nell’attuazione del progetto assume la parte o 9 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE fase di sperimentazione. Come noto infatti l’evoluzione dei prodotti o delle tecnologie da impiegarsi nel restauro monumentale, unita ad una puntuale applicazione delle tecniche costruttive ed esecutive proprie del cantiere “storico”, determinano il formarsi e consolidarsi di un’esperienza che troverà poi nelle successive concrete realizzazioni la propria migliore verifica. In tal senso non si può in questa breve notazione non fare riferimento agli sforzi operati, finalizzati all’individuazione delle migliori tecniche operative, sia nell’elaborazione del progetto per Ficana sia negli altri casi, tra i quali rammentiamo quello della casa Perlini-Santini di Ostra Vetere (AN) del 1988-1992 e quello della “casa di terra” in comune di Monteroberto (AN), 2002-2004. Questi interventi, eseguiti direttamente dalla Soprintendenza, proprio per il fatto di essere stati realizzati alcuni anni orsono, si evidenziano come un contributo, e non trascurabile, per l’individuazione delle problematiche del recupero e/o del restauro di una “casa di terra” così come, e questo sarà un monito ed un limite ma per sempre elemento di stimolo per tutti noi “operatori del settore”, a considerare come non si possa prescindere, una volta effettuato l’intervento, dall’affrontare le problematiche di una periodica manutenzione. 10 Tecniche, metodi di conservazione e restauro dei manufatti architettonici di terra Da oltre vent’anni, il rinnovato interesse del pubblico italiano, dei cultori della materia e delle autorità ha favorito il nascere e il proliferare di una imponente bibliografia sul tema dell’architettura di terra, sino ad allora limitata a pochi titoli. Curiosa più che sistematica, folkloristica più che di matrice antropologica o socio-economica, la letteratura italiana su questa particolare tecnica costruttiva (e intendo la letteratura attenta ed impegnata) poteva contare e riconoscersi -a mio parere- in due soli scritti, differenti per impostazione e finalità ma entrambi di ampio respiro. Un breve saggio, poco più di un appunto e nato in ambito archeologico, nel quale l’Autore -un “cultore”- si chiedeva (o meglio, chiedeva ai suoi amici Archeologi) se quel fastidioso ingombro che i diari di scavo delle mura di Arezzo riportavano come anomala e inspiegabile “coltre di polvere rossa” al di sopra del piano fondale, non dovesse invece, molto semplicemente, attribuirsi al disfacimento delle murature di quella terra argillosa già nota per il suo vivace e caratteristico colore (Sordini G., “Dei mattoni crudi nelle costruzioni degli etruschi”, Vetulonia, studi e ricerche, Spoleto 1894, pp.103-115). Siamo alla fine del XIX secolo! Questa intuizione (questa lezione) servì certamente a portare chiarezza nei molti dubbi sulle scomparse costruzioni civili etrusche; ma non fu sufficiente a salvare, quasi un secolo più tardi (circa 1980), buona parte delle mura di abitazioni poste casualmente in luce entro la fase etrusca dell’abitato di Roselle (GR). I resti di quelle mura di grossi mattoni di terra, che erano state frettolosamente giudicati come semplici colate di fango rappreso (sic!) furono quindi eliminati a colpi di bulldozer…. Nel 1958, esce un ben documentato saggio nel quale l’Autore (un geologo) tenta, con grande successo, di fare un censimento delle aree italiane nelle quali, all’epoca, una tecnica antichissima era assurta a vera tradizione costruttiva. Come onestamente dichiara già nel titolo, gli interessa l’aspetto umano e sociale, quindi il sano rapporto con la natura e le sue risorse geologiche, più che il prodotto edilizio in quanto tale (Baldacci O, “l’ambiente geografico delle case di terra in Italia”, Studi in onore di Eugenio Galdieri R. Biasutti, supplemento al volume LXV della Rivista Geografica Italiana, Firenze 1958, pp.13-43). È significativo (anche se un pò avvilente per noi) che in entrambi i casi queste utili e illuminanti osservazioni ci siano venute non da architetti o da storici dell’architettura bensì da archeologi curiosi o da geologi, individuando e separando, in tal modo, i due filoni tematici della nostra architettura in terra cruda: la medesima tecnica nella remota antichità e nel presente. Ma già il Baldacci, ricordando (per confutarla violentemente) l’odiosa equazione, al tempo ancora viva, di casa di terra (di “fango”, in questo caso) eguale a casa di indigenti, sottolineava il fatto che la scomparsa di moltissime di quelle abitazioni si dovesse attribuire più al senso di vergogna sociale (quindi al loro lento ed inesorabile abbandono) che ad una intrinseca povertà e fragilità del materiale costruttivo. La controprova del suo assunto veniva individuata infatti nei Campidani di Sardegna, laddove la tradizione della terra come materia prima per l’edilizia non si era mai spenta e che in buona parte aveva saputo resistere -per mezzo di una minima ma costante manutenzione- persino alla massiccia invasione del mattone cotto, dei laterizi forati e del cemento armato dell’immediato dopoguerra. Mi sembra opportuno ricordare che di quella medesima vergogna sociale (riscontrata in Italia e così dura a morire) fu vittima illustre anche il noto architetto egiziano Hasan Fathy: tutti sanno della sua delusione -umana e professionale- nel veder rifiutata dagli abitanti la sua Gurna al-Jadìda (la “nouvelle Gourna”), il grande progetto realizzato dallo Stato, nel quale aveva voluto e saputo coniugare tradizione locale e comfort moderno. I futuri e mancati abitanti avevano infatti letto nella riproposizione di quei modelli soltanto un essere ricacciati nella indigenza del passato. Paradossalmente, la delusione portò Hasan Fathy a continuare a progettare costruzioni di terra come avevano fatto per millenni i suoi antenati, ma esclusivamente per committenti straricchi… Siamo così arrivati ai temi che mi sono stati affidati. Temi che meriterebbero ovviamente tempi, spazi ed esemplificazioni ben maggiori di quanto si possa 11 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE fare qui, nell’ambito della presentazione di un benemerito censimento. Da una parte molte delle pubblicazioni degli ultimi anni -alle quali ho già accennato- sono dedicate proprio agli aspetti tecnici e operativi del costruire con la terra e quindi le mie parole corrono il rischio di essere inutilmente ripetitive. Dall’altra, i progressi registrati di recente nella conoscenza dell’edilizia di terra in Italia hanno moltiplicato il numero delle persone cui è già toccata l’occasione di misurarsi con i problemi del riparare, consolidare, rifare quelle strutture. Ma poiché il presente censimento nella realtà dell’area marchigiana accrescerà sicuramente le opportunità di intervento e quindi la necessità di ricostruire -quasi da zero- un saper fare ormai dimenticato, proverò ugualmente a sintetizzare i dati di base della tecnica. Il materiale. In linea di principio, qualunque terra (ma non l’humus) costituita in massima parte da sabbie di varia natura, leggermente argillose e ricche (di natura) di leganti diversi (i cosiddetti materiali colloidali), può costituire materiale da costruzione, a patto che anche le malte (intese come allettamento e collegamento di moduli ma anche come intonaco protettivo) adoperino il medesimo impasto. Appare subito chiaro (ma non è altrettanto percepito) che l’effettiva presenza di un tale mix naturale -e in quantità tali da garantire approvvigionamento sufficiente- è strettamente legato alla realtà geologica del sito ove si intenda costruire. Se la vicinanza della materia prima al luogo di impiego è stata da sempre un elemento altamente condizionante, nel caso della terra cruda (che fino ad alcuni decenni orsono era realmente a costo zero) diviene addirittura conditio sine qua non . La natura geologica dell’area, la compresenza di rocce pelitiche e di corsi d’acqua lenti e tali da favorire lo sbriciolamento e il successivo deposito, fanno quindi la differenza. I tentativi che oggi si stanno moltiplicando nei laboratori per analizzare e modificare con ogni possibile additivo natura e composizione delle terre sino a creare impasti “a prova di bomba”, esulano a mio parere dal tema attuale (non me ne vergogno: recen- 12 temente mi hanno dato del…taliban della terra cruda) e riguardano, semmai, un possibile ma arduo “futuro” di costruzioni che usino anche la terra ma che contemporaneamente rinuncino ad alcuni suoi pregi naturali. Va ricordato anche che gli impasti di terra sono assolutamente inerti dal punto di vista chimico: gli eventuali additivi possono quindi essere rivolti a migliorarne solo il comportamento meccanico. Per terminare, un brevissimo accenno ad alcuni pregi della terra cruda; pregi che oggi l’hanno fatta entrare, a pieno titolo, nel mondo della bio-architettura. Parlo della straordinaria inerzia termica che si traduce in grande potere coibente (a costo zero) e nella capacità di autoregolazione dell’umidità interna che si traduce in un sano comfort abitativo. Parlo anche della capacità di opporsi a buona parte degli effetti nocivi delle onnipresenti radiazioni ionizzanti come il Radon. Le tecniche costruttive. Sostanzialmente, l’antichissima tecnica della terra cruda si basa esclusivamente sulla possibilità di creare un soddisfacente impasto con il materiale che è “sotto i piedi” del costruttore. In termini storici oggi le cose sono fin troppo mutate- la tecnica ha la grande caratteristica, quasi unica, di essere assolutamente “immediata”, ovvero “priva di mediazione”. Il cliente/committente/esecutore, magari insieme alla sua famiglia, scava, impasta, modella, erige le mura della sua casa. Non ha bisogno dell’architetto né dell’impresario per individuare le proprie varie necessità e i mezzi per concretizzarle. Ne discende una seconda caratteristica: è uno dei più antichi esempi di auto-costruzione, nel senso anche sociale del termine: con la famiglia apprende e raffina la tecnica, ne fa tesoro, la trasmette ai suoi vicini cui chiede quell’aiuto che ricambierà a sua volta, in un’altra occasione. Costruire la propria casa diviene quindi un evento, un rito collettivo ma concreto, di grande valore sociale. Costruirci sopra un grande business è invece cosa recente, a mio parere legata al grande boom verificatosi negli Stati Uniti verso gli anni ’70 del secolo scorso. Una costosa moda passeggera, si dirà. Ma ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE una moda che si riallacciava facilmente (e lecitamente, malgrado i costi da villa high-tech ) all’antica tradizione locale dei pueblos e che, nella ventina di anni della propria durata, ha mosso risorse impensabili a livello locale, dal campo immobiliare e imprenditoriale sino a quello degli interiors e quindi ai mobili, alle stoffe, agli accessori, alle piante, al do it yourself . Per divenire muro e creare spazio, l’impasto-base (al quale può essere aggiunto un materiale in funzione di anti-ritiro, come la paglia, la pula di riso, il pelo di capra ecc.) può essere impiegato in pochi tipi fondamentali e molte varianti locali: non è qui il caso di fornire una graduatoria temporale dei vari sistemi; basterà sapere che l’impasto può essere compresso e pestato -quasi asciutto- entro una cassaforma lignea (a volte di bambù) con l’aiuto di un mazzuolo di circa 5 kg: è il pisé, voce francese dal latino pinsere, cioè pestare. Un impasto più umido e malleabile, spalmato entro micro-cassaforme o moduli, può costituire veri e propri mattoni o blocchi (a seconda della proporzione tra le tre dimensioni), da porre in opera e legare come qualsiasi tipo di laterizio o manufatto edilizio: tali moduli hanno nomi molto diversi (in Italia addirittura variano da un paese all’altro) ma che per convenzione internazionale non scritta chiamiamo ormai adobe, voce spagnola ma derivata dalla mediazione araba di un prestito egizio: e tutte rappresentano una “palla”, un “grumo”: dalla pagnotta alla palla da cannone. L’impasto del chinè, una voce persiana, è simile a quello del pisé, e viene usato soprattutto nelle fondazioni e solo raramente in elevato. Un altro tipo di impasto, molto diffuso nell’Italia centrale e quindi anche nella Marche, è il massone o maltone: è molto plastico, tanto da poter essere posto in opera, sempre per filari come nel caso del pisé , ma sotto forma di grossi grumi o “palate”, accostati e plasmati direttamente sul posto, con le mani. Si avvicina molto alle tecniche di posa usate sia in Africa sia nell’intera penisola araba. Nel massone la percentuale di paglia presente nell’impasto è di gran lunga maggiore e la paglia stessa non è triturata come negli altri casi e poiché tende a sporgere dai grumi, sia la paglia sia gli impasti devono essere rasati e rifilati poco dopo loro posa. Metodi di conservazione. Ho già accennato alla necessità di una attenta manutenzione, base indiscutibile di ogni speranza di conservazione. Sappiamo tutti che non esiste ancora un materiale edilizio (e non solo) che non necessiti, sia pure con ritmi e qualità differenti, di quell’attenzione permanente e di quei modesti ma costanti interventi riparatorii che chiamiamo manutenzione. Non si comprende quindi perché, nell’attuale riproposizione delle tecniche della terra cruda, la manutenzione delle case di terra sia presentata come un qualcosa di eccezionale o di particolare specificità, diversa cioè da quella dei materiali cosiddetti normali. Non è di oggi il detto secondo cui una casa di terra deve avere ” un cappello a larghe falde e scarpe asciutte”. E l’uomo, nei limiti del possibile, ha provveduto la sua casa di un tetto ben sporgente e di basamenti in pietrame vivo, tali da impedire o ritardare la risalita dell’acqua del suolo. E in che cosa sta la differenza? In quanto alla protezione delle pareti esterne, oltre alla difesa passiva assunta dalle falde del tetto, è appena il caso di ricordare (di ripetere) che anche l’intonaco esterno deve sempre essere del medesimo impasto: un intonaco più tenace avrebbe sulle murature un immediato e pericoloso effetto di strappo (un fastidioso peeling edilizio), mentre un intonaco più debole costituirebbe nient’altro che una costosa superficie di sacrificio. Ma va ricordato che molti edifici ottocenteschi ancora oggi esistenti nel Dauphiné , una delle regioni più piovose di Francia, furono costruiti in pisé ma privi di qualsiasi intonaco. Se dalla manutenzione (ordinaria) si passa ad una fase di conservazione (almeno come oggi si deve intendere), le cose non cambiano molto, a patto che si rispetti il materiale specifico, nei limiti delle sue caratteristiche naturali. Qui non si tratta più di essere, o meno, dei taliban: le caratteristiche della terra cruda ne fanno un elemento vivo, sia pure molto variabile e composito, ma