John Rawls (1921 – 2002) John Rawls nasce a Baltimora nel 1921, da una famiglia di medio-alta borghesia. Durante l’infanzia ebbe un’educazione religiosa; in seguito intraprese gli studi a Princeton, prima di combattere, durante la seconda guerra mondiale, sul fronte del Pacifico. Durante la guerra assiste al bombardamento di Hiroshima, ed è tra i primi soldati ad entrare nella città dopo l’esplosione atomica. Nel 1946, al termine dell’esperienza militare, riprende gli studi, dapprima di nuovo a Princeton, poi, nel 1952, ,si trasferisce a Oxford, dove incontra Isaiah Berlin. Negli anni seguenti insegna, tra le altre, anche a Boston e ad Harvard. È autore di tre grandi opere sulla filosofia politica: “Una teoria della giustizia” (1971), “Liberalismo politico” (1993), “Il diritto dei popoli” (1997). Nei suoi scritti, Rawls riprende il dibattito sulla filosofia politica, che si era interrotto quasi un secolo e mezzo prima con Kant. Rawls si oppone ad un’idea di società utilitaristica, ossia che, per essere giusta, deve perseguire l’ideale del benessere per le persone: per Rawls, è giusta la società che risponde a dei principi giusti, non giudicata tale dalle conseguenze. Per dimostrare le sue teorie, Rawls riprenderà le posizioni contrattualistiche di Locke e Rousseau, ma non presupponendo teorie antropologiche a sostegno delle sue tesi politiche, come avveniva in passato. Quattro ruoli della filosofia politica In un articolo del 1951, Rawls parla del suo ideale di giustizia, basato sull’equità. In particolare si concentra sul ruolo della filosofia politica nel raggiungere tale obiettivo. I ruoli sono quattro: 1- Ruolo pratico: quello di sanare la frattura, risalente alle teorie precedenti, tra la “libertà dei moderni” (quella di Locke, ossia libertà di pensiero, di proprietà, alcuni diritti di base della persona, il governo delle leggi) e la “libertà degli antichi” (quella di Rousseau, basata sui valori della vita pubblica); 2- Ruolo orientativo: determinare il ruolo dei singoli individui nella società che concorrono a formare come unico corpo politico; 3- Ruolo ‘della riconciliazione’: riconciliazione tra le aspettative degli individui nella società e nelle istituzioni che la compongono, e il mantenimento della singolarità delle persone; 4- Elaborazione ‘realisticamente utopica’ della filosofia politica: la filosofia politica deve essere la disciplina che apre a nuovi orizzonti in ambito politico. Una teoria della giustizia – neo contrattualismo e giustizia come equità In questo saggio, Rawls riprende il discorso sul contrattualismo, ma superando il concetto di stato di natura. Rawls immagina una posizione originaria, una sorta di metro di riferimento, una posizione presociale dove ogni individuo, operando dietro il cosiddetto “velo di ignoranza” (senza sapere quindi che ruolo andrà ad occupare nella società), forma la propria idea di giustizia. Coloro i quali costituiscono la posizione originaria, determinano quindi il tipo di governo e di conseguenza la struttura fondamentale della società, ossia il complesso delle istituzioni, e i rapporti tra esse vigenti, comprendendo anche i meccanismi di riproduzione sociale. In questa fase viene elaborato un principio generale, che andrà a regolare la legge e il metro di giustizia nella società. Il principio generale deve essere stabilito quindi nella posizione originaria, da rappresentanti che operano dietro il velo d’ignoranza, in condizioni di moderata scarsità di risorse. Questo 1 farebbe sì che venisse accolto il principio di giustizia come equità, finalizzato ad appianare la posizione di ognuno, migliorando in particolar modo quella dei soggetti più svantaggiati. Il concetto di “neo contrattualismo” prevede dunque una società giusta, in cui i principi fondamentali vengono sottoscritti da decisori, che, operando dietro il velo d’ignoranza in una posizione originaria, valutano vari principi diversi e concorrenti tra loro. Rawls si contrappone ad un’idea di società che massimizza l’utilità sociale (utilitaristica). Nella sua idea, i decisori sceglierebbero secondo i principi di “giustizia come equità”: 1- Il primo di questi principi afferma che “ogni persona ha un eguale diritto al più ampio sistema totale di eguali libertà fondamentali compatibilmente con un simile sistema di libertà per tutti”. Ciò vuol dire che il sistema deve prevedere uno stesso livello di libertà che sia applicato a tutti coloro che sono nella società. 