pp. 1 - Segretariato Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività

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ARCHITETTURE DI TERRA
NELLE MARCHE
Catalogo a cura della
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche
– Servizio comunicazione e iniziative culturali.
Comitato Scientifico:
Mario Lolli Ghetti, Luciano Garella, Maria Luisa Polichetti,
Alba Macripò, Edvige Percossi, Eugenio Galdieri.
Comitato redazione catalogo:
Alba Macripò, Edvige Percossi, Stefano Cesarini,
Moreno Farina, Francesco Bravi, Paolo Canullo.
Referenze fotografiche:
Archivio Fotografico Soprintendenza per i Beni Architettonici e
per il Paesaggio delle Marche, Stefano Cesarini, Francesco Bravi,
Carlo Campelli, Paolo Canullo.
Documentazione archivi:
Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Marche.
Progetto grafico e stampa:
Tecnostampa di Recanati
Mostra organizzata in occasione
delle Giornate Europee del Patrimonio 2005:
Rocca Roveresca di Senigallia
24 settembre – 30 ottobre 2005
Enti promotori:
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche
Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Marche
Comune di Senigallia – Assessorato alla Cultura
Comitato scientifico:
Mario Lolli Ghetti, Luciano Garella, Maria Luisa Polichetti, Alba Macripò,
Edvige Percossi, Eugenio Galdieri, Ada Antonietti, Remo Morpurgo
Comitato organizzatore:
Alba Macripò, Alberto Pugliese,
Museo di Storia della Mezzadria “Sergio Anselmi” - Senigallia,
Stefano Cesarini, Moreno Farina, Francesco Bravi, Carlo Campelli, Paolo Canullo
Referenze fotografiche e archivistiche:
Archivi Soprintendenza per i Beni Architettonici
e per il Paesaggio delle Marche, Stefano Cesarini, Francesco Bravi,
Carlo Campelli, Paolo Canullo
Progetto allestimento di:
Alberto Pugliese, Moreno Farina; collaborazione di Gianfranco Gasparetti
Si ringrazia tutto il personale della Direzione Regionale per i Beni Culturali
e Paesaggistici delle Marche che ha contribuito alla realizzazione dell’iniziativa; in
particolare si ringraziano per la fattiva collaborazione Marina e Michela Mengarelli,
Tiziana Pierantoni ed il personale in servizio presso la Rocca Roveresca.
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche
ARCHITETTURE DI TERRA
NELLE MARCHE
Edizioni Tecnostampa
Indice
Presentazione
Mario Lolli Ghetti
Studi e ricerche
Considerazioni introduttive al problema della conservazione
e tutela dei manufatti architettonici in terra
Luciano Garella
pag.
9
Tecniche, metodi di conservazione e restauro
dei manufatti architettonici di terra
Eugenio Galdieri
pag.
11
La casa di terra nelle Marche
Maria Luisa Polichetti
pag.
17
La casa Perlini-Santini di Ostra Vetere (AN)
La prima tutela di una casa di terra
Alberto Pugliese
pag.
21
La casa Perlini-Santini di Ostra Vetere (AN)
L’intervento di restauro (1988-1992)
Stefano Cesarini
pag.
25
Monteroberto (AN)-La casa di terra e paglia
in via Ponte Magno. L’intervento di restauro conservativo
Alessandra Pacheco
pag.
31
I lavori della Commissione Tecnica e le Linee Guida
per le redazione del piano di recupero di Villa Ficana
Pierluigi Salvati
pag.
35
Censimento e catalogazione delle architetture di terra
nella regione Marche
Francesco Bravi, Paolo Canullo
pag.
45
Provincia di Macerata
pag.
55
Provincia di Ascoli Piceno
pag. 151
Provincia di Ancona
pag. 247
Provincia di Pesaro-Urbino
pag. 273
Tutela e Conservazione
Censimento e catalogazione
Bibliografia di riferimento
pag. 285
Presentazione
Architetture di terra nelle Marche
Quando si parla di architettura di terra, l’immaginazione corre subito a rappresentare
paesaggi lontani, caratterizzati da costruzioni realizzate in materiali dai nomi stravaganti come pisè, adobe, chinè.
In Africa o in Oriente, infatti, gli amalgami di terra, acqua, paglia e rari inerti, seccati al fortissimo sole locale, sono consueti e di norma.
Immediatamente ci vengono in mente le vedute dei Tell mesopotamici, grandi colline di terra dilavata che si sono formate a causa dell’accumulo e dalla stratificazione
di successive fasi insediative, spesso risalenti ad epoche molto remote, ritornate plasticamente alla natura dopo l’abbandono dell’uomo.
Un ritorno che il viaggiatore occidentale, sopraffatto dall’invadenza del cemento e
delle tecnologie costruttive dure anche in ambienti paesaggistici di pregio, invidia
fortemente, riflettendo al contrario sull’antinaturalistico sfacelo delle nostre architetture “moderne”. Queste indubbiamente invecchiano assai male e senza nessuna possibilità di restituzione dei loro materiali alla terra. Come potranno mai essere metabolizzati il cemento armato e i suoi ferri rugginosi, la plastica invadente, il vetro, l’alluminio o i nuovi materiali sintetici sempre più avveniristici e sempre meno naturali? Quanta invidia di conseguenza per la morbida morte degli impasti di terra e quanta ammirazione per le dolci forme organiche, modellate dagli intonaci protettivi, che
caratterizzano questa particolare architettura, così intelligentemente concepita per
sfruttare al meglio le risorse locali e i materiali disponibili, ottenendo al contempo i
risultati più efficaci.
Infatti, accanto alle realizzazioni in impasto di terra dentro cassoni, meno duttili, l’ingegnosità dell’uomo ha da millenni sviluppato la tecnologia modulare del mattone
crudo (terra impastata, semplicemente seccata al sole) che consente di realizzare strutture più complesse e permette soprattutto di impostare le volte, come già gli antichissimi esempi delle lunghe volte a botte inclinate dei magazzini dei santuari a Luxor in
Egitto ci dimostrano.
Tutto questo lo immaginiamo in un remoto ed esotico “Altrove”.
In Italia, paese di grandi architetture di astratta e matematica perfezione e di elaborata e ricchissima realizzazione, pensiamo e siamo abituati a credere che le costruzioni
siano tutte realizzate in marmo, in pietra, o in bei mattoni cotti.
Pochissimi sanno invece che anche da noi l’utilizzazione del mattone crudo, se pur
limitata a costruzioni di un più modesto impegno, ebbe una notevole diffusione, grazie alla sua economicità ed alle buone prestazioni offerte, in particolare dal punto di
vista dell’isolamento termico.
Ovviamente si tratta quasi esclusivamente della costruzione di muri di recinzione, di
edifici rurali o di residenze per i ceti meno abbienti, non prestandosi il crudo, nelle
condizioni climatiche italiane, alle realizzazioni di strutture complesse ed elaborate.
La difficoltà di manutenzione e l’industrializzazione, con la conseguente facilità di
reperire a costo inferiore laterizi forati di migliori qualità meccaniche e di simili caratteristiche d’isolamento termico, hanno determinato, quasi dovunque in Italia, l’ab-
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
bandono di questa tradizione costruttiva. Inoltre per la sua buona conservazione è
necessario un costante e oneroso rifacimento degli intonaci, dal momento che il mattone crudo, privo di protezione superficiale, non può resistere all’azione disgregatrice
delle acque meteoriche da noi così frequenti.
E’ perciò molto importante procedere alla ricognizione ed al censimento delle strutture ancora superstiti, provvedendo a tutelarle adeguatamente e, ove possibile, a recuperarle in quanto significativa testimonianza della nostra identità culturale.
Quasi inaspettatamente le Marche hanno rivelato una considerevole quantità di costruzioni in “ terra” e molto meritoriamente l’Università, la Regione e le Istituzioni locali
si sono dedicate allo studio degli esempi più significativi, producendo anche delle interessanti pubblicazioni specifiche.
Da parte sua la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle
Marche, già pioniera in tale settore con un vincolo degli anni ’80 su di una casa ad
Ostra Vetere (AN), ha provveduto recentemente a tutelare un settore omogeneo del centro storico di Macerata, il quartiere Villa Ficana, quasi interamente costruito in terra;
tale vincolo può risultare quanto mai opportuno e necessario perché offre ai proprietari incentivi ed aiuti d’ ordine economico e fiscale per la conservazione dei loro beni.
Affiancando l’azione di tutela viene oggi ben volentieri pubblicato questo volume
sull’ “Architettura di terra nelle Marche” che raccoglie in forma completa e dettagliata la schedatura capillare di tutte le presenze realizzate in crudo nella regione, ordinate per tipologie, tesi di laurea di due attenti studenti della Facoltà di Architettura
dell’Università degli Studi di Firenze, Francesco Bravi e Paolo Canullo.
Si vuole in tal modo confermare una volta di più il mai sufficientemente affermato
assioma che non esiste tutela e conservazione senza conoscenza preventiva.
Mario Lolli Ghetti
Direttore Regionale per i Beni Culturali
e Paesaggistici delle Marche
Considerazioni introduttive al problema della conservazione
e tutela dei manufatti architettonici in terra
Luciano Garella
Si giunge ad illustrare gli esiti di un’esperienza cognitiva e di valorizzazione che ha
visto e vede come attori, ciascuno per i profili di competenza, Università ed
Istituzioni.
Il testo si propone infatti di raccogliere in modo articolato e con sufficiente completezza gli esiti di un lavoro comune fatto relativamente alle e per le “case di terra”.
Atteso che già da tempo si è superato, anche facendo riferimento a studi ed esperienze condotti in altri ambiti territoriali, il concetto di “casa di terra” come elemento
“provvisorio”, affetto per la sua stessa matericità da fisica deperibilità, era necessario
procedere in tale fase ad un’approfondita indagine che consentisse una catalogazione,
la più completa possibile, di questo particolare tipo di manufatti. Tale censimento, la
cui illustrazione costituisce quindi la parte centrale, sicuramente la più ponderosa,
consente dunque di avere un quadro sufficientemente attendibile sia del valore numerico che della densità sul territorio di questo genere di fabbriche.
Il lavoro condotto con la sistematica illustrazione delle tipologie così come delle tecniche costruttive impiegate si evidenzia come un contributo fondamentale per la promozione dell’attività di tutela che è tra i compiti precipui dell’attività della
Soprintendenza.
D’altronde la “conoscenza” del bene culturale, intesa questa come sua individuazione
e localizzazione, è il primo e fondamentale momento per l’accertamento delle peculiari caratteristiche monumentali, presupposto questo per l’avvio delle procedure del
riconoscimento dell’importante interesse.
In questa specifica fattispecie non può comunque essere sottaciuta, nel procedimento
ricognitivo del bene culturale da sottoporre a tutela, la necessità di salvaguardare delle
“case di terra” la specificità paesaggistica così come il loro valore di “memoria” vuoi
di un periodo storico vuoi di una tradizione, quella “contadina”, di cui ancora il territorio marchigiano è fortemente esemplificativo e rappresentativo.
L’accresciuta sensibilità delle Amministrazioni Comunali al rispetto ed alla salvaguardia di questo patrimonio edilizio “minore”, usando un termine abusato ed anche piuttosto datato, ha portato come nel caso del quartiere Ficana a Macerata all’individuazione di procedure nel campo dell’urbanistica finalizzate al recupero di questo genere di costruzioni.
Alla salvaguardia di tipo urbanistico si è fatta seguire l’elaborazione di un progetto di
restauro dell’agglomerato urbano; il progetto redatto anche con il contributo dei rappresentanti degli enti interessati ivi compresi quelli della Soprintendenza, di cui a
breve si attende la concreta attuazione, è consapevolmente ispirato, indipendentemente dal valore intrinseco del manufatto, ai principi del “restauro conservativo”.
In termini di assoluta concretezza questa circostanza fattuale viene a dimostrare dunque come la cooperazione tra le Amministrazioni statali e locali riesca a promuovere
ed a conseguire la salvaguardia di porzioni e/o elementi caratteristici della città e del
suburbio con il dichiarato intento di proteggere quegli “interessi pubblici diffusi che
sono elemento connotativo dell’azione di “governo” del territorio.
Nel fare riferimento ai principi informatori, per così dire, del “restauro conservativo”
non può essere sottaciuto il valore che nell’attuazione del progetto assume la parte o
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ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
fase di sperimentazione. Come noto infatti l’evoluzione dei prodotti o delle tecnologie da impiegarsi nel restauro monumentale, unita ad una puntuale applicazione delle
tecniche costruttive ed esecutive proprie del cantiere “storico”, determinano il formarsi e consolidarsi di un’esperienza che troverà poi nelle successive concrete realizzazioni la propria migliore verifica.
In tal senso non si può in questa breve notazione non fare riferimento agli sforzi operati, finalizzati all’individuazione delle migliori tecniche operative, sia nell’elaborazione del progetto per Ficana sia negli altri casi, tra i quali rammentiamo quello della
casa Perlini-Santini di Ostra Vetere (AN) del 1988-1992 e quello della “casa di terra”
in comune di Monteroberto (AN), 2002-2004.
Questi interventi, eseguiti direttamente dalla Soprintendenza, proprio per il fatto di
essere stati realizzati alcuni anni orsono, si evidenziano come un contributo, e non trascurabile, per l’individuazione delle problematiche del recupero e/o del restauro di una
“casa di terra” così come, e questo sarà un monito ed un limite ma per sempre elemento di stimolo per tutti noi “operatori del settore”, a considerare come non si possa
prescindere, una volta effettuato l’intervento, dall’affrontare le problematiche di una
periodica manutenzione.
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Tecniche, metodi di conservazione e restauro
dei manufatti architettonici di terra
Da oltre vent’anni, il rinnovato interesse del pubblico italiano, dei cultori della materia e delle autorità
ha favorito il nascere e il proliferare di una imponente bibliografia sul tema dell’architettura di terra,
sino ad allora limitata a pochi titoli. Curiosa più che
sistematica, folkloristica più che di matrice antropologica o socio-economica, la letteratura italiana
su questa particolare tecnica costruttiva (e intendo
la letteratura attenta ed impegnata) poteva contare e
riconoscersi -a mio parere- in due soli scritti, differenti per impostazione e finalità ma entrambi di
ampio respiro.
Un breve saggio, poco più di un appunto e nato in
ambito archeologico, nel quale l’Autore -un “cultore”- si chiedeva (o meglio, chiedeva ai suoi amici
Archeologi) se quel fastidioso ingombro che i diari
di scavo delle mura di Arezzo riportavano come
anomala e inspiegabile “coltre di polvere rossa” al
di sopra del piano fondale, non dovesse invece,
molto semplicemente, attribuirsi al disfacimento
delle murature di quella terra argillosa già nota per
il suo vivace e caratteristico colore (Sordini G.,
“Dei mattoni crudi nelle costruzioni degli etruschi”, Vetulonia, studi e ricerche, Spoleto 1894,
pp.103-115). Siamo alla fine del XIX secolo!
Questa intuizione (questa lezione) servì certamente
a portare chiarezza nei molti dubbi sulle scomparse
costruzioni civili etrusche; ma non fu sufficiente a
salvare, quasi un secolo più tardi (circa 1980),
buona parte delle mura di abitazioni poste casualmente in luce entro la fase etrusca dell’abitato di
Roselle (GR). I resti di quelle mura di grossi mattoni di terra, che erano state frettolosamente giudicati come semplici colate di fango rappreso (sic!)
furono quindi eliminati a colpi di bulldozer….
Nel 1958, esce un ben documentato saggio nel
quale l’Autore (un geologo) tenta, con grande successo, di fare un censimento delle aree italiane nelle
quali, all’epoca, una tecnica antichissima era assurta a vera tradizione costruttiva. Come onestamente
dichiara già nel titolo, gli interessa l’aspetto umano
e sociale, quindi il sano rapporto con la natura e le
sue risorse geologiche, più che il prodotto edilizio
in quanto tale (Baldacci O, “l’ambiente geografico
delle case di terra in Italia”, Studi in onore di
Eugenio Galdieri
R. Biasutti, supplemento al volume LXV della Rivista Geografica Italiana, Firenze 1958, pp.13-43).
È significativo (anche se un pò avvilente per noi)
che in entrambi i casi queste utili e illuminanti
osservazioni ci siano venute non da architetti o da
storici dell’architettura bensì da archeologi curiosi
o da geologi, individuando e separando, in tal
modo, i due filoni tematici della nostra architettura
in terra cruda: la medesima tecnica nella remota
antichità e nel presente.