che purtroppo soffre di parecchie allergie: la peggiore si manifesta 13 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE come reazione ad ogni tentativo di farle cambiare natura, di imbastardirla, di piegarla a comportamenti per i quali non è nata, avendo già dato ampie prove di durata e di saper resistere ad offese forse più gravi ma sempre nell’ambito naturale: la pioggia, il sole, la neve, gli incendi, i terremoti. Sì, anche i terremoti. È dramma recentissimo il sisma che ha distrutto quasi completamente la cittadella di Bam, in Iran, totalmente edificata in terra cruda. Ma se analizziamo le caratteristiche anomale e l’intensità del sisma e confrontiamo i danni spaventosi subiti dalla cittadella con quelli registrati nella “città nuova”, dove la scossa tellurica ha imparzialmente polverizzato, oltre a decine di migliaia di esseri umani, edifici in terra, in laterizio, in cemento armato o in ossatura metallica, è difficile accusare di eccesso di fragilità le costruzioni della cittadella. Con una aggravante: nei primissimi nano-secondi del sisma, tutte le parti “restaurate”, modificate o aggiunte negli ultimi trent’anni sono letteralmente esplose e in qualche caso -complice la particolare orografia- hanno innescato un effetto dòmino su strutture murarie vicine, più antiche e forse meglio costruite. Un esempio, quello di Bam, che deve far riflettere -e con molta prudenza- anche sull’ultimo dei temi proposti: quello del restauro. Il restauro (conservativo). Come e più che nel caso di altri materiali costruttivi, nell’intervento conservativo su opere di edilizia realizzate con la terra cruda dobbiamo preliminarmente rispondere ad una serie di domande-chiave: Di che cosa, in quella particolare testimonianza, intendiamo garantire la conservazione? Del suo valore documentale? Della sua completa o parziale autenticità? Del suo mutare nel tempo? Del suo grado estetico? Del suo significato storico, politico, simbolico? Del fatto che fu realizzato con un materiale particolare? Oppure vogliamo (o dobbiamo) cercare di salvare, insieme, tutti questi aspetti, nei limiti del possibile e nel rispetto (relativo quanto si vuole ma sempre così importante) del rapporto costo / beneficio? Dall’esame di tutte le risposte -disinteressate e moti- 14 vate- discenderà un primo indirizzo di fondo. Il resto è tecnica. Cerchiamo di non dimenticare quanto ancora ci sia di chiaro e valido nelle nostre diverse Carte del Restauro e in tutte le raccomandazioni che negli anni ci sono state trasmesse, comprese quelle -a mio avviso vagamente ipocrite- scaturite dall’incontro di Nara sul concetto di “autenticità”. Nel caso di testimonianze in cui la terra costituisce il materiale principale o addirittura l’unico e là dove la facies non è tanto importante, non c’è alternativa: occorre usare ancora e soltanto terra, rinunciando ad improbabili sostituti, a sofisticate contaminazioni o a quella pratica odiosa che per gli esseri umani è l’accanimento terapeutico. Più pratici di noi e più liberi dall’obbligo etico e culturale della conservazione, i vecchi mastri si rifiutavano di riparare una costruzione di terra ammalorata. L’abbandonavano, tout court, usando in una nuova costruzione il vecchio materiale terra, ottimo -come tutti noi abbiamo appreso in paesi di ininterrotta tradizione- perché già “ossidato” dal tempo. Quella utile e irripetibile pàtina di cui ci parlò tanti anni orsono un certo Cesare Brandi non era qualcosa di simile? Due osservazioni finali, entrambe fuori del tema assegnatomi (o no?), entrambe scaturite dalla lettura del testo a firma dell’arch. Lolli Ghetti, come presentato alla conferenza stampa organizzata in occasione della VII Settimana della Cultura e quindi propedeutica a questo volume. La prima riguarda la qualità architettonica degli edifici in terra cruda presenti in Italia. È vero (cito), “si tratta quasi esclusivamente della costruzione di muri di recinzione, di edifici rurali o di residenze per i ceti meno abbienti, non prestandosi il crudo, nelle condizioni climatiche italiane, alle realizzazioni di strutture complesse ed elaborate”. Più che alle condizioni climatiche, più che a quelle sociali (che pure vantano precedenti illustri come “Le economiche case di terra”, alloggi più che dignitosi suggeriti “agl’industriosi possidenti e abitatori dell’agro toscano” sotto Ferdinando II granduca di Toscana, 1793 o come gli estesi e razionali insediamenti della Partecipanza Agraria di Cento in ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Emilia, 1810-1950), mi sembra di poter attribuire il basso profilo estetico della nostra architettura di terra (solo questa?) ad una mancanza di fantasia che sarebbe errato chiamare “progettuale”. Qualche esempio servirà a chiarire il mio pensiero: quale è la reale capacità economica degli auto-costruttori di molte case rurali nelle aree interne del Marocco (non parlo dei tirremt, veri e propri castelli)? E quale è la capacità economica degli innumerevoli villaggi che punteggiano le terre dell’Iran, dell’Afghanistan, ed oltre, sino all’Asia Centrale? Quali le risorse dei meravigliosi e poverissimi villaggi centro-africani? Le loro immaginifiche moschee sono soltanto più grandi, più articolate ma non più ricche dei loro miseri e splendidi tuguri. In Sardegna, gran parte delle abitazioni cittadine in terra furono costruite per la borghesia e sono molto curate, ben fatte e ben tenute; i Sardi conoscono bene l’uso dell’arco in terra cruda, persino quelli a sesto ribassato e a tre centri, particolarmente spingenti; conoscono ed usano anche la volta ma solo nelle minime dimensioni dei loro forni da pane familiari. Ma in oltre duemila anni, non hanno voluto o saputo trasferire queste due esperienze in una soluzione architettonica e volumetrica unitaria: la copertura a volta. Eppure, in Sardegna -a San Sperate- ce n’è una: è una villa signorile -una residenza estiva- datata 1850 e firmata dall’architetto Gaetano Cima, cagliaritano. L‘intera cittadina di San Sperate (quella “storica”) è costruita quasi interamente in mattoni di terra. Ma nessuno, né prima né dopo Villa Serra, ha mai avuto l’occasione o l’ardire di costruire una simile copertura. Per concludere: molti anni fa, nel raccontare il costruire con la terra come atto gioioso e geniale, invitai con grande calore chi mi ascoltava (tutti tecnici) ad “osare”, a sfruttare al meglio le potenzialità incredibili di questa materia povera ma così generosa, a liberare la propria fantasia progettuale a costi ancora accettabili. Sto ancora aspettando. Anche la seconda osservazione prende spunto da una frase dell’arch. Lolli Ghetti: “Quasi inaspettatamente le Marche hanno rivelato una considerevo- le quantità di costruzioni in terra...”. Alla fine degli anni ’60 dello scorso secolo lo scrittore Guido Piovene scriveva “Le Marche sono un plurale. Il Nord ha tinta romagnola; l’influenza toscana e umbra è manifestata lungo la dorsale appenninica; la provincia di Ascoli Piceno è un’anticamera dell’Abruzzo e della Sabina. Ancona, città marinara, fa parte per se stessa”. Questa ovvia ma arguta riflessione individuava nella posizione geopolitica della regione la sua appartenenza e il suo farsi tramite a differenti culture, tutte autoctone, tutte diverse. Ma lasciava inalterata -al di là di quel significativo plurale e malgrado la folgorante notorietà dei tanti suoi monumenti- la condizione di marche di confine -quindi qualcosa di periferico- che ha avvolto e spesso addirittura nascosto eventi e forme d’arte che la regione ha continuato a offrirci nei secoli. Risale all’anno scorso la puntuale e documentata ricostruzione presentata a Solarussa (Sardegna) dall’arch. G. Volpe delle cause, spesso banalmente topografiche e cartografiche, per cui l’intera area delle Marche era stata letteralmente ignorata o “saltata” nei due ultimi secoli, nella ricerca come nella trasmissione di dati su alcuni episodi, usi, opere artistiche o semplicemente artigianali. Un lungo buco nero dell’informazione che solo oggi va illuminandosi. I lodevoli scritti degli ultimi anni hanno cominciato a rompere buio e silenzio. E non ha nociuto la dimensione locale, quindi volutamente limitata, ma sempre di ottimo valore critico e documentario. Tra gli studi recenti, segnalo alcuni di quelli a più vasto orizzonte e con un serio impianto storico: A. Palombarini, “Case di Terra”, in S. Anselmi (a cura di), Insediamenti rurali, ecc., Ostra Vetere, 1985; A. P. Conti (et alii), Dalla terra, la casa: il Borgo di Villa Ficana, Macerata 1998; M. L. Polichetti, “Le case di terra nelle Marche”, in AA.VV., Terra: incipit vita nova, Politecnico di Torino, 1998; E. Sori, A. Forlani, Case di Terra e Paglia delle Marche, Regione Marche, 2000; A. Palombarini, G. Volpe, La casa di terra nelle Marche, F. Motta Editore, 2002; A. P. Conti, S. Giustozzi, P. Molini, Gli atterrati a Corridonia, Comune di Corridonia, 15 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE 2002; M. Saracco, Architettura in terra cruda: il caso delle Marche, Alinea, Firenze 2002. Quasi tutti i testi offrono una nutrita bibliografia, l’ultimo citato contiene 23 schede di censimento su edifici dei Comuni di Macerata e Corridonia e un case study sul Borgo Ficana a Macerata, oggi in procinto di diventare un vero cantiere-pilota, dopo il provvidenziale vincolo ambientale posto dalla Soprintendenza. Le Marche hanno rischiato di veder scomparire, anche nella memoria storica, un’architettura sicuramente minore (sempre che tale gerarchia abbia ancora un senso), largamente diffusa, in massima parte rurale e certamente non antica. Ma senza alcun dubbio erede di una lontana e nobile consuetudine, provenendo direttamente dalla grande tradizione costruttiva etrusca. Mi sembra che le iniziative e i successi di questi ultimi anni giustifichino ampiamente la nostra soddisfazione e la fiducia nelle autorità preposte e negli infaticabili operatori. 16 La casa di terra nelle Marche La consapevolezza che nessuna azione di tutela è possibile senza una adeguata conoscenza della complessa problematica dei beni culturali è ormai un dato acquisito, non solo ai fini della prassi amministrativa, ma anche per l’emanazione di provvedimenti legislativi. Comunque il momento conoscitivo e l’approfondimento delle sue modalità realizzative è, fin dalla prassi procedurale, condizione pregiudiziale per giungere ai provvedimenti di tutela. Basta confrontare i dispositivi di tutela dei primi decenni del secolo scorso con quelli più recenti, e ci si accorge di quanti passi avanti sono stati compiuti, proprio in virtù dell’approfondimento dei criteri e delle tecniche conoscitive, nonché della possibilità di far riferimento alla catalogazione di beni culturali intesi nel loro significato di sistemi di beni connessi con il territorio inteso come quadro di riferimento dei sistemi di beni fra loro e con esso interrelati. Nel 1982 la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Marche ha proposto al Ministero il provvedimento di tutela di una “casa di terra”, ovverosia un manufatto privo di valore monumentale, inteso in senso tradizionale, ma di notevolissimo valore documentale in quanto rappresenta uno degli ultimi esempi di una tecnica costruttiva ormai completamente scomparsa in Italia, oltre che testimonianza di modelli insediativi particolari connessi con l’attività agricola di alcune zone. Il Ministero, che negli anni precedenti non aveva ritenuto congruente con i contenuti normativi della legge n.1089 il dispositivo di tutela predisposto inizialmente dalla Soprintendenza, avendo avuto a disposizione la ricerca condotta successivamente dalla Soprintendenza stessa, nell’ambito della catalogazione sull’intero complesso delle “case, di terra” ancora presenti in alcune zone della regione marchigiana e in particolare nel maceratese, e nel Fermano, ha ratificato con apposito D.M. la proposta di tutela avanzata, avendo anche riconosciuto il valore testimoniale di tale categoria di beni, in quanto “sistema” storicamente definito. L’emanazione del Decreto Legislativo 22 gennaio Maria Luisa Polichetti 2004, n.42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” rappresenta ora un notevole passo avanti rispetto alle leggi di tutela del 1939, a cui si dovevano necessariamente riferire i provvedimenti di tutela degli anni ’80. Infatti il Codice prende in esame ai fini della tutela anche i temi demoetnoantropologici (e le case di terra possono rientrare in tale categoria a pieno titolo) e introduce il concetto di sistema seppure in maniera non chiaramente esplicitata soprattutto per quanto attiene gli strumenti applicativi. I1 procedimento di tutela, quindi, inteso sotto il profilo giuridico come “sequenza ordinata di atti, che devono essere compiuti per giungere a emettere una decisione finale”, il provvedimento amministrativo, al fine di garantire la salvaguardia dell’interesse pubblico rappresentato dal bene, deve essere inteso come conclusione di una serie di azioni conoscitive tese alla esaustiva comprensione delle complesse peculiarità del bene e dei sistemi di beni. E’ necessario quindi superare le modalità di approccio alla procedura amministrativa che ha come conclusione il riconoscimento di interesse, e quindi la formale tutela, di un bene considerato come bene individuo e considerare invece il bene singolo nel suo significato di elemento appartenente ad un sistema di beni interconnessi reciprocamente e con il territorio, inteso nelle sue complesse peculiarità di ordine storico, ivi comprese quelle attinenti la sfera sociale ed economica. “Le case di terra” o “atterrati” o “pagliare” sono un caso emblematico di tale considerazione. Esse hanno infatti rappresentato fin dal sec. XIII, un vero e proprio sistema insediativo prevalentemente usato dal bracciantato e da modesti coltivatori diretti, ora testimonianze non antiche (la loro vita difficilmente oltrepassa il secolo) di una tecnica antichissima ed ormai estinta nel nostro paese, anche se normalmente ancora praticata nei paesi orientali. La deperibilità del materiale costruttivo e la perdita ormai definitiva della tecnica esecutiva rendono particolarmente preziosa la documentazione raccolta attraverso la campagna di catalogazione che 17 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE ha interessato, negli anni 1979/80, n.20 case di terra schedate su modelli di scheda A dell’ICCD e un complesso urbano di case di terra (Villa Ficana – Macerata), catalogate con una scheda SU. La tipologia edilizia riconosciuta è quella tipica della casa rurale marchigiana con forte diffusione sul territorio extraurbano, legata alle specifiche modalità di gestione ed uso del territorio agricolo normalmente a conduzione mezzadrile. Quindi accanto alle case padronali, utilizzate dai proprietari