1. I gas ideali
I gas "ideali" o "perfetti" sono sistemi allo stato aeriforme che godono di
particolari proprietà, prima fra tutte che i costituenti elementari, atomi o
molecole, non presentano nessun tipo di interazione .
Ciò significa che un aeriforme approssima tanto più un gas quanto più è
rarefatto, perchè quanto maggiori sono le distanze medie tra le particelle tanto
più tenui sono le possibili azioni reciproche.
Il tema può essere affrontato da più di un punto di vista e la nostra intenzione è
quella di farlo da un versante che prevede l'utilizzo di alcuni criteri di natura
statistica su cui si fonda e da cui trae le proprie conclusioni "teoria cinetica dei
gas".
Perchè sia possibile fare uso della statistica è necessario che
a) i sistemi siano costituiti da un numero elevatissimo di particelle
b) i moti di queste particelle siano del tutto casuali.
Ricordiamo che casualità assoluta significa dispersione massima
nell'occupazione dello spazio accessibile e velocità altrettanto disperse come
direzione e verso e, in una certa misura, come intensità.
In un simile modello, come viene illustrato nell'unità "disordine e probabilità",
vengono privilegiati gli stati di massimo disordine, anche se sono possibili, in
quanto probabili, stati diversi; così, per fissare le idee, accanto a particelle molto
lente se ne potranno avere di velocissime, ma tendenzialmente lo scarto da un
certo valore medio, in condizioni di equilibrio, coinvolgerà una percentuale
relativamente bassa di particelle; il che equivale a dire che le particelle
lentissime o velocissime sono relativamente rare.
L'ipotesi (a) è altrettanto essenziale, perchè i metodi della statistica hanno senso
solo nella prospettiva dei cosiddetti "grandi numeri", cioè quando vengono
trattati sistemi composti da un grandissimo numero di elementi o elaborati
eventi che si presentano un elevatissimo numero di volte.
Premesso questo, cominciamo col definire una delle grandezze fondamentali
per la descrizione delle proprietà dei gas: la pressione p che, con la temperatura
T e il volume V , costituisce la terna delle variabili di stato.
Questo, nel senso che ogni stato di un gas è completamente ed univocamente
definito da un valore di pressione, da uno di temperatura e da uno di volume.
m.castagneto
1
Nel corso dell'evoluzione di un sistema gassoso, se esso è contenuto in uno
spazio fisicamente limitato, il moto delle particelle produrrà, istante per istante,
una serie innumerevole di urti contro le pareti del volume accessibile.
Dato che i moti sono del tutto casuali e completamente disordinati, gli urti si
produrranno ovunque in modo uniforme per frequenza e densità e sotto tutti i
possibili angoli; inoltre le velocità d'urto saranno in larghissima misura tutte
prossime ad un valore medio; pertanto, se pensiamo ad un gas costituito da
particelle identiche, possiamo affermare che l'effetto cumulativo degli urti si
tradurrà in una forza impulsiva Fu uniformemente distribuita su tutta la
superficie. Ricordiamo infatti che in un urto si produce sempre una variazione
della quantità di moto, la qual cosa si manifesta appunto come azione dinamica.
La Fu non ha evidentemente un particolare punto di applicazione, non è
localizzata né localizzabile; essa, piuttosto, è riferibile a tutta l'estensione
della superficie interessata dagli urti, che indicheremo genericamente con S.
Pertanto ha più senso parlare, più che di forza in assoluto, di forza rapportata
alla superficie, di "densità superficiale di forza", ovvero, ancora, di forza per
unità di superficie, Fu/S.
Questa espressione è ciò che comunemente si intende per pressione p, ovvero
p = Fu/S.
Dalla definizione segue che nel S. I. la pressione risulta misurata in N/m2 o
"pascal" (pa), ma sono di uso comune anche unità diverse, come l'"atmosfera"
(atm) in ambito tecnico o il "bar".
In base al modello proposto, le variabili che entrano in gioco nella
determinazione di p si possono identificare
nella massa m delle particelle, poiché da essa dipende
l'efficacia degli urti (la quantità di moto è
direttamente proporzionale a m)
nel numero N delle particelle, da cui discende la
frequenza degli urti
nella velocità v delle particelle, che interviene sia a
determinare l'efficacia degli urti (la quantità di moto
è dir. prop. a v) che la loro frequenza (più rapide
sono le particelle, minori sono i tempi di transito
attraverso lo spazio accessibile tra un urto e l'altro
sulle pareti).
nel volume occupato V dal quale, fissato N, dipende
la densità e quindi la frequenza degli urti.
Prima di passare oltre, dobbiamo chiarire in che senso si parla di una velocità
se, visto il disordine che caratterizza per definizione un gas, le particelle hanno
in linea di principio velocità diverse l'una dall'altra.