Ma già il Baldacci, ricordando (per confutarla violentemente) l’odiosa equazione, al tempo ancora
viva, di casa di terra (di “fango”, in questo caso)
eguale a casa di indigenti, sottolineava il fatto che
la scomparsa di moltissime di quelle abitazioni si
dovesse attribuire più al senso di vergogna sociale
(quindi al loro lento ed inesorabile abbandono) che
ad una intrinseca povertà e fragilità del materiale
costruttivo. La controprova del suo assunto veniva
individuata infatti nei Campidani di Sardegna, laddove la tradizione della terra come materia prima
per l’edilizia non si era mai spenta e che in buona
parte aveva saputo resistere -per mezzo di una minima ma costante manutenzione- persino alla massiccia invasione del mattone cotto, dei laterizi forati e
del cemento armato dell’immediato dopoguerra.
Mi sembra opportuno ricordare che di quella medesima vergogna sociale (riscontrata in Italia e così
dura a morire) fu vittima illustre anche il noto
architetto egiziano Hasan Fathy: tutti sanno della
sua delusione -umana e professionale- nel veder
rifiutata dagli abitanti la sua Gurna al-Jadìda (la
“nouvelle Gourna”), il grande progetto realizzato
dallo Stato, nel quale aveva voluto e saputo coniugare tradizione locale e comfort moderno. I futuri e
mancati abitanti avevano infatti letto nella riproposizione di quei modelli soltanto un essere ricacciati
nella indigenza del passato. Paradossalmente, la
delusione portò Hasan Fathy a continuare a progettare costruzioni di terra come avevano fatto per millenni i suoi antenati, ma esclusivamente per committenti straricchi…
Siamo così arrivati ai temi che mi sono stati affidati. Temi che meriterebbero ovviamente tempi, spazi
ed esemplificazioni ben maggiori di quanto si possa
11
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
fare qui, nell’ambito della presentazione di un
benemerito censimento.
Da una parte molte delle pubblicazioni degli ultimi
anni -alle quali ho già accennato- sono dedicate
proprio agli aspetti tecnici e operativi del costruire
con la terra e quindi le mie parole corrono il rischio
di essere inutilmente ripetitive. Dall’altra, i progressi registrati di recente nella conoscenza dell’edilizia di terra in Italia hanno moltiplicato il numero delle persone cui è già toccata l’occasione di
misurarsi con i problemi del riparare, consolidare,
rifare quelle strutture. Ma poiché il presente censimento nella realtà dell’area marchigiana accrescerà
sicuramente le opportunità di intervento e quindi la
necessità di ricostruire -quasi da zero- un saper fare
ormai dimenticato, proverò ugualmente a sintetizzare i dati di base della tecnica.
Il materiale.
In linea di principio, qualunque terra (ma non l’humus) costituita in massima parte da sabbie di varia
natura, leggermente argillose e ricche (di natura) di
leganti diversi (i cosiddetti materiali colloidali),
può costituire materiale da costruzione, a patto che
anche le malte (intese come allettamento e collegamento di moduli ma anche come intonaco protettivo) adoperino il medesimo impasto. Appare subito
chiaro (ma non è altrettanto percepito) che l’effettiva presenza di un tale mix naturale -e in quantità tali
da garantire approvvigionamento sufficiente- è
strettamente legato alla realtà geologica del sito ove
si intenda costruire. Se la vicinanza della materia
prima al luogo di impiego è stata da sempre un elemento altamente condizionante, nel caso della terra
cruda (che fino ad alcuni decenni orsono era realmente a costo zero) diviene addirittura conditio sine
qua non . La natura geologica dell’area, la compresenza di rocce pelitiche e di corsi d’acqua lenti e
tali da favorire lo sbriciolamento e il successivo
deposito, fanno quindi la differenza.
I tentativi che oggi si stanno moltiplicando nei laboratori per analizzare e modificare con ogni possibile additivo natura e composizione delle terre sino a
creare impasti “a prova di bomba”, esulano a mio
parere dal tema attuale (non me ne vergogno: recen-
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temente mi hanno dato del…taliban della terra
cruda) e riguardano, semmai, un possibile ma arduo
“futuro” di costruzioni che usino anche la terra ma
che contemporaneamente rinuncino ad alcuni suoi
pregi naturali.
Va ricordato anche che gli impasti di terra sono
assolutamente inerti dal punto di vista chimico: gli
eventuali additivi possono quindi essere rivolti a
migliorarne solo il comportamento meccanico.
Per terminare, un brevissimo accenno ad alcuni
pregi della terra cruda; pregi che oggi l’hanno fatta
entrare, a pieno titolo, nel mondo della bio-architettura. Parlo della straordinaria inerzia termica che si
traduce in grande potere coibente (a costo zero) e
nella capacità di autoregolazione dell’umidità interna che si traduce in un sano comfort abitativo. Parlo
anche della capacità di opporsi a buona parte degli
effetti nocivi delle onnipresenti radiazioni ionizzanti come il Radon.
Le tecniche costruttive.
Sostanzialmente, l’antichissima tecnica della terra
cruda si basa esclusivamente sulla possibilità di
creare un soddisfacente impasto con il materiale che
è “sotto i piedi” del costruttore. In termini storici oggi le cose sono fin troppo mutate- la tecnica ha la
grande caratteristica, quasi unica, di essere assolutamente “immediata”, ovvero “priva di mediazione”.
Il cliente/committente/esecutore, magari insieme
alla sua famiglia, scava, impasta, modella, erige le
mura della sua casa. Non ha bisogno dell’architetto
né dell’impresario per individuare le proprie varie
necessità e i mezzi per concretizzarle. Ne discende
una seconda caratteristica: è uno dei più antichi
esempi di auto-costruzione, nel senso anche sociale
del termine: con la famiglia apprende e raffina la
tecnica, ne fa tesoro, la trasmette ai suoi vicini cui
chiede quell’aiuto che ricambierà a sua volta, in
un’altra occasione. Costruire la propria casa diviene
quindi un evento, un rito collettivo ma concreto, di
grande valore sociale.
Costruirci sopra un grande business è invece cosa
recente, a mio parere legata al grande boom verificatosi negli Stati Uniti verso gli anni ’70 del secolo
scorso. Una costosa moda passeggera, si dirà. Ma
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
una moda che si riallacciava facilmente (e lecitamente, malgrado i costi da villa high-tech ) all’antica tradizione locale dei pueblos e che, nella ventina di anni della propria durata, ha mosso risorse
impensabili a livello locale, dal campo immobiliare
e imprenditoriale sino a quello degli interiors e
quindi ai mobili, alle stoffe, agli accessori, alle
piante, al do it yourself .
Per divenire muro e creare spazio, l’impasto-base
(al quale può essere aggiunto un materiale in funzione di anti-ritiro, come la paglia, la pula di riso, il
pelo di capra ecc.) può essere impiegato in pochi
tipi fondamentali e molte varianti locali: non è qui
il caso di fornire una graduatoria temporale dei vari
sistemi; basterà sapere che l’impasto può essere
compresso e pestato -quasi asciutto- entro una cassaforma lignea (a volte di bambù) con l’aiuto di un
mazzuolo di circa 5 kg: è il pisé, voce francese dal
latino pinsere, cioè pestare.
Un impasto più umido e malleabile, spalmato entro
micro-cassaforme o moduli, può costituire veri e
propri mattoni o blocchi (a seconda della proporzione tra le tre dimensioni), da porre in opera e
legare come qualsiasi tipo di laterizio o manufatto
edilizio: tali moduli hanno nomi molto diversi (in
Italia addirittura variano da un paese all’altro) ma
che per convenzione internazionale non scritta
chiamiamo ormai adobe, voce spagnola ma derivata dalla mediazione araba di un prestito egizio: e
tutte rappresentano una “palla”, un “grumo”: dalla
pagnotta alla palla da cannone. L’impasto del chinè,
una voce persiana, è simile a quello del pisé, e viene
usato soprattutto nelle fondazioni e solo raramente
in elevato. Un altro tipo di impasto, molto diffuso
nell’Italia centrale e quindi anche nella Marche, è il
massone o maltone: è molto plastico, tanto da poter
essere posto in opera, sempre per filari come nel
caso del pisé , ma sotto forma di grossi grumi o
“palate”, accostati e plasmati direttamente sul
posto, con le mani. Si avvicina molto alle tecniche
di posa usate sia in Africa sia nell’intera penisola
araba. Nel massone la percentuale di paglia presente nell’impasto è di gran lunga maggiore e la paglia
stessa non è triturata come negli altri casi e poiché
tende a sporgere dai grumi, sia la paglia sia gli
impasti devono essere rasati e rifilati poco dopo
loro posa.
Metodi di conservazione.
Ho già accennato alla necessità di una attenta
manutenzione, base indiscutibile di ogni speranza
di conservazione. Sappiamo tutti che non esiste
ancora un materiale edilizio (e non solo) che non
necessiti, sia pure con ritmi e qualità differenti, di
quell’attenzione permanente e di quei modesti ma
costanti interventi riparatorii che chiamiamo manutenzione. Non si comprende quindi perché, nell’attuale riproposizione delle tecniche della terra
cruda, la manutenzione delle case di terra sia presentata come un qualcosa di eccezionale o di particolare specificità, diversa cioè da quella dei materiali cosiddetti normali. Non è di oggi il detto
secondo cui una casa di terra deve avere ” un cappello a larghe falde e scarpe asciutte”. E l’uomo,
nei limiti del possibile, ha provveduto la sua casa di
un tetto ben sporgente e di basamenti in pietrame
vivo, tali da impedire o ritardare la risalita dell’acqua del suolo. E in che cosa sta la differenza? In
quanto alla protezione delle pareti esterne, oltre alla
difesa passiva assunta dalle falde del tetto, è appena il caso di ricordare (di ripetere) che anche l’intonaco esterno deve sempre essere del medesimo
impasto: un intonaco più tenace avrebbe sulle
murature un immediato e pericoloso effetto di
strappo (un fastidioso peeling edilizio), mentre un
intonaco più debole costituirebbe nient’altro che
una costosa superficie di sacrificio. Ma va ricordato che molti edifici ottocenteschi ancora oggi esistenti nel Dauphiné , una delle regioni più piovose
di Francia, furono costruiti in pisé ma privi di qualsiasi intonaco.
Se dalla manutenzione (ordinaria) si passa ad una
fase di conservazione (almeno come oggi si deve
intendere), le cose non cambiano molto, a patto
che si rispetti il materiale specifico, nei limiti delle
sue caratteristiche naturali. Qui non si tratta più di
essere, o meno, dei taliban: le caratteristiche della
terra cruda ne fanno un elemento vivo, sia pure
molto variabile e composito, ma che purtroppo soffre di parecchie allergie: la peggiore si manifesta
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ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
come reazione ad ogni tentativo di farle cambiare
natura, di imbastardirla, di piegarla a comportamenti per i quali non è nata, avendo già dato ampie
prove di durata e di saper resistere ad offese forse
più gravi ma sempre nell’ambito naturale: la pioggia, il sole, la neve, gli incendi, i terremoti. Sì,
anche i terremoti.
È dramma recentissimo il sisma che ha distrutto
quasi completamente la cittadella di Bam, in Iran,
totalmente edificata in terra cruda. Ma se analizziamo le caratteristiche anomale e l’intensità del sisma
e confrontiamo i danni spaventosi subiti dalla cittadella con quelli registrati nella “città nuova”, dove
la scossa tellurica ha imparzialmente polverizzato,
oltre a decine di migliaia di esseri umani, edifici in
terra, in laterizio, in cemento armato o in ossatura
metallica, è difficile accusare di eccesso di fragilità
le costruzioni della cittadella. Con una aggravante:
nei primissimi nano-secondi del sisma, tutte le parti
“restaurate”, modificate o aggiunte negli ultimi
trent’anni sono letteralmente esplose e in qualche
caso -complice la particolare orografia- hanno
innescato un effetto dòmino su strutture murarie
vicine, più antiche e forse meglio costruite.
Un esempio, quello di Bam, che deve far riflettere
-e con molta prudenza- anche sull’ultimo dei temi
proposti: quello del restauro.
Il restauro (conservativo).
Come e più che nel caso di altri materiali costruttivi, nell’intervento conservativo su opere di edilizia
realizzate con la terra cruda dobbiamo preliminarmente rispondere ad una serie di domande-chiave:
Di che cosa, in quella particolare testimonianza,
intendiamo garantire la conservazione? Del suo
valore documentale? Della sua completa o parziale
autenticità? Del suo mutare nel tempo? Del suo
grado estetico? Del suo significato storico, politico,
simbolico? Del fatto che fu realizzato con un materiale particolare? Oppure vogliamo (o dobbiamo)
cercare di salvare, insieme, tutti questi aspetti, nei
limiti del possibile e nel rispetto (relativo quanto si
vuole ma sempre così importante) del rapporto
costo / beneficio?
Dall’esame di tutte le risposte -disinteressate e moti-
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vate- discenderà un primo indirizzo di fondo. Il resto
è tecnica. Cerchiamo di non dimenticare quanto
ancora ci sia di chiaro e valido nelle nostre diverse
Carte del Restauro e in tutte le raccomandazioni che
negli anni ci sono state trasmesse, comprese quelle
-a mio avviso vagamente ipocrite- scaturite dall’incontro di Nara sul concetto di “autenticità”.
Nel caso di testimonianze in cui la terra costituisce
il materiale principale o addirittura l’unico e là dove
la facies non è tanto importante, non c’è alternativa: occorre usare ancora e soltanto terra, rinunciando ad improbabili sostituti, a sofisticate contaminazioni o a quella pratica odiosa che per gli esseri
umani è l’accanimento terapeutico.
Più pratici di noi e più liberi dall’obbligo etico e
culturale della conservazione, i vecchi mastri si
rifiutavano di riparare una costruzione di terra
ammalorata. L’abbandonavano, tout court, usando
in una nuova costruzione il vecchio materiale terra,
ottimo -come tutti noi abbiamo appreso in paesi di
ininterrotta tradizione- perché già “ossidato” dal
tempo. Quella utile e irripetibile pàtina di cui ci
parlò tanti anni orsono un certo Cesare Brandi non
era qualcosa di simile?
Due osservazioni finali, entrambe fuori del tema
assegnatomi (o no?), entrambe scaturite dalla lettura del testo a firma dell’arch. Lolli Ghetti, come
presentato alla conferenza stampa organizzata in
occasione della VII Settimana della Cultura e quindi propedeutica a questo volume.
La prima riguarda la qualità architettonica degli
edifici in terra cruda presenti in Italia. È vero (cito),
“si tratta quasi esclusivamente della costruzione di
muri di recinzione, di edifici rurali o di residenze
per i ceti meno abbienti, non prestandosi il crudo,
nelle condizioni climatiche italiane, alle realizzazioni di strutture complesse ed elaborate”. Più che
alle condizioni climatiche, più che a quelle sociali
(che pure vantano precedenti illustri come “Le economiche case di terra”, alloggi più che dignitosi
suggeriti “agl’industriosi possidenti e abitatori dell’agro toscano” sotto Ferdinando II granduca di
Toscana, 1793 o come gli estesi e razionali insediamenti della Partecipanza Agraria di Cento in
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Emilia, 1810-1950), mi sembra di poter attribuire il
basso profilo estetico della nostra architettura di
terra (solo questa?) ad una mancanza di fantasia
che sarebbe errato chiamare “progettuale”. Qualche
esempio servirà a chiarire il mio pensiero: quale è
la reale capacità economica degli auto-costruttori di
molte case rurali nelle aree interne del Marocco
(non parlo dei tirremt, veri e propri castelli)?
E quale è la capacità economica degli innumerevoli villaggi che punteggiano le terre dell’Iran,
dell’Afghanistan, ed oltre, sino all’Asia Centrale?
Quali le risorse dei meravigliosi e poverissimi villaggi centro-africani? Le loro immaginifiche moschee sono soltanto più grandi, più articolate ma
non più ricche dei loro miseri e splendidi tuguri.