dei fondi, caratterizzate da una architettura di qualità e da materiali e tecniche costruttive che ne garantissero la durabilità nel tempo, caratterizzano il territorio marchigiano, anche se non più legate alle forme mezzadrili, le case rurali con tipologie architettoniche rispondenti a loro volta a specifiche funzioni: al piano terra la stalla e i magazzini, al primo piano la residenza, con scala esterna. Tale tipologia, se pur raramente, è riconoscibile anche nelle “case di terra” presumibilmente quelle utilizzate dai piccoli mezzadri. Generalmente esse sono costituite da un unico piano, di altezza limitata, utilizzato per il semplice ricovero delle famiglie dei braccianti che prestavano la loro opera nei diversi luoghi a seconda delle richieste di ingaggio. Tali manufatti dovevano quindi essere di basso costo, di rapida e facile esecuzione, utilizzando materiali immediatamente reperibili: argilla, paglia, legno. La povertà del manufatto tuttavia non era in contrasto con le esigenze dell’abitare e soprattutto con il mantenimento della temperatura. Le case di terra, attualmente presenti soprattutto nel maceratese, sono in genere dislocate su colline plioceniche prospicienti i tracciati fluviali dove il materiale di costruzione adatto, l’argilla, è più facilmente reperibile. Le prime documentazioni storiche sull’esistenza di tali manufatti che in antico dovevano essere presenti anche nelle città, risalgono al sec. XIII. In tempi più recenti il proliferare delle case di terra in funzione al bassissimo costo di produzione ed alla rapidità di realizzazione è quasi sempre coinciso con periodi di crisi economica, ultimo, il primo conflitto mondiale. Nelle Marche, il tipo di terreno che ha reso possi- 18 bile la diffusione delle case di terra è situato soprattutto nella fascia collinare costituita prevalentemente da argille azzurre plioceniche: si tratta del cosiddetto “cappellaccio” superficiale di terreno di facile prelievo e di semplice utilizzazione per la realizzazione in tempi brevi di manufatti sostanzialmente poveri, per i quali non era prevista una lunga durata. Infatti per costruire le case di terra gli arnesi necessari erano una cassaforma ed uno strumento chiamato pestone o pillo. La cassaforma, nella quale veniva gettata la terra da pestare, era costituita da una serie di tavole, lunghe circa tre metri, unite tra loro da traverse per un’altezza di circa 90 cm che formavano le sponde (provviste di manici in nerbo di bue o di cuoio per facilitarne l’uso ed il trasporto). Le sponde poggiavano su quattro correnti, i quali, posti trasversalmente, costituivano il piano d’appoggio della forma. I correnti avevano dei fori alle due estremità, nei quali andavano ad incastrarsi otto puntelli verticali (due per corrente) tenuti a stretta con delle biette: tale accorgimento permetteva di diminuire o accrescere lo spessore dei muri. Dentro questa macchina così preparata trovavano posto di solito due o tre muratori muniti di pestone in legno duro (quercia, olmo, noce, leccio, etc.) che effettuavano il costipamento dei pani di argilla. Le fondazioni venivano eseguite con sassi e calcina o in laterizi cementati tra di loro, che a volte si alzavano dal piano di campagna per circa 70 cm. Al di sopra della zona fondale veniva posizionata la cassaforma, dopo aver segnato sul muro le buche necessarie a ricevere i correnti (con funzione di “chiavi”). Questi dovevano essere riparati da embrici o da scaglie di pietra, affinché, dopo aver pestato la terra, potessero esser tolti con facilità. Finito il primo strato di pani di terra, si rifacevano le buche per le chiavi, dopo di che si sovrapponevano i pani sfalsati tra di loro, in modo che le giunture dello strato sottostante non si allineassero con quelle dello strato superiore. Arrivati all’imposta del solaio si gettavano le travi in legno disposte secondo il lato minore da coprire, con interasse di circa 80-100 cm. ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Immagini di case di terra catalogate dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Marche. Trasversalmente erano posti travicelli, quindi i mattoni completavano l’opera. Per la realizzazione della copertura, si segnava nella forma la pendenza del tetto, in modo tale da buttare la terra nella giusta inclinazione. Il tipo di tetto usato in queste costruzioni, da quanto si è potuto constatare, è quello a due falde. I muri portanti esterni venivano posti a distanze che di solito non erano superiori ai 4-5 m; in caso di maggiore ampiezza venivano costruiti muri di spina sagomati a timpano. La grossa armatura, quindi, si riduceva agli arca- recci che poggiavano, affogati nell’argilla battuta, direttamente sui muri perimetrali. La piccola armatura era formata dai travicelli e dai listelli sui quali veniva posto uno strato di cannucci, uno strato di terra, e infine i coppi. Le scale (costituite in altezza dal piano di terra e dal primo piano) dovevano collegare ambienti con altezze che variavano da m 2.20 a m 2.70. Originariamente costruite interamente in legno, successivamente, in legno la struttura portante, in laterizi il resto. Esse potevano essere interne alla 19 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE fabbrica, attestandosi spesso tra due muri di spina, dai quali erano sorrette, oppure esterne, adiacenti e sorrette dalla parete da un lato e da una struttura in elevazione dall’altro, che sovente si collegava alle estremità prolungata di una falda del tetto. Da questa sintetica descrizione della tecnica impiegata nella costruzione degli “atterrati” emerge il grande valore storico-culturale di tali manufatti, sia come testimonianze di forme produttive e di vita, che anche se ormai superate e scomparse devono rimanere come segni della nostra memoria e testimonianza dell’identità della regione. 20 La casa Perlini-Santini di Ostra Vetere (AN) La prima tutela di una casa di terra Il formale riconoscimento dell’interesse culturale della casa di terra e paglia di Ostra Vetere, comune sito nel territorio della provincia di Ancona, da parte dell’allora Ministero per i Beni Culturali e Ambientali rappresenta la naturale conclusione di un lungo processo conoscitivo riguardo tale particolarissima tipologia costruttiva avviato dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Marche di Ancona a partire già dal 1978, dapprima con una sistematica ricognizione sull’intero territorio regionale e, successivamente, con l’avvio di studi specifici sull’argomento e la predisposizione di schede di catalogo riguardanti gli esempi più rappresentativi, sia sotto l’aspetto tipologico, sia testimoniale del ricco patrimonio costituito dalle case di terra marchigiane. La tutela della casa di terra in contrada Molino di Ostra Vetere non rappresenta, pertanto, un fatto episodico, concluso in se stesso o in qualche modo correlato a particolari esigenze di salvaguardia ma, più semplicemente, costituisce l’evoluzione di un processo conoscitivo più ampio, maturato per successivi e graduali approfondimenti di natura culturale. La Casa Santini-Perlini in una immagine della fine degli anni ’70. L’“atterrato” di Ostra Vetere non risulta neppure l’esempio più rappresentativo delle case di terra marchigiane e, nonostante ciò, è stato il primo in assoluto a ricevere il “sigillo” di bene culturale; ciò gra- Alberto Pugliese zie alla campagna di studi e agli approfondimenti condotti negli anni immediatamente precedenti dalla Soprintendenza di Ancona, ma anche per la straordinaria attenzione del Comune di Ostra Vetere nei confronti di tale manufatto almeno fin dal 1979, anno in cui, grazie ad un’apposita delibera del Consiglio1 trova definitiva attuazione l’obiettivo di acquisire il manufatto in terra allo scopo di preservarlo dal rischio di perdita. Nelle premesse di detta delibera si esplicita che “in contrada Molino n. 83, esiste una vecchia abitazione rurale “di malta”, ormai disabitata, in cattivo stato di manutenzione, costituita di n. 2 stanze al piano terra e n. 2 stanze al primo piano, con una piccola corte ed una ancor più piccola superficie già destinata a colture ortive; …l’ultima proprietaria nella medesima abitante, Sig.ra Santini Maria Ved. Perlini, è deceduta da tempo e gli eredi se ne vogliono in qualche modo disfare, vendendola od abbattendola; …tale immobile costituisce un bene ambientale, per cui va conservato, per ricordare alle giovani generazioni le condizioni esistenziali di un tempo e come testimonianza genuina di vita e museo di civiltà contadina…”. L’atto deliberativo precisa inoltre che “…è in corso da parte della Sovrintendenza ai Monumenti di Ancona, la pratica di vincolo presso il competente Ministero e che si tratta di uno degli ultimi superstiti esemplari del suo genere...”. Singolare la circostanza che la stessa delibera, oltre a fare riferimento ad una relazione tecnica illustrativa, corredata di certificato catastale e di planimetria, riporti immediatamente di seguito la “relazione storico-scientifica dello studioso Dr. Lipani Fabrizio”. Tale contributo, avente per oggetto una Relazione storica sulla casa di terra in Ostra-Vetere, Contrada Barocco, Via Molino reca la data del 16 novembre 1979 e, in appendice, riporta una tavola con i dati relativi alle Marche dell’indagine svolta nel 1933 dall’Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia sulle case rurali presenti nel territo- 1 Deliberazione originale n. 88 del 28.09.1979, avente per oggetto la “Tutela del patrimonio storico-ambientale. Provvedimenti in ordine alla conservazione di una casa di malta”. La proposta dell’Amministrazione venne approvata all’unanimità, con 16 voti favorevoli su 16. 21 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE rio nazionale i cui risultati pur se ritenuti dallo stesso Lipani “non del tutto attendibili per la scarsa qualificazione degli addetti ai rilevamenti e gli errori furono già denunciati nel 1941 dalla Emiliani, che nel territorio maceratese riscontrava molte più case di terra di quante ne avesse contate l’indagine”, rappresentano comunque un importante elemento conoscitivo specie se confrontato con i dati attualmente a disposizione. L’acquisto della casa, deliberato nel 1979 sotto l’amministrazione del sindaco pro-tempore Alberto Fiorani, essendo subordinato alla preventiva assicurazione, da parte della Soprintendenza, ad effettuare a proprio carico i necessari lavori di consolidamento e manutenzione straordinaria, fu effettivamente definito solo nell’anno 1981 al prezzo precedentemente convenuto di un milione di lire. Il dispositivo di tutela, invece, fu predisposto dalla Soprintendenza nel settembre dell’anno successivo. Esso si articola in una relazione sull’interesse storico ed artistico dell’immobile, corredata, come da prassi amministrativa, di documentazione catastale e fotografica; agli atti d’archivio è allegato anche un rilievo in scala 1/100, interamente fatto a mano, dei due livelli dell’abitazione, schematico nella modalità di rappresentazione, ma di grande espressività e capacità di sintesi. La relazione, redatta dall’architetto Massimo Fiori, è contenuta in sei cartelle dattiloscritte e sviluppa almeno quattro distinti argomenti, posti in ordine sequenziale: l’esatta localizzazione geografica territoriale del manufatto, l’epoca di costruzione dello stesso, la descrizione del suo impianto tipologico - distributivo e delle più significative peculiarità tecniche e costruttive, nonché alcune annotazioni di carattere generale sui vari proprietari possessori e sulle loro condizioni socio-economiche. Segue una trattazione generale sulle “Case di Terra” desunta dalla bibliografia generale sull’argomento ed, in particolare, dal sopra menzionato testo del Lipani; ulteriori spunti sulle tecniche costruttive furono certamente offerti dallo studio condotto negli stessi anni dall’architetto Furio Minuti, per incarico della Soprintendenza di Ancona, corredato di alcuni estratti della manualistica francese e di 22 Particolare di una delle tavole dello studio di Furio Minuti due tavole grafiche che illustrano le tecniche costruttive più frequentemente impiegate e gli attrezzi generalmente usati. Dalla documentazione raccolta per l’apposizione del vincolo emergono diversi aspetti legati alla storia ed alla costruzione dello “atterrato” di contrada Molino. Appartenuta in origine a Luigi Gregorini, coltivatore diretto, che l’aveva costruita intorno agli anni 1905-1910 insieme ad altre due ormai scomparse, la casa è successivamente pervenuta, attraverso vari passaggi di proprietà, alla famiglia Coreani, poi ad un tal Berto di cui non si ricorda il cognome, in seguito a Domenico Bini ed infine, dal 1946, alla famiglia Perlini che l’ha abitata fino al 1957. Composta di emigrati rientrati in patria, la famiglia era costituita dalla madre Maria Santini, nata ad Agua Limpa, in Brasile nel 1903, vedova con tre figlie, essendo il capo famiglia deceduto in ancor giovane età. Di condizioni economiche estremamente disagiate, la madre era costretta a “mandare a serva” in campagna la figlia più grande che non riceveva salario ma veniva ricompensata solo in natura. La famigliola riusciva a sopravvivere coltivando il piccolo orto sul retro ed allevando qualche pecora nella stalletta e qualche animale da cortile; non essendo ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE la casa dotata di forno né di pozzo, ne ottenevano “l’imprestito” da qualche vicino ma in cambio dovevano fornire due ore di loro gratuito per settimana. Quanto alla fabbrica, la relazione predisposta per il provvedimento di tutela, oltre che ad evidenziare la particolarità di essere rimasta integra nella sua tipologia originaria, annota che “…è a pianta rettangolare e si sviluppa su due piani. I piani risultano divisi da un divisorio centrale in muratura che crea quattro ambienti distinti: la cucina e la stalla al piano terra, le camere da letto al primo. I collegamenti verticali si impostano dal pianerottolo prospiciente l’ingresso: alcuni gradini in cotto servono il piano terra a quota inferiore, una piccola scala di legno serve il piano superiore. Il solaio in corrispondenza della scala risulta tagliato per tutta la lunghezza del manufatto. Il tetto è a capanna e poggia sulle strutture perimetrali e nella parte centrale, in corrispondenza del divisorio, tramite una trave di ripartizione: con puntone nella mezzeria, che interrompe la trave di colmo, con muratura sagomata a timpano che interrompe la rimanente orditura. Sul retro dell’atterrato esisteva una superfetazione in muratura, adibita a legnaia, ormai completamente abbattuta”. Con la tutela della Casa Perlini si concretizza pertanto una straordinaria concomitanza di interesse tra la Soprintendenza di Ancona ed il Comune di Ostra Vetere, entrambi volti al perseguimento di un comune obiettivo di natura squisitamente culturale. Con il Decreto Ministeriale 29.11.1982, viene finalmente sancito per legge, ovvero ai sensi dell’allora vigente Legge 1 giugno 1939, n. 1089 sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico, l’interesse “particolarmente importante”, della Casa di terra di Via del Molino di Ostra Vetere in quanto “manufatto risalente ai primi del ‘900 d’interesse etnografico in cui invenzione umana e condizionamento naturale, documentano l’impiego di una antichissima tecnica costruttiva che ha presieduto alla formazione dei primi stanziamenti rurali, integro nella sua tipologia d’impianto e di grande importanza per lo studio e l’evolversi di un tipo edilizio legato alla cultura contadina. Abitazione rurale tipica chiamata con il nome di “atterrato”, oggi in via di completa estinzione, rappresenta uno dei pochissimi esempi rimasti nelle Marche centrosettentrionali2. Particolare del comignolo sulla facciata Per quanto la proposta di tutela di una casa di terra si ponesse perfettamente in linea con gli obiettivi generali e le finalità proprie del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, istituito nel dicembre 1974, per tutelare e valorizzare tutte le manifestazioni e le produzioni umane d’ogni tempo e di ogni realtà territoriale nell’ambito di una visione dell’arte come lavoro e quindi del bene culturale (finalmente non più inteso come patrimonio storico-artistico ma come espressione culturale, come tratto della complessiva storia della cultura), l’iter procedurale non fu per la verità del tutto semplice: una precedente proposta di tutela di un manufatto di 2 Il Decreto Ministeriale 29.11.1982, a firma del Sottosegretario di Stato Mezzapesa, fu regolarmente notificato all’ultimo privato proprietario, il Sig. Filiberto Simonetti di Ostra Vetere in data 21 gennaio 1983. Lo stesso provvedimento di tutela fu successivamente trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Ancona il 17 febbraio 1983 al Registro Generale n. 2254 e al Registro Particolare con il n. 1698. 