2- Il secondo principio afferma che “le ineguaglianze economiche e sociali devono essere: a) per il più grande beneficio dei meno avvantaggiati, compatibilmente con il principio del giusto risparmio e b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa eguaglianza di opportunità”. Questo principio, detto “di differenza”, non prevede un azzeramento delle diseguaglianze; esse sono ammesse a patto che siano a favore dei più svantaggiati. Inoltre, Rawls fa riferimento alle condizioni di equa eguaglianza, intendendo che tutti devono essere sullo stesso piano, su una base di partenza egualitaria, e poter ambire ad ogni carica e posizione. Questi due principi concorrono a formare quello globale di giustizia come equità; mentre alcune correnti valutano la giustizia a seconda delle conseguenza (conseguenzialismo), altre valutano le intenzioni che sono alla base (concezione deontologica). Rawls pone la sua idea di giustizia come realizzazione dei due principi di giustizia come equità. Liberalismo politico Il problema principale posto in quest’opera è quello della stabilità di un sistema che accetta il pluralismo di idee; Rawls non presuppone quindi un consenso universale, anzi pone la pluralità di diverse visioni come naturale, ma, compatibilmente con questo, auspica un sistema stabile e che tenda a superare le divergenze. Rawls traccia una storia dell’evoluzione del pensiero normativo, partendo dalla ricerca antica del sistema migliore. Un successivo cambio di prospettiva, dovuto al periodo caratterizzato dalle guerre di religione, porta a considerare l’idea di giustizia nella società. Da qui il conflitto tra diverse concezioni del bene, fino all’avvento dei liberalismi, con cui si ritorna ad un tentativo di assolutizzare una visione piuttosto che un’altra. L’idea di Rawls è che il liberalismo non debba concepire un unico metro di giudizio e rapportarvi ogni ordinamento, ma applicare un principio di tolleranza, ammettendo quindi una pluralità di concezioni del bene. Non esistono più un modello giusto e uno sbagliato, ma diversi modelli tra cui scegliere. Nel cap. I, Rawls si avvale di alcuni concetti per spiegare cos’è il liberalismo politico e come si pone di fronte alle precedenti forme di liberalismo; 1- Idea di concezione politica della giustizia: ha tre aspetti caratteristici, ossia a) l’oggetto della concezione politica, che deve essere la struttura di base (il complesso delle principali istituzioni politiche, sociali ed economiche di una società, ed il modo in cui esse si combinano nel sistema); b) l’essere una teoria autonoma, ossia il derivare da una o più dottrine comprensive, ma non l’esserne l’applicazione alla struttura di base – quindi si ammette una pluralità di dottrine comprensive che influenzano la concezione politica della giustizia, ma tale concezione non deve essere il risultato 2 dell’applicazione di queste dottrine alla struttura di base della società; c) l’essere espressa nei termini di alcune idee fondamentali considerate implicite nella cultura politica pubblica di una società democratica. Secondo questa concezione, il potere coercitivo è giustificato solo da valori condivisi universalmente (facenti parte del “tronco comune”); le dottrine comprensive, come tali, sono soggette a diverse interpretazioni, che variano a seconda del singolo soggetto, e quindi non sono adatte a formare la base di una società. 2- Società come equo sistema di cooperazione: per cooperazione non si intende la mera attività coordinata (contrapposta alla casualità), ma un sistema governato da regole e procedure pubblicamente riconosciute. Presuppone la presenza di equi termini di cooperazione: una serie di diritti e doveri reciproci, da accettare a patto che gli altri accettino. Altro presupposto è quello di un mutuo vantaggio razionale per tutte le parti in gioco, che non si limita all’idea di vantaggio reciproco. 3- Concezione politica della persona: per politica si intende neutrale, lontana dalla concezione olistica/individualistica che caratterizzava l’orientamento precedente della filosofia politica. Alle persone competono due facoltà morali: formarsi una concezione propria del bene, anche a vari gradi di profondità, concezione che può cambiare nel corso della vita; avere un senso di giustizia, un senso del limite oltre il quale non è giusto perseguire la propria concezione del bene. I cittadini si riconoscono reciprocamente queste facoltà morali; anche cambiando la propria concezione del bene, non si perdono i proprio diritti nella società. I cittadini sono liberi, considerandosi come fonti “autoautenticanti di rivendicazioni valide”, ossia, si considerano autorizzati ad avanzare rivendicazioni verso le istituzioni, al fine di promuovere la loro concezione del bene, senza bisogno di alcuna autorizzazione. 