In Sardegna, gran parte delle abitazioni cittadine in
terra furono costruite per la borghesia e sono molto
curate, ben fatte e ben tenute; i Sardi conoscono
bene l’uso dell’arco in terra cruda, persino quelli a
sesto ribassato e a tre centri, particolarmente spingenti; conoscono ed usano anche la volta ma solo
nelle minime dimensioni dei loro forni da pane
familiari. Ma in oltre duemila anni, non hanno
voluto o saputo trasferire queste due esperienze in
una soluzione architettonica e volumetrica unitaria:
la copertura a volta. Eppure, in Sardegna -a San
Sperate- ce n’è una: è una villa signorile -una residenza estiva- datata 1850 e firmata dall’architetto
Gaetano Cima, cagliaritano. L‘intera cittadina di
San Sperate (quella “storica”) è costruita quasi interamente in mattoni di terra. Ma nessuno, né prima
né dopo Villa Serra, ha mai avuto l’occasione o
l’ardire di costruire una simile copertura.
Per concludere: molti anni fa, nel raccontare il
costruire con la terra come atto gioioso e geniale,
invitai con grande calore chi mi ascoltava (tutti tecnici) ad “osare”, a sfruttare al meglio le potenzialità incredibili di questa materia povera ma così
generosa, a liberare la propria fantasia progettuale a
costi ancora accettabili.
Sto ancora aspettando.
Anche la seconda osservazione prende spunto da
una frase dell’arch. Lolli Ghetti: “Quasi inaspettatamente le Marche hanno rivelato una considerevo-
le quantità di costruzioni in terra...”.
Alla fine degli anni ’60 dello scorso secolo lo scrittore Guido Piovene scriveva “Le Marche sono un
plurale. Il Nord ha tinta romagnola; l’influenza
toscana e umbra è manifestata lungo la dorsale
appenninica; la provincia di Ascoli Piceno è un’anticamera dell’Abruzzo e della Sabina. Ancona, città
marinara, fa parte per se stessa”.
Questa ovvia ma arguta riflessione individuava
nella posizione geopolitica della regione la sua
appartenenza e il suo farsi tramite a differenti culture, tutte autoctone, tutte diverse. Ma lasciava inalterata -al di là di quel significativo plurale e malgrado la folgorante notorietà dei tanti suoi monumenti- la condizione di marche di confine -quindi
qualcosa di periferico- che ha avvolto e spesso
addirittura nascosto eventi e forme d’arte che la
regione ha continuato a offrirci nei secoli.
Risale all’anno scorso la puntuale e documentata
ricostruzione presentata a Solarussa (Sardegna)
dall’arch. G. Volpe delle cause, spesso banalmente
topografiche e cartografiche, per cui l’intera area
delle Marche era stata letteralmente ignorata o “saltata” nei due ultimi secoli, nella ricerca come nella
trasmissione di dati su alcuni episodi, usi, opere
artistiche o semplicemente artigianali. Un lungo
buco nero dell’informazione che solo oggi va illuminandosi.
I lodevoli scritti degli ultimi anni hanno cominciato a rompere buio e silenzio. E non ha nociuto la
dimensione locale, quindi volutamente limitata,
ma sempre di ottimo valore critico e documentario. Tra gli studi recenti, segnalo alcuni di quelli a
più vasto orizzonte e con un serio impianto storico: A. Palombarini, “Case di Terra”, in S. Anselmi
(a cura di), Insediamenti rurali, ecc., Ostra Vetere,
1985; A. P. Conti (et alii), Dalla terra, la casa: il
Borgo di Villa Ficana, Macerata 1998; M. L. Polichetti, “Le case di terra nelle Marche”, in AA.VV.,
Terra: incipit vita nova, Politecnico di Torino, 1998;
E. Sori, A. Forlani, Case di Terra e Paglia delle
Marche, Regione Marche, 2000; A. Palombarini, G.
Volpe, La casa di terra nelle Marche, F. Motta
Editore, 2002; A. P. Conti, S. Giustozzi, P. Molini,
Gli atterrati a Corridonia, Comune di Corridonia,
15
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
2002; M. Saracco, Architettura in terra cruda: il
caso delle Marche, Alinea, Firenze 2002. Quasi
tutti i testi offrono una nutrita bibliografia, l’ultimo
citato contiene 23 schede di censimento su edifici
dei Comuni di Macerata e Corridonia e un case
study sul Borgo Ficana a Macerata, oggi in procinto di diventare un vero cantiere-pilota, dopo il provvidenziale vincolo ambientale posto dalla Soprintendenza.
Le Marche hanno rischiato di veder scomparire,
anche nella memoria storica, un’architettura sicuramente minore (sempre che tale gerarchia abbia
ancora un senso), largamente diffusa, in massima
parte rurale e certamente non antica. Ma senza
alcun dubbio erede di una lontana e nobile consuetudine, provenendo direttamente dalla grande tradizione costruttiva etrusca.
Mi sembra che le iniziative e i successi di questi
ultimi anni giustifichino ampiamente la nostra soddisfazione e la fiducia nelle autorità preposte e
negli infaticabili operatori.
16
La casa di terra nelle Marche
La consapevolezza che nessuna azione di tutela è
possibile senza una adeguata conoscenza della
complessa problematica dei beni culturali è ormai
un dato acquisito, non solo ai fini della prassi
amministrativa, ma anche per l’emanazione di
provvedimenti legislativi.
Comunque il momento conoscitivo e l’approfondimento delle sue modalità realizzative è, fin dalla
prassi procedurale, condizione pregiudiziale per
giungere ai provvedimenti di tutela. Basta confrontare i dispositivi di tutela dei primi decenni del
secolo scorso con quelli più recenti, e ci si accorge
di quanti passi avanti sono stati compiuti, proprio
in virtù dell’approfondimento dei criteri e delle
tecniche conoscitive, nonché della possibilità di far
riferimento alla catalogazione di beni culturali
intesi nel loro significato di sistemi di beni connessi con il territorio inteso come quadro di riferimento dei sistemi di beni fra loro e con esso interrelati.
Nel 1982 la Soprintendenza per i Beni Ambientali
e Architettonici delle Marche ha proposto al
Ministero il provvedimento di tutela di una “casa
di terra”, ovverosia un manufatto privo di valore
monumentale, inteso in senso tradizionale, ma di
notevolissimo valore documentale in quanto rappresenta uno degli ultimi esempi di una tecnica
costruttiva ormai completamente scomparsa in
Italia, oltre che testimonianza di modelli insediativi particolari connessi con l’attività agricola di
alcune zone.
Il Ministero, che negli anni precedenti non aveva
ritenuto congruente con i contenuti normativi della
legge n.1089 il dispositivo di tutela predisposto inizialmente dalla Soprintendenza, avendo avuto a
disposizione la ricerca condotta successivamente
dalla Soprintendenza stessa, nell’ambito della
catalogazione sull’intero complesso delle “case, di
terra” ancora presenti in alcune zone della regione
marchigiana e in particolare nel maceratese, e nel
Fermano, ha ratificato con apposito D.M. la proposta di tutela avanzata, avendo anche riconosciuto il
valore testimoniale di tale categoria di beni, in
quanto “sistema” storicamente definito.
L’emanazione del Decreto Legislativo 22 gennaio
Maria Luisa Polichetti
2004, n.42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” rappresenta ora un notevole passo avanti
rispetto alle leggi di tutela del 1939, a cui si dovevano necessariamente riferire i provvedimenti di
tutela degli anni ’80.
Infatti il Codice prende in esame ai fini della tutela anche i temi demoetnoantropologici (e le case di
terra possono rientrare in tale categoria a pieno
titolo) e introduce il concetto di sistema seppure in
maniera non chiaramente esplicitata soprattutto per
quanto attiene gli strumenti applicativi.
I1 procedimento di tutela, quindi, inteso sotto il
profilo giuridico come “sequenza ordinata di atti,
che devono essere compiuti per giungere a emettere una decisione finale”, il provvedimento amministrativo, al fine di garantire la salvaguardia dell’interesse pubblico rappresentato dal bene, deve essere inteso come conclusione di una serie di azioni
conoscitive tese alla esaustiva comprensione delle
complesse peculiarità del bene e dei sistemi di
beni.
E’ necessario quindi superare le modalità di
approccio alla procedura amministrativa che ha
come conclusione il riconoscimento di interesse, e
quindi la formale tutela, di un bene considerato
come bene individuo e considerare invece il bene
singolo nel suo significato di elemento appartenente ad un sistema di beni interconnessi reciprocamente e con il territorio, inteso nelle sue complesse peculiarità di ordine storico, ivi comprese
quelle attinenti la sfera sociale ed economica. “Le
case di terra” o “atterrati” o “pagliare” sono un
caso emblematico di tale considerazione. Esse
hanno infatti rappresentato fin dal sec. XIII, un
vero e proprio sistema insediativo prevalentemente
usato dal bracciantato e da modesti coltivatori
diretti, ora testimonianze non antiche (la loro vita
difficilmente oltrepassa il secolo) di una tecnica
antichissima ed ormai estinta nel nostro paese,
anche se normalmente ancora praticata nei paesi
orientali.
La deperibilità del materiale costruttivo e la perdita ormai definitiva della tecnica esecutiva rendono
particolarmente preziosa la documentazione raccolta attraverso la campagna di catalogazione che
17
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
ha interessato, negli anni 1979/80, n.20 case di
terra schedate su modelli di scheda A dell’ICCD e un
complesso urbano di case di terra (Villa Ficana –
Macerata), catalogate con una scheda SU.
La tipologia edilizia riconosciuta è quella tipica
della casa rurale marchigiana con forte diffusione
sul territorio extraurbano, legata alle specifiche
modalità di gestione ed uso del territorio agricolo
normalmente a conduzione mezzadrile. Quindi
accanto alle case padronali, utilizzate dai proprietari dei fondi, caratterizzate da una architettura di
qualità e da materiali e tecniche costruttive che ne
garantissero la durabilità nel tempo, caratterizzano
il territorio marchigiano, anche se non più legate
alle forme mezzadrili, le case rurali con tipologie
architettoniche rispondenti a loro volta a specifiche funzioni: al piano terra la stalla e i magazzini,
al primo piano la residenza, con scala esterna.
Tale tipologia, se pur raramente, è riconoscibile
anche nelle “case di terra” presumibilmente quelle
utilizzate dai piccoli mezzadri. Generalmente esse
sono costituite da un unico piano, di altezza limitata, utilizzato per il semplice ricovero delle famiglie
dei braccianti che prestavano la loro opera nei
diversi luoghi a seconda delle richieste di ingaggio.
Tali manufatti dovevano quindi essere di basso
costo, di rapida e facile esecuzione, utilizzando
materiali immediatamente reperibili: argilla,
paglia, legno. La povertà del manufatto tuttavia
non era in contrasto con le esigenze dell’abitare e
soprattutto con il mantenimento della temperatura.
Le case di terra, attualmente presenti soprattutto
nel maceratese, sono in genere dislocate su colline
plioceniche prospicienti i tracciati fluviali dove il
materiale di costruzione adatto, l’argilla, è più
facilmente reperibile.
Le prime documentazioni storiche sull’esistenza di
tali manufatti che in antico dovevano essere presenti anche nelle città, risalgono al sec. XIII.
In tempi più recenti il proliferare delle case di terra
in funzione al bassissimo costo di produzione ed
alla rapidità di realizzazione è quasi sempre coinciso con periodi di crisi economica, ultimo, il primo conflitto mondiale.
Nelle Marche, il tipo di terreno che ha reso possi-
18
bile la diffusione delle case di terra è situato
soprattutto nella fascia collinare costituita prevalentemente da argille azzurre plioceniche: si tratta
del cosiddetto “cappellaccio” superficiale di terreno di facile prelievo e di semplice utilizzazione per
la realizzazione in tempi brevi di manufatti sostanzialmente poveri, per i quali non era prevista una
lunga durata.
Infatti per costruire le case di terra gli arnesi necessari erano una cassaforma ed uno strumento chiamato pestone o pillo. La cassaforma, nella quale
veniva gettata la terra da pestare, era costituita da
una serie di tavole, lunghe circa tre metri, unite tra
loro da traverse per un’altezza di circa 90 cm che
formavano le sponde (provviste di manici in nerbo
di bue o di cuoio per facilitarne l’uso ed il trasporto).
Le sponde poggiavano su quattro correnti, i quali,
posti trasversalmente, costituivano il piano d’appoggio della forma. I correnti avevano dei fori alle
due estremità, nei quali andavano ad incastrarsi
otto puntelli verticali (due per corrente) tenuti a
stretta con delle biette: tale accorgimento permetteva di diminuire o accrescere lo spessore dei muri.
Dentro questa macchina così preparata trovavano
posto di solito due o tre muratori muniti di pestone
in legno duro (quercia, olmo, noce, leccio, etc.) che
effettuavano il costipamento dei pani di argilla.
Le fondazioni venivano eseguite con sassi e calcina o in laterizi cementati tra di loro, che a volte si
alzavano dal piano di campagna per circa 70 cm.
Al di sopra della zona fondale veniva posizionata
la cassaforma, dopo aver segnato sul muro le buche
necessarie a ricevere i correnti (con funzione di
“chiavi”). Questi dovevano essere riparati da
embrici o da scaglie di pietra, affinché, dopo aver
pestato la terra, potessero esser tolti con facilità.
Finito il primo strato di pani di terra, si rifacevano
le buche per le chiavi, dopo di che si sovrapponevano i pani sfalsati tra di loro, in modo che le giunture dello strato sottostante non si allineassero con
quelle dello strato superiore.
Arrivati all’imposta del solaio si gettavano le travi
in legno disposte secondo il lato minore da coprire, con interasse di circa 80-100 cm.
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Immagini di case di terra catalogate dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Marche.
Trasversalmente erano posti travicelli, quindi i
mattoni completavano l’opera. Per la realizzazione
della copertura, si segnava nella forma la pendenza
del tetto, in modo tale da buttare la terra nella giusta inclinazione. Il tipo di tetto usato in queste
costruzioni, da quanto si è potuto constatare, è
quello a due falde. I muri portanti esterni venivano
posti a distanze che di solito non erano superiori ai
4-5 m; in caso di maggiore ampiezza venivano
costruiti muri di spina sagomati a timpano.
La grossa armatura, quindi, si riduceva agli arca-
recci che poggiavano, affogati nell’argilla battuta,
direttamente sui muri perimetrali.
La piccola armatura era formata dai travicelli e dai
listelli sui quali veniva posto uno strato di cannucci, uno strato di terra, e infine i coppi.
Le scale (costituite in altezza dal piano di terra e
dal primo piano) dovevano collegare ambienti con
altezze che variavano da m 2.20 a m 2.70.
Originariamente costruite interamente in legno,
successivamente, in legno la struttura portante, in
laterizi il resto. Esse potevano essere interne alla
19
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
fabbrica, attestandosi spesso tra due muri di spina,
dai quali erano sorrette, oppure esterne, adiacenti e
sorrette dalla parete da un lato e da una struttura in
elevazione dall’altro, che sovente si collegava alle
estremità prolungata di una falda del tetto.
Da questa sintetica descrizione della tecnica impiegata nella costruzione degli “atterrati” emerge il
grande valore storico-culturale di tali manufatti,
sia come testimonianze di forme produttive e di
vita, che anche se ormai superate e scomparse
devono rimanere come segni della nostra memoria
e testimonianza dell’identità della regione.
20
La casa Perlini-Santini di Ostra Vetere (AN)
La prima tutela di una casa di terra
Il formale riconoscimento dell’interesse culturale
della casa di terra e paglia di Ostra Vetere, comune
sito nel territorio della provincia di Ancona, da
parte dell’allora Ministero per i Beni Culturali e
Ambientali rappresenta la naturale conclusione di
un lungo processo conoscitivo riguardo tale particolarissima tipologia costruttiva avviato dalla
Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Marche di Ancona a partire già dal
1978, dapprima con una sistematica ricognizione
sull’intero territorio regionale e, successivamente,
con l’avvio di studi specifici sull’argomento e la
predisposizione di schede di catalogo riguardanti
gli esempi più rappresentativi, sia sotto l’aspetto
tipologico, sia testimoniale del ricco patrimonio
costituito dalle case di terra marchigiane.
La tutela della casa di terra in contrada Molino di
Ostra Vetere non rappresenta, pertanto, un fatto
episodico, concluso in se stesso o in qualche
modo correlato a particolari esigenze di salvaguardia ma, più semplicemente, costituisce l’evoluzione di un processo conoscitivo più ampio,
maturato per successivi e graduali approfondimenti di natura culturale.
La Casa Santini-Perlini in una immagine della fine degli anni ’70.