23 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Interno: la tecnologia per l’uso di vita quotidiano. terra – ritenuta alquanto generica e non sufficiente documentata – suscitò non poche perplessità tanto da essere rigettata dall’Ufficio Centrale di Roma. Con ogni probabilità un peso determinante in questo primo diniego ministeriale ebbe lo stato di conservazione dello stesso e forse anche la sfiducia in un problematico intervento di restauro; indubbiamente le Rilievo allegato alla documentazione predisposta per la tutela della Casa Perlini - Santini. 24 perplessità sopra enunciate muovevano anche da una non dichiarata prevenzione culturale nei confronti della proposta formulata dalla Soprintendenza di Ancona – probabilmente la prima in Italia – di tutelare, cioè di riconoscere l’interesse culturale e quindi dignità e valore ad un edificio realizzato con materiali non tradizionali e non certamente nobili, ma semplicemente di fango. Non è dunque un caso che l’allora Soprintendente Maria Luisa Polichetti, a chiusura di una relazione (priva di data) sulla campagna di catalogazione effettuata negli anni 1979-1980, avente per oggetto La casa di terra nelle Marche abbia tenuto a sottolineare come “la documentazione attraverso le schede di catalogo di questi interessantissimi manufatti è di esemplare importanza quale base anche di ogni eventuale azione di tutela come ha dimostrato il caso dell’“atterrato” Santini ora Simonetti ad Ostra Vetere, …che il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali solo di recente ha accettato di tutelare, ai sensi degli artt. 1 e 2 della Legge n. 1089 dell’1.6.1939, su proposta di questa Soprintendenza”. La casa Perlini-Santini di Ostra Vetere (AN) L’intervento di restauro (1988-1992) La Casa Perlini – Santini è un manufatto di semplici forme, a pianta rettangolare, con un muro divisorio centrale, ortogonale al lato lungo, che definisce due ambienti a piano terra (cucina e stalla) e due simmetrici al piano superiore (camere). L’accesso al manufatto è collocato sul lato corto ad ovest, dal quale, scendendo una rampa di cinque gradini in muratura, si raggiunge direttamente la cucina a piano terra. Il collegamento con il piano superiore, avviene mediante una ripida e modesta scala in legno, posizionata in adiacenza all’ingresso, a ridosso del camino. Il “nodo” -ingresso, scala di accesso in muratura, scala in legno e camino- costituisce una felice ottimizzazione degli spazi e delle funzioni in un ambito ristretto, con un risultato architettonico di indubbio fascino. Sotto il profilo costruttivo si evidenzia che le murature del manufatto risultano realizzate in malta di terra cruda e paglia, con zoccolatura esterna in muratura di mattoni, con andamento leggermente “a scarpa”, per ovviare ai problemi legati al dilavamento meteorico della zona basamentale della muratura, meno riparata dagli aggetti della copertura. La tecnica costruttiva, con la quale sono state realizzate le murature, è tra quelle maggiormente diffuse nella nostra regione per la costruzione di case in terra cruda e indicata già dalla trattatistica settecentesca, come pisè. Semplificando, la tecnica del pisè, consiste nel gettare e pressare un impasto, di terra e paglia ben amalgamato, in strati orizzontali entro due sponde laterali in legno, che venivano rimosse ed innalzate a seguito della presa dell’impasto. L’orditura principale del tetto, a capanna, e quelle dei solai di piano, sono costituite da travi lignee che poggiano sulle murature perimetrali; al di sopra delle orditure principali sono posizionati i correnti in legno, il pianellato e i coppi tradizionali in cotto. Sotto il profilo costruttivo il manufatto presenta semplici ma significative soluzioni tecniche di particolare interesse quale, ad esempio, il sistema di Stefano Cesarini cunei verticali, alle estremità degli architravi, di cui è ben evidente quello soprastante l’ingresso, con funzione, oltre che di architrave, di tirante. Di particolare nota è anche il sistema costruttivo utilizzato per la sporgenza delle falde della copertura dove, in luogo delle tradizionali pianelle in cotto, al fine di contenere i pesi, viene utilizzata una stuoia di canne sopra i correnti a sbalzo, “puntellati”, nella parte più sporgente, da “saette” in legno, costituiti da piccoli “rami” non squadrati. La casa, costruita intorno agli anni 1905-1910, è stata abitata fino al 1957. L’abbandono e la conseguente mancanza di manutenzioni ha fatto si che il manufatto, caratterizzato dall’utilizzo di materiali e da un sistema costruttivo particolarmente vulnerabile all’azione degli agenti atmosferici, deperisse velocemente, anche a causa del dilavamento e caduta dell’intonaco esterno. Foto n. 1 - La casa prima degli interventi di restauro (1979) 25 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Foto n. 2 - La casa prima degli interventi di restauro (1979) Già Santoponte Emiliani nel 1941 e Brigidi e Poeta nel 1953 sottolineavano che l’intonaco esterno a calce “rinnovato di frequente” e la tinteggiatura a latte di calce, costituivano l’unica difesa delle murature dall’azione degli agenti atmosferici. In particolar modo si evidenzia in una documentazione fotografica del 1979, agli atti dell’allora Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Marche, che il manufatto fosse diffusamente mancante dell’intonaco protettivo delle pareti esterne, con consistente erosione della sottostante “muratura” (foto n. 1). Tale erosione, particolarmente accentuata nella zona opposta all’ingresso, ha causato il crollo completo della parete di fondo e di parte delle murature adiacenti. Conseguentemente in tali anni risultava crollata anche la soprastante porzione di copertura e di solaio di piano (foto n. 2). Lo stato di abbandono dell’edificio riguardava, 26 purtroppo, anche l’interno dello stesso, come evidente nella foto n. 3. Foto n. 3 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Successivamente alla formalizzazione del Decreto ministeriale di tutela del 29 novembre 1982, su richiesta dell’Amministrazione Comunale di Ostra Vetere, proprietaria dell’edificio, la Soprintendenza, anche in considerazione del cattivo stato di conservazione delle strutture dell’edificio e delle difficoltà insite nella realizzazione del necessario intervento di consolidamento e restauro, ha predisposto nel 1988 un primo progetto di un pronto intervento, utilizzando fondi del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali. Nel 1991 è seguito un secondo intervento, sempre finanziato dal Ministero. Alcuni dati sintetici degli interventi. Soprintendente: Dott. Arch. Maria Luisa Polichetti Direzione dei lavori: Stefano Cesarini - Alberto Pugliese Impresa esecutrice: Latini L. e F. di Senigallia (AN) - Perizia n. 1465/88 del 6.06.1988 dell’importo di L. 10.000.000 I lavori sono iniziati il 19.10.1988 e si sono conclusi il 17.03.1989 - Perizia n. 2025/91 del 25.06.1991 dell’importo di L. 10.000.000 I lavori sono iniziati il 19.11.1991 e si sono conclusi il 18.03.1992 Il recupero e restauro del manufatto, realizzato con i due citati lotti di lavori, costituisce la prima esperienza di intervento su manufatti in terra cruda, da parte della Soprintendenza, nel territorio marchigiano. Conseguentemente, sotto il profilo tecnico e scientifico, il recupero dell’edificio ha posto non poche problematiche, anche di tipo operativo, per la mancanza di una tradizione consolidata d’intervento, per la difficoltà di reperire maestranze esperte e per la carenza di una adeguata bibliografia di riferimento che consentisse di delineare, anche solo ne- Prospetti e piante del manufatto con l’individuazione degli interventi di ricostruzione e restauro realizzati. Pianta piano terra Pianta piano primo 27 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Foto nn. 4 e 5 - Fase iniziale del cantiere, con la realizzazione di copertura provvisoria, in attesa dell’esecuzione dell’intervento vero e proprio. gli aspetti generali, le metodologie ed i materiali da utilizzare. Infatti all’epoca i pochi interventi conosciuti, riguardavano soprattutto “sostituzioni” di parti crollate o inefficienti, realizzati spesso con materiali e tecniche moderne, senza alcun rispetto delle peculiarità del sistema costruttivo e dei materiali originari. Inoltre risultava particolarmente problematico, sotto il profilo progettuale, l’intervento relativo alla ricostruzione delle parti crollate in quanto non era possibile “acquistare” l’impasto della muratura, come normalmente avviene per interventi di consolidamento e restauro di manufatti monumentali bensì si rendeva necessario “cavare ed impastare” la malta con le stesse procedure utilizzate per la costruzione originaria. Tutto quanto sopra brevemente esposto ha delineato un percorso progettuale specifico, improntato, al profondo rispetto e conservazione/riproposizione, dell’antico sistema costruttivo, scartando a priori soluzioni innovative o materiali sperimentali. Le particolari caratteristiche tecniche delle murature non consentivano scelte alternative a quelle utilizzate, anche per una indispensabile coerenza strutturale. Alla scelta di fondo di conservazione e restauro di quanto esistente, per le parti da ricostruire, la scelta è stata quindi quella del dov’era e com’era. In tal senso sono state effettuate campionature ed analisi di laboratorio per stabilire l’esatta composizione della malta costitutiva delle murature, confrontandola con campioni prelevati nell’area circostante il manufatto, che è risultata quella utilizzata per la costruzione (foto nn. 6 e 7). Foto nn.6 e 7 - Fasi relative al prelievo della malta nell’area adiacente l’edificio ed alla preparazione dell’impasto. 28 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Nelle conclusioni di uno studio effettuato dalla Dott.ssa Giovanna A. M. Massacci, su campioni prelevati dalle murature dell’edificio, si legge che: …si può osservare come il campione (A), presenti sia minerali argillosi che detritici, in particolare la calcite ed in parte il quarzo. Questi dati confermano le osservazioni dei terreni intorno al territorio d’Ostra Vetere, rappresentati da quarzo e feldspati detritici e da minerali delle argille tipico prodotto d’alterazione di queste rocce, in particolare quando si ha la trasformazione dei feldspati in caolinite. Gli interventi effettuati, evidenziati nei grafici di rilievo, hanno riguardato pertanto la ricostruzione delle porzioni di “muratura” crollata, utilizzando l’originario sistema di strati sovrapposti costituiti da impasto di argilla, cavata nell’area di pertinenza dell’edificio, inerti e paglia. Sono state inoltre ricostruite le porzioni di solai e copertura crollati e restaurate le restanti strutture. Ulteriori interventi hanno interessato gli infissi e le finiture ed in particolare è stata realizzata la riproposizione dell’intonaco esterno a malta di calce e la tinteggiatura a latte di calce, indispensabili per la protezione della peculiare “muratura” dal dilavamento delle acque meteoriche. Tutti gli interventi sono stati realizzati nel più scrupoloso rispetto delle specifiche tecniche costruttive originarie, recuperando e riproponendo i materiali esistenti. Foto n. 8 - Particolare dei ramoscelli di vimini inseriti parzialmente nella vecchia muratura. La restante parte del ramoscello è stata inglobata nel nuovo impasto, in modo da creare un’ulteriore collegamento tra la muratura originaria e quella ricostruita. Foto nn.9-11 - Le varie fasi di ricostruzione delle murature crollate. 29 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE A documentazione dell’attenzione progettuale e della particolarità dell’intervento realizzato si riporta, di seguito, la specifica voce di Capitolato, appositamente formulata per la ricostruzione delle “murature” crollate. Formazione di struttura verticale portante da realizzarsi con impasto di argilla, paglia e inerti sia di natura organica che inorganica nelle percentuali che saranno definite a seguito delle risultanze delle analisi chimico-fisiche dei campioni prelevati. L’argilla da utilizzare dovrà essere cavata nell’area di pertinenza del manufatto stesso ed amalgamata, mediante “pistatura”, con acqua alla paglia e agli inerti fino ad ottenere una malta avente consistenza tale da consentirne la lavorazione a mano. Detto impasto dovrà essere messo in opera entro apposite sponde lignee ed ivi pressato con attrezzi in legno fatti a mano in modo, da realizzare strati orizzontali dell’altezza di circa 20 cm, intervallando gli stessi con paglia battuta. Compreso l’onere per la rettifica dei piani orizzontali, verticali o inclinati delle parti esistenti, la realizzazione tra le stesse e quelle da ricostruire, di legature di tipo tradizionale da inserire all’interno dello spessore delle pareti e lungo le superfici di congiunzione con ramoscelli di vimini lasciati a bagno in acqua per almeno ventiquattro ore e ripiegati sulla metà della lunghezza (foto n.8). 