A questa domanda la statistica risponde identificando un valore di velocità
privilegiato che rappresenta il più probabile di tutti quelli possibili; ovvero, un
valore intorno a cui si attestano con la massima frequenza i valori reali delle
velocità delle particelle.
m.castagneto
2
Questo criterio porta ad assumere come valore di riferimento la radice quadrata
della media dei quadrati delle velocità, detta "velocità quadratica media".
D'ora in poi, scrivendo il simbolo "v" intenderemo sempre fare riferimento a
uno di questi enti matematici.
Riprendendo il discorso, se queste sono le variabili, ancora non sappiamo dire
in che modo p dipenda da esse; non è difficile convincersi che p cresce se
crescono m, N e v; a proposito di v, si è già rilevato che p ne dipende sia per
l'efficacia che per la frequenza degli urti: da v "e" da v ancora e quindi da v*v,
cioè da v2.
Per quanto riguarda il volume V, ci dobbiamo aspettare una proporzionalità di
tipo inverso: a parità di N e v2, se il volume è minore si ha maggiore densità e
quindi urti più frequenti; ovvero p più elevata.
Possiamo allora pensare a una frazione che abbia al numeratore un prodotto di
potenze di m, N e v2 e a denominatore una potenza di V, cioè a qualcosa del
tipo
x
m N
p= a
V
y
v 2w
z
Con che esponenti?
Una cosa è certa: la frazione deve avere le dimensioni di una pressione, N/m2.
Possiamo allora andare per tentativi e naturalmente partiremo dall'espressione
più semplice; porremo, cioè x = y = w = z = 1, per cui
p= a
m N
v2
(*)
V
in cui a è una certa costante adimensionale di proporzionalità da determinare.
A primo membro si ha
[p] = N/m 2 =
kg m/s 2
m
2
= kg / m s 2
e al secondo
2
kg m / s 2
m
2
= kg /m s
2
Le dimensioni sono le stesse e quindi l'espressione proposta ha quel tanto di
margine di correttezza da poter essere accolta come ipotesi di lavoro.
Per svilupparla, le affiancheremo un'espressione adeguata anche per la
temperatura, un'altra delle variabili di stato.
Come abbiamo visto in generale, il calore che, assorbito da un sistema
termodinamico, va ad accrescere il suo contenuto in energia interna è
m.castagneto
3
direttamente proporzionale alla variazione della sua temperatura, per cui si può
supporre che tra temperatura ed energia interna ci sia una dipendenza lineare.
Nel caso di un gas ideale l’energia interna è quella cinetica, per cui è
ragionevole porre
T = b m v2
(**)
con b costante opportuna.
Ora, eliminando mv2 dalle due relazioni (*) e (**), si trova
PV = (a/b) NT.
Si noti che, operando in questo modo, sono scomparsi gli aspetti microscopici
del problema, rappresentati da quella velocità che nel modello statitico può
porre problemi non secondari.
Ora tutto si è tradotto a livello macroscopico in una relazione tra grandezze
consuete, misurabili con metodi ordinari; e queste grandezze sono proprio le tre
variabili di stato.
Se indichiamo con K, per brevità, la costante a/b , possiamo scrivere infine
PV = NKT .
Questa relazione, che lega tra di loro le tre variabili di stato P, V, T di un
sistema gassoso, prende il nome di equazione di stato dei gas.
La costante K può essere ricavata sperimentalmente ed è nota come "costante di
Boltzmann"; essa è pari a 1.38 x 10 -23 J / °K .
Sussiste una forma equivalente espressa dal numero di moli n, più direttamente
determinabile, invece che dal numero di particelle N; infatti è N = n A, essendo
A il numero di Avogadro; si ha allora PV = n AK T; ma AK = R = 8,32 J/ mole
°K, costante universale dei gas. Quindi
PV = nRT .
Ricordando che T = t + 273, è possibile con alcuni semplici passaggi ricavare
l'espressione dell'equazione dei gas in funzione della temperatura centigrada:
P V = Po Vo (1+ α t) ,
con Po e Vo pressione e volume a 0 °C e α = 1/273 .
Si può anche facilmente derivare che la relazione tra la terna P1 , V1 , t1 e quella
P2 , V2 , t2 è
P2 V2
P2 V2
=
2. Le equazioni parziali
m.castagneto
4
1+
!t 2
1+
!t 1
Possiamo ora considerare i tre casi particolari in cui, una alla volta, viene
mantenuta costante una delle tre variabili di stato, che corrispondono anche alle
effettive condizioni fisiche in cui si possono svolgere certi processi.
a)
Trasformazioni gassose a T costante (isoterme)
Una simile trasformazione può essere realizzata ponendo a contatto termico il
sistema interessato con un altro sistema detto "termostato"; un termostato è un
sistema che è in grado di assorbire o cedere quantità di calore a piacere senza
che la sua temperatura muti. Per fissare le idee, anche se si tratta di una
trasformazione di carattere diverso da quelle che riguardano i gas direttamente,
la combustione di un fiammifero in una stanza può considerarsi "termostatata"
dall'aria della stanza; non così sarebbe se a bruciare fosse una catasta di legna.