L’“atterrato” di Ostra Vetere non risulta neppure l’esempio più rappresentativo delle case di terra marchigiane e, nonostante ciò, è stato il primo in assoluto a ricevere il “sigillo” di bene culturale; ciò gra-
Alberto Pugliese
zie alla campagna di studi e agli approfondimenti
condotti negli anni immediatamente precedenti
dalla Soprintendenza di Ancona, ma anche per la
straordinaria attenzione del Comune di Ostra Vetere
nei confronti di tale manufatto almeno fin dal 1979,
anno in cui, grazie ad un’apposita delibera del
Consiglio1 trova definitiva attuazione l’obiettivo di
acquisire il manufatto in terra allo scopo di preservarlo dal rischio di perdita.
Nelle premesse di detta delibera si esplicita che “in
contrada Molino n. 83, esiste una vecchia abitazione rurale “di malta”, ormai disabitata, in cattivo
stato di manutenzione, costituita di n. 2 stanze al
piano terra e n. 2 stanze al primo piano, con una
piccola corte ed una ancor più piccola superficie
già destinata a colture ortive; …l’ultima proprietaria nella medesima abitante, Sig.ra Santini Maria
Ved. Perlini, è deceduta da tempo e gli eredi se ne
vogliono in qualche modo disfare, vendendola od
abbattendola; …tale immobile costituisce un bene
ambientale, per cui va conservato, per ricordare
alle giovani generazioni le condizioni esistenziali di
un tempo e come testimonianza genuina di vita e
museo di civiltà contadina…”.
L’atto deliberativo precisa inoltre che “…è in corso
da parte della Sovrintendenza ai Monumenti di
Ancona, la pratica di vincolo presso il competente
Ministero e che si tratta di uno degli ultimi superstiti esemplari del suo genere...”.
Singolare la circostanza che la stessa delibera, oltre
a fare riferimento ad una relazione tecnica illustrativa, corredata di certificato catastale e di planimetria, riporti immediatamente di seguito la “relazione storico-scientifica dello studioso Dr. Lipani
Fabrizio”.
Tale contributo, avente per oggetto una Relazione
storica sulla casa di terra in Ostra-Vetere,
Contrada Barocco, Via Molino reca la data del 16
novembre 1979 e, in appendice, riporta una tavola
con i dati relativi alle Marche dell’indagine svolta
nel 1933 dall’Istituto Centrale di Statistica del
Regno d’Italia sulle case rurali presenti nel territo-
1 Deliberazione originale n. 88 del 28.09.1979, avente per oggetto la “Tutela del patrimonio storico-ambientale. Provvedimenti in ordine alla
conservazione di una casa di malta”. La proposta dell’Amministrazione venne approvata all’unanimità, con 16 voti favorevoli su 16.
21
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
rio nazionale i cui risultati pur se ritenuti dallo stesso Lipani “non del tutto attendibili per la scarsa
qualificazione degli addetti ai rilevamenti e gli
errori furono già denunciati nel 1941 dalla
Emiliani, che nel territorio maceratese riscontrava
molte più case di terra di quante ne avesse contate
l’indagine”, rappresentano comunque un importante elemento conoscitivo specie se confrontato con i
dati attualmente a disposizione.
L’acquisto della casa, deliberato nel 1979 sotto
l’amministrazione del sindaco pro-tempore Alberto
Fiorani, essendo subordinato alla preventiva assicurazione, da parte della Soprintendenza, ad effettuare a proprio carico i necessari lavori di consolidamento e manutenzione straordinaria, fu effettivamente definito solo nell’anno 1981 al prezzo precedentemente convenuto di un milione di lire.
Il dispositivo di tutela, invece, fu predisposto dalla
Soprintendenza nel settembre dell’anno successivo.
Esso si articola in una relazione sull’interesse storico ed artistico dell’immobile, corredata, come da
prassi amministrativa, di documentazione catastale
e fotografica; agli atti d’archivio è allegato anche
un rilievo in scala 1/100, interamente fatto a mano,
dei due livelli dell’abitazione, schematico nella
modalità di rappresentazione, ma di grande espressività e capacità di sintesi.
La relazione, redatta dall’architetto Massimo Fiori,
è contenuta in sei cartelle dattiloscritte e sviluppa
almeno quattro distinti argomenti, posti in ordine
sequenziale: l’esatta localizzazione geografica territoriale del manufatto, l’epoca di costruzione
dello stesso, la descrizione del suo impianto tipologico - distributivo e delle più significative peculiarità tecniche e costruttive, nonché alcune annotazioni di carattere generale sui vari proprietari possessori e sulle loro condizioni socio-economiche.
Segue una trattazione generale sulle “Case di Terra”
desunta dalla bibliografia generale sull’argomento
ed, in particolare, dal sopra menzionato testo del
Lipani; ulteriori spunti sulle tecniche costruttive
furono certamente offerti dallo studio condotto
negli stessi anni dall’architetto Furio Minuti, per
incarico della Soprintendenza di Ancona, corredato
di alcuni estratti della manualistica francese e di
22
Particolare di una delle tavole dello studio di Furio Minuti
due tavole grafiche che illustrano le tecniche
costruttive più frequentemente impiegate e gli
attrezzi generalmente usati.
Dalla documentazione raccolta per l’apposizione
del vincolo emergono diversi aspetti legati alla storia ed alla costruzione dello “atterrato” di contrada
Molino.
Appartenuta in origine a Luigi Gregorini, coltivatore diretto, che l’aveva costruita intorno agli anni
1905-1910 insieme ad altre due ormai scomparse,
la casa è successivamente pervenuta, attraverso vari
passaggi di proprietà, alla famiglia Coreani, poi ad
un tal Berto di cui non si ricorda il cognome, in
seguito a Domenico Bini ed infine, dal 1946, alla
famiglia Perlini che l’ha abitata fino al 1957.
Composta di emigrati rientrati in patria, la famiglia
era costituita dalla madre Maria Santini, nata ad
Agua Limpa, in Brasile nel 1903, vedova con tre
figlie, essendo il capo famiglia deceduto in ancor
giovane età.
Di condizioni economiche estremamente disagiate,
la madre era costretta a “mandare a serva” in campagna la figlia più grande che non riceveva salario
ma veniva ricompensata solo in natura. La famigliola riusciva a sopravvivere coltivando il piccolo
orto sul retro ed allevando qualche pecora nella
stalletta e qualche animale da cortile; non essendo
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
la casa dotata di forno né di pozzo, ne ottenevano
“l’imprestito” da qualche vicino ma in cambio
dovevano fornire due ore di loro gratuito per settimana.
Quanto alla fabbrica, la relazione predisposta per il
provvedimento di tutela, oltre che ad evidenziare la
particolarità di essere rimasta integra nella sua tipologia originaria, annota che “…è a pianta rettangolare e si sviluppa su due piani. I piani risultano divisi da un divisorio centrale in muratura che crea
quattro ambienti distinti: la cucina e la stalla al
piano terra, le camere da letto al primo. I collegamenti verticali si impostano dal pianerottolo prospiciente l’ingresso: alcuni gradini in cotto servono
il piano terra a quota inferiore, una piccola scala di
legno serve il piano superiore.
Il solaio in corrispondenza della scala risulta tagliato per tutta la lunghezza del manufatto. Il tetto è a
capanna e poggia sulle strutture perimetrali e nella
parte centrale, in corrispondenza del divisorio, tramite una trave di ripartizione: con puntone nella
mezzeria, che interrompe la trave di colmo, con
muratura sagomata a timpano che interrompe la
rimanente orditura. Sul retro dell’atterrato esisteva
una superfetazione in muratura, adibita a legnaia,
ormai completamente abbattuta”.
Con la tutela della Casa Perlini si concretizza pertanto una straordinaria concomitanza di interesse
tra la Soprintendenza di Ancona ed il Comune di
Ostra Vetere, entrambi volti al perseguimento di un
comune obiettivo di natura squisitamente culturale.
Con il Decreto Ministeriale 29.11.1982, viene
finalmente sancito per legge, ovvero ai sensi dell’allora vigente Legge 1 giugno 1939, n. 1089 sulla
tutela delle cose di interesse artistico e storico, l’interesse “particolarmente importante”, della Casa di
terra di Via del Molino di Ostra Vetere in quanto
“manufatto risalente ai primi del ‘900 d’interesse
etnografico in cui invenzione umana e condizionamento naturale, documentano l’impiego di una
antichissima tecnica costruttiva che ha presieduto
alla formazione dei primi stanziamenti rurali, integro nella sua tipologia d’impianto e di grande
importanza per lo studio e l’evolversi di un tipo
edilizio legato alla cultura contadina. Abitazione
rurale tipica chiamata con il nome di “atterrato”,
oggi in via di completa estinzione, rappresenta uno
dei pochissimi esempi rimasti nelle Marche centrosettentrionali2.
Particolare del comignolo sulla facciata
Per quanto la proposta di tutela di una casa di terra
si ponesse perfettamente in linea con gli obiettivi
generali e le finalità proprie del Ministero per i
Beni Culturali e Ambientali, istituito nel dicembre
1974, per tutelare e valorizzare tutte le manifestazioni e le produzioni umane d’ogni tempo e di ogni
realtà territoriale nell’ambito di una visione dell’arte come lavoro e quindi del bene culturale (finalmente non più inteso come patrimonio storico-artistico ma come espressione culturale, come tratto
della complessiva storia della cultura), l’iter procedurale non fu per la verità del tutto semplice: una
precedente proposta di tutela di un manufatto di
2 Il Decreto Ministeriale 29.11.1982, a firma del Sottosegretario di Stato Mezzapesa, fu regolarmente notificato all’ultimo privato proprietario, il
Sig. Filiberto Simonetti di Ostra Vetere in data 21 gennaio 1983. Lo stesso provvedimento di tutela fu successivamente trascritto presso la
Conservatoria dei Registri Immobiliari di Ancona il 17 febbraio 1983 al Registro Generale n. 2254 e al Registro Particolare con il n. 1698.
23
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Interno: la tecnologia per l’uso di vita quotidiano.
terra – ritenuta alquanto generica e non sufficiente
documentata – suscitò non poche perplessità tanto
da essere rigettata dall’Ufficio Centrale di Roma.
Con ogni probabilità un peso determinante in questo
primo diniego ministeriale ebbe lo stato di conservazione dello stesso e forse anche la sfiducia in un problematico intervento di restauro; indubbiamente le
Rilievo allegato alla documentazione predisposta per la tutela della
Casa Perlini - Santini.
24
perplessità sopra enunciate muovevano anche da una
non dichiarata prevenzione culturale nei confronti
della proposta formulata dalla Soprintendenza di
Ancona – probabilmente la prima in Italia – di tutelare, cioè di riconoscere l’interesse culturale e quindi dignità e valore ad un edificio realizzato con materiali non tradizionali e non certamente nobili, ma
semplicemente di fango.
Non è dunque un caso che l’allora Soprintendente
Maria Luisa Polichetti, a chiusura di una relazione
(priva di data) sulla campagna di catalogazione
effettuata negli anni 1979-1980, avente per oggetto
La casa di terra nelle Marche abbia tenuto a sottolineare come “la documentazione attraverso le
schede di catalogo di questi interessantissimi
manufatti è di esemplare importanza quale base
anche di ogni eventuale azione di tutela come ha
dimostrato il caso dell’“atterrato” Santini ora
Simonetti ad Ostra Vetere, …che il Ministero per i
Beni Culturali e Ambientali solo di recente ha
accettato di tutelare, ai sensi degli artt. 1 e 2 della
Legge n. 1089 dell’1.6.1939, su proposta di questa
Soprintendenza”.
La casa Perlini-Santini di Ostra Vetere (AN)
L’intervento di restauro (1988-1992)
La Casa Perlini – Santini è un manufatto di semplici forme, a pianta rettangolare, con un muro
divisorio centrale, ortogonale al lato lungo, che
definisce due ambienti a piano terra (cucina e stalla) e due simmetrici al piano superiore (camere).
L’accesso al manufatto è collocato sul lato corto ad
ovest, dal quale, scendendo una rampa di cinque
gradini in muratura, si raggiunge direttamente la
cucina a piano terra.
Il collegamento con il piano superiore, avviene
mediante una ripida e modesta scala in legno, posizionata in adiacenza all’ingresso, a ridosso del
camino.
Il “nodo” -ingresso, scala di accesso in muratura,
scala in legno e camino- costituisce una felice ottimizzazione degli spazi e delle funzioni in un ambito ristretto, con un risultato architettonico di indubbio fascino.
Sotto il profilo costruttivo si evidenzia che le
murature del manufatto risultano realizzate in
malta di terra cruda e paglia, con zoccolatura esterna in muratura di mattoni, con andamento leggermente “a scarpa”, per ovviare ai problemi legati al
dilavamento meteorico della zona basamentale
della muratura, meno riparata dagli aggetti della
copertura.
La tecnica costruttiva, con la quale sono state realizzate le murature, è tra quelle maggiormente diffuse nella nostra regione per la costruzione di case
in terra cruda e indicata già dalla trattatistica settecentesca, come pisè.
Semplificando, la tecnica del pisè, consiste nel gettare e pressare un impasto, di terra e paglia ben
amalgamato, in strati orizzontali entro due sponde
laterali in legno, che venivano rimosse ed innalzate a seguito della presa dell’impasto.
L’orditura principale del tetto, a capanna, e quelle
dei solai di piano, sono costituite da travi lignee
che poggiano sulle murature perimetrali; al di
sopra delle orditure principali sono posizionati i
correnti in legno, il pianellato e i coppi tradizionali in cotto.
Sotto il profilo costruttivo il manufatto presenta
semplici ma significative soluzioni tecniche di particolare interesse quale, ad esempio, il sistema di
Stefano Cesarini
cunei verticali, alle estremità degli architravi, di
cui è ben evidente quello soprastante l’ingresso,
con funzione, oltre che di architrave, di tirante.
Di particolare nota è anche il sistema costruttivo
utilizzato per la sporgenza delle falde della copertura dove, in luogo delle tradizionali pianelle in
cotto, al fine di contenere i pesi, viene utilizzata
una stuoia di canne sopra i correnti a sbalzo, “puntellati”, nella parte più sporgente, da “saette” in
legno, costituiti da piccoli “rami” non squadrati.
La casa, costruita intorno agli anni 1905-1910, è
stata abitata fino al 1957.
L’abbandono e la conseguente mancanza di manutenzioni ha fatto si che il manufatto, caratterizzato
dall’utilizzo di materiali e da un sistema costruttivo
particolarmente vulnerabile all’azione degli agenti
atmosferici, deperisse velocemente, anche a causa
del dilavamento e caduta dell’intonaco esterno.
Foto n. 1 - La casa prima degli interventi di restauro (1979)
25
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Foto n. 2 - La casa prima degli interventi di restauro (1979)
Già Santoponte Emiliani nel 1941 e Brigidi e
Poeta nel 1953 sottolineavano che l’intonaco
esterno a calce “rinnovato di frequente” e la tinteggiatura a latte di calce, costituivano l’unica
difesa delle murature dall’azione degli agenti
atmosferici.
In particolar modo si evidenzia in una documentazione fotografica del 1979, agli atti dell’allora
Soprintendenza per i Beni Ambientali e
Architettonici delle Marche, che il manufatto
fosse diffusamente mancante dell’intonaco protettivo delle pareti esterne, con consistente erosione
della sottostante “muratura” (foto n. 1).
Tale erosione, particolarmente accentuata nella
zona opposta all’ingresso, ha causato il crollo
completo della parete di fondo e di parte delle
murature adiacenti.
Conseguentemente in tali anni risultava crollata
anche la soprastante porzione di copertura e di
solaio di piano (foto n. 2).
Lo stato di abbandono dell’edificio riguardava,
26
purtroppo, anche l’interno dello stesso, come evidente nella foto n. 3.
Foto n. 3
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Successivamente alla formalizzazione del Decreto
ministeriale di tutela del 29 novembre 1982, su
richiesta dell’Amministrazione Comunale di Ostra
Vetere, proprietaria dell’edificio, la Soprintendenza,
anche in considerazione del cattivo stato di conservazione delle strutture dell’edificio e delle difficoltà insite nella realizzazione del necessario intervento di consolidamento e restauro, ha predisposto nel
1988 un primo progetto di un pronto intervento, utilizzando fondi del Ministero per i Beni Culturali ed
Ambientali. Nel 1991 è seguito un secondo intervento, sempre finanziato dal Ministero.