4- Idea di società bene ordinata: è bene ordinata una società in cui ognuno accetta, e sa che tutti gli altri accettano, gli stessi principi di giustizia. Le idee individuali sul bene possono essere diverse e molteplici, ma i principi di giustizia devono essere trasversalmente condivisi. In mancanza di tale condivisione, la società sarà frammentata. I principi universalmente condivisi di giustizia sono realizzati nelle istituzioni della società; i cittadini devono obbedire alle istituzioni. Una società si differenzia da una comunità, intesa come aggregato umano caratterizzato da un’unica concezione del bene, e da un’associazione, caratterizzata invece da fini particolari condivisi dagli individui. La stabilità di un sistema di questo genere è dovuta quindi a tre condizioni: 1) che la struttura di base sia regolata da una concezione politica della giustizia; 2) che questa concezione sia il centro focale di un consenso trasversale (consenso per intersezione) fra dottrine comprensive ragionevoli; 3) che la discussione sugli elementi essenziali e sui problemi di giustizia fondamentali sia condotta con riguardo alla concezione politica della giustizia. Razionale e ragionevole. Nel cap. II troviamo la distinzione tra razionalità e ragionevolezza. Una persona è definita ragionevole per due qualità principali: la prima, è la disposizione a proporre dei principi e dei criteri che facciano da equi termini di cooperazione, e la propensione a rispettarli volontariamente, una volta sicuro che gli altri facciano lo stesso. Un attore razionale coopera, ma perdendo di vista il proprio fine, e anteponendolo alla reciprocità, mentre una persona ragionevole si cura del proprio interesse ma anche di quello degli altri. Seconda qualità, e che le azioni di una persona ragionevole siano motivate dal raggiungimento del bene della cooperazione; al contrario, una persona razionale considera il vantaggio della cooperazione – o della mancata cooperazione – rapportandolo al suo personale vantaggio. L’essere ragionevole non vuol dire comportarsi moralmente; è un sottoinsieme del comportamento morale, un aspetto della moralità. Il ragionevole non può derivare dal razionale; le due nozioni sono indipendenti l’una dall’altra, ma sono fra loro complementari. Il razionale si lega alla capacità di formarsi un’idea del bene, mentre il ragionevole è più legato all’idea del giusto. I concetti di bene e giustizia nell’antichità erano comuni: ora sono disgiunti, 3 con il bene che costituisce la motivazione, e il giusto che rappresenta il limite entro il quale il bene va perseguito. Gli oneri del giudizio Gli oneri del giudizio sono sei fattori che spiegano le diversità del giudizio e le cause del dissenso tra gli individui. Quattro di essi riguardano gli aspetti cognitivi, due gli aspetti morali. a) b) c) d) e) f) - Aspetti cognitivi I dati – empirici e scientifici – relativi ad un certo caso sono contrastanti e complessi, quindi difficili da valutare; Anche quando c’è pieno accordo su quali siano i tipi di considerazione pertinenti, ci può essere disaccordo sui loro pesi relativi, il che può portare a giudizi diversi; Tutti i nostri concetti sono vaghi, e non dobbiamo affidarci completamente al giudizio e all’interpretazione; Il modo in cui valutiamo i dati e il peso che diamo ai valori morali e politici sono determinati dalla nostra esperienza di vita, e perciò possono variare da individuo a individuo; - Aspetti morali Spesso esistono considerazioni normative di tipo diverso, e di diversa forza, da entrambi i lati di un problema, ed è difficile arrivare ad una valutazione complessiva; Ogni sistema di istituzioni sociali può ammettere solo certi valori e non certi altri, per cui bisogna operare una selezione entro l’intera gamma dei valori morali e politici che si potrebbero realizzare; quando siamo costretti a scegliere, lo stabilire priorità e prendere decisioni può risultare difficile. Il pluralismo è il risultato del libero esercizio della ragione, mentre l’uniformità è il sintomo dell’oppressione. Per un soggetto politico, essere ragionevole vuol dire capire l’importanza degli oneri del giudizio. Il consenso per intersezione Nel cap. IV, Rawls espone il principio liberale di legittimità, secondo il quale i cittadini “esercitano il potere politico in modo pienamente corretto solo in armonia con una costituzione tale che ci si possa ragionevolmente aspettare che tutti i cittadini, in quanto liberi e uguali, ne accolgano gli elementi essenziali”. Gli elementi essenziali della costituzione determinano quindi la concezione politica della giustizia. Il sistema politico può prosperare o meno a seconda che si sviluppo in un contesto storico e sociale adatto; alcuni elementi sono svantaggiosi in questo senso, come ad esempio l’estensione immensa del corpo elettorale, che rende inapplicabile l’idea di consenso tacito teorizzata da Locke. Il consenso tacito è semmai applicabile per gli elementi essenziali della costituzione, che devono essere accettati e condivisi da tutti; le altre leggi si legittimano per coerenza (non è richiesto un consenso universale) col resto della costituzione. Se