Ora, l'equazione di stato sarà soddisfatta sia dalla terna iniziale P1 , V1 , T1 che
da quella finale P2 , V2 , T1 , in cui la temperatura è rimasta fissa:
P1V1 = nRT1
per cui, è immediato,
e
P2V2 = nRT1
P2V2 = P1V1
Questa relazione, nota come "legge di Boyle" (in realtà l'abbiamo dedotta e in
questo contesto costituisce un "teorema") indica che la pressione e il volume in
una trasformazione isoterma sono inversamente proporzionali.
P
4.
2.
1.
2.
3.
4.
5.
V
Come si vede, il grafico di un'isoterma è un ramo di iperbole equilatera.
Espressioni equivalenti a quella appena ottenuta sono
pV = cost. ,
che sottolinea l'invariabilità del prodotto pV, e
pV = poVo ,
che riferisce uno stato generico (p, V) a una data temperatura a uno iniziale (po,
Vo) alla stessa temperatura.
m.castagneto
5
Dato che a ogni temperatura corrisponde un'isoterma, l'insieme di tutte le
isoterme viene a rappresentare, nel piano V-p, una famiglia di iperboli
equilatere ciascuna delle quali è caratterizzata da una ben determinata
temperatura; si dice allora che ogni isoterma è "parametrata" dalla temperatura
T, nel senso che nel far passare da una curva a un'altra T assume la funzione di
parametro.
P
p
4.
2.
T4
T3
T1
T2
1.
2.
3.
4.
5.
V
V
b)
Trasformazioni a P costante (isobare)
Una trasformazione avviene a pressione costante quando, ad esempio, il gas
viene posto in un volume rigido ed indeformabile chiuso da un pistone a tenuta
sul quale agisca una forza costante; in tal caso si ha equilibrio tra pressione
interna ed esterna, che risulta fissa, e tutti gli stati per cui passa il sistema nel
corso della trasformazione corrisponderanno a stati a pressione costante.
Siano dunque P1 , V1 , T1 e P1 , V2 , T2 i valori delle tre variabili di stato nello
stato iniziale e finale; come nel caso precedente, si avrà:
P1V1 = nRT1
e
P1V2 = nRT2 .
Dividendo la seconda per la prima otteniamo subito
V2 / V1 = T2 /T 1 ,
ovvero che il volume e la temperatura, a pressione costante, sono direttamente
proporzionali.
Altra forma possibile,
V = Vo T
To
che evidenzia la dipendenza da T del volume di un gas il cui stato iniziale sia
caratterizzato da un volume Vo e da una temperatura To
Come per la legge dei gas, una formulazione equivalente, espressa in funzione
della temperatura centigrada t, è derivabile facilmente ricordando che T = t 273 ; si trova
m.castagneto
6
V = Vo (1 + α Δt)
c)
Trasformazioni a V costante (isocore)
Per realizzare un'isocora è sufficiente porre il gas in un recipiente di volume
fisso, rigido ed indeformabile.
Da uno stato iniziale P1 , V1 , T1 , il sistema passa a quello finale P2 , V1 , T2 e si
avrà
P1V1 = nRT1
e
P2V1 = nRT2 ,
da cui
P2 /P1 = T2 /T1 .
Ovvero: in una trasformazione
proporzionale alla temperatura.
In altra forma,
p=
isocora
po
To
la
pressione
è
direttamente
T
L'espressione equivalente in funzione della temperatura centigrada è
P = Po (1 + α Δt) .
Per inciso, le due espressioni che formulano le trasformazioni isobare ed isocore
sono note come "leggi di Volta e Gay-Lussac" e vale la pena di osservare come
anche queste, nella nostra impostazione, rivestano un ruolo di teoremi, essendo
state dedotte dall'equazione di stato.
3. L'equazione di Van Der Waals
Quando viene a cessare la condizione di rarefazione del sistema, e quindi quella
di assenza di interazioni tra i suoi elementi, il gas cessa di essere ideale, e si
parla di "gas reale".
In questa prospettiva, è possibile fare intervenire alcune considerazioni che
permettono di modificare le equazioni che descrivono l'evoluzione dei gas e, in
particolare, di quella di Boyle,
pV = cost.
Cominciamo col considerare un fatto ovvio: quando si parla di volume
occupato da un gas, si fa riferimento a quello accessibile ai suoi elementi, vale a
dire a quello entro cui si possono svolgere i loro moti.
Ora, se il gas è rarefatto, si può supporre che le sue componenti elementari
siano oggetti puntiformi, dal momento che le loro dimensioni reali sono di gran
m.castagneto
7
lunga inferiori al volume di spazio entro cui si muovono; in queste condizioni è
lecito identificare questo volume con quello geometrico V del recipiente che le
contiene.
Ma se la densità del sistema è tale che questa condizione ideale viene a cadere,
nasce un problema: non tutto lo spazio geometrico è accessibile agli oggetti
che compongono il sistema, perché ora il volume occupato da ciascuno di essi
moltiplicato per il loro numero non è più trascurabile.