Alcuni dati sintetici degli interventi.
Soprintendente:
Dott. Arch. Maria Luisa Polichetti
Direzione dei lavori:
Stefano Cesarini - Alberto Pugliese
Impresa esecutrice:
Latini L. e F. di Senigallia (AN)
- Perizia n. 1465/88 del 6.06.1988
dell’importo di L. 10.000.000
I lavori sono iniziati il 19.10.1988 e si sono conclusi il 17.03.1989
- Perizia n. 2025/91 del 25.06.1991
dell’importo di L. 10.000.000
I lavori sono iniziati il 19.11.1991 e si sono conclusi il 18.03.1992
Il recupero e restauro del manufatto, realizzato con i
due citati lotti di lavori, costituisce la prima esperienza di intervento su manufatti in terra cruda, da parte
della Soprintendenza, nel territorio marchigiano.
Conseguentemente, sotto il profilo tecnico e scientifico, il recupero dell’edificio ha posto non poche
problematiche, anche di tipo operativo, per la mancanza di una tradizione consolidata d’intervento,
per la difficoltà di reperire maestranze esperte e per
la carenza di una adeguata bibliografia di riferimento che consentisse di delineare, anche solo ne-
Prospetti e piante del manufatto con l’individuazione degli interventi di ricostruzione e restauro realizzati.
Pianta piano terra
Pianta piano primo
27
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Foto nn. 4 e 5 - Fase iniziale del cantiere, con la realizzazione di copertura provvisoria, in attesa dell’esecuzione dell’intervento vero e proprio.
gli aspetti generali, le metodologie ed i materiali da
utilizzare.
Infatti all’epoca i pochi interventi conosciuti, riguardavano soprattutto “sostituzioni” di parti crollate o
inefficienti, realizzati spesso con materiali e tecniche moderne, senza alcun rispetto delle peculiarità
del sistema costruttivo e dei materiali originari.
Inoltre risultava particolarmente problematico, sotto
il profilo progettuale, l’intervento relativo alla ricostruzione delle parti crollate in quanto non era possibile “acquistare” l’impasto della muratura, come
normalmente avviene per interventi di consolidamento e restauro di manufatti monumentali bensì si
rendeva necessario “cavare ed impastare” la malta
con le stesse procedure utilizzate per la costruzione
originaria.
Tutto quanto sopra brevemente esposto ha delineato
un percorso progettuale specifico, improntato, al
profondo rispetto e conservazione/riproposizione,
dell’antico sistema costruttivo, scartando a priori
soluzioni innovative o materiali sperimentali.
Le particolari caratteristiche tecniche delle murature non consentivano scelte alternative a quelle utilizzate, anche per una indispensabile coerenza strutturale.
Alla scelta di fondo di conservazione e restauro di
quanto esistente, per le parti da ricostruire, la scelta
è stata quindi quella del dov’era e com’era.
In tal senso sono state effettuate campionature ed
analisi di laboratorio per stabilire l’esatta composizione della malta costitutiva delle murature, confrontandola con campioni prelevati nell’area circostante il manufatto, che è risultata quella utilizzata
per la costruzione (foto nn. 6 e 7).
Foto nn.6 e 7 - Fasi relative al prelievo della malta nell’area adiacente l’edificio ed alla preparazione dell’impasto.
28
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Nelle conclusioni di uno studio effettuato dalla Dott.ssa
Giovanna A. M. Massacci, su campioni prelevati dalle murature
dell’edificio, si legge che: …si può osservare come il campione
(A), presenti sia minerali argillosi che detritici, in particolare la
calcite ed in parte il quarzo. Questi dati confermano le osservazioni dei terreni intorno al territorio d’Ostra Vetere, rappresentati da quarzo e feldspati detritici e da minerali delle argille tipico prodotto d’alterazione di queste rocce, in particolare quando
si ha la trasformazione dei feldspati in caolinite.
Gli interventi effettuati, evidenziati nei grafici di rilievo, hanno
riguardato pertanto la ricostruzione delle porzioni di “muratura”
crollata, utilizzando l’originario sistema di strati sovrapposti
costituiti da impasto di argilla, cavata nell’area di pertinenza dell’edificio, inerti e paglia.
Sono state inoltre ricostruite le porzioni di solai e copertura crollati e restaurate le restanti strutture.
Ulteriori interventi hanno interessato gli infissi e le finiture ed in
particolare è stata realizzata la riproposizione dell’intonaco
esterno a malta di calce e la tinteggiatura a latte di calce, indispensabili per la protezione della peculiare “muratura” dal dilavamento delle acque meteoriche.
Tutti gli interventi sono stati realizzati nel più scrupoloso rispetto delle specifiche tecniche costruttive originarie, recuperando e
riproponendo i materiali esistenti.
Foto n. 8 - Particolare dei ramoscelli di vimini inseriti
parzialmente nella vecchia muratura. La restante
parte del ramoscello è stata inglobata nel nuovo impasto, in modo da creare un’ulteriore collegamento tra la
muratura originaria e quella ricostruita.
Foto nn.9-11 - Le varie fasi di ricostruzione delle murature crollate.
29
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
A documentazione dell’attenzione
progettuale e della particolarità dell’intervento realizzato si riporta, di
seguito, la specifica voce di Capitolato, appositamente formulata
per la ricostruzione delle “murature” crollate.
Formazione di struttura verticale
portante da realizzarsi con impasto di argilla, paglia e inerti sia di
natura organica che inorganica
nelle percentuali che saranno definite a seguito delle risultanze delle
analisi chimico-fisiche dei campioni prelevati.
L’argilla da utilizzare dovrà essere cavata nell’area
di pertinenza del manufatto stesso ed amalgamata,
mediante “pistatura”, con acqua alla paglia e agli
inerti fino ad ottenere una malta avente consistenza tale da consentirne la lavorazione a mano.
Detto impasto dovrà essere messo in opera entro
apposite sponde lignee ed ivi pressato con attrezzi
in legno fatti a mano in modo, da realizzare strati
orizzontali dell’altezza di circa 20 cm, intervallando gli stessi con paglia battuta. Compreso l’onere
per la rettifica dei piani orizzontali, verticali o
inclinati delle parti esistenti, la realizzazione tra le
stesse e quelle da ricostruire, di legature di tipo tradizionale da inserire all’interno
dello spessore delle pareti e lungo
le superfici di congiunzione con
ramoscelli di vimini lasciati a
bagno in acqua per almeno ventiquattro ore e ripiegati sulla metà
della lunghezza (foto n.8).
30
Compreso altresì l’onere per la realizzazione di
spallette, sguinci, piani orizzontali e l’eventuale
inserimento di architravi di porte e finestre in legno
aventi lunghezza doppia della larghezza del vano
da realizzare, appositamente spinottati mediante
cunei in legno a sezione circolare di spessore ed
essenza analoghi a quelli esistenti e quant’altro
necessario per dare il lavoro finito a perfetta regola d’arte.
Foto nn. 12-14: stato attuale dell’edificio, a seguito degli interventi
di restauro sopra descritti, realizzati tra il 1988 ed il 1992.
Monteroberto (AN)-La casa di terra e paglia in via Ponte Magno
L’intervento di restauro conservativo
Alessandra Pacheco
La casa di terra e paglia oggetto di intervento, di
proprietà del Comune di Monteroberto, è ubicata
all’angolo fra la via Ponte Magno e la strada provinciale Staffolo-Cupramontana.
Foto n. 1 - La casa dopo l’intervento di restauro conservativo.
Il manufatto si articola su due livelli fuori terra, di
cui quello inferiore risultava, prima dell’intervento,
parzialmente interrato.
Realizzata secondo le tecniche costruttive proprie
di questa particolare tipologia edilizia, cioè a strati
sovrapposti dell’altezza media di circa 30-40 cm
con l’utilizzo di casseforme lignee, detta casa di
terra presenta le peculiarità proprie di questi manufatti: aperture di piccole dimensioni, architravate in
legno, orditura di copertura in legno molto sporgente, intonaco protettivo esterno a malta di calce,
solaio intermedio in travi e correntini di legno con
pianellato a secco ecc.
Rispetto alle tradizionali case di terra della zona,
quella di Monteroberto presenta un basamento in
mattoni cotti piuttosto ridotto e posizionato esclusivamente sulla faccia esterna. Altre caratteristiche,
invece, sono quelle delle tradizionali architetture di
terra e paglia: quali ad esempio il restringimento
della sezione delle murature verso l’alto nella parte
esterna, cosicchè la superficie muraria risulta inclinata fino alla quota del primo solaio, per poi proseguire perfettamente
a piombo, ma con
sezione ulteriormente ridotta dalla classica risega in corrispondenza dell’imposta delle travi del
solaio di piano a
salire fino alla copertura.
Tipica anche la coloritura degli ambienti
interni a calce con
zoccolatura azzurroindaco per l’allontanamento degli insetti.
Il piano terra è suddiviso in quattro ambienti, pavimentati
con mattoni cotti posati a secco, in cui è
ben distinguibile la
cucina per la presenza del camino. In tale ambiente è anche presente la
scala in muratura (presumibilmente struttura aggiunta al nucleo iniziale), che porta al piano superiore.
Uno degli ambienti al piano terra non possiede pavimentazione, probabilmente per la sua funzione di
servizio (cantina o stalla).
Al piano superiore erano sicuramente localizzate
quattro camere da letto.
In tempi recenti la casa era stata ampliata con una
appendice in mattoni cotti (ora anch’essa quasi del
tutto crollata) nella quale al piano superiore era
anche stato ricavato un servizio igienico, evidentemente non presente nella costruzione iniziale.
Nonostante qualche precedente intervento a carattere manutentivo, denunciato dalla presenza di malta
cementizia e di mattoni nuovi all’interno dell’edificio, la scomparsa dell’intonaco esterno a calce ha
determinato il dilavamento delle superfici murarie,
31
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
non più protette, e conseguentemente il loro assottigliamento e il progressivo dissesto statico.
Con l’abbandono dell’edificio, avvenuto a quanto
riferito durante gli anni ’70, ed il diverso utilizzo
dell’area circostante, sono cessate in primo luogo le
abituali opere manutentive alla copertura e al diserbo dalle piante infestanti. Inoltre, perimetralmente
all’edificio, è stato depositato terreno di riporto sia
per la realizzazione delle strade (la provinciale sul
lato sud e una strada di distribuzione secondaria sul
lato ovest), sia per le coltivazioni agricole ubicate
sui lati nord ed est.
Questa situazione è stata determinante per il progredire del degrado in quanto le pendenze originarie del terreno, che in origine erano sicuramente
conformate per un allontanamento delle acque
meteoriche, al momento dell’intervento si trovavano invece in posizione invertita, volte a creare un
compluvio verso il manufatto, e quindi una maggiore aggressione da parte dell’acqua di scolo
superficiale.
Quindi l’infiltrazione delle acque piovane di scorrimento fino all’interno del fabbricato aveva causato
l’erosione della parte basamentale del setto murario
centrale e la conseguente lesione della parete lungo
il fronte su Via Ponte Magno.
Questo fenomeno, insieme alla conformazione
costruttiva specifica dell’edificio, è stato il principale fattore di dissesto statico che ha causato il crollo della copertura.
Osservando infatti le pareti murarie che portano la
copertura, si può vedere che, mentre le pareti perimetrali e uno dei setti interni sono costituiti da terra
cruda, il setto trasversale, che porta la scala, è realizzato in mattoni cotti.
Questa differenziazione strutturale, dovuta presumibilmente ad interventi succedutesi nel tempo e
legata a necessità funzionali, ha prodotto un diverso comportamento delle pareti all’aggressione dell’acqua: mentre le pareti in argilla, dilavandosi alla
base, si abbassavano di quota in corrispondenza
della linea di gronda, il setto murario di mattoni
cotti, resistente all’acqua ha mantenuto la sua quota
originaria e, per questo modificarsi delle pendenze
di alcune falde, la copertura, sottoposta a fenomeni
32
Foto n. 2 - Particolare dello sporto della copertura.
di rotazione delle travature, ha ovviamente progressivamente ceduto in ampie porzioni crollate al
suolo.
Il progressivo dilavarsi dell’argilla ha inoltre investito tutta la parte basamentale dell’edificio letteralmente sommergendola e rendendo, prima dell’intervento di restauro, non più visibili sia le quote
del pavimento, sia la porzione inferiore delle murature, costituita da muratura di mattoni cotti, più
resistenti all’acqua.
Le murature inoltre erano state nel tempo aggredite
da rampicanti che, sviluppatisi dalle fondazioni
fino alla copertura, hanno contribuito al loro progressivo deterioramento.
L’intervento di restauro, realizzato fra maggio del
2002 e gennaio del 2004, ha consentito la conservazione del manufatto, arrestando la principale
causa di degrado e cioè il dilavamento da parte
delle acque piovane.
A tale scopo i lavori eseguiti consistono sostanzialmente nella ricostruzione della porzione crollata di
murature portanti e nel rifacimento della copertura,
in analogia all’originale, nonché nel ripristino della
parte basamentale in mattoni cotti e la realizzazione di presidi per l’allontanamento delle acque
meteoriche.
In particolare era ormai completamente rovinato a
terra, dilavato, lo spigolo nord-est dell’edificio
(quello corrispondente all’ambiente della stalla o
cantina a piano terra) che è stato ricostruito secondo la tecnica originaria degli impasti di terra cruda,
paglia e letame (identificati con esattezza tramite
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
analisi di laboratorio), pressato in casseforme e poi
fatto asciugare a lungo al sole prima del disarmo.
Questa fase delle lavorazioni è stata particolarmente delicata ed ha comportato anche una sospensione
dei lavori corrispondente ai mesi estivi (da giugno
ad ottobre del 2003), in quanto l’impasto non era
abbastanza asciutto ed assestato da consentire il
ripristino del solaio di piano e della copertura.
Sono stati inoltre creati dei collegamenti strutturali
fra le porzioni di muro nuovo e quello originario
attraverso l’inserimento di canne, analogamente a
quanto si realizza oggi nel restauro del patrimonio
esistente attraverso la tecnica delle cosiddette
“cuciture armate”.
Anche le murature particolarmente assottigliate dal
dilavamento sono state ispessite con l’aggiunta di
impasto nuovo, fatto aderire attraverso graticci di
canne “cucite” alle murature originarie.
Si è poi provveduto alla ricostruzione del tetto,
preceduta anche in questo caso dalla realizzazione
di un presidio strutturale di miglioramento sismico
e cioè un cerchiaggio delle pareti in sommità, realizzato però con materiale ligneo, anziché ferro o
cemento armato come avremmo fatto in un restauro di tipo tradizionale. Tale cordolatura contribuisce anche a distribuire in modo più uniforme il
carico delle travi di copertura sulle sottostanti
sezioni murarie.
Sotto al manto di coppi è inoltre stata inserita una
guaina (prima inesistente) per meglio ovviare la
penetrazione dell’acqua piovana.
Un altro aspetto problematico da risolvere era l’abbassamento delle architravature delle porte, traslate
a causa dell’abbassamento complessivo delle pareti
per l’erosione basamentale. Tale abbassamento (fra
i 20 ed i 30 centimentri) non consentiva più di passare comodamente attraverso le aperture e al piano
terra anche l’intradosso del solaio superiore risultava talmente basso da toccare quasi la testa delle persone che ispezionavano gli ambienti.
Considerato che era impossibile ormai ripristinare
le quote originarie degli architravi e del solaio di
piano, a causa delle consistenti demolizioni necessarie e anche della ricostruzione pressoché integrale delle murature esterne che questa operazione
avrebbe comportato, si è optato per un semplice
abbassamento del piano di calpestio (attraverso lo
scavo e asportazione della terra pavimentale per
una profondità di circa 20 centimetri), coadiuvato
anche da una leggera sottofondazione muraria,
prima inesistente.
Indispensabile per la conservazione dell’edificio è
Foto n. 3 - Particolari del fronte Sud.
33
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
stata anche la realizzazione di un ampio scavo all’esterno, al fine di ripristinare per un certo raggio
intorno all’edificio le pendenze originarie, e di un
drenaggio aderente alla base delle murature. Per il
migliore allontanamento delle acque è stato inoltre
revisionato da parte dell’Amministrazione comunale il sistema di scolo verso un fosso esistente, limitrofo all’area.