30 Compreso altresì l’onere per la realizzazione di spallette, sguinci, piani orizzontali e l’eventuale inserimento di architravi di porte e finestre in legno aventi lunghezza doppia della larghezza del vano da realizzare, appositamente spinottati mediante cunei in legno a sezione circolare di spessore ed essenza analoghi a quelli esistenti e quant’altro necessario per dare il lavoro finito a perfetta regola d’arte. Foto nn. 12-14: stato attuale dell’edificio, a seguito degli interventi di restauro sopra descritti, realizzati tra il 1988 ed il 1992. Monteroberto (AN)-La casa di terra e paglia in via Ponte Magno L’intervento di restauro conservativo Alessandra Pacheco La casa di terra e paglia oggetto di intervento, di proprietà del Comune di Monteroberto, è ubicata all’angolo fra la via Ponte Magno e la strada provinciale Staffolo-Cupramontana. Foto n. 1 - La casa dopo l’intervento di restauro conservativo. Il manufatto si articola su due livelli fuori terra, di cui quello inferiore risultava, prima dell’intervento, parzialmente interrato. Realizzata secondo le tecniche costruttive proprie di questa particolare tipologia edilizia, cioè a strati sovrapposti dell’altezza media di circa 30-40 cm con l’utilizzo di casseforme lignee, detta casa di terra presenta le peculiarità proprie di questi manufatti: aperture di piccole dimensioni, architravate in legno, orditura di copertura in legno molto sporgente, intonaco protettivo esterno a malta di calce, solaio intermedio in travi e correntini di legno con pianellato a secco ecc. Rispetto alle tradizionali case di terra della zona, quella di Monteroberto presenta un basamento in mattoni cotti piuttosto ridotto e posizionato esclusivamente sulla faccia esterna. Altre caratteristiche, invece, sono quelle delle tradizionali architetture di terra e paglia: quali ad esempio il restringimento della sezione delle murature verso l’alto nella parte esterna, cosicchè la superficie muraria risulta inclinata fino alla quota del primo solaio, per poi proseguire perfettamente a piombo, ma con sezione ulteriormente ridotta dalla classica risega in corrispondenza dell’imposta delle travi del solaio di piano a salire fino alla copertura. Tipica anche la coloritura degli ambienti interni a calce con zoccolatura azzurroindaco per l’allontanamento degli insetti. Il piano terra è suddiviso in quattro ambienti, pavimentati con mattoni cotti posati a secco, in cui è ben distinguibile la cucina per la presenza del camino. In tale ambiente è anche presente la scala in muratura (presumibilmente struttura aggiunta al nucleo iniziale), che porta al piano superiore. Uno degli ambienti al piano terra non possiede pavimentazione, probabilmente per la sua funzione di servizio (cantina o stalla). Al piano superiore erano sicuramente localizzate quattro camere da letto. In tempi recenti la casa era stata ampliata con una appendice in mattoni cotti (ora anch’essa quasi del tutto crollata) nella quale al piano superiore era anche stato ricavato un servizio igienico, evidentemente non presente nella costruzione iniziale. Nonostante qualche precedente intervento a carattere manutentivo, denunciato dalla presenza di malta cementizia e di mattoni nuovi all’interno dell’edificio, la scomparsa dell’intonaco esterno a calce ha determinato il dilavamento delle superfici murarie, 31 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE non più protette, e conseguentemente il loro assottigliamento e il progressivo dissesto statico. Con l’abbandono dell’edificio, avvenuto a quanto riferito durante gli anni ’70, ed il diverso utilizzo dell’area circostante, sono cessate in primo luogo le abituali opere manutentive alla copertura e al diserbo dalle piante infestanti. Inoltre, perimetralmente all’edificio, è stato depositato terreno di riporto sia per la realizzazione delle strade (la provinciale sul lato sud e una strada di distribuzione secondaria sul lato ovest), sia per le coltivazioni agricole ubicate sui lati nord ed est. Questa situazione è stata determinante per il progredire del degrado in quanto le pendenze originarie del terreno, che in origine erano sicuramente conformate per un allontanamento delle acque meteoriche, al momento dell’intervento si trovavano invece in posizione invertita, volte a creare un compluvio verso il manufatto, e quindi una maggiore aggressione da parte dell’acqua di scolo superficiale. Quindi l’infiltrazione delle acque piovane di scorrimento fino all’interno del fabbricato aveva causato l’erosione della parte basamentale del setto murario centrale e la conseguente lesione della parete lungo il fronte su Via Ponte Magno. Questo fenomeno, insieme alla conformazione costruttiva specifica dell’edificio, è stato il principale fattore di dissesto statico che ha causato il crollo della copertura. Osservando infatti le pareti murarie che portano la copertura, si può vedere che, mentre le pareti perimetrali e uno dei setti interni sono costituiti da terra cruda, il setto trasversale, che porta la scala, è realizzato in mattoni cotti. Questa differenziazione strutturale, dovuta presumibilmente ad interventi succedutesi nel tempo e legata a necessità funzionali, ha prodotto un diverso comportamento delle pareti all’aggressione dell’acqua: mentre le pareti in argilla, dilavandosi alla base, si abbassavano di quota in corrispondenza della linea di gronda, il setto murario di mattoni cotti, resistente all’acqua ha mantenuto la sua quota originaria e, per questo modificarsi delle pendenze di alcune falde, la copertura, sottoposta a fenomeni 32 Foto n. 2 - Particolare dello sporto della copertura. di rotazione delle travature, ha ovviamente progressivamente ceduto in ampie porzioni crollate al suolo. Il progressivo dilavarsi dell’argilla ha inoltre investito tutta la parte basamentale dell’edificio letteralmente sommergendola e rendendo, prima dell’intervento di restauro, non più visibili sia le quote del pavimento, sia la porzione inferiore delle murature, costituita da muratura di mattoni cotti, più resistenti all’acqua. Le murature inoltre erano state nel tempo aggredite da rampicanti che, sviluppatisi dalle fondazioni fino alla copertura, hanno contribuito al loro progressivo deterioramento. L’intervento di restauro, realizzato fra maggio del 2002 e gennaio del 2004, ha consentito la conservazione del manufatto, arrestando la principale causa di degrado e cioè il dilavamento da parte delle acque piovane. A tale scopo i lavori eseguiti consistono sostanzialmente nella ricostruzione della porzione crollata di murature portanti e nel rifacimento della copertura, in analogia all’originale, nonché nel ripristino della parte basamentale in mattoni cotti e la realizzazione di presidi per l’allontanamento delle acque meteoriche. In particolare era ormai completamente rovinato a terra, dilavato, lo spigolo nord-est dell’edificio (quello corrispondente all’ambiente della stalla o cantina a piano terra) che è stato ricostruito secondo la tecnica originaria degli impasti di terra cruda, paglia e letame (identificati con esattezza tramite ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE analisi di laboratorio), pressato in casseforme e poi fatto asciugare a lungo al sole prima del disarmo. Questa fase delle lavorazioni è stata particolarmente delicata ed ha comportato anche una sospensione dei lavori corrispondente ai mesi estivi (da giugno ad ottobre del 2003), in quanto l’impasto non era abbastanza asciutto ed assestato da consentire il ripristino del solaio di piano e della copertura. Sono stati inoltre creati dei collegamenti strutturali fra le porzioni di muro nuovo e quello originario attraverso l’inserimento di canne, analogamente a quanto si realizza oggi nel restauro del patrimonio esistente attraverso la tecnica delle cosiddette “cuciture armate”. Anche le murature particolarmente assottigliate dal dilavamento sono state ispessite con l’aggiunta di impasto nuovo, fatto aderire attraverso graticci di canne “cucite” alle murature originarie. Si è poi provveduto alla ricostruzione del tetto, preceduta anche in questo caso dalla realizzazione di un presidio strutturale di miglioramento sismico e cioè un cerchiaggio delle pareti in sommità, realizzato però con materiale ligneo, anziché ferro o cemento armato come avremmo fatto in un restauro di tipo tradizionale. Tale cordolatura contribuisce anche a distribuire in modo più uniforme il carico delle travi di copertura sulle sottostanti sezioni murarie. Sotto al manto di coppi è inoltre stata inserita una guaina (prima inesistente) per meglio ovviare la penetrazione dell’acqua piovana. Un altro aspetto problematico da risolvere era l’abbassamento delle architravature delle porte, traslate a causa dell’abbassamento complessivo delle pareti per l’erosione basamentale. Tale abbassamento (fra i 20 ed i 30 centimentri) non consentiva più di passare comodamente attraverso le aperture e al piano terra anche l’intradosso del solaio superiore risultava talmente basso da toccare quasi la testa delle persone che ispezionavano gli ambienti. Considerato che era impossibile ormai ripristinare le quote originarie degli architravi e del solaio di piano, a causa delle consistenti demolizioni necessarie e anche della ricostruzione pressoché integrale delle murature esterne che questa operazione avrebbe comportato, si è optato per un semplice abbassamento del piano di calpestio (attraverso lo scavo e asportazione della terra pavimentale per una profondità di circa 20 centimetri), coadiuvato anche da una leggera sottofondazione muraria, prima inesistente. Indispensabile per la conservazione dell’edificio è Foto n. 3 - Particolari del fronte Sud. 33 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE stata anche la realizzazione di un ampio scavo all’esterno, al fine di ripristinare per un certo raggio intorno all’edificio le pendenze originarie, e di un drenaggio aderente alla base delle murature. Per il migliore allontanamento delle acque è stato inoltre revisionato da parte dell’Amministrazione comunale il sistema di scolo verso un fosso esistente, limitrofo all’area. Sono stati infine ripristinati gli intonaci esterni, in analogia ai pochi lacerti originari, rinvenuti ancora aderenti alle pareti, attraverso impasti tradizionali di malta di calce, sabbia ed inerti. Foto n. 4 - Fronte Sud dell’atterrato. 34 I lavori della Commissione Tecnica e le Linee Guida per le redazione del piano di recupero di Villa Ficana Dopo più di sette anni dal suo avvio il piano di recupero unitario di Villa Ficana è stato definitivamente approvato e, contestualmente, sono state reperite le risorse finanziarie per dare avvio ai lavori di restauro dell’intero quartiere1. Il percorso progettuale è stato particolarmente complesso. D’altra parte il restauro di un intero quartiere presenta delle problematiche stratificate su diversi livelli che, oltre agli aspetti tecnici, riguardano la definizione delle destinazioni d’uso e le connessioni fra proprietà pubblica e privata. In aggiunta, a Villa Ficana si è dovuto affrontare il problema della rifunzionalizzazione di manufatti di terra, nel rispetto integrale delle caratteristiche tecniche e tipologiche degli atterrati, ricercando, comunque, soluzioni progettuali che consentissero di raggiungere standard abitativi accettabili. Inoltre, e non è questione di poco conto, il piano di recupero ha operato in un quadro normativo che non riconosce le case di terra fra i sistemi costruttivi consentiti2. In un contesto così problematico non può non essere rimarcata la volontà dell’amministrazione comunale di Macerata che ha investito nell’iniziativa aspettative qualificanti per la propria politica di tutela e di valorizzazione del territorio. Contestualmente il riconoscimento, da parte del Ministero per i Beni e le Attività culturali, di bene e testimonianza di notevole interesse storico-culturale in base al D.Lgs 490/99, attualmente sostituito dal D.Lgs 42/04, ha incentivato gli sforzi per definire un intervento in linea con i valori riconosciuti agli atterrati di Villa Ficana. La tutela riguarda complessivamente tutta l’area perimetrata dal piano di recupero e individualmente tutti gli edifici, in un rapporto d’interazione con tutti gli spazi pubblici, comprendendo tutte le aree interne non edificate e tutta la viabi- Pierluigi Salvati lità . Un decreto che individua nell’insieme del quartiere, nel suo complesso, un valore unitario. Non vengono fatte differenze fra le aree edificate, gli edifici singoli, le aree di risulta, gli orti e gli spazi utilizzati per la viabilità interna. Ogni elemento che compone il quartiere ha un rapporto logico ed inscindibile con il contesto e tutti, in ugual misura, concorrono alla definizione delle caratteristiche tipiche e originali del tessuto abitativo. Gli elementi principali che hanno determinato questo concetto d’insieme sono, naturalmente, le case di terra e la convinzione, oramai ampiamente radicata, che non è sufficiente conservare le emergenze per preservare i loro valori. E’ necessario che tali emergenze continuino a mantenere il proprio rapporto con una cornice esterna congruente e non alterata. È necessario mantenere i rapporti di legame, le interferenze funzionali e quelle visive e gli equilibri propri del contesto e degli intorni per conservarne il carattere. Villa Ficana è un caso esemplare. Oltre al valore intrinseco degli atterrati, caratterizzati dai materiali da costruzione e dalle tecniche di edificazione, e dal valore storico e sociale che essi testimoniano, è riscontrabile un valore d’insieme e una dimensione a scala urbana che possono rappresentare elementi determinanti per il suo recupero e la sua valorizzazione. Sembra quasi il luogo ideale per sperimentare un progetto urbano alternativo. Il tentativo di vivere la modernità ed il proprio tempo attraverso il recupero sostenibile del passato, senza apportare alterazioni incompatibili e stravolgenti allo stato di fatto degli edifici e dei luoghi. Successivamente alla presentazione del piano di recupero unitario d’iniziativa privata avvenuta nel 20003, il comune di Macerata ha istituito una 1 Fondi comunitari piano di sviluppo rurale -Fondi regione Marche- Fondi comunali. 