Si deve quindi apportare una correzione al volume V contenuto nell'espressione
della legge di Boyle; e, precisamente, detrarre da esso la quota del volume
occupato fisicamente dalle componenti del sistema, che viene quantificata da
un parametro "b" di derivazione sperimentale.
In questo modo, l'equazione delle isoterme diventa
p (V - b) = cost.
Ora, occorre tenere anche conto del fatto che la relativa vicinanza degli atomi
e/o molecole che compongono il gas (reale) comporta che si instauri tra di loro
una certa interazione.
Per capirlo, e capire anche dove va a parare il discorso, prendiamo il semplice
caso di un gas di H monoatomico.
In ogni atomo, l'elettrone è a immediato contatto col protone che ne costituisce
il nucleo e il legame reciproco tra i due oggetti è, in prima istanza, dovuto
all'interazione coulombiana tra le cariche elettriche di cui sono dotati; se due
atomi sono sufficientemente lontani, elettroni appartenenti ad atomi diversi non
risentono minimamente della presenza dei rispettivi protoni nucleari.
Se invece gli atomi sono relativamente vicini, può benissimo capitare che gli
elettroni appartenenti ad atomi diversi "vedano" i protoni degli altri atomi, cioè
che intervenga in qualche misura un'interazione di tipo attrattivo tra elettroni e
nuclei appartenenti ad atomi diversi.
Questo effetto si traduce in un incremento delle forze che agiscono all'interno
del sistema e che lo confinano nel volume V-b, cioè delle forze associate alla
pressione.
m.castagneto
8
Si deve quindi correggere ulteriormente l'equazione che stiamo discutendo
facendo intervenire un termine che vada ad aggiungersi alla pressione.
A questo proposito, si possono fare alcune considerazioni di carattere
qualitativo in grado suggerire l'espressione del termine additivo.
Prima di tutto, esso dovrà rendere ragione del fatto che deve tendere a sparire
quando le componenti del sistema si allontanano indefinitamente tra loro, cioè
quando il gas reale tende a diventare ideale; in secondo luogo il suo effetto deve
crescere se la distanza tra tali componenti si riduce.
Questi due indizi suggeriscono di pensare a un termine che contenga una
potenza negativa di V, cioè a un oggetto del tipo a/Va, dove a è un opportuno
esponente.
In altre parole, si può pensare a una proporzionalità inversa a una certa
potenza di V.
Ora, è ragionevole pensare che ci sia una proporzionalità inversa a V per due
distinte ragioni.
Una ci viene suggerita dalla dipendenza tra pressione e volume fornita dalla
teoria cinetica, che possiamo assumere come criterio di fondo anche se non
stiamo parlando di gas ideali; si ha, infatti, come già rilevato,
2
p! m N v
V
In secondo luogo, è altrettanto ragionevole pensare che quanto più sono vicine
tra loro le particelle del gas, tanto più siano intense le loro interazioni all'interno
di un certo raggio: un'altra proporzionalità inversa da V.
In sostanza, si può pensare a una proporzionalità inversa rispetto a V contata
due volte, cioè dall'inverso del quadrato di V.
Si ottiene così l'espressione definitiva, nota come "equazione di Van Der
Waals":
"
a%
$ p + 2 '(V ( b) = cos t.
#
V &
Come si vede, questa espressione si riduce a quella della legge di Boyle
nell'approssimazione dei gas ideali.
Infatti, mano a mano che si tende alla condizione che li definisce, b tende a
!
sparire per il fatto che lo spazio occupato fisicamente dagli oggetti che
compongono il sistema diventa trascurabile rispetto a V e, in secondo luogo, il
termine a/V2 si riduce progressivamente per effetto dell'incremento di V.
Va detto, infine, che anche il parametro a, al pari di b, sarà un carattere specifico
di ogni tipo di gas reale, da stabilire in sede sperimentale.
Per inciso, le forze di natura elettromagnetica che si instaurano nei sistemi
aeriformi tra gli atomi e le molecole di cui abbiamo appena discusso si dicono
propriamente "forze di Van Der Waals".
m.castagneto
9
4. Variazioni di volume e lavoro
Ricordiamo che il Primo Principio della Termodinamica esprime la
conservazione dell'energia nel caso di sistemi le cui trasformazioni diano luogo
a scambi di energia sia meccanica che termica.
Formalmente, esso si traduce in una relazione caratteristica tra l'energia termica
dQ , il lavoro meccanico dL e la variazione di energia interna dU:
dU + dL = dQ
Nel caso dei gas questa relazione diventa particolarmente semplice e
rappresentativa, perché può essere formulata a mezzo delle variabili di stato
p, V e T e dei parametri essenziali del gas, come il suo calore specifico.
Vediamo come.
Per farlo, separiamo ed esaminiamo uno alla volta i due termini che
compongono l'espressione del calore scambiato dQ nella formulazione del
primo principio.