Sono stati infine ripristinati gli intonaci esterni, in
analogia ai pochi lacerti originari, rinvenuti ancora
aderenti alle pareti, attraverso impasti tradizionali
di malta di calce, sabbia ed inerti.
Foto n. 4 - Fronte Sud dell’atterrato.
34
I lavori della Commissione Tecnica e le Linee Guida
per le redazione del piano di recupero di Villa Ficana
Dopo più di sette anni dal suo avvio il piano di
recupero unitario di Villa Ficana è stato definitivamente approvato e, contestualmente, sono state
reperite le risorse finanziarie per dare avvio ai
lavori di restauro dell’intero quartiere1. Il percorso progettuale è stato particolarmente complesso.
D’altra parte il restauro di un intero quartiere presenta delle problematiche stratificate su diversi
livelli che, oltre agli aspetti tecnici, riguardano la
definizione delle destinazioni d’uso e le connessioni fra proprietà pubblica e privata. In aggiunta,
a Villa Ficana si è dovuto affrontare il problema
della rifunzionalizzazione di manufatti di terra,
nel rispetto integrale delle caratteristiche tecniche
e tipologiche degli atterrati, ricercando, comunque, soluzioni progettuali che consentissero di
raggiungere standard abitativi accettabili. Inoltre,
e non è questione di poco conto, il piano di recupero ha operato in un quadro normativo che non
riconosce le case di terra fra i sistemi costruttivi
consentiti2. In un contesto così problematico non
può non essere rimarcata la volontà dell’amministrazione comunale di Macerata che ha investito
nell’iniziativa aspettative qualificanti per la propria politica di tutela e di valorizzazione del territorio. Contestualmente il riconoscimento, da
parte del Ministero per i Beni e le Attività culturali, di bene e testimonianza di notevole interesse
storico-culturale in base al D.Lgs 490/99, attualmente sostituito dal D.Lgs 42/04, ha incentivato
gli sforzi per definire un intervento in linea con i
valori riconosciuti agli atterrati di Villa Ficana.
La tutela riguarda complessivamente tutta l’area
perimetrata dal piano di recupero e individualmente tutti gli edifici, in un rapporto d’interazione con tutti gli spazi pubblici, comprendendo
tutte le aree interne non edificate e tutta la viabi-
Pierluigi Salvati
lità . Un decreto che individua nell’insieme del
quartiere, nel suo complesso, un valore unitario.
Non vengono fatte differenze fra le aree edificate,
gli edifici singoli, le aree di risulta, gli orti e gli
spazi utilizzati per la viabilità interna. Ogni elemento che compone il quartiere ha un rapporto
logico ed inscindibile con il contesto e tutti, in
ugual misura, concorrono alla definizione delle
caratteristiche tipiche e originali del tessuto abitativo. Gli elementi principali che hanno determinato questo concetto d’insieme sono, naturalmente,
le case di terra e la convinzione, oramai ampiamente radicata, che non è sufficiente conservare
le emergenze per preservare i loro valori. E’
necessario che tali emergenze continuino a mantenere il proprio rapporto con una cornice esterna
congruente e non alterata. È necessario mantenere i rapporti di legame, le interferenze funzionali
e quelle visive e gli equilibri propri del contesto e
degli intorni per conservarne il carattere. Villa
Ficana è un caso esemplare. Oltre al valore intrinseco degli atterrati, caratterizzati dai materiali da
costruzione e dalle tecniche di edificazione, e dal
valore storico e sociale che essi testimoniano, è
riscontrabile un valore d’insieme e una dimensione a scala urbana che possono rappresentare elementi determinanti per il suo recupero e la sua
valorizzazione. Sembra quasi il luogo ideale per
sperimentare un progetto urbano alternativo. Il
tentativo di vivere la modernità ed il proprio
tempo attraverso il recupero sostenibile del passato, senza apportare alterazioni incompatibili e
stravolgenti allo stato di fatto degli edifici e dei
luoghi.
Successivamente alla presentazione del piano di
recupero unitario d’iniziativa privata avvenuta nel
20003, il comune di Macerata ha istituito una
1 Fondi comunitari piano di sviluppo rurale -Fondi regione Marche- Fondi comunali.
2 Per la normativa italiana, Legge 2.2.1974 n°64 Provvedimenti per le costruzioni con prescrizioni per le zone sismiche– DPR 6.6.2001 n°380
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, la tecnica costruttiva che prevede l’utilizzo della terra cruda
non è inserita nell’elenco dei sistemi costruttivi consentiti. Art. 5 legge 64/74 e art 54 DPR 380 prevedono che gli edifici possono essere
costruiti con: struttura intelaiata in c.a. normale e precompresso, acciaio o sistemi combinati di predetti materiali; struttura in pannelli portanti; struttura in muratura; struttura in legno. Quindi, nel nostro paese, non è consentita la realizzazione di nuovi edifici in terra cruda né il
loro recupero. Al riguardo si segnala la proposta di legge presentata dai deputati Lion e Cossa riguardante “Provvedimenti per le costruzioni in terra cruda” ancora all’esame delle varie commissioni.
3 Progetto arch. Ernesto Tambroni -ing. Enzo Leonardi -ing. Adriano Ottaviani.
35
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Commissione tecnica4 per una verifica degli
obiettivi individuati nel piano di recupero stesso,
comprendente un esame delle scelte progettuali,
delle possibilità tecniche d’intervento, dei sistemi
di miglioramento strutturale nonché delle destinazioni d’uso ritenute compatibili. La necessità di
un’ulteriore verifica del piano di recupero è stata
dettata in parte, e in un certo senso imposta, dalla
mutata situazione giuridica del quartiere a seguito dell’emanazione del decreto di vincolo 5.
Inoltre, il recupero dell’intero quartiere, per la
vastità delle problematiche e degli interessi coinvolti e per le difficoltà tecniche di realizzazione,
necessitava di un ulteriore approfondimento che
coinvolgesse personalità di comprovata esperienza, a cui è stato richiesto un apporto di guida ed
indirizzo sulle scelte di fondo del piano. Il metodo di lavoro utilizzato dalla commissione tecnica
per formulare il proprio giudizio riflette in parte
quello previsto dalle Conferenze di Servizio: un
confronto diretto fra le varie componenti e professionalità portatrici ognuna di una specifica
competenza al fine di poter analizzare i problemi
in un’ottica complessiva. Un confronto aperto al
contributo di ogni singola esperienza. I lavori
hanno preso spunto ed avvio dall’analisi del
Piano di Recupero Unitario di iniziativa privata
presentato nel 2000. È da sottolineare che tale
piano di recupero è stato pensato e progettato in
contesto sostanzialmente diverso da quello in cui
ha lavorato la Commissione e pertanto alcune
scelte progettuali sono state superate dal mutato
status giuridico del quartiere. Determinante per
l’indirizzo dei lavori della Commissione è stato il
riconoscimento di Bene Culturale del quartiere
mediante l’apposizione del vincolo, che ha gene-
rato interesse e, in un certo senso, ha contribuito
a restituire al quartiere delle case di terra di
Macerata quella rilevanza e quella dignità che per
lunghi anni era stata negata.
Due sono stati i momenti nodali del lavoro svolto
dalla Commissione tecnica di Villa Ficana: i verbali delle sedute6 e la successiva fase di sintesi
rappresentata dalle Linee Guida per il piano di
recupero. E’ interessante sottolineare, ancora una
volta, la strategia di lavoro della Commissione
che, al di là dei risultati futuri del recupero e del
restauro, sui quali potrà essere espresso un giudizio a lavori conclusi, potrebbe rappresentare un
modello di lavoro applicabile ad altri importanti
monumenti. I verbali delle sedute sono un interessante materiale ricco di stimoli, caratterizzati
dalla immediatezza del confronto e dalla finalità
esclusiva di dare risposte pratiche e concrete.
Tali verbali documentano i problemi affrontati e,
anche se sono delle sintesi di lunghe ore di discussioni molte volte stimolanti e aperte a continue e pertinenti digressioni, sono caratterizzati da
un’immediatezza, una incisività e una praticità
che altri scritti difficilmente raggiungono.
Le Linee Guida sintetizzano in modo organico e
razionale i contenuti dei verbali con l’intento di
fornire uno strumento di lavoro in grado di garantire un elevato standard qualitativo delle future
progettazioni; contestualmente limitano il campo
delle destinazioni d’uso possibili alle sole attività
ritenute compatibili con i caratteri tipologici e
dimensionali delle case di terra. Le tematiche
affrontate ruotano intorno a questa duplice finalità. Inoltre, è interessante constatare come il lavoro di sintesi sia stato impostato su di un realismo
operativo privo di dogmi e ideologie disciplinari.
4 Commissione tecnica Villa Ficana: coordinatrice arch. Anna Paola Conti. Membri: Arch. Mauro Bertagnin (rappresentante CRATerre), Arch.
Mario Crucianelli (Rappresentante degli industriali provincia di Macerata), Ing. Marco D’Orazio ( Rappresentante Università degli Studi di
Ancona facoltà d’Ingegneria), Arch. Eugenio Galdieri (rappresentante ICCROM ICOMOS), Prof. Augusta Palombarini (Rappresentante
Università degli Studi di Macerata facoltà di Lettere e Filosofia), Arch. Pierluigi Salvati ( rappresentante la Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per il Paesaggio delle Marche), Arch. Maurizio Bonotti (Funzionario dell’Ufficio Tecnico del comune di Macerata), Arch.
Mauro Saracco.
5 Decreto Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali delle Marche - art. 2 D.Lgs. 29.10.1999 n° 490 del 18.7.2003.
6 I verbali delle sedute della Commissione tecnica sono stati curati dall’arch. Anna Paola Conti e dall’arch. Maurizio Bonotti che, oltre al loro
qualificato contributo quali membri della Commissione tecnica, si sono assunti il compito, con la redazione dei verbali, di tracciare una linea
di continuità ai lavori della Commissione.
36
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
L’intervento di restauro in generale, in particolare
quello architettonico, produce, senza alcun dubbio,
cambiamenti e modifiche in parte irreversibili. Il
recupero e la rifunzionalizzazione delle case di
terra, con tutti i limiti e la delicatezza di questa tecnica costruttiva, pone in modo ancora più forte il
problema del cambiamento, che deve essere gestito e controllato in maniera tale che non produca
alterazioni incongruenti e mutilazioni penalizzanti.
Le Linee Guida, con le loro indicazioni, hanno cercato di definire e delimitare il campo dei possibili
interventi in modo da rappresentare una base vincolante per il futuro lavoro di recupero e per conciliare, in modo armonico e sostenibile, i possibili
cambiamenti con la conservazione di tutti quei
valori storico culturali riconosciuti al quartiere di
Villa Ficana. Materialmente le Linee Guida sono
state redatte dall’arch. Anna Paola Conti e di seguito se ne riporta una sintesi significativa.
Le LINEE GUIDA elaborate dalla scrivente, che
costituiscono una traccia per la futura estensione di un Piano di Recupero normativo, sono state
stilate sulla scorta del rilievo attualmente disponibile e delle indicazioni emerse durante i lavori
della Commissione Ficana.
Sono inoltre state discusse in ulteriori incontri
con il rappresentante del Comune, arch. Bonotti,
e della Soprintendenza, arch. Salvati.
Le linee guida sono state quindi inviate, da
Maurizio Bonotti, a tutti i componenti della commissione, alcuni membri - Mauro Bertagnin,
Eugenio Galdieri, Maria Luisa Neri, Augusta
Palombarini - hanno manifestato la loro adesione o i loro commenti attraverso osservazioni
scritte o verbali. Dagli altri non sono arrivate
considerazioni per cui si può ritenere che il loro
giudizio sia sostanzialmente favorevole.
(Anna Paola Conti)
LINEE GUIDA
per la redazione del Piano di Recupero del quartiere di VILLA FICANA
Capo I
Introduzione
Illustrazione del contenuto - Categoria delle opere ammesse
1 Illustrazione del contenuto
◆ Motivazioni del lavoro con particolare riferimento all’illustrazione delle finalità del Piano di Recupero.
Va ribadito che, vista la presenza del vincolo, le scelte progettuali devono essere indirizzate esclusivamente alla conservazione degli edifici.
◆
Definizione operativa delle scelte progettuali del Piano di Recupero, stabilita in armonia con quanto previsto dal Vincolo.
Tale fase, preliminare, del lavoro deve essere direttamente concordata con i rappresentanti della Soprintendenza.
2 Categoria delle opere ammesse, da attuare con le prescrizioni di volta in volta indicate (divieto di
demolizione e ricostruzione, divieto di sostituzione del materiale, divieto spostamento quota primo
solaio… come di seguito indicato)
37
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Le opere ammesse, da porre in atto con le modalità del restauro, sono:
◆ Risanamento conservativo
◆ Manutenzione straordinaria
◆ Manutenzione ordinaria
(le modalità di istruttoria delle pratiche dal punto di vista urbanistico, l’iter e le modalità di rilascio degli
eventuali permessi ed i tempi previsti non devono essere definiti in quanto si fa riferimento alla procedura prevista dagli strumenti urbanistici vigenti).
Capo II
Normativa
Destinazione – Divieti – Prescrizioni – Pianificazione generale
1 Destinazione
Ribadendo la particolarità del tipo di vincolo che tutela il quartiere nella sua totalità – sia tutte le costruzioni che le aree libere – si prescrive per gli edifici una destinazione prevalentemente residenziale, si
prevede altresì la possibilità di collocare nel quartiere anche piccole attività commerciali e/o artigiane.
A Ficana potranno essere localizzate:
1) abitazioni per i residenti “storici” (o comunque abitazioni per coloro che “scelgono” di andare a
vivere a Ficana);
2) abitazioni per studenti, Macerata è una città universitaria; la scelta appare praticabile e soprattutto conciliabile con le dimensioni ridotte della tipologia di base;
3) edilizia speciale da usare per alloggi temporanei assegnati per brevi periodi in caso di necessità;
4) alloggi da usare per la realizzazione di progetti di cooperazione culturale che prevedano scambi
tra città gemellate;
5) alloggi da utilizzare per garantire la ricettività necessaria agli scambi culturali previsti tra gli atenei europei (programma Erasmus e simili);
6) sedi di attività commerciali e/o artigiane di dimensioni compatibili con la scala del quartiere.
Tali destinazioni dovrebbero convivere, in modo da garantire una presenza continua e la disomogeneità
necessaria a rendere la “naturale” vita di un quartiere. La coesistenza dei nuovi utenti con gli abitanti
storici della zona, i quali costituirebbero l’anello di congiunzione tra passato e presente, garantirebbe la
diversità d’uso necessaria per evitare il pericolo di ghettizzazione.
Sarebbe opportuno, inoltre, individuare e restaurare una unità abitativa senza apportare mutamenti dimensionali e tipologici. Mantenendo le sue caratteristiche peculiari, essa potrà essere usata a scopo scientifico e didattico per testimoniare la storia e le condizioni di vita delle classi più umili della metà dell’ottocento. Tale unità, inoltre, potrebbe essere utilizzata come portineria per lo studentato, office, ecc..
Le destinazioni “speciali”, punti 2), 3), 4), 5), sono da considerare ammissibili ma non vincolanti in
quanto la loro effettiva realizzazione sembra più che altro legata ad un probabile – ma, ad oggi, non certo
- impegno diretto dell’Ente Pubblico.
Nel caso in cui le costruzioni del quartiere fossero utilizzate unicamente per gli scopi previsti ai punti
1) e 6), sarà opportuno stabilire la quantità massima di edifici sede di attività commerciali e/o artigiane.
2 Divieti
Il P d R definisce in modo puntuale le opere che si riferiscono alla conservazione del quartiere nella sua
totalità, con riguardo sia all’aspetto strutturale che di finitura esterna.
Devono quindi essere rispettati i seguenti divieti:
◆ divieto di sostituzione del materiale originario;
38
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
◆
divieto di spostare la quota del solaio intermedio;
◆ divieto di ricostruzione in caso di crollo totale.
Anche circa le opere interne, è però necessario fornire indicazioni operative, in modo da offrire gli strumenti utili ad agire in accordo con la logica costruttiva del crudo.
Andranno evitati interventi che interferiscano negativamente, dal punto di vista statico, igroscopico, ecc,
con le strutture esistenti.
Ad esempio sono vietati:
◆ la creazione di nicchie nelle murature;
◆ le finiture murarie non traspiranti;
◆ l’esecuzione generalizzata di tracce;
◆ l’eccessiva concentrazione di carichi, ecc.