2 Per la normativa italiana, Legge 2.2.1974 n°64 Provvedimenti per le costruzioni con prescrizioni per le zone sismiche– DPR 6.6.2001 n°380 testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, la tecnica costruttiva che prevede l’utilizzo della terra cruda non è inserita nell’elenco dei sistemi costruttivi consentiti. Art. 5 legge 64/74 e art 54 DPR 380 prevedono che gli edifici possono essere costruiti con: struttura intelaiata in c.a. normale e precompresso, acciaio o sistemi combinati di predetti materiali; struttura in pannelli portanti; struttura in muratura; struttura in legno. Quindi, nel nostro paese, non è consentita la realizzazione di nuovi edifici in terra cruda né il loro recupero. Al riguardo si segnala la proposta di legge presentata dai deputati Lion e Cossa riguardante “Provvedimenti per le costruzioni in terra cruda” ancora all’esame delle varie commissioni. 3 Progetto arch. Ernesto Tambroni -ing. Enzo Leonardi -ing. Adriano Ottaviani. 35 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Commissione tecnica4 per una verifica degli obiettivi individuati nel piano di recupero stesso, comprendente un esame delle scelte progettuali, delle possibilità tecniche d’intervento, dei sistemi di miglioramento strutturale nonché delle destinazioni d’uso ritenute compatibili. La necessità di un’ulteriore verifica del piano di recupero è stata dettata in parte, e in un certo senso imposta, dalla mutata situazione giuridica del quartiere a seguito dell’emanazione del decreto di vincolo 5. Inoltre, il recupero dell’intero quartiere, per la vastità delle problematiche e degli interessi coinvolti e per le difficoltà tecniche di realizzazione, necessitava di un ulteriore approfondimento che coinvolgesse personalità di comprovata esperienza, a cui è stato richiesto un apporto di guida ed indirizzo sulle scelte di fondo del piano. Il metodo di lavoro utilizzato dalla commissione tecnica per formulare il proprio giudizio riflette in parte quello previsto dalle Conferenze di Servizio: un confronto diretto fra le varie componenti e professionalità portatrici ognuna di una specifica competenza al fine di poter analizzare i problemi in un’ottica complessiva. Un confronto aperto al contributo di ogni singola esperienza. I lavori hanno preso spunto ed avvio dall’analisi del Piano di Recupero Unitario di iniziativa privata presentato nel 2000. È da sottolineare che tale piano di recupero è stato pensato e progettato in contesto sostanzialmente diverso da quello in cui ha lavorato la Commissione e pertanto alcune scelte progettuali sono state superate dal mutato status giuridico del quartiere. Determinante per l’indirizzo dei lavori della Commissione è stato il riconoscimento di Bene Culturale del quartiere mediante l’apposizione del vincolo, che ha gene- rato interesse e, in un certo senso, ha contribuito a restituire al quartiere delle case di terra di Macerata quella rilevanza e quella dignità che per lunghi anni era stata negata. Due sono stati i momenti nodali del lavoro svolto dalla Commissione tecnica di Villa Ficana: i verbali delle sedute6 e la successiva fase di sintesi rappresentata dalle Linee Guida per il piano di recupero. E’ interessante sottolineare, ancora una volta, la strategia di lavoro della Commissione che, al di là dei risultati futuri del recupero e del restauro, sui quali potrà essere espresso un giudizio a lavori conclusi, potrebbe rappresentare un modello di lavoro applicabile ad altri importanti monumenti. I verbali delle sedute sono un interessante materiale ricco di stimoli, caratterizzati dalla immediatezza del confronto e dalla finalità esclusiva di dare risposte pratiche e concrete. Tali verbali documentano i problemi affrontati e, anche se sono delle sintesi di lunghe ore di discussioni molte volte stimolanti e aperte a continue e pertinenti digressioni, sono caratterizzati da un’immediatezza, una incisività e una praticità che altri scritti difficilmente raggiungono. Le Linee Guida sintetizzano in modo organico e razionale i contenuti dei verbali con l’intento di fornire uno strumento di lavoro in grado di garantire un elevato standard qualitativo delle future progettazioni; contestualmente limitano il campo delle destinazioni d’uso possibili alle sole attività ritenute compatibili con i caratteri tipologici e dimensionali delle case di terra. Le tematiche affrontate ruotano intorno a questa duplice finalità. Inoltre, è interessante constatare come il lavoro di sintesi sia stato impostato su di un realismo operativo privo di dogmi e ideologie disciplinari. 4 Commissione tecnica Villa Ficana: coordinatrice arch. Anna Paola Conti. Membri: Arch. Mauro Bertagnin (rappresentante CRATerre), Arch. Mario Crucianelli (Rappresentante degli industriali provincia di Macerata), Ing. Marco D’Orazio ( Rappresentante Università degli Studi di Ancona facoltà d’Ingegneria), Arch. Eugenio Galdieri (rappresentante ICCROM ICOMOS), Prof. Augusta Palombarini (Rappresentante Università degli Studi di Macerata facoltà di Lettere e Filosofia), Arch. Pierluigi Salvati ( rappresentante la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Marche), Arch. Maurizio Bonotti (Funzionario dell’Ufficio Tecnico del comune di Macerata), Arch. Mauro Saracco. 5 Decreto Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali delle Marche - art. 2 D.Lgs. 29.10.1999 n° 490 del 18.7.2003. 6 I verbali delle sedute della Commissione tecnica sono stati curati dall’arch. Anna Paola Conti e dall’arch. Maurizio Bonotti che, oltre al loro qualificato contributo quali membri della Commissione tecnica, si sono assunti il compito, con la redazione dei verbali, di tracciare una linea di continuità ai lavori della Commissione. 36 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE L’intervento di restauro in generale, in particolare quello architettonico, produce, senza alcun dubbio, cambiamenti e modifiche in parte irreversibili. Il recupero e la rifunzionalizzazione delle case di terra, con tutti i limiti e la delicatezza di questa tecnica costruttiva, pone in modo ancora più forte il problema del cambiamento, che deve essere gestito e controllato in maniera tale che non produca alterazioni incongruenti e mutilazioni penalizzanti. Le Linee Guida, con le loro indicazioni, hanno cercato di definire e delimitare il campo dei possibili interventi in modo da rappresentare una base vincolante per il futuro lavoro di recupero e per conciliare, in modo armonico e sostenibile, i possibili cambiamenti con la conservazione di tutti quei valori storico culturali riconosciuti al quartiere di Villa Ficana. Materialmente le Linee Guida sono state redatte dall’arch. Anna Paola Conti e di seguito se ne riporta una sintesi significativa. Le LINEE GUIDA elaborate dalla scrivente, che costituiscono una traccia per la futura estensione di un Piano di Recupero normativo, sono state stilate sulla scorta del rilievo attualmente disponibile e delle indicazioni emerse durante i lavori della Commissione Ficana. Sono inoltre state discusse in ulteriori incontri con il rappresentante del Comune, arch. Bonotti, e della Soprintendenza, arch. Salvati. Le linee guida sono state quindi inviate, da Maurizio Bonotti, a tutti i componenti della commissione, alcuni membri - Mauro Bertagnin, Eugenio Galdieri, Maria Luisa Neri, Augusta Palombarini - hanno manifestato la loro adesione o i loro commenti attraverso osservazioni scritte o verbali. Dagli altri non sono arrivate considerazioni per cui si può ritenere che il loro giudizio sia sostanzialmente favorevole. (Anna Paola Conti) LINEE GUIDA per la redazione del Piano di Recupero del quartiere di VILLA FICANA Capo I Introduzione Illustrazione del contenuto - Categoria delle opere ammesse 1 Illustrazione del contenuto ◆ Motivazioni del lavoro con particolare riferimento all’illustrazione delle finalità del Piano di Recupero. Va ribadito che, vista la presenza del vincolo, le scelte progettuali devono essere indirizzate esclusivamente alla conservazione degli edifici. ◆ Definizione operativa delle scelte progettuali del Piano di Recupero, stabilita in armonia con quanto previsto dal Vincolo. Tale fase, preliminare, del lavoro deve essere direttamente concordata con i rappresentanti della Soprintendenza. 2 Categoria delle opere ammesse, da attuare con le prescrizioni di volta in volta indicate (divieto di demolizione e ricostruzione, divieto di sostituzione del materiale, divieto spostamento quota primo solaio… come di seguito indicato) 37 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Le opere ammesse, da porre in atto con le modalità del restauro, sono: ◆ Risanamento conservativo ◆ Manutenzione straordinaria ◆ Manutenzione ordinaria (le modalità di istruttoria delle pratiche dal punto di vista urbanistico, l’iter e le modalità di rilascio degli eventuali permessi ed i tempi previsti non devono essere definiti in quanto si fa riferimento alla procedura prevista dagli strumenti urbanistici vigenti). Capo II Normativa Destinazione – Divieti – Prescrizioni – Pianificazione generale 1 Destinazione Ribadendo la particolarità del tipo di vincolo che tutela il quartiere nella sua totalità – sia tutte le costruzioni che le aree libere – si prescrive per gli edifici una destinazione prevalentemente residenziale, si prevede altresì la possibilità di collocare nel quartiere anche piccole attività commerciali e/o artigiane. A Ficana potranno essere localizzate: 1) abitazioni per i residenti “storici” (o comunque abitazioni per coloro che “scelgono” di andare a vivere a Ficana); 2) abitazioni per studenti, Macerata è una città universitaria; la scelta appare praticabile e soprattutto conciliabile con le dimensioni ridotte della tipologia di base; 3) edilizia speciale da usare per alloggi temporanei assegnati per brevi periodi in caso di necessità; 4) alloggi da usare per la realizzazione di progetti di cooperazione culturale che prevedano scambi tra città gemellate; 5) alloggi da utilizzare per garantire la ricettività necessaria agli scambi culturali previsti tra gli atenei europei (programma Erasmus e simili); 6) sedi di attività commerciali e/o artigiane di dimensioni compatibili con la scala del quartiere. Tali destinazioni dovrebbero convivere, in modo da garantire una presenza continua e la disomogeneità necessaria a rendere la “naturale” vita di un quartiere. La coesistenza dei nuovi utenti con gli abitanti storici della zona, i quali costituirebbero l’anello di congiunzione tra passato e presente, garantirebbe la diversità d’uso necessaria per evitare il pericolo di ghettizzazione. Sarebbe opportuno, inoltre, individuare e restaurare una unità abitativa senza apportare mutamenti dimensionali e tipologici. Mantenendo le sue caratteristiche peculiari, essa potrà essere usata a scopo scientifico e didattico per testimoniare la storia e le condizioni di vita delle classi più umili della metà dell’ottocento. Tale unità, inoltre, potrebbe essere utilizzata come portineria per lo studentato, office, ecc.. Le destinazioni “speciali”, punti 2), 3), 4), 5), sono da considerare ammissibili ma non vincolanti in quanto la loro effettiva realizzazione sembra più che altro legata ad un probabile – ma, ad oggi, non certo - impegno diretto dell’Ente Pubblico. Nel caso in cui le costruzioni del quartiere fossero utilizzate unicamente per gli scopi previsti ai punti 1) e 6), sarà opportuno stabilire la quantità massima di edifici sede di attività commerciali e/o artigiane. 2 Divieti Il P d R definisce in modo puntuale le opere che si riferiscono alla conservazione del quartiere nella sua totalità, con riguardo sia all’aspetto strutturale che di finitura esterna. Devono quindi essere rispettati i seguenti divieti: ◆ divieto di sostituzione del materiale originario; 38 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE ◆ divieto di spostare la quota del solaio intermedio; ◆ divieto di ricostruzione in caso di crollo totale. Anche circa le opere interne, è però necessario fornire indicazioni operative, in modo da offrire gli strumenti utili ad agire in accordo con la logica costruttiva del crudo. Andranno evitati interventi che interferiscano negativamente, dal punto di vista statico, igroscopico, ecc, con le strutture esistenti. Ad esempio sono vietati: ◆ la creazione di nicchie nelle murature; ◆ le finiture murarie non traspiranti; ◆ l’esecuzione generalizzata di tracce; ◆ l’eccessiva concentrazione di carichi, ecc. 3 Prescrizioni Premessa: Il P d R deve conciliare il rispetto dell’evoluzione storica del quartiere così come oggi è giunto fino a noi, con i necessari adattamenti conseguenti al fatto che Ficana non è destinata ad essere un museo, ma deve ridiventare un normale quartiere urbano capace di ospitare gli spazi utili alla vita contemporanea. Indirizzi suggeriti: Si esclude la possibilità di cambiare la quota del solaio interpiano in quanto ciò risulterebbe poco utile ai fini dell’adeguamento igienico e dannoso dal punto di vista strutturale. Gli aumenti di volume ottenuti tramite l’abbassamento del piano di calpestio del PT appaiono molto problematici in quanto le conoscenze riguardanti le caratteristiche delle fondazioni sono allo stato attuale decisamente insufficienti. Si ritiene possibile lasciare spazio a minimi aumenti di volume ottenuti maggiorando l’altezza della linea di gronda e, ove effettivamente necessario, a corpi aggiunti (definiti in genere volumi tecnici), ma viene chiesto ogni volta di presentare un rilievo accurato dello stato di fatto dell’edificio interessato e, soprattutto di motivare le scelte progettuali e le eventuali richieste di ampliamento. La costruzione dei corpi aggiunti deve essere “giustificata” caso per caso da necessità effettive, così da avere l’incidenza minore possibile in termini di cubatura ed ottenere comunque una soluzione estetica valida e non necessariamente omogenea – in modo da rispettare i caratteri del luogo – attenta inoltre alle caratteristiche tecnologiche della terra cruda. La maggiorazione dell’altezza della linea di gronda appare molto più problematica visto che siamo in presenza di schiere. Bisogna evitare di dare un ordine artificiale, sia dal punto di vista tipologico che da quello tecnico costruttivo, ad un contesto che è nato in maniera spontanea. Appare utile lasciare una certa libertà nella scelta di soluzioni e materiali, rispettando comunque i parametri di salvaguardia fissati per gli edifici, in modo che il borgo continui ad evolversi oggi, come è stato nelle epoche passate. Gli interventi consentiti – Risanamento conservativo, Manutenzione straordinaria, Manutenzione ordinaria – dovranno essere attuati con le seguenti prescrizioni, relative a: materiale - terra Definire norme che stabiliscano le modalità di reperimento (cave di materiale idoneo), di utilizzo e la corretta composizione del materiale terra. 