Consideriamo un gas che si espande a pressione costante da un volume iniziale
V1 a uno finale V2 sotto l'azione delle sole forze di pressione.
x
Se S è la superficie superiore della scatola che contiene il gas, è chiaro che la
forza che, agendo su S, lavora sull'ambiente esterno, è data dal prodotto pS;
d'altra parte, il lavoro di questa forza -costante, perché tali sono sia la pressione
che S- è dato da pSx, dove x è il tratto di cui il gas, espandendosi, ha spostato il
setto che lo separa dall'ambiente.
Ma Sx rappresenta la variazione di volume del gas, per cui si vede bene come il
lavoro del gas in espansione, inteso come azione della forza associata alla sua
pressione, è dato da
L = p ( V2 - V1 )
Questa espressione si traduce, nel piano p-V, in un grafico caratteristico che
suggerisce un'interpretazione geometrica molto interessante di L:
m.castagneto
10
p
S2
S1
p = cost.
V1
V2
V
Come si vede, L risulta essere l'area del rettangolo sottostante alla linea
orizzontale che rappresenta il grafico della trasformazione dallo stato S1 (p,
V1) a quello S2 (p, V2).
Ora, se si considera una trasformazione generale, cioè una in cui p vari a sua
volta nel corso del processo, si dovrà ragionare in termini di contributi
infinitesimi al lavoro, vale a dire di una suddivisione del tratto tra V1 e V2 in
tanti intervalli dV infinitesimi all'interno dei quali p possa essere considerata
costante; contributi dati da
dL = p dV
La situazione, già familiare per altri contesti, può essere inquadrata in un
grafico di chiara lettura:
p
p
S2
p2
p1
S1
V1
p1
V1
S2
p2
V
S1
V1
V1
V
fig. a!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!fig. b
Dal momento che in ciascuno degli intervalli infinitesimi il lavoro relativo è pari
all'area della striscia corrispondente, e che il lavoro totale della trasformazione è
la somma di tutte le areole (fig. a), si può affermare che esso si identifica con
l'area della regione del piano p-V sottostante al grafico della curva (fig. b).
Si può dimostrare che, nel caso particolare delle isoterme, il lavoro relativo a
una variazione di volume tra V1 e V2 è dato da
V
L 12 = po Vo ln 2
V1
m.castagneto
11
5. I gas e il primo principio
Il primo principio, che abbiamo formilato in generale nella forma
dU = - dL + dQ ,
assume per i gas una forma particolare.
Innanzi tutto, come si è trovato, dL = p dV, per cui
dU = - p dV + dQ
Anche le quantità dU e dQ possono essere espresse in modo opportuno,
facendo cioè riferimento alle variabili di stato p, V e T.
Partiamo dall'espressione di dU per un gas e facciamolo, per semplicità, per un
gas monoatomico.
In questo caso l'energia interna sarà data solo dalla somma dell'energia cinetica
di traslazione di tutte le N particelle che costituiscono il gas.
Riprendiamo allora l'espressione
p= a
m N
v2
V
in cui intendiamo ora precisare il valore della costante a.
Per questo occorre considerare che non tutta la velocità quadratica media può
incidere sull'entità di p, perché il moto delle particelle, e quindi la direzione di
v, sarà tale per cui, in media, v2 sarà equiripartita lungo le tre dimensioni
spaziali.
In altre parole, non è vero che le particelle investono le pareti del recipiente che
le contiene con l'impeto associato a v2, per il semplice motivo che il moto non
comporta urti frontali sulle pareti, bensì sotto un certo angolo.
Si può ragionevolmente supporre che quest'angolo abbia un valore medio tale
per cui la distribuzione dell'energia trasferita alle pareti in ognuna delle tre
dimensioni sia uniforme, cioè che a ogni dimensione spaziale, e quindi a ogni
parete esposta alle collisioni che determinano gli effetti e l'entità della pressione,
resti associato 1/3 dell'effetto cumulativo; ovvero che sia
a = 1/3
Detto questo, si avrà
3pV = m N
v2
Ma pV = NKT, per cui
3 NKT = m N
v2
e
3 NKT = N 1 m v 2
2
2
m.castagneto
12
Ma
N 1 m v2 = U
2
per cui, per un gas monoatomico, l'espressione della sua energia interna è dato
da
U = 3 NKT
2
o anche da
U = 3 nRT
2
Questo risultato esprime chiaramente il fatto che l'energia interna di un gas
ideale dipende solo dalla temperatura, e non dalle altre due variabili di stato.
Questo è un fatto fondamentale, perché significa che le variazioni di energia
interna di un gas non dipendono dal tipo di trasformazione, ma solo dalla
temperatura iniziale e da quella finale.
Infatti, non influendo p e V sul valore di U, perde senso la consistenza stessa di
trasformazione intesa come curva nello spazio delle fasi.