3 Prescrizioni
Premessa:
Il P d R deve conciliare il rispetto dell’evoluzione storica del quartiere così come oggi è giunto fino a
noi, con i necessari adattamenti conseguenti al fatto che Ficana non è destinata ad essere un museo, ma
deve ridiventare un normale quartiere urbano capace di ospitare gli spazi utili alla vita contemporanea.
Indirizzi suggeriti:
Si esclude la possibilità di cambiare la quota del solaio interpiano in quanto ciò risulterebbe poco utile
ai fini dell’adeguamento igienico e dannoso dal punto di vista strutturale.
Gli aumenti di volume ottenuti tramite l’abbassamento del piano di calpestio del PT appaiono molto
problematici in quanto le conoscenze riguardanti le caratteristiche delle fondazioni sono allo stato
attuale decisamente insufficienti.
Si ritiene possibile lasciare spazio a minimi aumenti di volume ottenuti maggiorando l’altezza della
linea di gronda e, ove effettivamente necessario, a corpi aggiunti (definiti in genere volumi tecnici), ma
viene chiesto ogni volta di presentare un rilievo accurato dello stato di fatto dell’edificio interessato e,
soprattutto di motivare le scelte progettuali e le eventuali richieste di ampliamento.
La costruzione dei corpi aggiunti deve essere “giustificata” caso per caso da necessità effettive, così da
avere l’incidenza minore possibile in termini di cubatura ed ottenere comunque una soluzione estetica
valida e non necessariamente omogenea – in modo da rispettare i caratteri del luogo – attenta inoltre
alle caratteristiche tecnologiche della terra cruda.
La maggiorazione dell’altezza della linea di gronda appare molto più problematica visto che siamo in
presenza di schiere.
Bisogna evitare di dare un ordine artificiale, sia dal punto di vista tipologico che da quello tecnico
costruttivo, ad un contesto che è nato in maniera spontanea.
Appare utile lasciare una certa libertà nella scelta di soluzioni e materiali, rispettando comunque i
parametri di salvaguardia fissati per gli edifici, in modo che il borgo continui ad evolversi oggi, come
è stato nelle epoche passate.
Gli interventi consentiti – Risanamento conservativo, Manutenzione straordinaria, Manutenzione ordinaria – dovranno essere attuati con le seguenti prescrizioni, relative a:
materiale - terra
Definire norme che stabiliscano le modalità di reperimento (cave di materiale idoneo), di utilizzo e la
corretta composizione del materiale terra.
39
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Indicazione delle tecnologie costruttive (adobe, massone, pisè o altre tecniche che utilizzino la terra
cruda) da utilizzare, della composizione del materiale e dei test empirici da porre in atto in loco.
murature / dissesti e integrazioni della struttura muraria
Utilizzare gli stessi materiali, le stesse modalità costruttive e le stesse dimensioni per ripristinare e
migliorare strutturalmente gli edifici.
Le parti da integrare o sostituire saranno realizzate in terra: con massoni, mattoni crudi ecc.
Saranno definite soluzioni tipo per i dissesti più diffusi.
I mattoni cotti verranno utilizzati solo per il restauro o la sostituzione delle parti esistenti già realizzate
in tale materiale.
Le incamiciature esterne “storiche” possono essere mantenute. La scelta verrà effettuata, ed opportunamente motivata, dal progettista del restauro.
Nel caso di mantenimento ed eventuale ricostruzione – esempio cuci e scuci – devono essere utilizzati i
mattoni originari, eventualmente integrati con altri mattoni vecchi.
fondazioni
Gli aumenti di volume ottenuti tramite l’abbassamento del livello di calpestio del PT appaiono molto
problematici in quanto le conoscenze riguardanti le caratteristiche delle fondazioni sono allo stato attuale decisamente insufficienti.
Il cambiamento della quota di calpestio si ritiene comunque possibile in casi, e con soluzioni, da valutare dopo la presentazione di adeguata documentazione (indagine geologica, studio accurato del sistema
fondale ecc.). E’ necessario comunque porre particolare attenzione al rapporto dell’intervento proposto
con la situazione statica dell’intorno.
cordoli
Andranno ricercate soluzioni antisismiche compatibili con la tecnologia del crudo, evitando i cordoli in
cemento armato.
solai
Divieto di cambiare la quota del solaio interpiano.
Obbligo di mantenere i solai in legno.
aggetti
Vietati nuovi aggetti.
scale
Le scale esterne vanno mantenute in ossequio alla tipologia esistente.
Possibilità di chiudere la scala esterna (ispirandosi alla tipologia delle superfetazioni), in modo da
migliorare lo sfruttamento degli spazi interni.
coperture
Dovrà essere tendenzialmente mantenuta (mantenimento come risultato dell’insieme dei lavori di restauro posti in atto nel tempo dai singoli proprietari) la quota unitaria – unica linea di gronda, unica linea di
colmo – delle schiere.
La coibentazione (non ventilata) potrà essere posizionata al di sopra della quota dell’impalcato ligneo
attuale. Il manto di copertura dovrà essere realizzato in coppi e risultare unico nel caso di corpi aggiunti.
adeguamenti strutturali con modifica di quota della gronda
Intervento tendenzialmente escluso dal vincolo
40
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
La possibile sopraelevazione – che deve tendenzialmente interessare l’intera schiera – deve essere giustificata da ragioni tecniche.
Potrebbe essere concessa per effettuare i necessari adeguamenti strutturali (es. posa in opera di un dormiente sotto le travi di copertura per meglio distribuire i carichi) senza dover diminuire le quote interne, tenendo ovviamente fissa la quota del solaio intermedio.
corpi aggiunti
Opportuno non eliminare quelli esistenti poiché, per esperienza diretta, tali spazi storicamente consolidati, si possono rivelare, nonostante le loro piccole dimensioni, estremamente utili per il miglioramento
distributivo degli edifici.
Possibile in alcuni casi crearne di nuovi, come soluzione estrema, anche se tale intervento si pone tra
quelli tendenzialmente escluso dal vincolo.
La costruzione di corpi aggiunti verrà concessa solo previa verifica, tipologica, funzionale e statica, da
effettuare caso per caso, giustificata dalle effettive necessità e dallo stato di fatto, in quanto non appare
corretto stabilire una norma generale senza stravolgere o omogeneizzare eccessivamente il tessuto esistente.
aperture e infissi
Mantenere le dimensioni esistenti.
Serramenti realizzati con la tipologia classica in legno naturale colorato secondo una gamma di tinte prefissata.
Vietati vetri specchianti, persiane e sportelloni.
Per protezione e oscuramento, utilizzare scuretti interni.
Rimozione degli infissi in alluminio esistenti.
intonaci e trattamento delle facciate
Si propone l’utilizzo di intonaci in terra, terra e calce, calce.
Deve essere definita la composizione degli intonaci, sia interni che esterni.
Devono essere definite le coloriture esterne.
Per le parti realizzate ex novo in cotto (prevalentemente nuovi corpi aggiunti o rifacimento di quanto già
esistente) si prescrive di utilizzare mattoni vecchi con finitura faccia a vista, murati, e con stuccatura dei
giunti, a calce.
finiture
E’ opportuno proporre una diversa colorazione per le porzioni in crudo nuove, il colore deve essere
armonizzato ma riconoscibile.
impianti
Si raccomanda di ridurre al minimo l’esecuzione di tracce nella muratura in terra, le canalizzazioni
dovranno essere, per quanto possibile, esterne.
fusione orizzontale fra unità
E’ consentita la fusione orizzontale fra unità.
Tale processo, che segue la logica dell’evoluzione spontanea, permette di ricavare, all’interno dei volumi esistenti, spazi adatti a soddisfare anche le moderne esigenze abitative.
pianificazione generale
Si ritiene consigliabile modificare la perimetrazione P d R (attualmente definita sulla scorta del primo
P d R presentato), in modo da ricomprendere all’interno della zona tutelata anche le tre palazzine in
41
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
cotto che delimitano il quartiere verso Sud. Ciò appare opportuno perché tali edifici appartengono alla
storia di Ficana essendo stati costruiti dagli stessi proprietari dei terreni e degli atterrati.
Tale indicazione potrà essere posta in atto anche successivamente sotto forma di variante agli strumenti urbanistici.
Chiarito che il tipo di vincolo – d’ambito – fa sì che siano tutelate anche le aree scoperte, si richiama la
necessità di eseguire uno studio sulla viabilità generale interna.
E’ necessario comunque indagare sul contesto che circonda Ficana in modo da spezzare l’isolamento cui
attualmente il quartiere è sottoposto, a tal fine appare opportuno ripensare l’inserimento del borgo all’interno dell’indirizzo di piano del PRG di Macerata.
Considerare:
- collegamenti con la città
- percorsi pedonali e/o carrabili
- aree verdi
- spazi aperti
- parcheggi
- ecc.
Per quanto riguarda l’arredo urbano definire:
- pavimentazione da realizzare in cotto posto in opera a secco
- insegne
- luci
- numeri civici
- ecc.
Il Comune curerà la regimazione delle acque e la sistemazione degli spazi liberi interni, si assumerà
quindi direttamente anche l’onere della progettazione di tali opere e della definizione delle scelte tecniche ad esse relative.
Capo III
Livello di definizione progettuale
Indirizzi operativi - Prescrizioni per la redazione dei progetti
1 Indirizzi operativi
Dovrebbero essere indicate delle soluzioni applicabili senza necessariamente localizzarle nelle planimetrie, e quindi senza imporre modifiche standardizzate, ma in modo che ciascuno trovi la soluzione
più adatta alle proprie esigenze.
Si suggerisce di realizzare una normativa disegnata che illustri le principali tipologie e problematiche
degli edifici del quartiere e proponga, nello stesso tempo, i corretti metodi di intervento inerenti ai singoli casi. (Il lavoro si configura in pratica nella veste del previsto manualetto).
Si dovrebbe procedere quindi alla redazione di schede tecniche contenenti “soluzioni tipo” proponibili
per rispondere alla più diffuse necessità di tipo strutturale o estetico quali:
◆ risarcitura di lesioni – degrado della cortina muraria – ripristino di murature dilavate – adeguamento di aperture – rifacimento scale – eventuale abbassamento quota di calpestio del solaio interno –
inserimento di impianti (attenzione soprattutto a quelli idrico e termico) ecc.
2 Prescrizioni per la redazione dei progetti
Come stabilito durante i lavori della Commissione, gli elaborati, che verranno presentati dai progettisti
incaricati di eseguire effettivamente le opere previste dal P d R, dovranno essere redatti con grande cura
in quanto ai tecnici viene di fatto affidato il compito di integrare, attraverso un lavoro di rilievo partico-
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ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Stato attuale del borgo di Villa Ficana.
larmente preciso, le conoscenze sull’effettivo stato di fatto degli edifici, conoscenze che appaiono ora
lacunose ed insufficienti.
Le informazioni da richiedere ai progettisti saranno volte principalmente a conoscere lo stato di fatto, a
controllare l’equilibrio statico della singola unità abitativa ed il suo rapporto con gli edifici circostanti,
al fine di poter verificare la rispondenza delle scelte proposte.
I tecnici estensori del Piano di Recupero dovranno quindi definire accuratamente l’elenco degli elaborati tecnici minimi richiesti per la redazione dei progetti, e stabilire:
◆ scala opportuna del rilievo – allegati richiesti – richiesta dell’eventuale quadro fessurativo – definizione precisa dei materiali che costituiscono le strutture portanti (terra massone, terra adobe, terra con
incamiciatura in mattoni, solo mattoni…) – evidenziazione del tipo e dell’entità degli interventi precedenti succedutisi nel tempo – documentazione fotografica adeguata – saggi esplorativi con eventuale
prelievo di campioni – raggio minimo del rilievo allargato eventualmente alle unità limitrofe.
43
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Gli elaborati dovranno inoltre essere realizzati secondo i requisiti necessari a soddisfare quanto prescritto dalle schede-rilievo della Soprintendenza.
L’ampiezza e l’approfondimento della documentazione richiesta saranno ovviamente proporzionate al
tipo e all’ “importanza” dell’intervento previsto.
Per giungere all’approvazione dei progetti verrà avviata un’istruttoria congiunta tra Comune e
Soprintendenza, con il coinvolgimento diretto di tecnici e proprietari (vedi 241/90 ed esperienza maturata con la gestione del sisma), in modo da impostare correttamente il lavoro in fase di progettazione
preliminare e giungere, attraverso un “iter pilotato”, all’approvazione del progetto definitivo direttamente in sede di conferenza dei servizi.
Ciò può essere utile a concordare l’iter progettuale attraverso una mediazione attiva tra le aspettative
della committenza e le esigenze pubbliche di salvaguardia del bene tutelato.
Si ribadisce la necessità della realizzazione pratica di un cantiere pilota in cui sperimentare i tipi più
opportuni di intervento in relazione alla particolare tipologia e conformazione del quartiere. Tale esperienza, realizzata ad hoc per Ficana costituirebbe la necessaria condizione per la realizzazione del manuale operativo citato e per verificare in relazione alle specificità locali, le indicazioni operative reperibili in
letteratura.
Foto n. 5 - Scorcio interno del borgo.
Censimento e catalogazione delle architetture di terra
nella regione Marche
La terra. Tutte le cose hanno relazione con la terra.
Essa accoglie tutti gli esseri, ma anche si plasma,
duttile elemento, e assume le forme che l’uomo le
imprime. Assecondando i suoi bisogni si fa riparo,
casa, utensile, segno concreto della società che le
ha prodotte.
Quella delle case di terra è una storia che non conosce confini temporali e geografici.
Si resta affascinati da queste strutture elementari e
discrete che emergono quasi “naturalmente” dal terreno, fondendosi armoniosamente con il paesaggio.
Esse raccontano la vita del popolo in anni lontani,
di una tradizione contadina sulla quale è sceso il
sigillo del tempo, ma non quello della memoria.
In particolare nella nostra regione il fenomeno si è
diffuso maggiormente nella seconda metà dell’Ottocento, con l’affermarsi della mezzadria, dove
povertà e miseria, unite ad un aumento eccessivo
della popolazione, resero necessaria la costruzione
di abitazioni a basso costo.
Infatti, erano gli stessi futuri abitanti a realizzarle
con l’aiuto dei familiari e spesso del vicinato. Si
trattava per lo più di piccoli proprietari terrieri, mezzadri e braccianti, che si improvvisavano costruttori
senza seguire tecniche precise. Nonostante ciò, essi
adottarono particolari accorgimenti che resero le
case di terra perfettamente abitabili e rispondenti
alle condizioni climatiche, come ad esempio, il tetto
con falde sporgenti e la fascia basamentale in mattoni per riparare le murature dall’azione dilavante
della pioggia; oppure dimensioni ridotte delle finestre per evitare la dispersione del calore.
Quando le condizioni economiche sfavorevoli costrinsero i mezzadri ad emigrare abbandonando le
loro abitazioni, molte delle costruzioni in crudo
andarono perdute: alcune furono demolite per essere ricostruite in mattoni dai nuovi proprietari; altre
rimasero disabitate in attesa di un ritorno, che il più
delle volte non avvenne.
Gli “atterrati” abbandonati andarono presto in rovina a causa della mancanza delle indispensabili opere
di manutenzione e dell’azione degli agenti atmosferici che li ridussero rapidamente, in molti casi, in un
ammasso di terra informe.
Dalla seconda metà del ‘900 nelle Marche, non
Francesco Bravi
Paolo Canullo
sono state costruite più case di terra. Gli ultimi
manufatti datati, due capanni presenti nel comune di Monterado (AN), risalgono uno al 1930,
l’altro al 1946.
Con il “boom economico”, che ha interessato
anche la nostra regione, la gente ha sviluppato un
processo di rimozione culturale e fisica di quello
che ormai era considerato da tutti come un simbolo di povertà.
Proprio all’uomo, quindi, è da imputare la veloce
scomparsa di moltissime case di terra, piuttosto
che ad una strutturale deperibilità dei materiali.
Tuttavia un numero minore di queste costruzioni
ha continuato ad essere utilizzato fino ai giorni
nostri, come abitazione o come ricovero per gli
attrezzi e il bestiame.
I censimenti storici delle case di terra.
Numerosi sono stati i tentativi di chiarire la distribuzione di tali architetture sul nostro territorio
regionale. Tuttavia, il campo di osservazione di
questi studi è stato parziale, dal momento che ha
riguardato solamente realtà locali.