39 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Indicazione delle tecnologie costruttive (adobe, massone, pisè o altre tecniche che utilizzino la terra cruda) da utilizzare, della composizione del materiale e dei test empirici da porre in atto in loco. murature / dissesti e integrazioni della struttura muraria Utilizzare gli stessi materiali, le stesse modalità costruttive e le stesse dimensioni per ripristinare e migliorare strutturalmente gli edifici. Le parti da integrare o sostituire saranno realizzate in terra: con massoni, mattoni crudi ecc. Saranno definite soluzioni tipo per i dissesti più diffusi. I mattoni cotti verranno utilizzati solo per il restauro o la sostituzione delle parti esistenti già realizzate in tale materiale. Le incamiciature esterne “storiche” possono essere mantenute. La scelta verrà effettuata, ed opportunamente motivata, dal progettista del restauro. Nel caso di mantenimento ed eventuale ricostruzione – esempio cuci e scuci – devono essere utilizzati i mattoni originari, eventualmente integrati con altri mattoni vecchi. fondazioni Gli aumenti di volume ottenuti tramite l’abbassamento del livello di calpestio del PT appaiono molto problematici in quanto le conoscenze riguardanti le caratteristiche delle fondazioni sono allo stato attuale decisamente insufficienti. Il cambiamento della quota di calpestio si ritiene comunque possibile in casi, e con soluzioni, da valutare dopo la presentazione di adeguata documentazione (indagine geologica, studio accurato del sistema fondale ecc.). E’ necessario comunque porre particolare attenzione al rapporto dell’intervento proposto con la situazione statica dell’intorno. cordoli Andranno ricercate soluzioni antisismiche compatibili con la tecnologia del crudo, evitando i cordoli in cemento armato. solai Divieto di cambiare la quota del solaio interpiano. Obbligo di mantenere i solai in legno. aggetti Vietati nuovi aggetti. scale Le scale esterne vanno mantenute in ossequio alla tipologia esistente. Possibilità di chiudere la scala esterna (ispirandosi alla tipologia delle superfetazioni), in modo da migliorare lo sfruttamento degli spazi interni. coperture Dovrà essere tendenzialmente mantenuta (mantenimento come risultato dell’insieme dei lavori di restauro posti in atto nel tempo dai singoli proprietari) la quota unitaria – unica linea di gronda, unica linea di colmo – delle schiere. La coibentazione (non ventilata) potrà essere posizionata al di sopra della quota dell’impalcato ligneo attuale. Il manto di copertura dovrà essere realizzato in coppi e risultare unico nel caso di corpi aggiunti. adeguamenti strutturali con modifica di quota della gronda Intervento tendenzialmente escluso dal vincolo 40 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE La possibile sopraelevazione – che deve tendenzialmente interessare l’intera schiera – deve essere giustificata da ragioni tecniche. Potrebbe essere concessa per effettuare i necessari adeguamenti strutturali (es. posa in opera di un dormiente sotto le travi di copertura per meglio distribuire i carichi) senza dover diminuire le quote interne, tenendo ovviamente fissa la quota del solaio intermedio. corpi aggiunti Opportuno non eliminare quelli esistenti poiché, per esperienza diretta, tali spazi storicamente consolidati, si possono rivelare, nonostante le loro piccole dimensioni, estremamente utili per il miglioramento distributivo degli edifici. Possibile in alcuni casi crearne di nuovi, come soluzione estrema, anche se tale intervento si pone tra quelli tendenzialmente escluso dal vincolo. La costruzione di corpi aggiunti verrà concessa solo previa verifica, tipologica, funzionale e statica, da effettuare caso per caso, giustificata dalle effettive necessità e dallo stato di fatto, in quanto non appare corretto stabilire una norma generale senza stravolgere o omogeneizzare eccessivamente il tessuto esistente. aperture e infissi Mantenere le dimensioni esistenti. Serramenti realizzati con la tipologia classica in legno naturale colorato secondo una gamma di tinte prefissata. Vietati vetri specchianti, persiane e sportelloni. Per protezione e oscuramento, utilizzare scuretti interni. Rimozione degli infissi in alluminio esistenti. intonaci e trattamento delle facciate Si propone l’utilizzo di intonaci in terra, terra e calce, calce. Deve essere definita la composizione degli intonaci, sia interni che esterni. Devono essere definite le coloriture esterne. Per le parti realizzate ex novo in cotto (prevalentemente nuovi corpi aggiunti o rifacimento di quanto già esistente) si prescrive di utilizzare mattoni vecchi con finitura faccia a vista, murati, e con stuccatura dei giunti, a calce. finiture E’ opportuno proporre una diversa colorazione per le porzioni in crudo nuove, il colore deve essere armonizzato ma riconoscibile. impianti Si raccomanda di ridurre al minimo l’esecuzione di tracce nella muratura in terra, le canalizzazioni dovranno essere, per quanto possibile, esterne. fusione orizzontale fra unità E’ consentita la fusione orizzontale fra unità. Tale processo, che segue la logica dell’evoluzione spontanea, permette di ricavare, all’interno dei volumi esistenti, spazi adatti a soddisfare anche le moderne esigenze abitative. pianificazione generale Si ritiene consigliabile modificare la perimetrazione P d R (attualmente definita sulla scorta del primo P d R presentato), in modo da ricomprendere all’interno della zona tutelata anche le tre palazzine in 41 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE cotto che delimitano il quartiere verso Sud. Ciò appare opportuno perché tali edifici appartengono alla storia di Ficana essendo stati costruiti dagli stessi proprietari dei terreni e degli atterrati. Tale indicazione potrà essere posta in atto anche successivamente sotto forma di variante agli strumenti urbanistici. Chiarito che il tipo di vincolo – d’ambito – fa sì che siano tutelate anche le aree scoperte, si richiama la necessità di eseguire uno studio sulla viabilità generale interna. E’ necessario comunque indagare sul contesto che circonda Ficana in modo da spezzare l’isolamento cui attualmente il quartiere è sottoposto, a tal fine appare opportuno ripensare l’inserimento del borgo all’interno dell’indirizzo di piano del PRG di Macerata. Considerare: - collegamenti con la città - percorsi pedonali e/o carrabili - aree verdi - spazi aperti - parcheggi - ecc. Per quanto riguarda l’arredo urbano definire: - pavimentazione da realizzare in cotto posto in opera a secco - insegne - luci - numeri civici - ecc. Il Comune curerà la regimazione delle acque e la sistemazione degli spazi liberi interni, si assumerà quindi direttamente anche l’onere della progettazione di tali opere e della definizione delle scelte tecniche ad esse relative. Capo III Livello di definizione progettuale Indirizzi operativi - Prescrizioni per la redazione dei progetti 1 Indirizzi operativi Dovrebbero essere indicate delle soluzioni applicabili senza necessariamente localizzarle nelle planimetrie, e quindi senza imporre modifiche standardizzate, ma in modo che ciascuno trovi la soluzione più adatta alle proprie esigenze. Si suggerisce di realizzare una normativa disegnata che illustri le principali tipologie e problematiche degli edifici del quartiere e proponga, nello stesso tempo, i corretti metodi di intervento inerenti ai singoli casi. (Il lavoro si configura in pratica nella veste del previsto manualetto). Si dovrebbe procedere quindi alla redazione di schede tecniche contenenti “soluzioni tipo” proponibili per rispondere alla più diffuse necessità di tipo strutturale o estetico quali: ◆ risarcitura di lesioni – degrado della cortina muraria – ripristino di murature dilavate – adeguamento di aperture – rifacimento scale – eventuale abbassamento quota di calpestio del solaio interno – inserimento di impianti (attenzione soprattutto a quelli idrico e termico) ecc. 2 Prescrizioni per la redazione dei progetti Come stabilito durante i lavori della Commissione, gli elaborati, che verranno presentati dai progettisti incaricati di eseguire effettivamente le opere previste dal P d R, dovranno essere redatti con grande cura in quanto ai tecnici viene di fatto affidato il compito di integrare, attraverso un lavoro di rilievo partico- 42 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Stato attuale del borgo di Villa Ficana. larmente preciso, le conoscenze sull’effettivo stato di fatto degli edifici, conoscenze che appaiono ora lacunose ed insufficienti. Le informazioni da richiedere ai progettisti saranno volte principalmente a conoscere lo stato di fatto, a controllare l’equilibrio statico della singola unità abitativa ed il suo rapporto con gli edifici circostanti, al fine di poter verificare la rispondenza delle scelte proposte. I tecnici estensori del Piano di Recupero dovranno quindi definire accuratamente l’elenco degli elaborati tecnici minimi richiesti per la redazione dei progetti, e stabilire: ◆ scala opportuna del rilievo – allegati richiesti – richiesta dell’eventuale quadro fessurativo – definizione precisa dei materiali che costituiscono le strutture portanti (terra massone, terra adobe, terra con incamiciatura in mattoni, solo mattoni…) – evidenziazione del tipo e dell’entità degli interventi precedenti succedutisi nel tempo – documentazione fotografica adeguata – saggi esplorativi con eventuale prelievo di campioni – raggio minimo del rilievo allargato eventualmente alle unità limitrofe. 43 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Gli elaborati dovranno inoltre essere realizzati secondo i requisiti necessari a soddisfare quanto prescritto dalle schede-rilievo della Soprintendenza. L’ampiezza e l’approfondimento della documentazione richiesta saranno ovviamente proporzionate al tipo e all’ “importanza” dell’intervento previsto. Per giungere all’approvazione dei progetti verrà avviata un’istruttoria congiunta tra Comune e Soprintendenza, con il coinvolgimento diretto di tecnici e proprietari (vedi 241/90 ed esperienza maturata con la gestione del sisma), in modo da impostare correttamente il lavoro in fase di progettazione preliminare e giungere, attraverso un “iter pilotato”, all’approvazione del progetto definitivo direttamente in sede di conferenza dei servizi. Ciò può essere utile a concordare l’iter progettuale attraverso una mediazione attiva tra le aspettative della committenza e le esigenze pubbliche di salvaguardia del bene tutelato. Si ribadisce la necessità della realizzazione pratica di un cantiere pilota in cui sperimentare i tipi più opportuni di intervento in relazione alla particolare tipologia e conformazione del quartiere. Tale esperienza, realizzata ad hoc per Ficana costituirebbe la necessaria condizione per la realizzazione del manuale operativo citato e per verificare in relazione alle specificità locali, le indicazioni operative reperibili in letteratura. Foto n. 5 - Scorcio interno del borgo. Censimento e catalogazione delle architetture di terra nella regione Marche La terra. Tutte le cose hanno relazione con la terra. Essa accoglie tutti gli esseri, ma anche si plasma, duttile elemento, e assume le forme che l’uomo le imprime. Assecondando i suoi bisogni si fa riparo, casa, utensile, segno concreto della società che le ha prodotte. Quella delle case di terra è una storia che non conosce confini temporali e geografici. Si resta affascinati da queste strutture elementari e discrete che emergono quasi “naturalmente” dal terreno, fondendosi armoniosamente con il paesaggio. Esse raccontano la vita del popolo in anni lontani, di una tradizione contadina sulla quale è sceso il sigillo del tempo, ma non quello della memoria. In particolare nella nostra regione il fenomeno si è diffuso maggiormente nella seconda metà dell’Ottocento, con l’affermarsi della mezzadria, dove povertà e miseria, unite ad un aumento eccessivo della popolazione, resero necessaria la costruzione di abitazioni a basso costo. Infatti, erano gli stessi futuri abitanti a realizzarle con l’aiuto dei familiari e spesso del vicinato. Si trattava per lo più di piccoli proprietari terrieri, mezzadri e braccianti, che si improvvisavano costruttori senza seguire tecniche precise. Nonostante ciò, essi adottarono particolari accorgimenti che resero le case di terra perfettamente abitabili e rispondenti alle condizioni climatiche, come ad esempio, il tetto con falde sporgenti e la fascia basamentale in mattoni per riparare le murature dall’azione dilavante della pioggia; oppure dimensioni ridotte delle finestre per evitare la dispersione del calore. Quando le condizioni economiche sfavorevoli costrinsero i mezzadri ad emigrare abbandonando le loro abitazioni, molte delle costruzioni in crudo andarono perdute: alcune furono demolite per essere ricostruite in mattoni dai nuovi proprietari; altre rimasero disabitate in attesa di un ritorno, che il più delle volte non avvenne. Gli “atterrati” abbandonati andarono presto in rovina a causa della mancanza delle indispensabili opere di manutenzione e dell’azione degli agenti atmosferici che li ridussero rapidamente, in molti casi, in un ammasso di terra informe. Dalla seconda metà del ‘900 nelle Marche, non Francesco Bravi Paolo Canullo sono state costruite più case di terra. Gli ultimi manufatti datati, due capanni presenti nel comune di Monterado (AN), risalgono uno al 1930, l’altro al 1946. Con il “boom economico”, che ha interessato anche la nostra regione, la gente ha sviluppato un processo di rimozione culturale e fisica di quello che ormai era considerato da tutti come un simbolo di povertà. Proprio all’uomo, quindi, è da imputare la veloce scomparsa di moltissime case di terra, piuttosto che ad una strutturale deperibilità dei materiali. Tuttavia un numero minore di queste costruzioni ha continuato ad essere utilizzato fino ai giorni nostri, come abitazione o come ricovero per gli attrezzi e il bestiame. I censimenti storici delle case di terra. Numerosi sono stati i tentativi di chiarire la distribuzione di tali architetture sul nostro territorio regionale. Tuttavia, il campo di osservazione di questi studi è stato parziale, dal momento che ha riguardato solamente realtà locali. L’inchiesta Jacini, che risale alla fine del XIX secolo, fotografa la situazione delle campagne marchigiane, ma non fornisce alcun dato numerico sui manufatti in terra cruda. Per avere un prima quantificazione reale, su cui riflettere e confrontarsi, occorre attendere il 1934, anno dell’indagine sulle case rurali effettuata dall’Ufficio Centrale di Statistica su direttive personali del Capo di Governo. L’indagine aveva lo scopo di conoscere la reale situazione delle campagne fasciste, dividendo le abitazioni in diverse categorie, tra le quali anche case di terra, fogliame, ecc. I dati raccolti dall’indagine, inerenti alle costruzioni in crudo, forniscono il seguente quadro: Province Pesaro Ancona Macerata Ascoli Piceno Totale Numero 14 95 931 361 1401 Fonte: ISTAT, Indagine sulle case rurali, 1934. 