L'energia interna, per questo suo carattere, assume il ruolo di "potenziale
termodinamico", cioè di funzione che connette lo stato iniziale a quello finale
indipendentemente dal percorso seguito, come nel caso meccanico del
potenziale associato alle forze conservative.
Funzioni di questo tipo si dicono anche, in termodinamica, "funzioni di stato".
Nel caso di un gas monoatomico, quindi, il primo principio si scriverà
3 nR dT = -p dV + Q
2
Si può dimostrare che se un gas non è biatomico il fattore 3/2 diventa 5/2 e che
per una molecola poliatomica il fattore diventa 3.
Resta da stabilire l'espressione di dQ.
A questo proposito, si deve dire che non siamo in presenza di un'altra funzione
di stato: la quantità di calore scambiata nel corso di una trasformazione dipende
dal tipo di trasformazione effettuata, cioè dalla traiettoria seguita dalla
successione degli stati nello spazio delle fasi.
Consideriamo infatti due distinte trasformazioni che portano da uno stato A a
uno C come in figura: la prima lungo un'isocora da A direttamente a C e la
seconda lungo un'isobara fino a raggiungere in B l'isoterma a temperatura
finale T2 e poi lungo questa isoterma fino in C:
m.castagneto
13
p
C
B
A
T2
T1
V
Nella prima trasformazione il sistema non fa lavoro, mentre nel secondo fa un
lavoro (negativo) pari all'area del triangolo curvilineo ABC.
Ma la variazione di U è, per quanto si è detto, la stessa in entrambi i casi, per cui
il calore in gioco non potrà essere lo stesso nelle due trasformazioni.
Ora, la quantità di calore scambiata in un generico processo che comporti una
variazione di temperatura dT di una massa m di sostanza è
dQ = C m dT
Nel caso dei gas, visto che dQ dipende dalla trasformazione, si dovrà tenere
conto del modo in cui questa viene eseguita (ma questo vale in generale per
qualunque sistema termodinamico).
E' interessante esaminare, a questo proposito, due processi caratteristici che
possono riguardare i gas: le trasformazioni a volume costante e quelle a
pressione costante.
Per comodità valuteremo le masse in "masse molari", cioè assumeremo la massa
di una mole come unità di misura per le masse, per cui il calore specifico sarà il
calore specifico per mole, o "calore molare".
Se operiamo a volume costante, dV = 0, e quindi avremo, per un gas
monoatomico,
3 nR dT = Q
2
con
Q = n C V dT
da cui, dopo qualche passaggio,
CV =
m.castagneto
14
3 R
2
in cui CV ha il ruolo e il significato di "calore molare a volume costante".
Se ora operiamo a pressione costante e indichiamo con Cp il "calore molare a
pressione costante", dL non è più nullo, e sarà
3 nR dT = -p dV + n C dT
p
2
Ma, per la legge dei gas, p dV = nR dT, per cui
3 nR dT = - n R dT + n C dT
p
2
da cui risulta subito Cp = CV + R
6. Trasformazioni adiabatiche
Si dice "adiabatica" una trasformazione che avviene in condizioni di
isolamento termico.
Nel corso di una simile trasformazione il sistema, quindi, non può scambiare
energia sotto forma di calore ma lo può fare, in generale, sotto forma di energia
meccanica.
Nel caso dei gas, le trasformazioni adiabatiche vengono descritte a mezzo delle
variabili di stato da equazioni caratteristiche che ricordano, nella forma, quelle
parziali.
Se si fa ricorso alle variabili p e V, l'equazione delle adiabatiche per una mole di
gas è, come si può dimostrare (vedi l'unità riguardante il secondo principio
della termodinamica)
p Vγ = cost. ,
in cui l'esponente γ è l'"indice adiabatico"; per i gas monoatomici, esso vale 5/3
e per quelli biatomici 7/5 .
Per come sono correlate p V e T nell'equazione di stato, le trasformazioni
adiabatiche possono essere formulate in forme equivalenti diverse da quella
ottenuta, forme in cui compaiono la coppia T e V oppure quella T e p anziché p
e V:
T Vγ-1 = cost.
oppure
T
p
m.castagneto
!
" #1
"
15
= cos t.
Si osservi come la prima forma sia simile a quella della legge di Boyle: la
presenza dell'esponente γ > 1 determina, nel piano p-V, che le curve delle
adiabatiche siano più ripide di quelle delle isoterme al decrescere di V.
Anche per le adiabatiche forniamo l'espressione per il lavoro per una variazione
di volume tra V1 e V2 :
p0V0" $ 1
1 '
L12 =
& " +1 # " +1 )
" #1 % V1
V2 (
Le trasformazioni adiabatiche hanno notevoli applicazioni in vari settori della
fisica; ad esempio, intervengono nel modello stellare in equilibrio convettivo,
cioè nel modello in cui si suppone che l'energia prodotta nelle parti centrali
! sia trasportata verso la superficie prevalentemente per convezione;
delle stelle
l'adiabaticità è, in questo caso, determinata dalla debolissima conduttività
termica dei gas, per cui si può assumere che le "bolle" di gas che salgono alla
superficie non scambino calore con le masse di gas che incontrano sul loro
cammino; cosicché l'espansione è adiabatica e la temperatura decresce mano a
mano che il gas sale, come deriva dal fatto che salendo il gas si espande.