L’inchiesta Jacini, che risale alla fine del XIX
secolo, fotografa la situazione delle campagne
marchigiane, ma non fornisce alcun dato numerico sui manufatti in terra cruda.
Per avere un prima quantificazione reale, su cui
riflettere e confrontarsi, occorre attendere il 1934,
anno dell’indagine sulle case rurali effettuata
dall’Ufficio Centrale di Statistica su direttive personali del Capo di Governo.
L’indagine aveva lo scopo di conoscere la reale
situazione delle campagne fasciste, dividendo le
abitazioni in diverse categorie, tra le quali anche
case di terra, fogliame, ecc.
I dati raccolti dall’indagine, inerenti alle costruzioni in crudo, forniscono il seguente quadro:
Province
Pesaro
Ancona
Macerata
Ascoli Piceno
Totale
Numero
14
95
931
361
1401
Fonte: ISTAT, Indagine sulle case rurali, 1934.
45
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Il numero complessivo è di 1401 unità, di cui ben
931 appartengono alla provincia di Macerata.
La prima ad avanzare delle perplessità sulla veridicità di tali dati fu Clarice Santoponte Emiliani, che
effettuerà qualche anno più tardi (1941) una propria
indagine conoscitiva rivolta esclusivamente alle
costruzioni in crudo, scoprendo una realtà ben
diversa.
Secondo la Santoponte il numero riportato dall’ISTAT nel 1934 è da ritenersi errato per difetto, a
causa di notevoli errori svoltisi nella raccolta d’informazioni e per la volontà di occultare, o comunque ridimensionare, la presenza di tali edifici.
Un primo grossolano errore era stato quello di
aver accorpato le costruzioni in terra con quelle in
fogliame, generando confusione e imprecisioni sul
censimento.
Inoltre, la raccolta dei dati era stata affidata a
podestà e medici condotti, che operavano con criteri molto diversi fra loro e senza specifiche conoscenze.
Senza dimenticare, come sottolineava la Santoponte, che spesso le costruzioni in crudo potevano
presentare uno strato d’intonaco esterno, che
nascondeva la reale fattezza delle murature. In questi casi, ai molti medici condotti, spesso provenienti
da altre regioni, i manufatti in terra cruda apparivano per nulla differenti rispetto alle altre abitazioni
sparse nelle campagne.
Probabilmente, la segnalazione di queste case avveniva solo nelle situazioni più palesi, proprio per la
marcata volontà di sminuire questo fenomeno, come
testimoniano le relazioni che accompagnano l’indagine dell’ISTAT nelle varie province. Un esempio
può essere costituito dalla descrizione del territorio
maceratese dove si afferma: “Le abitazioni in terra,
fogliame, ecc… sono in minima parte”, mentre lo
stesso censimento ne segnalava ben 931.
Anche nelle altre province si negava l’evidenza di
questi manufatti. Per il compilatore della relazione
sull’Anconetano, il numero di 95 abitazioni poteva
far concludere che: “Non esistono però nel territorio
quei tuguri assolutamente inabitabili contrari ad
ogni norma, non solo d’igiene, ma del più elementare vivere civile”.
46
In alto: Percentuale delle pagliare rispetto alle case rurali. Cartina a
mosaico costruita in base ai limiti comunali.
In basso: Percentuale delle pagliare rispetto alle case rurali. Cartina
costruita col metodo delle curve isometriche.
(Santoponte Emiliani, Dimore primitive nelle Marche, in Bollettino
della R. Società Geografica Italiana, serie VII, vol VI, fascicolo 5,
Roma, 1941).
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
La casa di terra ormai era diventata “un marchio
d’infamia”1, sia perché si riteneva legata a condizioni di miseria e povertà, sia per l’insistente propaganda fascista che tendeva a dipingere senza
brutture il proprio mondo contadino.
Un aneddoto racconta che durante la visita del
Duce a Corridonia furono occultate, con enormi
cartelloni propagandistici, le costruzioni in terra
lungo via Zegalara (tali manufatti sono ancora esistenti).
La Santoponte Emiliani, sempre più convinta dell’inattendibilità delle cifre raccolte negli anni ‘30,
intraprese numerose escursioni nella campagna
marchigiana, verificando di persona quella che era
l’effettiva estensione del fenomeno.
Dopo aver circoscritto le aree interessate, utilizzando cartografie con i limiti comunali, controllò e
confrontò i dati raccolti dai comuni con le costruzioni da lei censite.
In questo modo elaborò una sorta di mappa regionale dove per ogni comune veniva evidenziata la
percentuale delle case di terra rispetto alla totalità
dei manufatti presenti.
I risultati furono alquanto diversi rispetto a quelli
dichiarati dagli stessi comuni. La Santoponte affermava: “a riprova di questo stà l’affermazione tas-
sativa, fattami presso varie sedi comunali, che non
esistevano abitazioni del tipo da me cercato in
comuni nel cui territorio ne avevo io stessa rintracciate in numero abbastanza notevole; o, viceversa,
mi è accaduto di constatare l’esistenza di un numero molto minore di quello dichiarato” 2.
Dalla ricerca della Santoponte emerge che la maggior parte delle costruzioni in crudo era distribuita
nelle zone collinari con concentrazioni che superano il 20% nel maceratese.
Negli ultimi decenni del ‘900, si è sviluppato un
grande interesse verso questo tipo di architettura,
grazie anche ai numerosi studi e ricerche effettuati
da istituzioni e privati.
A partire dagli anni ‘79-‘80, l’allora Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici
delle Marche, valutando l’interesse etnografico e
documentario dei manufatti in terra, e l’importanza della conservazione degli stessi, ha redatto una
propria catalogazione composta da schede sul
modello SU e A, predisposti dall’Istituto Centrale
per il Catalogo e la Documentazione del Ministero
per i Beni Culturali e Ambientali.
Il censimento è riportato di seguito con a fianco i
dati della recente verifica3 sull’attuale esistenza o
scomparsa dell’edificio.
CASE DI TERRA CATALOGATE DALLA SOPRINTENDENZA
PER I BENI AMBIENTALI E ARCHITETTONICI DELLE MARCHE
PROVINCIA DI ANCONA
Ostra Vetere
- Loc. Molino (cat. Gen. n° 11/00048264)
esistente
PROVINCIA DI ASCOLI PICENO
Campofilone
- Loc. Valdaso (cat. gen. n° 11/00031302)
- Loc. Valdaso (cat. gen. n° 11/00032502)
esistente
scomparsa
1 E. Sori – A. Forlani, Case di terra e paglia nelle Marche, Ascoli Piceno, 2000, p. 29.
2 C. Santoponte Emiliani, Dimore primitive nelle Marche, in Bollettino della R. Società Geografica Italiana, 1941 s. VII, vol. VI, fasc. 5, p. 253.
3 F. Bravi – P. Canullo, “Catalogazione delle architetture in terra cruda nelle Marche”, tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze – Facoltà
di Architettura.
47
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Fermo
- Loc. Molini (cat. gen. n° 11/00031295)
- Loc. Gabbiano (cat. gen. n° 11/00031296)
- Via Molini (cat. gen. n° 11/00049074)
Massa Fermana
- Loc. S. Vittoria (cat. gen. n° 11/00031291)
- Contrada Modeani (cat. gen. n° 11/00031292)
- Contrada Modeani (cat. gen. n° 11/00031293)
- Via S. Lorenzo (cat. gen. n° 11/00031294)
- Via Tarucchio (cat. gen. n° 11/00031297)
Montegiorgio
- Loc. Pianarelle (cat. gen. n° 11/00031303)
Montegranaro
- Via S. Maria (cat. gen. n° 11/00031298)
Monte S. Pietrangeli
- Loc. S. Rustico (cat. gen. n° 11/00031299)
- Via Forone n° 5 (cat. gen. n° 11/00031300)
- Strada Vicinale (cat. gen. n° 11/00031301)
PROVINCIA DI MACERATA
Macerata
- Loc. Terria (cat. gen. n° 11/00060100)
- Villa Ficana (cat. gen. n° 11/00030861)
Corridonia
- Via Mosè n° 5 (cat. gen. n° 11/00030811)
- Via Zegalara n° 16 (cat. gen. n° 11/00030815)
- Via Zegalara n° 15 (cat. gen. n° 11/00030816)
- Via Mosè n° 4 (cat. gen. n° 11/00030817)
- Colle S. Martino n° 3 (cat. gen. n° 11/00030818)
- Colle S. Martino n° 33 (cat. gen. n° 11/00030820)
- Via Zegalara n° 17 (cat. gen. n° 11/00030819)
- Ponte Tavole (cat. gen. n° 11/00030821)
- S. Giuseppe (cat. gen. n° 11/00030813)
- S. Giuseppe (cat. gen. n° 11/00030822)
- Via Mosè n° 14 (cat. gen. n° 11/00030823)
- Via Mosè n° 16 (cat. gen. n° 11/00030824)
- Via Mosè n° 15 (cat. gen. n° 11/00030828)
- Via Antico n° 9 (cat. gen. n° 11/00030826)
- Via Campetella (cat. gen. n° 11/00030825)
Pollenza
- Via Potenza (cat. gen. n° 11/00030810)
- Via Potenza n° 38 (cat. gen. n° 11/00030812)
- Via Potenza n° 39 (cat. gen. n° 11/00030814)
- Via Campetella n° 55 (cat. gen. n° 11/00030827)
- Contrada Rambona (cat. gen. n° 11/00030829)
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esistente
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scomparsa
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scomparsa
esistente
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esistente
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
L’indagine aveva catalogato, a campione, 38 manufatti, dislocati principalmente nelle province di Macerata
ed Ascoli Piceno. Gli studi e le ricerche effettuati diedero impulso ad una attività di tutela che produsse,
nel 1982, per la casa Perlini – Santini, di Ostra Vetere
(AN), il primo Decreto ministeriale di tutela ed il
primo restauro di una casa di terra nelle Marche, a
cura della Soprintendenza4.
Recenti studi sulle case di terra nella Regione.
Il presente studio prende avvio dalla redazione della
tesi di laurea in Architettura presso l’Università degli
studi di Firenze, dal titolo “Catalogazione delle architetture in terra cruda nelle Marche”.
La prima tappa da cui è partita tutta l’analisi sull’architettura di terra nelle Marche è stata quella di chiarire l’attuale diffusione di questo fenomeno sull’intero territorio regionale. Infatti, nonostante la presenza
di numerosi documenti e validissime pubblicazioni
sull’argomento, mancava un preciso quadro quantitativo. Un passo fondamentale per la salvaguardia e la
conservazione di questi manufatti non può prescindere da un’accurata indagine territoriale degli atterrati o
pagliare ancora esistenti, indispensabile anche per
ottenere un quadro complessivo delle tipologie e
metodologie costruttive, che variano a seconda della
zona. Non a caso le norme contenute nella legge n.17
del 1997, adottata dalla Regione Abruzzo per il recupero e la valorizzazione del proprio patrimonio in
crudo, prevedono tre fasi successive: una prima catalogazione, la creazione di un centro di documentazione e ricerca ed un successivo programma di recupero
del patrimonio censito.
Il desiderio di ampliare e arricchire le conoscenze sui
manufatti in terra cruda, è sortito in una ricognizione
su tutto il territorio regionale “idoneo”, ovvero avente le caratteristiche geo-morfologiche che permettano
l’utilizzo della terra come materiale da costruzione.
Analizzando la carta geologica regionale si è potuta
effettuare una prima “scrematura” delle zone in cui
indagare, eliminando tutta la fascia montana dove la
probabilità di incontrare costruzioni simili diminuisce
esponenzialmente man mano che si sale in altezza.
Queste riflessioni trovano conferma nella letteratura
sull’argomento ed infatti la Santoponte Emiliani
affermava: “(…..) né, d’altra parte si incontrano al di
sopra dei 300-350 metri”; oppure precedentemente,
nell’inchiesta Jacini: “Esse sono abbastanza comuni
nella zona di collina e pianura: sono invece poco frequenti o mancano affatto nella zona montana o submontana”. Il passo successivo è stato quello di raccogliere informazioni e cartografie di tutti i comuni e
località, nei quali veniva segnalata la presenza di questo tipo di edifici. In seguito, il nostro campo d’azione, è stato allargato anche ai comuni limitrofi, dove
non era stata ancora rilevata la presenza di atterrati.
Si procedeva poi alla ricognizione vera e propria sul
territorio, nel corso della quale si individuavano i
manufatti a vista, e di seguito, si passava al rilievo
metrico e fotografico dell’edificio, prestando attenzione a tutti i particolari costruttivi: la tipologia della
copertura e del solaio, collegamenti verticali, aperture e serramenti, arredamento interno, ecc.
La ricognizione sul campo ha avuto esiti insperati:
numerosi manufatti, alcuni fatiscenti, altri in buono
stato, testimonianze orali, documenti, analisi, fotografie. L’esplorazione è stata effettuata su ben 142
comuni, formanti una fascia ininterrotta che va dal
Sud della regione fino alle aree più a Nord. In un
anno di ricerche sono stati censiti 245 manufatti di
terra, di cui 111 nella provincia di Macerata, 100 in
quella di Ascoli Piceno, 23 in quella di Ancona e 11
nella provincia di Pesaro – Urbino.
Questi dati sono confluiti in schede di catalogazione
raggruppate in ambiti provinciali, i quali si succedono secondo un ordine di densità delle costruzioni in
terra cruda.
Nella scheda relativa a ciascun edificio si indicano:
◆ informazioni di carattere generale (collocazione
dell’edificio, tipologia, tecnica costruttiva, utilizzo
attuale);
◆ localizzazione del manufatto su cartografia IGM
1:25000;
◆ rilievo grafico dell’atterrato con individuazione dei
materiali tipici o estranei al tipo di costruzione;
◆ rilievo fotografico;
◆ breve descrizione dell’edificio, della sua distribuzione interna e dello stato di conservazione.
Di seguito viene riportata, a titolo di esempio, una
scheda tipo.
4 Vedi articoli A. Pugliese e S. Cesarini, stesso volume.
49
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Scheda tipo
50
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
51
ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Le costruzioni sono state divise per tipologie5 in
base al numero degli ambienti e alla loro destinazione d’uso in:
◆ casa del mezzadro e piccolo proprietario (in genere realizzata su due livelli, composta da cucina,
camere, stalla e deposito per l’attrezzatura agricola);
◆ casa del bracciante (generalmente costituita da
due ambienti sovrapposti: camera e cucina);
◆ capanna o annesso agricolo (un unico ambiente
che fungeva da deposito e rimessa per attrezzi
agricoli o stalla).
Nel presente volume, per ragioni editoriali di spazio, alcune schede sono state semplificate inserendo soltanto foto, localizzazione e caratteristiche
principali dell’edificio.
Questo lavoro di ricerca ha reso possibile la compilazione di un aggiornato censimento. Si auspica che
dalla realtà da esso emersa la regione Marche provveda ad adottare una legge per la tutela e la conservazione del patrimonio in crudo.
Infatti, è di fondamentale importanza valorizzare la
cultura del nostro territorio in ogni suo aspetto,
intervenendo concretamente, per consegnare alle
future generazioni “un’importante testimonianza di
antichissime tecniche costruttive”, che diventa
anche un efficace mezzo per non dimenticare il
passato.
Si ringraziano per la loro preziosa e sincera
collaborazione: Sara Staffolani, Carlo Campelli
e la Prof.ssa Antonella Del Panta, docente
di Restauro Architettonico presso la Facoltà di Architettura
dell’Università degli Studi di Firenze.
5 La classificazione proposta è particolarmente significativa perché connessa alla destinazione d’uso dei costruttori-abitatori e non a quelle
più usuali utilizzate per le case coloniche in muratura, organizzate in base alle caratteristiche architettoniche e tipologiche.
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ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Carta regionale
con evidenziazione
dei comuni che presentano
costruzioni in crudo
Legenda
Comuni con presenza di manufatti in crudo
Comuni privi di manufatti in crudo
Comuni esclusi dalla ricerca sul campo
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ARCHITETTURE DI TERRA NELLE MARCHE
Densità delle costruzioni
in crudo
Legenda
Fino a 2 manufatti
Da 3 a 5 manufatti
Da 6 a 10 manufatti
Da 11 a 15 manufatti
Da 16 a 20 manufatti
Oltre 20 manufatti
Comuni privi di manufatti in crudo
Comuni esclusi dalla ricerca sul campo
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