45 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Il numero complessivo è di 1401 unità, di cui ben 931 appartengono alla provincia di Macerata. La prima ad avanzare delle perplessità sulla veridicità di tali dati fu Clarice Santoponte Emiliani, che effettuerà qualche anno più tardi (1941) una propria indagine conoscitiva rivolta esclusivamente alle costruzioni in crudo, scoprendo una realtà ben diversa. Secondo la Santoponte il numero riportato dall’ISTAT nel 1934 è da ritenersi errato per difetto, a causa di notevoli errori svoltisi nella raccolta d’informazioni e per la volontà di occultare, o comunque ridimensionare, la presenza di tali edifici. Un primo grossolano errore era stato quello di aver accorpato le costruzioni in terra con quelle in fogliame, generando confusione e imprecisioni sul censimento. Inoltre, la raccolta dei dati era stata affidata a podestà e medici condotti, che operavano con criteri molto diversi fra loro e senza specifiche conoscenze. Senza dimenticare, come sottolineava la Santoponte, che spesso le costruzioni in crudo potevano presentare uno strato d’intonaco esterno, che nascondeva la reale fattezza delle murature. In questi casi, ai molti medici condotti, spesso provenienti da altre regioni, i manufatti in terra cruda apparivano per nulla differenti rispetto alle altre abitazioni sparse nelle campagne. Probabilmente, la segnalazione di queste case avveniva solo nelle situazioni più palesi, proprio per la marcata volontà di sminuire questo fenomeno, come testimoniano le relazioni che accompagnano l’indagine dell’ISTAT nelle varie province. Un esempio può essere costituito dalla descrizione del territorio maceratese dove si afferma: “Le abitazioni in terra, fogliame, ecc… sono in minima parte”, mentre lo stesso censimento ne segnalava ben 931. Anche nelle altre province si negava l’evidenza di questi manufatti. Per il compilatore della relazione sull’Anconetano, il numero di 95 abitazioni poteva far concludere che: “Non esistono però nel territorio quei tuguri assolutamente inabitabili contrari ad ogni norma, non solo d’igiene, ma del più elementare vivere civile”. 46 In alto: Percentuale delle pagliare rispetto alle case rurali. Cartina a mosaico costruita in base ai limiti comunali. In basso: Percentuale delle pagliare rispetto alle case rurali. Cartina costruita col metodo delle curve isometriche. (Santoponte Emiliani, Dimore primitive nelle Marche, in Bollettino della R. Società Geografica Italiana, serie VII, vol VI, fascicolo 5, Roma, 1941). ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE La casa di terra ormai era diventata “un marchio d’infamia”1, sia perché si riteneva legata a condizioni di miseria e povertà, sia per l’insistente propaganda fascista che tendeva a dipingere senza brutture il proprio mondo contadino. Un aneddoto racconta che durante la visita del Duce a Corridonia furono occultate, con enormi cartelloni propagandistici, le costruzioni in terra lungo via Zegalara (tali manufatti sono ancora esistenti). La Santoponte Emiliani, sempre più convinta dell’inattendibilità delle cifre raccolte negli anni ‘30, intraprese numerose escursioni nella campagna marchigiana, verificando di persona quella che era l’effettiva estensione del fenomeno. Dopo aver circoscritto le aree interessate, utilizzando cartografie con i limiti comunali, controllò e confrontò i dati raccolti dai comuni con le costruzioni da lei censite. In questo modo elaborò una sorta di mappa regionale dove per ogni comune veniva evidenziata la percentuale delle case di terra rispetto alla totalità dei manufatti presenti. I risultati furono alquanto diversi rispetto a quelli dichiarati dagli stessi comuni. La Santoponte affermava: “a riprova di questo stà l’affermazione tas- sativa, fattami presso varie sedi comunali, che non esistevano abitazioni del tipo da me cercato in comuni nel cui territorio ne avevo io stessa rintracciate in numero abbastanza notevole; o, viceversa, mi è accaduto di constatare l’esistenza di un numero molto minore di quello dichiarato” 2. Dalla ricerca della Santoponte emerge che la maggior parte delle costruzioni in crudo era distribuita nelle zone collinari con concentrazioni che superano il 20% nel maceratese. Negli ultimi decenni del ‘900, si è sviluppato un grande interesse verso questo tipo di architettura, grazie anche ai numerosi studi e ricerche effettuati da istituzioni e privati. A partire dagli anni ‘79-‘80, l’allora Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Marche, valutando l’interesse etnografico e documentario dei manufatti in terra, e l’importanza della conservazione degli stessi, ha redatto una propria catalogazione composta da schede sul modello SU e A, predisposti dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Il censimento è riportato di seguito con a fianco i dati della recente verifica3 sull’attuale esistenza o scomparsa dell’edificio. CASE DI TERRA CATALOGATE DALLA SOPRINTENDENZA PER I BENI AMBIENTALI E ARCHITETTONICI DELLE MARCHE PROVINCIA DI ANCONA Ostra Vetere - Loc. Molino (cat. Gen. n° 11/00048264) esistente PROVINCIA DI ASCOLI PICENO Campofilone - Loc. Valdaso (cat. gen. n° 11/00031302) - Loc. Valdaso (cat. gen. n° 11/00032502) esistente scomparsa 1 E. Sori – A. Forlani, Case di terra e paglia nelle Marche, Ascoli Piceno, 2000, p. 29. 2 C. Santoponte Emiliani, Dimore primitive nelle Marche, in Bollettino della R. Società Geografica Italiana, 1941 s. VII, vol. VI, fasc. 5, p. 253. 3 F. Bravi – P. Canullo, “Catalogazione delle architetture in terra cruda nelle Marche”, tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze – Facoltà di Architettura. 47 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Fermo - Loc. Molini (cat. gen. n° 11/00031295) - Loc. Gabbiano (cat. gen. n° 11/00031296) - Via Molini (cat. gen. n° 11/00049074) Massa Fermana - Loc. S. Vittoria (cat. gen. n° 11/00031291) - Contrada Modeani (cat. gen. n° 11/00031292) - Contrada Modeani (cat. gen. n° 11/00031293) - Via S. Lorenzo (cat. gen. n° 11/00031294) - Via Tarucchio (cat. gen. n° 11/00031297) Montegiorgio - Loc. Pianarelle (cat. gen. n° 11/00031303) Montegranaro - Via S. Maria (cat. gen. n° 11/00031298) Monte S. Pietrangeli - Loc. S. Rustico (cat. gen. n° 11/00031299) - Via Forone n° 5 (cat. gen. n° 11/00031300) - Strada Vicinale (cat. gen. n° 11/00031301) PROVINCIA DI MACERATA Macerata - Loc. Terria (cat. gen. n° 11/00060100) - Villa Ficana (cat. gen. n° 11/00030861) Corridonia - Via Mosè n° 5 (cat. gen. n° 11/00030811) - Via Zegalara n° 16 (cat. gen. n° 11/00030815) - Via Zegalara n° 15 (cat. gen. n° 11/00030816) - Via Mosè n° 4 (cat. gen. n° 11/00030817) - Colle S. Martino n° 3 (cat. gen. n° 11/00030818) - Colle S. Martino n° 33 (cat. gen. n° 11/00030820) - Via Zegalara n° 17 (cat. gen. n° 11/00030819) - Ponte Tavole (cat. gen. n° 11/00030821) - S. Giuseppe (cat. gen. n° 11/00030813) - S. Giuseppe (cat. gen. n° 11/00030822) - Via Mosè n° 14 (cat. gen. n° 11/00030823) - Via Mosè n° 16 (cat. gen. n° 11/00030824) - Via Mosè n° 15 (cat. gen. n° 11/00030828) - Via Antico n° 9 (cat. gen. n° 11/00030826) - Via Campetella (cat. gen. n° 11/00030825) Pollenza - Via Potenza (cat. gen. n° 11/00030810) - Via Potenza n° 38 (cat. gen. n° 11/00030812) - Via Potenza n° 39 (cat. gen. n° 11/00030814) - Via Campetella n° 55 (cat. gen. n° 11/00030827) - Contrada Rambona (cat. gen. n° 11/00030829) 48 esistente esistente esistente esistente scomparsa scomparsa esistente esistente esistente scomparsa esistente scomparsa esistente esistente esistente esistente esistente esistente esistente esistente esistente esistente esistente esistente esistente esistente scomparsa esistente scomparsa scomparsa scomparsa esistente esistente esistente esistente ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE L’indagine aveva catalogato, a campione, 38 manufatti, dislocati principalmente nelle province di Macerata ed Ascoli Piceno. Gli studi e le ricerche effettuati diedero impulso ad una attività di tutela che produsse, nel 1982, per la casa Perlini – Santini, di Ostra Vetere (AN), il primo Decreto ministeriale di tutela ed il primo restauro di una casa di terra nelle Marche, a cura della Soprintendenza4. Recenti studi sulle case di terra nella Regione. Il presente studio prende avvio dalla redazione della tesi di laurea in Architettura presso l’Università degli studi di Firenze, dal titolo “Catalogazione delle architetture in terra cruda nelle Marche”. La prima tappa da cui è partita tutta l’analisi sull’architettura di terra nelle Marche è stata quella di chiarire l’attuale diffusione di questo fenomeno sull’intero territorio regionale. Infatti, nonostante la presenza di numerosi documenti e validissime pubblicazioni sull’argomento, mancava un preciso quadro quantitativo. Un passo fondamentale per la salvaguardia e la conservazione di questi manufatti non può prescindere da un’accurata indagine territoriale degli atterrati o pagliare ancora esistenti, indispensabile anche per ottenere un quadro complessivo delle tipologie e metodologie costruttive, che variano a seconda della zona. Non a caso le norme contenute nella legge n.17 del 1997, adottata dalla Regione Abruzzo per il recupero e la valorizzazione del proprio patrimonio in crudo, prevedono tre fasi successive: una prima catalogazione, la creazione di un centro di documentazione e ricerca ed un successivo programma di recupero del patrimonio censito. Il desiderio di ampliare e arricchire le conoscenze sui manufatti in terra cruda, è sortito in una ricognizione su tutto il territorio regionale “idoneo”, ovvero avente le caratteristiche geo-morfologiche che permettano l’utilizzo della terra come materiale da costruzione. Analizzando la carta geologica regionale si è potuta effettuare una prima “scrematura” delle zone in cui indagare, eliminando tutta la fascia montana dove la probabilità di incontrare costruzioni simili diminuisce esponenzialmente man mano che si sale in altezza. Queste riflessioni trovano conferma nella letteratura sull’argomento ed infatti la Santoponte Emiliani affermava: “(…..) né, d’altra parte si incontrano al di sopra dei 300-350 metri”; oppure precedentemente, nell’inchiesta Jacini: “Esse sono abbastanza comuni nella zona di collina e pianura: sono invece poco frequenti o mancano affatto nella zona montana o submontana”. Il passo successivo è stato quello di raccogliere informazioni e cartografie di tutti i comuni e località, nei quali veniva segnalata la presenza di questo tipo di edifici. In seguito, il nostro campo d’azione, è stato allargato anche ai comuni limitrofi, dove non era stata ancora rilevata la presenza di atterrati. Si procedeva poi alla ricognizione vera e propria sul territorio, nel corso della quale si individuavano i manufatti a vista, e di seguito, si passava al rilievo metrico e fotografico dell’edificio, prestando attenzione a tutti i particolari costruttivi: la tipologia della copertura e del solaio, collegamenti verticali, aperture e serramenti, arredamento interno, ecc. La ricognizione sul campo ha avuto esiti insperati: numerosi manufatti, alcuni fatiscenti, altri in buono stato, testimonianze orali, documenti, analisi, fotografie. L’esplorazione è stata effettuata su ben 142 comuni, formanti una fascia ininterrotta che va dal Sud della regione fino alle aree più a Nord. In un anno di ricerche sono stati censiti 245 manufatti di terra, di cui 111 nella provincia di Macerata, 100 in quella di Ascoli Piceno, 23 in quella di Ancona e 11 nella provincia di Pesaro – Urbino. Questi dati sono confluiti in schede di catalogazione raggruppate in ambiti provinciali, i quali si succedono secondo un ordine di densità delle costruzioni in terra cruda. Nella scheda relativa a ciascun edificio si indicano: ◆ informazioni di carattere generale (collocazione dell’edificio, tipologia, tecnica costruttiva, utilizzo attuale); ◆ localizzazione del manufatto su cartografia IGM 1:25000; ◆ rilievo grafico dell’atterrato con individuazione dei materiali tipici o estranei al tipo di costruzione; ◆ rilievo fotografico; ◆ breve descrizione dell’edificio, della sua distribuzione interna e dello stato di conservazione. Di seguito viene riportata, a titolo di esempio, una scheda tipo. 4 Vedi articoli A. Pugliese e S. Cesarini, stesso volume. 49 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Scheda tipo 50 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE 51 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Le costruzioni sono state divise per tipologie5 in base al numero degli ambienti e alla loro destinazione d’uso in: ◆ casa del mezzadro e piccolo proprietario (in genere realizzata su due livelli, composta da cucina, camere, stalla e deposito per l’attrezzatura agricola); ◆ casa del bracciante (generalmente costituita da due ambienti sovrapposti: camera e cucina); ◆ capanna o annesso agricolo (un unico ambiente che fungeva da deposito e rimessa per attrezzi agricoli o stalla). Nel presente volume, per ragioni editoriali di spazio, alcune schede sono state semplificate inserendo soltanto foto, localizzazione e caratteristiche principali dell’edificio. Questo lavoro di ricerca ha reso possibile la compilazione di un aggiornato censimento. Si auspica che dalla realtà da esso emersa la regione Marche provveda ad adottare una legge per la tutela e la conservazione del patrimonio in crudo. Infatti, è di fondamentale importanza valorizzare la cultura del nostro territorio in ogni suo aspetto, intervenendo concretamente, per consegnare alle future generazioni “un’importante testimonianza di antichissime tecniche costruttive”, che diventa anche un efficace mezzo per non dimenticare il passato. Si ringraziano per la loro preziosa e sincera collaborazione: Sara Staffolani, Carlo Campelli e la Prof.ssa Antonella Del Panta, docente di Restauro Architettonico presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. 5 La classificazione proposta è particolarmente significativa perché connessa alla destinazione d’uso dei costruttori-abitatori e non a quelle più usuali utilizzate per le case coloniche in muratura, organizzate in base alle caratteristiche architettoniche e tipologiche. 52 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Carta regionale con evidenziazione dei comuni che presentano costruzioni in crudo Legenda Comuni con presenza di manufatti in crudo Comuni privi di manufatti in crudo Comuni esclusi dalla ricerca sul campo 53 ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE Densità delle costruzioni in crudo Legenda Fino a 2 manufatti Da 3 a 5 manufatti Da 6 a 10 manufatti Da 11 a 15 manufatti Da 16 a 20 manufatti Oltre 20 manufatti Comuni privi di manufatti in crudo Comuni esclusi dalla ricerca sul campo 54