Questo meccanismo è, peraltro, anche lo stesso per cui la temperatura dell'aria
diminuisce con l'altezza.
7. Trasformazioni nel piano V-p
Ogni stato S di un gas è completamente determinato dalla terna (p, V, T) delle
sue variabili di stato.
T
T
S(p, V, T)
V
V
p
S (p, V)
T
p
Uno stato S(p, V, T) può essere allora rappresentato da un punto S di coordinate
(p, V, T) in uno spazio convenzionale a tre dimensioni di assi p, V e T, come in
figura.
Chiameremo questo spazio "spazio delle fasi".
Se ora immaginiamo che il sistema subisca una trasformazione, cioè che passi
da uno stato S1 (p1 , V1 , T1 ) a uno S2 (p2 , V2 , T2), al variare di p, V e T il
punto S(p, V, T) descrive una certa curva c che costituisce la rappresentazione
geometrica della trasformazione nello spazio delle fasi.
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T
S2(p 2, V2, T2)
T
c
S(p, V, T)
S1(p 1, V1, T1)
V
V
p
p
A questa rappresentazione tridimensionale, spesso scomoda e poco leggibile, è
anche possibile associarne una bidimensionale nel piano Vp nel modo che ora
vedremo.
Presa una temperatura T', si proietta ortogonalmente la trasformazione su un
piano passante per T' parallelo a quello Vp, ottenendo così una curva c' che
rappresenta la trasformazione che avviene facendo variare le sole V e p e
tenendo T fissa, cioè l'isoterma a temperatura T' associata alla trasformazione
stessa:
T
T
S2
c
T'
A
S1
c'
B
V
p
p
Stessa cosa si può fare per qualunque temperatura, ottenendo in
corrispondenza una curva analoga alla c', ma su un piano diverso; se ora si
prende in considerazione un certo numero di piani, cioè di isoterme a certe
temperature, possiamo proiettarle tutte nel piano Vp in modo da visualizzarle
simultaneamente come una famiglia di curve del tipo p = f(V) parametrate dalla
temperatura.
Lo stesso si può fare portando dei piani paralleli a quello pT e a quello VT,
naturalmente, ottenendo così famiglie di curve del tipo p = f(T) e del tipo V =
f(T) parametrate, rispettivamente, da V e da p.
La ragione di questa complicazione geometrica, lo ripetiamo, sta nel fatto che le
trasformazioni dei gas avvengono in uno spazio a tre dimensioni di difficile
rappresentazione, mentre è certo conveniente, come vedremo subito, guardare
le cose avvenire in un piano tenendo sotto controllo la terza variabile della terna
nel ruolo di parametro.
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Supponiamo ad esempio che un gas passi da uno stato iniziale So(po, Vo, To) a
uno finale S(p, V, T).
Se discutiamo la trasformazione nel piano Vp, è evidente che per il punto So
passi l'isoterma To e che per quello S passi l'isoterma T.
Allora, se le richieste riguardano solo la determinazione dello stato finale a
partire da quello iniziale -e non le condizioni degli stati intermedi- può essere
conveniente sostituire alla trasformazione reale della curva c in figura una
trasformazione fittizia che segua un percorso opportuno; per esempio, quello
costituito dal tratto di isocora SoS1 che connette le due isoterme e poi quello S1
S lungo l'isoterma a temperatura T:
p
S(p, V, T)
c
S 1(p1, Vo, T )
S o (po, Vo, To )
T
To
V
Vo
S o (po, Vo, To )
isoterma
isocora
! S(p, V, T)
! S 1(p1, Vo, T )
T
pV = p 1Vo
p1= po
To
Cose analoghe operando prima lungo l'isoterma To e poi lungo un'isocora,
oppure lungo un'isobara e poi lungo un'isoterma o viceversa.
Un percorso particolarmente interessante può essere, a questo proposito, quello
che connette uno stato finale a uno iniziale attraverso la composizione di due
isoterme e di due adiabatiche.
In questo caso, come si evidenzia nella successiva figura, si può pensare di agire
sul gas comprimendolo adiabaticamente, in un primo tempo, lungo l'adiabatica
A fino all'isoterma della temperatura finale T in S1 , per poi procedere lungo
questa isoterma fino al raggiungimento della pressione p e del volume V dello
stato finale S; ne vedremo subito un'applicazione.
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p
S
A
S1
p1
p
So
T
o
Vo
V1
adiabatica
! S (p1, V1, T)
V
S o(p o , Vo , To )
"
"
To
isoterma
! S(p, V, T)
pV = p 1V1
p 1V1 = p oVo
8. Trasformazioni cicliche
Trasformazioni reversibili e irreversibili
Ciclo di Carnot
Si dice "ciclica" una trasformazione il cui stato finale coincide con quello
iniziale.