la maggioranza dei cittadini si riconosce nel principio liberale di legittimità, esprimendo quindi un consenso per intersezione, il sistema è legittimo. Il consenso per intersezione non è un semplice modus vivendi, ossia un punto di equilibrio, in cui le parti giungono ad un accordo non in base a dei principi, ma in vista di possibili conseguenze (l’esempio classico è quello di un conflitto). Il modus vivendi è vicino a quanto descritto nelle teorie di Hobbes: è instabile e 4 sottoscritto per convenienza. Il passo successivo è quello di un consenso “costituzionale”, ossia un consenso basato sui diritti, ma non sulle conseguenze dei diritti stessi, sulle quali vige un profondo dissenso. Il consenso per intersezione è quindi il passo successivo e finale: un consenso sia sui diritti che sulle loro conseguenze. Rawls pone inoltre tre criteri di valutazione che misurano la qualità del consenso per intersezione: la profondità del consenso (che deve essere “abbastanza profondo da toccare idee come quella della società come equo sistema di cooperazione, o dei cittadini come persone ragionevoli, libere e uguali”), l’ampiezza (“esso copre i principi e i valori di una concezione politica e si applica all’intera struttura di base”), e la specificità (il livello del consenso che serve per formare una società democratica legittima). Priorità del giusto e idee del bene Nel cap. V, Rawls traccia una distinzione tra il “giusto” e il “buono”, ponendo il primo concetto come prevalente sull’altro (“la giustizia traccia il confine e il bene indica il punto”). Il raggiungimento dell’esito – il bene – comporta comunque una diversa valutazione del giusto. Per esporre il significato della priorità del giusto, Rawls espone cinque idee del bene presenti nella giustizia come equità, cinque idee universalmente condivise che vanno oltre le diverse concezioni del bene. a) Bontà come razionalità: questa idea è data per scontata da quasi tutte le concezioni politiche della giustizia; le persone avrebbero piani di vita razionali, secondo i quali programmano i loro impegni e gestiscono le proprie risorse, avendo sempre come obiettivo la persecuzione del loro ideale di bene. Secondo questo schema, sono considerate generalmente buon cose come la vita umana, il soddisfacimento di bisogni basilari e la realizzazione di scopi fondamentali, adottando la razionalità come principio base dell’organizzazione sociale e politica; b) Beni primari: oltre a dei beni particolari, diversi per ciascun individuo, esistono dei beni primari, che sono tali indipendentemente dalla concezione personale del bene. I beni primari sono: diritti e libertà fondamentali; libertà di movimento e libera scelta dell’occupazione in un contesto di occasioni diversificate; poteri e prerogative delle cariche e delle posizioni di responsabilità nelle istituzioni della struttura di base; reddito e ricchezza; basi sociali del rispetto di sé (insieme di beni, materiali e non, variabili nel tempo, che concorrono a rendere l’individuo rispettabile nei confronti degli altri). I beni primari formano il “tronco comune” a tutti gli individui, ossia sono trasversalmente condivisi da tutti. Compito della società è quindi assicurarsi che tutti riescano a godere dei beni primari, mentre la realizzazione dell’idea personale del bene compete solo al cittadino singolo; c) Concezioni del bene ammissibili e non ammissibili: esistono idee del bene che non possono essere ammissibili, poiché mancano di rispettare la legittimità del sistema. Rawls si avvale del concetto di neutralità per trattare questo argomento, distinguendone tre idee; neutralità in senso procedurale stretto, ossia che non concepisce nessuna idea del bene (Rawls rifiuta questa idea, dato che non è possibile valutare le procedure prescindendo dal loro risultato, ossia il bene); la neutralità come procedura giustificabile in base a valori considerati neutrali, come l’imparzialità o l’applicazione coerente di principi generali; la neutralità della giustizia come equità, ossia la concezione politica stessa, posta come centro focale di un consenso trasversale per intersezione, e quindi come sorta di “metro di giudizio”, diversa da una neutralità procedurale. 5 d) Virtù politiche: tra le tante virtù esistenti, quelle politiche sono indipendenti dalle varie concezioni del bene. Sono la tolleranza, la ragionevolezza, il senso dell’equità, la civiltà (civility nell’originale, intesa come il rapportarsi in modo civile agli altri). La promozione di queste virtù non rende uno stato di per sé etico, dato che le virtù politiche non dipendono da una particolare dottrina comprensiva ma sono condivise dai cittadini. e) Il bene nella società politica: il sistema di giustizia come equità mira all’affermazione di una concezione politica della giustizia; una società ordinata in questo modo sarà di per se stessa un bene per le singole persone, chiamate ad esercitare i due poteri morali, sentendosi parte del sistema stesso; altro aspetto positivo è che la società politica assicura ai cittadini il bene della giustizia e le basi sociali del rispetto, reciproco e di sé, oltre ad assicurare eguali diritti e libertà fondamentali. Rawls definisce la società come “formazione sociale di formazioni sociali”, ossia un insieme di formazioni più piccole, come la famiglia, unite dal consenso per intersezione basato su un’idea politica della giustizia. L’idea di ragione pubblica Con Rawls si supera la distinzione kantiana tra ragione teoretica e pratica, introducendo il concetto di ragione pubblica. È pubblica la ragione tipica dei popoli democratici, la ragione dei cittadini, che ha per oggetto il pubblico, che è soggetta al bene pubblico e alla giustizia fondamentale, ed è pubblica nella natura e nel contenuto. In una società democratica la ragione pubblica è ragione di cittadini uguali che esercitano un potere ultimo e coercitivo l’uno sull’altro, in quanto corpo associato, promulgando leggi. Cinque caratteristiche la differenziano dalla ragione pratica: a) è una forma di ragionamento vincolata a premesse condivise da tutti gli interlocutori; b) si occupa di questioni riguardanti la struttura della società e di questioni costituzionali essenziali, secondo lo standard della ragionevolezza; c) non è l’unica forma di discorso in ambito pubblico, ma è la sola con cui vengono prese decisioni vincolanti. Si distingue quindi da altre forme di discorso pubblico come la dichiarazione (data a seconda della personale concezione del bene), la congettura (un discorso che muove da una concezione comprensiva altrui), la testimonianza del dissenso (sempre basata su una concezione comprensiva); d) la ragione pubblica si applica in uno spazio pubblico bipartito: il foro pubblico, dove si prendono decisioni vincolanti per tutti; e la cultura di sfondo, ossia l’area in cui si coltivano le ragioni non pubbliche, quindi particolari; e) ne esistono due versioni: una ristretta, rigorosa, secondo cui nel ragionamento politico non devono mai essere inserite questioni derivanti da dottrine comprensive; una ampia, dove l’uso di dottrine è concesso a patto che, nel momento in cui si arriva alla decisione, i concetti espressi tramite dottrine vengano tradotti nella forma propria di concetti accessibili a tutti, quelli della ragione pubblica. Nel sistema teorizzato da Rawls, la ragione pubblica non crea il consenso sempre e comunque, dato che gli oneri del giudizio rivestono un ruolo fondamentale e possono impedire di giungere ad una ragione condivisa. La ragione pubblica è l’espressione del corpo unitario dei cittadini nel momento decisionale, e in questo senso appartiene al tronco comune, ma i cittadini sono pur sempre liberi. La ragione pubblica ha una sua incarnazione istituzionale: la corte suprema (nel nostro ordinamento sarebbe la Corte costituzionale), che è espressione della ragione pubblica. Questa idea è propria di un costituzionalismo democratico. Anche qui Rawls elenca cinque principi del costituzionalismo: a) la distinzione tra potere costituente, che appartiene al popolo, e potere ordinario, ossia costituito, appartenente ai pubblici funzionari; b) distinzione tra legge suprema, espressione del potere costituente, e 6 legge ordinaria, espressione del potere costituito; c) la costituzione democratica è espressione conforme a principi depositati nell’ideale politico di un popolo, e lo scopo della ragione pubblica è quello di articolare questo ideale; d) attraverso una costituzione democraticamente ratificata, l’insieme dei cittadini stabilisce gli elementi costituzionali essenziali; e) il potere – tripartito – non può essere lasciato solo all’elemento legislativo, ma è detenuto dai tre rami del governo unitariamente. La corte suprema deve essere custode della costituzione, far sì che ne vengano rispettati gli elementi essenziali fissati dalla legge costituente. I giudici costituzionali, pur essendo comunque soggetti agli oneri del giudizio, devono ragionare partendo dagli elementi condivisi. Dei limiti al potere sovrano sono posti dal sovrano stesso (quindi dal potere costituente); Rawls al riguardo parla di “blindatura”, distinguendone un tipo esplicito e un tipo strutturale. Tramite la blindatura, le costituzioni pongono dei limiti a se stesse (un esempio può essere l’art. 139 della Costituzione italiana), rendendo alcune parti fisse e inviolabili. Nell’idea di Rawls, alcuni diritti fondamentali non possono essere cambiati senza invalidare la costituzione stessa, e una blindatura risulta quindi necessaria, anche in assenza di articoli che esplicitino in modo netto tale regola. 7