E' ciclica, ad esempio, la trasformazione ABCDA in figura realizzata lungo due
isoterme e due adiabatiche:
p
A
B
D
C
V
Abbiamo scelto questa particolare trasformazione per esemplificare una
trasformazione ciclica perché essa corrisponde a un processo di cui avremo
modo di parlare anche in un'altra occasione: il "ciclo di Carnot".
Esso viene realizzato così.
Si parte da uno stato A e si lascia che il gas si decomprima isotermicamente fino
in B; questa decompressione può essere piuttosto rapida, e in tal caso il gas la
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esegue passando da stati in cui p e T non sono uniformemente distribuite al suo
interno, come è prerogativa degli stati detti "di equilibrio".
In uno stato generico, cioè di non equilibrio, infatti, pressione e temperatura
possono variare da punto a punto e anche avere significative fluttuazioni locali.
Uno stato di equilibrio, invece, è caratterizzato idealmente dal fatto che p e T
siano le stesse in tuti i punti interni al sistema, e che le fluttuazioni locali
riguardino porzioni tanto piccole da rientrare nei fatti di carattere statistico
non percepibili a livello macroscopico.
A partire da questa concezione di "stato di equilibrio", definiamo "reversibile"
una trasformazione che si realizza quando tutti gli stati da quello iniziale a
quello finale sono di equilibrio.
In caso contrario, la trasformazione si dice "irreversibile".
La condizione di reversibilità è tanto più approssimata quanto più "lentamente"
si fa avvenire la trasformazione.
Questa è appunto la condizione che deve soddisfare il ciclo di Carnot, che si
suppone sia una trasformazione reversibile.
Dunque, per riprendere il discorso, si lascia espandere isotermicamente e
reversibilmente il gas da A a B, dopo di che si prosegue in un'ulteriore
espansione adiabatica reversibile da B a C; poi, sempre reversibilmente, si
comprime il gas lungo l'isoterma da C a D e, infine, lungo l'adiabatica da D ad
A.
p
A
( T 1)
B
D
C
V
Questo ciclo assume un suo senso preciso se lo si inscrive in un discorso di
bilancio energetico.
Nel primo stadio isotermico, il sistema è a contatto col termostato a temperatura
T1 e nel corso della trasformazione, dovendosi mantenere costante la
temperatura, assorbe da esso una quantità di calore Q1 ; contemporaneamente,
in virtù dell'espansione, compie un lavoro L1 all'esterno, rappresentato
dall'area sottostante la curva AB, evidenziata con un tratteggio obliquo da
sinistra a destra.
Anche trasormandosi adiabaticamente da B a C, il sistema compie lavoro
esterno L2 , indicato con un tratteggio verticale; non si produce, però, nessuno
scambio di energia termica.
Nel corso della successiva compressione isotermica, il sistema è nuovamente a
contatto termico con un termostato, questa volta a temperatura inferiore T2 , e
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cede ad esso una quantità di calore -Q2; in questo stadio del ciclo, inoltre, il
lavoro viene fatto sul sistema dall'esterno, per cui avrà un segno negativo: -L3 ,
indicato con un tratteggio obliquo da destra a sinistra.
Infine, si torna in A lungo l'adiabatica DA, che comporta un ulteriore lavoro di
compressione sul sistema, -L4 , evidenziato ancora da un tratteggio verticale;
non si ha, invece, nessuno scambio di calore, per definizione di adiabaticità.
E' ora immediato concludere che il bilancio energetico relativo all'energia
meccanica
L = L1 + L2 - L3 - L4 ,
sia costituito, in figura, dall'area della regione del piano Vp interna al ciclo,
dove i tratteggi non si sovrappongono; sovrapposizione, infatti, significa
precisamente lavoro fatto nei due sensi, e quindi una cancellazione reciproca; L
è un'energia positiva, quindi rappresenta un lavoro fatto all'esterno.
Sul versante termico, invece, il discorso si inverte: il sistema assorbe dal
termostato a temperatura maggiore T1 una quantità di calore Q1 maggiore di
quella ceduta al termostato a temperatura inferiore Q2 : per il primo principio
della termodinamica nella sua veste di interprete della legge di conservazione
dell'energia, il calore Q = Q1 - Q2 "scomparso" nel corso del processo non può
che essere il lavoro L.
In altre parole, il ciclo di Carnot realizza una conversione di energia termica in
energia meccanica; ovvero è un sistema che, all'interno del discorso sul secondo
principio della termodinamica, chiameremo "macchina termica".
Per inciso, il rapporto L/Q1 tra l'energia meccanica ottenuta dal processo e
quella termica assorbita dal sistema a temperatura più alta, si dice
"rendimento" η , ed è immediato stabilire che
! = 1 - Q2
Q1
Considerazioni ulteriori al riguardo verranno svolte più avanti parlando delle
macchine termiche.
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